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ESPANSIONE SEMPLIFICATA

Diritto Costituzionale

Il diritto costituzionale è quella materia giuridica che studia i principi e le norme


fondamentali per la vita di uno Stato e del suo popolo. In genere questi principi e regole sono
contenute nella Costituzione.
Prima di affrontare lo studio di qualsiasi disciplina giuridica è necessario fissare alcuni
concetti preliminari ricorrenti in tutti i settori del diritto.
Anzitutto è importante definire il concetto di diritto, termine che può avere diversi
significati (il diritto oggettivo è una cosa, cosa ben diversa è il diritto soggettivo).

1. Cosa si intende per diritto


L’uomo, per vivere in società, si è dato delle regole basate su valori condivisi che tutti sono
tenuti a osservare. Se, ad esempio, lo Stato attribuisce valore alla salute dei cittadini, si dota di
regole dirette a salvaguardare il benessere della popolazione (come ad esempio il divieto di
fumare in luoghi chiusi). Se considera l’ambiente un bene da proteggere, emana norme per la
sua tutela (ne è un esempio l’obbligo di differenziare i rifiuti).
Tuttavia, le norme non hanno tutte la stessa forza e la stessa importanza: alcune sono
obbligatorie, devono cioè essere rispettate da tutti, altre invece non lo sono in quanto si
fondano sulla spontanea osservanza a partire dal convincimento che siano giuste. Le regole
obbligatorie sono le norme giuridiche, ossia le norme emanate dallo Stato e il cui mancato
rispetto viene sanzionato.
L’insieme delle norme giuridiche di uno Stato ne forma il cosiddetto diritto oggettivo,
anche chiamato diritto positivo (dal latino ius positum = «diritto posto»). Si tratta
dell’ordinamento giuridico, ossia di quel complesso di regole che, come detto, rispecchia la
cultura del popolo che vive all’interno dei confini di uno Stato. L’ordinamento giuridico di uno
Stato è composto da vari tipi di norme giuridiche.

2. Le norme giuridiche e le fonti del diritto italiano

Le norme giuridiche che organizzano la vita collettiva di uno Stato hanno origini ben
precise. Esse nascono dalle fonti del diritto, ossia gli atti e i fatti idonei a produrre norme
giuridiche.
Le fonti del diritto non hanno tutte lo stesso valore giuridico ma alcune sono più importanti
di altre; esse sono, infatti, ordinate secondo un principio di gerarchia in base al quale esistono
fonti di grado superiore (primarie) e fonti di grado inferiore (secondarie). Il principio di
gerarchia stabilisce che una fonte di grado inferiore non può essere in contrasto con una di
grado superiore.

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2.1 La Costituzione
Le fonti del diritto italiano sono disposte secondo una sorta di piramide.
Al vertice c’è la Costituzione della Repubblica. In generale, la Costituzione è la legge
fondamentale di uno Stato, quella che ne indica le caratteristiche principali, i valori e
l’organizzazione politica. Tutte le altre leggi, perciò, devono uniformarsi ai principi che la
Costituzione stabilisce e non possono essere in contrasto con essa.
La Costituzione, tuttavia, non può essere considerata una vera e propria legge. Essa è
qualcosa di più: è il testo che sancisce i diritti e i doveri dei cittadini, definisce la struttura dello
Stato, i poteri degli organi di cui lo Stato stesso si compone. In questo senso può essere
considerata una fonte super primaria.
La Costituzione italiana sancisce, ad esempio, la libertà di stampa e il diritto dei cittadini a
essere informati. Se una nuova legge vietasse tale libertà, imponendo la chiusura dei giornali,
tale norma non avrebbe valore perché in contrasto con un diritto garantito dalla Costituzione.
Per questo motivo le norme della Costituzione possono essere modificate, integrate o
eliminate soltanto dalle leggi costituzionali, approvate con un procedimento molto
complesso di cui tratteremo nel manuale.

2.2 Le fonti primarie

Proseguendo nella scala gerarchica, troviamo le fonti primarie vere e proprie.


Al di sotto della Costituzione e delle leggi costituzionali si collocano i trattati e gli atti delle
istituzioni dell’Unione europea (ad es. i regolamenti, le direttive ecc.). Si tratta di atti emanati
che, una volta immessi nel nostro ordinamento, occupano una posizione di preminenza
rispetto alle leggi italiane. Anche le norme europee, però, non possono essere in contrasto con
la Costituzione.
Poi vi sono le leggi ordinarie emanate dal Parlamento, l’organo cui spetta la funzione
legislativa, ossia quella funzione dello Stato volta alla creazione delle norme che compongono
l’ordinamento giuridico.
Anche al Governo è riconosciuta la facoltà di emanare atti aventi forza di legge, in particolari
casi di necessità e urgenza, o su delega (cioè su incarico) del Parlamento: i decreti legge (D.L.)
e i decreti legislativi (D.Lgs.).
Infine, vi sono le leggi regionali, emanate dalle Regioni nelle materie di loro competenza.

2.3 Le fonti secondarie e le fonti fatto

Al terzo posto nella scala gerarchica delle fonti del diritto si collocano i regolamenti, che
sono atti adottati dal Governo o da altri enti (es. Comuni, Ministeri ecc.), con cui vengono
chiarite e applicate le leggi emanate dal Parlamento. I regolamenti costituiscono fonti del
diritto secondarie.
All’ultimo gradino della piramide, vi è la consuetudine, ossia un comportamento
costantemente ripetuto dai consociati nella convinzione di osservare una norma giuridica o
comunque nella previsione che anche gli altri assumano un comportamento analogo
(diversamente, si rientrerebbe nelle regole di costume, come nel caso della mancia, in quanto
pur essendo molto diffusa, non è considerata obbligatoria). Le consuetudini come fonti del
diritto non sono numerose e generalmente vengono relegate nell’ambito del commercio in
zone agricole (commercio di bestiame, di legname, vino ecc.).

