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ESPANSIONE SEMPLIFICATA
Diritto Costituzionale
Le norme giuridiche che organizzano la vita collettiva di uno Stato hanno origini ben
precise. Esse nascono dalle fonti del diritto, ossia gli atti e i fatti idonei a produrre norme
giuridiche.
Le fonti del diritto non hanno tutte lo stesso valore giuridico ma alcune sono più importanti
di altre; esse sono, infatti, ordinate secondo un principio di gerarchia in base al quale esistono
fonti di grado superiore (primarie) e fonti di grado inferiore (secondarie). Il principio di
gerarchia stabilisce che una fonte di grado inferiore non può essere in contrasto con una di
grado superiore.
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2.1 La Costituzione
Le fonti del diritto italiano sono disposte secondo una sorta di piramide.
Al vertice c’è la Costituzione della Repubblica. In generale, la Costituzione è la legge
fondamentale di uno Stato, quella che ne indica le caratteristiche principali, i valori e
l’organizzazione politica. Tutte le altre leggi, perciò, devono uniformarsi ai principi che la
Costituzione stabilisce e non possono essere in contrasto con essa.
La Costituzione, tuttavia, non può essere considerata una vera e propria legge. Essa è
qualcosa di più: è il testo che sancisce i diritti e i doveri dei cittadini, definisce la struttura dello
Stato, i poteri degli organi di cui lo Stato stesso si compone. In questo senso può essere
considerata una fonte super primaria.
La Costituzione italiana sancisce, ad esempio, la libertà di stampa e il diritto dei cittadini a
essere informati. Se una nuova legge vietasse tale libertà, imponendo la chiusura dei giornali,
tale norma non avrebbe valore perché in contrasto con un diritto garantito dalla Costituzione.
Per questo motivo le norme della Costituzione possono essere modificate, integrate o
eliminate soltanto dalle leggi costituzionali, approvate con un procedimento molto
complesso di cui tratteremo nel manuale.
Al terzo posto nella scala gerarchica delle fonti del diritto si collocano i regolamenti, che
sono atti adottati dal Governo o da altri enti (es. Comuni, Ministeri ecc.), con cui vengono
chiarite e applicate le leggi emanate dal Parlamento. I regolamenti costituiscono fonti del
diritto secondarie.
All’ultimo gradino della piramide, vi è la consuetudine, ossia un comportamento
costantemente ripetuto dai consociati nella convinzione di osservare una norma giuridica o
comunque nella previsione che anche gli altri assumano un comportamento analogo
(diversamente, si rientrerebbe nelle regole di costume, come nel caso della mancia, in quanto
pur essendo molto diffusa, non è considerata obbligatoria). Le consuetudini come fonti del
diritto non sono numerose e generalmente vengono relegate nell’ambito del commercio in
zone agricole (commercio di bestiame, di legname, vino ecc.).
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3. La pubblicazione in Gazzetta
Una volta emanate (dal Parlamento, dal Governo ecc.), le norme giuridiche devono essere
rese note alla collettività. I documenti che le contengono e ne permettono la conoscenza si
chiamano fonti di cognizione.
Le leggi, i decreti legge, i decreti legislativi, i regolamenti e in generale tutti gli atti statali
qualificati come fonti di produzione sono divulgati tramite la Gazzetta ufficiale della
Repubblica italiana (abbreviato G.U.), un giornale stampato e diffuso dall’Istituto poligrafico
dello Stato (puoi vedere un numero della G.U. nell’immagine in basso). La pubblicazione
cartacea è ora affiancata dalla pubblicazione online sul sito www.gazzettaufficiale.it. Sulla G.U.
vengono pubblicati anche i bandi dei concorsi pubblici.
I regolamenti dell’Unione europea vengono pubblicati sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione
europea, le leggi regionali sul Bollettino ufficiale delle Regioni.
La pubblicazione sulla G.U. ha lo scopo di diffondere la conoscenza delle leggi e dei decreti
e di stabilire il giorno a partire dal quale entrano in vigore. L’entrata in vigore (cioè il momento
in cui la legge diventa efficace e obbligatoria per tutti) è prevista normalmente dopo quindici
giorni dalla pubblicazione in G.U. per permettere a tutti di venirne a conoscenza.
