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La tecnica della respirazione circolare consente di emettere un suono continuo,

suonando uno strumento a fiato. Viene utilizzata da musicisti di ogni latitudine ed


in contesti che spaziano dalla musica etnica alla contemporanea, al jazz. Gli articoli
che seguono introducono gli elementi fondamentali di questa tecnica - che chiunque
può imparare - e passano in rassegna gli strumenti con i quali ottenere un flusso
sonoro senza pause.

La respirazione circolare, detta anche respirazione a fiato continuo, sembra


immersa in un alone di mistero e generalmente la nostra prima reazione, quando
veniamo a sapere di questa possibilità, è di incredulità seguita da una proposizione
di impossibilità a praticarla.
Naturalmente tutto ciò va al di là di concezioni mistiche od esoteriche, dato che è
semplicemente una tecnica che tutti possono imparare.
Inoltre è anche utile osservare che il tutto si basa su un trucco, se possiamo usare
questo termine, in quanto non c’è niente di circolare, ma che semplicemente nel
momento che inaliamo l’aria dal naso utilizziamo per poco più di un secondo l’aria
residua presente nelle nostre guance. Facciamo cioè diventare la nostra bocca una
piccola riserva d’aria come l’otre della zampogna o della cornamusa ed in questo
modo riusciamo a produrre un suono che non si spezza mai.
Silvestro Baglioni, direttore dell’Istituto di fisiologia umana dell’Università di
Roma nel 1918, è l’unico fisiologo, a mia conoscenza, che si è interessato di questa
tecnica eseguendo un esame della fisiologia respiratoria di Francesco Piga durante
l’esecuzione con le launeddas. Egli riporta inoltre in una dichiarazione che “il Piga
mi confessava che egli all’inizio della sua professione per circa dieci anni non era
riuscito, per quanti sforzi e tentativi facesse, ad imparare a respirare senza
interrompere il suono. Un bel giorno ad un tratto ne divenne padrone”. In una nota
del libro a cura di Leydi e Guizzi, dove si trova ripubblicato il lavoro di Baglioni, si
fa giustamente notare come l’atteggiamento di fronte all’estraneo intervistatore
fosse dovuto al fatto che “quasi tutti i suonatori e costruttori popolari tendono a
miticizzare vari aspetti del loro mestiere. Non è infatti logico che Piga abbia fatto il
professionista senza saper respirare a fiato continuo e che a questo traguardo sia
giunto quasi d’improvviso. In realtà esistono metodi didattici tradizionali per
insegnare e imparare la respirazione continua, tecnica che, oltre tutto, non presenta
quelle difficoltà pressochè insormontabili che spesso i suonatori vogliono far
credere. Oggi diversi musicisti di jazz la usano tranquillamente” (Leydi, R. e
Guizzi, F., 1994). Infatti, musicisti come i trombettisti Howard Leather, Clark
Terry e Maynard Ferguson, i trombonisti Urbie Green, Bill Watrous, Stuart
Dempster, Scott Irvine (suonatore di tuba), i sassofonisti Grover Washington jr.,
Sonny Rollins, Don Menza, James Moody, Evan Parker, Eugenio Colombo,
Roberto Laneri, Gianni Gebbia per citarne solo alcuni, l’hanno utilizzata e la
utilizzano mostrando capacità notevoli di gestione della tecnica. Il fatto interessante
nel praticare questa tecnica suonando, per esempio, il didgeridoo è che la presa di
aria che tende a modificare il timbro del suono prodotto, entra a tutti gli effetti
nella circolarità del suono e del ritmo che si esegue divenendo parte integrante degli
elementi della costruzione musicale che si sta eseguendo. Migliorando la tecnica e
suonando lentamente si può evitare di far sentire la presa del fiato rendendo il
suono continuo senza interruzioni ritmiche. Inoltre la tecnica può essere usata
anche in altro modo e cioè non circolarmente insieme al ritmo, ma prendendo un
lungo respiro iniziale e cominciando a suonare senza respirare come con gli altri
strumenti a fiato, ed usando la tecnica, senza interrompere il suono, solamente
quando serve l’aria che è finita nei polmoni.
La descrizione della tecnica, i tentativi di praticarla, le difficoltà incontrate, ed il
particolare significato che la musica assume “ascoltando l’ “altro lato” da “questo
lato”, sono riferite dall’antropologo canadese David H. Turner, che dal 1970 per
circa trent’anni è vissuto ed ha studiato la musica degli aborigeni nei territori del
nord a Groote Eyland e Bickerton Island.