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Le consuetudini costituiscono le cosiddette fonti fatto e sono ritenute dall’ordinamento


idonee a produrre diritto. Le consuetudini diventano obbligatorie solo in assenza di una legge o
nel caso in cui contribuiscono a colmarne le lacune, ma in nessun caso possono essere in
contrasto con essa.

3. La pubblicazione in Gazzetta
Una volta emanate (dal Parlamento, dal Governo ecc.), le norme giuridiche devono essere
rese note alla collettività. I documenti che le contengono e ne permettono la conoscenza si
chiamano fonti di cognizione.
Le leggi, i decreti legge, i decreti legislativi, i regolamenti e in generale tutti gli atti statali
qualificati come fonti di produzione sono divulgati tramite la Gazzetta ufficiale della
Repubblica italiana (abbreviato G.U.), un giornale stampato e diffuso dall’Istituto poligrafico
dello Stato (puoi vedere un numero della G.U. nell’immagine in basso). La pubblicazione
cartacea è ora affiancata dalla pubblicazione online sul sito www.gazzettaufficiale.it. Sulla G.U.
vengono pubblicati anche i bandi dei concorsi pubblici.
I regolamenti dell’Unione europea vengono pubblicati sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione
europea, le leggi regionali sul Bollettino ufficiale delle Regioni.
La pubblicazione sulla G.U. ha lo scopo di diffondere la conoscenza delle leggi e dei decreti
e di stabilire il giorno a partire dal quale entrano in vigore. L’entrata in vigore (cioè il momento
in cui la legge diventa efficace e obbligatoria per tutti) è prevista normalmente dopo quindici
giorni dalla pubblicazione in G.U. per permettere a tutti di venirne a conoscenza.

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4. Diritto pubblico e Diritto privato


All’interno dell’ordinamento giuridico distinguiamo due grandi rami del diritto: il diritto
pubblico e il diritto privato.
Il diritto pubblico comprende le norme che regolano il funzionamento dello Stato, delle
sue istituzioni (Parlamento, Governo, Comuni ecc.), degli enti pubblici. I rapporti tra i diversi
organi della Repubblica italiana, per esempio tra il Presidente della Repubblica e il Governo, o
tra il Governo e il Parlamento, sono disciplinati dal diritto pubblico. Allo stesso modo le regole
che stabiliscono il modo in cui i cittadini sono tenuti a pagare i tributi, poiché riguardano i
rapporti tra i cittadini e gli enti pubblici, sono disciplinate dal diritto pubblico.
Il diritto privato regola invece le relazioni tra i singoli individui, sia per quanto riguarda la
loro sfera personale e familiare, sia per quanto riguarda la sfera dei rapporti patrimoniali
(contratti, obbligazioni ecc.).
Il diritto pubblico e il diritto privato si suddividono, a seconda delle materie disciplinate, in
ulteriori categorie, che riassumiamo brevemente nei prospetti che seguono.

Diritto pubblico

Diritto Studia i principi e le norme fondamentali della vita dello Stato, dei cittadini e di tutti
Costituzionale gli altri soggetti della comunità

Diritto Regola i vari aspetti dell’attività della Pubblica amministrazione, quindi dei
Amministrativo Ministeri, dei Comuni, delle Province, delle Regioni e degli altri enti che provvedono
agli interessi della collettività

Diritto penale Costituisce il complesso delle norme giuridiche con cui lo Stato proibisce
determinati comportamenti predisponendo le relative sanzioni per chi li adotta

Diritto Regola lo svolgimento dei processi civili, penali e amministrativi


Processuale

Diritto Disciplina i rapporti tra gli Stati


Internazionale

Diritto Disciplina l’ordinamento dell’Unione europea, le norme di funzionamento degli


dell’Unione organi europei e i diritti e doveri dei cittadini dell’UE
europea

Diritto Regola i rapporti dello Stato con le varie confessioni religiose. Da non confondere
Ecclesiastico con il diritto canonico che è il diritto interno della Chiesa cattolica

Diritto tributario È l’insieme delle norme che regolano i rapporti fra i cittadini e l’amministrazione
finanziaria. Si occupa della riscossione delle tasse e delle imposte.

Diritto privato

Diritto civile È l’insieme delle norme che disciplinano i rapporti tra privati, i rapporti di famiglia,
le successioni, le obbligazioni, i contratti e i diritti reali. La gran parte delle norme di
diritto civile è contenuta nel Codice civile.

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Diritto È l’insieme delle norme che regolano i rapporti di carattere commerciale (titoli di
commerciale credito, contratti commerciali, bancari ecc.) nonché le società e le imprese in
generale. Le norme di diritto commerciale sono contenute nel Libro V del Codice
civile e in molte leggi cosiddette speciali.

Diritto del lavoro È l’insieme delle norme che regolano i rapporti di lavoro tra privati (ad esempio tra
un’azienda e i suoi dipendenti), la tutela dell’attività lavorativa, l’attività sindacale.
Le norme giuslavoristiche sono contenute in alcuni articoli del Codice civile, nello
Statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970), in molte leggi speciali e nei contratti
collettivi di lavoro. Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (cd.
impiego pubblico) è soggetto a una disciplina speciale di taglio pubblicistico

5. I codici e i testi unici


Abbiamo fin qui parlato di leggi, decreti, norme, ma spesso quando parliamo di diritto
sentiamo citare i codici. Cosa sono?