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Diritto pubblico
Diritto Studia i principi e le norme fondamentali della vita dello Stato, dei cittadini e di tutti
Costituzionale gli altri soggetti della comunità
Diritto Regola i vari aspetti dell’attività della Pubblica amministrazione, quindi dei
Amministrativo Ministeri, dei Comuni, delle Province, delle Regioni e degli altri enti che provvedono
agli interessi della collettività
Diritto penale Costituisce il complesso delle norme giuridiche con cui lo Stato proibisce
determinati comportamenti predisponendo le relative sanzioni per chi li adotta
Diritto Regola i rapporti dello Stato con le varie confessioni religiose. Da non confondere
Ecclesiastico con il diritto canonico che è il diritto interno della Chiesa cattolica
Diritto tributario È l’insieme delle norme che regolano i rapporti fra i cittadini e l’amministrazione
finanziaria. Si occupa della riscossione delle tasse e delle imposte.
Diritto privato
Diritto civile È l’insieme delle norme che disciplinano i rapporti tra privati, i rapporti di famiglia,
le successioni, le obbligazioni, i contratti e i diritti reali. La gran parte delle norme di
diritto civile è contenuta nel Codice civile.
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Diritto È l’insieme delle norme che regolano i rapporti di carattere commerciale (titoli di
commerciale credito, contratti commerciali, bancari ecc.) nonché le società e le imprese in
generale. Le norme di diritto commerciale sono contenute nel Libro V del Codice
civile e in molte leggi cosiddette speciali.
Diritto del lavoro È l’insieme delle norme che regolano i rapporti di lavoro tra privati (ad esempio tra
un’azienda e i suoi dipendenti), la tutela dell’attività lavorativa, l’attività sindacale.
Le norme giuslavoristiche sono contenute in alcuni articoli del Codice civile, nello
Statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970), in molte leggi speciali e nei contratti
collettivi di lavoro. Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (cd.
impiego pubblico) è soggetto a una disciplina speciale di taglio pubblicistico
• il codice civile (c.c.): comprende le norme riguardanti i rapporti civili e commerciali (la
famiglia, la proprietà, il lavoro, le imprese ecc.);
• il codice di procedura civile (c.p.c.): contiene le regole che disciplinano lo svolgimento del
processo civile;
• il codice penale (c.p.): identifica i reati e le sanzioni per chi li commette;
• il codice di procedura penale (c.p.p.): raccoglie le norme riguardanti lo svolgimento del
processo penale.
I codici, come le leggi, seguono l’evoluzione della società. Negli anni a cavallo tra XX e XXI
secolo sono perciò nati codici nuovi, dedicati alle questioni che nel corso degli anni hanno
richiesto sempre più attenzione. Per limitarci ad alcuni esempi possiamo indicare:
Simili ai codici sono i Testi unici (T.U.) che normalmente riorganizzano in un unico provvedimento
normativo norme sparse in più leggi, decreti legge o decreti legislativi: ad esempio il T.U. sul pubblico
impiego (D.Lgs. n. 165/2001) o il Testo unico degli enti locali (D.Lgs. n. 267/2000).
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6. I rapporti giuridici
Prima di continuare con l’analisi del diritto costituzionale, è ora necessario dare alcune
definizioni di istituti giuridici fondamentali, che saranno ricorrenti anche quando tratteremo
di altri rami del diritto.
Ad esempio, che cos’è un rapporto giuridico? Cosa si intende per persona nell’ambito del
diritto? E per beni?
Vediamo dunque di cosa si tratta e soprattutto di acquisire la terminologia giuridicamente
più corretta.
Per rapporto giuridico si intende qualsiasi relazione tra due o più soggetti presa in
considerazione dal diritto. La relazione tra un datore di lavoro e un lavoratore, tra genitori e
figli, tra venditore e compratore di un bene sono esempi di rapporti giuridici. Da questa
definizione si intuisce che ognuno di noi, nella vita quotidiana, dà vita a diversi rapporti
giuridici. Non qualunque relazione tra due persone, però, dà vita a un rapporto giuridico: è
necessario, infatti, che vi sia un interesse, non necessariamente economico, ma considerato
meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.