Brevi cenni storici

Tra gli strumenti a fiato più antichi conosciuti nella storia dobbiamo citare l’aulos
(canna, ossia aerofono di canna). Nella Grecia antica l’aulos era uno strumento
molto popolare che veniva suonato durante i banchetti da musicisti di umili origini
sia uomini che donne. Legato a particolari situazioni di teatro, guerra, riti agresti,
era nello stesso tempo associato alla trance e al vizio. Esiste inoltre un’immagine di
auleta in mezzo a guerrieri armati, con le canne dei clarini rivolte al cielo.
“Per quanto riguarda timbro e sonorità si può, senza timore di errore, asserire che
erano, come in tutto il bacino del Mediterraneo, assordanti e acuti.
Le pitture mostrano gli auleti che soffiano
nei loro strumenti, gonfiando le guance o
addirittura tenendole piatte, segno che si
soffiava, come è quasi d’obbligo per
questo strumento, la respirazione
circolare, che consente di suonare senza
riprendere fiato e dunque senza
interruzione.
Suonati, diciamo, alla mediterranea, il
clarinetto doppio o l’oboe hanno
intonazioni veementi, un suono forte e roco, un’intensità emozionale tanto più
grande in quanto lo strumento può suonare per più ore senza interruzione”
(Rouget G., 1980, p.295). La tensione delle gote negli oboi semplici dei popoli
musulmani viene spesso sostenuta dalla presenza, davanti le labbra, di una rondella
di osso o metallica che favorisce la tenuta della camera d’aria della bocca; questa
pressione si mantiene quanto più vengono pressate le labbra che comprimono l’aria
contenuta nella bocca, dandole più forza nel passare attraverso la doppia ancia e
fornendo un ritorno di pressione tale da permettere la presa del fiato utile per la
respirazione circolare. “Nella parte occidentale di Giava, in luogo del disco, si
applicano al bocchino “grandi ali di cocco” come le chiama Kunst, le quali formano
una mezzaluna che si estende da un orecchio all’altro, come una fetta di melone
attraverso la faccia di chi la sta mangiando, allo scopo di sostenere le gote enfiate”.
(Baines, A. 1961, p.49).
Anche C. Sachs riporta alcune notizie storiche sulla tecnica di esecuzione: “Il
sonatore teneva in bocca tutto il segmento finale del clarinetto con l’ancia vibrante:
la cavità orale fungeva da serbatoio d’aria, la inspirazione avvenendo per il naso, e
la bocca poteva emettere un flusso costante di aria. Come avviene per i soffiatori di
vetro. Non risultavano possibili naturalmente variazioni di timbro e d’intensità,
considerato il tipo di insufflazione: il suono riusciva sempre d’egual forza, insieme
insistente e penetrante. I suonatori delle launeddas sarde (un tipo di clarinetto)
addestrano i loro allievi in questa difficile tecnica col farli soffiare in una cannuccia
la cui estremità inferiore pesca in una scodella d’acqua: il gorgoglio dev’essere
continuo, indipendentemente dalla respirazione dell’allievo; quando si interrompe,
il maestro richiama il futuro sonatore con un colpetto sull’orecchio. L’autore potè
appurare al Cairo che i sonatori d’oboe egiziani venivano istruiti con identico
tirocinio”.
A. Bresciani nel suo Dei costumi della Sardegna comparati cogli antichissimi popoli
orientali, Napoli 1850, citato da V. Fiorentino in La Musica. Lavoro storico
filosofico sociale, dice: “Vi soffiano dentro maestrevolmente, gonfiando le gote, che
servono loro come l’otre della cornamusa; e a cagione che il suono sia sempre
disteso ed unito, s’avvezzano a respirare col naso; ma di tal guisa che durano una
danza intera senza allentare, o sospendere d’un attimo il filo della melodia, che
fluisce continuo come dalla canna dell’organo. E si meraviglioso è in essi l’abito di
cotesto imboccare il flauto a dilungo, che appena è mai che esca a singhiozzi, od
anco a minimi intervalli di mezza croma; né perciò che ispirino colle narici, mozzan
l’uscita dell’aria dalle pive, la quale esce come da un serbatoio perenne.”
Silvestro Baglioni continua nella descrizione della tecnica: “Una proprietà delle
produzioni musicali di qualunque genere siano, è che il sono mai s’interrompe.
Non esistono pause. La
capacità di poter soffiare
senza interrompersi per
inspirare dipende, come
vedremo meglio, dal fatto che,
durante l’inspirazione
toracica, il cavo buccale funge
da serbatoio, da cui il
suonatore spinge l’aria
comprimendo le gote. Infatti
esse si veggono ritmicamente
sollevarsi e abbassarsi, senza
che a questo ritmico
alternarsi corrisponda alcuna
variazione d’intensità nella cantilena, la quale fluisce costante e senza interruzione.
Né si deve credere che in questo il suonatore dia segni di sforzo o di difficoltà di
respiro. Calmo e tranquillo, è capace di continuare la sua cantilena per quarti e per
ore.” Oggi in Sardegna esistono alcune scuole sparse nel territorio; in particolare si
deve alla attività dell’associazione culturale Cuncordia a Launeddas, costituitasi a
Cagliari nel 1987, la diffusione didattica, culturale e storica di questo strumento.
Attualmente la tecnica della respirazione circolare in Sardegna, ha acquisito una
espressione didattica moderna che va al di là di strutture e legami segreti che si
tramandavano oralmente solo a pochi allievi.

