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Cenni di Agronomia generale e Coltivazioni erbacee

(Bozze)
Corso di Laurea in Scienze Faunistiche
Enrico Raso
Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agroforestale

Ecosistema.
Una teoria sull’origine della vita.
La formazione della Terra risalire a circa 4,5 miliardi di anni fa. Cira 3,5 miliardi di anni
fa nell’oceano primordiale, detto “brodo primordiale”, si sono formate le prime molecole
organiche capaci di autoreplicazione.
A questo periodo risalgono le rocce nelle quali si sono trovate le cellule più antiche.
Non vi sono ancora certezze riguardo ai processi che portarono alla formazione della
primordiale struttura cellulare ma le varie teorie concordano sul fatto che a un certo
momento si verifico, a partire da molecole inorganiche, la formazione spontanea di unità
autoreplicanti.
La Terra primordiale possedeva un’atmosfera riducente, contenente metano, ammoniaca,
anidride carbonica, ecc.. ed era coperta da vasti oceani.
Le loro superfici erano interessate da violenti temporali che liberavano di grandi quantità
di energia sotto forma di scariche elettriche.
Nel 1922 il biologo russo Aleksandr Ivanovič Oparin ipotizzò che, anteriormente alle
prime cellule, vi fosse stato un processo di formazione casuale molecole organiche a
partire da composti inorganici nell’ambito di una “evoluzione prebiotica”.
Nel 1953, il biochimico statunitense Stanley Miller, verificò sperimentalmente questa
ipotesi mettendo in un contenitore di vetro acqua, una miscela di gas (metano, anidride
carbonica, ammoniaca, azoto) e immettendo in questo energia tramite scariche elettriche.
L’ambiente era la simulazione del “brodo primordiale”, ovvero degli oceani della Terra
primigenia.
In queste condizioni, Miller constatò la formazione spontanea di alcune molecole
organiche tra cui nucleotidi del DNA e dell’RNA, amminoacidi, formaldeide, acetaldeide,
urea, acido lattico, acido succinico e acido formico.
L’esperimento dimostrò che le condizioni ambientali che si ritiene esistessero sulla Terra
primordiale rendevano possibile la formazione di importanti molecole organiche a partire
da semplici composti inorganici.
Se sulla Terra primordiale si verificarono processi di sintesi spontanea di molecole
organiche, un passo fondamentale verso le prime forme di vita dovette essere la
formazione della prima molecola autoreplicante, tipo l’attuale DNA.
Molti Ricercatori ritengono, tuttavia, che il DNA non è stata la prima molecola
autoreplicante a crearsi, perché la sua duplicazione richiede meccanismi ed enzimi
complessi che si ritiene non potessero esistere in quella fase.
Secondo le ipotesi più accreditate il DNA derivò da acido nucleico tipo RNA nell’ambito di
una evoluzione prebiotica.
La popolazione di molecole autoreplicanti tipo RNA presente nel brodo primordiale
potrebbe essere stata sottoposta a una pressione selettiva analoga a quella descritta da
Charles Darwin. Ossia una selezione di molecole mutanti più efficienti nel replicarsi che

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sarebbero diventate dominanti nel brodo primordiale mentre quelle meno efficienti si
sarebbero gradualmente ridotte di numero, fino a scomparire.
Sempre nella direzione dell’origine delle forme di vita cellulari, altri eventi fondamentali
sarebbero stati l’associazione delle molecole autoreplicanti con molecole proteiche in
complessi sovramolecolari con strutture membranose, in grado di costituire un ambiente
chiuso e controllato dove potessero avvenire reazioni chimiche differenti da quelle
dell’ambiente esterno.
Queste forme organiche con membrana potrebbero essere state i primi organismi
unicellulari, simili a batteri, di cui si ha documentazione fossile risalente a circa 3,5
miliardi di anni fa.
Gli organismi viventi.
Gli organismi viventi sono dei sistemi “fisico-chimici” aperti dove un flusso di energia
proveniente dall’esterno è usato per sintetizzare composti organici da composti chimici
semplici.
Quando il flusso di energia cessa la sintesi si arresta, l’organismo muore e la materia si
disorganizza.
Nella storia evolutiva una fondamentale tappa è stata la comparsa di organismi
fotosintetici capaci di utilizzare l’energia solare.
Con gli organismi fotosintetici le condizioni fisiche e chimiche della superficie terrestre e
della sua atmosfera hanno subito sostanziali cambiamenti.
La fotosintesi utilizza come materia prima H2O e CO2 e circa 15 elementi per la
formazione di composti organici e libera O2 come sottoprodotto.
L’O2 allo stato di gas libero “mancava” nell’atmosfera primordiale mentre attualmente è
circa il 20,9 %.
Il mutamento della composizione dell’atmosfera primordiale ha portato all’evoluzione
degli organismi aerobi eterotrofi ossia organismi capaci di ricavare energia dai tessuti
organici di altri esseri viventi.
La Terra
Il numero di corpi celesti individuati e classificati è gradissimo ma la Terra è l’unico che ,
a quanto sappiamo, ospita “la materia vivente”.
La Terra si può considerare costituita dai seguenti 3 strati.

1) Atmosfera

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L’atmosfera è lo strato più esterno di natura gassosa che rende possibile e protegge la vita
sulla Terra.
Questa massa gassosa segue la forma della Terra presentando uno schiacciamento ai poli e
un rigonfiamento nelle zone equatoriali e tropicali.
La massa gassosa è attratta verso la superficie terrestre dal proprio peso ed è trascinata
nel suo insieme dal moto di rotazione della Terra attorno al proprio asse.
È la forza di gravità terrestre che impedisce all’atmosfera di sfuggire dalla Terra.

L’atmosfera può essere divisa in 2 principali parti procedendo dal basso verso l’alto.
A) Omosfera, dalla superficie media del mare fino a circa 80 km di quota
B) Eterosfera, da ~ 80 a ~ 960 km di quota

Eterosfera Termopausa

Mesopausa

Startopausa
Omosfera
Tropopausa

A) L’Omosfera è divisa nei seguenti strati procedendo dal basso verso l’alto.
1° Troposfera. Questa ha mediamente di ~ 10 Km di spessore ed è le sede dei principali
dei fenomeni meteorologici e degli organismi terresti.
La troposfera contiene ~ il 90% dell’atmosfera della Terra che è costituita da ~ il 78% di
azoto, ~ 21% d’ossigeno e ~ 1 % di atri gas. In questa si trova ~ il 75% di tutto il vapore
acqueo atmosferico.
Nella troposfera, dato che la temperatura decresce con l’aumentare della quota di ~ 6,5°C
ogni 1.000 metri, al limite superiore, detto tropopausa, si ha una temperature che oscilla
tra circa -50° -60° C.
2° Tropopausa. Questo è un sottile strato dello spessore di 100-300 metri caratterizzato da
isotermia e presenza di forti correnti aeree orizzontali dette correnti a getto.
3° La Stratosfera. Questa va da ~10 km di quota fino a ~50 km di quota e contiene ~ il
9.5% dell’atmosfera del pianeta.
Nella Stratosfera la temperatura cresce con la quota fino a valori prossimi a 0° C.
La stratosfera è scaldata principalmente dalla radiazione solare, è molto interessata dai
raggi ultravioletti e in questa si hanno delle nubi caratteristiche dette madreperlacee.
In questa fascia dell’atmosfera si ha la massima concentrazione di ozono (O3) e di ossigeno
atomico.
Infatti i raggi ultravioletti scindono la molecola di ossigeno facendo si che quello atomico
si combini con quello molecolare formando ozono. Ozono che protegge la Terra dai
pericolosi raggi UV-b permettendo così la vita sulla Terra.
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Disgraziatamente l’uomo sta introducendo nell’atmosfera grandi quantità di composti
detti CFC (Cloro Fluoro Carburi) che si ritrovano, ad esempio, nelle bombolette spray,
nei frigoriferi come gas refrigeranti, ecc.. .
I CFC rompono il legame che tiene uniti tra loro i tre atomi nella molecola di O3
trasformandolo in O2 e O destabilizzando della vita sulla Terra.
4° La Stratopausa
La Stratopausa è un strato di atmosfera dello spessore di qualche centinaio di metri.
5° La Mesosfera.
La Mesosfera è un strato di atmosfera dallo spessore di ~30 km che giunge fino a 80 km di
quota. La Mesosfera e’ caratterizzata da un andamento vario della temperatura, che al
limite superiore si attesta verso ~ 90 ° C. La mesosfera contiene ~0,5 % dell’atmosfera
della Terra la sua temperatura diminuisce con l’altezza e l’O3 è così basso che trattiene
trattenere pochi raggi ultravioletti. Nella mesosfera sia hanno le nubi nottilucenti.

Le nubi nottilucenti sono così dette perché visibili solo di notte. Queste nubi non
contengono umidità e non provocano la pioggia: è ritenuto che siano composte da polveri.
Sono di colore argenteo e brillano a causa dei raggi luminosi del Sole che, anche se è ormai
calato sotto orizzonte sono ugualmente capaci di raggiungerle rendendole lucenti. La
mesosfera è la zona in cui bruciano le piccole meteoriti che colpiscono la Terra.
B) Eterosfera, successiva all’Omosfera, è divisa nei seguenti strati procedendo dal basso
verso l’alto.
6° La Mesopausa.
La Mesopausa è un sottile strato di transizione tra la Mesosfera e la successiva
Termosfera. Nella Mesopausa si raggiungono raggiunge temperature di circa -70°C , -100
°C .
7° La Termosfera.
La Termosfera, dallo spessore di ~110 km, giunge fino 190 km di quota. Nella termosfera
si ha un incremento di temperatura perché in questo strato più esterno le molecole d’aria
filtrano i raggi X e altre radiazioni mortali che altrimenti colpirebbero la Terra. Si tratta
di radiazioni con frequenze d’onda ancora più alte dei raggi ultravioletti e quindi ancora
più energetiche.

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Gli strati più esterni della Termosfera sono molto caldi ma l’aria è così rarefatta che il
calore trattenuto non ha effetto sul clima della Terra.
La termosfera presenta strati di gas ionizzati o Ionosfera, che consento la propagazione
delle onde radio e importanti fenomeni elettrici e geomagnetici come le aurore polari .
8° Termopausa
La termpopausa è un sottile strato di transizione tra la Termosfera e la successiva
Esosfera.
9° L’Esosfera
È la parte più esterna dell’atmosfera, caratterizzata dagli elementi leggeri quali idrogeno
ed elio.
Nella Esosfera la temperatura e’ costante con la quota. L’esosfera ha termine quando si
verificano le stesse caratteristiche e si riscontrano le stesse componenti presenti nel
sistema solare.
2) Idrosfera
L’idrosfera comprende sia le acque presenti sulla Terra che il vapore acqueo atmosferico.
3) Litosfera
La litosfera comprende la porzione solida più esterna della Terra costituita dalla crosta
terrestre e dal mantello superiore che contiene sostanze minerali necessarie alla vita del
pianeta.
Oltre a queste 3 sfere vi è l’ecosfera o biosfera che è la parte della Terra dove si localizza
l’ecosistema caratterizzato da organismi viventi che interagiscono tra loro e con
l’ambiente non vivente. Questa comprende la maggior parte dell’idrosfera. Le parti
inferiore dell’atmosfera e la parte superficiale della litosfera. L’ecosfera va dalla fossa
oceanica più profonda, ~10 Km, fino alla cima della montagna più alta della Terra
rappresentata da monte Everest, 8.844 m, in Asia.
Ecosistema.
L’ecosistema è costituito da una componente vivente o biocenosi e una componente non
vivente o biotopo.
Dal punto di vista termodinamico un ecosistema è un sistema aperto caratterizzato da
scambi di energia e di materia.
Le dimensioni, il numero e la diversità degli ecosistemi sulla Terra sono variabili e
notevoli.
Nonostante le dimensioni e la diversità degli ecosistemi vi sono però le due seguenti
caratteristiche base comuni.
1° L’attività biologica degli organismi richiede energia che, come fonte primaria, non è di
origine biologica ma proviene dal sole.
2° Ogni organismo per vivere, accrescersi e riprodursi, ha bisogno di elementi minerali
detti nutrienti.
In ogni ecosistema devono quindi esistere esseri viventi capaci di fissare l’energia
luminosa e utilizzare i nutrienti al fine di produrre molecole organiche.
Questi organismi sono gli autotrofi o produttori primari.
I più importanti autotrofi sulla Terra sono i vegetali che per mezzo della fotosintesi
clorofilliana sono capaci di sfruttare la radiazione solare.
Il termine produttori primari si riferisce al fatto che i vegetali sono in grado di produrre
biomassa in maniera primaria da composti inorganici.
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Poiché le molecole organiche sintetizzate dagli autotrofi sono complesse e non si auto-
mineralizzano quando questi sono morti in un ecosistema si avrebbe un progressivo
accumulo di sostanze organiche e un conseguente impoverimento di sostanze inorganiche
se non esistessero organismi viventi capaci di utilizzarle per ricavare energia
degradandole e liberando sostanze inorganiche. Questi organismi sono gli eterotrofi
decompositori . I decompositori sono i batteri, gli attinomiceti e i funghi.
In teoria un ecosistema costituito da soli autotrofi e eterotrofi decompositori potrebbe
esistere.
Ma in tutti gli ecosistemi esiste anche una terza componente la cui caratteristica è quella
di utilizzare le sostanze organiche di altri esseri viventi o morti per ricavare energia e
creare nuove sostanze organiche che costituiscono il loro corpo. Questi organismi sono gli
eterotrofi consumatori.
I consumatori con i decompositori costituiscono la parte eterotrofa di un comunità
ecosistemica.
Questi vengono anche chiamati produttori secondari poiché producono biomassa a partire
da altra biomassa.
I consumatori sono la componente dell’ecosistema più diversificata sotto l’aspetto
funzionale quanto comprendono i carnivori, gli erbivori, gli onnivori, i detrivori e i
parassiti.
Le interazioni tra la componente autotrofa ed eterotrofa di ogni ecosistema sono strette e
sempre presenti.
In relazione a quanto brevemente accennato gli organismi viventi della biocenosi sono
quindi: gli autotrofi; gli eterotrofi consumatori e gli eterotrofi decompositori
Gli autotrofi o produttori primari, base della biosfera, sono gli organismi fotosintetici,
chemiosintetici e foto-chemiosintetici e la biomassa che producono è detta produttività
primaria.
Con la fotosintesi il carbonio dalla forma ossidata presente nell’atmosfera come CO2
passa, tramite varie fasi, nella sua forma ridotta presente nei tessuti delle piante come
carboidrati, proteine, ecc.. .
La biomassa vegetale degli organismi fotosintetici costituisce circa più del 99% in peso
della materia vivente sulla Terra.
La formazione di biomassa nelle piante è possibile perché l’energia fissata con la
fotosintesi è maggiore dell’energia che queste perdono con il processo di respirazione.
L’immagazzinamento dell’energia solare nella biomassa vegetale, alimento per gli
erbivori, rende possibile il primo trasferimento di questa agli organismi eterotrofi.
Gli eterotrofi consumatori traggono energia dalla S.O. prodotta dagli autotrofi.
Questi sono divisi nei seguenti ordini:
1°ordine: consumatori pascolatori (erbivori) che si nutrono direttamente della biomassa
dei produttori primari
2°ordine: consumatori predatori (carnivori) che si nutrono di erbivori
3°ordine: consumatori predatori (carnivori) che si nutrono di consumatori di 2° ordine
4°ordine: consumatori predatori (carnivori) che si nutrono di consumatori di 3° ordine
5°ordine: consumatori predatori (carnivori) che si nutrono di consumatori di 4° ordine,
ecc..
Nel gruppo degli eterotrofi consumatori occorre menzionare anche gli onnivori (tra i quali
l’uomo) che, utilizzando biomassa vegetale e animale: possono considerarsi consumatori
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di “1° e 2°”, “1° e 3°” ordine, ecc.. e i parassiti, distinti in ectoparassiti (vedi zecche, ecc..) e
endoparassiti (vedi batteri, ecc..)
Gli eterotrofi decompositori.
Gli eterotrofi decompositori o detritivori sono rappresentati da organismi e
microrganismi che vivano di S.O. morta di autotrofi ed eterotrofi consumatori di vario
ordine.
Gli eterotrofi decompositori determino, progressivamente, la mineralizzazione della S.O. .
Gli organismi autotrofi ed eterotrofi sono connessi tra loro tramite una catena alimentare
dove si ha il trasferimento d’energia: vedi i sotto riportati semplici schemi delle catene
alimentari del pascolo e del detrito.

Catena alimentare del pascolo e trasferimento dell’energia

Esempio Vegetale o produttore primario

Foglia Consumatore di 1° ordine

Afide Consumatore di 2° ordine

Crisopa Consumatore di 3° ordine

Uccello insettivoro Consumatore di 4° ordine

Uccello rapace

Catena alimentare del detrito e trasferimento dell’energia


Foglie morte > funghi > collemboli > chilopodi (centopiedi)

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Ecosistema
L’ecosistema si può quindi definire come un complesso di organismi interagenti tra loro e
con l’ambiente caratterizzato da scambi di energia e di materia.

Biotopo (suolo, roccia, aria, acqua, clima, ecc.. .)

Autotrofi o produttori primari (es. vegetali inferiori e


superiori)

Pascolatori (mammiferi,
uccelli, insetti, ecc..)
Ecosistema Consumatori

Predatori (mammiferi,
Biocenosi Eterotrofi o uccelli, insetti, ecc..)
consumatori

Decompositori (batteri, attinomiceti,


funghi, protozoi, ecc..)
La piramide ecologica.
Come citato in un ecosistema ogni organismo vivente è un sistema termodinamico aperto
caratterizzato da un ingresso e un’uscita di energia e di materia.
Piramide ecologica della biomassa o piramide alimentare

Biomassa dei consumatori secondari (carnivori)

Biomassa dei consumatori primari (erbivori)

Biomassa dei produttori primari (vegetali)

Energia solare

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Il rendimento degli organismi viventi nel trasformare l’energia in entrata in energia
contenuta nella loro materia organica è bassa: circa il 10% (0,1) poiché circa il 90 % (0,9)
dell’energia è dispersa nell’ambiente come calore, gas, ecc.. .
Ciò avviene ad ogni passaggio della catena alimentare.
Questo può essere rappresentato nella figura della piramide ecologica i cui scalini si
restringono verso l’alto in base al livello trofico.
Il 1° scalino o livello è quello della biomassa dei produttori primari, il 2° è quello della
biomassa dei consumatori di 1° ordine, il 3° è quello della biomassa dei consumatori di 2°
ordine, ecc.. .
Fatta uguale, ad es., ad 1 l’energia della biomassa vegetale, quella immagazzinata nella
biomassa dei consumatori di sarà: 0,1 in quella di 1° ordine; 0,01 in quella 2° ordine; 0,001
in quella 3° ordine; 0,0001 in quella 4° ordine ecc..
Piramide ecologica: esempio del trasferimento di 100 Kcal m-2 d’energia contenuta nel
tessuto vegetale a 3 livelli trofici progressivamente tra loro superiori.
0,01 Kcal m-2 nei tessuti consumatori secondari
(carnivori) Calore, gas, ecc.. .

0,1 Kcal m-2 nei tessuti consumatori secondari


(carnivori) Calore, gas, ecc.. .

1 Kcal m-2 nei tessuti dei consumatori primari


(erbivori) Calore, gas, ecc..
.

100 Kcal m-2 nei tessuti dei produttori primari (vegetali)

La grandezza dello scalino della biomassa degli erbivori è relativa all’energia contenuta
nella biomassa vegetale dei produttori primari e la grandezza dei successivi scalini sarà
proporzionale all’energia immagazzinata nei consumatori di vario ordine.
In base a questo principio energetico il sostentamento dell’essere umano sarebbe maggiore
se si comportasse da consumatore primario (erbivoro) e non da onnivoro o carnivoro.
Ciò è importante per la sostenibilità dell’uomo da parte dell’ecosistema, in particolare nei
Paesi in via di sviluppo.
Flusso di energia nelle catene alimentari.
Il flusso energetico nelle catene alimentari è unidirezionale ed è regolato dai seguenti 2
principi della Termodinamica.
1°) Primo principio o della conservazione dell’energia: nulla si crea e nulla si distrugge ma
tutto si trasforma. Ovvero l’energia non può né essere prodotta né distrutta ma può essere
solo trasformata in un’altra per cui l’energia totale rimane invariata: ad es. l’energia
solare che viene trasformata in energia chimica contenuta nei legami delle molecole delle
sostanze organiche.

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2°) Secondo principio: la trasformazione energetica è sempre accompagnata da
mutamenti qualitativi dell’energia: da forme molto nobili o utilizzabili a forme
progressivamente meno nobili o utilizzabili (concetto di entropia).
Base energetica dell’ecosistema è l’energia luminosa che tramite la fotosintesi si trasforma
in energia chimica contenuta nei carboidrati, lipidi, ecc.. .
Luce (675 Kcal)
6 H2O + 6 CO2 > C6H12O6 + 6O2
Clorofilla
Della radiazione solare che giunge al suolo, fatta pari a 100, circa il 98% viene dispersa
(riflessione 15 %, calore 41 %, evapotraspirazione 42 %) e circa solo il 2 % viene
immagazzinata, con tramite la fotosintesi, nei composti organici vegetali che ne derivano
ovvero immagazzinata come produzione primaria lorda. Di questa energia immagazzinata
circa il 55% viene utilizzata dalle piante per la respirazione e solo circa il 45% si
accumula nel loro corpo come produzione primaria netta.
Esempio schematico della distribuzione dell’energia solare in una foresta

Produttività di un ecosistema
La produttività di un ecosistema è la velocità con cui questo accumula energia come
biomassa. In un ecosistema in equilibrio, in fase di climax, il rapporto tra l’energia
accumulata e quella consumata è pari a 1.
La produzione di biomassa, come in precedenza accennato, si divide in:
a) Produzione primaria lorda o P.P.L.
Produzione primaria lorda (P.P.L.) = energia acquistata con la fotosintesi
La P.P.L. è valutata solitamente valutata come t m-2 anno-1 di biomassa secca o in relative
Kcal m-2 anno-1 che il sistema fissa in totale.
b) Produzione primaria netta o P.P.N.
Produzione primaria netta (P.P.N) = P.P.L. - energia persa con la respirazione

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La P.P.N. è valutata solitamente in t m-2 anno-1 di biomassa secca o in relative Kcal m-2
anno-1 che il sistema fissa nella sua S.O. al netto dell’energia utilizzata dai vegetali per i
loro processi vitali.
La misura della produzione primaria netta è essenziale per capire su quale flusso di
energia possa contare un ecosistema per il suo funzionamento.
I metodi per la misura delle Produzioni Primarie sono diversi. Ad es. il metodo più
semplice è l’uso della bomba calorimetrica che fornisce il contenuto calorico medio in kcal
dell’unità in peso di biomassa secca.
La P.P.N media in g m-2 anno-1 di s.s. organica varia in relazione agli ecosistemi come si
può osservare nella seguente schematica tabella dove si può notare che la P.P.N in g m-2
anno-1 negli ambienti terrestri emersi raggiunga i suoi valori massimi nelle foreste pluviali
tropicale e decresca progressivamente verso il deserti.
P.P.N in g m-2 anno-1 negli ambienti terrestri
Tipo di vegetazione PPN
Deserto a cespugli nani 122
Tundra a cespugli nani 250
Taiga settentrionale 450
Prateria 500
Suolo agricolo tradizionale 650
Savana arida 730
Foresta temperata di caducifoglie 1.200
Foresta pluviale tropicale 3.250
La P.P.N media degli attuali suoli agricoli coltivati in modo intensivo convenzionale,
espressa in g m-2 anno-1 di sostanza secca o in Kcal m-2 anno-1, è però usualmente superiore
a quella della foresta temperata.
Difatti considerando che, ad es. , la produzione un ettaro di suolo agricolo convenzionale
coltivato a mais, produca di 15,1 t ha-1 di sostanza secca primaria netta (7,6 t ha-1 di
granella e 7,5 t ha-1 stocchi), la produttività in g m-2 anno-1 sarà di 1.510 g m-2 anno-1,
senza considerare la possibilità di coltivare sul solito ettaro una coltura intercalare,
rispetto ai 1.200 g m-2 anno-1 di una foresta temperata di caducifoglie.
Ciò è uguale se la P.P.L viene espressa in Kcal m-2 anno-1 poiché considerando che,
mediamente, 1 g si sostanza secca vegetale produce circa 4,3 Kcal, nel caso del mais la
P.P.N., in Kcal, sarà pari a 6.493 m-2 anno-1 e nel caso della Foresta temperata di
caducifoglie sarà pari a 5.160 m-2 anno-1.
In relazione a ciò tenendo presente la piramide ecologica della biomassa, in precedenza
citata, in un agroecosistema con uomo consumatore di 1° o di 2°ordine le cose cambiano
nettamente.
Come consumatore di 1°ordine delle 6.493 Kcal m-2 anno-1, relative ai 1.510 g m-2 anno-1
del mais, saranno trasferite all’uomo 649,3 Kcal m-2 anno-1
Come consumatore di 2°ordine delle 6.493 Kcal m-2 anno-1, relative ai 1.510 g m-2 anno-1
del mais, saranno trasferite all’uomo 64,93 Kcal m-2 anno-1
Ciò evidenzia nuovamente quanto prima citato: il sostentamento dell’essere umano
sarebbe maggiore se questo si comportasse da consumatore primario o pascolatore e non
da consumatore secondario carnivoro di erbivori domestici e/o selvatici o consumatore
primario e secondario ovvero da onnivoro.

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Uomo: 64,93 Kcal m2 anno-1
Uomo: 649,3 Kcal m2 anno-1 Erbivori: 649,3 Kcal m2 anno-1

Produzione dell’agroecosistema: 6.493 Kcal m2 anno-1


Gli ecosistemi e gli agroecosistemi si differenziano tanto più l’attività agricola è
specializzata e industrializzata: vedi schema successivo.
Caratteristiche Ecosistemi Agroecosistemi
Diversità genetica dei Massima: molte specie. Minima: una o poche specie.
produttori
Diversità genetica dei Molte specie animali. Uomo ed erbivori allevati.
consumatori
Catena alimentare 4 - 5 anelli o più. 2 o 3 anelli:
vegetali-uomo
o
vegetali-erbivori allevati-uomo.
Numero consumatori Oscillante. Stabile.
Produttività primaria Spesso limitata. Molto elevata: vedi
agroecosistemi intensivi.
Qualità della biomassa Non importante: ogni Molto importante:solo quella
biomassa ha i suoi utilizzata dall’uomo e da i suoi
consumatori. erbivori allevati.
Destino della biomassa Resta in posto. È in gran parte asportata.
Ciclo dei nutrienti Chiuso. Aperto: entrate e uscite.
Ciclo dell’energia Autosufficiente: basta la Necessari anche elevati input
solare. energetici per lavorare,
concimare, raccogliere, ecc.. .
Stabilità Stabile. Instabile: continui interventi per
avere la stabilità.

Biotopo
Il clima è uno dei fattori che più caratterizzano il biotopo. Il clima si può definire come
l’insieme dei fenomeni meteorologici che caratterizzano un anno. Questo è caratterizzato
dei seguenti fattori.
Radiazione solare
La radiazione solare è sostanzialmente l’unica fonte d’energia del sistema “Terra-
atmosfera” poiché altre sorgenti, come quella del nucleo terrestre, forniscono energia al
sistema “Terra-atmosfera” che non è superiore a ~ lo 0,002 % di quella fornita dal Sole.
Nell’agroecosistema la radiazione solare è l’elemento climatico più importante.

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Il termine radiazione indica un fenomeno caratterizzati dal trasporto di energia nello
spazio. Il sole, tramite particelle dette fotoni, invia verso la terra due fondamentali tipi di
radiazione: la luminosa e la termica.
La radiazione luminosa, che viene trasformata in energia chimica con la fotosintesi.
La radiazione termica o calorifica che determina lo stato termico o temperatura di un
corpo misurabile con il termometro. La misura della radiazione termica si effettua in cal
o Kcal cm-2 o in Joule m-2 (1 cal = 4,1855 J), ecc.. .
La grande quantità di radiazione energetica solare ricevuta ogni secondo sulla superficie
di 1 m-2 fuori dall’atmosfera, posta perpendicolarmente ai raggi solari, è detta costante
solare.
Ma non tutta questa radiazione energetica è indirizzata al suolo: infatti circa il 50%
viene a ridursi e perdersi per fenomeni di riflessione e assorbimento da parte
dell’atmosfera.
Del circa 50% della rimanente energia solare che arriva al suolo, detta radiazione globale
che è pari 155,4962 Wm-2, mediamente solo circa 4%, ossia circa 6,21985 Wm-2, viene
utilizzata dalle piante per la fotosintesi.

Radiazione globale155,4962 Wm-2

Poiché le diverse zone della Terra ricevono diverse quantità di radiazione solare
presentano un diverso stato termico. Queste aree tendono all’equilibrio tramite il
trasferimento d’energia termica o calorifica: da zone che hanno ricevuto a zone che
hanno ricevuto poca. Questa differenza è dovuto ai seguenti fattori: latitudine, altitudine,
esposizione, inclinazione dei versanti e stagioni. Ad es. , andando verso l’equatore i raggi
sono più perpendicolari rispetto a latitudini maggiori e la radiazione solare passa strato di
atmosfera meno spesso con minor suo assorbimento.
La differente energia ricevuta dalla stessa superficie terrestre ai poli e all’equatore come
al variare delle stagioni e della morfologia dipende dal differente angolo d’incidenza del
raggio luminoso, oltre che dallo spessore d’atmosfera che deve passare la luce.

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Latitudine e clima: terra divisa in due emisferi

Infatti l’energia ricevuta per unità di superficie e per unità di tempo è data da I (energia
fascio luminoso perpendicolare) x seno dell’angolo di incidenza del fascio luminoso (h).
Dato che Sen 90° = 1; Sen 45° = 0,707, Sen 0° = 0
È comprensibile come al variare dell’angolo d’incidenza varia l’energia ricevuta sulla
superficie terrestre.

La radiazione globale è misurata con il solarimetro.

solarimetro

Tra le caratteristiche della radiazione solare che influiscono sull’agroecosistema sono da


evidenziare:

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 l’eliofania astronomica che è la durata massima di ore astronomicamente possibile con
permanenza del sole sopra l’orizzonte.
 l’eliofania assoluta che è la somma delle ore con sole visibile ovvero non coperto da
nuvole.
L’eliofania assoluta si misura con l’eliofanografo, strumento che concentra i raggi del sole
tramite una sfera di cristallo su carta cerata che si lascia marcare quando è colpita dal
raggio luminoso.

Eliofanografo

 l’eliofania relativa data da “valore dell’eliofania assoluta : valore dell’eliofania


astronomica”.
 la nuvolosità, che incide sull’eliofania assoluta, si misura in 3 momenti del giorno e si
misura in % o con la scala okta che va da 0 a 8.
 l’intensità luminosa. L’intensità luminosa è misurata con il lucimetri o illuminometri
ed è espressa in W m-2 o in lux.
Le piante hanno una intensità luminosa minima sotto la quale non fotosintetizzano e una
intensità massima oltre la quale la fotosintesi non aumenta.
Quest’ultima soglia è detta di regione della saturazione luminosa e varia tra le specie: le
piante C4 hanno una soglia di saturazione luminosa da circa 3,3 a circa 10 volte più alta
delle piante C3.
Alcune caratteristiche differenziali tra piante C3 e C4.
Caratteristiche C3 C4
Primo prodotto Fosfoglicerato Ossalacetato
della fissazione
della CO2
Colture e famiglie Frumento, orzo, avena, segale, Mais, sorgo, canna da
botaniche triticale, riso, barbabietola, zucchero, ecc.
leguminose, ecc ..
Velocità della Da ≅ 3-5 volte maggiore della ≅ 10 volte minore della
fotorespirazione respirazione all’oscurità respirazione all’oscurità
Apertura degli Grande Piccola
stomi alla luce
Intensità luminosa ≅ 100 – 150 Massima non raggiunta a
corrispondente 500
alla massima
velocità di
fotosintesi in W m2

15
Temperatura 15-25 °C 30-47 °C
ottimale per la
fotosintesi
Produzione in g di ≅ 0,5-2 ≅ 4-5
s.s. dm-2 giorno-1
fogliare
Produzione di s.s. ≅ 22 ± 3,3 ≅ 38,6 ± 16,9
-1 -1
in t ha anno
In relazione alle differenze tra specie C3 e C4 è da evidenziare che quelle:
 C3, con 30.000-50.000 Lux entrano nella regione di saturazione luminosa (cosa comune
in Italia dove l’intensità luminosa nelle ore più luminose e serene estive arriva a superare
anche i 110.000 Lux) e in eccesso di Lux presentano in modo accentuato il fenomeno della
foto-respirazione (vedi oltre).
 C4 mediamente solo oltre gli 80.000 Lux entrano nella regione di saturazione luminosa;
hanno un tasso di respirazione più basso in rapporto alla produttività; sono più efficienti
ad alti livelli di temperatura; richiedono meno acqua per unità di biomassa prodotta e
sono più competitive in climi caldi e siccitosi. In relazione a quanto accennato
l’utilizzazione luminosa massima è raggiunta, ad es. , a circa 50.000 Lux nel frumento
mentre nel mais non viene ancora raggiunta a circa 90.000 Lux.
L’eccesso di luce, accompagnato inevitabilmente da un eccesso di calore, oltre al
raggiungimento del punto di saturazione del processo fotosintetico, determina nelle piante
ulteriori fenomeni negativi come: fenomeni di fotorespirazione, comportanti il
catabolismo di zuccheri con liberazione di CO2; reazioni biochimiche secondarie che non
riescono a procedere di pari passo col processo fotosintetico primario che rallentano la
fotosintesi per accumulo di prodotti intermedi tossici; fenomeni di foto-inibizione, per
flusso eccessivo di fotoni, comportanti produzione di chinoni inibitori del processo
fotosintetico poiché assorbono luce ultravioletta.
Se l’eccesso di illuminazione porta agli inconvenienti ora citati anche un difetto di
illuminazione è dannoso poiché determina: ingiallimento e caduta precoce delle foglie
basali; disseccamento e caduta dei rami più bassi; mancanza di ramificazione; steli
eziolati, ossia poco verdi con aree biancastre, poco lignificati e allungati o filati; infertilità
dei fiori. Talvolta questi difetti dovuti a carenza di luce possono essere agronomicamente
desiderati come per le piante foraggere in quanto portano a maggiore digeribilità e minor
contenuto in lignina per la filatura degli steli.
Per ottimizzare l’utilizzazione della radiazione luminosa da parte delle colture occorre
seguire alcune regole quali, ad es. :
a) scegliere genotipi adatti. Dove possibile incrementare la coltivazione di piante C4
rispetto alle C3 durante il periodo estivo, che, come il mais, il sorgo, ecc.., raggiungono la
fase di saturazione luminosa oltre gli 90.000 Lux.

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b) incrementare dell’utilizzazione della luce aumentando la quantità della clorofilla per
unità di superficie fogliare tramite una buona disponibilità di N nel suolo.
c) favore la migrazione dei fotosintetizzati verso gli organi di deposito per non rallentare
la fotosintesi per “ingorgo” di prodotti. Ciò si può ottenere, ad es., favorendo
un’equilibrata formazione dei depositi per questi ultimi come semi, tuberi, frutti, ecc.. .
d) aumentare l’intercettazione della luce nel tempo e nello spazio.
In relazione a quest’ultimo punto per aumentare l’intercettazione luminosa dell’apparato
fogliare nel tempo nel tempo occorre:
- scegliere genotipi che hanno un’attività fotosintetica prolungata
- dare la preferenza alle colture con semine autunnali rispetto a quelle primaverili
- fare semine precoci con sementi che germinano velocemente
- prolungare al massimo l’attività fogliare usando adatti presidi sanitari
mentre per aumentare l’intercettazione luminosa dell’apparato fogliare nello spazio
occorre:
- fare semine uniformi e con giusto investimento a m2.
- mettere a dimora piante arbustive e arboree con giusto sesto d’impianto.
- orientare le file delle piante erbacee, arbustive e arboree verso Nord-Sud e non verso
Est-Ovest
- scegliere piante erbacee con portamento fogliare eretto e non parallelo o reclinato per
la loro maggiore intercettazione della luce.