Tali soggetti costituiscono le parti del rapporto giuridico, mentre si definiscono terzi coloro
che ne risultano estranei.
7. I soggetti di diritto
Abbiamo parlato sopra di soggetti di diritto. È questo un altro concetto fondamentale per
il diritto di cui è molto importante comprendere gli ambiti.
Soggetto di diritto (o soggetto giuridico) è colui che può essere titolare di diritti, obblighi
ecc. e che può compiere atti giuridici.
È l’ordinamento giuridico che stabilisce chi deve essere considerato soggetto di diritto:
negli ordinamenti moderni è soggetto di diritto ogni persona fisica, ossia ogni persona viva. Ma
in passato esistevano alcune categorie di persone (si pensi agli schiavi) che non erano
considerati soggetti di diritto.
Le regole contenute nelle norme giuridiche sono destinate ai soggetti giuridici (o soggetti
del diritto), che si distinguono in due grandi categorie: persone fisiche (individui) e persone
giuridiche (organizzazioni ed enti collettivi).
L’ordinamento considera persona fisica qualsiasi essere umano (uomo o donna, adulto o
minore, cittadino o straniero) purché nato vivo e vivente. Non sono ritenuti soggetti di diritto gli
animali e le cose.
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Alcune situazioni regolate dal diritto valgono per tutti gli individui sin dal momento della
nascita, altre riguardano solo coloro che hanno compiuto la maggiore età (diciotto anni) e che
sono pienamente in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Nel primo caso si
parla di capacità giuridica, nel secondo di capacità di agire. La capacità giuridica si acquista al
momento della nascita, la capacità di agire a 18 anni.
La capacità giuridica è l’idoneità a essere titolari di diritti e di doveri. Questa capacità si
acquista al momento della nascita.
In quanto titolare della capacità giuridica, un ragazzo che abbia meno di diciotto anni può
ricevere dei beni in eredità, può diventare proprietario di un appartamento che i suoi familiari
hanno comprato per lui, ma non può amministrare direttamente i propri interessi. Non può, ad
esempio, vendere l’appartamento di cui è proprietario, perché l’ordinamento gli riconosce tale
facoltà solo al compimento dei diciotto anni, età in cui si acquista la «capacità di agire». La
legge presume che con la maggiore età una persona raggiunga la maturità psico-fisica
necessaria per curare in modo consapevole i propri interessi.
La capacità di agire, dunque, è l’idoneità di un individuo a compiere da solo atti
giuridicamente rilevanti, esercitando diritti e assumendo obblighi.
Se un soggetto non ha o perde la capacità di agire, per determinate condizioni fisiche,
psicologiche o legali, si trova in una condizione di incapacità. La legge predispone una serie di
strumenti a protezione degli incapaci (minori, interdetti, inabilitati) che, non essendo in
grado di tutelare i propri interessi, potrebbero essere facilmente vittime di violazioni dei propri
diritti.
Una distinzione preliminare va però fatta, nell’ambito del diritto costituzionale e in generale
del diritto pubblico, fra:
— persone giuridiche pubbliche, gli enti che perseguono interessi generali, propri dello Stato
(i cd. enti pubblici), e godono di una posizione di supremazia nei confronti degli altri
soggetti con cui vengono in rapporto (cittadini, persone giuridiche private ecc.). Lo Stato è
la principale persona giuridica pubblica che opera tramite propri organi (il Parlamento, il
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Governo, la Magistratura ecc.) per realizzare il benessere della comunità. Anche le Regioni,
le Province, i Comuni, definiti enti pubblici territoriali, le Camere di commercio, la Banca
d’Italia ecc., definiti enti pubblici non territoriali, hanno personalità giuridica di diritto
pubblico. Per gli enti pubblici il riconoscimento viene disposto con la stessa legge che crea
l’ente;
— le persone giuridiche private, che perseguono fini non sono propri dello Stato (pensiamo
gli azionisti di una società per azioni quotata in borsa). Esse quindi sono, dal punto di vista
giuridico, in una posizione di parità rispetto ai soggetti privati con in quali entrano in
rapporto.