I codici sono raccolte di norme o di leggi, organizzate in maniera sistematica per


disciplinare una determinata materia. I principali codici attualmente in vigore in Italia sono:

• il codice civile (c.c.): comprende le norme riguardanti i rapporti civili e commerciali (la
famiglia, la proprietà, il lavoro, le imprese ecc.);
• il codice di procedura civile (c.p.c.): contiene le regole che disciplinano lo svolgimento del
processo civile;
• il codice penale (c.p.): identifica i reati e le sanzioni per chi li commette;
• il codice di procedura penale (c.p.p.): raccoglie le norme riguardanti lo svolgimento del
processo penale.

I codici, come le leggi, seguono l’evoluzione della società. Negli anni a cavallo tra XX e XXI
secolo sono perciò nati codici nuovi, dedicati alle questioni che nel corso degli anni hanno
richiesto sempre più attenzione. Per limitarci ad alcuni esempi possiamo indicare:

• il codice dell’ambiente, che contiene le norme per la tutela ambientale;


• il codice del consumo, che difende i diritti del consumatore contro gli abusi delle aziende;
• il codice della privacy, che tutela il diritto alla protezione dei dati personali;
• il codice dell’amministrazione digitale (CAD), che regolamenta le attività per la
digitalizzazione della pubblica amministrazione.

Simili ai codici sono i Testi unici (T.U.) che normalmente riorganizzano in un unico provvedimento
normativo norme sparse in più leggi, decreti legge o decreti legislativi: ad esempio il T.U. sul pubblico
impiego (D.Lgs. n. 165/2001) o il Testo unico degli enti locali (D.Lgs. n. 267/2000).

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6. I rapporti giuridici
Prima di continuare con l’analisi del diritto costituzionale, è ora necessario dare alcune
definizioni di istituti giuridici fondamentali, che saranno ricorrenti anche quando tratteremo
di altri rami del diritto.
Ad esempio, che cos’è un rapporto giuridico? Cosa si intende per persona nell’ambito del
diritto? E per beni?
Vediamo dunque di cosa si tratta e soprattutto di acquisire la terminologia giuridicamente
più corretta.
Per rapporto giuridico si intende qualsiasi relazione tra due o più soggetti presa in
considerazione dal diritto. La relazione tra un datore di lavoro e un lavoratore, tra genitori e
figli, tra venditore e compratore di un bene sono esempi di rapporti giuridici. Da questa
definizione si intuisce che ognuno di noi, nella vita quotidiana, dà vita a diversi rapporti
giuridici. Non qualunque relazione tra due persone, però, dà vita a un rapporto giuridico: è
necessario, infatti, che vi sia un interesse, non necessariamente economico, ma considerato
meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.

In un rapporto giuridico sono sempre presenti almeno due soggetti:

• il soggetto attivo, titolare di una posizione di vantaggio;


• il soggetto passivo, titolare di una posizione di svantaggio.

Tali soggetti costituiscono le parti del rapporto giuridico, mentre si definiscono terzi coloro
che ne risultano estranei.

7. I soggetti di diritto
Abbiamo parlato sopra di soggetti di diritto. È questo un altro concetto fondamentale per
il diritto di cui è molto importante comprendere gli ambiti.
Soggetto di diritto (o soggetto giuridico) è colui che può essere titolare di diritti, obblighi
ecc. e che può compiere atti giuridici.
È l’ordinamento giuridico che stabilisce chi deve essere considerato soggetto di diritto:
negli ordinamenti moderni è soggetto di diritto ogni persona fisica, ossia ogni persona viva. Ma
in passato esistevano alcune categorie di persone (si pensi agli schiavi) che non erano
considerati soggetti di diritto.

7.1 I soggetti di diritto: le persone fisiche

Le regole contenute nelle norme giuridiche sono destinate ai soggetti giuridici (o soggetti
del diritto), che si distinguono in due grandi categorie: persone fisiche (individui) e persone
giuridiche (organizzazioni ed enti collettivi).

L’ordinamento considera persona fisica qualsiasi essere umano (uomo o donna, adulto o
minore, cittadino o straniero) purché nato vivo e vivente. Non sono ritenuti soggetti di diritto gli
animali e le cose.
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Alcune situazioni regolate dal diritto valgono per tutti gli individui sin dal momento della
nascita, altre riguardano solo coloro che hanno compiuto la maggiore età (diciotto anni) e che
sono pienamente in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Nel primo caso si
parla di capacità giuridica, nel secondo di capacità di agire. La capacità giuridica si acquista al
momento della nascita, la capacità di agire a 18 anni.
La capacità giuridica è l’idoneità a essere titolari di diritti e di doveri. Questa capacità si
acquista al momento della nascita.
In quanto titolare della capacità giuridica, un ragazzo che abbia meno di diciotto anni può
ricevere dei beni in eredità, può diventare proprietario di un appartamento che i suoi familiari
hanno comprato per lui, ma non può amministrare direttamente i propri interessi. Non può, ad
esempio, vendere l’appartamento di cui è proprietario, perché l’ordinamento gli riconosce tale
facoltà solo al compimento dei diciotto anni, età in cui si acquista la «capacità di agire». La
legge presume che con la maggiore età una persona raggiunga la maturità psico-fisica
necessaria per curare in modo consapevole i propri interessi.
La capacità di agire, dunque, è l’idoneità di un individuo a compiere da solo atti
giuridicamente rilevanti, esercitando diritti e assumendo obblighi.
Se un soggetto non ha o perde la capacità di agire, per determinate condizioni fisiche,
psicologiche o legali, si trova in una condizione di incapacità. La legge predispone una serie di
strumenti a protezione degli incapaci (minori, interdetti, inabilitati) che, non essendo in
grado di tutelare i propri interessi, potrebbero essere facilmente vittime di violazioni dei propri
diritti.