Le piante con portamento fogliare


eretto hanno maggiore
intercettazione della luce rispetto a
quelle con portamento orizzontale.
Ciò perché si ha meno
ombreggiamento delle foglie poste
più in basso.

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Portamento teorico delle foglie a ventaglio
per avere la massima utilizzazione della
luce e quindi la massima fotosintesi.

Circa il punto relativo alle semine uniformi e con giusto investimento a m2 occorre tener
presente che con l’aumento dell’investimento a m2, oltre un certo limite, si causa una
competizione tra le piante non solo per gli elementi nutritivi ma, soprattutto, per la luce.
Competizione che-1 come nel seguente
1 Acro =esempio
0,404 hadel1 frumento
cwt = 50,8porta
kg. all’abbassamento della
t ha
produzione granella prodotta ed una sostanziale indifferenza nella resa di biomassa totale.
7,53

5,03

2,51

kg ha-1 125 251 377 502

Connessi alla luce vi sono altri parametri delle piante dai quali dipende l’accrescimento,
lo sviluppo e la produzione. Tra questi se ne citano alcuni come:
 il LAI o indice fogliare (Leaf Area Index), che rappresenta il totale della superficie
assimilante attiva di tutte le foglie che insistono su 1 m2 . Il LAI viene espresso in cm2 su
cm2 ed è un mero puro.
 il NAR o intensità di assimilazione (Net Assimilation Rate) espresso in g m-2 giorno-1 di
sostanza secca prodotta per unità di LAI.
 Il LAD o durata dell’apparato assimilatore (Leaf Area Duration Index) espresso in
cm2 giorno o in m2 giorno.
 CGR o intensità di accrescimento (Crop Growth Rate) espresso in g m2 giorno o in kg
ha-1 giorno di sostanza secca prodotta.

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Variazione del LAI nel in alcune colture.

L’intensità d’accrescimento o CGR aumenta con l’aumentare del LAI e tanto più le
foglie tendono a superare i 45°.

La luce sotto l’aspetto della sua durata in ore ha un ruolo importante nei riguardi di
alcuni fasi della vita delle piante come fioritura, la senescenza delle foglie, ecc.. perché
incide sul fotoperiodo e sul fotoperiodismo.
È detto fotoperiodo il numero di ore giornaliero di illuminazione. Questo varia con la
latitudine e periodo dell’anno. In Italia il fotoperiodo va da ~ 9 h in inverno a ~15 h in
estate.
È detto fotoperiodismo la risposta delle. Ad esempio vi sono piante che non riescono a
fiorire se non esposte ad una precisa serie di cicli giornalieri di ore di buio e di luce.
In relazione a ciò vi sono:
 piante brevidiurne o longinotturne che fioriscono solo se sottoposte ad un determinato
n° di giorni corti quando le ore di luce non superano le 12 ore giornaliere ovvero quando
le ore di buio diventano superiori alle ore di luce (notti lunghe): es. soia, sorgo, patata,
riso, crisantemo, ecc.. . Le piante brevidiurne fioriscono all’inizio della primavera o in
autunno.
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 piante longidiurne o brevinotturne che fioriscono solo se sottoposte a un determinato
n° giorni lunghi quando le ore di luce superano le 14 ore giornaliere ovvero quando le ore
di buio diventano inferiori alle ore di luce (notti brevi): es. frumento, avena, orzo,
barbabietola, fava, trifoglio pratense, ecc... Le piante longidiurne fioriscono
principalmente in estate.
 piante neutrodiurne o fotoindifferenti che non risentono della lunghezza delle ore di
luce e di buio per fiorire: es. girasole, pisello, ecc. .
In realtà il fattore critico per l’induzione florigena non è la durata minima del luce quanto
la durata minima ininterrotta del buio.
In alcuni casi la risposta della pianta al fotoperiodo avviene solo se preceduta da
un’adeguata esposizione al freddo o vernalizzazione.
Il fotoperiodo critico (ore di buio necessarie per l’induzione florigena) è compreso tra le 14
ore nelle piante brevidiurne o loginotturne e 11 ore nelle piante longidiurne o
brevinotturne.
La percezione del fotoperiodo critico per l’induzione a fiore è affidata all’apparato
fogliare e la misurazione della durata del fotoperiodo avviene grazie alla presenza di
composto di natura proteica detto fitocromo che provoca la produzione dell’ormone
florigeno.
Il fitocromo si trova in due forme molecolari interconvertibili secondo la luce incidente:
 il Pr, sensibile alla lunghezza d’onda del rosso (660 nm - nanometri)
 il Pfr, sensibile alla lunghezza d’onda del rosso lontano (730 nm - nanometri)
Quando una molecola di Pr assorbe un fotone di luce nel rosso è convertita a in una
molecola di Pfr in 1 millesimo di secondo.
Quando una molecola di Pfr assorbe un fotone di luce nel rosso lontano di 730 nm è
riconvertita in modo altrettanto veloce alla forma Pr.
Queste reazioni sono chiamate “reazioni di fotoconversione”. La forma di Pfr è
biologicamente attiva. La forma Pr è biologicamente inattiva.
Piante loginotturne Piante brevidiurne

Luce Buio Fioritura Stadio vegetativo

Luce Buio Stadio vegetativo Fioritura

Luce Buio Buio Stadio vegetativo Fioritura

Breve illuminazione
La temperatura.
Altro elemento climatico è la temperatura dell’aria e del suolo.
In agrometeorologia per la misura della temperatura dell’aria si usano i termometri, per
quella del suolo i geotermometri. Questi sono detti termografi o geotermografi se
registrano le temperature su una striscia di carta graduata o su supporto magnetico.
I termografi/metri normalmente presenti nelle aziende agrarie sono posti, come tutti gli
altri strumenti per la raccolta dei dati climatici, entro capannine meteorologiche
tinteggiate di bianco poste a 2 m da terra, in luoghi che non risentono di effetti di bordo.

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In una normale capannina meteorologica oltre al termografo, si trova :
 il pluviografo collegato ad un imbuto poso sul suo tetto con sezione di 10 dm2 per la
raccolta dell’acqua piovana con all’interno un meccanismo a bilancere capace di
registrare su foglio, con durata giornaliera o settimanale, 0,2 mm di pioggia
corrispondente ad ogni scatto del bilancere. L’imbuto del pluviografo può essere dotato di
resistenze elettriche per sciogliere la neve. Per trasformare l’altezza della neve in altezza
di H2O si moltiplica per 0,1° viceversa.
 l’igrografo per la registrazione della umidità atmosferica.
 il barografo per registrare la pressione atmosferica.
 l’anemografo per registrare la velocità e direzione del vento.
Capannina meteorologica classica

Moderna stazione meteorologica

Pluviografo
Meccanismo a bilanciere del pluviografo

Termografo

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Igrografo
Anemografo

Barografo

La pressione atmosferica.
la Terra esercita una forza di attrazione gravitazionale su tutti gli elementi che sono su di
essa o che la circondano: atmosfera compresa.
La pressione è il rapporto fra la forza e l’area della superficie sulla quale si esercita: P =
F/S. L’unità di misura della pressione nel sistema internazionale (S.I) è il Pascal.
P = F:S = N:m2 = Pascal = Pa
Un Pascal o Pa corrisponde quindi alla pressione generata da una forza di 1 N applicata
perpendicolarmente sulla superficie di 1 m2 .
Con il Pascal è talvolta usata ancora una unità di misura, non appartenete al sistema
internazionale detta bar con relativi multipli e sottomultipli.
Per i multipli del pascal e la corrispondenza tra pascal e bar vedi lo schema e i dati di
seguito riporta

22
1 ettopascal (hPa) = 100 pascal = 0,001bar = 1 mbar
1 chilopascal (kPa) = 1.000 pascal = 0,01 bar = 10 mbar
1 megapascal = 1.000.000 di pascal = 10 bar = 10.000 mbar
100.000 pascal = 1 bar = 1000 mbar
La pressione atmosferica media sul livello del mare è 0,1013 Mpa = 101,3 kPa = 1013 hPa
= 101.300 Pa = 1,013 bar = 1013 mbar = 1 atm . La presine diminuisce con l’aumentare
dell’altezza sul livello del mare.
Altitudine in metri Pressione in hpa
Suolo 1.013
1.000 900
1.500 850
2.000 800
3.000 700
5.500 500
9.000 300
12.000 200

Per passare da hPa a mmHg, si moltiplica per 0,75. Per passare da mmHg a hPa si
moltiplica per circa 1,333 .
Non esiste, però, una relazione precisa tra quota e pressione. Infatti vari fattori, come la
temperatura e l’umidità, influenzano la pressione. La pressione scende quando la
temperatura sale. Infatti se la temperatura aumenta, l’aria si dilata, aumentando di
volume benché la sua massa rimanga costante. Così si verifica una diminuzione del peso e
quindi della pressione esercitata. Viceversa, quando la temperatura scende si avranno
degli aumenti di pressione.
Si considera,comunque, per le basse quote, una diminuzione della pressione di 1 hPa ogni
8 metri partendo dal livello medio del mare.
Sulla Terra esistono zone con pressioni diverse che tendono a equilibrarsi.
Ciò provoca uno spostamento d’aria, detto vento, dalle zone alta pressione verso zone a
bassa pressione. Il vento è quindi lo spostamento d’aria tra due punti con pressione
atmosferica diversa.

23
L’area in cui la pressione atmosferica ha un valore più alto che nelle zone circostanti è
detta area di alta pressione.
Nelle carte al suolo il suo centro è contraddistinto dalla lettera H, è indice di bel tempo.
L’area d’alta pressione è chiamata anticiclonica.

I un’area anticiclonica i venti soffiano in senso orario nell’emisfero nord e antiorario in


quello sud.
Dei dati riguardanti la temperatura sono importanti: la minima giornaliera rilevata 1 ora
prima del sorgere del sole; la massima giornaliera rilevata 2 ore dopo che il sole è allo
zenit ; la temperatura media giornaliera data dalla “temperatura massima + temperatura
minima:2” o, più esattamente, dalla media delle temperature registrate nelle 24 ore;
l’escursione termica data dalla differenza tra temperatura massima e minima.
Agronomicamente l’escursione termica, non solo giornaliera, ma anche mensile e annuale,
è importante per stabilire la possibilità di coltivare una specie agraria in una determinata
area. Le linee che uniscono, su una carta topografica, i punti con la stessa temperatura
(minima o massima o media) si dicono isoterme.
Le isoterme medie italiane dell’anno sono comprese tra i 13° e 18 ° C.

24
Come le isoterme sono importanti per la scelta delle specie da coltivare, altrettanto
importante è il n° di giorni di gelo all’anno o, al contrario, il n° di giorni con temperature
sopra gli 0° C detto periodo agelo.
Infatti per poter coltivare il periodo agelo deve essere, come minimo, di 90 giorni.
Le isoterme medie italiane del mese di Gennaio, il più freddo, sono comprese tra 2° e 10°
C°. Le isoterme medie italiane del mese di Luglio, il più caldo, sono comprese tra i 22° e i
30° C°.

n° giorni con temperature inferiori a 0° C

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La temperatura media dell’aria, misurata all’ombra, varia non solo durante la stagione
ma anche secondo la latitudine e l’altitudine.
Per quanto riguarda la temperatura media dell’aria, questa diminuisce aumentando:
 la latitudine di ≅ 0,6 ° C ogni 100 km (gradiente termico orizzontale)
 l’altitudine di ≅ 0,6 ° C ogni 100 m (gradiente termico verticale) fino a ≅ 10-12.000
metri.
Diminuzione della temperatura in gradi C in Italia per ogni 100 m di altitudine
Stagioni Alpi versante Appennino settentrionale Appennino meridionale
meridionale
Inverno 0,31 0,38 0,53
Primavera 0,60 0,61 0,67
Estate 0,70 0,51 0,50
Autunno 0,51 0,62 0,60
Media annuale 0,53 0.505 0.575
Talvolta, come nei versanti di alcune vallate alpine, all’aumento dell’altitudine non si
osserva una riduzione della temperatura dell’aria ma un fenomeno contrario.
È il fenomeno della inversione termica che può interessare uno strato d’aria vicino al
suolo anche di qualche decina di metri e che si verifica in notti serene e senza vento.
In queste situazioni si ha un forte irraggiamento notturno e un abbassamento della
temperatura dell’aria delle pendici che, più pesante, scende verso valle.
Questo scesa d’aria fredda determina uno spostamento d’aria più calda delle zone di
fondo valle verso l’alto.
L’inversione termica, se costante nel tempo, determina una selezione della vegetazione
naturale e una selezione delle colture agrarie che possono essere coltivate poiché quelle più
esigenti in temperatura verranno poste nelle zone con maggior altitudine e viceversa.
Fenomeno dell’inversione
termica

Per quanto riguarda l’importanza del rapporto tra la temperatura dell’aria e quella del
suolo è da evidenziare come questo incide sul momento ottimale per le semine.
In relazione a ciò è da tener conto che con l’aumentare della profondità del suolo la
temperatura tende progressivamente a diminuire rispetto a quella dell’aria e che il suo
valore massimo viene sfalsato, rispetto allo strato più superficiale, anche di diverse ore.
Ad es. tra la temperatura massima della superficie del suolo il 3 Agosto (circa 43°°C) e
quella massima del suolo a 10 cm di profondità (circa 20°C) intercorre circa 5 ore.

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Le piante, per il loro accrescimento, sviluppo e produzione, hanno delle temperature
dette:
 ottimali
 cardinali minime e massime, sotto e sopra le quali le funzioni vitali si arrestano
 critiche minime e massime, sotto e sopra le quali le funzioni vitali cessano.
Le specie agrarie sono definite macroterme” o microterme se sono più o meno esigenti in
fatto di temperatura.
Ad es. il sorgo è una specie macroterma mentre la segale e la coda di topo sono specie
microterme.
La temperatura dell’aria è importante anche perché influisce sulla vernalizzazione ossia
sull’induzione florigena per cui diverse specie passano dalla fase vegetativa a quella
riproduttiva solo se hanno ricevuto un certo numero di ore prossime a 0° C.
Queste piante sono dette criofile: vedi diverse cultivar di frumento, segale, molte specie di
graminacee foraggere, ecc.. .
Danni per eccessi di temperatura.
Le alte e basse temperature causano dei danni sulle piante che possono essere anche letali.
Danni dovuti ad alte temperature.
Danni dovuti ad alte temperature sono, nelle piante erbacee, la scottatura del colletto
mentre, in quelle arbustive e arboree, l’alterazione della zona del cambio. Per evitare
questi danni si possono proteggere le piante erbacee con reti ombreggianti o coltivarle
sotto piante da ombra e le piante arbustive e arboree colorando di bianco i tronchi e le
branche.
Danni dovuti a basse temperature.
Danni dovuti a basse temperature sono gli allessamenti dei tessuti vegetali con
denaturazione delle proteine citoplasmatiche e morte dell’organo colpito e nelle piante
arbustive e arboree, l’alterazione della zona del cambio .
Anche l’apparato radicale, con temperature del suolo prossime o sotto gli 0° C, è
danneggiato. Il danno consiste nella stasi o paralisi della funzione assorbente.
I danni dovuti alle basse temperature possano essere o precoci, se autunnali o tardivi, se
primaverili. I più pericolosi sono quelli primaverili perché trovano le piante in ripresa
vegetativa.
Mezzi di lotta contro le basse temperature.
Contro i danni dovuti alle basse temperature sono utilizzati i seguenti mezzi di lotta.
Mezzi anti-irradianti o schermanti.
Sono mezzi che creano uno strato opaco ai raggi infrarossi che tendono a disperdersi dal
suolo verso l’alto.

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Lo strato opaco solitamente è fatto con delle fumate bruciando materiale vario. La
protezione con questo sistema è valida solo in assenza di vento e per abbassamenti di circa
2-3°C sotto lo 0°C.
Mezzi dinamici.
Sono mezzi che rimescolano l’aria avente diversa temperatura.
In pratica si tratta di mescolare l’aria degli strati superiori più calda con quella degli
strati più bassi più fredda.
A tale scopo vengono utilizzati delle pale poste su torri alte circa 9-10 m azionate da
motori. L’efficacia massima della pala ha un raggio medio di circa 20 m. La velocità di
rotazione delle pale, lunghe circa dai 3 ai 5 m, varia tra circa i 600 agli 800 giri minuto.

Ventilatore antibrina in agrumeto

Mezzi termici.
Sono mezzi che portano al riscaldamento dell’aria o al riscaldamento delle parti del
vegetale colpite dalle basse temperature.
Il riscaldamento dell’aria avviene per irraggiamento fatto da bruciatori o fornelli, circa
150-200 ha-1 in arbusteti e arboreti, alimentati da combustibili tipo petrolio, nafta, oli
pesanti. Il rendimento è molto basso.
Si calcola che solo circa il 10 % del calore prodotto serve ad aumentare la temperatura
dell’aria a livello delle colture mentre circa il 90 % si disperde nell’alta atmosfera.
Il riscaldamento delle parti del vegetale colpite dalle basse temperature viene fatto con
l’irrigazione antibrina adatta, sia per gelate precoci che tardive, fino a -6° -7° C.
Questa tecnica sfrutta il calore latente di solidificazione dell’acqua.
Ogni g di H2O cede 80 cal (80 kcal kg-1) o 330 J g-1 nel passaggio dallo stato liquido a
quello solido.
Finché c’è acqua che congela, la temperatura dell’oggetto, su cui si verifica il passaggio di
stato, si mantiene con temperature prossime 0°C.
È importante far cadere ininterrottamente da irrigatori, posti a circa 8-10 m di altezza dal
suolo e distanti circa 30 m tra loro, per tutto il periodo di tempo con temperature inferiori
a 0°C, una pioggia ad bassissima intensità, da 1 a circa 3 mm ora-1, in modo da interessare
tutta la pianta compresi fiori, gemme, frutticini, ecc.. che così appaiono avvolti da ghiaccio
che però in continua formazione presenta una temperatura di poco sotto gli 0° C.
Il sistema è efficiente ma la sua efficacia dipende dall’irrigazione che come accennato deve
essere molto nebulizzata, fatta in modo continuo e con bassissima intensità.
Altro elemento da considerare per aver successo con questa tecnica è quello di continuare
ad irrigare fino a quando la temperatura dell’aria non raggiunge i 2-3° C.

28
Ciò perchè il ghiaccio sciogliendosi assorbe la stessa quantità di calore che ha ceduto
quando si è formato. In tal modo si evita danni da “scongelamento” per assorbimento di
calore. Effetto macroscopico dell’irrigazione antibrina

L’umidità dell’aria.
Di questo elemento climatico occorre evidenziare che esistono due tipi di umidità.
L’umidità assoluta: g di vapor acqueo contenuti in 1 m3 aria alla temperatura e pressione
atmosferica nel momento di osservazione.
L’umidità relativa: rapporto % tra i g di vapor acqueo contenuti in 1 m3 nel momento
dell’osservazione e i g vapor acqueo contenuti nel solito m3 aria se questa fosse satura alla
stessa temperatura e pressione.
Lo strumento che misura l’umidità relativa è l’igrometro quello che la misura e la registra
è l’igrografo. L’elevata umidità relativa comporta svariate problematiche quali: cattiva
impollinazione, ritardo nella maturazione dei semi, ostacolo alla fienagione, diffusione di
patogeni, ecc.. .
Le idrometeore.
Elementi climatici connessi con l’umidità dell’aria sono le idrometeore. Queste sono la:
rugiada, nebbia, brina, galaverna, pioggia e grandine
La rugiada.
La rugiada è la condensazione dell’umidità atmosferica sulle superfici quando la
temperatura scende sotto il “punto di rugiada” che è superiore agli 0°C.
Supposto di avere una massa d’aria a temperatura 20°C con 15,0 g di vapore acqueo m3,
corrisponde ad una umidità relativa di circa 86,7 % e che la temperatura atmosferica
scenda, con la solita pressione atmosferica, fino a 10°C , solo 11 grammi di vapore acqueo
possono essere contenuti in 1 m3 d’aria. L’eccedenza di 4 g di H2O deve condensare
ritornando allo stato liquido. Questo fenomeno è la formazione della rugiada.
Rugiada su foglia di Vitis vinifera

29
La rugiada è utile per la vegetazione perché la rifornisce di acqua. Nei climi desertici,
quando la temperatura si abbassa di molto durante la notte, la rugiada è spesso l’unico
modo con sia ha apporto di acqua alle piante.
La nebbia
Tutti i tipi di nebbia si formano quando l’umidità del m3 di aria supera, anche di
pochissimo, il 100% di quella che al massimo potrebbe contenere a quella temperatura e
pressione.
Superamento dovuto sia per evaporazione dell’acqua dal suolo che, come normalmente
accade, per abbassamento di temperatura dell’aria stessa.
In questa situazione si ha la condensazione del vapore acqueo ossia la formazione del
fenomeno della nebbia.
In reazione al raffreddamento dell’aria i seguenti più comuni tipi di nebbia.
 Nebbia da irraggiamento.
È nebbia che si forma in condizioni calma atmosferica dal raffreddamento del suolo dopo
il tramonto del sole per perdita di radiazioni termiche o raggi infrarossi quando il cielo
sereno.
Il suolo freddo provoca la condensazione del vapor acqueo nell’aria più vicina a questo.
La nebbia da irraggiamento è comune in autunno e di solito dopo il sorgere del sole
scompare.
 Nebbia da avvezione.
La nebbia da avvezione si produce all’interno di masse di aria umida e relativamente
calda che transitano su una superficie o una massa di aria fredda.
 Nebbia da evaporazione.
È nebbia che si forma dal passaggio d’aria fredda su acqua calda di palude, stagno o lago.
Il vapore acqueo evapora e condensa una volta raggiunto il punto di rugiada. È la forma
più locale di nebbia.
 Nebbia per inversione termica.
È la nebbia che si forma dall’inversione di temperatura causata dall’aria fredda più
pesante che si abbassa nella valle mentre l’aria più calda si innalza.
Si tratta di nebbia limitata dalla topografia locale e in condizioni di calma di vento può
durare diversi giorni.
La nebbia comporta problematiche agronomiche simili a quelle dovute all’elevata umidità
relativa dell’aria.
Brina.
Se l’umidità atmosferica condensa sul suolo e/o sulla vegetazione con temperature
inferiori a 0 °C si ha il fenomeno della brina. La brina è uno strato di cristalli di ghiaccio.
Se sopra questa passa ulteriore aria fredda e ricca d’umidità la brina aumenta di spessore.
La brina è molto pericolosa quando interessa le colture in stato vegetativo.
Brina su olivi

30
La galaverna o vetrone o gelicidio
La galaverna, non molto comune, per formarsi ha bisogno di nebbia o pioviggine e di
temperatura di circa -4° -7°C . Il deposito di ghiaccio si ingrossa sul lato degli oggetti
esposti al vento. Lo strato di ghiaccio, che si forma sul suolo e/o sulla vegetazione è
compatto. Per il peso del ghiaccio la galaverna può provocare rottura dei rami.

La pioggia.
La pioggia è la forma più comune di precipitazione atmosferica.
Per comprendere il fenomeno pioggia è utile, schematicamente, affrontare la formazione
della nube.
In determinate condizioni di temperatura e di pressione, un dato volume d’aria può
contenere, come accennato, vapore acqueo solo fino ad una certa quantità raggiunta la
quale diviene saturo.
Se in una massa d’aria in condizioni di saturazione il contenuto di vapore aumenta
ulteriormente allora la quantità di vapore in eccesso condensa sotto forma di goccioline.
Si ha la formazione delle nubi: agglomerati di microscopiche particelle d’acqua allo stato
liquido in sospensione nell’atmosfera.
La maggior parte delle nubi sono originate da processi di raffreddamento: al diminuire
della temperatura l’aria si avvicina alla saturazione essendo minore la quantità di vapore
che vi può essere contenuta.
La formazione delle gocce di pioggia è principalmente dovuta dalla condensazione del
vapor acqueo attorno a dei nuclei di condensazione, rappresentati da pulviscolo
atmosferico o microscopiche particelle di ghiaccio. Le dimensioni di questi nuclei sono in
micron ovvero in millesimi di millimetro.
Le gocce di pioggia, per cadere, devono però raggiungere dimensioni dell’ordine dei
millimetri.
Le gocce di pioggia non sono tonde sul fondo e strette verso l’alto ma sferiche e
solitamente piccole: mediamente hanno un diametro di 1-2 mm.
Le gocce più grandi sono molto appiattite a forma di panino, quelle più grandi ancora
sono a forma di paracadute.
Le gocce di pioggia molto grandi, eccetto in casi molto particolari, si dividono in tante
gocce più piccole prima di giungere al suolo.
Una parte della pioggia che cade non riesce a raggiungere la superficie del suolo in quanto
evapora.
In particolare quando la pioggia evapora cadendo quasi completamente nell’aria, perchè
attraversa strati di aria molto secchi, da origine al fenomeno detto virga.
In questo caso si ha sottrazione di molto calore e l’aria si raffredda notevolmente. Queste
porzioni d’aria molto fredda scendendo rapidamente verso il suolo creano piccole trombe
d’aria.
La pioggia normalmente ha un pH di poco inferiore a 6 solitamente per l’assorbimento di
CO2 che con H2O forma H2CO3. La pioggia con pH sotto 5,6 è considerata acida.
31
In alcune aree desertiche, il pulviscolo atmosferico contiene tanto CaCO3 da bilanciare la
naturale acidità della precipitazione cosi che la pioggia può essere neutra o addirittura
alcalina.
La pioggia ha un ruolo fondamentale nel ciclo dell’acqua sulla Terra.

Le piogge possono essere di tre tipi in relazione alla causa della condensazione del vapor
acqueo. La condensazione può essere dovuta:
1) per incontro d’aria caldo-umida con una massa d’aria fredda (piogge frontali)
2) per movimento ascensionale d’aria caldo-umida con conseguente raffreddamento
(piogge convettive)
3) per sollevamento di aria caldo-umida quando incontra un versante montuoso (piogge
orografiche) con conseguente raffreddamento.

Piogge frontali

Piogge convettive

Piogge orografiche

In molte aree dell’arco alpino particolari condizioni meteorologiche portano alla


formazione, nel versante sotto vento della catena montuosa, di vento caldo e secco detto
föhn.
Ciò è dovuto al fatto che nel versante sopra vento spirando vento umido questo
scontrandosi con le montagne salirà raffreddandosi. La conseguente diminuzione di
temperatura farà condensare il vapore acqueo determinando in questo versante piogge e
la massa di aria superate le montagne produrrà nel versante sotto vento il föhn.
32
La pioggia, come accennato, è registrata con il pluviografo che misura i seguenti
importanti parametri importanti per la scelta dei vegetali da coltivare: altezza, intensità e
durata
L’altezza indica la quantità di mm d’acqua che cadono sul suolo come se non vi fosse
infiltrazione, ruscellamento ed evaporazione: 1 mm corrisponde a 10 m3 di acqua ha-1.
L’altezza di pioggia può essere riferita all’anno, al mese, ecc.. In base all’altezza annuale
di pioggia esiste la seguente classificazione climatica.
Climi aridi : < 250 mm
Climi semiaridi : 250-500 mm
Climi subumidi : 501-750 mm
Climi umidi :> 751 mm
L’intensità indica la quantità di acqua che cade nell’unità di tempo e viene espressa in mm
h-1. In base a questo parametro si ha una classificazione della pioggia come sotto riportato.
Precipitazione Intensità ∅ gocce Velocità di caduta al suolo
in mm h-1 in mm in m s-1
Pioviggine 0,25 0,2 0,75
Pioggia leggera 1 0,5 2
Pioggia moderata 4 1,0 4
Pioggia forte 15 1,5 5
Pioggia violenta 40 2,0 6
Nubifragio 100 4,0 9
La durata indica il tempo durante il quale si verifica l’evento piovoso.
Altri importanti parametri che caratterizzano la pioggia sono la frequenza e la sua
distribuzione stagionale.
La frequenza indica il numero di giorni piovosi in un mese o in un anno. Questo
parametro è molto importante perchè serve a integrare il dato fornito dall’altezza di
pioggia.
È comprensibile come a parità di altezza di pioggia annua più questa è distribuita nel
tempo e meglio è per le colture e per la conservazione del suolo.
Anche la distribuzione stagionale è molto importante per i motivi prima citati.
Località Lat.N Inverno Primavera Estate Autunno Tot. Tipo di Clima
(D-G-F) (M-A-M) (G-L-A) (S-O-N) anno
Mosca (Russia) 56° 91 113 196 131 534 Temp. continentale
Parigi (Francia) 49° 111 137 271 155 574 Temperato
Roma (Italia) 45° 193 253 236 321 1003 Temperato
33
Milano (Italia) 42° 233 184 82 290 779 Mediterraneo
Palermo(Italia) 38° 287 175 33 250 745 Mediterraneo
Tripoli (Libia) 33° 208 40 2 112 362 Mediterraneo
Agades (Nigeria) 16° 0 8 124 13 145 Desertico
Bamako (Mali) 12° 12 79 701 295 1075 Di savana
Douala (Camerum) 4° 172 717 2019 1316 4134 Equatoriale
Baidoia (Somalia) 3° 21 292 38 234 585 Equat. bimodale

Come si può osservare dalla tab. sopra riportata, Palermo ha una altezza totale di pioggia
superiore a Parigi ma il fattore che contraddistingue le due località è il diverso numero di
mm di pioggia nelle 4 stagioni: simili in Francia, molo differenziati in Sicilia: 33 mm in
estate e 287 mm in inverno.
Connessi alla quantità di pioggia che cade nei singoli mesi sono i regimi pluviometrici che
indicano come l’altezza di pioggia è distribuita nell’anno.
In Italia si hanno i seguenti 5 regimi pluviometrici.
1) Regime continentale tipico del sistema alpino con massimo di piovosità nel periodo
estivo.
2) Regime prealpino tipico delle pre Alpi con distribuzione stagionale simile al precedente
con minimo di piovosità nel periodo invernale e con due massimi nei periodi autunnale e
primaverile (vedi Milano e Torino)
3) Regime appenninico, tipico dell’Appennino settentrionale e centrale, con minimo di
piovosità nel periodo estivo e due massimi nei periodi autunnale e primaverile.
4) Regime sublitoraneo, tipico delle coste adriatiche, ioniche e tirreniche fino a Salerno,
con minimo di piovosità più accentuato nel periodo estivo e con un massimo principale nel
periodo autunnale e con un massimo secondario nel periodo invernale
5) Regime mediterraneo, tipico della Campania meridionale, Calabria e Isole, con
massimo assoluto di piovosità nel periodo invernale e forte siccità estiva.
Grandine.
La grandine è l’idrometeora più dannosa in agricoltura per i danni fisici che arreca alle
piante.
La grandine è la condensazione e solidificazione del vapor acqueo negli alti strati
dell’atmosfera con temperature sotto gli 0° C attorno a dei nuclei di condensazione
costituiti da pulviscolo atmosferico. Il chicco di grandine, una volta formato, cade per
forza di gravità.
Se i nuclei di condensazione sono più di 100 per m3 di aria i chicchi di grandine sono
piccoli e si sciolgono prima di giungere sul suolo.
Se i nuclei di condensazione sono pochi, da 1 a 10 per m3 d’aria, i chicchi che si formano
sono grossi e giungeranno al suolo provocando danni.
In base al n° nuclei di condensazione è stata ideata la difesa con i razzi antigrandine con
jduro d’argento o ossido di zinco o di cerio, ecc...
Questa lotta si basa sul principio che i razzi, esplodendo alla quota dei cristalli di ghiaccio,
a circa 2500-3500 m di quota, diffondono nell’atmosfera piccolissime particelle di joduro
d’argento o ossido di zinco o di cerio, ecc.. .

Queste particelle formano moltissimi nuclei artificiali di condensazione simulando il


pulviscolo atmosferico. In tal modo si riduce il pericolo di grandinate dannose.
L’inseminazione della nube grandinifera può essere fatta anche con aerei o con fumate
fatte con appositi bruciatori a terra.
34
Tra i sistemi antigrandine più impiegati è da menzionare la rete antigrandine molto usata
per le colture arboree, arbustive e floro-vivaistiche. Le reti sono solitamente in polietilene,
leggere (55 g m2) e con maglie fitte e piccole (es. 3-6 x 7-8 mm).
L’uso delle reti antigrandine in un arboreto porta alla copertura di circa 6.000-7.000 m2 di
suolo per ettaro.

La difesa antigrandine può essere fatta anche per frantumazione del chicco con onde
sonore prodotte da cannoni posti a terra o mediante onde sonore prodotte dentro la nube
tramite razzi esplodenti. Le onde sonore alterano i processi di formazione dei chicchi di
grandine.
Prove condotte da autorevoli Enti hanno però dimostrato la scarsa efficacia pratica del
sistema.

Cannone ad onda d’urto

Evapotraspirazione
I dati delle precipitazioni per le colture hanno un’importanza relativa se non sono riferiti
al fabbisogno idrico dovuto alla evaporazione e alla traspirazione delle piante.
Questi processi dipendono dalla quantità d’energia presente sulla superficie tellurica,
dalle caratteristiche biologiche delle piante, dalla facilità con cui il vapor acqueo si
diffonde nell’atmosfera, ecc… .

35
La perdita di acqua dal suolo per questi fattori, misurata giornalmente, settimanalmente,
ecc.. espressa in l m-2 o m3 m-2 o l ha-1 o m3 ha-1, ecc.. , è detta evapotraspirazione o ET.
ET è fondamentale per la stima del fabbisogno idrico colturale ottimale per avere la
massima produzione di s.s. di biomassa.

Per la determinazione del fabbisogno idrico colturale ottimale un primo sistema è stato
quello basato sulla stima del consumo idrico unitario o Cet , dato dai litri di acqua
necessari per produrre 1 kg di sostanza secca per ciascuna specifica coltura.
Ma questo sistema si è dimostrato impreciso perché la quantità di acqua necessaria per
produrre 1 kg di sostanza secca è connessa alle caratteristiche climatiche degli ambienti
colturali: vedi tabella.
Valori di Cet (l H2O per 1 kg di S.S.) necessari in Italia per alcune colture.
Barbabietola Pianta intera 270-360
″ Radici 385-645
Erba medica Foraggio 645-1040
Frumento tenero Parte epigeica 265-480
″ Cariossidi 770-1320
Mais Parte epigeica 185-290
″ Cariossidi 385-560
Sorgo da granella Parte epigeica 190-250
″ Cariossidi 390-475
Trifoglio pratense Foraggio 505-835
Dalla tabella ora esposta infatti si può notare che per produrre 10 t di s.s. di erba medica
ha-1 anno-1 il fabbisogno idrico totale oscilla da circa 6.450.000 litri (6.450 m3 o 645 mm di
acqua perchè 1 mm H2O ha-1 = 10 m3) a circa 10.400.000 litri (10.400 m3 o 1.040 mm di
acqua) .
Oggi la stima del fabbisogno idrico colturale ottimale si basa sulla valutazione dell’ET
colturale.
L’ET di una coltura è riferibile a 2 tipi:
ET potenziale o di riferimento o ETo, decadica, mensile, annuale, ecc.. , di una superficie
a prato standard della graminacea C3 Festuca arundinacea cv. Alta in condizioni idriche,
nutrizionali, d’investimento, sanitarie ottimali, che copre perfettamente il suolo con una
altezza di circa 0,12 m.
Il prato deve essere di ampia superficie per evitare l’effetto “bordo” ossia il richiamo di
acqua da parte di aree incolte circostanti che aumenterebbe l’evapotraspirazione.
ET reale o ETr, decadica, mensile, annuale, ecc.. , che realmente si ha nella coltura in
condizioni di campagna.
Per la misura dell’ETo è possibile utilizzare il sistema automatizzato dell’evaporimetro
lisimetrico o lisimetro.
Questo è un cassone contenente suolo coltivato con la coltura di riferimento le cui
variazioni di umidità sono misurate per pesata.
Da queste pesate si calcola il consumo di acqua per kg di s.s. prodotta.

36
Lisimetro

Questo metodo è preciso ma costoso e laborioso per cui si ricorre a stima della ETo
ricorrendo a:
1) valori dell’evaporazione dell’acqua contenuta in particolari vasche evaporimetriche
nella specifica area oggetto d’indagine.
2) valori dell’evaporazione dell’acqua ottenuti dall’elaborazione matematica di dati
climatici del luogo.