La respirazione

Il meccanismo della respirazione consiste in un complesso di azioni coordinate,


mediante le quali viene assicurato uno scambio gassoso tra l’ambiente esterno e gli
organismi viventi in generale, garantendo un normale metabolismo sia delle cellule
che dei tessuti. La sua attività ritmica è sotto il controllo sia di meccanismi riflessi
involontari di origine centrale, e periferica, che di movimenti volontari. In stato di
veglia noi siamo in grado di modificare il ritmo e l’ampiezza del respiro
simultaneamente e separatamente; possiamo entrare in apnea volontaria, o
regolare l’attività spontanea del diaframma e dei muscoli intercostali agendo sulla
frequenza, sul volume e su tutte le fasi dell’atto respiratorio. Abbiamo
coscientemente la capacità di rendere “ottimale” e di scegliere secondo le nostre
necessità quale frequenza sia per noi la più conveniente. Varie tecniche di
ginnastica respiratoria e di metodologie filosoficoterapeutiche utilizzano tali
capacità regolatorie volontarie agendo sui singoli parametri, aumentando e
modificando le richieste per varie prestazioni.
Tra gli aspetti più evidenti della complessità dei legami che la respirazione assume
nel determinare una sana fisiologia corporea, lo scopo principale è quello di
mantenere una ventilazione tale da garantire l’apporto quantitativo di ossigeno
necessario, ed eliminare proporzionalmente una quantità di anidride carbonica. Il
processo della respirazione oggi viene considerato come un comportamento
complesso governato da un gruppo di sistemi di controllo gerarchici che non solo
sono in accordo con le esigenze primarie del metabolismo, ma che possono
sottostare alle più ampie richieste per le nostre esigenze. Ad esempio, può variare
notevolmente l’ampiezza dei movimenti diaframmatici secondo le nostre richieste a
partire da un solo centimetro di escursione nella parte centrale durante una
respirazione tranquilla, fino ad una decina di centimetri in una massima condizione
di iperpnea.
Conoscere, o meglio riconoscere, le differenze tra vari modi di respirare, che
automaticamente utilizziamo, è necessario per utilizzare al meglio ed al massimo
delle nostre possibilità il controllo dell’aria che incameriamo quotidianamente
respirando. Questi sono i quattro tipi di respirazione di base:
Respirazione “alta”.
È quella che facciamo normalmente tutti i giorni senza accorgercene; è la più
richiesta, mentre il suo rendimento e la sua efficacia sono molto bassi. È
superficiale e “alta” e in essa non sono impiegati tutti i polmoni nella loro capacità.
È quella che fa sollevare le spalle e la porzione sottoclavicolare con un leggero ritiro
dell’addome. Le limitazioni inerenti a questo tipo di respirazione sono legate al
minimo di aria che viene incamerata, tanto da dover fare attenzione al fatto se
stiamo o no respirando.
Respirazione “media”.
Questa è caratterizzata da una espansione più ampia della parte superiore del
torace, ed una apprezzabile modificazione del livello delle spalle. Si deve notare
inoltre che l’addome si spinge scarsamente in avanti. Anche questo tipo di
respirazione non offre un volume di aria sufficiente e funzionale per suonare
strumenti a fiato.
Respirazione “bassa”.
Questo terzo modo di respirare detto anche “addominale” o “diaframmatico”, è
quello che in particolare più ci riguarda, perché più funzionale degli altri due. È
caratterizzato da una evidente espansione della regione addominale, senza alcuna
modificazione apprezzabile della parte alta del torace e delle spalle. Si può pensare
che l’aria stia gonfiando lo stomaco e la pancia mentre di fatto entrando
profondamente nei polmoni abbassa il diaframma, che separando la cavità toracica
da quella addominale, compensa lo spazio occupato dall’aria che gonfia i polmoni e
spinge verso il basso sia lo stomaco che l’intestino provocando uno spostamento di
questi organi verso l’esterno. Il diaframma si trova al livello della 11 a e 12 a
costola posteriore, e la sua metà destra è più alta di quella sinistra; questo si
contrae ad ogni inalazione appiattendosi verso il basso e si rilassa verso l’alto ad
ogni esalazione. Il livello di escursione di questo movimento dipende naturalmente
dalla quantità di aria che viene incamerata ad ogni ciclo di respiro. Questo tipo di
respirazione è l’unico da utilizzare anche con la respirazione circolare.
Si possono fare alcuni esercizi di respirazione profonda per sviluppare il
movimento del diaframma sia inalando che esalando lentamente, sia con un colpo
secco dei muscoli addominali espellendo velocemente l’aria dai polmoni.
Respirazione “totale”.
Questo quarto tipo di respirazione è anche detto respirazione “completa”, in
quanto è la combinazione delle tre precedenti effettuata in ordine inverso. Si inizia
in pratica con un lento respiro profondo con il metodo della respirazione “bassa”,
espandendo lo stomaco e l’intestino verso l’esterno e quando si è arrivati a quella
che si pensa sia la metà circa della possibilità di incamerare aria, si inizia ad
espandere la cassa toracica riempiendo tutta la zona intermedia dei polmoni, ed
infine con il residuo di possibilità d’aria si gonfia la parte alta sottoclavicolare con
innalzamento delle spalle. A questo punto i polmoni sono completamente pieni
d’aria e vanno tenuti così più a lungo possibile, poi si esala lentamente procedendo
al contrario: svuotando prima la parte alta, poi la mediana ed infine quella bassa
spingendo con l’addome, rialzando il diaframma; il tutto cercando di mantenere
costante il flusso di aria sia in entrata che in uscita.
Questo tipo di respirazione non è necessario per suonare i fiati, dato che richiede
molto tempo per essere eseguito, ma risulta estremamente interessante ed utile per
migliorare le capacità respiratorie e durante le esecuzioni con lo strumento.
La tecnica della respirazione circolare Inizialmente sarebbero necessari alcuni
esercizi per sviluppare i muscoli delle guance ed iniziare a coordinare lo
sgonfiamento delle stesse simultaneamente alla presa d’aria attraverso il naso.
Pertanto è utile imparare a gonfiare le guance e tenerle in pressione come se si
avesse dell’acqua in bocca e respirare normalmente con il naso. Questo fortifica e
dilata muscoli che non usiamo normalmente e nello stesso momento permette di
separare il processo del respiro dal contenuto presente nella bocca sia esso aria o
acqua.