7.2 Le persone giuridiche

Le persone fisiche possono curare i propri interessi individualmente oppure in associazione


con altre. In questo secondo caso danno vita a organizzazioni collettive. Oggi queste
organizzazioni sono molto diffuse, sia per organizzare rapporti economici sia per tutelare in
modo più efficiente i diritti e le relazioni sociali. Ad esempio, sono organizzazioni collettive le
associazioni di consumatori; le associazioni sindacali, che si occupano di salvaguardare i diritti
dei lavoratori; le organizzazioni di volontariato, che offrono servizi e attività volte a migliorare le
condizioni di vita, di lavoro, di igiene e di salute delle persone più disagiate; le società
commerciali, che raggruppano persone e capitali per svolgere un’attività imprenditoriale.
All’interno delle organizzazioni collettive si distinguono le persone giuridiche, che sono
dotate del riconoscimento dello Stato, e sono dunque soggetti di diritto veri e propri, e gli enti
di fatto, che sono privi di questo riconoscimento, ma che comunque possono operare nel
mondo giuridico.
Anche per gli enti giuridici esistono numerose classificazioni (pubblici o privati, con
personalità giuridica, con autonomia patrimoniale perfetta o imperfetta ecc.) che
approfondiremo nel corso del manuale.

Una distinzione preliminare va però fatta, nell’ambito del diritto costituzionale e in generale
del diritto pubblico, fra:

— persone giuridiche pubbliche, gli enti che perseguono interessi generali, propri dello Stato
(i cd. enti pubblici), e godono di una posizione di supremazia nei confronti degli altri
soggetti con cui vengono in rapporto (cittadini, persone giuridiche private ecc.). Lo Stato è
la principale persona giuridica pubblica che opera tramite propri organi (il Parlamento, il
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Governo, la Magistratura ecc.) per realizzare il benessere della comunità. Anche le Regioni,
le Province, i Comuni, definiti enti pubblici territoriali, le Camere di commercio, la Banca
d’Italia ecc., definiti enti pubblici non territoriali, hanno personalità giuridica di diritto
pubblico. Per gli enti pubblici il riconoscimento viene disposto con la stessa legge che crea
l’ente;
— le persone giuridiche private, che perseguono fini non sono propri dello Stato (pensiamo
gli azionisti di una società per azioni quotata in borsa). Esse quindi sono, dal punto di vista
giuridico, in una posizione di parità rispetto ai soggetti privati con in quali entrano in
rapporto.

Facciamo un esempio per capire meglio la differenza fra queste due tipologie: se una
grande società immobiliare vuole costruire un edificio sul suolo di proprietà di un contadino,
dovrà contrattare con lui un prezzo che sia adeguato a soddisfare le esigenze economiche del
proprietario, e di fronte al suo rifiuto non potrà far altro che recedere dall’intenzione di
acquistare il fondo. Al contrario, se fosse lo Stato ad aver bisogno del fondo del contadino per
costruire un’autostrada (quindi un’opera di pubblico interesse), potrà procedere
all’espropriazione del fondo, a cui il contadino non potrà opporre alcun rifiuto. In questo caso
lo Stato, la persona giuridica pubblica per eccellenza, opera in una posizione di evidente
supremazia rispetto a qualsiasi altro soggetto privato.
Le persone giuridiche hanno una vita propria, separata dalla vita delle persone fisiche che
ne fanno parte. Sono titolari di propri diritti e doveri e hanno una propria volontà che possono
manifestare, per esempio, attraverso la stipulazione di un contratto di acquisto di un immobile,
oppure di un contratto di vendita di beni di cui sono proprietarie; possono ricevere beni in
eredità, esattamente come le persone fisiche.
Essendo però entità astratte, le persone giuridiche manifestano la propria volontà
attraverso le persone che la rappresentano: queste sono definite organi delle persone
giuridiche.

8. I beni giuridici
Sono beni in senso giuridico tutte le cose che possono essere oggetto di diritti. Oggetto del
diritto possono essere le cose in senso fisico (una casa, un’auto, un giocattolo), ma anche le
attività (il lavoro), le creazioni intellettuali (un’invenzione), aspetti della personalità (la
riservatezza, il sesso, l’identità), le energie.
Alcuni beni, invece, come l’aria o il sole, non sono assoggettabili al potere dell’uomo: questi
beni perciò non possono formare oggetto di diritti e sono definiti beni liberi.
I beni giuridici si distinguono in varie categorie.

Secondo i soggetti cui appartengono distinguiamo:

• beni privati, che appartengono a soggetti privati e sono destinati a soddisfare interessi
particolari;
• beni pubblici, che appartengono allo Stato o agli enti pubblici e sono destinati a soddisfare
interessi collettivi.

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Un’automobile è un bene privato: essa appartiene infatti a un singolo cittadino, il


proprietario, ed è destinata a soddisfare gli interessi particolari suoi e della sua famiglia. Un
autobus di linea, invece, è un bene pubblico, in quanto appartiene a un ente pubblico,
l’azienda municipale dei trasporti, ed è destinato a soddisfare l’interesse collettivo alla
mobilità.