1) Stima della ETo di riferimento con vasche evaporimetriche.


Poiché l’evaporazione di una superficie libera d’acqua e l’ETo sono altamente correlati
tra loro, con particolari vasche evaporimetriche, dette di classe A, tenute sempre piene
d’acqua, si può misurare, con dei particolari sensori, i mm di acqua evaporata.
Evaporimetro di classe A

Moltiplicando i valori dei mm evaporati per dei coefficienti, variabili da clima a clima, si
può stimare l’ETo.
Coefficienti per la stima dell’ ETo dall’evaporazione di una vasca evaporimetrica di classe A
0,7-0,8 Climi umidi
0,65-0,75 Climi semiaridi
0,55-0,65 Climi aridi
2) Stima della ETo di riferimento dall’elaborazione matematica di dati climatici del luogo.
Sono state proposte molte formule matematiche per arrivare alla ETo.
Tra queste si citano solo quelle di Thornwaite, una tra le più usate dato che richiede solo il
dato della temperatura atmosferica, di Penman e di Blaney-Criddle, precise ma più
complesse, dato che richiedono molti parametri climatici, a cui si rimanda a Testi specifici.
Però poiché le colture coltivate sono diverse da quella di riferimento, come lo sono tra
loro, sono stati valutati dei coefficienti colturali o Kc per stabilire l’evapotraspirazione
potenziale colturale o ETc per ciascuna specie agraria in modo da avere la massima
produzione di s.s. con il seguente procedimento: ETc = ETo x Kc
I vari Kc sono stati valutati sperimentalmente e variano da 0 a valori di poco superiore a
1,2 secondo lo stadio di sviluppo colturale.
37
Esempio di curva dei Kc per il
mais.

Kc di alcune colture
Colture Stadi di sviluppo
1 2 3 4
Barbabietola 0,35 0,78 1,20 0,70
Girasole 0,50 0,85 1,15 0,35
Mais 0,60 0,90 1,20 0,50
Mais ceroso 0,65 0,93 1,20 1,00
Sorgo 0,50 0,78 1,05 0,70
Erba medica 0,40 0,80 1,20 1,00
Per quanto ora esposto se nel mais, come esempio, i mm di H2O di ETo sono di 4 mm al
giorno e i Kc nello stadio di sviluppo 1, 2, 3 e 4 sono, rispettivamente, di 0,6 - 0,90 - 1,20 -
0,50 occorre moltiplicare i 4 mm per questi valori in modo da stabilire la quantità d’acqua
necessaria per avere , negli specifici stadi di sviluppo, la massima produzione di S.S. .
Nelle reali condizioni di campo la disponibilità di acqua per le piante è soggetta, in alcuni
stadi del loro sviluppo, a restrizioni: in Italia, come larga indicazione, nel periodo da fine
primavera a tutta l’estate per carenza di piogge.
Di conseguenza l’intensità dell’evapotraspirazione reale o ETr in questi periodi è più
bassa dell’evapotraspirazione colturale o ETc ottimale per la massima produzione di s.s. .
Poiché esiste uno sbilanciamento tra l’ETr e l’ETc, occorre far si che i valori dell’ETc e
dell’ETr tendano a coincidere per avere la massima produzione di s.s. .

ETc

ETr

38
Agronomicamente per tendere alla coincidenza tra l’ETr e l’ETc si può: irrigare; ridurre
l’eccesso di radiazione luminosa: lavorare in modo superficiale il suolo.
Il Vento.
Questo fattore meteorologico consiste nel movimento di masse d’aria generate da
differenze di pressione atmosferica.
Lo strumento per misurare e registrare la sua direzione e velocità è l’anemometro.
Il vento ha influenza sulle colture per i seguenti motivi: aumenta l’ET poiché l’aria, mossa
dal vento, è meno umida; favorisce l’essiccamento del suolo influenzando il momento per
le lavorazioni; favorisce l’essiccamento della granella e del fieno, determina la %
d’impollinazione delle piante; influenza la diffusione dei semi di piante infestanti a
disseminazione anemofila; può causare alterazioni delle gemme dei rami e dei fusti; può
provocare allettamenti delle colture erbacce; può provocare stroncamento o sradicamento
di alberi e arbusti; può determinare trasporto di sali e sostanze inquinanti presenti
nell’acqua del mare; può determinare erosione eolica; ecc..
La difesa agronomica contro venti pericolosi si attua tramite frangivento morti o vivi.
Il frangivento agisce sia riducendo l’energia cineteca della massa d’aria in movimento sia
deviandola dalle colture.
I frangivento morti sono solitamente costituiti da cannicciate ma possono essere anche reti
di polietilene fissate al suolo con appositi pali.

I frangivento vivi sono rappresentati da alberi o arbusti di discreta taglia disposti


perpendicolarmente alla direzione del vento dominante.
Il vento, incontrando la barriera frangivento, più o meno porosa, in parte lo attraversa,
frenando la sua velocità e in parte viene deviato in alto scavalcandola.
L’azione di difesa del frangivento inizia sopravento, circa 1-3 volte l’altezza delle piante, e
continua sottovento per una distanza pari a circa 10-15 volte l’altezza delle piante che
costituiscono la barriera.
Una barriera frangivento alta 10 metri avrà quindi una protezione sopravento di circa 10-
30 m e sottovento di circa 100-150 m .

Area sottovento protetta dal frangivento


39
L’efficacia del frangivento non dipende tanto dalla sua impermeabilità all’aria ma quanto
dalla sua giusta permeabilità. Permeabilità che deve essere di circa il 50 %.
Se il frangivento fosse impermeabile, il vento, scavalcandolo, determinerebbe, dietro
questo, una zona di bassa pressione con pericolosi fenomeni di turbolenza e un notevole
restringimento della zona protetta sottovento.

Troppo permeabile

Turbolenza
Troppo
imperme
Permeabilità giusta
abile

Molto importante per l’efficacia del frangivento è il profilo della sua sezione trasversale.
In relazione a ciò il frangivento deve essere costituito
- nella parte sopravento, da file di alberi o arbusti progressivamente crescenti in altezza
- nella parte sottovento da file di alberi o arbusti progressivamente decrescenti.
È necessario cioè che sopravvento vi sia un invito a superare la barriera e che sottovento
vi sia un profilo che non provochi turbolenze.

Forme di frangivento: A razionali , B non razionali.

I frangivento oltre ad essere una difesa meccanica dal vento, un ostacolo al trasporto della
salsedine e di sostanze inquinanti sono, cosa molto importante, un mezzo per incrementare

40
la produzione di biomassa di sostanza secca da parte della coltura poiché riducono la
perdita di acqua dal suolo per evaporazione.
Accanto a questi vantaggi ci sono degli svantaggi rappresentati da: sottrazione di
superficie coltivabile; ombreggiamento colture, massima se i filari sono orientati in
direzione E-O; competizione con le colture verso acqua ed elementi nutritivi; possibilità di
essere ospiti di parassiti delle colture: aumento del pericolo di brinate primaverili nella
zona immediatamente sottovento dato che l’aria, poco rinnovata, è ricca di umidità.
Una cosa da non sottovalutare nella costituzione dei frangivento è che le specie arboree da
utilizzare devono avere legno di buona qualità dato, che a fine carriera agronomica della
barriera, viene espiantata. Se il legname ricavato dall’espianto ha un buon prezzo di
mercato questo può risultare un reddito non indifferente per l’Azienda.
Tra gli altri elementi climatici agronomicamente importanti da citare per la crescente
importanza che oggi rivestono sono: l’anidride carbonica; le piogge acide; l’effetto serra;
il buco nello strato di ozono.
Anidride carbonica o biossido di carbonio o CO2.
La CO2 in natura oltre a provenire dalla respirazione degli organismi viventi marini e
terrestri, dalle combustioni, dai vulcani, deriva anche dal suolo per la mineralizzazione
della sostanza organica in questo contenuta.
Nei anni precedenti al 1850 la concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera è
sempre rimasta compresa tra 190 e 290 parti per milione o 0,019 % e 0,029 %, con lente
variazioni.
Oggi la quantità media di CO2 nell’aria è però di circa 350 ppm ossia 0,035 % e si
prevede in aumento.
Questo aumento, dovuto all’attività umane, sta portando a delle notevoli problematiche
ambientali dovute all’incremento dell’effetto serra del nostro pianeta comportante
l’incremento medio della temperatura dell’atmosfera terrestre.

Piogge acide
Naturalmente la pioggia ha, come prima accennato, un pH di poco inferiore a 6.
Le piogge acide sono piogge con sostanze minerali in sospensione o in soluzione che
determinano un elevato marcato del pH.
Queste sono particolarmente presenti nell’entroterra dove nell’aria si hanno discrete
quantità di inquinanti di origine antropica.
L’attenzione sulle piogge acide e le problematiche ambientali da queste derivate é andata
fortemente aumentando negli ultimi 20-25 anni nel corso dei quali è stato evidenziato il
ruolo dell’inquinamento antropico dell’atmosfera come il fattore determinante il
fenomeno in particolare legato ai processi dovuti alla combustione di sostanze fossili nelle
centrali termiche, nei complessi industriali, negli impianti per il riscaldamento, negli
autoveicoli, ecc….
Tra le sostanze inquinanti responsabili dell’acidificazione delle piogge derivate dalla
combustione annoverano, per importanza: gli ossidi di S, in particolare il biossido di S o
anidride solforosa o SO2 e l’anidride solforica o SO3; il monossido o NO e il biossido di
azoto o NO2; anidride carbonica o CO2.
Sotto l’aspetto agronomico le piogge acide determinano:
 effetti caustici sulle piante

41
 una notevole alterazione fertilità chimica e biologica del suolo connessa alla forte
riduzione del suo pH dovuto alla formazione degli acidi H2SO3 , H2SO4 , HNO3 e H2CO3.
In particolare gli effetti delle piogge acide sui suoli dipendono dalla loro quantità e qualità
e dall’infiltrazione e permeabilità del suolo.
Se la quantità di pioggia è in relazione al regime pluviometrico dell’area e la qualità della
pioggia acida dipende dalla prevalenza dei composti chimici, prima citati, presenti in
queste l’infiltrazione e la permeabilità dipendano dalle caratteristiche fisiche del suolo.
Piogge acide: formazione di acido solforico e di acido nitrico in seguito alla presenza
del biossido di zolfo e ossidi di azoto nell’aria.

I danni maggiori a livello di suolo dovuti alle piogge acide sono provocati dall’anidride
solforosa o SO2 in queste contenuta e dalla sua trasformazione in H2SO4. H2SO4 che una
volta formatosi libera porta alla messa in circolo nella soluzione tellurica di elementi
metallici tossici: vedi in particolare lo ione Al3+ tossico sia per i vegetali che per gli animali
che lo ritrovano nell’acqua per l’abbeverata.
La ricaduta al suolo delle sostanze inquinanti tramite possono avere origine in luoghi
molto distanti da dove sono prodotte poiché trasportati da correnti aeree. In relazione a
ciò la previsione e conoscenza della direzione dei venti è molto importante per prevedere
“flussi acidi”.

42
Effetto serra.
Da sempre la Terra è interessata dalle radiazioni solari che riscaldando le acque, il suolo e
l’atmosfera rendono possibile la vita.
Questo è possibile per l’effetto serra dovuto nella quasi totalità ai seguenti gas atmosferici
naturali: CO2 (biossido di carbonio o anidride carbonica), CH4 (metano), O3 (ozono), N2O
(protossido di azoto).
Questi hanno due importanti funzioni: filtrano le radiazioni provenienti dal sole;
ostacolano la totale uscita delle radiazioni infrarosse emesse dal suolo verso lo spazio.
In relazione a ciò da non escludere tra questi composti serra il vapore acqueo che, pur non
essendo un gas, ha la capacità assorbire di raggi calorifici.
L’effetto serra è quindi un fenomeno naturale da sempre esistito sulla Terra grazie quale
il pianeta ha una temperatura consona alla vita. Senza l’effetto serra la temperatura del
globo sarebbe fredda e la vita impossibile.
Questo effetto naturale è però oggi sconvolto dall’alterazione quantitativa e qualitativa dei
citati gas serra dovuta all’uomo.
In particolare l’alterazione qualitativa è connessa all’introduzione di gas serra dovuti
all’attività industriale come i clorofluorocarburi (CFC), idrofluorocarburi (HFC),
perfluorocarburi (PFC) e l’esafluoruro di zolfo (SF6).

43
Gas serra : stima della loro percentuale nell’atmosfera nel 1990
Composto CO2 NH4 CFC N2O O3
Fonte Combustibili Processi di Plastiche Fertilizzanti, Reazioni
fossili (∼∼8 fermentazione espanse (∼ ∼ concimi, chimiche tra
0%) animale 26%), spray combustibili idrocarburi e
e biomasse (∼ ∼30%), (∼
∼25%), fossili, ossidi di azoto il
(∼
∼ 20%) processi di solventi (∼
∼ biomasse e presenza di luce
decomposizion 19%), modificazion solare.
e biologica condizionato i dell’uso del Principali fonti
nelle risaie ri d’aria e suolo scarichi dei
(∼
∼25%), circuiti motori a
paludi e refrigeranti scoppio e
tundre (∼
∼20%), ), atro combustione
(∼
∼20%), (∼ 10 %) combustibili
combustione e fossili)
fermentazione
delle biomasse
e dei rifiuti
animali
(∼
∼15%),
giacimenti di
combustibili
fossili (∼
∼10%).
Concentra 350 ppm nel 1.675 ppm nel ∼340 parti ∼0,392 parti ∼100 ppm in
zione 1990. 1987. Crescita per miliardo per miliardo volume nel
nell’aria Crescita anno ∼ 0,8-1% o ppb solo o ppb in 1985. Crescita
anno ∼0,3%
∼ per CFC per volume nel ∼1 % anno
i CFC più 1986.
diffusi. Crescita ∼4
Crescita % anno
anno ∼0,2%

Assorbimen 1 30 10.000 150 2.000
to calore
rispetto CO2
In base all’altissima correlazione tra la concentrazione CO2 e la temperatura media della
terra, recenti previsioni sui modelli matematici indicano che la temperatura aumenterà di
~ 1°C entro il 2040 se non verranno presi provvedimenti nel limitare le emissioni di CO2.
Anche se le temperature medie dell’atmosfera stanno salendo lentamente, le conseguenze
che l’effetto serra provocherà sull’ecosistema saranno catastrofici.
In particolare lo scioglimento dei ghiacci polari e continentali provocando l’innalzerà il
livello medio del mare con scomparsa di gran parte delle aree costiere come la
desertificazione e la siccità tenderà ad accentuarsi provocando dalle aree sub-tropicali e
tropicali forti flussi demografici .

44
Di seguito le previste devastanti conseguenze in Egitto dell’innalzamento di 1 m del livello
medio del Mar Mediterraneo a causa dell’effetto serra.
Le aree bianche sono quelle che saranno progressivamente sommerse dalle acque.

I trattati mondiali sull’effetto serra


Il più importante trattato internazionale contro l’effetto serra è il Protocollo di Kyoto
siglato nel 1998 tra le nazioni del mondo per contenere le emissioni dei gas serra entro il
2012. Il protocollo di Kyoto è un accordo per diminuire le emissioni globali di gas serra
del 5,2% entro il 2008-2012. Siglato nel 1998, è entrato in vigore nel 2004 con la ratifica
della Russia, paese responsabile del 17,4% delle emissioni mondiali. Tra i paesi non
aderenti si trovano gli USA, responsabili del 36,1% del totale delle emissioni gassose
mondiali.
Buco nell’ozono
L’ozono è un gas costituito da tre atomi di ossigeno (O3) che protegge la biocenosi dalle
pericolose radiazioni ultraviolette o UV. Lo strato di ozono è localizzato nella stratosfera a
circa 30 km di altezza da terra. È più spesso sulle zone equatoriali e più sottile sulle aree
polari.

45
L’O3 risulta in equilibrio dinamico con l’O2 tramite il seguente meccanismo:
 le radiazioni solari con lunghezza d’onda inferiore ai 242 nm dissociano l’ossigeno
molecolare in ossigeno atomico che tende a combinarsi facilmente con le molecole di
ossigeno molecolare originando ozono: O + O2 > O3
 le molecole di O3 formate assorbono le radiazioni solari con lunghezza d’onda tra 240
e 340 nm, generando, per fotolisi, un atomo di O ed una molecola di ossigeno: O3 > O + O2
Con queste reazioni la quantità di ozono tende a mantenersi costante.
Negli ultimi decenni però la presenza di ozono nella stratosfera ha iniziato sensibilmente a
diminuire per effetto di alcuni inquinanti gassosi prodotti dall’attività umana.
Attualmente la riduzione dell’ozono è di circa il 5% ogni 10 anni.
Particolarmente evidente è l’assottigliamento dello strato di O3 sopra il Polo Sud tanto da
far parlare di “buco nello strato d’ozono”.
Il buco nello strato d’ozono danneggia gli ecosistemi perché i raggi UV meno trattenuti
inibiscono la fotosintesi clorofilliana, riducendo il fitoplancton oceanico, il primo anello
della catena alimentare marina e la biomassa vegetale terrestre, il primo anello della
catena alimentare non acquatica.
La riduzione dello strato di O3 incide anche indirettamente sulla vita animale poiché i
raggi UV determinano mutazioni del DNA causando a vari tipi di cancro.
Le sostanze inquinanti che riducono l’O3 sono dette ODS: Ozone Depleting Substances.
Tra i principali inquinanti che causano la riduzione dell’O3 sono i clorofluorocarburi o
CFC che sono utilizzati come refrigeranti, solventi o propellenti e gli idroclorofluoro
carburi o HCFC utilizzati al posto dei CFC.
Entrambe le sostanze si degradano per effetto dei raggi ultravioletti rilasciando atomi di
cloro che contrastano la formazione di O3 3. L’impatto dei HCFC sull’O3 è comunque
minore rispetto a quello dei CFC. Anche i composti che contengono bromo sono
pericolosi, per il solito motivo del Cl, per l’O3: vedi i gas bromofluorocarburi come il gas
Halon utilizzato per estinguere il fuoco. Tra le sostanze implicate nella degradazione
dell’O3 sono da citare il metilcloroformio, il tetracloruro di carbonio ed il bromuro di
metile che hanno atomi di cloro o bromo.
Formazione e caratteristiche fisiche del suolo.
La Terra, con raggio di 6.368 km, è formata da tre gusci concentrici, che procedendo da
l’esterno verso l’interno sono:
 la crosta o litosfera, divisa in crosta continentale o Sial, termine derivato da Silicio e
Alluminio, con densità di circa 2,7 g cm-3 e con circa 40-70 km di spessore e crosta
oceanica o Sima , termine derivato da Silicio e Magnesio, con densità di circa 2,9 g cm-3 e
circa 3-7 km spessore.
 il mantello, diviso in superiore, zona di transizione e inferiore, con densità tra circa 3,5
e circa 4,3 g cm-3.
 il nucleo”diviso in esterno, allo stato fluido ed interno, allo stato solido fatto
prevalentemente da Fe, Ni e poco Si con densità tra circa 12,5 e circa 13 g cm-3 .

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Il suolo, che costituisce la pedosfera, si trova nell’interfaccia “crosta terrestre
continentale-atmosfera” e deriva dalla profonda alterazione delle rocce superficiali
continentali.
Mentre il suolo naturale ha una profondità che può variare da una minima di pochi
centimetri a una massima di 6-8 m quello agrario ha una profondità che solitamente non
supera i 50-80 cm.
Le rocce presenti nella crosta terrestre che originano il suolo sono di 4 tipi: vulcaniche o
eruttive; piroclastiche; sedimentarie; metamorfiche.
Rocce vulcaniche o eruttive.
Le rocce vulcaniche, derivante dal magma, si dividono in: intrusive, quando il magma si
solidifica all’interno della litosfera; effusive, quando il magma si solidifica sulla superficie
della litosfera; filoniane, quando il magma si solidifica in condizioni intermedie in fessure
della litosfera.
Le rocce vulcaniche si dividono, in base alla percentuale di silice o SiO2 che contengono,
in: acide (> 65%), neutre (52-65%) e basiche (< 52%).
Ad es. , rocce eruttive acide effusive sono i porfidi e rioliti; rocce eruttive acide intrusive
sono graniti e le quarziti; rocce eruttive basiche effusive sono i basalti e leuciti; rocce
eruttive basiche intrusive: gabbri e serpentine
Rocce piroclastiche.
Sono rappresentate da ceneri, lapilli, ecc.. che, prodotte dalle eruzioni vulcaniche, si
depositano sulla superficie terrestre. Queste rocce sono dette tufi.
Le rocce sedimentarie.
Le rocce sedimentarie sono rocce che si originano da processi di:
1) sedimentazione sui fondi marini di materiali erosi da rocce già formate e successiva
loro compattazione e cementazione.
2) natura chimica
3) natura organogena
4) natura mista.
Rocce derivate da processi di compattazione e cementazione di sedimenti marini sono i
conglomerati, le sabbie e le argille come, ad es. , il galestro; l’arenaria della formazione del
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Macigno nella forma con cemento argilloso detta pietra serena e con cemento argilloso-
calcareo detta pietra forte.
Rocce derivate da processi di natura chimica sono quelle originate dall’evaporazione delle
acque come la roccia calcarea travertino. Rocce derivate da processi di natura organogena
sono quelle derivate dall’esoscheletro di esseri mari come le rocce calcaree marmo e
dolomia. Rocce derivate da processi di natura mista sono quelle originate da processi di
sedimentazione di materiali erosi sui fondi marini e processi di natura organogena seguiti
da compattazione e cementazione come le rocce calcaree alberese e marna che differiscono
tra loro per la % d’argilla della loro componente clastica.
Le rocce metamorfiche.
Le rocce metamorfiche sono rocce eruttive o sedimentarie sottoposte o per contatto e/o per
dislocazione in profondità nella crosta terrestre a temperature e pressioni elevate.
Temperature e pressioni elevate che determina una modificazione fisica e chimica dei
materiali originari detta diagenesi. Caratteristica delle rocce metamorfiche è la scistosità
ossia la disposizione orientata dei componenti minerali che le rende divisibili secondo
piani paralleli. Rocce metamorfiche sono, ad es. , gli gneiss; i micascisti; i calcescisti; gli
scisti quarzosi.
Rocce e loro alterazione.
Le rocce si alterano per fenomeni fisici, chimici e biologici.
I fenomeni fisici sono connessi:
 al calore. Questo agisce creando delle soluzioni di continuità nelle rocce sia dilatando o
contraendo in modo diverso i minerali che le compongono sia determinando il passaggio
dell’acqua presente nelle fessure delle rocce dallo stato liquido a quello solido.
L’acqua gelando aumenta del 9% in volume esercitando una pressione di 165 g cm2 con
forte azione disgregante. I fenomeni dovuti al calore detti termoclastismo e crioclastismo.
 alla forza di gravità. Questa determinando la caduta verso il basso di rocce non stabili
che, a loro volta, per reazioni di caduta a catena, ne creano altre, porta alla disgregazione
fisica della roccia.
 al vento. Questo trasportando in sospensione nell’aria minuscole particelle solide
determina effetti abrasivi sulle rocce inalterate.
Fenomeni che determino la disgregazione meccanica della roccia.

Calore Gravità Vento

Roccia inalterata Roccia modificata come forma e dimensione

I fenomeni chimici sono connessi:


 all’azione solvente dell’acqua. L’acqua ha azione solvente molto bassa sui minerali ma
con la CO2 in questa disciolta e con temperatura elevata ha un’azione più marcata.
Tipico caso è la formazione del bicarbonato di calcio dal carbonato di calcio cristallino o
marmo per l’azione dell’acqua carbonicata.
H2O + CO2 ↔ H2CO3 ; H2CO3 + CaCO3 ↔ Ca(HCO3)2
Sempre per azione solvente dell’acqua ricca di CO2 le miche, i feldspati ed i plagioclasi
possono rilasciare degli elementi metallici trasformandosi in altri minerali più
disgregabili. Questo processo è noto come weathering dei silicati.
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 All’azione idratante dell’acqua. Questa azione consiste nella introduzione di molecole
di acqua nella struttura cristallina del minerale che così diventa fisicamente instabile.
Fenomeni di idratazione dei minerali contenenti ossidi di ferro e alluminio
Ferro
Progressivo inserimento di Colore
molecole di H2O
Ematite Fe2O3 Rosso
Goetite Fe2O3 . H2O
Limonite 2Fe2O3 . 3H2O
Xantosiderire Fe2O3 . 2H2O
Limnite Fe2O3 . 3H2O Giallo

Alluminio
Diasporo Al2O3
Bauxite Al2O3 . 2H2O
Idrargillite Al2O3 . 3H2O

 all’azione idrolizzante. È legata alla dissociazione ionica dell’acqua (H2O ↔ H+ + OH-).


Un esempio è : K-silicato + H2O H-silicato + KOH
 all’azione ossidante dell’ossigeno. L’azione dell’ossigeno veicolato dall’acqua sui
minerali delle rocce porta alla destabilizzando delle loro strutture cristalline.
Un esempio è l’ossidazione della pirite a solfato ferroso e acido solforico:
FeS + H2O + 7O > FeSO4 + H2SO4

Azione Azione Azione Azione


solvente idratante idrolizzante ossidante

Roccia inalterata Roccia modificata


nella costituzione
chimica

I fenomeni biologici sono connessi all’azione degli organismi viventi.


La roccia è inizialmente disgregata da organismi detti pionieri. Tipici organismi pionieri
sono i licheni, formati dalla simbiosi di un’alga, generalmente della famiglia delle
Cyanophiceae o alghe azzurre o delle Chlorophiceae o alghe verdi, con un fungo.
L’alga, mediante la fotosintesi, fornisce le necessarie fonti di carbonio al fungo mentre
quest’ultimo è in grado di fornire gli elementi nutritivi minerali all’alga degradano la
roccia. Oltre al licheni esistono altri organismi pionieri, come batteri, attinomiceti e funghi
che sono in grado di solubilizzare silicati e fosfati, che compongono la roccia. La
disgregazione della roccia è poi proseguita dalle piante superiori per produzione di
prodotti metabolici come acidi organici e inorganici e per l’azione meccanica delle le
radici che, penetrando nelle fessure rocciose, possono esercitare pressioni di circa 10 atm
cm-2.

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Pedogenesi: la formazione del suolo.
Il suolo deriva dall’alterazione della roccia madre o sub-strato pedogenetico per il
processo della pedogenesi che dipende dai seguenti 5 fattori:
1) roccia madre o sub-strato pedogenetico
2) tempo
3) clima
4) morfologia
5) organismi viventi Tempo
Roccia madre / sub strato Suolo

Clima Morfologia Organismi viventi


Il suolo è un sistema in equilibrio dinamico con i 5 fattori prima citati e tende ad una fase
di climax o di maturità che è in funzione delle caratteristiche ambientali.
L’evoluzione del suolo può essere di tipo progressivo, tendente al raggiungimento della
maturità, o regressivo, tendente al ritorno a roccia madre o substrato pedogenetico.
Sotto l’azione dei fattori della pedogenesi nel suolo si viene a differenziare un profilo
costituito da orizzonti.
Teoricamente nel profilo di un suolo naturale si possono riscontrare i seguenti 6 orizzonti
di cui alcuni possono mancare perché il suolo non ha raggiunto ancora la fase di maturità
o perché soggetto ad evoluzione regressiva.
Gli orizzonti sono rappresentati da:
 un orizzonte superficiale detto “lettiera” indicato con il simbolo 0 o A0 caratterizzato
dalla sostanza organica indecomposta e parzialmente decomposta.
 un orizzonte A, costituito da sostanza organica decomposta e da sostanze minerali,
soggetto al loro allontanamento verso il basso per il processo di eluviazione e per tale
motivo detto orizzonte eluviale.
 un orizzonte di transizione “A-B”.
 un orizzonte B caratterizzato dal deposito di sostanze provenienti dall’orizzonte A per
il processo di illuviazione e per tale motivo detto orizzonte illuviale.
 un orizzonte C detto substrato pedogenetico formato o dalla roccia madre alterata o da
materiale roccioso portato sulla roccia originaria del posto da vari agenti di trasporto:
vento, acqua, ecc..
 un orizzonte R rappresentato dalla roccia madre inalterata o substrato pedogenetico
Di seguito schematicamente i sette punti della formazione e morte del suolo naturale
1) Roccia madre o substrato pedogenetico.
2) Azioni fisiche e chimiche. Formazione di un piccolo strato minerale e pochi organismi
pionieri detto litosuolo.
3) Formazione di minerali argillosi da feldspati, anfiboli, pirosseni, ecc.. e colonizzazione
del detrito con piante inferiori e superiori con inizio di formazione di humus; si ha la
formazione del suolo p.d. .
4) Azione dell’acqua carbonicata con formazione di bicarbonati solubili, allontanamento
delle basi con riduzione del pH, migrazione verso il basso dei colloidi che da flocculati
passano a deflocculati per carenza di basi: formazione dell’orizzonte lisciviato o eluviale.
5) Nello strato più profondo del suolo nuova flocculazione dei colloidi per pH più elevato
dovuta a maggiore concentrazione basi. Si arresta la migrazione dei colloidi: formazione
dell’orizzonte di accumulo o illuviale.
50
6) Raggiungimento della maturità o fase climax del suolo o perdurare della lisciviazione
fino a morte del suolo con comparsa del litosuolo.
7) Possibile ripresa della pedogenesi.
Il suolo agrario
Con l’attività agricola, molte delle aree con suolo naturale presentano oggi un suolo
agrario.
Suolo
agrario
Roccia

Substrato
pedogenetico

Azione dell’uomo
Sostanza
organica

Suolo naturale

Nei suoli agrari le attività meccaniche portano al continuo rimescolamento degli orizzonti
superficiali con quelli profondi. In questi suoli la pedofauna é solitamente ridotta e poco
biodiversificata.
L’intensa aerazione dovuta alle lavorazioni stimola l’ossidazione microbiologica portando
ad una riduzione della sostanza organica.
Gli Agronomi, diversamente dai Pedologi che distinguono nel suolo 6 possibili orizzonti in
precedenza schematicamente evidenziati, individuano nei suoli agrari, per motivi pratici,
solo due orizzonti: il suolo e il sottosuolo.
Il suolo è, a sua volta, diviso in: a) strato attivo, ricco d’aria, di elementi nutritivi
disponibili, di S.O. , d’attività biologica, soggetto a periodiche lavorazioni, concimazioni o
fertilizzazioni e ospitante gran parte degli apparati radicali delle colture b) strato inerte,
povero o molto povero d’aria, di elementi nutritivi disponibili, di S.O. , d’attività
biologica, saltuariamente soggetto a lavorazioni, non interessato direttamente dalle
concimazioni e fertilizzazioni ed ospitante minima parte degli apparati radicali delle
colture.
Il sottosuolo è rappresentato dal substarto pedogenetico che può essere autoctono, ovvero
formato dalla roccia madre alterata sul posto o alloctono, ossia formato da frammenti
rocciosi trasportati con vari agenti sullo strato roccioso locale ma senza nessun rapporto
fisico e chimico con questo ultimo.
In relazione agli agenti del trasporto dei frammenti rocciosi i substrati alloctoni si
dividono in alluvionali, colluviali, morenici ed eolici se gli agenti sono, rispettivamente,
l’acqua, la forza di gravità, il ghiaccio e il vento.
51
Suolo agrario
Suolo Strato attivo
Strato inere
Sottosuolo Substrato pedogenetico autoctono o alloctono

Nel suolo agrario, come nel suolo naturale, si distingue una fase solida inorganica e
organica, una fase liquida, una fase gassosa e una componente biologica.
Suolo agrario: composizione % ritenuta ottimale sul volume totale
Parte vuota del suolo rappresentata dalla porosità 25 % Aria
25% Acqua disponibile per le
piante
Acqua non disponibile
per le piante
Parte piena del suolo rappresentata dalla frazione 50% Solidi
minerale e organica
Fase solida del suolo.
La fase solida, che raggiunge circa il 98% del peso secco del suolo, è caratterizzata dai
seguenti parametri: densità reale e apparente; porosità; tessitura o granulometria;
struttura.
Densità reale e apparente
La densità reale (Dr) o peso specifico reale (PSr) è il peso dell’unità di volume in g cm-3 o
in kg dm-3 o in t m-3 esclusi gli spazi vuoti e si misura in laboratorio con il picnometro.
La densità reale varia ai minerali costituenti il suolo. Le singole frazioni inorganiche del
suolo hanno, in genere, i seguenti valori: sabbia 2,65-2,7; limo 2,60-2,65
; argilla 2,50-2,60; calcare 2,60-2,80; ematite 5,0.
La densità apparente (Da) o peso specifico apparente (PSa) è il peso dell’unità di volume
in g cm-3 o in kg dm-3 o in t m-3 del suolo prelevato indisturbato ed essiccato compreso gli
spazi vuoti. Questa varia in base alle caratteristiche granulometriche e % di sostanza
organica infatti i suoli organici presentano valori inferiori a 1, i suoli argillosi circa 1,1, i
suoli limosi circa 1,2 e i suoli sabbiosi circa 1,3 .
Porosità
La porosità è la % di spazi liberi nell’unità di volume. La porosità del suolo può essere
considerata o come porosità totale o come macroporosità o come microporosità.
La porosità totale, che è la somma della macroporosità più la microporosità, si calcola
con la seguente formula: (Dr-Da):Dr x 100.
La porosità totale varia in relazione al tipo di suolo: suolo sabbioso circa 45-50 % ; suolo
limoso circa 50-55 %, suolo argilloso circa 55-60 % suolo organico circa 65-75 %.
Come prima accennato la porosità totale del suolo si divide in: macroporosità relativa a
pori con Ø superiore a 0,009 mm o 9 µm e microporosità relativa a pori con Ø inferiore a
0,009 mm o 9 µm
Nei macropori con Ø a 0,06 mm (60 µm) e superiore a questo i movimenti dell’acqua per
forza di gravità sono molto rapidi. Questa porosità è detta porosità di aerazione.
Nei macropori con Ø tra 0,06 mm (60 µm) e 0,009 mm (9 µm) i movimenti dell’acqua per
forza di gravità sono possibili ma progressivamente sempre più lenti.
52
Nei micropori con Ø di 0,009 mm (9 µm) e inferiore a questo l’acqua non si muove più per
forza di gravità e rimane trattenuta in questi.
Per un buon sviluppo radicale la porosità totale del suolo non dovrebbe essere inferiore al
25% sul volume: Una % inferiore a provoca fenomeni di asfissia radicale.
Il ∅ dei pori del suolo, influisce sulla presenza e diffusione della microflora tellurica. Ad
es. la cellula batterica ha, in media, una lunghezza di circa 2 µm ed un diametro di circa
0,5-1 µm per cui occorre avere nel suolo micropori con ∅ superiori a 1 µm perché la
cellula batterica possa diffondersi in questo.
In un suolo ideale la porosità totale dovrebbe essere rappresentata per circa il 50-60% da
macroporosità e per circa il 50-40% rappresentata da microporosità.
I fattori che più influenzano la porosità nel suolo sono: la % di S.O. ; le lavorazioni, che
incrementano temporaneamente la porosità totale da circa il 15 % fino a circa il 65 %; il
gelo, che incrementa temporaneamente la porosità totale da circa il 15% fino circa 20 %.
A parità di porosità totale nei suoli sabbiosi prevale la macroporosità sulla microporosità
e nei suoli argillosi viceversa.
Tessitura o granulometria.
Tutte le più importanti Società mondiali di pedologia, come Società Internazionale della
Scienza del Suolo (IASS), il Dipartimento dell’Agricoltura degli U.S.A. (USDA) e la
British Standard Institution (BSI) dividono il suolo in due grandi gruppi dimensionali : a)
lo scheletro rappresentato da particelle con Ø superiore a 2 mm, b) la terra fine
rappresentato da particelle con Ø inferiore a 2 mm..
La tessitura o granulometria è la distribuzione percentuale delle particelle elementari
minerali della terra fine entro specifici intervalli dimensionali stabilite dalle Società di
pedologia ora citate. Per tutte le Società la terra fine viene divisa in sabbia, limo e argilla.
La differenza tra queste è a livello di demarcazione tra la sabbia e limo.
Nel sistema IASS è il Ø 0,02 mm , nel sistema USDA è il Ø 0,05 mm, nel sistema BSI è il Ø
0,06 mm.
Classi granulometriche della terra fine secondo IASS, USDA e BSI
mm µm IASS USDA BIS
2 2.000 Sabbia grossa Sabbia molto grossa Sabbia grossa
1.000 Sabbia molto grossa
1.000 Sabbia grossa
600 Sabbia grossa
600 Sabbia media
500 Sabbia grossa
500 Sabbia media
250 Sabbia media
250 Sabbia fine
200 Sabbia grossa Sabbia media
200 Sabbia fine Sabbia fine
100 Sabbia fine
100 Sabbia molto fine
0,06 60 Sabbia fine
0,06 60 Limo grosso
0,05 50 Sabbia molto fine
0,05 20 Limo
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0,02 20 Sabbia fine Limo grosso
0,02 20 Limo Limo medio
6 Limo medio
6 Limo fine
0,002 2 Limo Limo Limo fine
0,002 2 Argilla Argilla Argilla grossa
0,6 Argilla grossa
0,6 Argilla media
0, 2 Argilla media
0,0002 (fino a) 0, 2 Argilla fine
L’argilla sotto il Ø di 0,0002 mm o 0,2 µm ha proprietà colloidali.
Lo scheletro, rappresentato dalle classi delle ghiaie (Ø da 2 a 20 mm), dai ciottoli (Ø da 20
a 200 mm) e dalle pietre(Ø > 200 mm), non ha utilità agronomica. Lo scheletro causa solo
problemi durante le lavorazioni del suolo, all’accrescimento delle radici,
all’immagazzinamento dell’acqua nel suolo e sulla disponibilità delle sostanze nutritive
per le piante in quanto inerte e sottrae solo volume alla terra fine.
Il suolo può essere classificato in base la percentuale di scheletro secondo il seguente
schema evidenziando che sono detti suoli a scheletro prevalente quelli che hanno una %
di scheletro > al 15 % in volume.
Scheletro % in volume
Assente <1
Scarso 1-5
Comune 5-15
Frequente 15-35
Abbondante 35-70
Molto abbondante >70

L’analisi granulometrica del campione di suolo essiccato all’aria è fatta per lo scheletro
tramite setacci e per la terra fine o con setacci o con levigatore (A) dopo aver disperso la
terra fine in una soluzione acquosa diluita con Li2CO3 .