Ora è necessario legare insieme i due processi: cioè svuotare la bocca dall’aria
facendo vibrare le labbra, e nello stesso momento respirare aria con il naso.
Riepilogando la prima fase del processo avremo la sequenza:
a) prendere un respiro leggero con il naso;
b) trattenere il respiro;
c) gonfiare le guance;
d) svuotare l’aria tenuta in bocca facendo vibrare rumorosamente le labbra e nello
stesso momento respirare con il naso;
e) esalare dal naso;
f) rigonfiare le guance;
g) svuotarle rumorosamente dall’aria mentre si tira su con il naso;
h) respirare di nuovo.
Respirazione nasale, movimento di gonfiamento delle guance, movimento di
sgonfiamento con vibrazione delle labbra eseguito insieme al respiro con il naso,
diventano automatici e continui.
Sviluppo attraverso cinque differenti tappe: utilizzando la respirazione addominale
prendere un respiro profondo; trattenere in bocca più aria possibile in pressione;
rilasciare la restante aria presente nei polmoni attraverso il naso, mentre si
continua a tenere le guance in tensione con l’aria dentro; prendere un altro respiro
addominale attraverso il naso; esalare tutta l’aria attraverso la bocca.
Questa sequenza è fondamentale per l’apprendimento e deve essere eseguita in
modo scorrevole e continuo senza dover più pensare alla differente scelta tra
l’esalazione dal naso e quella dalla bocca.
Se riassumiamo tutta la sequenza delle tappe necessaria alla esecuzione del
processo respiratorio in modo circolare, avremo: prendere un respiro addominale;
mandare dai polmoni nella bocca gonfiando le guance molta aria per tenerle in
tensione e farla uscire controllando la pressione in uscita rumorosamente; prendere
respiro, sempre addominale, attraverso il naso, mentre usando i muscoli delle
guance si spinge fuori ancora l’aria dalla bocca rumorosamente; tornare subito al
diaframma prima che tutta l’aria contenuta nella bocca sia stata espulsa e tenere
costante il flusso di uscita di aria sempre dalla bocca.
Inserendo le labbra rilassate nell’imboccatura dello strumento è necessario fare
attenzione che non ci sia dispersione di aria, per questo è utile applicare
sull’imboccatura dello strumento della cera d’api utile anche per non farsi male.
Inoltre si deve prestare attenzione a non comprimere troppo lo strumento verso la
bocca per non indolenzire le labbra impedendo la circolazione nei capillari ed
essere costretti a rinnovare l’imboccatura smettendo di suonare.
La sequenza utile è la seguente: prendere un respiro addominale, gonfiare le
guance, rilasciare l’aria dal naso tenendole sempre tese e subito dopo riprendere il
respiro dal naso mentre le guance vengono schiacciate forzatamente facendo uscire
l’aria. Se l’imboccatura dello strumento è stata presa bene, l’aria certamente
lascerà uscire un suono accettabile.
Esecuzione del processo completo: inserire le labbra nello strumento prendere un
respiro addominale completo suonare la nota di bordone, utilizzando metà circa
dell’aria presente nei polmoni gonfiare le guance utilizzando l’aria presente nei
polmoni forzare i muscoli delle guance comprimendole e nello stesso momento
aspirare aria con il naso ritornare al supporto del diaframma forzando l’aria dai
polmoni continuando sempre a produrre il suono di bordone.
Per non incorrere in problemi di iperventilazione, con conseguente sensazione di
testa vuota per il troppo ossigeno accumulato, se non si riesce a compensare
lasciando uscire dell’aria dal naso mentre si suona, è utile per riposarsi effettuare
un suono lungo fino a consumare tutta l’aria accumulata e successivamente
ricominciare a prendere respiri addominali più brevi dal naso, cercando di
rilassarsi senza forzare nella velocità del ritmo circolare.
È necessario rinnovare ogni tanto l’imboccatura delle labbra, sia per allentare la
pressione su di esse e permettere al sangue di circolare liberamente, sia per
migliorare il suono che nel frattempo potrebbe essere diventato cupo e ovattato a
discapito dell’udibilità degli armonici.
Durante le proprie esecuzioni ogni tanto può essere consigliabile imparare a fare
suoni staccati di varia durata permettendo l’allentarsi della pressione sulle labbra.
E poi dobbiamo accettare che non è possibile suonare all’infinito!