Secondo la loro natura, invece, distinguiamo:

• beni immobili, che non possono essere spostati da un luogo all’altro senza alterarne la
struttura e la destinazione. L’articolo 812 del codice civile considera beni immobili il suolo,
le sorgenti, i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni e tutto ciò che è
naturalmente o artificialmente incorporato al suolo;
• beni mobili, che possono invece essere spostati o trasportati facilmente da un luogo
all’altro senza alterarne l’identità (un orologio, un vestito, un gioiello, un’auto, una barca
etc.).

Il trasferimento di proprietà di un bene immobile avviene in modo convenzionale, attraverso un


contratto scritto, il contratto di compravendita, che deve essere stipulato nelle forme previste dalla legge:
il «passaggio di proprietà» viene trascritto in un pubblico registro. I beni mobili, al contrario, possono
passare fisicamente da una mano all’altra: un orologio o un quadro, ad esempio, quando passano di
proprietà, si spostano fisicamente da un luogo all’altro, “seguendo” il proprietario.

9. La Costituzione della Repubblica italiana


La Costituzione, come già detto, è la legge fondamentale di un Paese, di cui delinea le
caratteristiche essenziali, descrive i valori a cui si ispira, stabilisce l’organizzazione politica su
cui si regge. La Costituzione contiene, dunque, le regole cui deve uniformarsi sia la condotta
del cittadino sia quella dello Stato e dei suoi organi. È una sorta di «carta di identità» dello
Stato, in cui si può leggere il progetto che questo intende perseguire per il benessere del
popolo che vive all’interno dei suoi confini.
La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, si compone di 139 articoli,
cui si sommano 18 disposizioni transitorie e finali.
Ogni articolo è formato da una o più parti, ciascuna delle quali è detta comma. Ogni comma
è separato dal precedente da un punto fermo e comincia sempre a inizio riga.
I primi dodici articoli del testo costituzionale sono dedicati ai Principi fondamentali,
mentre i successivi sono divisi in due parti: la Parte Prima riguarda i diritti e i doveri del
cittadino nell’ambito dei rapporti civili (artt. 13-28), dei rapporti etico-sociali (artt. 29-34), dei
rapporti economici (artt. 35-47) e dei rapporti politici (artt. 48-54). La Parte Seconda (artt. 55-
139) è dedicata all’ordinamento della Repubblica, cioè a Parlamento, Presidente della
Repubblica, Governo, Magistratura, Regioni, Province, Comuni, Corte costituzionale.

10. I Principi fondamentali


La Costituzione si apre con un gruppo di 12 articoli in cui sono enunciati i Principi
fondamentali su cui si fonda la Repubblica italiana. La loro collocazione all’inizio del testo non
è casuale, poiché essi rappresentano il fondamento su cui poggiano tutte le altre norme,

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l’insieme dei valori e delle idee che devono guidare i poteri dello Stato nell’esercizio delle loro
funzioni.
Tali principi non sono modificabili né soggetti a revisione costituzionale in quanto
costituiscono il nucleo fondante di una Repubblica democratica. Analizziamo qui di seguito i
primi 5 articoli della Costituzione.

10.1 Il principio democratico

Art. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene
1 al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Cost.

10.2 L’inviolabilità dei diritti dell’uomo

Art. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come


2 singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
Cost. l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Con questo articolo la persona si colloca al vertice dei valori riconosciuti dall’ordinamento
(principio personalista). Viene sancita l’originarietà dei diritti inviolabili dell’uomo (cittadini
o stranieri che siano), attraverso i quali ciascuno può affermare la propria libertà e autonomia.
Tali diritti sono connaturati alla persona, preesistono allo Stato, che non li concede ma li
riconosce e si impegna ad assicurarne un’efficace protezione.
È a partire dall’articolo 2 che sono tutelati anche quei diritti e quei valori che, pur non
contenuti in specifiche norme costituzionali, emergono in seguito all’evoluzione della società e
dei costumi, come il diritto alla privacy, alla tutela dell’ambiente, all’identità sessuale.
La Costituzione riconosce tali diritti all’uomo inteso:
⎯ sia come singolo, cui è riconosciuto ad esempio il diritto al nome, all’onore, alla libera
manifestazione del proprio pensiero;
⎯ sia come membro di formazioni sociali, ossia i «corpi intermedi» quali famiglia, partiti
politici, sindacati, società etc. che costituiscono il trait d’union tra le istituzioni e il
cittadino, rendendo possibile ed effettivo lo sviluppo della persona umana e la sua
partecipazione alla vita sociale, politica ed economica del Paese.

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10.3 Il principio di uguaglianza

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
Art. condizioni personali e sociali.
3 È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
Cost. che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il principio di uguaglianza enunciato nell’articolo 3 è uno dei più importanti dell’intero