Levigatore di Esenwein (A)

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La tessitura di un suolo è definita, per tutte le Società di Pedologia, tramite il “triangolo
della tessitura” di forma equilatera che presenta, iniziando dalla sua base e proseguendo
in senso orario, i lati della sabbia, del limo e dell’argilla.
Indipendentemente dai triangoli IASS o USDA o BSI, che presentano internamente delle
aree tessiturali di dimensioni diverse in base ai rispettivi criteri, si inizia sempre dal lato
della sabbia tracciando in corrispondenza della sua %, trovata con l’analisi
granulometrica, una parallela al lato del limo.
Fatto ciò si passa al lato del limo. Su questo a partire dalla sua %, trovata nel suolo si
traccia una parallela al lato dell’argilla.
Si passa poi al lato della argilla e a partire dalla sua %, si traccia una parallela al lato
della sabbia.
L’incontro delle tre rette, ma ne basterebbero due, individua la tessitura del suolo.

Triangolo della tessitura secondo IASS

▀ Suolo con tessitura equilibrata o di medio impasto

Triangolo della tessitura secondo USDA Triangolo della tessitura secondo BSI

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Tessitura e relativi simboli nei sistemi IASS, USAD e BSI
IASS USDA BSI
A = argilloso Argilloso Argilloso
AL = argilloso-limoso Argilloso-limoso Argilloso-limoso
AS = argilloso-sabbioso Argilloso-sabbioso Argilloso-sabbioso
L = limoso Franco-limo-argilloso Franco-limo-argilloso
LA = limoso-argilloso Franco-argilloso Franco-argilloso
LS = limoso-sabbioso Franco-sabbioso-argilloso Franco-sabbioso-argilloso
S = sabbioso Franco-limoso Franco-limoso
SA = sabbioso-argilloso Franco Franco-limoso-sabbioso
SA = sabbioso-argilloso Franco-sabbioso Franco-sabbioso
Limoso Sabbioso-franco
Sabbioso-franco Sabbioso
Sabbioso
Franco = suolo di medio impasto = suolo con percentuali di sabbia, limo e argilla
equilibrate.
Si evidenzia che un suolo contenente una % di sabbia ≥ 50 si definisce sabbioso, un suolo
contenente una % di limo ≥ 70 si definisce limoso, un suolo contenente una % di argilla ≥
30 si definisce argilloso.
Connessa alla granulometria è la superficie specifica delle particelle elementari del suolo.
La superficie specifica è il rapporto tra la superficie esterna della particella e il suo
volume. È misurata in m2g-1 ed a questa sono legati tutti i fenomeni che avvengono tra la
fase solida, liquida e aeriforme del suolo.
Con il ridursi Ø delle particelle aumenta la superficie specifica. Ad esempio un cubo di 1
cm di spigolo ha 1 cm3 di volume e 6 cm2 di superficie.
Se questo cubo si divide in 1.000 cubi da 1 mm di spigolo (0,1 cm) il volume complessivo
sarà identico (1 cm3) ma la superficie complessiva sarà 60 cm2.
Il rapporto tra superficie esterna e volume passerà da 6:1 a 60:1.

Superficie specifica in m2 per g di suolo


Suolo sabbioso 0,1-10
Suolo sabbioso limoso 5-20
Suolo franco o di medio impasto 50-100
Suolo limoso argilloso 120-200
Suolo argilloso 150-250
La superficie specifica ha riflessi pratico-teorici rilevanti per quanto prima accennato.
Basti considerare che 1 ettaro di suolo lavorato a 0,3 m di profondità, con densità
apparente di 1,2 ha un peso di (100x100x0,3x1,2) 3.600 t ovvero 3.600.000 kg ossia
3.600.000.000 g. Ipotizzando una superficie specifica di soli 100 m2 g-1 la superficie
complessiva del suolo smosso sarà di 360.000.000.000 m2 corrispondente a 36.000.000
ettari ossia 360.000 km2 considerando che 10.000 m2 è 1 ha e 100 ha è 1 km2. Questa
superficie è maggiore di quella italiana che è pari a circa 30.126.000 ettari ossia a circa
301.260 km2.

56
Dei tre principali gruppi tessiturali prima citati quello dell’argilla è il più importante
poiché condiziona fortemente la fertilità agronomica del suolo.
I minerali argillosi o fillosilicati possono avere le seguenti due origine:
1) primaria se derivati dall’alterazione di altri minerali quali miche, feldspati, ecc.. .
2) secondaria se derivati dal disfacimento di rocce argillose.
Indipendentemente da ciò le argille, eccetto l’allofane, che è amorfo, hanno natura
cristallina, visibile sia al microscopio ottico che elettronico, costituite da 2 unità base
rappresentate dal tetraedro di Si e dall’ottaedro di Al.
Nel tetraedro il Si, con raggio ionico di 0,41Å, è circondato da 4 ossigeni mentre
nell’ottaedro l’Al, con raggio ionico di 0,45 Å, è circondato da 6 O.

I singoli tetraedri di Si e ottaedri di Al nel cristallo argilloso si legano tra loro per la
compartecipazione di O e OH formando dei piani di Si e Al.
I piani di tetraedri e ottaedri sono a loro volta uniti a vicenda per la compartecipazione di
O. Gli spigoli di questi foglietti presentano delle interruzioni di legame con presenza di
cariche positive e negative.

Caratteristica dei tetraedri è che il Si può essere sostituito da un altro atomo purché non
superi il 15% del suo raggio o diametro ionico.
È il caso della sostituzione del Si da parte dall’Al con avanzo di 1 carica negativa.
Anche negli ottaedri di Al si ha questa possibilità di sostituzione per cui questo può essere
cambiato con il Mg+2, Fe+2 o Mn+2.
Anche in questo caso si ha un eccesso di 1 carica negativa.
Il totale di queste cariche negative derivanti dalle sostituzioni è detto potenziale Z si va a
distribuire uniformemente sul cristallo come una nube elettrica negativa.
Al potenziale Z è connessa l’importante caratteristica chimica del suolo detta capacità di
scambio cationico o CSC (
Potenziale Z: distribuzione delle cariche negative sul cristallo argilloso

57
Le argille, secondo la disposizione dei tetraedri di Si e degli ottaedri di Al e, in un tipo di
argilla, anche degli ottaedri di Mg, si classificano in:
 diformiche, aventi tetraedri e ottaedri disposti in piani tipo 1:1 a (argilla Caolinite e
Alloysite)
 triformiche, aventi tetraedri e ottaedri disposti in piani tipo 2:1 con foglietti non
espandibili (argilla illite) o espandibili (argilla Vermiculite e Montmorillonite)
 a 4 strati , con tetraedri e ottaedri disposti in piani tipo 2:1:1 (argilla clorite)
 a catena o fibrose, con tetraedri e ottaedri disposti in piani ma con zone
alternativamente vuote e piene (argilla Attapulgite)
 amorfe, con tetraedri e ottaedri non disposti in piani ma in modo non ordinato (argilla
Allofane)

Argilla Equidistanza CSC meq 100g-1 Superficie specifica


tra foglietti in Å g m2
Caolinite 7 ~ 3-15 ~ 5-20
Alloysite 10 (variabile) ~ 20-25 ~ 80
Illite 10 (stabile) ~ 10-40 ~ 100-200
Vermiculite 10 (variabile) ~ 100-150 ~ 300-500
Motmorillonite 10 (variabile) ~ 100-130 ~ 700-800
Clorite 14 ~ 10-15 ~ 100-200
Attapulgite ~ 20-30
L’argilla da un punto di vista chimico è molto più reattiva del limo e ancor più della
sabbia per l’alto numero delle sue cariche elettriche che interagiscono con i cationi e gli
anioni presenti nella soluzione tellurica.
Struttura.
La struttura è un fenomeno dinamico del suolo che concerne il processo d’unione delle
singole particelle elementari in unità dette strutture o aggregati.
La struttura del suolo, sia questo naturale che agrario, influenza importanti fattori per la
crescita delle piante come: la porosità; l’aerazione; la permeabilità e la conducibilità
idraulica; la lisciviazione delle basi e dei colloidi organici e inorganici; il regime termico;
l’AWC; la crescita delle radici; l’attività biologica; la resistenza del suolo ai fattori erosivi.
Principali tipi di struttura del suolo naturale e agrario.
Le strutture o aggregati dei suoli naturali sono, in genere, ben evidenti. Queste hanno le
principali 4 forme e relativi nomi:
 Lamellare. L’aggregazione ricorda foglietti sovrapposti

58
 Prismatica. Gli aggregati si dispongono con orientamento verticale. Questa struttura è
comune soprattutto negli orizzonti profondi. Quando la parte superiore degli aggregati è
arrotondata, la struttura prismatica si definisce colonnare.
 Poliedrica. Gli aggregati ricordano un blocco. Quando le facce del blocco sono ben
identificate, con spigoli vivi, la struttura è definita poliedrica angolare mentre, se facce e
spigoli sono smussati, la struttura è poliedrica subangolare. Anche la struttura poliedrica
è comune negli orizzonti profondi.
 Granulare
Gli aggregati ricordano dei granuli. Questo tipo di struttura è simile a quella che si trova
negli orizzonti dei suoli coltivati.
Nei suoli agrari gli aggregati o strutture sono meno evidenti come dimensione e meno
diversificati come forma.
Per quanto riguarda la dimensione si va da quella massima della zolla di suolo, con ∅ di
diversi cm ad una minima con un ∅ 0,002 mm o 2 µm. Questa diversità di grandezza
dipende dalla origine dell’aggregato.
Infatti l’aggregato del suolo agrario può derivare da:
 fenomeni chimici di flocculazione e cementazione che determinano le microstrutture.
Questi aggregati sono agronomicamente i più importanti, con forme tendenti al grumoso
con una dimensione minima di 0,002 mm o 2 µm, una media da 0,1 a 0,2 mm o da 100 a
200 µm e una massima di 2 mm o 2.000 µm.
 fenomeni meccanici di suddivisione, conseguenti alle lavorazioni del suolo, che
determinano le maxistrutture o macrostrutture ossia le zolle o zollette che possono avere
anche diversi cm di diametro .
Fenomeni chimici di flocculazione e cementazione
Il fenomeno della flocculazione.
Le argille per il loro potenziale Z attraggono cationi. Una volta saturate le cariche
negative le particelle argillose flocculano. Se non saturate queste, in sospensione acquosa,
si respingono tra loro con moto continuo detto browniano.
Il potere flocculante dei cationi è proporzionale alla carica e diminuisce con il quadrato
della distanza “catione - punto negativo argilla”. Più il catione è piccolo e più è circondato
da molecole di H2O che lo tengono a maggior distanza dal punto negativo dell’argilla
riducendo così il suo effetto neutralizzante.
Il potere flocculante dei cationi segue la seguente regola Schulze-Hardy:
Li <Na <NH4+<M 2+<Ca2+ < Ba2+ < Al3+ < Fe3+
La flocculazione è però un processo reversibile.
Con la diluizione della soluzione circolante, es. a seguito di piogge, i cationi presenti sulle
micelle argillose flocculate tornano in soluzione così che queste possono passare
nuovamente alla fase dispersa per repulsione reciproca per presenza di cariche negative
libere.
Il fenomeno della cementazione.
Se non soggetti a dispersione i flocculi d’argilla possono essere riuniti tra loro tramite
cementi formando in tal modo gli aggregati o strutture. I cementi del suolo sono di tipo
inorganico e organico.

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I cementi inorganici.
I cementi inorganici sono l’argille in forma colloidale ossia con diametro inferiore a 0,2
µm e i sesquiossidi idrati di ferro e alluminio.
Argille in forma colloidale (cementi argillosi).
Le sostanze colloidali argillose avendo cariche negative all’aumentare della
concentrazione cationica della soluzione tellurica precipitano, sia in ambiente alcalino che
acido, irretendo i flocculi di argilla precipitati in precedenza.
I cementi argillosi sono degradabili per diluizione della soluzione circolante, ad es. a causa
di piogge e ristagni idrici ed hanno una durata media pari ad un ciclo colturale ossia circa
1 anno.
Sesquiossidi idrati di ferro e alluminio (cementi di ferro e alluminio).
I sesquiossidi idrati di ferro e alluminio, con carica positiva, precipitano solo in ambiente
alcalino per presenza di OH-, irretendo i flocculi d’argilla in precedenza precipitati.
I cementi di ferro e di alluminio una volta flocculati sono irreversibili e non degradabili.
Le strutture o aggregati che formano sono molto resistenti nel tempo. La loro
degradazione avviene solo per azioni fisiche come, ad esempio, compressioni dovute ai
passaggi di macchinario agricolo sul suolo.
I cementi organici.
Le sostanze cementanti organiche sono le sostanze umiche in forma colloidale. I colloidi
organici, con carica negativa, con l’aumento della concentrazione cationica della soluzione
tellurica, precipitano, sia in ambiente alcalino che acido, irretendo i flocculi di argilla
precipitati in precedenza.
I cementi organici sono rappresentati dalle seguenti sostanze umiche: gli acidi fulvici, con
peso molecolare basso e solubili in basi e in acidi; gli acidi umici bruni e gli acidi umici
grigi con peso molecolare medio e solubili in basi; le umine con alto peso molecolare e
insolubili sia in basi che in acidi.
Questi cementi, una volta flocculati, sono irreversibili ma loro durata nel tempo dipende
dall’attività della microflora del suolo in quanto sono biodegradabili da quest’ultima.

Fattori di degradazione della struttura del suolo agrario.


I fattori che determinano la distruzione della struttura del suolo sono di origine antropica
o naturale. Tra quelli di origine antropica si menziona la compressione meccanica dovuta
ad es. al passaggio di macchine agricole o l’azione battente delle gocce d’acqua connessa
all’irrigazione a pioggia. Tra quelli di origine naturale l’azione battente delle gocce
pioggia, l’eccesso di acqua nel suolo e il veloce congelamento del suolo.

La percentuale di aggregati presenti nel suolo varia con il variare dei mesi dell’anno in
relazione ai fattori prima citati ed è minima in quelli invernali e massima in quelli estivi.
La struttura del suolo può essere migliorata con l’apporto di particolari sostanze dette
“condizionatori di struttura”.
Questi, pochissimo utilizzati per scopi agricoli dato il loro costo, sono impiegati per
limitate aree verdi o ricreative. I condizionatori possono essere inorganici a base di ferro
ferrino, come il vecchio Glotal e il Flotal, o organici di sintesi.

La stabilità delle strutture del suolo è indicata dall’indice di struttura o I.S. Questuo si
determinata tramite uno strumento che immerge, in dei beker con 600 ml di acqua

60
distillata, cestelli cilindrici con pareti a rete, con maglie di 0,25 mm, contenenti una
determinata quantità di suolo secco vagliato a 2 mm.
Dopo 5 e 60 minuti di rotazione alterna dei cestelli, viene misurata dopo essiccazione per
pesata la quantità di suolo rimasto nei cestelli.
In base alla % di suolo che rimane nei contenitori sottoposti alle due rotazioni si
determina l’indice di struttura che, variando da 0 ad otre 70, indica la stabilità delle
strutture come di seguito riportato.
Indice di struttura o I.S. Stabilità degli aggregati
0 Assente
1-10 Pessima
10-20 Scadente
20-30 Mediocre
30-50 Discreta
50-70 Buona
>70 Ottima

Fase liquida del suolo.


Affrontando, sia pur brevemente, la fase liquida del suolo si entra nel vasto settore
dell’idrologia agraria concernente i rapporti che esistono tra acqua e suolo.
L’acqua è un dipolo elettrico e ha un Ø molecolare di 2,64Å (1 Å = 10-10 m).

61
L’acqua nel suolo non è pura ma contiene sostanze in soluzione per cui il valore medio di
congelamento è di -1,22 °C.
L’acqua, essendo dipolare, determina attrazioni elettrostatiche intermolecolari con
formazione di legami a ponti ad idrogeno. Per queste si ha sviluppo di forze di coesione
con formazione di un reticolo esagonale simile ad un polimero gigante (vedi figura).
Per la dipolarità le molecole di acqua sono attratte anche verso le superfici solide dando
origine a forze di adesione.
La combinazione delle forze di coesione e di adesione nei capillari d’acqua del suolo porta
alla formazione di menischi concavi che sono la base fisica del fenomeno della capillarità.
Queste forze di coesione e adesione diminuiscono l’energia libera dell’acqua nel suolo.
Con l’abbassamento della temperatura aumentano i legami ad idrogeno tra le molecole
d’acqua comportanti una sua maggiore viscosità e una minore densità.
La struttura polimerica dell’acqua diventa completa e ordinata solo allo stato solido.
Infatti la densità dell’acqua allo stato liquido a 0°C è di 1 g cm-3 mentre quella allo stato
solido è di 0,917 g cm-3.
Temperatura in ° C Stato fisico % di legami a idrogeno
0 Solido 100
0 Liquido 85
40 Liquido > 50
100 Vapore > 10
Questi legami a idrogeno possono far galleggiare un insetto o una monetina messa
orizzontalmente sull’acqua.

Nei confronti della nutrizione vegetale non è solo importante la quantità di acqua
contenuta nel suolo quanto l’energia che le piante devono spendere perchè sia loro
disponibile.

62
L’acqua nel suolo ha un potenziale energetico totale o ψ. Questo, rappresentato dalla
differenza tra lo stato energetico dell’acqua nel suolo e quello posseduto dell’acqua pura e
libera, può essere positivo, pari a 0 o negativo. Il potenziale idrico si può esprimere in
Pascal, in bar o in millibar, in atmosfere (1 bar = 1.000 millibar = 0,987 atmosfere, 1 bar =
0,1 Mpa).
In relazione a quanto prima citato è utile evidenziare che il potenziale energetico
dell’acqua rappresenta la quantità di lavoro utile per unità di massa di acqua pura, che
occorre applicare per portare, reversibilmente ed isotermicamente una quantità
infinitesimale d’acqua nel suolo da una posizione di riferimento standard, con potenziale
zero, ad un’altra posizione un determinato potenziale.
Il potenziale dell’acqua a valori positivi quando l’acqua è capace di fare un lavoro e
quindi è capace di sfuggire al sistema suolo: vedi quello dell’acqua artesiana.
Il potenziale idrico ha valori negativi quando per utilizzarla occorre effettuare un lavoro
di suzione per sottrarla al sistema: vedi quello dell’acqua presente nel suolo insaturo.
Il potenziale dell’acqua ha valore 0 quando non occorre effettuare un lavoro di suzione
per sottrarla al sistema: vedi l’acqua della falda freatica.
Il movimento dell’acqua nel suolo segue quello della materia ossia da punti dove questa
ha energia libera maggiore (aree umide) verso punti dove ha energia libera minore (aree
secche) tendendo all’equilibrio. L’acqua quindi si muove da punti con potenziale idrico
maggiore ossia da valori negativi più vicini 0 verso punti con potenziale idrico minore
ossia con valori negativi più lontani da 0.
Il potenziale idrico energetico totale dell’acqua nel suolo o ψ (psi) è la somma algebrica dei
seguenti 4 potenziali energetici.
 Potenziale gravitazionale (ττ , pronuncia tau, positivo). È indipendente dal tipo di suolo
ed è dovuto alla forza di gravità che fa percolare l’acqua attraverso questo per il proprio
peso.
 Potenziale piezometrico (σ, σ, pronuncia sigma, positivo). Quando tutti gli spazi del suolo
sono riempiti di H2O ad ogni profondità agisce la pressione idrostatica. Questa potenziale
allontana l’acqua dal sistema. Il potenziale piezometrico annulla successivo potenziale
matriciale.
 Potenziale matriciale (µ µ , pronuncia mi, negativo). Per fenomeni di umettamento le
particelle del suolo presentano sulla loro superficie uno strato liquido continuo il cui
potenziale dipende dalle caratteristiche della matrice solida. Il potenziale matriciale
dipende da forze di adesione, coesione e tensione superficiale ossia dalla capillarità.
Questo potenziale tende a trattenere l’acqua nel sistema e riduce l’energia libera
dell’acqua.
Pur non essendoci dei veri e propri capillari nel suolo la capillarità rappresenta la forza
con cui l’acqua nel suolo è trattenuta contro la forza di gravità: la capillarità è una
pressione negativa o tensione. In condizioni di equilibrio questa pressione negativa o
tensione è uguale al peso della colonna di acqua ed è espressa dalla seguente uguaglianza:
2 γ π r cos α = h d gππ r2
Dove: γ = tensione superficiale; π r2 sezione del capillare di raggio r; cos α angolo di
contatto “acqua-parete del capillare”, h altezza della colonna d’acqua, d densità
dell’acqua, g accelerazione di gravità.
Pur non essendoci, come prima evidenziato, nel suolo dei veri capillari, la risalita
dell’acqua (h) è data, dalla precedente uguaglianza dalla seguente formula:
h (risalita) = 2 γ cosα
α/dgr
63
e tenendo in considerazione i valori standard γ , d , g , cosα
α si ricava la seguente formula
che indica la risalita dell’acqua (h) in un capillare.
π r2 = 0,297 / 2r
h = 2 γ π r cos α / d gπ

In relazione a quanto sopra tanto più i capillari sono piccoli tanto più alta sarà la risalita
dell’acqua. La risalita capillare è veloce ma contenuta nella sabbia, lenta ma elevata
nell’argilla.

 Potenziale osmotico (π π, pronuncia pi, negativo). Il suolo trattiene tanta più l’acqua
tanto più elevata è la concentrazione del soluto ovvero quanto maggiore è la
concentrazione. Questo potenziale tende a trattenere l’acqua nel sistema riducendone la
sua energia libera.
Il potenziale idrico energetico totale dell’acqua nel suolo ψ risulta pertanto τ + (σ
σ o µ) +
π.
Dalle componenti del potenziale idrico energetico totale, sopra riportate, si osserva che τ e
σ sono componenti positive, µ e π sono componenti negative e la componente piezometrica
σ esclude, quando presente, la presenza della componente matriciale µ .
Potenziale idrico totale del suolo e unità di misura
Il potenziale idrico energetico totale dell’acqua del suolo esprime la pressione negativa con
cui questa è trattenuta dal mezzo ed è connesso al lavoro di suzione che le piante devono
fare per estrarla vincendo la pressione con cui l’acqua è trattenuta da questo.
Il potenziale idrico energetico totale dell’acqua nel suolo può essere misurato in Bar,
corrispondente alla pressione esercitata dal peso di una colonna di H2O in cm con base di
1 cm2, o in pF corrispondente al log10 dell’altezza in cm della precedente colonna d’acqua.
In relazione a ciò si evidenzia che:
⌦1 bar è uguale alla pressione esercitata da una colonna di acqua di 1.022,7 cm
⌦una colonna di acqua di 1.022,7 cm è uguale a pF 3,009
⌦0,986 atm è uguale a pF 3,009.

64
Costanti idrologiche
Le costanti idrologiche del suolo, di seguito riportate, sono importanti perchè indicano la
pressione con cui l’acqua è trattenuta in questo.
Saturazione idrica o capacità di ritenzione massima.
In questa condizione l’acqua del suolo ha pressione di 0 Bar o 0 pF (uguale alla pressione
dell’altezza di una colonna di acqua di 1 cm) o 0 kPascal (kPa).
Tutti i pori del suolo sono riempiti di acqua.
Acqua gravitazionale.
È acqua contenuta nei macropori ossia pori del suolo che hanno un ∅ superiore a 0,009
mm o 9 µm.
È acqua soggetta a rapida percolazione per forza di gravità nei pori superiori a 0,06 mm o
60 µm di ∅ e a percolazione progressivamente più lenta scendendo verso pori con di 0,009
mm o 9 µm di ∅. È acqua utilizzabile dalle piante ma allontanabile dal suolo.
Porosità di areazione.
È il volume d’acqua nel suolo in equilibrio nei pori con ∅ massimo fino ad ∅ di 0,06 mm.
Quest’acqua ha una pressione di -0,049 kPa o -49 Pa o -0,00049 Bar ossia uguale alla
pressione dell’altezza di una colonna di acqua di 50,1 cm di sezione unitaria ossia uguale a
pF 1,7.
Capacità di campo.
Corrispondente al volume di acqua del suolo che residua dopo che tutta l’acqua contenuta
nei micropori soggetta alla forza gravità é sgrondata.
È acqua non più soggetta a percolazione per forza di gravità.
È acqua in equilibrio con i pori con ∅ di 0,009 mm o 9 µm corrispondenti all’inizio della
microporosità su cui agiscono le forze di adesione, di coesione e di tensione superficiale.
È acqua del suolo con pressione pari a -3,33 MPa o - 33,3 kPa o - 33.300 Pa o - 0,333 bar o
333 millibar ossia uguale alla pressione dell’altezza di una colonna di acqua di 340 cm
ossia uguale a pF 2,53.
Punto o coefficiente di appassimento.
È l’acqua del suolo con pressione -1,5 MPa o - 1.500 kPa o - 1.500.000 Pa o -15 bar ossia
uguale alla pressione dell’altezza di una colonna di acqua di circa 15.135 cm ossia uguale
a circa pF 4,18.
È acqua nei pori con ∅ massimo di 0,0002 mm ossia 0,2 µm. È acqua che residua nel
suolo dopo che questa è stata utilizzata dalle piante o dopo che, per risalita capillare, è
evaporata.
A questa pressione negativa moltissime colture entrano in stress idrico permanente ossia
muoiono.

Costanti idrologiche Capacità di


campo - 0,333 bar

Saturazione 0 Bar Punto di appassimento -15 bar

65
H2O che resta nel suolo a sgrondo avvenuto

Suolo Suolo H2 O Punto di Capacità Saturazione


secco secco igro- appassi- di campo idrica del
in alla sco- mento suolo
stufa aria pica.

H2 O H2 O
non capillare
dispo- non H2O capillare disponibile H2O gravitazionale Sommersione
nibile disponibile che del suolo
sgronda dal suolo

- 10.000 - 1.000 - 31 - 15 Bar - 0,333 Bar 0 Bar


Bar Bar bar
- 1.500 kPa - 33,3 kPa 0 kPa

Costanti idrologiche e % di acqua in un suolo

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Nel suolo sotto il punto di appassimento esiste ancora acqua capillare ma questa non è
utilizzabile dalle colture agrarie, dato che presenta un pressione tra -15 bar e -31 bar ossia
tra pF 4,18 e pF 4,5.
Otre i -31 Bar vi sono altre costanti idrologiche date: dall’acqua contenuta nel suolo secco
all’aria (- 1.000 bar, pF 6), suolo secco in stufa (- 10.000 bar, pF 7) e l’acqua costituzionale
contenuta nei reticoli cristallini dei minerali del suolo.
L’acqua disponibile può essere valutata, riferita ad 1 ettaro di suolo, come percentuale del
suo volume, come percentuale in peso o in mm.
Esempio della valutazione come percentuale del suo volume: se 1 ettaro di suolo dallo
spessore di 0,25 m ha una quantità di acqua disponibile pari al volume del 20% la l’AWC
sarà: 10.000x0,25x0,20 = 500 m3.
Costanti idrologiche e relative % di acqua in volume in due tipi di suolo o terreno

Nel suolo limo-argilloso la % dell’acqua disponibile contenuta alla capacità di campo è


maggiore di quella di un suolo sabbioso, vedi nell’esempio in figura sopra riportata il
25% e il 10%, ma anche l’acqua contenuta al punto o coefficiente di appassimento è
maggiore nel suolo limo-argilloso rispetto a quello sabbioso, vedi 13% e il 5%.
In particolare si evidenzia che l’acqua disponibile per le radici delle piante tra la capacità
di campo ed il punto di appassimento è indicata con sigla AWC derivata dal termine
anglosassone Available Water Capacity.
Per migliorare l’AWC occorre aumentare la sostanza organica del suolo, facilitare
l’infiltrazione dell’acqua, incrementare la massa del solo con le lavorazioni, effettuare
lavorazioni superficiali riducendo la risalita capillare dell’acqua e la sua evaporazione.
Il valore del potenziale dell’acqua presente nel suolo è importante non solo per le piante
ma anche per la microflora. Di seguito é indicato il potenziale dell’acqua in Mpa a cui
possono resistere le componenti della microflora del suolo: batteri circa -10 ; lieviti circa -
20; funghi circa -60; attinomiceti circa -70. Da quanto riportato gli attinomiceti sono tra
in microrganismi del suolo più resistenti e, oltre a ciò, recuperano più rapidamente la loro
attività dopo uno stress idrico.
Misurazione della quantità di acqua nel suolo: metodi e strumenti.
La misurazione della quantità dell’acqua nel suolo si basa sui seguenti metodi e
strumenti.
 Metodo ponderale o per pesata.
È un metodo che si basa sul differente peso di un campione del suolo sottoposto ad
essiccamento. L’acqua è espressa in % sul peso secco del suolo dopo essiccazione del
67
campione umido in stufa a 105° C o come % sul volume del campione dopo pesata del
volume del suolo umido e pesata del solito volume di suolo dopo essiccamento in stufa a
105° C.
 Metodo con la sonda a neutroni.
È un metodo si basa sul principio che l’H+ rallenta i neutroni veloci deviandoli in ogni
direzione come neutroni lenti. Poiché la fonte di H+ nel suolo è l’acqua, eccetto nei suoli
organici, con una opportuna strumentazione che misura i neutroni lenti rispetto a quelli
veloci prodotti dal macchinario si determina, indirettamente, la % di acqua contenuta nel
suolo. La strumentazione, oltre che costosa e non adatta a suoli ricchi di S.O., è soggetta a
restrittive norme dovute alla sua radioattività.
 Metodo dell’acetilene.
È un metodo che si basa sullo sviluppo di acetilene dal carburo di calcio quando questo è a
contatto con l’acqua. In relazione a questa reazione viene impiegato uno strumento che,
misurando la quantità d’acetilene sviluppata da una quantità nota di suolo, tramite
spostamento del liquido contenuto in un tubo graduato in vetro, determina la % di acqua
contenuta nel campione.
 Metodo del tensiometro. È un metodo che si basa sullo spostamento dell’acqua per
differenza di potenziale. Basandosi su questo fenomeno si impiega uno strumento
costituito da un tubo con acqua distillata chiuso in alto da un manometro e in basso da un
capsula di porcellana porosa.
Inserendo la parte terminale del tubo nel suolo non saturo l’acqua quella contenuta nel
tubo tende ad uscire per differenza di potenziale dai pori della capsula di porcellana fino
quando non giunge ad equilibrarsi con quella del mezzo.
In questo modo si crea nel tubo una depressione che viene misurata dal manometro di
chiusura in Bar.
L’inconveniente di questo metodo è che la misura è precisa solo a pressioni fino a -0,8 Bar,
ossia poco sotto la pressione corrispondente alla capacità di campo che, come prima
citato, è di -0,333 Bar.
 Metodo del resistometro. È metodo che si basa sul principio che la resistenza elettrica,
misurata in Ohm, aumenta con il diminuire dell’umidità.
Per la taratura dello strumento che si basa su questo principio si mette la parte sensibile
del resistometro in un cilindro con un campione di suolo, da osservare, essiccato e pesato.
Dopo questa operazione si porta il suolo alla capacità di campo per risalita capillare e si
pesa il tutto nuovamente. Fatto ciò lo si lascia asciugare per naturale evaporazione.
Dopo un determinato periodo di tempo si misurano gli Ohm e, per pesata, la % di acqua
nel suolo riferita al peso secco corrispondenti agli Ohm misurati.
Con il passare del tempo, il suolo, seccandosi, darà crescenti valori in Ohm a cui
corrisponderanno specifiche % di acqua progressivamente più basse.
Così facendo si può disegnare un diagramma sul quale nell’ordinata sono riportate le %
di acqua e in ascisse i corrispondenti valori in Ohm.
In campagna con il resistometro posto nel suolo alla profondità desiderata, leggendo il
valore degli Ohm che fornirà lo strumento e con il grafico fatto in fase di taratura del
resistometro, si risale alla % di acqua contenuta nel suolo.
 Metodo delle camera a pressione.
È un metodo che si basa sul principio dell’allontanamento dell’acqua da un suolo saturo
quando questo è sottoposto a pressione atmosferiche crescente e la corrispondenza tra una
determinata pressione e la relativa % di acqua contenuta nel campione di suolo espressa
in peso o in volume.
68
Questo metodo viene applicato in una camera a pressione in acciaio, detta di Richards,
dove dei campioni di terra fine, contenuti in anelli di plastica, portati precedentemente
alla capacità di campo per risalita capillare, sono posti sopra un piano fatto con
membrana porosa.
Nella camera di Richards, una volta chiusa, si immette aria in modo da raggiungere
pressioni crescenti: ad es. da 0.333 bar fino a 15 bar. Progressivamente con l’aumentare
della pressione l’acqua contenuta nel suolo filtra sotto la membrana porosa e viene
allontanata, tramite piccoli tubi in plastica, all’esterno.
Una volta che il campione di suolo è stato sottoposto alla stabilita pressione ne viene
determinata la % di acqua in questo contenuta per differenza tra la pesata del suolo
umido e del suolo seccato in stufa a 80°.
Utilizzando i metodi del resistometro e della camera a pressione si può stimare in
campagna e in tempo reale e in modo sufficientemente attendibile, la % di acqua
contenuta nel suolo.
Ciò è possibile costruendo una curva che lega le % di acqua in peso del suolo con la
pressione in Bar immessa nella camera di Richards e gli Ohm misurati con il resistometro
in laboratorio.
15 Bar % H2O in peso al punto di appassimento

% H2O in peso X

0.333 Bar % H2O in peso alla capacità di campo


Ohm x Ohm y
Bar Camera a pressione o di Richards
Ciò è utile per stabilire velocemente il momento più opportuno per irrigare.