Strumenti che utilizzano la respirazione


circolare

Strumenti tradizionali e loro distribuzione geografica


A) Clarinetti ad ancia semplice battente (Sachs, C., 1996):
sono caratterizzati dall’intaglio di una linguetta rettangolare (a tegola) praticata
con una incisione direttamente sulla canna. Possono essere singoli, doppi o tripli.
Quelli doppi e tripli sono sempre legati tra loro senza
distanziarsi, con l’eccezione delle launeddas. Arghoul:
(o yarghul) clarinetto doppio o anche triplo con bordone
senza fori lungo anche 2m (Egitto). Nelle molte varietà presenti assume nomi
diversi nei differenti paesi: mizmar in Siria, zamr in Marocco, Tunisia, çifte a
Creta, alboka in Euzkadi, tulum in Turchia, xeremies ad Ibiza, masul nel Golfo
Persico, zummarah (clarinetto doppio di uguale lunghezza ed identico numero di
fori) in Tunisia; zammara (Iran), zumr (Magreb); alghoza, clarinetto doppio di
eguale misura in India e Pakistan, aghanon in Marocco, alboka nei Paesi Baschi;
argun in Turchia; balaban in Iran e Turchia.
Tutti questi strumenti si suonano
tradizionalmente con la respirazione
circolare.
Aulos: (Grecia e Roma antica) raffigurati sui vasi greci e romani, potevano essere
di tipo doppio frigio con le due canne di lunghezza differente, o doppio lidio con le
due canne di eguale lunghezza. Queste misure erano distinte dai greci in soprani,
contralti, tenori e bassi (Henderson, I., 1962; Sachs, C., 1996; Baines, A., 1967).
Benas: (Sardegna, Italia) oggi quasi
completamente scomparse, erano più
rozze e meno evolute delle launeddas;
potevano essere semplici, con una sola
canna, doppie, o triple, con fori rotondi e
non più lunghe di 35 cm (Lallai, G.,
1997; Leydi, R., Guizzi, F., 1994; Spanu,
G., 1998).
Launeddas: clarinetto triplo ad ancia a
tegola; due elementi legati insieme ad
angolo acuto ed uno libero. (Sardegna,
Italia), (Lallai, G., 1997).
B) Trombe (o corni) ad
imboccatura terminale e
laterale senza bocchino separato.
Adharc: corno alto dell’età del bronzo, ad imboccatura laterale. (Irlanda)
(Schaeffner, A., 1978).
Dord Ard: corno tenore dell’età del bronzo ad imboccatura terminale. (Irlanda).
(Schaeffner, A., 1978).
Dordiseal: corno basso dell’età del bronzo ad imboccatura terminale. (Irlanda).
(Schaeffner, A., 1978).
Per questi tre strumenti, nel 1988 Simon O’Dwyer ha scoperto che pote-vano essere
suonati con la stessa tecnica
del didgeridoo (vedi CD
Reconciliation, 1993;
Magowan, F., 1997).
Didgeridoo: (Arnhem Land,
Australia).
Dung: (Tibet) tromba
composta di tre segmenti
inseriti e incastrati l’uno nell’altro, lunga anche oltre i quattro metri; in rame
rosso, a forma dritta, a volte con decorazioni in oro e argento. Produce suoni pedale
o grida (Sachs, C., 1940, p.246).
Karakara: tromba aborigena australiana in legno ad imboccatura terminale