Facciamo un esempio per capire meglio la differenza fra queste due tipologie: se una
grande società immobiliare vuole costruire un edificio sul suolo di proprietà di un contadino,
dovrà contrattare con lui un prezzo che sia adeguato a soddisfare le esigenze economiche del
proprietario, e di fronte al suo rifiuto non potrà far altro che recedere dall’intenzione di
acquistare il fondo. Al contrario, se fosse lo Stato ad aver bisogno del fondo del contadino per
costruire un’autostrada (quindi un’opera di pubblico interesse), potrà procedere
all’espropriazione del fondo, a cui il contadino non potrà opporre alcun rifiuto. In questo caso
lo Stato, la persona giuridica pubblica per eccellenza, opera in una posizione di evidente
supremazia rispetto a qualsiasi altro soggetto privato.
Le persone giuridiche hanno una vita propria, separata dalla vita delle persone fisiche che
ne fanno parte. Sono titolari di propri diritti e doveri e hanno una propria volontà che possono
manifestare, per esempio, attraverso la stipulazione di un contratto di acquisto di un immobile,
oppure di un contratto di vendita di beni di cui sono proprietarie; possono ricevere beni in
eredità, esattamente come le persone fisiche.
Essendo però entità astratte, le persone giuridiche manifestano la propria volontà
attraverso le persone che la rappresentano: queste sono definite organi delle persone
giuridiche.
8. I beni giuridici
Sono beni in senso giuridico tutte le cose che possono essere oggetto di diritti. Oggetto del
diritto possono essere le cose in senso fisico (una casa, un’auto, un giocattolo), ma anche le
attività (il lavoro), le creazioni intellettuali (un’invenzione), aspetti della personalità (la
riservatezza, il sesso, l’identità), le energie.
Alcuni beni, invece, come l’aria o il sole, non sono assoggettabili al potere dell’uomo: questi
beni perciò non possono formare oggetto di diritti e sono definiti beni liberi.
I beni giuridici si distinguono in varie categorie.
• beni privati, che appartengono a soggetti privati e sono destinati a soddisfare interessi
particolari;
• beni pubblici, che appartengono allo Stato o agli enti pubblici e sono destinati a soddisfare
interessi collettivi.
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• beni immobili, che non possono essere spostati da un luogo all’altro senza alterarne la
struttura e la destinazione. L’articolo 812 del codice civile considera beni immobili il suolo,
le sorgenti, i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni e tutto ciò che è
naturalmente o artificialmente incorporato al suolo;
• beni mobili, che possono invece essere spostati o trasportati facilmente da un luogo
all’altro senza alterarne l’identità (un orologio, un vestito, un gioiello, un’auto, una barca
etc.).
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l’insieme dei valori e delle idee che devono guidare i poteri dello Stato nell’esercizio delle loro
funzioni.
Tali principi non sono modificabili né soggetti a revisione costituzionale in quanto
costituiscono il nucleo fondante di una Repubblica democratica. Analizziamo qui di seguito i
primi 5 articoli della Costituzione.
Art. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene
1 al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Cost.
Con questo articolo la persona si colloca al vertice dei valori riconosciuti dall’ordinamento
(principio personalista). Viene sancita l’originarietà dei diritti inviolabili dell’uomo (cittadini
o stranieri che siano), attraverso i quali ciascuno può affermare la propria libertà e autonomia.
Tali diritti sono connaturati alla persona, preesistono allo Stato, che non li concede ma li
riconosce e si impegna ad assicurarne un’efficace protezione.
È a partire dall’articolo 2 che sono tutelati anche quei diritti e quei valori che, pur non
contenuti in specifiche norme costituzionali, emergono in seguito all’evoluzione della società e
dei costumi, come il diritto alla privacy, alla tutela dell’ambiente, all’identità sessuale.