69
Altra caratteristica del suolo è la sua profondità connessa direttamente alla sua massa.
Per la FAO si ha corrispondenza tra questa caratteristica e l’indice di potenzialità
agricola o produttività del suolo come esposto nella seguente tabella.
Produttività del suolo FAO profondità in m Indice potenzialità agricola
secondo la sua profondità. o produttività agricola
Suolo molto sottile < 0,3 20
Suolo sottile 0,30-0,60 50
Suolo abbastanza profondo 0,61-0,90 80
Suolo profondo 0,91-1,20 100
Occorre evidenziare che se questo è un importate parametro pedologico, le colture con
apparati radicali superficiali possono raggiungere le massime produzioni anche su suoli
relativamente poco profondi.
Movimenti dell’acqua nel suolo.
Movimenti dell’acqua nel suolo sono rappresentati dalla:
- infiltrazione. È la penetrazione dell’acqua nel suolo per forza di gravità attraverso il suo
strato superficiale. L’infiltrazione si può misurare in campo con l’infiltrometro a cilindro
semplice o doppio. L’infiltrazione è elevata in suoli sabbiosi e detritici e molto bassa in
quelli argillosi con cattiva struttura. Unità di misura dell’infiltrazione idrica nel suolo è il l
m-2 h-1 o il mm m-2h-1 poiché 1 l m-2 = 1 mm di H2O m-2.
- percolazione. È il movimento dell’acqua nel profilo del suolo verso il basso per forza di
gravita. Questa è valutata come conducibilità e viene usualmente misurata in laboratorio.
Unità di misura della conducibilità idrica del suolo è il l m-2 h-1 o il mm h-1.
Classifica Unità di misura Infiltrazione Percolazione
-1
Molto lenta mm h <1 < 1,25
Lenta " " 1-5 1,25-5
Moderatamente lenta " " 5-20 5-16
Moderata "" 20-63 16-50
Moderatamente rapida "" 63-127 50-160
Rapida "" >127 >160

Infiltrometro a cilindro semplice

Infiltrometro a doppio cilindro 70


Strumento per la misurazione della conducibilità idrica a
carico costante o K.

L’infiltrazione e la percolazione si riducono con il passar del tempo per poi tendere ad un
valore costante.
I valori e l’andamento nel tempo dell’infiltrazione e della percolazione nel suolo
dipendono dalla: struttura, quantità di sostanza organica, stratigrafia, espandibilità delle
argille, lavorazioni, passaggio di macchine agricole, ecc.. .
- risalita per capillarità.
- spostamento laterale per capillarità.
- spostamento nel suolo sotto forma di vapor acqueo: da zone con potenziale idrico
minore, più umide, a zone con potenziale idrico maggiore, più secche.

Fase gassosa del suolo: l’aria del suolo.


L’aria è importante per la respirazione radicale e per la microflora e la micro - meso -
macro - mega fauna del suolo.
In particolare se l’aria nel suolo scende sotto il 20% in volume, si hanno asfissie radicali.

Dell’aria tellurica non è solo importante il valore % della sua quantità totale presente nel
mezzo ma anche la sua composizione %: in particolare quella in O2.
Infatti quando nell’aria tellurica l’O2 scende sotto il 2% si hanno asfissie radicali.

Gas Aria: valori espressi in %


Tellurica Atmosferica
N2 ~ 78,9 ~ 78,5-80,0
O2 ~ 20,93 ~ 10,0-20,0
CO2 ~ 0,03 ~ 0,2-3,5

A tal riguardo il consumo di O2 delle radici delle colture è, in media, di 0,5 cm3 h-1 g-1 di
sostanza fresca radicale. Di seguito il consumo di O2 da parte di alcune colture.

Coltura Consumo O2 per g di sostanza


fresca radicale in cm3 h-1 g-1
Segale ~ 2,5
Orzo ~ 1,0-1,5
Mais ~ 0,3-0,5
Fava ~ 0,4

71
La composizione dell’aria tellurica varia con la profondità del suolo, la stagione e i mesi
dell’anno.

Profondità Stagione: valori dei gas in %


in m Umida Asciutta
CO2 O2 CO2 O2
0,0-0,3 1,2 19,4 2 19,8
0,3-0,6 2,4 11,6 3,1 19,1
0,6-0,9 6,6 3,5 5,2 17,5
0,9-1,2 9,6 0,7 9,1 14,5
1,2-1,5 10,4 2,4 11,7 12,4
1,5-1,8 15,5 0,2 12,6 9,8

Variazioni mensili della composizione % dell’aria tellurica in O2 e CO2 a 0,30 m di


profondità in un suolo limo-argilloso.

Il ricambio dell’aria nel suolo avviene tramite il fenomeno fisico della diffusione o D. Si ha
diffusione quando le pressioni parziali dei gas contenuti in sistemi comunicanti tra loro
sono diverse. D = KS2 dove K è il coefficiente di diffusione dei vari gas ed S è la sezione
dei pori liberi del suolo.
Temperatura del suolo
La temperatura del suolo dipende dal bilancio “radiazioni infrarosse ricevute - radiazioni
infrarosse emesse” e regola tutti i processi fisici, chimici e biologici che avvengono in
questo.
Anche il suolo, come l’aria, presenta una variazione giornaliera, mensile e stagionale della
temperatura.
In particolare la temperatura del suolo influisce sull’attività della microflora della micro -
meso - macro - mega fauna e sull’accrescimento e sviluppo delle colture.
La quantità di energia che riceve il suolo dipende, a parità di latitudine, dall’inclinazione
dei raggi solari. Inclinazione che varia con le stagioni dell’anno, la morfologia e
l’esposizione del suolo.
Sulla temperatura del suolo e sul suo riscaldamento incide anche l’acqua contenuta in
questo.
Più il suolo è umido e meno velocemente si riscalda. Ciò perchè il calore specifico
dell’acqua è maggiore delle particelle solide e perchè parte dell’energia termica ricevuta
da questo viene persa per l’evaporazione dell’acqua.
Calore specifico di alcune sostanze
Sostanza cal g-1 cal cm3
Acqua 1,00 1,00
Ghiaccio 0,50 0,46
72
Aria 0,25 0,0003
Humus 0,40 0,56
Argilla 0,22 0,50
Il suolo ha un profilo termico che è in relazione alla profondità, alle ore del giorno e ai
mesi dell’anno.
In relazione a ciò in Italia la temperatura media del suolo nel mese di luglio in profondità
sarà più bassa di quella media in superficie e viceversa nel mese di dicembre.
Anche la copertura vegetale del suolo influisce sulla sua temperatura determinando, per
ombreggiamento e riflessione dei raggi solari, una sua diminuzione durante il giorno.
Sotto l’aspetto agronomico la temperatura media dello strato superficiale del suolo è
molto importante per la germinazione delle sementi e la scelta dell’epoca di semina.
Sulla temperatura del suolo hanno influenza anche le lavorazioni. Ad esempio le
lavorazioni superficiali, con l’incremento della porosità totale e conseguentemente
l’aumento della % di aria, determinano uno strato coibente che riduce la trasmissione del
calore verso gli strati più profondi del suolo poiché la conducibilità termica dell’aria è più
bassa di quella delle particelle minerali.
Caratteristiche chimiche del suolo e sua fertilità chimica.
La conoscenza delle caratteristiche chimiche del suolo è di fondamentale importanza per
una sua utilizzazione sostenibile.
L’area dove prelevare il suolo per sottoporlo all’analisi chimica deve essere omogenea.
Questa è spesso indicata come Unità di Paesaggio Aziendale o UPA. In un’azienda
agraria vi possono essere diverse UPA.
L’omogeneità dell’UPA deve riguardare la geomorfologia, le caratteristiche fisiche,
chimiche e biologiche, l’altezza della falda acquifera, l’uso del suolo, ecc.. .
La fertilità chimica del suolo è caratterizzata dai seguenti principali parametri: pH o
reazione; capacità di scambio ionico di tipo cationico o C.S.C e di tipo anionico o C.S.A. ;
calcare totale ; calcare attivo ; % di saturazione della C.S.C e % di Ca2+ e Mg2+ sulla
C.S.C. ; % di saturazione basica della C.S.C. o P.S.B. ; E.S.P. (Exchangeable Sodium
Percentage) o % di sodio scambiabile sulla C.S.C.; potere assorbente; potere tampone;
quantità di elementi nutritivi (N totale e nitrico, P2O5 o P totale e assimilabile, K2O o K
totale e assimilabile, K+ e Mg 2+ scambiabile ; quantità e disponibilità di S.O.; rapporto
C/N; conducibilità elettrica o ECe .
Per avere delle informazioni valide e rappresentative su il valore dei citati parametri nel
suolo e quindi sulla sua fertilità chimica occorre effettuare un suo corretto
campionamento.
Infatti è da considerare che il campione del suolo prelevato e portato in laboratorio è una
piccolissima parte della massa di quello preso in considerazione.
Ad es. basta pensare che volendo conoscere le caratteristiche di 1 ettaro di suolo viene
spesso portato in laboratorio un campione di circa 1 kg. Piccolissima quantità
considerando che 1 ettaro di suolo avendo , ad es. , una profondità di cm 30, un peso
specifico apparente di 1,25 kg dm3, pesa 3.750.000 di kg.
Le caratteristiche del suolo solitamente sono molto variabili di conseguenza è difficile
avere campionamenti rappresentativi di superfici, superiori a 1-2 ettari.
Anche il campionamento del suolo deve essere fatto con una metodologia corretta
altrimenti si corre il rischio di avere valori lontani dalla realtà. A tal proposito il Decreto
73
Ministeriale Italiano del 18 aprile 1994 relativo ai “Metodi ufficiale di analisi chimica del
suolo” stabilisce le procedure di prelevamento del campione e i metodi ufficiali per
eseguire le analisi.
Dalla superficie da campionare vanno escluse le zone anomale per aspetto o aree con dove
sono state fatte recenti lavorazione profonde o concimazioni o fertilizzazioni.
Vanno inoltre esclusi dal campionamento i bordi dell’appezzamento e circa 5 metri dai
fossi e dalle capezzagne.
Oltre a ciò è indispensabile che il campione sia formato da più campioni elementari
prelevati in punti diversi ed accuratamente mescolati tra loro.
I punti di prelievo vanno scelti seguendo un percorso che interessa tutto il campo come
esemplificato nella successiva fig. .

I campioni di suolo devono essere prelevati in base alla profondità che interessa, tramite
specifici strumenti e in determinati periodi dell’anno.
Ricordandosi di rimuovere sempre prima del prelievo del campione la vegetazione
spontanea, per le colture erbacee è solitamente sufficiente prelevare uno strato di suolo
compreso tra 0 e 30 cm mente per quelle arbustive e arboree è corretto prelevare due
campioni, uno tra 0 e 30 cm e l’altro tra 30 e 60 cm di profondità.
Gli strumenti per il fare il campionamento del suolo devono essere fatti con materiali da
non influenzare le caratteristiche chimiche che si vogliono analizzare.
Gli usuali strumenti per il campionamento sono: una sonda o una trivella o una vanga, un
telone asciutto di circa 2 m2, un secchio con un volume di circa 10 litri e dei sacchi con una
capacità di almeno 1 litro dotati di un buon sistema di chiusura.
L’epoca di prelevamento del campione di suolo è importante poiché è in funzione allo
scopo per cui si effettua l’analisi chimica.
Ad es. se fatta per piani di fertilizzazione o concimazione il campionamento deve essere
eseguito dopo la raccolta della coltura e prima della somministrazione dei fertilizzanti o
concimi per la successiva mentre se fatta per interventi correttivi o ammendanti deve
essere eseguito almeno 6 mesi dopo l’ultimo apporto di correttivi o ammendanti.
Ciascun campione di suolo raccolto deve essere messo in un contenitore asciutto,
impermeabile e con un’etichetta riportante la data di campionamento, la profondità di
prelievo e, se possibile, in dati catastali e o geografici dell’area presa in considerazione.

Di seguito vengono esaminati, in modo schematico, i fattori delle fertilità chimica del suolo
in precedenza elencati.

74
pH o reazione.
Il pH o reazione del suolo deriva dalla possibilità da parte delle superfici di scambio
inorganiche e organiche e dei composti inorganici e organici presenti in questo di liberare
ioni H+ o OH- nella soluzione circolante.
Il pH del suolo è l’inverso del logaritmo in base 10 della concentrazione degli idrogenioni
nella soluzione circolante cambiata di segno o il logaritmo negativo in base 10 della
concentrazione di ioni H+. Il pH è quindi -log [H+].
Alcune cause dell’acidità del suolo
 Natura della Roccia madre.
È il caso dei suoli che derivano da rocce acide come: graniti, gneiss, arenarie, ecc..
Suoli acidi possono derivare anche da rocce neutre o alcaline come i suoli del Carso
italiano nelle aree dove le condizioni climatiche sono caratterizzate da notevole piovosità
che favorisce il dilavamento.
 Dilavamento meteorico delle basi.
Fattore importante in climi piovosi. Nel caso specifico il Ca++ è l’elemento più asportato
per dilavamento, da circa 250 a circa 600 kg CaO ha-1 anno-1 a cui segue il K con circa
30 kg di K2O ha anno-1.
 Asportazioni da parte delle colture. Ad es. l’erba medica per produrre 10 t ha-1 di fieno
asporta 352 kg di CaO e 220 kg di K2O.
 Uso di concimi acidi. Ad es. l’uso di 100 kg di solfato ammonico ha-1 solubilizza 105 kg
di CaO mentre 100 kg di KCl ha-1 solubilizza 66 kg di CaO.
Il pH del suolo è un fattore limitante la coltivazione delle specie agrarie. Difatti il pH gioca
un importante ruolo nel regolare i processi chimici e biologici del suolo come: attività e
tipo di Edafon; mobilità e assimilabilità degli elementi nutritivi; mobilità e assimilabilità
di elementi tossici.
Attività e tipo di Edafon.
L’intervallo di pH ottimale per l’attività microbica è tra 6 e 7,2. Allontanandosi da questi
valori si ha una variazione degli equilibri microbici e con una graduale riduzione della
loro attività comportante una riduzione dei processi di mineralizzazione e umificazione e
della disponibilità di elementi nutritivi.
In particolare i batteri, con pH del suolo acido, riducono la loro attività a favore di quella
dei funghi che sono i principali responsabili della demolizione della sostanza organica.
Tra i processi microbici che sono più influenzati dal pH si evidenzia
 l’ammonizzazione
 la nitrificazione
 la fissazione dell’azoto atmosferico ad opera dei batteri asimbionti e simbionti delle
leguminose. In particolare l’adattamento di quest’ultimi batteri ai bassi valori di pH varia
da un minimo di circa 3,5, come il Rhizobium della soia, ad uno di circa 6,3, come il
Rhizobium dell’erba medica.
Nei suoli subacidi e acidi è l’attività dei funghi a prevalere su quella dei batteri e degli
attinomiceti. Nei suoli neutri e subalcalini è l’attività dei batteri a prevalere su quella
fungina e degli attinomiceti. Nei suoli alcalini, sciolti e poco umidi, è l’attività degli
attinomiceti a prevalere su quella fungina e batterica
Sotto l’aspetto agronomico sono importanti due tipi di pH.
 Il pH attuale, fatto in acqua distillata con rapporto in peso “suolo-acqua” 1:2,5.
 Il pH potenziale, fatto in soluzione salina con KCl o BaCl2 1N, con rapporto in peso
suolo-soluzione 1:2,5 per suoli caso un pH in H2O inferiore a 7.
75
Misura del pH del suolo
Sono disponibili vari kit veloci e strumenti per misurare il pH del suolo sia in campo e in
laboratorio..
È bene tenere presente che il pH del suolo, a parità di pratiche agronomiche, varia nel
corso dell’anno. Questo, infatti, dipende dalle condizioni climatiche, diminuendo nella
stagione piovosa e fredda e aumentando in quella siccitosa e calda. La variazione di pH
per queste ragioni può superare anche l’unità.
Anche per quanto sopra accennato il pH del suolo deve essere sempre confrontato tra un
campione prelevato, oltre che nel solito luogo e alla solita profondità, nel solito periodo di
tempo.

Di seguito una classificazione agronomica del suolo, comunemente utilizzata, in base al suo
pH.
Classificazione agronomica del suolo in base al pH in H2O
Peracido < 5,3
Acido 5,3-5,9
Sub acido 5,9-6,6
Neutro 6,6-7,4
Sub alcalino (alcalinità costituzionale per CaCO3) 7,4-8,4
Alcalino (alcalinità sodica per NaOH) 8,4-8,8
Peralcalino (alcalinità sodica per NaOH) > 8,8
Il pH ha un ruolo molto importante nel regolare la mobilità e assimilabilità degli elementi
minerali nel suolo.
Il pH determina la forma con cui un elemento si trova nel suolo rendendolo più o meno
lisciviabile verso gli strati profondi del suolo e assimilabile per le piante.
Ad esempio:
 nei suoli peracidi il boro è poco disponibile;
 nei suoli peracidi e acidi si ha bassa disponibilità di cationi come il Ca+2, Mg+2 e K+, una
bassa disponibilità e solubilità del molibdeno, il fosforo è presente sotto forma di fosfati di
ferro e di alluminio non disponibili. alluminio, ferro e zinco sono molto solubili e mobili
creando problemi alle colture, la saturazione basica è sempre bassa in quanto sul
complesso di scambio predominano gli ioni H+.
La bassa produttività dei suoli molto acidi è, in particolare, connessa all’azione tossica
dell’alluminio. Azione tossica che porta ad alterazione delle divisioni e funzionalità
cellulari e, conseguentemente, all’assimilazione degli elementi nutritivi.
 nei suoli sub-acidi l’alluminio è presente a livelli tossici non significativamente
importanti, il fosforo è presente sotto forma monocalcica o bicalcica discretamente
assimilabile dalle piante e l’assimilazione degli elementi nutritivi è discreta
Alcune colture foraggere leguminose particolarmente sensibili all’acidità, come l’erba
medica, esigono per il loro massimo accrescimento un pH non inferiore circa 6,4 poiché
questo garantisce l’assenza di alluminio in quantità fitotossica. I suoli acidi sono presenti
soprattutto nelle zone umide e piovose su suoli sciolti: vedi in particolare in Europa e in
Italia settentrionale e centrale.

76
 nei suoli neutri l’assimilabilità dei macro e microelementi e la saturazione basica è
ottimale e l’attività microbica del suolo è intensa e equilibrata
Questi suoli hanno.
 nei sub alcalini o alcalino-costituzionali con pH dovuta al carbonato di calcio la
reazione basica è data dal rapporto carbonato/bicarbonato e quindi dalla concentrazione
della CO2 del suolo.
In questi suoli sia ha una buona o alta disponibilità di calcio, magnesio e molibdeno, si
possono avere carenze di alcuni microelementi per la loro ridotta solubilità, il fosforo è
sotto forma di fosfato tricalcico poco o punto disponibile per le piante per la grande
quantità di ioni Ca2+ presente nella soluzione circolante, il ferro, rame, zinco e manganese
subiscono una immobilizzazione determinando in relazione al ferro, in alcune piante, il
fenomeno della clorosi ferrica. Comportamento contrario manifesta per il molibdeno, la
cui solubilità aumenta. Questi suoli hanno una saturazione basica che quando il pH è 8,4
può arrivare fino al 100 %.
I suoli sub alcalini derivati da rocce calcaree sono diffusi un po’ in tutta Italia. In
particolare sono prossimi o superiori al 50 % della superficie regionale nelle Marche,
Umbria, Abruzzo, Molise e Friuli Venezia Giulia.

 nei suoli alcalini e peralcalini con alcalinità sodica dovuta a Na OH si ha la


formazione nella soluzione circolante di carbonato di sodio. I suoli con pH superiore a 8,4
solitamente presentano una riduzione nella disponibilità di ferro, boro, manganese, rame,
zinco e fosforo, che però dopo pH 8,6 aumenta nuovamente di disponibilità e sempre una
alta disponibilità di molibdeno.
La disponibilità dei macro e micro elementi del suolo è legata al pH. Ad esempio per l’N,
P, K e S è massima a pH 7.

77
Variazione della % dei suoli acidi, neutri e alcalini secondo la latitudine: Finlandia 60° di
latitudine Nord , Egitto 30° di latitudine Nord.
Nazioni pH < 7 pH 7 pH 7 < 9
Finlandia 99 0 0
Svezia 74 24 2
Italia 32 39 29
Egitto 0 14 86
La flora spontanea può offrire elementi di giudizio sul pH del suolo. Esistono infatti piante
caratteristiche dei suoli acidi, alcalini costituzionali e alcalini o salsi
Giudizio che viene rafforzato se più specie “pH-preferenti” dello stesso tipo si trovano nel
solito luogo. In relazione a ciò si elencano le più comuni piante spontanee acidofile o
ossifile e basofile o anossifile.
Nome volgare Famiglia Genere e Specie Acidofile Basofile
Betulla bianca Betulacee Betula alba X
Cisto femmina Cistacee Cistus salvifolius X
Elicriso italico Composite Helichrysum italicum X
Pino silvestre Conifere Pinus silvestris X
Calluna Ericacee Calluna vulgaris X
Scopa femmina Ericacee Erica scoparia X
Scopa maschio Ericacee Erica arborea X
Rododendro Ericacee Rhododendron ferrugineum X
Mirtillo Ericacee Vaccinium myrtillus X
Gramigna liscia Graminacee Molinia coerulea X
Nardo o Cervino Graminacee Nardus stricta X
Ginestra dei carbonai Leguminose Sarothamnus scoparius X
Erba pazienza Poligonacee Rumex acetosella X
Felce acquilina Polipodiacce Pteris acquilina X
Frangula Ramnacee Rhamnus frangula X
Salice Salicacee Salix incana X
Artemisia Composite Artemisia coerulescens var. X
cretacea
Meliloto Leguminose Melilotus officinalis X
Ononide strisciante Leguminose Ononis spinosa X
Inula vischiosa Composite Inula viscosa X
Sulla Leguminose Hedysarium coronarium X
Salvastrella minore Rosacee Poterium sanguisorba X
Tamerice Tamaricacee Tamarix gallica X
Liquirizia Leguminose Glycyrrhizia glabra X

Adattabilità delle colture agrarie al pH.


Il pH del suolo ha un’azione selettiva verso non solo le specie spontanee ma anche quelle
agrarie. Di seguito gli intervalli di pH del suolo ritenti preferenziali per alcune specie
agrarie.

78
Genere e specie pH preferente
Festuca ovina 4,5-6,0
Festuca pratense 4,5-7,0
Lupino giallo 5,0-6,0
Riso 5,0-6,5
Segale 5,0-7,0
Festuca rossa 5,5-6,5
Lupino giallo 5,5-7,0
Trifoglio incarnato 5,5-7,0
Trifoglio ibrido 5,5-7,5
Sorgo 5,5-7,5
Mais 5,5-7,5
Trifoglio ladino 5,6-7,0
Coda di topo 5,6-8,0
Soia 6,0-7,0
Loietto italico 6,0-7,0
Erba mazzolina 6,0-7,0
Trifoglio alessandrino 6,0-7,5
Coda di volpe 6,0-7,5
Girasole 6,0-7,5
Barbabietola da foraggio 6,0-7,5
Avena 6,5-7,5
Frumento 6,5-7,5
Orzo 6,5-8,0
Fava 7,0-7,8
Capacità di scambio ionico di tipo cationico o C.S.C e di tipo anionico o C.S.A. .
Le superfici di contatto delle fasi solide del suolo con quella liquida sono sede della
Capacità di scambio ionico di tipo cationico o C.S.C e di tipo anionico o C.S.A. Parametri
che hanno mota influenza sulla fertilità chimica del suolo.
La capacità di scambio ionico è un fenomeno di interazione elettrostatica che si stabilisce
tra punti positivi e negativi presenti sulle particelle minerali e organiche del suolo, dette
complesso di scambio e gli ioni presenti nella soluzione tellurica.
Il termine complesso di scambio deriva dal fatto che gli ioni trattenuti sulle superfici delle
sostanze minerali e organiche lo sono solo in modo temporaneo risultando scambiabili, in
dinamicamente, con gli altri ioni presenti nella soluzione circolante .
Dal punto di vista agronomico il complesso di scambio e la relativa capacità di scambio
ionico sono e importanti per la dotazione degli elementi nutritivi del suolo. Infatti questi
verrebbero persi per dilavamento se il suolo non avesse un sistema capace di trattenerli in
modo dinamico.

Capacità di scambio cationica o C.S.C.


Per capacità di scambio cationico si intende quel fenomeno di interazione elettrostatica tra
punti negativi presenti sulle particelle minerali e sulle sostanze organiche del suolo e gli
ioni positivi contenti nella soluzione tellurica come Ca2+, Mg2+, K+, Na+, Fe+3, Al3+,
Al(OH)2+, AlOH2+, H+, ecc. .

79
La C.S.C della frazione solida del suolo è in relazione alle cariche negative presenti sulle
micelle cristalline argillose per le sostituzioni isomorfe e nelle zone di discontinuità per
rottura di legame e ai gruppi acidi, fenolici, amminici, ecc.. della sostanza organica
umificata.
La C.S.C. definisce la quantità di cationi trattenuta dal complesso di scambio disponibili
per le radici delle piante in cambio, solitamente, di H+.
La C.S.C. è misurata in milligrammi equivalenti o milliequivalenti o meq su 100 g di
suolo essiccato all’aria o su 100 g di S.S. di sostanza organica del suolo.
La capacità di scambio cationico della frazione argillosa dipende dalla sua carica elettrica
negativa che è di due tipi: permanente e variabile.
Quella permanente non è modificata dalle variazioni del pH della soluzione tellurica
dipendendo solo dalle sostituzioni isomorfe.
Quella variabile, dovuta alla presenza di OH- sui margini della struttura cristallina e alla
presenza di cariche elettriche negative in corrispondenza delle zone di discontinuità del
reticolo cristallino, è modificata da variazioni del pH del suolo.
L’elettronegatività variabile al diminuire della concentrazione idrogenionica nella
soluzione circolante aumenta per cessione di H+ dal reticolo cristallino argilloso mentre il
contrario accade se aumenta la concentrazione idrogenionica.
In relazione a ciò la C.S.C. varia da suolo a suolo tanto ha la seguente classificazione
pedologica.
C.S.C. del suolo Molto bassa <6
in m.e.q. Bassa 6-12
Media 13-26
Alta 27-40
Molto alta > 40
Questa differenziazione, eccetto nei suoli con elevata quantità di S.O. , dipende dal tipo di
reticolo cristallino del minerale argilloso prevalente nel suolo e delle sue trasformazioni
subite durante il processo pedogenetico.
Per le argille più comunemente presenti nei suoli italiani, si considerano validi i seguenti
valori medi di C.S.C. su 100 g-1 di argilla pura considerando che i valori massimi sono stati
misurati a pH 8 perché la C.S.C. è pH-dipendente.
Argilla C.S.C. m.e.q. 100g-1
Caolinite 3-15
Illite 10-40
Clorite 10-40
Halloysite 40-50
Montmorillonite 80-150
Vermiculite 100-150
La capacità di scambio cationico della frazione organica del suolo è anche questa dovuta a
cariche elettriche negative di tipo permanenti e variabili.
Le permanenti derivano dalla dissociazione dei gruppi carbossilici COOH (COO- + H+) e
si manifestano già con valori di pH bassi.
Le variabili derivano dalla dissociazione degli ossidrili OH- dei gruppi fenolici che
s’intensifica con valori di pH progressivamente superiori a 5,5.

80
Poiché la sostanza organica è soggetta ad trasformazione anche la sua capacità di scambio
cationico varia in relazione alle sue caratteristiche polimeriche raggiunte nel tempo: da
valori minimi, quando è poco trasformata, con forte presenza di lignine e pectine, a valori
massimi la sua umificazione è avanzata.
Questa particolarità fa sì che la capacità di scambio cationico della sostanza organica nel
suolo oscilli dai circa 100 meq per 100 nel materiale indecomposto ai 500 meq per 100 g
negli acidi umici più condensati.
Con riferimento ai suoli dei climi temperati e riferendosi alla tabella relativa alla
Classificazione della C.S.C. del suolo, prima riportata, questa può essere così valutata.
1) Livello molto basso e basso. Questa situazione si riscontra generalmente in suoli poveri
di S.O. e sabbiosi o in suoli con normale dotazione di S.O. dove il complesso di scambio è
rappresentato da argille caolinitiche. L’insorgenza di carenze nutrizionali è molto
probabile, dal momento che gli ioni nutritivi vengono trattenuti in misura ridotta da
suolo. Un miglioramento della capacità di scambio cationico economicamente proponibile
è quello con interventi agronomici volti ad incrementare la dotazione in sostanza organica
nel suolo.
2) Livello medio. Questa è una situazione che non determina problemi poiché il complesso
di scambio è tale da non determinare insorgenza di carenze nutrizionali significative.

3) Livello alto e molto alto. Questa situazione si manifesta in suoli dove il complesso di
scambio è costituito essenzialmente da argille molto attive o dove sa ha una discreta
quantità di S.O. . In questa situazione le piante trovano ampia disponibilità di nutrienti.
Capacità di scambio anionica o C.S.A.
Il suolo ha anche una capacità di scambio anionica o C.S.A. dovuta ai punti positivi dei
colloidi organici o dove le argille hanno cariche positive come lungo spigoli o sulle
soluzioni di continuità dei foglietti.
Gli anioni di scambio possono essere rappresentati da PO43-, SO42-, Cl-, NO3-, ecc.. . Il
valore della C.S.A. del suolo è, normalmente, basso: circa 5-10 meq 100g-1.
Calcare totale e calcare attivo.
Il calcare è un componete del suolo variabile in quanto dipende dalla natura della roccia
madre ed è rappresentato dal CaCO3 o calcite e dal MgCa(CO3)2 o dolomite.
Nei metodi ufficiali di analisi il calcare viene espresso come g di carbonato contenuto in 1
kg di suolo o in % o in ‰ . Un certa quantità di carbonati nel suolo è positiva poiché il
Ca2+ e l’Mg2+ che rilasciano sono necessari alla nutrizione dei vegetali, influiscano sul
valore del pH, flocculano i colloidi argillo-umici del suolo, regolano la solubilità e
l’assimibilità di elementi nutritivi come il fosforo, potassio e ferro.
Non tutto il calcare presente in un suolo partecipa in misura uguale in quanto prima citato
poiché il calcare, essendo caratterizzato da una solubilità estremamente bassa, viene ad
aumentarla proporzionalmente alla diminuire delle sue particelle.
Il relazione a ciò il calcare si divide in calcare totale e calcare attivo.
Il calcare totale è la % in carbonati su 1 g di terra fine indipendentemente dal Ø delle loro
particelle che reagiscono con 10 ml di una soluzione acquosa di HCl 1:1.
La percentuale è misurata con uno strumento detto calcimetro, come quello di Dietrich-
Fruhling, tramite lo spostamento percentuale dell’H2O contenuta in un cilindro di vetro
graduato in ad opera della CO2 prodotta dai carbonati a contatto con l’acido cloridrico.
81
Il calcare totale non fornisce però precise informazioni circa le caratteristiche
agronomiche del suolo perchè interessa particelle di carbonati che presentano grandezza,
pertanto estremamente varia: da quella dello scheletro, e quindi inerte a quella
dell’argilla.
In relazione contenuto in calcare totale del suolo viene di seguito esposta la seguente
classificazione.
Contenuto di CaCO3 totale g kg-1 % Classificazione
< 10 < 1 Non calcareo
10-100 1-10 Leggermente calcareo
110-250 11-25 Mediamente calcareo
260-500 26-50 Molto calcareo
> 500 > 50 Eccessivamente calcareo
Il calcare attivo è la % della terra fine con carbonati con Ø al massimo uguali a 0,02 mm
che reagiscono con l’ossalato d’ammonio 0,2 N .
È la parte di calcare del suolo più reattiva in quanto più solubilizzabile e,
conseguentemente, quella più influenzante la fertilità chimica del suolo, in senso positivo o
negativo: vedi in particolare il potere clorosante.
In relazione al contenuto in calcare attivo del suolo vedi suolo viene di seguito esposta la
seguente classificazione.
Contenuto di CaCO3 attivo g kg-1 % Dotazione
< 10 <1 Bassa
10-35 1-3,5 Media
36-100 3,6-10 Elevata
> 100 > 10 Molto elevata
Un valore del calcare attivo > 5% nel suolo è da considerare, per alcune colture, in
particolare arbustive e arboree, come la vite, negativo dato che ostacola l’assorbimento di
alcuni elementi.
Una elevata quantità di calcare nel suolo oltre a determinare un pH sub-alcalino o alcalino
costituzionale causa delle seguenti problematiche nutrizionali per le piante: diminuzione
della disponibilità di fosforo per la formazione di fosfati tricalcici e apatitici; riduzione
della disponibilità di ferro dovuta al passaggio del metallo dallo stato ferroso ad allo stato
ferrico, meno assimilabile, determinante la clorosi ferrica ossia l’azione clorosante del
suolo; riduzione della disponibilità di potassio, magnesio e boro per aumento
dell’antagonismo esercitato dagli ioni calcio presenti nella soluzione circolante: riduzione
della disponibilità di diversi microelementi nutritivi per aumento del valore del pH;
riduzione della valore della sostanza organica annualmente mineralizzata o K2, ecc.. .
Indipendentemente da ciò la correzione dei suoli toppo ricchi di calcare non è usata
perché economicamente insostenibile. L’uso di alcune pratiche agronomiche può,
comunque, contribuire al contenimento dei problemi sopra citati.
Queste pratiche sono: corretta sistemazione idraulica del suolo per avere un buon
drenaggio e allontanamento delle acque ricche di Ca(HCO3)2; apporto d’acqua povera di
Ca2+; abbondanti concimazioni organiche e interramento dei residui colturali per
facilitare la diminuzione del pH del suolo; idonei portainnesti per piante arbustive e
arboree, ecc.. .
% di saturazione della C.S.C e % di Ca2+ e Mg2+ sulla C.S.C.
Il primo di questi parametri esprime la % della C.S.C. saturata da cationi. Se la C.S.C è di
20 meq ed è statura con 15 meq di cationi, la % di saturazione sarà del 75 % come dalla
82
seguente operazione: (15/20)x100. Agronomicamente non è utile avere una saturazione del
100% ma di circa il 70 %. Saturazioni elevate denotano anomalie pedologiche.
I secondo parametro indica % di Ca2+ e Mg2+ sulla C.S.C. del suolo. In relazione a ciò la
seguente tabella riporta una valutazione agronomica in merito.
Ione % sulla CSC valutazione
2+
Ca > 60 ben dotato
40-60 sufficientemente dotato
20-40 scarsamente dotato
< 20 povero
2+
Mg > 10 ben dotato
6 - 10 sufficientemente dotato
2-6 scarsamente dotato
<2 povero
% di saturazione basica della C.S.C. o P.S.B
Questo parametro indica la % della C.S.C. saturata da cationi basici ossia escluso Al+3 e
H+. Se la C.S.C. è di 20 meq ed è statura con 14 meq di cationi basici la % di P.S.B. sarà il
70% come dalla seguente operazione: (14/20)x100. Agronomicamente non è utile una
saturazione basica del 100% ma di circa il 60 %. Saturazioni basiche elevate denotano
anomalie pedologiche.
PSB in % Molto alta 81-100
Alta 80-61
Media 41-60
Bassa 21-40
Molto bassa < 20
E.S.P. (Exchangeable Sodium Percentage) o % di sodio scambiabile sulla C.S.C.
Il parametro E.S.P. esprime la % di meq di sodio presenti sulla C.S.C. . Se è ≥ 15 il suolo
presenta delle problematiche agronomiche perché il Na+ è tossico per le piante.
Il potere assorbente.
Questo parametro, esprime l’attitudine del suolo a trattenere le sostanze contenute nella
soluzione circolante e si esplica tramite i seguenti 5 fenomeni: 1) meccanico 2) fisico 3)
chimico 4) fisico-chimico 5) biologico.
Il fenomeno meccanico è dato dall’azione filtro o crivello del suolo: le particelle solide con
Ø > a quelle dei pori del suolo vengono trattenute.
Il fenomeno fisico si manifesta sulle molecole mediante legami dovuti a forze di Van der
Waals per cui queste vengono trattenute nel mezzo.
Il fenomeno chimico è connesso all’assorbimento degli elementi da parte del suolo dovuto
alla formazione di legami chimici come avviene nei suoli costituzionalmente alcalini o
acidi, nei confronti degli anioni ortofosforico.
Nel caso dei suoli costituzionalmente alcalini il Ca+2, trasforma lo ione ortofosforico da
fosfato monocalcico o Ca(H2PO4)2, assorbito facilmente dalle piante, a fosfato bicalcico o
CaHPO4, meno assorbito del precedente e infine a fosfato tricalcico o Ca3(PO4)2, non
assorbito dalle piante, se si eccettua una modesta quantità quando questo è da poco tempo
precipitato.