ricavata da un ramo cavo lungo circa 50 cm, che produce suoni cupi e sordi,
imitando la voce dell’emu. È utilizzata come maschera acustica (Eberle, O., 1966,
p.545).
Kangling: corno ad imboccatura terminale ricavato da un femore umano (Tibet).
Ulbura: (popolazione Aranda, Australia), tromba in legno con
voce fioca, usata per la sveglia al mattino prima della caccia
(Eberle, O., 1966, p.571).
C) Corni africani: generalmente ricavati dalle zanne di elefante o
dalle corna di antilope, ma anche da grossi rami di legno scavati.
Classificati come “primitive labrosones” termine alternativo e più
pratico per strumenti a vibrazione labiale (Baines, A. p.40, 1976).
D) Oboi ad ancia doppia.
Sono caratterizzati da un’ancia doppia costituita da due linguette
di canna la cui parte inferiore viene fasciata così da formare un
tubicino che viene inserito nell’apertura alta dello strumento.
L’estremità superiore dell’ancia composta, presenta, vista
dall’alto, una piccola fessura ovale, il suono si produce quando
l’aria entrando mette in vibrazione le due linguette chiudendole e
discostandole velocemente tra loro (Sachs, C., 1996).
Alghaita: (o Alghaida), a campana terminale e quattro
fori per le dita; è costituito da due parti staccabili
collegate da una piccola catenella. L’ancia è inserita in
un tubicino di metallo dove è saldato un disco che serve
all’esecutore per un più efficace ritorno di pressione durante la respirazione
circolare. Presente in Africa Occidentale, popolazioni Hansa e Peul, della regione
attorno al lago Ciad e al corso inferiore del Niger, chiamato zukrah in Libia e
Tunisia (Bebey, F., 1969, p.76 e 124).
Ciaramella: strumento popolare in Italia (Cinque, L. 1977).
Duduk: (Armenia) di forma cilindrica,
possiede 9 fori e viene costruito in legno di
albicocco in tre grandezze, 28, 33 e 40 cm.,
con un’ancia lunga rispettivamente di 9, 12 e 14 cm. , controllata per la sua
apertura da una fasciatura in legno. È uno strumento diatonico con
l’ampiezza di suono di una sola ottava. È molto diffuso anche in
Turchia con il nome di mey.
Ghaita: con altre varietà, nay zunami, buq zamri in Marocco e
Algeria.
Gyaling: (Tibet)
Nadaswaram: (India del sud)
Serunai: (Malesia)
Shanai: (India)
Surnay: (Medio Oriente, Africa del Nord e Occidentale), chiamato anche Surnaya
(Iran), Zurna o Zourna (Turchia).
Shawn:(Europa del Nord) della famiglia simile ai cromorni, con ancia doppia
interna ricoperta da un cappuccio a camera d’aria.
Pungi: doppio clarinetto ad ancia interna, costituito da due canne inserite in una
zucca con funzione di camera d’aria, usato dagli incantatori di serpenti, chiamato
anche Tiktiri in sanscrito (India).
E) Flauti dritti e traversi
Kaval: (Bulgaria)
Narh: flauti indiani nella provincia del Rajasthan.