La Costituzione riconosce tali diritti all’uomo inteso:
⎯ sia come singolo, cui è riconosciuto ad esempio il diritto al nome, all’onore, alla libera
manifestazione del proprio pensiero;
⎯ sia come membro di formazioni sociali, ossia i «corpi intermedi» quali famiglia, partiti
politici, sindacati, società etc. che costituiscono il trait d’union tra le istituzioni e il
cittadino, rendendo possibile ed effettivo lo sviluppo della persona umana e la sua
partecipazione alla vita sociale, politica ed economica del Paese.
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Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
Art. condizioni personali e sociali.
3 È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
Cost. che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
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espressioni dello Stato comunità (in particolare le Regioni che, al contrario di Province
e Comuni, non erano presenti nell’ordinamento).
I compiti degli enti territoriali sono via via aumentati nel corso degli anni. In particolare, tra
il 1997 e il 2001, la legge Bassanini e la riforma del Titolo V della Costituzione hanno attuato
un ampio trasferimento di funzioni e definito nel dettaglio la distribuzione delle competenze
amministrative e legislative tra Stato ed enti territoriali.
Lo scopo di tale separazione è quello di evitare la concentrazione dei poteri nelle mani di un
singolo organo, una condizione che può rappresentare un pericolo per il regolare svolgimento
della vita democratica e per la libertà dei cittadini.
L’importanza del principio della separazione dei poteri è testimoniata dal fatto che, nel
corso della storia, tutti i regimi che hanno negato le libertà e i diritti fondamentali dei cittadini
(il fascismo, il nazismo, lo stalinismo) erano fondati sulla concentrazione dei poteri in capo a un
unico organo o, più spesso, nelle mani di una sola persona.
Quasi tutti gli Stati contemporanei hanno accolto il principio della separazione dei poteri,
anche se in concreto le soluzioni adottate sono diverse.
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Il Governo, per esercitare le sue funzioni, deve godere della fiducia del Parlamento. Con
questa espressione si fa riferimento all’istituto attraverso il quale la maggioranza dei membri
del Parlamento prende atto del programma politico presentato dal Governo e garantisce a
quest’ultimo il proprio sostegno per l’approvazione degli atti legislativi necessari per realizzare
tale programma. Il Governo, quindi, deve rendere conto al Parlamento del suo operato e
quest’ultimo può eventualmente esprimere la sua disapprovazione mediante il voto di sfiducia,
costringendo il Governo alle dimissioni.
Nella forma di governo parlamentare le funzioni attribuite al Capo dello Stato (come il
nostro Presidente della Repubblica) sono generalmente di pura rappresentanza.
Nella maggioranza dei casi, questi non svolge alcun compito riconducibile a uno dei poteri
dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario), ma costituisce un organo di garanzia volto a
garantire l’equilibrio tra i poteri e l’osservanza della Costituzione.
12.1 Il Parlamento
L’Italia è una Repubblica parlamentare, dunque il Parlamento è al centro della vita politica
del Paese. Unico organo statale eletto direttamente dal popolo e, perciò, espressione piena
della sovranità popolare, il Parlamento esercita innanzitutto il potere legislativo: il suo
compito principale consiste nel creare le leggi che compongono l’ordinamento giuridico dello
Stato.
L’art. 55 Cost. stabilisce che “Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica” e l’art. 70 Cost. che «La funzione legislativa è esercitata
collettivamente dalle due Camere»). Questi due articoli delineano così la struttura bicamerale
del Parlamento, che attualmente è composto da due Camere (o Assemblee) che hanno uguali
poteri e competenze: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica.
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Questa perfetta parità ha pregi e difetti: da un lato consente un esame più accurato e
meditato delle leggi, dall’altro determina un pesante allungamento dei tempi, che spesso si
traduce in una vera e propria paralisi dell’attività legislativa. È questo il motivo per cui da anni
si discute sull’opportunità di attribuire al Senato funzioni diverse da quella legislativa,
facendone soprattutto una Camera rappresentativa delle comunità territoriali regionali, in
grado di dare voce alle esigenze delle varie realtà locali.