83
Nel caso dei suoli acidi il Fe+3 e al Al+3 trasformano lo ione ortofosforico in FePO4 o del
AlPO4 non utilizzabili dai vegetali anche se da poco tempo precipitati.
Il fenomeno fisico-chimico o adsorbimento è dovuto alla C.S.C e C.S.A. dei colloidi
argillosi e umici, che trattengono i cationi e anioni nel suolo.
Per i cationi questo potere del suolo è proporzionale alla loro carica e inversamente al loro
grado di idratazione: il Li+1 o il Na+1 sono meno fissati del Ca+2 o del Fe+3.
Questo segue la seguente regola: Li+1 <Na+1 <NH4+ <K+ <Mg2+ <Ca2+ <Ba2+ <Al3+ <Fe3+
Il colloide adsorbe con le sue cariche negative anche anioni, vedi quelli fosfatici, tramite
ponti cationici possibili con l’intervento di cationi bivalenti, come il Ca+2 o trivalenti.

Mg
Na

Ca Colloide con carica negativa Ca


+

K -

NH4
H2PO4

Il fenomeno biologico è connesso alla microflora del suolo che demolendo la sostanza
organica, per ricavare energia e C per il suo accrescimento, assorbe anche elementi
minerali: N in particolare.
L’assorbimento dell’N da parte della microflora è diverso quando si interra S.O. vegetale
con basso o alto rapporto C/N come masse fogliari e radicali con basso C/N di circa 25-30
o stocchi e paglia di cereali con alto C/N di circa 50-100.
Rapporto C/N di alcuni residui colturali e del letame
Masse radicali 25
Masse fogliare 30
Stocchi 50
Paglia 100
Letame fresco 25
Letame maturo 20
Tanto più è alto il C/N delle masse interrate tanto più N sarà bloccato. Questo perché i
corpi microbici avendo mediamente un C/N di circa 10 nella loro moltiplicazione e
accrescimento sottrarranno N dal suolo per giungere a questo valore.

84
Ciò porta ad una immobilizzazione temporanea dell’N nel suolo: temporanea in quanto
dopo la morte dei batteri l’azoto sarà, con la mineralizzazione delle loro cellule,
nuovamente disponibile.
Questo bloccaggio dell’N, anche se temporaneo, ha comunque dei riflessi sulla nutrizione
azotata delle piante.
Ad esempio 100 kg di paglia ha-1 interrata, sottrae tramite l’attività microbica, da circa 1-
1,4 kg di N ha-1 a circa 0,8-0,9 kg di N ha-1 secondo se questa è interrata nel periodo
primaverile-estivo o nel periodo autunno-invernale. La minore quantità sottratta nel
periodo autunno-invernale è dovuta alla minore l’attività microbica in queste stagioni. Ciò
porta alla discutibile pratica di aumentare la dose di N in presemina dopo interramento
delle paglie o stocchi dei cereali a fine estate o inizio autunno.
Potere tampone.
Questo parametro indica la capacità del suolo ad opporsi a variazioni del pH ed è legato
principalmente alla C.S.C. del suolo e conseguentemente al contenuto di colloidi inorganici
e organici. Tanto più questa sarà elevata tanto più il potere tampone sarà marcato. Di
seguito due semplici esempi per chiarire il meccanismo del potere tampone del suolo.
Colloide-Ca+ H2SO4 > H-Colloide-H + CaSO4
Colloide-H + NaOH > Colloide-Na + H2O
Il potere tampone è importante anche per la riduzione dell’effetto negativo delle piogge
acide.
Quantità di elementi nutritivi e di S.O.
Gli elementi nutritivi delle piante sono di tre tipi: macroelementi plastici principali: N, P,
K; macroelementi plastici secondari, Ca, Mg, S; microelementi oligodinamici, B, Co, Cu,
Zn, Mo, Mn, Fe; elementi minerali che sono assorbiti dalle piante in modo preponderante
tramite radici anche se è possibile un loro modesto assorbimento per via fogliare.
Considerando il meccanismo dell’assorbimento radicale questo può avvenire tramite un
processo attivo e un processo passivo.
Il processo di assorbimento attivo, a sua volta, può dipendere o dal fenomeno di scambio o
dall’intervento di una sostanza organica presente nelle radici detta carrier.
Il fenomeno di assorbimento attivo per il fenomeno dello scambio avviene per cessione di
ioni H+ da gruppi organici acidi presenti sulle radici in cambio di cationi presenti nella
soluzione circolante o sulle particelle minerali.
Questo tipo di assorbimento attivo dipende dalla C.S.C. della sostanza organica radicale
che è misurata in meq per 1 kg di tessuto radicale.
A tal riguardo la differenza tra leguminose e graminacee, come si può osservare nella
successiva tabella, è netta tanto da comportare una diversa tecnica di concimazione
quando o sono colture pure o sono unite per la costituzione di miscugli foraggeri.
Leguminose C.S.C. in m.e.q. Graminacee C.S.C. in m.e.q.
per 1 kg di per 1 kg di
tessuto radicale tessuto radicale
Soia 58,9 Mais 26,0
Erba medica 48,0 Erba mazzolina 25,6
Trifoglio violetto 47,5 Avena 22,8
Trifoglio ladino 43,4 Segale 19,1
Orzo 12,3
Frumento 9,0
85
Il fenomeno di assorbimento attivo tramite il carrier avviene, come citato, con
l’intervento di una sostanza di natura proteica, fa passare la barriera o banda del Caspari
ai vari ioni tramite l’intervento dell’ATP. In questo caso gli ioni si legano in determinati
punti del carrier e poi vengono liberati nello xilema. Talvolta si ha possibilità di
competizione tra ioni diversi, vedi tra Ca+2 e Mg+2, che si contendono il solito punto sul
carrier.
Il processo passivo si basa invece sulla semplice differenza del potenziale osmotico tra la
soluzione circolante e quella delle cellule radicali. È un classico assorbimento per osmosi.
In relazione alla quantità degli elementi nutritivi nel suolo di seguito si riporta una
schematica tabella dove nella quale è esposta una sintetica valutazione agronomica del
suolo in base alla loro quantità.
Elemento Unità di Valutazione
nutritivo misura M. basso Basso Medio Alto M. alto
N totale ‰ < 0,25 0,25-0,60 0,60-1,00 1,00-1,70 > 1,70
P totale ‰ < 0,10 0,10-0,20 0,20-0,35 0,35-0,60 > 0,60
P assimilabile ppm <3 3-6 6-10 10-17 > 17
metodo Olsen
P assimilabile ppm <5 5-15 15-30 30-40 > 40
metodo Bray
K disponibile ppm < 40 40-80 80-125 125-165 > 165
Ca scambiabile ppm < 400 400-1.000 1.000-2.000 2.000-4.000 > 4.000
Mg scambiabile ppm < 60 60-180 189-360 360-960 > 960
Na scambiabile ppm < 30 30-90 90-200 200-600 > 600
Ca/Mg di scambio < 1,5 1,5-2,5 2,5-6,0 6,0-12 > 12
Mg/K <2 >5

In relazione alla disponibilità di azoto nel suolo è da evidenziare che questo deriva:
 dalle idrometeore, sotto forma di ammonio, acido nitrico e nitroso. L’apporto totale
medio di N è di circa 10 kg ha-1 anno e, in casi particolari, anche di 50 kg ha-1 anno
 dalla fissazione simbiotica. L’apporto totale medio di N è di circa 30 kg ha-1 anno-1 e, in
casi particolari, anche di 100 kg ha-1 anno
 dalla fissazione asimbiontica. L’apporto totale medio di N è di circa 10 kg ha anno-1 e,
in casi particolari, anche di 20 kg ha-1anno
 dalla mineralizzazione della sostanza organica del suolo. L’apporto di N tramite questa
via varia in base alla profondità di suolo considerato, al suo peso specifico apparente, alla
% di S.O. nel suolo, al tasso di mineralizzazione come alla % di argilla e % di carbonati
totali.
Ad esempio considerando che la % di azoto totale presente nella sostanza organica sia
mediamente dello 0,05 o 5% per 1 ha di suolo dal peso specifico apparente di 1,2,
profondo 0,30 m, con una % di S.O. dello 0,02 o 2%, con tasso annuo di mineralizzazione
dello 0,02, o 2 % si avrà un apporto di circa 72 kg ha anno-1 di N
(10.000x0,30x1,2x1.000x0,02x0,02x0,05).
In relazione alle forme di N assorbite, alla sua importanza nei vegetali, alla sua % sulla
s.s. di delle piante, l’effetto sulle piante ai danni dovuti per eccesso di N nel suolo è da
evidenziare quanto segue .
86
L’azoto dai vegetali è assorbito principalmente come ione NH4+ e NO3-. L’azoto è un
macroelemento plastico la cui importanza è nota: entra negli acidi nucleici, proteine,
clorofilla, glucosidi, alcaloidi, ecc... .
La percentuale di N totale sulla sostanza secca dei vegetali varia con l’età dei tessuti,
oscillando dall’1-3 %, nei tessuti vecchi, al 5-6 % nei tessuti giovani e con la specie essendo
ad es. più elevata nelle leguminose e più bassa nelle graminace.
L’azoto e l’elemento che ha i maggiori effetti sull’accrescimento delle piante ma se in
eccesso nel suolo crea problemi come: minor resistenza alle avversità biotiche e abiotiche,
riduzione della fioritura e fruttificazione, maggiori consumi idrici per aumento della
superficie fogliare, accumulo di nitrati nei tessuti vegetali pericolosi per possibilità di
metaemoglobinemia ossia distruzione dei globuli rossi nel sangue degli animali che se ne
cibano e inquinamento delle falde e dei corpi d’acqua: l’acqua non è più utilizzabile come
potabile se ha 40 ppm di N nitrico per litro ossia 40 mg kg-1.

Ciclo dell’N nel suolo

Concimi e
fertilizzanti
NH4+

Rizobium spp.
Azotobacter e Clostridium
Nitrosomonas e Nitrobacter

In relazione alla disponibilità del fosforo nel suolo è da evidenziare che questo deriva
principalmente:
 dall’alterazione dei minerali fosfatici
 dall’idrometeore e sedimenti portati dall’erosione idrica
 dalla mineralizzazione della sostanza organica del suolo. L’apporto tramite questa
varia in base alla profondità di suolo considerato, al suo peso specifico apparente, alla %
di S.O. nel suolo, al tasso di mineralizzazione come alla % di argilla e % di carbonati
totali.
Ad esempio considerando che la % di fosforo totale presente nella sostanza organica sia
mediamente dello 0,005 o 0,5%, per 1 ha di suolo dal peso specifico apparente di 1,2,
profondo 0,30 m, con una % di S.O. dello 0,02 o 2%, con tasso annuo di mineralizzazione
dello 0,02, o 2 % si avrà una apporto di circa 7,2 kg ha anno-1 di N
(10.000x0,30x1,2x1.000x0,02x0,02x0,005).

87
In relazione alla forma di P assorbita, alla sua importanza nei vegetali, alla sua % sulla
s.s. di delle piante, all’effetto sulle piante e alle sue problematiche nel suolo è da
evidenziare quanto segue.
Il fosforo è principalmente assorbito dalle piante come ione fosforico HPO4-2.
Il fosforo è un macroelemento plastico la cui importanza è nota: entra negli acidi nucleici,
proteine, nella sintesi clorofilliana, nei fosfolipidi, ecc.. Nei vegetali il P totale sulla
sostanza secca varia sia con la specie che con l’età della pianta oscillando mediamente,
come P2O5, tra lo 0,7 e il 2 %. Il fosforo è l’elemento che influisce positivamente sulla
precocità di sviluppo e riuscita delle fasi fioritura-fecondazione-maturazione delle piante,
sulla qualità dei prodotti e sulla resistenza all’avversità abiotiche e biotiche. Il fosforo, pur
essendo soggetto al potere assorbente del suolo per fenomeni chimici e fisico-chimici, che
determina la sua immobilizzazione, può andare incontro nei suoli sabbiosi a perdite per
dilavamento. Contrariamente all’NO3-, il PO43- è poco mobile nel suolo: solo pochi mm.
Ad esempio, in un suolo argilloso limoso calcareo, è stato osservato che solo lo 0,24 %
della P2O5 distribuita in superficie oltrepassa i 3 cm di profondità perchè bloccata per
retrogradazione calcica Il fosforo del suolo si misura con diverse procedure analitiche che
lo esprimano come P o P2O5 totale o P o P2O5 assimilabile.
I fattori di conversione del P totale e assimilabile a P2O5 totale e assimilabile trovato nel
suolo e viceversa sono i seguenti:

x 0,44
P2O5↔ P
x 2,29

Per comprendere bene il metabolismo del P nel suolo è comunque importante avere sia il
dato del P o P2O5 totale e del P o P2O5 assimilabile.
Le procedure analitiche per la P2O5 assimilabile variano secondo il pH del suolo. Tra le
più utilizzate si citano il metodo Olsen per suoli neutri e alcalini e il metodo Bray-Kurtz
per suoli acidi. Ciclo del P nel suolo

Concimi e fertilizzanti

88
In relazione alle disponibilità di potassio nel suolo è da evidenziare che questo deriva
principalmente dall’alterazione dei minerali.
Questo elemento è presente nel suolo in diverse forme: potassio minerale, potassio
solubile e potassio scambiabile. Per questa ragione è errato dare giudizi sulla dotazione del
in potassio nel sulla base al valore del potassio totale poiché comprende quello minerale, il
solubile e lo scambiabile. Ai fini agronomici sono le ultime due forme citate quelle più
importanti.
Le analisi chimiche di laboratorio forniscono la quantità di potassio del suolo come K+ o
come K2O e quello del K+ viene espresso o meq 100g -1 o in ppm.
I fattori di conversione del K+ trovato nel suolo a K2O e viceversa sono:

x 0,83
K2O ↔ K+
x 1,20

I fattori di conversione del K+ scambiabile in meq 100g -1 a K+ in ppm e viceversa sono:

x 390
K meq 100g -1↔K+ ppm
+

x 0,00256

In relazione alla forma di potassio assorbita, alla sua importanza nei vegetali, alla sua %
sulla s.s. di delle piante, all’effetto sulle piante e alle sue problematiche nel suolo è da
evidenziare quanto segue.
Il Potassio è assorbito dai vegetali come ione K+. Il potassio è un macroelemento plastico
principale la cui importanza dipende dalla regolazione della semipermeabilità della
membrana citoplasmatica, dalla formazione e accumulo di sostanze proteiche, lipidiche di
riserva, ecc.. .
Sulla sostanza secca dei vegetali il quantitativo di K varia, come per gli altri elementi, con
la specie e l’età della pianta. Mediamente il potassio, espresso come K2O, è circa l’1 %
sulla s.s. . Il potassio è l’elemento che influisce, come il P, sulla precocità, sulla fioritura,
sulla fecondazione, sulla maturazione e sulla resistenza ai fattori nocivi abiotici e biotici .
Il potassio, pur essendo soggetto al potere assorbente del suolo, può essere interessato da
perdite per dilavamento in particolare nei suoli sabbiosi. Le perdite di K+, come K2O ,
dovute a lisciviazione sono però, al massimo, poche decine di Kg ha-1 anno-1 nel suolo con
un contenuto di argilla > al 5% come evidenziato nella seguente tabella.
Argilla % K2O kg ha-1 anno-1 persi
<5 ≅ 60
5-15 ≅30
15-25 ≅20
> 25 ≅10
89
Contrariamente all’NO3- anche il K+, come il P, è poco mobile nel suolo anche se più di
quest’ultimo: in media circa 8-10 mm nei suoli argillosi.
In relazione alle disponibilità di magnesio nel suolo è evidenziare che questo è presente in
questo in forma combinata come costituente dei minerali ferromagnesiaci (es. biotite, e
serpentino), argillosi (es. illite, montmorillonite) e carbonatici (es. magnesite, dolomite);
adsorbito sulle superfici dei colloidi; come ione nella soluzione circolante.
La forma di magnesio combinata è quella maggiormente nel suolo ma non soddisfa in
tempi reali le necessità nutrizionali dalle piante.
Il magnesio adsorbito e quello nella soluzione tellurica sono le frazione più importanti del
suolo in quanto prontamente disponibile per i vegetali.
Anche se le quantità di magnesio assorbite dalle piante sono molto inferiori rispetto a
quelle del potassio e calcio, il magnesio riveste ugualmente funzioni indispensabili nei
vegetali:
Infatti il magnesio entra nella costituzione della molecola della clorofilla, coadiuva la
fissazione della CO2 durante la fotosintesi, è attivatore enzimatico in molte reazioni che
coinvolgono il sistema ADP/ATP e favorisce la sintesi proteica
Quantità e disponibilità di sostanza organica.
Come accennato il suolo agrario è costituito oltre che composti inorganici anche da
composti organici: residui colturali inalterati, Edafon e sostanze organiche di varie natura
e complessità derivate dall’attività di decomposizione dell’Edafon.
In particolare i prodotti organici derivati dalla decomposizione dei residui colturali sono
lignina, polisaccaridi, zuccheri semplici, amminoacidi, proteine, acidi alifatici, fenoli,
ecc… .
Gli zuccheri semplici, gli amminoacidi, le proteine, gli acidi alifatici ed alcuni polisaccaridi
vengono demoliti velocemente dalla microflora del suolo.
Più resistenti alla demolizione sono sostanze come lignina, fenoli e cere che impiegano
tempi più lunghi per essere degradati.
Una temperatura adeguata, un intervallo di pH da 5 a 9, condizioni aerobiche, favoriscono
i processi di degradazione microbica della S.O. .
Un alto rapporto C/N nei prodotti organici rallenta la loro degradazione.
Nel suolo agrario, come in quello naturale, si hanno 2 tipi di sostanza organica: a breve
durata e a lunga durata nel tempo
La S.O. a breve durata nel tempo è rappresentata da residui organici di recente
immissione nel suolo.
Questa S.O., considerata solo di origine vegetale e con caratteristiche medie, si
decompone e mineralizza entro pochi mesi.
Prove con residui vegetali radiomarcati e di caratteristiche medie, hanno evidenziato che
riferendosi a 100 parti messe nel suolo circa il 66,66% sono decomposte e mineralizzate in
circa 6 mesi.
La S.O. a lunga durata nel tempo è rappresentata da quei composti organici che residuano
dopo che la frazione della S.O. a breve durata si è decomposta e mineralizzata.
Dalle prove prima citate con residui vegetali radiomarcati, è stato evidenziato che se su
100 parti di S.O. vegetale il 33,33% a lunga durata nel tempo avendo una semivita di 4
anni.

90
Questa S.O. rappresenta l’Humus propriamente detto.
La sostanza organica del suolo come quantità e qualità è importante per i riflessi che ha
sulla fertilità agronomica.
In relazione alla quantità di S.O. nel suolo viene riportata la seguente tabella dove è
riportata una classificazione pedologica in base di questo parametro.

Classificazione del suolo in basa alla quantità di S.O. Quantità in % su suolo secco
Molto povero <1
Povero 1-2
Mediamente dotato 2-3
Ricco 3-10
Umifero 10-20
Torboso 20-50
Torba > 50

Sotto l’aspetto agronomico per classificare un suolo agrario in base alla % di S.O. occorre
conoscere anche conoscere la % di argilla presente in questo come esposto nella successiva
tabella.
% di S.O. nel suolo agrario in base alla % di argilla per definirlo mediamente dotato
Argilla nel suolo in % S.O. nel suolo in %
< 10 1,5-2,0
10-30 2,0-2,5
> 30 2,5-3,0
In relazione a quanto sopra una quantità di S.O. nel suolo compresa tra il 2 e il 3% è
adeguata utilizzando la percentuale più bassa per un suolo franco-sabbioso e quella più
alta per suolo argilloso.
Per il calcolo della S.O. del suolo in laboratorio si ricorre alla determinazione della
quantità di C organico in questo contenuto. Sapendo che il C nella S.O. è mediamente il
58%, moltiplicando la quantità di C organico trovato nel suolo x 1,724 (100:58) si risale
alla quantità di S.O. .
Occorre evidenziare che la S.O. non è sinonimo Humus dato che quest’ultimo, sia pur
costituendo la S.O. totale del suolo, è un composto dalla ancora non ben definita struttura
derivante dall’attività biologica dell’Edafon.
Nella S.O. del suolo, oltre all’Humus, entra qualsiasi tipo di prodotto organico: dagli
zuccheri semplici, ai polisaccaridi, all’Humus, al frammento di stocco di mais fino a un
qualsiasi componente dell’Edafon.
L’Humus è costituito da macromolecole organiche, dette sostanze umiche, resistenti verso
all’attività degradante della microflora eterotrofa. Le sostanze umiche hanno dimensioni
molecolari e peso di massa atomica diverse: da circa poche centinaia di Dalton (Da) a
5.000 a circa 300.000 Da. Queste macromolecole sono derivante da processi di
polimerizzazione dovute ad enzimi di origine microbica e catalizzatori minerali.

L’Humus è composto dalle seguenti 3 frazioni in base al loro peso molecolare, colore e la
loro solubilità nelle basi e/o negli acidi:
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1) acidi fulvici a basso peso molecolare, di color chiaro e solubili in acidi e basi.
2) acidi umici a medio peso molecolare e colore, solubili nelle basi e insolubili negli acidi
divisi a loro volta in acidi umici bruni e acidi umici grigi.
3) umine, ad alto peso molecolare, di color scuro e insolubili in acidi e basi
L’Humus, che a sua volta viene mineralizzato dalla microflora eterotrofa del suolo, è una
componente pedologica fondamentale perché porta al rilascio dei nutrienti, all’aumento
della capacità tampone del suolo, all’aumento della capacità di assorbimento e di scambio
di elementi nutritivi da parte del suolo, alla riduzione della fitotossicità di composti
naturali o di origine antropica, all’aumento della capacità di ritenzione idrica del suolo, al
sostentamento e allo sviluppo dell’Edafon.
Nel complesso la sostanza organica nel suolo ha, quindi, le seguenti 3 funzioni: funzione
nutritiva, derivante dalla liberazione di elementi minerali a seguito della
mineralizzazione; funzione strutturante per la formazione di aggregati tramite il
fenomeno della cementazione; funzione ormonale per l’apporto di sostanze ormoniche
come ad es. le gibberelline e l’auxine.
Sotto l’aspetto agronomico è importante il concetto di coefficiente isoumico o K1 ossia la
% di Humus che si forma da 1 unità in peso di S.S. organica apportata nel suolo come
residuo colturale o fertilizzante organico. Questa resa in Humus dipende, oltre dalle
caratteristiche fisiche del suolo e dall’Edafon, dal tipo di materiale organico: vedi tabella
successiva.
Resa in Humus della S.O. di alcuni residui
colturali, del sovescio, della sansa di oliva e K1
del letame
Paglia dei cereali ~ 0,10-0,15
Radici dei cereali ~ 0,15
Residui di girasole ~ 0,20
Radici e stocchi di mais ~ 0,15
Residui di colture non graminacee ~ 0,15-0,25
Residui di prato polifita ~ 0,20
Sovescio in fase di pre-fioritura ~ 0,05-0,10
Sovescio in fase di post fioritura ~ 0,10-0,20
Sansa di oliva ~ 0,20
Letame bovino maturo ~ 0,40 - 0,50
Letame bovino parzialmente maturo ~ 0,30- 0,40
Letame bovino fresco e paglioso ~ 0,20- 0,40
In relazione a questa tabella è facile stimare la quantità di Humus che si formerà nel suolo
a seguito di apporto di vari tipi di S.O. .
Ad es.: se viene apportato 10 t ha-1 di letame parzialmente maturo con il 50% di umidità
la quantità di Humus che si formerà nel suolo sarà, come minimo, circa 1,5 t ha-1
(10x0,50x0,3); se viene apportato 5 t ha-1 di S.S. di paglia di frumento la quantità di
Humus che si formerà nel suolo sarà circa 0,5 t ha-1 (5x0,10).
Il valore del K1 del letame bovino maturo può essere applicato anche al compost di buona
qualità ottenuto da corrette miscele di sostanze di origine vegetale ed animale.
Agronomicamente è importante anche il concetto del coefficiente mineralizzazione K2
ossia la % annua di mineralizzazione della S.O. del suolo.
Il K2 è funzione delle caratteristiche fisiche, chimiche biologiche del suolo, della
profondità del profilo considerato, del clima dell’area, delle tecniche di lavorazione, ecc.. .
92
Con la mineralizzazione gli elementi sotto forma organica tornano allo stato minerale e
quindi possono essere nuovamente utilizzati dai vegetali.
Il Italia, secondo vari Ricercatori, il coefficiente di mineralizzazione K2 ha i seguenti
valori: < 1,0 % in suoli molto argillosi, asfittici , circa 1,4-2 % in suoli argillosi, circa 2,4-3
% in suoli sabbiosi.
Per effettuare un bilancio umico del suolo è fondamentale la stima media della quantità di
S.O. presente nel suolo entro il profilo esaminato, la stima del K1 della sostanza organica
apportata nel suolo e la stima media del K2 nel profilo di suolo considerato.
Ammettendo che la S.O. in 1 ettaro del profilo di 0,3m, con peso specifico apparente di 1,3,
sia 39.000 kg e che il K2 medio annuo sia il 2%, per mineralizzazione si avrà una perdita
di (39.000 kg x 0,02) 780 kg di S.O ha-1.
Volendo mantenere la stessa % di S.O. nel suolo dovrebbe essere apportato in questo 7,8 t
(7.800 kg) di s.s. di paglia di cereale con K1 pari a 0,10 (7.800 x 0.10 = 780 kg) o 3,9 t ha-1
di S.S. di residui di prato polifita con K1 pari a 0,20 (3.900 x 0,2 = 780 kg).
Per un agroecosistema è importante che il bilancio umico di un suolo sia fatto sull’ l’intera
superficie agraria in relazione ai vari tipi di suolo e alle colture effettuate.
A conclusione di quanto esposto per fare il bilancio umico dl suolo con i residui colturali si
deve conoscere: la quantità in peso di residui colturali lasciati nel suolo, la % di s.s. di
questi residui, il K1 dei residui colturali, il K2 del suolo.
In relazione alla mineralizzazione dell’humus va evidenziato l’importanza che questa
assume per l’apporto di sostanze minerali assimilabili per i vegetali. Infatti la S.O.
umificata contiene circa il 5% o 0,05 di N e circa lo 0,5% o 0,005 di P.
In relazione a ciò la mineralizzazione di 10 t ha-1 anno-1 di Humus rende disponibile per la
coltura (10x0,05) 500 kg di N e (10x0,005) 50 Kg di P
Rapporto C/N .
Il rapporto C/N del suolo è un parametro che indica il risultato della divisione tra la
quantità di C organico e l’N totale del suolo. Il rapporto C/N è importante per
comprendere la dinamica e la potenziale utilizzazione dell’azoto minerale presente nel
suolo
Rapporto C/N ottimale del suolo è circa 9-11 che corrisponde a quello del corpo batterico.
Rapporti C/N < 9 portano a perdite di N minerale dal suolo tanto più alte quanto più il
rapporto è bassi e rapporti C/N > 11, portano ad un blocco dell’N minerale da parte della
microflora del suolo tanto più alto quanto più il rapporto è alto.
C/N Valore Effetti sulla S.O. del suolo Effetti sull’N minerale del suolo
< 9 basso mineralizzazione perdita Liberazione
9-11 medio equilibrio stabile Liberazione = Immobilizzazione
> 11 alto accumulo aumento Immobilizzazione

Conducibilità elettrica.
La conducibilità elettrica o ECe è un parametro che indica la quantità di elementi solubili
nel suolo. Una elevata concentrazione di elementi può provocare una riduzione della
crescita e produzione delle colture in base alla loro specifica sensibilità. L’unità di misura
usualmente impiegata è mS cm-1 e l’analisi viene effettuata sull’estratto della pasta satura
del suolo con acqua distillata.

93
I risultai dell’analisi fisica e chimica del suolo vengono riportati su appositi certificati
redatti dai Laboratori che devono usare le procedure analitiche riportate nella Gazzetta
Ufficiale Italiana per avere un significato legale, attendibile e confrontabile.
Di seguito un esempio schematizzato di risultato dell’analisi fisica e chimica di un suolo.
Analisi fisica Analisi chimica
Scheletro 5,26 % pH in H2O 7,8
Sabbia 52,9 % pH in KCl -
Limo 18,1 % C.S.C. 32,5 m.e.q.
Argilla 29,0 % N totale 0,921 ‰
P totale in 0,381 ‰
P assimilabile metodo Olsen 15,79 ppm
K disponibile 102,5 ppm
Sostanza organica 2,39 %

Caratteristiche biologiche del suolo e sua fertilità biologica.


Come accennato la formazione di un suolo inizia quando un substrato minerale viene
colonizzato da organismi pionieri fotoautotrofi e/o chemioautotrofi in grado di
sopravvivere in un ambienti particolarmente limitanti.
Un classico esempio di questi organismi pionieri sono i licheni, formati dall’associazione
simbiotica mutualistica tra un fungo, detto micobionte ed un alga verde o verde-azzurra,
detta fotobionte.
Il fungo, ascomicete o basidiomicete, fornisce all’alga ancoraggio sulla superficie rocciosa,
acqua, nutrienti estratti dai secreti acidi delle sue ife e la protezione dalle radiazioni solari
e mentre l’alga fornisce al fungo carboidrati e se azotofissatrice, anche N inorganico.
La fertilità biologica, è rappresentata da tutti gli organismi che vivono nel e sul suolo
indicati con il termine di Edafon.
È stato valuto che il peso della loro biomassa oscilla tra l’1% e il 10% del peso della S.O.
del suolo.
Ciò porta a stimarla, in uno strato di suolo profondo, ad es. 30 cm, con peso specifico
apparente di 1,2 e con 1,59 % di S.O. , tra 0,5724 t ha-1 (0,3x10.000x1,2x0,0162x 0,01) e
5,724 t ha-1 (0,3x10.000x1,2x0,0159 x 0,1).
L’Edafon del suolo agrario si divide in microflora e fauna del suolo.
La microflora è costituita da batteri, funghi, attinomiceti ed alghe e la fauna da micro,
meso, macro e mega fauna così classificata: microfauna con diametro ≤ 0,1 mm, vedi
protozoi flagellati, ciliati, rizopodi, ecc.. , mesofauna, con diametro tra 0,1 mm e 10 mm,
vedi artropodi tipo acari e collemboli, chetopodi, ecc.. , macrofauna con diametro ≥ 10
mm, vedi insetti, Aracnidi, ecc.. e la megafauna come gli anellidi, anfibi, rettili e piccoli
mammiferi.
Alcuni Autori indicano che, in condizioni medie, nel suolo (vedi tabella successiva), il peso
della la biomassa totale dell’Edafon, è stimato in 5.712,5 Kg ha-1 e che questo è costituito
per circa 87,7 % dalla la microflora e il 12,2 % dalla la fauna
In particolare il contributo della microflora sul totale della biomassa dell’Edafon è per
circa il 65,2% con batteri, per circa il 14,0 % con funghi, per circa il 7,4 % con gli
attinomiceti e per circa 1,1 % con le alghe.

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Biomassa media dell’Edafon in Kg ha-1 e % delle varie componenti sul peso totale
Microflora Variazioni in Kg nel suolo Peso medio in kg % media
Batteri 450 7.000 3.725,0 ~65,2 %
Funghi 600 1.000 800,0 ~14,0 "
Attinomiceti 150 700 425,0 ~ 7,4 "
Alghe 25 100 62,5 ~ 1,1 "
Tot. microflora 5.012,5 ~87,7
Fauna
micro, meso, macro e mega 400 1.000 700,0 ~12,2 "
Totale biomassa media 1.625 9.800 5.712,5 100,0
L’Edafon è particolarmente variabile come numero e biomassa in base alla profondità e
umidità suolo.
Nell’Edafon del suolo agrario un gruppo di particolare importanza agronomica è
rappresentato dai batteri azoto-fissatori simbionti delle leguminose.
Questi batteri, del genere Rhizobium, sono molto selettivi poiché ogni specie contrae il
rapporto simbiotico solo con precise leguminose. Da ciò l’attenzione che si deve porre
nell’inoculare il seme con l’appropriato ceppo batterico pena l’assenza di azotofissazione.
Rapporto simbiotico “Rhizobium-leguminosa”
Specie di Rhizobium Genere leguminosa Nomi volgari
Meliloti Medicago Erba medica
Melilotus Meliloto
Trigonella Fieno greco
Trifolii Trifolium Trifoglio
leguminosarum Pisum Pisello
Lathyrus Latiro
Vicia Veccia
Lens Lenticchia
Lupini Lupinus Lupino
Ornithopus Piede d’uccello
Japonica Glicyne Soia
Phaseoli Phaseulus Fagiolo
Anche l’inoculazione del seme deve essere fatta correttamente per avere il massimo effetto
agronomico ossia deve essere eseguita poco prima della semina in luogo protetto dal sole
per evitare la loro devitalizzazione per i raggi U.V. solari. Nel caso che la semina venga
temporaneamente sospesa è corretto mettere il seme trattato in ambiente refrigerato.
Lavorazioni del suolo
Le lavorazioni del suolo accompagnarono l’uomo nel passaggio dalla vita di raccoglitore e
cacciatore nomade a quella di agricoltore stabile.
Con l’uso delle prime semplici lavorazioni la fertilità del suolo mutò da naturale ad
agronomica.
Con l’uso delle lavorazioni si passo quindi da un ecosistema naturale ad un ecosistema
gestito dall’uomo ossia ad un agroecosistema.
Gli scopi delle lavorazioni del suolo si possono così brevemente riassumere:
 creazione e ripristino della struttura, riduzione della coesione, creazione di adeguata

95
porosità, sofficità e volume di suolo. In particolare con le lavorazioni, per incremento della
porosità totale, si ha un aumento temporaneo del volume del suolo da ~ 7% fino a ~ 30%
con riflessi agronomici non indifferenti
 aumento degli scambi gassosi del suolo a favore dell’Edafon e della respirazione radicale
riduzione delle oscillazioni termiche del suolo per la formazione di uno strato
superficiale coibente. Strato coibente particolarmente utile poiché la temperatura ottimale
per l’Edafon e gli apparati radicali è di circa 20-25°C
 miglioramento del bilancio idrico del suolo per incremento dell’infiltrazione dell’acqua
meteorica e riduzione dell’evaporazione dovuta a rottura della capillarità e, nei vertisuoli,
per l’eliminazione delle crepacciature.
 lotta alle infestanti
 lotta ai parassiti delle colture. Vedi, ad es. , contro la larva di piralide del mais, che viene
interrata profondamente e del maggiolino, che viene portata in superficie, entrambe
posizioni non adatte alla loro sopravvivenza
 interramento dei concimi. A tal riguardo occorre evidenziare che il massimo sviluppo
radicale delle piante erbacee è nei primi 20-30 cm di profondità del suolo e che nei suoli
alcalini l’NH4+ distribuito in superficie combinandosi con gli OH- forma NH3 che
volatilizza
 aumento dello strato del suolo utilizzabile dalle radici

 interramento di alcuni diserbanti


 preparazione del letto di semina e interramento della semente
 raccolta di alcuni prodotti agricoli tramite, ad es. , l’aratro cavatuberi
 approntamento delle sistemazioni idraulico-agrarie
Affrontando la tematica agronomica delle lavorazioni del suolo è importante accennare
alla relazione tra umidità del suolo e sua lavorabilità.
Infatti l’umidità determina i seguenti stati fisici del suolo:

 stato coesivo. Questo è dovuto a forze di coesione tra le singole particelle elementari
del suolo. Il suolo allo stato coesivo non presenta adesività, presenta alta tenacità, ha
difficoltà ad essere inciso con gli strumenti di lavoro, non è deformabile. La coesione è
massima nei suoli argillosi asciutti e minima in quelli sabbiosi. La coesione si valuta con
penetrometri o con dinamometri ed è espressa in kg cm-2

 stato friabile. Il suolo può essere facilmente sbriciolato con le mani e non può essere
ricomposto nella sua forma originaria

 stato plastico. Il suolo può essere modellato e la forma data è permanente. In questo
stato il suolo ha bassa tenacità, rottura della zolla non permanente ed elevata
penetrabilità. Lo stato plastico si ha in suoli con una % di argilla > al 16 %
 lo stato adesivo. Il suolo ha una % di acqua tale da farlo aderire agli strumenti di
lavoro

96
 lo stato liquido. Il suolo non ha tenacità e ha valori di adesività bassissimi dato che
l’acqua funziona da lubrificante tra le particelle del suolo e gli strumenti di lavoro. La
penetrabilità è massima. Anche la deformabilità è massima ma non permanente.
La differenza tra la % di acqua che si trova nel suolo allo stato plastico superiore ovvero
subito sotto lo stato di liquidità e quella che si trova nel suolo allo stato plastico inferiore
ossia subito sopra lo stato coesivo è indicata come indice di plasticità.
Suoli con basso indice di plasticità hanno valori < 10, suoli con medio indice hanno valori
tra 10 e 20 e suoli con alto indice di plasticità hanno valori > 20.
Le curve della % dell’acqua contenuta nel suolo al variare della coesione e della plasticità
sono importanti per stabilire il suo stato di tempera ossia il momento agronomicamente
ideale per lavorarlo, con sforzi di trazione relativamente contenuti, in modo tale che non
siano alterate le strutture preesistenti.
Lo stato di tempera è teoricamente localizzato nel punto d’incontro della curva
discendente della % d’H2O che caratterizza lo stato coesivo e quella della curva
ascendente della % d’H2O che caratterizza stato plastico.
Praticamente però, parlando di lavorazione del suolo, lo stato di tempera si colloca in un
intervallo di umidità compreso tra i valori più bassi della coesione e i limiti inferiori della
plasticità. Tale intervallo è detto “intervallo di tempera” e varia da suolo a suolo.