Strumenti moderni
Alcuni strumenti moderni a fiato possono avvalersi di questa stessa tecnica, ed
attualmente la utilizzano quando si rende necessaria la ripresa del respiro senza
dover interrompere la continuità di una frase musicale (Kynaston, T.P., 1978; Dick,
R., 1987; Boubaker, H., 1999).
1) Famiglia sassofoni e clarinetti ad ancia semplice, sassofoni: sopranino, mezzo
soprano, soprano, contralto, tenore, baritono; clarinetti: Sib, contralto, basso.
2) Famiglia oboi ad ancia doppia: oboe, corno inglese, oboe d’amore, baritono, e
legni sempre ad ancia doppia: fagotto, controfagotto, bombarda.
3) Famiglia degli ottoni: corno, tromba, cornetta, flicorno, trombone, bassotuba.
4) Famiglia dei flauti traversi e dritti: flauto, ottavino, flauti dolci, flagioletti.
L’applicazione della tecnica della “respirazione circolare”, ai vari strumenti
moderni presenta alcune difficoltà a seconda della famiglia di appartenenza e a
seconda a volte della grandezza dello strumento all’interno della stessa famiglia. Il
problema riguarda la resistenza dovuta al ritorno della pressione. Se si hanno le
labbra chiuse e le guance piene d’aria avremo un massimo di resistenza della
pressione dell’aria, ma al momento che inseriamo tra le labbra il bocchino di uno
strumento questa resistenza si riduce parecchio e siamo costretti ad aumentare il
controllo sia sull’imboccatura che sull’emissione dell’aria.
La presenza delle ance favorisce il ritorno della pressione e sarà più semplice
applicare questa tecnica agli strumenti della famiglia degli oboi che hanno un’ancia
doppia. Le difficoltà non aumenteranno di molto con i sassofoni e i clarinetti che
hanno un’ancia singola, mentre per gli ottoni ad ancia labiale, più lo strumento è
piccolo come la tromba, più sarà agevole rispetto ad esempio alla tuba. Al contrario
con i flauti sia dritti che traversi questa risulterà molto difficile in quanto la stessa
imboccatura presenta una resistenza naturale quasi nulla (Dick, R., 1987).