ordinamento giuridico. Esso si articola in due forme, riconosciute dai due commi dell’articolo:
l’uguaglianza formale (comma 1 art. 3 Cost.) e l’uguaglianza sostanziale (comma 2 art. 3 Cost.).
Secondo il principio di uguaglianza formale tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. Ciò
significa che ciascuno ha diritto di essere trattato e riconosciuto come uomo o come donna, dai
suoi pari, in ogni rapporto sociale in cui si viene a trovare, a prescindere da fattori economici,
culturali, politici. Lo Stato non può, in nessuna circostanza, emanare provvedimenti che creino
distinzioni tra i cittadini per motivi di razza, sesso, religione ecc. (l’elenco delle “discriminazioni
vietate” dall’art. 3 Cost. è solo esemplificativo, non tassativo). La Costituzione ribadisce questo
principio molte volte. L’articolo 8 stabilisce l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose;
l’articolo 29 sancisce l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; l’articolo 37, a parità di
lavoro, riconosce l’eguaglianza di diritti e retribuzioni fra lavoratori e lavoratrici.
Il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche, le condizioni economiche di un
individuo non possono, quindi, essere motivo di discriminazione sociale o giuridica di una
persona.
In secondo luogo, nessun privilegio, distinzione di nascita o esercizio di funzioni può
autorizzare un individuo o un gruppo a porsi al di sopra delle leggi. Tutti i membri della
collettività quindi, compresi coloro che le creano o vi danno esecuzione, sono obbligati ad
osservarle.
Il principio di eguaglianza formale, però, non deve portare a trattare allo stesso modo
situazioni obiettivamente differenti, per non correre il rischio di creare discriminazioni nei
confronti di quei soggetti che hanno bisogno di una maggiore tutela rispetto ad altri.
All’uguaglianza formale deve perciò accompagnarsi un’uguaglianza sostanziale.
Pensiamo a persone in condizioni economiche disagiate, con un minor grado di istruzione,
con handicap fisici o psichici. Se lo Stato non interviene con apposite norme per correggere tali
disuguaglianze, garantendo, per esempio, anche a questi soggetti la possibilità di accedere al
lavoro, alcuni cittadini sarebbero posti in una situazione di inferiorità e impossibilitati a
sviluppare pienamente la propria personalità.

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10.4 Il principio lavorista

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le


Art. condizioni che rendano effettivo questo diritto.
4 Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria
Cost. scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale
della società.

Il lavoro costituisce la fonte di sostentamento dell’individuo e dunque è il mezzo


indispensabile per affermare la propria indipendenza e autonomia (principio lavorista sancito
anche all’art. 1).
L’articolo 4 riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e sancisce l’impegno dello Stato
nel creare le condizioni per renderlo effettivo. Lo Stato è perciò chiamato a predisporre
programmi e leggi che incrementino le possibilità di accesso al lavoro e assicurino la stabilità
dell’occupazione. Per esempio negli ultimi anni il Governo ha incrementato le agevolazioni
fiscali per le imprese che assumono a tempo indeterminato giovani lavoratori.
Al diritto al lavoro, però, corrisponde anche il «dovere» di lavorare o, come dice l’articolo
della Costituzione, di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso della
società. Ciò non significa che la Costituzione costringe il cittadino a lavorare, ma gli chiede, nei
limiti del possibile, di mettere le proprie capacità al servizio della collettività.
Tuttavia, per coloro che non possono lavorare o che ne perdono la capacità, per malattie,
infortuni o per l’avanzare dell’età, la Costituzione prevede diverse forme di assistenza e di
previdenza sociale.

10.5 Unità e indivisibilità della Repubblica

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua


Art. nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo;
5 adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e
Cost. del decentramento.

Dall’esame dell’art. 5 si ricavano quattro principi fondamentali:


1. l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, intese come limiti invalicabili dell’esistenza
dello Stato persona;
2. il parallelo riconoscimento e la promozione delle autonomie locali;
3. l’attuazione da parte dello Stato del più ampio decentramento amministrativo
soprattutto nell’erogazione dei propri servizi;
4. l’adeguamento della legislazione dello Stato alle esigenze dell’autonomia e del
decentramento, attraverso il riconoscimento e la creazione di nuovi enti territoriali

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espressioni dello Stato comunità (in particolare le Regioni che, al contrario di Province
e Comuni, non erano presenti nell’ordinamento).

I compiti degli enti territoriali sono via via aumentati nel corso degli anni. In particolare, tra
il 1997 e il 2001, la legge Bassanini e la riforma del Titolo V della Costituzione hanno attuato
un ampio trasferimento di funzioni e definito nel dettaglio la distribuzione delle competenze
amministrative e legislative tra Stato ed enti territoriali.

11. La forma di governo e il principio di separazione dei poteri


La Parte Seconda della Costituzione definisce la forma di governo del nostro Paese, cioè il
modo in cui sono organizzati gli organi dello Stato al fine di tutelare i diritti dei cittadini e
proteggere la democrazia.
Per comprendere a pieno il concetto di forma di governo è necessario richiamare un
principio fondamentale: la separazione dei poteri, elaborato dall’illuminista francese
Montesquieu, in un’opera del 1748 (Lo spirito delle leggi).
In virtù di tale principio ciascun organo di governo deve esercitare una sola funzione
(legislativa, esecutiva o giudiziaria), senza interferire nell’attività degli altri.

La ripartizione avviene in genere nel modo seguente:

• il Parlamento fa le leggi (funzione legislativa);


• il Governo dà concreta attuazione alle leggi (funzione esecutiva);
• la Magistratura interpreta e applica la norma ai casi concreti e stabilisce le sanzioni per
coloro che trasgrediscono alle norme (funzione giudiziaria).

Lo scopo di tale separazione è quello di evitare la concentrazione dei poteri nelle mani di un
singolo organo, una condizione che può rappresentare un pericolo per il regolare svolgimento
della vita democratica e per la libertà dei cittadini.
L’importanza del principio della separazione dei poteri è testimoniata dal fatto che, nel
corso della storia, tutti i regimi che hanno negato le libertà e i diritti fondamentali dei cittadini
(il fascismo, il nazismo, lo stalinismo) erano fondati sulla concentrazione dei poteri in capo a un
unico organo o, più spesso, nelle mani di una sola persona.
Quasi tutti gli Stati contemporanei hanno accolto il principio della separazione dei poteri,
anche se in concreto le soluzioni adottate sono diverse.