Il punto d’incrocio delle due curve di coesione e plasticità indica lo stato di tempera.
Andamento della curve di
coesione e plasticità in tre
suoli con diversa tessitura al
variare dell’umidità. Suolo argilloso
Nella figura
C = suolo allo stato coesivo
L = suolo lavorabile
z = la lavorazione può
provocare zollosità
p = la lavorazione può
provocare polverizzazione
della fetta Suolo di medio impasto
s = la lavorazione provoca
sbriciolamento della fetta
m = la lavorazione può
provocare modellamento
della fetta
A = suolo con elevata
adesività e bassa resistenza
Suolo sabbioso
al costipamento
nt = suolo non transitabile

97
L’intervallo di tempera, ossia la % di acqua del suolo entro il quale le lavorazioni sono
agronomicamente ed energicamente valide, tende a restringersi tanto più un suolo è
argilloso e viceversa ad ampliarsi tanto più è sciolto.
I suoli sabbiosi non hanno intervallo di tempera e, sotto un aspetto pratico, possono essere
lavorati anche 1 o 2 giorni dopo una pioggia o una irrigazione.
Con il diffondersi della pratica delle lavorazioni profonde il concetto di stato di tempera si
è però modificato in quello di stato di tempera asciutta.
Ossia suolo allo stato coesivo in superficie e allo stato di tempera sul fondo di lavorazione.
Nello stato di tempera asciutta gli sforzi di lavorazione aumentano ma le strutture del
suolo non sono danneggiate.
Lavorando un suolo fuori tempera, eccetto quando è allo stato coesivo, si distruggono le
strutture con la possibilità di causare una grave pedopatologia detta guasto.
Classificazione delle lavorazioni del suolo
Le lavorazioni si possono classificare in vari modi. In base alla stagione in cui si effettuano
ossia autunnali, invernali, primaverili, estive; alla profondità ovvero superficiali se
inferiori a 20 cm, medie da 20 a 30 cm, medio-profonde da 30 a 40 cm, profonde se
superiori a 40 cm; all’effetto dello strumento sul suolo. In relazione a quest’ultimo punto
lo strumento può avere un effetto rovesciatore (a) , come l’aratro con vomere e versoio,
con inversione degli strati del suolo più o meno completa per cui quello superficiale viene
posto in profondità e viceversa; un effetto rimescolatore (b), vedi frese ed erpici ruotanti,
con una miscelazione degli strati del suolo; un effetto discissore (c) , vedi subsoiler e
chiesel, con fessurazione verticale più o meno profonda degli strati del suolo senza
inversione o miscelazione.

(a) rovesciatore (b) rimescolatore (c) discissore

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Otre a queste classificazioni ve ne una di tipo agronomico che si basa sullo scopo e sulla
coordinazione delle lavorazioni come di seguito evidenziato.

scasso
Lavori
straordinari
dissodamento
Classificazione
delle maggese
lavorazioni
del suolo classico o p.d.
di rinnovo
moderno
Lavori comuni
ordinari di preparazione
complementari
di coltivazione
Lavori straordinari
I lavori straordinari si fanno per suoli che per la prima volta o dopo molto tempo sono
coltivati con colture arboree o arbustive o erbacee.
Questi lavori non raramente creano problemi ambientali, energetici ed economici per le
pratiche che li precedono come il disboscamento con dicioccamento e/o decespugliamento,
lo spietramento profondo con scarificatori o rippers, lo spietramento superficiale con
rastrelli da roccia, la raccolta ed allontanamento della rocciosità mobile, il modellamento
del suolo con lama apripista. In particolare il modellamento del suolo, se non
correttamente fatto, può causare la riattivazione di paleofrane o la messa in superficie di
strati inerti.
Scasso.
Lo scasso è un lavoro straordinario che si usa per l’impianto di colture arbustive o
arboree. Le tecniche usate prevedono l’uso di mezzi meccanici o di esplosivi e la sua
esecuzione può essere totale o parziale a trincea o parziale a buche.
Lo scasso con mezzi meccanici si effettua con aratri da scasso e nelle aree declivi si attua
secondo le linee di massima pendenza o a rittochino con ritorno a vuoto. Questo è
normalmente preceduto dalle pratiche prima citate. Lo scasso meccanico è una operazione
che comporta molto tempo ed energia: da 10 a 30 ore ha-1 secondo i tipi di suolo e la
profondità di lavorazione che, usualmente di 1 m, può variare da 0,70 a 1,30 m .
Dopo lo scasso meccanico si effettua quasi sempre il drenaggio tubolare o la fognatura.

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Aratro da scasso

Lo scasso con esplosivi esegue utilizzando candelotti di polvere nera o di dinamite o di


blastite o di geoblastite, messi in fori profondi circa 130-160 cm alla densità di circa 1 foro
ogni 4 m2 ovvero praticando 2.500 fori ha-1. Il brillamento delle cariche esplosive avviene
in file parallele iniziando dal basso. Oggi questo metodo è poco usato e se utilizzato è
impiegato in aree con elevata rocciosità.
In merito all’esecuzione dello scasso questo è totale se fatto su tutta la superficie da
coltivare, parziale a trincea, se fatto solo in corrispondenza della lunghezza dei filari delle
future piante arboree o arbustive; parziale a buche se fatto solo in corrispondenza di ogni
singola pianta arborea o arbustiva che verrà impiantata scavando una buca con un
volume di circa 1-1,5 m3.
Dissodamento.
Il dissodamento ha le stesse modalità di esecuzione dello scasso meccanico ma la
profondità è minore poiché è per colture erbacee. La profondità massima è circa 70 cm.
Il dissodamento, come lo scasso, può essere preceduto da disboscamento o spietramento
profondo e superficiale, raccolta ed allontanamento della rocciosità mobile e
modellamento superficiale del suolo. Anche in questo caso, come per lo scasso, si abbina
al dissodamento, il drenaggio o la fognatura e, secondo le esigenze, la letamazione o la
correzione del suolo.
Lavori ordinari
I lavori ordinari si dividono in: di rinnovo, comuni e complementari.
Lavori di rinnovo
I lavori di rinnovo, che aprono l’avvicendamento colturale, sono così detti perché in
passato si concepivano come i mezzi principe per rinnovare la fertilità agronomica del
suolo. Questi lavori comprendono il maggese, il rinnovo classico o propriamente detto e il
rinnovo moderno.
Il maggese
Il maggese è un’antichissima lavorazione, tipica del bacino Mediterraneo, fatta
classicamente con uno strumento discissore, trainato con forza animale, detto aratro
chiodo che giunge ad una profondità massima di circa 15 cm.
Attualmente, eccetto in alcuni Paesi in via di sviluppo, è abbandonato nella sua esecuzione
classica ma può essere surrogato con altri interventi meccanici.
Il maggese comprende le seguenti quattro lavorazioni eseguite in modo perpendicolare tra
loro.
1° Proscindere o rompitura nel foggiano, fatto in gennaio-febbraio
100
2° Iterare o ristoccatura nel foggiano, fatto in aprile
Queste due lavorazioni hanno lo scopo di lottare contro infestanti, di favorire la
penetrazione dell’acqua di pioggia nel suolo, di contrastare l’evaporazione, di stimolare
microflora e di interrare eventuali deiezioni degli animali al pascolo.
3° Terziare o terziatura nel foggiano fatta in maggio. Questa lavorazione ha lo scopo di
lottare contro le infestanti, di ridurre l’evaporazione e di stimolare lo sviluppo della
microflora
4° Lirare o arusso nel foggiano, fatta in ottobre. Questa lavorazione serve per la semina
dei cereali e consiste nel tracciare dei solchetti paralleli e superficiali sul suolo, tipo le
linee del pentagramma, nei quali l’agricoltore distribuisce la semente a spaglio.
Con queste lavorazioni superficiali si viene a migliorare: la struttura del suolo; la sua
dotazione idrica del suolo per aumento dell’infiltrazione della pioggia e riduzione
dell’evaporazione; la microflora del suolo per migliori condizioni idriche e termiche; la
quantità di elementi assimilabili per l’incremento dell’attività della microflora.
L’appezzamento interessato dal lavoro di maggese può essere pascolato con animali che
utilizzano le piante foraggere spontanee che lo coprano nell’intervallo di tempo esistente
tra le varie operazioni.
Unico inconveniente agronomico del maggese è la tendenza a ridurre la S.O. del suolo per
l’ambiente più ossidante e ricco di Edafon che determina: ma ciò in passato ciò non
comportava significativi problemi data la grande diffusione di rotazioni con foraggere.
In Italia il maggese era diffuso specie nel meridione come mezzo per valorizzare suoli
marginali e poco fertili.

Il lavoro di rinnovo classico o propriamente detto e il rinnovo moderno.


Il lavoro di rinnovo classico o propriamente detto.
Il lavoro di rinnovo, sia classico che moderno, fatto con aratro ha effetti sulla fertilità
agronomica che si risentono per più anni.
Il principio agronomico che ha portato alla sua diffusione era quello di rinnovare con
un’aratura gli strati superficiali del suolo “esauriti” che li portasse in profondità
sostituendoli con quelli profondi meno “sfruttati”.
Se oggi questo effetto sulla fertilità chimica e biologica del suolo non è corretto resta
valido il suo positivo effetto sulla fertilità fisica per la creazione di strutture per
aggregazione che ne conseguano, particolarmente importanti nei suoli argillosi.
Il lavoro di rinnovo classico, fatto fino a circa metà ’900 anche con 8 coppie di buoi,
comprende le seguenti tre operazioni:
1°) dopo la raccolta del cereale in estate, a fine giugno primi di luglio, la rottura delle
stoppie con uso di un piccolo aratro ad una profondità di circa 10-15 cm .
Questa lavorazione serve per la lotta alle infestanti e ai parassiti, all’aumento della
superficie specifica del suolo esposta alle microprecipitazioni, all’interruzione della risalita
capillare con relativa riduzione dell’evaporazione e il raggiungimento di un stato di
tempera del suolo per la successiva lavorazione profonda fatta, in passato, con animali.
2°) dopo la rottura delle stoppie, lavoro profondo con aratro fatto ai primi di settembre a
circa 30-35 cm, se fatto con trazione animale o a circa 40-45 cm, se fatto con trazione
meccanica.
3°) dopo il lavoro profondo, l’incigliatura. Questa è una lavorazione superficiale, fatta in
gennaio, con l’assolcatore per aumentare la superficie specifica del suolo e
conseguentemente la formazione di microstrutture e per fare una prima lotta contro le
erbe infestanti.
101
Lavoro di rinnovo moderno
Con la progressiva scomparsa della forza animale, l’uso di trattrici sempre più potenti, di
prodotti fitosanitari e di diserbanti per il controllo dei patogeni e delle infestanti, si è
diffusa la tecnica del rinnovo moderno.
Il lavoro di rinnovo moderno è semplificato rispetto a quello classico. Infatti comprende
solo l’aratura estiva, in luglio-agosto ad una profondità che può raggiungere e superare i
50 cm. .
In relazione a quanto fino ad ora semplicemente esposto sui lavori di rinnovo sono le
seguenti brevi note sull’aratro con vomere e versoio, sull’impiego di particolari aratri che
portano ad utili effetti agronomici o alla riduzione dei consumi energetici o dei tempi di
esecuzione e a specifiche tecniche d’aratura agronomicamente pregevoli: note valide
anche per il lavori comuni che verranno di seguito brevemente affrontati.
L’aratro classico è formato delle seguenti parti: (D) bure, parte che lo collega alla forza
motrice; (A) coltro o coltello, parte che effettua una prima incisione verticale del suolo;
(B) vomere, parte che opera un taglio orizzontale del suolo in corrispondenza del fondo di
lavorazione; (C) versoio o orecchio, parte che effettua il rivoltamento o inversione del
suolo tagliato orizzontalmente dal vomere: rivoltamento della fetta che, classicamente,
avviene con una rotazione di 135°.

Gli aratri, con vomere e versoio, possono determinare un rapporto Larghezza/Profondità


della fetta o L/P da 1 a 1,4 . Quelli con rapporto 1 sono i più usati perchè portano ad una
maggiore esposizione del suolo agli agenti atmosferici.

Anche il versoio degli aratri può variare essendo o cilindrico, determinante un’aratura
ritta ossia con poco rivoltamento della fetta e discreto sbriciolamento del suolo o
elicoidale, determinante un’aratura rovesciata ossia con molto rivoltamento della fetta e

102
poco sbriciolamento del suolo o cilindrico-elicoidale, con effetto intermedio rispetto ai
precedenti.
Attualmente quelli più diffusi sono gli aratri con versoio cilindrico che evitano un
eccessivo rivoltamento del suolo.

A) aratro tipo cilindrico ed effetto dell’aratura ritta

B) aratro tipo elicoidale ed effetto dell’aratura rovesciata


La tecnica di aratura è diversa secondo se fatta in aree pianeggianti o declivi.
In pianura l’aratura può essere alla pari, a colmare e a scolmare
Aratura alla pari. Questo nome deriva dal fatto che la superficie del suolo dopo l’aratura
risulta pianeggiante poiché la fetta viene sempre rovesciata dalla stessa parte.
Usando un aratro classico questa tecnica, iniziando da un lato più corto del campo,
comporta 1 ritorno a vuoto al termine di ogni singolo tragitto longitudinale. Questo
ritorno a vuoto può essere evitato se vengono lavorati due appezzamenti attigui separati
da un’affossatura o se viene lavorato un solo appezzamento usando un aratro reversibile,
con possibilità di rotazione di 180°, del gruppo “coltro-vomere-versoio”, al termine di ogni
passaggio, in modo che la fetta venga rovesciata sempre dalla solita parte.

Aratura alla pari con


ritorno a voto (R. Landi)

103
Aratro bivomere reversibile

Aratura a colmare. Questo nome deriva dal fatto perchè la superficie del campo, al
termine dell’aratura ha un colmo o convessità nel senso della sua lunghezza. Ciò si ottiene
iniziando a lavorare con aratro di tipo classico partendo dalla metà del lato più piccolo
dell’appezzamento. In tal modo, tornando indietro, per il secondo passaggio, la fetta viene
rovesciata contro quella fatta prima. Questa tecnica, con la creazione di un colmo lungo la
porzione centrale del campo, serve a favorire lo sgrondo delle acque verso le scoline:
azione particolarmente utile per le colture autunno vernine su suoli argillosi.

Aratura a colmare
(R. Landi)

Aratura a scolmare. Questo nome deriva dal fatto perché la superficie del campo, al
termine dell’aratura, ha al centro e nel senso della sua lunghezza, una concavità. Ciò si
ottiene iniziando a lavorare, con aratro di tipo classico da un lato del campo per poi
ripartire dal lato opposto. Se l’aratro è reversibile non c’è bisogno del trasferimento della
trattrice sul lato più corto del campo al termine del tragitto da sinistra a destra o
viceversa. In tal modo ogni fetta viene a poggiare su quella fatta in precedenza. Questa
tecnica serve a favorire l’accumulo delle acque meteoriche nel suolo: particolarmente utile
per colture primaverili estive non irrigue e su suoli sciolti.

Aratura a scolmare
(R. Landi)

104
Nelle aree declivi l’aratura può essere fatta a rittochino o per traverso.
L’aratura a rittochino si effettua quando la pendenza supera il 15-18 % ossia quando
l’inclinazione della superficie da lavorare è superiore a 9°-10° gradi. Questa tecnica
prevede il ritorno a vuoto senza operatività dell’aratro durante la risalita verso la parte
più alta dell’appezzamento. In tal modo si hanno pericoli estremamente bassi per gli
operatori dovuti alla possibilità di ribaltamento della trattrice e assenza di elevato
consumo energetico connesso allo sforzo di trazione durante la risalita. Questa tecnica ha
il particolare vantaggio di sfruttare il peso della mortice per lo sforzo di trazione, di
velocizzare l’allontanamento delle acque d’infiltrazione profonda e di ridurre
l’appesantimento del mantello terroso, possibile causa di smottamenti .
L’aratura per traverso, si effettua quando la pendenza è inferiore al 15-18 % ossia
quando l’inclinazione della superficie da lavorare non supera i 9°-10° gradi. Questa
tecnica, se non è fatta con aratro reversibile, prevede il ritorno a vuoto in senso
trasversale. L’aratura per traverso serve in particolare per favore l’infiltrazione e
l’accumulo dell’acqua di pioggia nel suolo. Se l’aratura per traverso fosse fatta su
appezzamenti con pendenza superiore a quella prima citata si avrebbero pericoli di
ribaltamento della trattrice (vedi figura).

Aratura a rittochino (R. Landi)

Aratura di traverso
(R. Landi).

In merito all’uso di aratri che portano ad utili effetti agronomici o alla riduzione dei
consumi energetici o dei tempi di esecuzione sono da evidenziare l’aratro con versoio
frangifetta e l’aratro fenestrato.
L’aratro con versoio frangifetta serve a ridurre l’eccessiva zollosità dopo l’aratura.

Anche se l’uso di questo aratro porta a discreta richiesta di energia i tempi e i consumi
energetici per preparare il letto di semina sono minori.
105
Un aratro utile per contenere il consumo energetico è l’aratro fenestrato o a strisce poiché
con questo si ha una riduzione dell’attrito radente tra suolo e versoio.

In merito a specifiche tecniche d’aratura agronomicamente pregevoli sono da evidenziare


la tecnica di aratura con ruote fuori solco, rispetto a quella con ruote in solco e l’aratura
con ruote in solco tramite impiego dell’aratro a losanga.
L’aratura eseguita con ruota nel solco fatto in precedenza (fig. A) determina una
costipazione della suola di aratura e un danneggiamento laterale della fetta appena fatta.

Ciò non accade nell’aratura con ruota fuori solco (B) che prevede l’uso di un ruotino che
supporta l’aratro.
Con l’aratura con la ruota in solco, usando aratri a losanga, rispetto a quelli normali si
riduce il costipamento laterale della fetta appena fatta come si può evincere dalla
successiva figura. L’aratro a losanga, che ha un versoio di tendenzialmente cilindrico, può
essere anche polivomere.

106
Aratro a losanga

Lavori comuni.
Il lavoro comune, usualmente fatto con aratro a vomere e versoio, rispetto a quello di
rinnovo serve per la semina di colture fatta a poca distanza di tempo da questo e sotto un
aspetto agronomico forma strutture per suddivisione e non per aggregazione.
Un lavoro comune è, ad esempio, quello fatto nel pieno dell’estate per un cereale da
seminare in autunno. Anche un’aratura fatta per il mais ad inizio primavera, sia pur
profonda, non può considerarsi un lavoro di rinnovo perché non porta all’incremento di
fertilità fisica dovuto alla creazione di strutture per aggregazione.
Per la lavorazione comune di suoli sciolti o di medio impasto non sassosi è vantaggioso
l’impiego dell’aratro a dischi rispetto a quello con vomere e versoio. Questo aratro può
essere mono o polidisco. Il disco, che sostituisce il coltro, il vomere e il versoio dell’aratro
classico, è in acciaio e si presenta inclinato rispetto al suolo e alla direzione di marcia. Il
disco ha forma di una calotta semisferica con bordi taglienti ed è folle su un perno
centrale.
La fetta, che ha sezione ellittica, viene rovesciata dalla parte concava del disco. In questo
modo il disco, essendo folle sul proprio asse, trasforma parte dell’attrito radente in attrito
volvente con riduzione del consumo energetico. L’aratro a dischi è usato per lavori che
raggiungono, al massimo circa 20-25 cm di profondità. Poiché la profondità di lavorazione
di quest’aratro è circa i 2/3 del raggio della calotta il raggio del disco è circa 30-40 cm., Se
viene superata la profondità di lavorazione prima indicata il lavoro che ne deriva non è
agronomicamente buono.

Aratro a dischi

Nel fare l’aratura nel momento errato è possibile creare, in suoli tendenzialmente detritici,
una pedopatologia detta guasto o arrabbiaticcio o caldo-fredda o bianca-nera.
Il momento errato è quello di arare: dopo una leggera pioggia estiva che inumidisce il
suolo solo in superficie mentre in profondità rimane secco; nel periodo invernale quando il

107
suolo gelato in superficie si sgela, diventando molto umido, mentre in profondità rimane
ghiacciato; dopo che il sole, in estate, ha scaldato notevolmente il suolo in superficie.
L’arrabbiaticcio porta nei cereali a stento accrescimento, una riduzione delle produzione
per alterazione del ciclo dell’azoto con bassi valori di N disponibile, probabilmente ,
secondo lo studioso Peglion, per denitrificazione e alla diffusione di infestanti, come il
rosolaccio o Papaver rhoeas.
Gli effetti negativi del guasto sul frumento, che si evidenziano nei campi a con aree
circolari e localizzate che perdurano per più anni, sono: basso accestimento, ingiallimento
della pinta, sterilità delle 2-3 spighette basali della spiga, cariossidi striminzite con basso
peso ettolitrico e qualitativamente scadenti.
Effetti simili ad una carenza di azoto ma l’apporto di N nitrico in copertura non porta a
significativi benefici. Unico sistema per combattere questa pedopatologia è la prevenzione.
Per i lavori comuni come per quelli di rinnovo che sono da menzionare alcune tecniche
diffuse negli ultimi decenni che sono rappresentate dalle lavorazioni con l’uso di strumenti
discissori abbinati o meno all’aratura. Trattasi in particolare dell’impiego degli strumenti
discissori chiesel e subsoiler, della lavorazione a doppio strato caratterizzata da un primo
passaggio con organi discissori seguito da un’aratura superficiale e dell’uso dell’aratro
ripuntatore.
I vantaggi di queste tecniche sono dati da una minore diluizione della sostanza organica
nel suolo; una minore alterazione dell’Edafon, e, spesso, una riduzione del tempo di lavoro
e/o del consumo energetico.
I Chiesel (A) e i Subsoiler (B) hanno delle ancore, fino a ad un numero di 7, distanziate
tra loro di circa 40 cm in relazione alla profondità di lavorazione e alla potenza della
trattrice, che operano dei tagli verticali nel suolo fino a profondità di 50 cm e oltre e cretti
laterali più o meno marcati.
Ancora

A) Chiesel B) Subsoiler
I Chiesel (A), data l’inclinazione delle ancore e la presenza nelle loro parti terminali
appuntite di alette, determinano lo scorrimento verso l’alto del suolo creando così una
certa zollosità superficiale. Ciò non accade con i Subsoiler (B) dato che hanno ancore non
inclinate e senza alette.
Le ancore non devono essere ne troppo distanti tra ne troppo spinte in profondità pena
una cattiva lavorazione del suolo.

108
La lavorazione a doppio strato (fig. A) consiste nel lavorare il suolo prima con un
subsoiler o con un chiesel fino a circa 50 cm e poi lavorarlo subito dopo con un aratro ad
una profondità di circa 20-25 cm.

La lavorazione a doppio strato si ottiene anche con un unico passaggio dell’aratro


ripuntatore dove la parte “vomere-versoio” è unita ad un organo discissore posto
inferiormente a questa (fig. B).

Tra gli strumenti che possono sostituire l’aratro, in alcuni suoli e per certe colture, sono
da menzionare, per la loro diffusione, le zappatrici e le vangatrici.
Queste sono strumenti “rovesciatori-rimescolatori” la cui profondità di lavoro varia, tra
circa 10-25 cm. Sono mosse dalla presa di potenza, di operatività modesta, di discreto
consumo energetico, comportanti talvolta problematiche quali diffusione delle infestanti
con propagazione agamica e creazione di un stato strutturale non ottimale.

Zappatrice

Vangatrice
Le zappatrici e vangatrici sono macchine protette da un carter sia per sicurezza sia per
avere un suolo, dopo il loro passaggio, con una superficie livellata.
Lavori complementari
I lavori complementari sono 2: di preparazione e di coltivazione.
I lavori complementari di preparazione servono per preparare il letto di semina.
Il letto di semina che non deve essere né eccessivamente amminutato né grossolano, privo
di lacunosità e omogeneo nelle sue caratteristiche fisiche.
Ciò per ospitare i semi alla giusta profondità in modo da farli germinare nelle condizioni
idriche e termiche ottimali e far emergere velocemente le plantule.
In particolare per quanto concerne l’emergenza occorre sottolineare che le
monocotiledoni, come le Graminacee, portano in superficie, senza difficoltà, la prima
foglia, che all’inizio è protetta dalla coleorizza e dicotiledoni, come le Leguminose, devono
invece portare in superficie o i due cotiledoni (germinazione epigeica) o le foglie vere
(germinazione ipogeica) con uno sforzo non indifferente.
109
Emergenza di una monocotiledone graminacea, a sinistra e una dicotiledone leguminosa
a germinazione epigeica, a destra.

Germinazione epigeica

Germinazione ipogeica

Importante, nel caso particolare della germinazione epigeica, è che la radichetta


embrionale possa far forza su uno strato di suolo relativamente assestato per ben spingere
i cotiledoni alla luce del sole.
Esempio di come si deve presentare un buon letto
di semina

110
Tra i lavori complementari di preparazione si trovano: l’estirpatura, l’erpicatura, la
fresatura, la rullatura, il livellamento.
Estirpatura.
Il lavoro di estirpatura è fatto dopo un lavoro di rinnovo fatto in estate o inizio autunno
per colture da seminare a fine inverno o nel periodo primaverile.
L’estirpatura ha come scopi quello di eliminare le infestanti sviluppatesi durante il
periodo autunno-invernale recidendo e portano in superficie il loro apparato radicale, di
creare un profilo superficiale del suolo fisicamente assestato per presenza, sul suo fondo,
di particelle fini e di livellare la superficie del suolo.
È bene non far passare molto tempo tra l’ultima estirpatura e la semina perchè il suolo,
mosso in superficie, tende ad asciugarsi velocemente. Ciò riduce la germinazione ed
allunga il tempo d’emergenza della plantula.
Gli elementi lavoranti degli estirpatori hanno forma, robustezza e peso diversi in relazione
al tipo di suolo e alla coltura per cui si usano.
Questi hanno la parte terminale a forma di piccolo vomere appuntito, possono presentare
una certa elasticità, utile in suoli ricchi di scheletro e spesso hanno la parte terminale con
bordi taglienti per recider le radici delle infestanti che portate all’aria si seccheranno
ancora più velocemente.
Estirpatore a denti rigidi
Parti lavoranti di estirpatori

Erpicatura. Bordi taglienti del vomerino


Per l’erpicatura si usano gli erpici che hanno come scopo quello di frantumare le zolle di
recente formazione. Per tale ragione gli erpici sono prevalentemente usati dopo un lavoro
comune.
Gli erpici possono essere trainati, portati o azionati dalla presa di potenza.
In alcuni casi l’erpicatura è utile per affinare ulteriormente il letto di semina per le colture
primaverili-estive dopo passaggio dell’estirpatore.
L’erpicatura ha come principale funzione quella di creare strutture per suddivisione come
l’effetto di una erpicatura fatta dopo una aratura estiva per i cereali autunno-vernini.
La profondità di lavorazione degli erpici oscilla tra circa 6 e, al massimo, 25 cm.
Tra gli erpici portati o trainati si annoverano gli:
 erpici a dischi. Questi hanno calotte semisferiche, simili all’aratro a dischi, con bordi
lisci e/o dentati.
I dischi con bordi dentati servono per operare una energica azione sulle zolle molto utile
quando sono secche e dure. Se occorre erpicare due volte con l’erpice a dischi il secondo
passaggio è bene farlo, quando possibile, in modo ortogonale.
Con questi tipi di erpice, in base al peso, si può giungere alla profondità di lavoro massima
di circa 20-25 cm.

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Erpice a dischi: la prima serie di dischi ha bordo dentato, l’ultima ha bordo liscio.

 erpici Morgan. Questi erpici al posto dei dischi hanno delle “stelle” folli su un asse
orizzontale. Sono particolarmente adatti a lavorare suoli con zolle molto tenaci.
Erpice Morgan: le “stelle”

 erpici canadesi a lame flessibili. Questi erpici hanno come organi lavoranti delle lame
ricurve e flessibili e sono usati per suoli poco tenaci. La profondità di lavoro è circa 10
cm.
Erpice canadese

 Erpici Acme. Questi erpici hanno come organi lavoranti delle lame lunghe circa 40 cm
a profilo elicoidale e sono per suoli tenaci ma privi d’erbe infestanti. La profondità di
lavoro è circa 15 cm.

Erpice Acme

 Erpici a denti a telaio rigido o erpici a zig-zag. Sono erpici robusti e molto diffusi
servono nelle aziende agrarie e sono usati per la preparazione finale del letto di semina.
Gli organi lavoranti sono dei denti metallici posti perpendicolarmente rispetto al telaio
con una piccola punta volta verso il senso di marcia. La profondità di lavoro è circa 10
cm.
Lavoro dell’erpice a zig-zag

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 Erpice snodato a maglie o erpice Howard ed erpice strigliatore.
Sono erpici usati per rifinire perfettamente il letto di semina, in particolare per la semina
delle foraggere
Erpice snodato a maglie o Howard
Erpice strigliatore

Tra gli erpici mossi dalla presa di potenza , oggi molto diffusi nelle aziende agrarie, si
trovano quelli con utensili a denti rotanti su asse verticale (a) e a denti oscillanti su asse
orizzontale (b).
La profondità di lavoro è circa 10 cm. Generalmente, se il suolo si presenta in buone
condizioni fisiche, è l’ultima erpicatura prima della semina. L’erpice oscillante sull’asse
orizzontale porta anche ad un pareggiamento del suolo a vantaggio della regolarità di
semina.
(a) erpice rotante ad asse verticale

(b) erpice oscillante ad asse orizzontale


 La Fresatura.
La fresatura è fatta con la fresa. Questa è una macchina simile alla zappatrice ma ha
utensili elastici e flessibili, spesso detto “riccio” dai pratici, dotati di un veloce moto
rotatorio coperti da un carter.
Questo attrezzo, che normalmente è impiegato dopo un’aratura poco profonda, ha il
difetto di sminuzzare troppo il suolo e di favorire la diffusione d’infestanti a propagazione
agamica con stoloni: vedi Cynodon dactilon o gramigna. Oltre a ciò, nei suoli argillosi o
limosi porta a polverizzazione con distruzione della struttura del suolo per l’energica
azione battete esercitata sul carter degli aggregati. Ciò causa il dannoso fenomeno della
crosta del suolo dopo intense piogge. Per tale ragione la fresatura è usata normalmente
per colture orticole fatte su suoli sabbiosi soggette a numerose lavorazioni superficiali.

Il “riccio” della fresatrice

113
Differenza del lavoro di una zappatrice (A) e di una fresatrice (B) che causa una eccessiva
polverizzazione del suolo.
A B

Rullatura.
La rullatura è una lavorazione che può essere classificata sia come lavoro di preparazione
che di coltivazione. Di seguito verrà ora esaminata la rullatura come lavoro di
preparazione. In questo caso si hanno rulli frangizolle, compressori e sottocompressori
I rulli frangizolle sono usati dopo un’aratura che, per epoca e profondità, ha formato zolle
grosse e tenaci.
I rulli frangizolle sono costituiti da elementi circolari di ghisa, detti anelli, inseriti in modo
folle su un asse orizzontale posto trasversalmente alla linea di avanzamento.
Rullo frangizolle Anello metallico

Gli anelli hanno un diametro alternativamente diverso: uno circa 6-7 cm più grande
dell’altro. Quelli con maggior diametro presentano punte sporgenti che aumentano
l’azione disgregante del rullo sulle zolle.
Il peso dei rulli è notevole: circa 200-300 kg per m di larghezza. Dopo il passaggio del
rullo le grosse e tenaci zolle si riducono in aggregati di accettabile grandezza. Simili al
rullo frangizolle, come scopo ed effetto, anche se molto meno pesanti è il rullo cultipacker
e il rullo Croskill.
Rullo cultipacker Rullo Croskill

114
Questi rulli, più leggeri del rullo frangizolle, sono usati, in particolare, per la
preparazione del letto di semina di foraggere. Un abbinamento “seminatrice-rullo
cultipacker” è rappresentato dalla cultiseeder, utilizzata in foraggicoltura.
Nella cultiseeder i semi delle foraggere dalla tramoggia cadono tra lo spazio che
intercorre tra un primo e un secondo rullo cultipacker leggermente sfasati tra loro. In tal
modo i semi vengono automaticamente coperti di terra (vedi figura).
Tramoggia per semi

Cultiseeder
(R. Landi)
direzione di
avanzamento

Con questo sistema di ricoprimento del seme, con formazione di tante piccole “creste” sul
suolo si creano le condizioni sfavorevoli alla formazione della “crosta”.

Cultiseeder

Rulli compressori.
I rulli compressori, da usare con suolo in tempera, riducono l’eccessiva sofficità e
lacunosità del suolo determinando un richiamo d’acqua in superficie per capillarità. Il tal
modo il seme troverà condizioni ottimali per geminare.
L’effetto del rullo compressore dipende dal suo peso: un rullo di 350 kg, largo 2,35 m, fa
sentire la sua azione fino a 10 cm di profondità.