CR

Bibliografia*
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Rouget, Gilbert (1980). Musica e Trance. Einaudi, Torino 1986.
Sachs, Curt (1996). Storia degli strumenti musicali. Mondadori, Milano.
Schaeffner, Andrè (1978). Origine degli strumenti musicali. Sellerio,
Palermo.
Scott, J.E. (1962). La musica romana. In: Storia della musica, vol. I,
Musica Antica e Orientale (a cura di Wellesz Egon) Feltrinelli, Milano.
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Accessing the Eternal through Australian Aboriginal Music. Peter
Lang Publishing, New York.
Turner, David, H. (1999). Genesis Regained. Aboriginal Forms of Renunciation
in Judeo-Christian Scriptures and Other Major Traditions. Peter
Lang Publishing, New York.
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(a cura di) (1997). Launeddas. L’anima di un popolo. AM&D-IRSE,
Cagliari.
Winternitz, Emanuel (1979). Gli strumenti musicali e il loro simbolismo
nell’arte occidentale. Boringhieri, Torino 1982.

Discografia essenziale su alcuni strumenti che praticano la respirazione circolare


(Per la discografia del didgeridoo si rimanda al precedente lavoro del-l’autore,
pubblicato su WM 50).
Djivan Gasparyan. Heavenly Duduk, World Network WDR. Armenia
n.47. (CD). (Duduk).
The Art of Armenian Duduk, Amiata Media s.r.l., A. Ram Digital Records
1995. (CD). (Duduk).
The Music of Armenia: vol.3, Duduk. Celestial Harmonies-Amiata Media
s.r.l. 1996. (CD). (Duduk).
A Musical Anthology of the Orient. TIBET, I, Unesco Collection BM 30
L 2009. (LP). (Gyaling e Kangling).
Is Launeddas, I dischi del Sole, DS 529/31-A, Bella Ciao Ed. Musicali.
(Registrazioni originali conservate presso l’Istituto Ernesto De Mar-tino
in Milano.1974. (LP). (Launeddas).
La Musica Sarda, vol.3. Canti e danze tradizionali, Albatros VPA 8152.
A cura di Diego Carpitella, Pietro Sassu e Leonardo Sole. 1973. (LP).
(Launeddas).
Cordas et Cannas. Cantos et Musicas da sa Sardigna, Tekno Records
MR 0029, Sassari 1984. (MC). (Launeddas).
Voyage en Sardaigne, Enzo Favata. Ed. Robi Droli, Il Manifesto
1997.(CD). (Launeddas, Benas doppie).
Trio Argia, Microcosmi, Musiche Sarde dalle alture al mare, Dunya
records, Felmay 1999. (CD). (Benas doppie).

*. Le date tra parentesi dopo il nome dell’autore si riferiscono al primo anno di


pubblicazione; mentre le seconde alla fine della citazione indicano l’anno
dell’edizione consultata.

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