11.1 La forma di governo parlamentare


La forma di governo parlamentare è la forma di governo adottata dalla maggioranza degli
Stati contemporanei compresa l’Italia. Prevede la centralità del Parlamento rispetto a tutti gli
altri organi. Nelle forme di governo parlamentari il Parlamento è in genere composto da
rappresentanti eletti direttamente dal popolo e, perciò, è considerato l’organo che esprime
la volontà popolare.

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Per questa ragione il Parlamento:

• detiene il potere legislativo;


• esercita funzioni di controllo sull’operato degli altri organi, in particolare sul Governo.

Il Governo, per esercitare le sue funzioni, deve godere della fiducia del Parlamento. Con
questa espressione si fa riferimento all’istituto attraverso il quale la maggioranza dei membri
del Parlamento prende atto del programma politico presentato dal Governo e garantisce a
quest’ultimo il proprio sostegno per l’approvazione degli atti legislativi necessari per realizzare
tale programma. Il Governo, quindi, deve rendere conto al Parlamento del suo operato e
quest’ultimo può eventualmente esprimere la sua disapprovazione mediante il voto di sfiducia,
costringendo il Governo alle dimissioni.

Elementi caratteristici della forma di governo parlamentare sono dunque:

• la condivisione del potere tra l’esecutivo e il legislativo;


• la presenza di un solo organo rappresentativo della volontà popolare, il Parlamento;
• l’esistenza di una responsabilità (politica) del Governo nei confronti del Parlamento, che si
esprime attraverso la fiducia.

Nella forma di governo parlamentare le funzioni attribuite al Capo dello Stato (come il
nostro Presidente della Repubblica) sono generalmente di pura rappresentanza.
Nella maggioranza dei casi, questi non svolge alcun compito riconducibile a uno dei poteri
dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario), ma costituisce un organo di garanzia volto a
garantire l’equilibrio tra i poteri e l’osservanza della Costituzione.

12. L’ordinamento costituzionale della Repubblica italiana


Come già anticipato, la Parte Seconda della Costituzione tratta dell’ordinamento della
Repubblica, ossia di come funziona la nostra “macchina istituzionale” attraverso gli organi e i
poteri costituzionali.
Delineiamo qui i caratteri fondamentali della struttura organizzativa della nostra
Repubblica (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Magistratura e Corte
costituzionale), rinviando per una trattazione più ampia al Manuale.

12.1 Il Parlamento

L’Italia è una Repubblica parlamentare, dunque il Parlamento è al centro della vita politica
del Paese. Unico organo statale eletto direttamente dal popolo e, perciò, espressione piena
della sovranità popolare, il Parlamento esercita innanzitutto il potere legislativo: il suo
compito principale consiste nel creare le leggi che compongono l’ordinamento giuridico dello
Stato.
L’art. 55 Cost. stabilisce che “Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica” e l’art. 70 Cost. che «La funzione legislativa è esercitata
collettivamente dalle due Camere»). Questi due articoli delineano così la struttura bicamerale
del Parlamento, che attualmente è composto da due Camere (o Assemblee) che hanno uguali
poteri e competenze: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica.
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Questa perfetta parità ha pregi e difetti: da un lato consente un esame più accurato e
meditato delle leggi, dall’altro determina un pesante allungamento dei tempi, che spesso si
traduce in una vera e propria paralisi dell’attività legislativa. È questo il motivo per cui da anni
si discute sull’opportunità di attribuire al Senato funzioni diverse da quella legislativa,
facendone soprattutto una Camera rappresentativa delle comunità territoriali regionali, in
grado di dare voce alle esigenze delle varie realtà locali.
Le Camere restano normalmente in carica cinque anni, periodo che viene definito
legislatura.
La principale funzione del Parlamento è ovviamente quella legislativa. La formazione delle
leggi da parte delle Camere richiede lo svolgimento di un particolare procedimento, detto iter
legislativo.

12.2 Il Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica è l’unico organo monocratico (ossia non collegiale, ma


composto da una sola persona) previsto dalla nostra Costituzione.
Nelle repubbliche parlamentari come l’Italia il Capo dello Stato non esercita funzioni attive
di governo, ma è una figura imparziale cui è affidato il compito di vigilare sul rispetto degli
equilibri previsti dalla Costituzione fra i vari organi dello Stato, e di verificare che siano osservati
i principi e i valori fondamentali della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica non detiene nessuno dei poteri fondamentali dello Stato
(legislativo, esecutivo e giudiziario) ma, come garante della Costituzione, esercita funzioni
che lo mettono di volta in volta in relazione col potere legislativo (ad esempio può sciogliere le
Camere), con l’esecutivo (nomina, per esempio, il Presidente del Consiglio dei Ministri) e con
quello giudiziario (ad esempio nomina 5 giudici della Corte costituzionale).