Le Camere restano normalmente in carica cinque anni, periodo che viene definito
legislatura.
La principale funzione del Parlamento è ovviamente quella legislativa. La formazione delle
leggi da parte delle Camere richiede lo svolgimento di un particolare procedimento, detto iter
legislativo.
12.3 Il Governo
Il Governo è l’organo titolare del potere esecutivo (e perciò è spesso chiamato anche
«Esecutivo»). La sua funzione principale è quella di dare concreta attuazione alle leggi emanate
dal Parlamento, anche se in alcuni casi, previsti dalla Costituzione, può esercitare il potere
legislativo. Esso ha, inoltre, compiti di indirizzo politico e di controllo su tutta la struttura
amministrativa dello Stato.
Nel nostro sistema Governo e Parlamento sono strettamente legati. Il Governo è infatti
espressione della maggioranza parlamentare e, per esercitare le sue funzioni, deve godere
del sostegno — o, come si dice, della fiducia — del Parlamento. Se questa fiducia viene a
mancare, il Governo, come sappiamo, è costretto a dimettersi.
Il Governo è un organo complesso, cioè costituito da una pluralità di organi con
competenze autonome. Alcuni di essi sono espressamente previsti dalla Costituzione e sono,
quindi, necessari: il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri che, insieme, formano il
Consiglio dei ministri. Altri sono nati con la prassi e sono stati successivamente disciplinati da
leggi ordinarie: il vicepresidente del Consiglio, i ministri senza portafoglio, i sottosegretari, i
Comitati interministeriali, il Consiglio di gabinetto. Questi sono definiti organi non necessari.
Figura centrale del Governo è il Presidente del Consiglio (chiamato anche Primo ministro
o Capo dell’Esecutivo), che ha il compito di conservare l’unità di «indirizzo politico e
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12.4 La Magistratura
Una volta emanate le norme giuridiche e create le condizioni per la loro concreta
applicazione è necessario assicurarsi che esse siano rispettate da tutti i membri della
collettività. Il compito di accertare il rispetto delle norme ed, eventualmente, di punire i
trasgressori, spetta alla Magistratura.
La Magistratura è composta dai magistrati (o giudici) che operano in piena autonomia e
indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato (art. 104 Cost.) e che sono soggetti soltanto
alla legge (art. 101 Cost.).
I magistrati si distinguono tra loro solo per le differenti funzioni, in relazione alle materie
di cui sono competenti (processo civile, penale, amministrativo), al grado del processo (primo
grado o appello) e al territorio dove questo si svolge.
Il nostro ordinamento, come detto, è ispirato al principio del doppio grado di giudizio, in
base al quale il cittadino condannato in un processo, se non condivide le ragioni che hanno
portato il giudice a emettere la sentenza, può rivolgersi a un secondo giudice, detto giudice di
secondo grado o di appello, e chiedere che il caso sia riesaminato. Il giudice di appello può
confermare o cambiare la sentenza di primo grado. La possibilità di ricorrere in appello è
offerta proprio perché le sentenze dei giudici sono frutto di un’attività interpretativa: il
secondo grado di giudizio serve a garantire al cittadino che l’interpretazione data al suo caso
sia quella corretta.
I giudici di primo e secondo grado giudicano la causa nel merito: valutano, cioè, i fatti
oggetto della causa in base alle prove addotte dalle parti.
Esiste, in realtà, un ulteriore grado di giurisdizione, costituito dal ricorso alla Corte di
Cassazione, suprema corte competente solo per questioni di diritto, cioè impegnata a
controllare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. La Corte, cioè, non
entra nel merito del processo, accertando se l’infrazione contestata ci sia stata o meno, ma
valuta solo se lo svolgimento del processo e il comportamento dei giudici è stato conforme alle
leggi. Si dice, perciò, che la Corte è giudice di legittimità.
Una volta esauriti i tre gradi del processo (primo grado, secondo grado e terzo grado in
Cassazione) la sentenza passa in giudicato, cioè diventa definitiva e non può più essere
impugnata.
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