12.3 Il Governo

Il Governo è l’organo titolare del potere esecutivo (e perciò è spesso chiamato anche
«Esecutivo»). La sua funzione principale è quella di dare concreta attuazione alle leggi emanate
dal Parlamento, anche se in alcuni casi, previsti dalla Costituzione, può esercitare il potere
legislativo. Esso ha, inoltre, compiti di indirizzo politico e di controllo su tutta la struttura
amministrativa dello Stato.
Nel nostro sistema Governo e Parlamento sono strettamente legati. Il Governo è infatti
espressione della maggioranza parlamentare e, per esercitare le sue funzioni, deve godere
del sostegno — o, come si dice, della fiducia — del Parlamento. Se questa fiducia viene a
mancare, il Governo, come sappiamo, è costretto a dimettersi.
Il Governo è un organo complesso, cioè costituito da una pluralità di organi con
competenze autonome. Alcuni di essi sono espressamente previsti dalla Costituzione e sono,
quindi, necessari: il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri che, insieme, formano il
Consiglio dei ministri. Altri sono nati con la prassi e sono stati successivamente disciplinati da
leggi ordinarie: il vicepresidente del Consiglio, i ministri senza portafoglio, i sottosegretari, i
Comitati interministeriali, il Consiglio di gabinetto. Questi sono definiti organi non necessari.
Figura centrale del Governo è il Presidente del Consiglio (chiamato anche Primo ministro
o Capo dell’Esecutivo), che ha il compito di conservare l’unità di «indirizzo politico e

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amministrativo»: suo è il programma politico mediante il quale il Governo stabilisce gli


obiettivi da perseguire e i mezzi e le risorse finanziarie per realizzarli.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri in Italia (come in tutte le Repubbliche parlamentari)
non è eletto dal popolo ma viene nominato dal Presidente della Repubblica che sceglie la
persona in grado di formare un governo che possa ottenere la fiducia dal Parlamento. In genere
viene scelto il candidato premier sostenuto dalla maggioranza parlamentare che ha vinto le
elezioni.
Il Presidente del Consiglio sceglie i ministri, ne propone la nomina al Capo dello Stato, dirige
la loro attività. Tuttavia, tra Presidente del Consiglio e ministri non esiste un rapporto di
gerarchia: il primo, infatti, non può emanare gli atti di competenza di un singolo ministro, né
può annullarli, né può sostituirsi a lui o impartirgli ordini o direttive relativi alla sua attività.
Come detto sopra, in alcuni casi, previsti dalla Costituzione, il Governo può esercitare
direttamente il potere legislativo. I principali atti normativi del Governo sono i decreti legge e i
decreti legislativi. Questi atti hanno «forza di legge»: ciò significa che il loro valore giuridico è
pari a quello delle leggi ordinarie.

12.4 La Magistratura

Una volta emanate le norme giuridiche e create le condizioni per la loro concreta
applicazione è necessario assicurarsi che esse siano rispettate da tutti i membri della
collettività. Il compito di accertare il rispetto delle norme ed, eventualmente, di punire i
trasgressori, spetta alla Magistratura.
La Magistratura è composta dai magistrati (o giudici) che operano in piena autonomia e
indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato (art. 104 Cost.) e che sono soggetti soltanto
alla legge (art. 101 Cost.).
I magistrati si distinguono tra loro solo per le differenti funzioni, in relazione alle materie
di cui sono competenti (processo civile, penale, amministrativo), al grado del processo (primo
grado o appello) e al territorio dove questo si svolge.
Il nostro ordinamento, come detto, è ispirato al principio del doppio grado di giudizio, in
base al quale il cittadino condannato in un processo, se non condivide le ragioni che hanno
portato il giudice a emettere la sentenza, può rivolgersi a un secondo giudice, detto giudice di
secondo grado o di appello, e chiedere che il caso sia riesaminato. Il giudice di appello può
confermare o cambiare la sentenza di primo grado. La possibilità di ricorrere in appello è
offerta proprio perché le sentenze dei giudici sono frutto di un’attività interpretativa: il
secondo grado di giudizio serve a garantire al cittadino che l’interpretazione data al suo caso
sia quella corretta.
I giudici di primo e secondo grado giudicano la causa nel merito: valutano, cioè, i fatti
oggetto della causa in base alle prove addotte dalle parti.
Esiste, in realtà, un ulteriore grado di giurisdizione, costituito dal ricorso alla Corte di
Cassazione, suprema corte competente solo per questioni di diritto, cioè impegnata a
controllare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. La Corte, cioè, non
entra nel merito del processo, accertando se l’infrazione contestata ci sia stata o meno, ma
valuta solo se lo svolgimento del processo e il comportamento dei giudici è stato conforme alle
leggi. Si dice, perciò, che la Corte è giudice di legittimità.
Una volta esauriti i tre gradi del processo (primo grado, secondo grado e terzo grado in
Cassazione) la sentenza passa in giudicato, cioè diventa definitiva e non può più essere
impugnata.
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12.5 La Corte costituzionale

Un altro importante organo di controllo e di garanzia dal punto di vista giurisdizionale è la


Corte costituzionale. Ma mentre la Magistratura ha il compito di accertare se si sono verificate
violazioni delle leggi in vigore, la Corte costituzionale ha il compito di controllare la corretta
applicazione dei principi costituzionali e di verificare che i comportamenti degli organi dello
Stato e le leggi ordinarie siano a essi conformi.
Il principio della gerarchia delle fonti del diritto pone, infatti, al vertice dell’ordinamento,
come sappiamo, la Costituzione e le leggi costituzionali; da ciò deriva che tutti gli atti normativi
di grado inferiore — le leggi dello Stato, gli atti aventi forza di legge e le leggi regionali —
devono essere in armonia con i principi costituzionali. Se dichiarati incostituzionali, cessano di
avere efficacia.

13. L’ordinamento della Repubblica: una visione di insieme


Dopo aver analizzato tutti gli organi dell’ordinamento costituzionale, possiamo ora
presentare uno schema sinottico di tutti i pesi e i contrappesi che la nostra Costituzione
dispone per garantire il rispetto della democrazia nel nostro Paese nonché l’equilibrio tra i vari
organi, in aderenza al principio di separazione dei poteri.

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