Passaggio di rullo liscio dopo erpicatura


Rulli sottocompressori o rulli Campbell.
I rulli sottocompressori sono formati da una serie indipendente di “stretti” dischi a corona
biconica, con diametro di circa 60 cm, distanziati tra loro di circa 15-20 cm e collegati, ad
un asse orizzontale, in modo folle, tramite razze. Il loro peso elevato e la minima superficie
d’appoggio porta alla loro penetrazione nel suolo. Suolo che viene compresso solo in
profondità dato che lo strato superficiale rimane soffice perchè smosso dalle razze.
Con la sottocompressione da un lato si richiama umidità in superficie e, dall’altro, si
forma un orizzonte profondo meno permeabile che riduce la percolazione delle acque.
Rullo sottocompressore o Campbell
Razze dei dischi

115
Livellamento.
Il livellamento del suolo, da fare con la livellatrice con suolo in stato di tempera, serve a
pareggiare la superficie per avere una semina più regolare possibile: importante per le
colture da rinnovo come la barbabietola da foraggio, mais, girasole, ecc.. dove le alte
produzioni si hanno solo quando gli investimenti regolari.
Livellatrice

Lavori di coltivazione.
I lavori complementari di coltivazione sono tutti i lavori del suolo che effettuano
dall’emergenza alla raccolta della coltura. Questi lavori sono la: rullatura, sarchiatura,
rincalzatura, scarificatura, erpicatura e strigliatura. Alcuni di questi sono stati citati nei
lavori complementari di preparazione ma, in questo caso, lo scopo agronomico per cui si
fanno è diverso.
Rullatura.
Questa lavorazione si usa quando: (a) il suolo coltivato a cereali è “sollevato” per il gelo
(b) i cereali a fine inverno hanno un vigoroso sviluppo tale da far prevedere il loro
allettamento.
a) Il suolo a causa del gelo si solleva di circa 3-4 cm staccando le radici dei cereali dallo
strato sottostante. Con il sollevamento le radici subiscono rotture e mancanza di contatto
con il suolo. Quando il suolo sollevati si disgela si secca rapidamente. Le radici delle piante
non assorbono acqua e le piante muoiono per siccità.
Con la rullatura, fatta subito dopo il disgelo, si riavvicina le radici al suolo così da
ripristinare l’assorbimento idrico della pianta.
b) L’elevata vigoria nei cereali si ha quando a fine inverno, per clima mite, la
mineralizzazione della S.O. da parte della microflora è elevata. Questo porta ad avere una
elevata disponibilità di N nitrico nel suolo per le colture. I cereali assumono quindi un
aspetto tanto lussureggiante da far prevedere il loro allettamento.
Con una leggera rullatura, fatta al massimo verso fine accestimento-inizio levata, si
deprime, per asfissia del suolo, l’attività dei batteri nitrificanti riducendo la produzione di
NO3- : causa del lussureggiamento.
Lo schiacciamento dei culmi, dovuto al rullo, non provoca danni poiché le piante
riprenderanno la posizione eretta con la sola conseguenza di mostrare una ginocchiatura
dello lo stelo dove questo ha ripreso la posizione verticale.
Sarchiatura.
La sarchiatura, fatta con la sarchiatrice, è normalmente utilizzata per colture con interfile
larghe: usualmente superiori a 50 cm.
Queste possono essere con elementi fissi o con elementi rotanti azionati dalla presa di
potenza coperti da un carter.
116
La sarchiatura talvolta può essere fatta anche su colture con interfile strette, come i
cereali, con l’erpice strigliatore o a denti.
Con la sarchiatura, che smuove il suolo per circa 3-5 cm, si hanno i seguenti effetti
positivi:
 lotta alle piante infestanti
 miglioramento del bilancio idrico del suolo sia per facilitazione dell’infiltrazione
dell’acqua di pioggia e irrigua sia per interruzione della risalita capillare
 incremento dell’aria nel suolo con maggiore attività dei batteri nitrificanti. L’effetto
della sarchiatura è stimato pari a circa 25 Kg N ha-1 ovvero pari all’apporto di circa 0,1 t
di nitrato ammonico ha-1
 miglioramento dello stato termico del suolo per minori escursioni di temperatura,
dovuto all’effetto coibente dello strato di suolo smosso, con relativo aumento dell’attività
radicale e dell’Edafon
 ripristino di una buona condizione strutturale in superficie talvolta danneggiata da
piogge o da interventi irrigui errati.
 produzione su cereali a paglia di microtraumi a cui rispondono con l’emissione di
radici avventizie e culmi di accestimento.
In particolare nelle colture da rinnovo la sarchiatura segue o è abbinata alla concimazione
azotata in copertura per favorire l’utilizzazione dell’N.

Sarchiatrice con elementi fissi distanziabili secondo


l’interfila

Sarchiatura abbinata alla


concimazione di copertura del mais

Sarchiatura del mais con macchina mossa


dalla presa di potenza ad organi di lavoro posti
su asse orizzontale

117
Rincalzatura.
La rincalzatura è fatta dalla rincalzatrice. Questa macchina operatrice ha organi
lavoranti tipo vomeri a forma di triangolo isoscele che rincalzano la base delle piante con
il suolo preso dall’interfila.
La rincalzatura oltre ad avere effetti simili alla sarchiatura e poter essere abbinata alla
concimazione in copertura può servire a: proteggere le colture ortive invernali da gelate e
parti di pianta dall’inverdimento, come per la patata e la bietola; dare maggiore stabilità
fisica alla pianta; utilizzare le capacità assorbenti delle radici aeree del mais; preparare la
coltura a ricevere l’irrigazione per infiltrazione laterale per formazione di solchetti
interfilari; ecc.. .

Elementi lavoranti della


rincalzatrice ed effetto della
rincalzatura su mais
La rincalzatura però non deve essere fatta su colture primaverili estive non irrigue perchè
aumentando la superficie specifica del suolo si incrementa l’evaporazione dell’acqua.

Scarificatura.
La scarificatura, fatta con la scarificatrice, è usata nella gestione dei prati, prati-pascoli e
pascoli. Questa macchina, essendo uno strumento discissore, opera dei tagli verticali nel
suolo che servono per arieggiarlo.
La scarificatura viene usata nelle vecchie colture prative quando lo strato superficiale è
diventato asfittico per compattamento. Asfitticità che determina un ambiente riducente
con abbassamento del pH del suolo. In questa condizione il suolo si coprire di Briofite e di
alghe, che riducono ancor più gli scambi gassosi, con cambiamento della sua flora
spontanea. La scarificatura da farsi, meglio se con due passaggi fatti in modo ortogonale
tra loro, prima della ripresa vegetativa del cotico erboso può essere preceduta da una
concimazione in copertura.
Scarificatrice: la profondità della lavorazione massima è di qualche decimetro.

118
Erpicatura per la rottura della crosta del suolo.
Per la rottura della crosta del suolo si usa l’erpice rompicrosta. La crosta del suolo, spessa
anche 3-4 cm, si forma, come prima accennato, a seguito di piogge di forte intensità su
suoli di cattiva struttura: crosta che impedisce l’emergenza delle piante, specie quelle
dicotiledoni ad emergenza epigeica. Con il passaggio di quest’erpice, con stelle folli poste
su assi orizzontali, si frammenta la crosta del suolo permettendo l’emergenza delle
plantule senza che queste subiscono apprezzabili danni.
Crosta del suolo

Erpice rompicrosta

Al termine di questa semplice descrizione delle lavorazioni del suolo vengono di seguito
riportate alcune note relative alle possibili alternative all’aratura per lavori di rinnovo e
comuni.
L’aratura oltre a indubbi pregi ha degli inconvenienti che hanno portato alla ricerca di
tecniche alternative per la sua sostituzione. I principali inconvenienti dell’aratura sono:
elevato tempo operativo e consumo energetico; eccessivo interramento in profondità della
S.O. e sua diluizione nella massa del suolo; maggiore ossidazione della S.O. e,
conseguentemente, minor stabilità strutturale; disformità quantitativa degli elementi
assimilabili nel profilo del suolo; alterazione dell’Edafon; eccessiva zollosità e cavernosità
dello strato attivo del suolo; esposizione del suolo all’erosione specie nel periodo tra la
lavorazione e la semina; difficoltà di trovare lo stato di tempera; possibilità
dell’insorgenza del guasto, eccessiva percolazione profonda dell’acqua di pioggia, riporto
in superficie di strati inerti e/o tossici, possibilità di formazione della suola d’aratura.
Le alternative all’aratura classica sono diverse. Alcune di queste, in parte in precedenza
citate sono:cambio del versoio, da quello classico a losanga o fenestrato, con riduzione
dello sforzo di trazione, a parità di profondità di lavorazione, del 20-25%; uso dell’aratro
con frangifetta con riduzione di zollosità; uso dell’aratro classico ma con riduzione della
profondità di lavorazione e aumento dei corpi lavoranti; uso di strumenti discissori; uso
della tecnica della minima lavorazione; uso della lavorazione a 2 strati; uso del no-tillage o
zero-tillage o non lavorazione del suolo con semina diretta sul sodo; uso del sistema a
porche permanenti o Ridge tillage.
In particolare sono di seguito considerate le seguenti tecniche alternative: minima
lavorazione; lavorazione a due strati; No-tillage o zero-tillage o non lavorazione del suolo;
semina diretta o sod-seeding; porche permanenti o Ridge tillage.

119
La tecnica della minima lavorazione è possibile, ad es. , con erpici a dischi o con zappatrici
o vangatrici o fresatrici. Questa tecnica porta a risparmio di tempo operativo e d’energia.
La profondità di lavorazione varia da circa 10 a 20 cm.
La tecnica della lavorazione a 2 strati prevede le seguenti soluzioni:
A) lavorazione a 2 strati in 2 tempi: 1° passaggio di chiesel o subsoiler poi 2° passaggio
con aratro con vomere e versoio per una profondità di circa 25 cm.
B) lavorazione a 2 strati con unico passaggio di un “ara-ripuntatore”.

La lavorazione a due strati, con discissura profonda del suolo a 50 cm con aratura a circa
25 cm, porta ad tempo operativo e un consumo energetico intermedio tra quello della sola
aratura a 50 cm e quello della sola discissura a 50 cm.
La tecnica del No-tillage o zero-tillage o non lavorazione del suolo è la tecnica della semina
diretta sul suolo sodo con apposite seminatrici.
Il suolo coperto da vegetazione spontanea può essere preventivamente sottoposto a sua
trinciatura con o senza preventivo impiego di diserbanti totali.
Per questa tecnica sono usate pesanti seminatrici con robusti falcioni in modo da incidere
facilmente il suolo e deporre i semi alla giusta profondità.

La tecnica della semina diretta sul sodo o sod-seeding, usualmente impiegata per le
foraggere, prevede l’uso di diserbanti disseccanti, seguiti da una eventuale trinciatura
della vegetazione disseccata e da un passaggio con erpice a dischi, con elementi orientati
parallelamente tra loro, e poi la semina fatta a spaglio.
La tecnica delle porche permanenti o Ridge tillage prevede la formazione di porche
permanenti, ossia dei piccoli cumuli longitudinali di suolo distanziati tra loro secondo le
necessità colturali, secondo i seguenti punti in fase di pieno regime: 1° trinciatura dei
residui della coltura precedente; 2° scalping; 3° semina della nuova coltura; 4°
rincalzatura; 5° diserbo; 6° raccolta
Questa tecnica porta ad una rigidità nell’avvicendamento poiché approntando porche con
distanza fissa tra loro queste saranno utilizzabili solo per specifiche colture.
Per comprendere la tecnica dello scalping si riporta la successiva figura relativa all’inizio
un avvicendamento “mais-soia”: A) mais seminato su suolo lavorato e seminato in modo
120
convenzionale B) piante di mais che una volta cresciute vengono rincalzate creando così la
base delle porche permanenti C) raccolta del mais e trinciatura dei suoi stocchi che si
accumulano sul fondo delle porche D) scalping con eliminazione, sul colmo della porca,
della parte basale del culmo e di parte dell’apparato radicale del mais con creazione di
una superficie pianeggiante dove verrà seminata la soia E) semina della soia F)
rincalzatura della soia con ripristino dei colmi e diserbo 6°) raccolta della soia.
Porche permanenti o ridge tillage

Dopo la raccolta della soia, seguirà la trinciatura dei suoi residui colturali, lo scalping,
semina del mais, ecc..

Erosione, conservazione e difesa del suolo


Il processo erosivo è un fenomeno naturale a cui sono soggette tutte le aree emerse.
In condizioni di equilibrio l’erosione è pari alla formazione del suolo dalla roccia madre o
dal substrato pedogenetico. Quando non è in equilibrio si ha o riduzione del suolo fino alla
sua scomparsa o suo ispessimento.
L’erosione nel nostro Paese sta diventando un problema sempre più sentito. Ciò dipende
da diverse cause tra cui da evidenziare l’utilizzo sempre più spinto di tecniche di gestione
del suolo agricolo tipiche dell’agricoltura intensiva e la deforestazione.
L’erosione può essere:
⌦di massa, se interessa aree di suolo ben delimitate. Quest’erosione è rappresentata dalle
frane e porta alla perdita repentina e spesso definitiva del suolo. Di seguito i tre
fondamentali tipi di frana e i principali termini usati nel descriverla. Questa erosione,
eccetto casi particolari, è dovuta alla pioggia che , infiltrandosi nel mantello terroso lo
appesantisce.

121
Frana da scoscendimento

Tipi di frane

Termini usati per la frana


Frana da smottamento

⌦areale se interessa estese aree difficilmente ben delimitabili. In Italia quest’erosione è


prevalentemente connessa alla pioggia.
L’erosione in base agli agenti che determinano il fenomeno è detta: idrica, se dovuta
all’acqua; eolica, se dovuta al vento: glaciale, se dovuta a masse di ghiaccio in movimento.
In Italia si ha principalmente erosione idrica.

In Italia l’erosione idrica dovuta alla pioggia è quella che ha la maggiore diffusione
territoriale e la maggiore importanza per i danni ambientali ed economici che ne
derivano.
L’erosione idrica dovuta alla pioggia può presentarsi come: splash erosion o per impatto
delle gocce di pioggia; sheet erosion o laminare; rill erosion o a rivoli o per ruscellamento;
gully erosion o incanalata.
splash erosion

Sheet erosion

Rill erosion

Gully erosion

122
Rill erosion

Il processo erosivo può essere: sostenibile o non sostenibile.


Si dice sostenibile quando la produttività del suolo rimane invariata per molto tempo.
Negli USA sono stati fissati 5 livelli di sostenibilità in base alla perdita di suolo e alle
colture. Questi livelli sono 11 , 9 , 7 , 5 e 2 t o Mg ha-1 anno-1.
I processo erosivo areale determina un perdita di suolo o calo di denudamento che si
esprime in t o Mg ha-1 anno-1 o in mm ha-1 anno-1 o in m3 ha-1 anno-1: vedi la successiva
tabella per la corrispondenza tra mm , m3 e t o Mg ha-1.
Suolo eroso: equivalenza mm - m3 - t o Mg ha-1
mm m 1ha Volume in m3 densità apparente Peso in t o Mg
0,04 0,00004 10.000 m2 0,40 1,2 0,48
0,10 0,00016 ″ ″ 1,60 ″ 1,92
0,28 0,00028 ″ ″ 2,80 ″ 3,36
0,40 0,00040 ″ ″ 4,00 ″ 4,80
0,52 0,00052 ″ ″ 5,20 ″ 6,24
0,64 0,00064 ″ ″ 6,40 ″ 7,68
0,76 0,00076 ″ ″ 7,60 ″ 9,12
0,88 0,00088 ″ ″ 8,80 ″ 10,56
1,00 0,00100 ″ ″ 10,0 ″ 12,00
1,40 0,0014 ″ ″ 14,00 ″ 16,80
1,80 0,0018 ″ ″ 18,00 ″ 21,60
2,20 0,0022 ″ ″ 22,00 ″ 26,40
2,60 0,0026 ″ ″ 26,00 ″ 31,20
3,00 0,0030 ″ ″ 30,00 ″ 36,00
3,40 0,0034 ″ ″ 34,00 ″ 40,80
3,80 0,0038 ″ ″ 38.00 ″ 45,60
4,20 0,0042 ″ ″ 42,00 ″ 50,40
4,60 0,0046 ″ ″ 46,00 ″ 55,20
5,00 0,0050 ″ ″ 50,00 ″ 60,00
5,40 0,0054 ″ ″ 54,00 ″ 64,80
5,80 0,0058 ″ ″ 58,00 ″ 69,60
6,20 0,0062 ″ ″ 62,00 ″ 74,40
Nel 1956, epoca distante dalla forte industrializzazione dell’agricoltura, è stato valutato,
che nel bacino del fiume Arno, di 8.444 km2 di superficie ovvero di 844.400 ha, tramite lo
studio delle torbide del fiume, l’erosione era pari a circa 3,26 t ha-1 anno-1 per un totale di
circa 2.752.744 t anno-1 sull’intero bacino.
Nella collina di origine pliocenica toscana alla fine degli anni '30 era stato valutato un calo
di denudamento pari a 60-70 t ha-1 anno-1 ossia circa 5-6 mm ha-1 anno-1 .

123
La cartina delle isoerodendi di seguito riportata, ossia cartina con linee che uniscono punti
aventi la stessa quantità di suolo eroso, pur risalendo a metà degli anni '60, mostra come
l’erosione, in Italia, era, in alcune aree, già discretamente intensa.
Carta delle isoerodendi: i valori in
corrispondenza delle isoerodendi si
riferiscono ai mm di suolo persi per
erosione per ettaro e per anno.

Valutazione del processo erosivo


Wischemeier, tra gli anni 1960 e 1970, ha messo a punto la seguente equazione universale
dell’erosione per i suoli coltivati, detta Universal Soil Loss Equation o USLE.
A = R K LS C P dove:
A è l’erosione annuale media in t o Mg ha-1; R è il fattore aggressività o erosività della
pioggia; K è il fattore erodibilità del suolo; LS è il fattore topografico dato rapporto della
lunghezza della pendice in metri lunghezza con la pendenza della pendice in %; C è il
fattore colturale senza dimensioni che serve ad adattare i valori dell’erosione trovati in
parcelle sperimentali standard con suolo nudo alle reali situazioni colturali dell’area in
esame; P è il fattore protezione o controllo dell’erosione ossia il fattore legato alle
sistemazioni idraulico-agrarie. Questo fattore è senza dimensioni e serve ad adattare i
valori dell’erosione trovati nelle parcelle sperimentali standard con suolo nudo alle
tecniche messe in pratica nell’area in esame.

124
I fattori R, K, LS, C e P sono riportati in appositi grafici e/o tabelle a cui si rimanda. In
relazione a ciò è stato osservato che per il fattore LS raddoppiando L l’erosione viene ad
aumentare di 3 volte mentre raddoppiando S l’erosione aumenta di 2,8 volte,
Dalla USLE deriva come le sistemazioni idraulico-agrarie hanno notevole importanza per
controllo dell’erosione. Sistemazioni idraulico-agrarie che, sotto forma di affossatura o
drenaggio, si possono definire come opere agronomiche che hanno come scopo la difesa
del suolo dall’acqua e la conservazione di questa nel suolo.
Le sistemazioni idraulico-agrarie nei riguardi dei deflussi sono importanti perché
riducono il coefficiente udometrico ossia la portata in litri di acqua al secondo e per
ettaro o Q s-1 ha-1 e aumentano il tempo di corrivazione o tc ossia l’intervallo di tempo
intercorrente tra la caduta di una goccia d’acqua nella parte più distante del bacino
idrografico rispetto al passaggio della stessa goccia dalla sua sezione di chiusura del
bacino stesso.
Punto più lontano di caduta della goccia di pioggia

Bacino idrografico

Sezione di chiusura del bacino idrografico


Per prevedere la quantità di acqua di deflusso al momento di picco tre sono i principali
metodi: il metodo razionale, il metodo dell’invaso e il metodo delle curve di deflusso
come il Curve Number. Per questi metodi si rimanda a Trattati specifici.
Sull’erosione del suolo incide fortemente l’uso del suolo: non coltura, monocoltura,
policoltura, tipi di piante coltivate, avvicendamento colturale e l’agrotecniche utilizzate:
specie le lavorazioni del suolo.
Come accennato le sistemazioni idraulico-agrarie sono rappresentate dall’affossatura
scoperta o dal drenaggio. Queste hanno come obiettivo, dopo elevate precipitazioni, la
creazione della sanità fisica del suolo tramite la conservazione degli aggregati,
l’eliminazione dei ristagni idrici superficiali e profondi, il contenimento dell’erosione
superficiale e il miglioramento dell’attività dell’Edafon.

125
Di seguito alcune figure relative all’affossatura e al drenaggio.

Sezione di una fossa e terminologia


ciglio testata o apertura ciglio

Suolo alla capacità di campo


scarpata o parete
Profondità o altezza
fondo
Affossatura fatta con scavafossi rotativo bilaterale

Deflusso superficiale

Suolo alla capacità


di campo
Deflusso profondo

dreno

Suolo alla capacità idrica massima in stato asfittico

Le sistemazioni idraulico-agrarie si classificano in:


a)
- sistemazioni dei suoli pianeggianti, con pendenza inferiore al 5%
- sistemazioni dei suoli declivi, con pendenza superiore al 5%
Per inciso la declività, sotto l’aspetto agronomico, si divide in lieve (5-10%, circa 3-5°);
media (10-25%, circa 5-15°) ed elevata (25-45%, circa 15-25°).
126
b)
- sistemazioni temporanee, con elementi costitutivi fatti ogni anno
- sistemazioni permanenti, con elementi costitutivi di durata pluriennale.
c)
- sistemazioni estensive, per ordinamenti colturali che prevedono colture erbacee
- sistemazioni intensive, per ordinamenti colturali che prevedono anche colture arboree
d)
- sistemazioni unite che non modificano la morfologia del suolo e consentono un facile
passaggio delle macchine da un appezzamento all’altro
- sistemazioni divise che modificano la morfologia del suolo e che non permettono un
normale passaggio delle macchine da un appezzamento all’altro.
Tutte le sistemazioni idraulici-agrarie presentano degli elementi costitutivi che sono detti
principali, dimensioni del campo, baulatura, affossatura e strade fosso e secondari,
orientamento del campo, ecc... Di seguito la classificazione delle sistemazioni idraulico-
agrarie, diffusissime in Italia fin verso il 1960, con cenni sui loro elementi costitutivi.
Molte di queste sono di vecchia ideazione e approntamento ma sono ancora importanti
per i concetti agronomici che racchiudono e per motivi paesaggistico-ambientali.

Classificazione delle sistemazioni idraulico-agrarie classiche


Sistemazioni delle Permanenti Proda
aree di pianura Piantata
Cavalletto
Larghe
Cavino
Variante veneta
Temporanee Porche
Prose
Prosoni
Sistemazioni delle Permanenti estensive unite Girapoggio
aree declivi Fossa livellare
Strada fosso livellare
divise Gradonamento
Cavalcapoggio
intensive unite Rittochino
Unita a spina
Argini trasversali
divise Ciglionamento
Lunettamento
Terrazzamento
Ripiani raccordati
Temporanee Solchi acquai

Di seguito brevi cenni su alcune sistemazioni idraulico-agrarie di pianura e delle aree


declivi sia permanenti che temporanee.
127
Sistemazioni idraulico-agrarie di pianura permanenti.
Proda.
Sistemazione diffusa nelle pianure dell’Italia centrale, Toscana in particolare, con un
volume di affossatura pari a circa 100-280 m3 ha-1 e tare o superficie del campo sottratta
dall’affossatura, viottoli, ecc.. , tra circa il 5-6%.
Basto rovescio

Da R. Landi

I campi o tramiti sono in origine pianeggianti ma con il passar tempo, con la pulizia dei
fossi e l’aratura, vengono ad assumere una forma detta a basto rovescio.
Le piante arboree sono rappresentate dalla vite maritata all’acero detto volgarmente
oppio, loppio o testucchio.
Larghe.
Sistemazione diffusa in zone interessate dalla grande bonifica idraulica: ravennate,
ferrarese, grossetano, ecc.. .
È una sistemazione che presenta un appezzamento ampio, facilmente meccanizzabile,
senza coltura arborea e con baulatura a padiglione la cui altezza varia secondo la
l’argillosità del suolo.
Lungo i lati lunghi del campo sono presenti i fossi di prima raccolta mentre sui lati corti i
fossi di seconda raccolta. Il volume dell’affossatura complessiva è di circa 200 m3 ha-1.
Talvolta la lunghezza dei campi può essere anche di 400 m ma in questo caso la pendenza
dei fossi longitudinali è per metà verso sinistra e metà verso destra.

Da R. Landi

128
Sistemazioni idraulico-agrarie di pianura temporanee.
Sono fossetti superficiali, detti porche, prose e prosoni, fatti ogni anno che integrano le
sistemazioni di tipo permanente con il compito di facilitare la regolazione dei deflussi
superficiali.
Le distanze tra i fossetti superficiali sono
 60-80 cm nelle porche
 3 m nelle prose
 6 m nei prosoni
Queste sistemazioni, anche se utilissime, per il loro costo di esecuzione, vengono sempre
meno usate e quando approntate, vedi per il vivaismo, sono quelle con fossetti superficiali
più distanti tra loro. Le tare di queste sistemazioni oscillano tra circa il 12 e il 18 %.
Disegno schematico di porche approntate su un appezzamento con sistemazione
permanente a proda.

Sistemazioni idraulico-agrarie delle aree declivi.


L’obiettivo principale delle sistemazioni idraulico-agrarie delle aree declivi è quello di
proteggere i primi strati del suolo agrario dai fenomeni erosivi e di creare nel suolo una
adeguata riserva idrica e circolazione d’aria. Le Sistemazioni idraulico-agrarie delle aree
declivi si dividono in permanenti e temporanee e quelle di tipo permanente, a loro volta, in
divise e unite come di seguito riportato.
Sistemazioni delle aree declivi permanenti estensive unite.
Girapoggio.
Questa sistemazione idraulico-agraria è approntato su collina tipica, la cui morfologia è
dovuta a processi erosivi. Questo è costituito da fosse trasversali con testata di 30-50 cm,
profondità di 20-30 cm e pendenza variabile da circa 1,5 %, su suoli sabbiosi più erodibili
a circa 2,5%, suoli argillosi meno erodibili.
La lunghezza delle fosse trasversali, uguale a quella dei campi, è al massimo di cira 80 m.
Oltre alle fosse trasversali questa sistemazione è completata da una fossa di raccolta o da
un impluvio naturale inerbito o armato con pietrame con andamento a rittochino, ossia
secondo la massima pendenza, che raccoglie le acque delle fosse trasversali. In questa
sistemazione la lavorazione principale viene fatta in traverso e i fossi sono rifatti dopo
alcuni anni.
Cosa particolare della sistemazione è che il dislivello verticale tra una fossa e la successiva
è fisso di 4 m e che le larghezza del campo è date dalla formula “4: pendenza del
campo(a)”.

129
Ammettendo che la pendenza sia del 25% la larghezza del campo sarà data da 4:0,25 ossia
16 m . Se la pendenza fosse del 10% la larghezza del campo sarà data da 4:0,10 ossia 40
m.
Fossa livellare.
La fossa livellare è un’evoluzione moderna del girapoggio per permette la
meccanizzazione agricola.
Questa prevede: fosse trasversali, come il girapoggio, con pendenze dall’1,5 % al 2,5 % in
relazione al tipo di suolo; abbandono del concetto del dislivello verticale fisso di 4 m tra
due fosse contigue; profondità della fossa maggiore del fondo di lavorazione di 5-10 cm ;
distanza tra due fosse successive di circa 80-100 m; lunghezza massima delle fosse di circa
200-250 m.
Questi elementi costitutivi portano ad appezzamenti di circa 2-2,5 ha di conveniente
gestione agro-economica.
Ciò lo diviene ancor più considerando che l’aratura è fatta a rittochino, interessando i
diversi appezzamenti e non rispettando le fosse trasversali che verranno ripristinate ogni
anno dopo la lavorazione principale.
Su ciascun appezzamento, che corrisponde alla fossa livellare, vengono solitamente fatti,
dopo la semina della coltura, dei fossetti acquai con una pendenza di circa il 15 % e 5-10
cm di profondità.
Questi fossetti temporanei scaricano o nella fossa livellare o in quella di raccolta
secondaria artificiale a rittochino o in un impluvio naturale.
La pendenza della fossa può essere fatta da uno strumento semplice e poco costoso detto
squadra zoppa.
Questa è costituita da un regolo trasversale di 3 metri di lunghezza su cui è fissata un bolla
torica e due regoli verticali di appoggio: uno fisso, alto 1 m e uno scorrevole in modo che
la sua altezza possa variare da 1 a 1,2 m.
Con questo strumento si inizia a tracciare la linea lungo la quale dovrà essere scavata la
fossa, mettendo il regolo fisso di 1 m a monte e quello scorrevole più lungo, ad es. 1,06 m, a
valle finché, per tentativi, la bolla torica dell’asta di 3 m non indichi l’orizzontalità.
In questo modo si saranno individuati due punti che presentano, tra loro, una pendenza
del 2% : il 2% su 300 cm corrisponde a un dislivello di 6 cm.
Fatta questa prima operazione e segnati i primi due punti con piccoli riferimenti si
continuerà posizionando il regolo fisso sull’ultimo punto trovato e quello più lungo verso
valle cercando l’orizzontalità come prima indicato.
Ciò si ripeterà fino a quando la linea lungo la quale dovrà essere scavata la fossa non
incontrerà l’impluvio naturale a rittochino o tracciato, sempre a rittochino,
appositamente delineato sulla pendice .
Fosse livellari con fossetti acquai

Squadra zoppa
Fossa livellare
Fossetto acquaio
Da R. Landi modificato 130
Una ulteriore evoluzione della fossa livellare, sempre per favorire ulteriormente la
meccanizzazione, è data dalla sistemazione a strada fosso livellare.
Questa sistemazione alterna fosse livellari, con i fossetti acquai temporanei, con strade
fosso livellari approntate con la stessa pendenza, lunghezza e distanza delle fosse.
Cosa particolare è che le strade fosso hanno una contropendenza di circa il 7% per
raccogliere le acque dei campi superiori e inviarle nella fossa di raccolta secondaria a
rittochino o nell’impluvio naturale.
Sistemazione a strada fosso livellare
Da R. Landi modificato

Fossetto acquaio

Sistemazioni delle aree declivi permanenti estensive divise.


Gradonamento
Il gradonamento è approntato su collina strutturale con rocce non gelive con pendenze
superiori al 35 %. La collina strutturale è quella la cui morfologia è dovuta a movimenti
orogenetici più modesti di quelli che hanno formato le montagne. La collina strutturale,
molto diffusa negli Appennini, viene spesso utilizzata con prati-pascoli e cereali.
Il gradone, elemento costitutivo principale, è formato da rocciosità mobile derivante dallo
spietramento che, iniziando da valle, viene accumulata seguendo le curve di livello.
L’accumulo delle pietre si interrompe in presenza di grosse rocce affioranti per poi
proseguire una volta che queste sono superate. La morfologia superficiale
dell’appezzamento è data dall’aratura. Aratura che viene fatta in traverso con
rovesciamento della fetta a valle. Questa sistemazione manca, per la sua semplicità, di
una vera e propria regimazione delle acque superficiali e profonde.

Da R. Landi

gradone
131
Cavalcapoggio
Il cavalcapoggio viene approntato su collina strutturale, con rocce non gelive, con
pendenza inferiore al 35%. È tipico dell’aree declivi dell’Italia centrale talvolta utilizzate
anche con colture arboree. L’approntamento del cavalcapoggio inizia, come nel caso del
gradonamento e terrazzamento dal basso con l’apertura di una trincea.
Il materiale roccioso, derivante dalla lavorazione straordinaria dell’appezzamento, viene
messo nella trincea in modo da formare un muretto a secco la cui altezza dipende dalla
quantità. I muretti, hanno uno spessore di circa 60-150 cm e un’altezza di circa 60-100
cm. I muretti, come i campi, sono posti a cavallo della pendice, da qui il termine di
cavalcapoggio. Questi sono lunghi, come i campi, da circa 40 a 80 m e distanti tra loro tra
circa 8 e 16 m. I campi hanno tre pendenze: una verso valle e due contrapposte laterali.
Talvolta il cavalcapoggio è interessato dalla coltura promiscua con i filari delle piante
arboree fognate distanti circa 0,5-0,6 m dal muretto. Nel cavalcapoggio le acque
provenienti dai campi e dalle eventuali fogne viene scaricata in impluvi naturali o in
acquidocci che poi la portano a valle.

Le 3 pendenze dei campi

Sistemazioni delle aree declivi permanenti intensive unite.


Rittochino.
Il rittochino è tipico dell’aree declivi argillose dell’Italia centrale lavorate secondo la
massima pendenza con ritorno a vuoto: Marche, Umbria, Toscana, ecc.. . I campi, disposti
secondo la massima pendenza, sono lunghi da circa 50 a 80 m e i filari delle piante arboree
sono fognati.
Le acque delle affossature e quelle delle fogne, disposte secondo la massima pendenza,
scaricano in fossi di raccolta secondaria aperti trasversalmente al termine inferiore degli
appezzamenti.

132
Questa sistemazione ha come pregio di evitare smottamenti per appesantimento del
mantello terroso ma non quello di contenere l’erosione superficiale del suolo.
Argini trasversali.
È una sistemazione permanente di tipo intensivo e unita, per aree non presentanti
scheletro o rocciosità mobile, con arginelli trasversali con una contenuta pendenza
laterale, fatti con il modellamento del suolo.
Gli arginelli sono larghi circa 3-4 m, alti circa 50-60 cm, hanno pendenze laterali di circa il
2-5 % e sono distanti, tra loro, dai 20 ai 30 m. Sul colmo dell’arginello si trova la coltura
arborea che, nei suoli argillosi, è fognata.
Subito a monte degli arginelli c’è un’affossatura, ottenuta e mantenuta nel tempo con
l’aratura, profonda 30-40 cm, che scarica le acque in impluvi naturali o in acquidocci
armati. Anche le acque della fognatura scaricano in impluvi naturali o in acquidocci
armati.

Profondità affossatura 30-40 cm


Distanza tra argini 20-30 m
Da R. Landi
Larghezza degli argini 3-4 m

Pendenza 2-5 %

Sistemazioni delle aree declivi permanenti intensive divise.


Ciglionamento.
Il ciglionamento è una sistemazione diffusa, in particolare nell’Italia centrale, su suoli non
argillosi. Si appronta in aree declivi con pendenza inferiore al 40 % su suoli con possibilità
di dare origine ad agenti flocculanti e cementanti a base di calcio e ferro.
L’altezza e la larghezza dell’elemento costitutivo principale, il ciglione, varia secondo la
pendenza: maggiore sarà la pendenza, più alto e più largo alla base sarà il ciglione.
Il ciglione, fatto dall’uomo con terra, sarà poi ricoperto da vegetazione erbacea spontanea.
I campi, detti ripiani o tramiti, hanno una pendenza del 2-3 % verso valle e la coltura
arborea, talvolta fognata, è posta vicino al bordo del ciglione.
Fatto importante per la sopravvivenza del cotico erboso ricoprente il ciglione è che nei 3
mesi estivi vi siano almeno 100 mm di pioggia: meglio se ben distribuiti nel tempo.
Spesso ai piedi del ciglione vi è un fossetto per raccogliere le acque provenienti dal campo
superiore, fossetto che scarica in un acquidoccio armato a rittochino.
La durata del ciglionamento è di circa 60 anni.

133
Da R. Landi

Pendenza pendice Altezza e scarpata dei ciglioni in m


in % Altezza 1,00 Altezza 1,50 Altezza 2,00
Scarpata 0,40 Scarpata 0,60 Scarpata 0,80
15 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 6,25 m 9,40 m 11,70
20 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 4,60 m 7,10 m 9,20
25 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 3,60 m 5,65 m 6,90
30 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 2,90 m 4,40 m 5,85
35 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 2,45 m 3,75 m 4,45

Terrazzamento.
Il Terrazzamento è una sistemazione diffusa sulla collina strutturale. Si appronta in aree
declivi con pendenza dal 25 al 50 %, con rocce non gelive: alberese, granito, gneiss, ecc.. .
Il terrazzamento è costituito da muretti a secco la cui altezza e larghezza varia secondo la
pendenza: maggiore è la pendenza, più largo alla base e più alto sarà il muretto.
I campi hanno pendenza del 2-3 % verso valle e la coltura arborea, talvolta fognata, è
posta vicino al bordo del muretto.
In certi casi ai piedi del muretto vi è un fossetto per raccogliere le acque provenienti dal
campo superiore, fossetto che poi scarica lateralmente in un acquidoccio armato a
rittochino. La durata del terrazzamento è di circa 30 anni.

134
Pendenza pendice Altezza del muretto a secco in m
in % Altezza 1,50 Altezza 2,00 Altezza 2,50
25 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 5,80 m 8,15 m 9,80
30 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 4,80 m 6,45 m 8,15
35 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 4,15 m 5,35 m 6,90
40 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 3,55 m 4,80 m 6,05
45 Larghezza campo Larghezza campo Larghezza campo
m 3,15 m 4,15 m 5,35

Differenza tra terrazzamento e ciglionamento

Lunettamento.
Il lunettamento è una sistemazione per colture arboree della collina strutturale molto
declive con rocce non gelive.
Le lunette, elemento costitutivo principale, sono costituite da un muretto a secco con
un’altezza che, al massimo, arriva a circa 1,2 m. La lunetta, a forma semicircolare, ha un
raggio di 2-3 m e una pendenza a valle dell’1%. . La coltura arborea spesso è l’olivo.

135
Sistemazioni delle aree declivi di tipo temporaneo.
Solchi o fossi acquai.
I solchi acquai regolando lo scorrimento delle acque di deflusso superficiali sono
importanti per la ridurre l’erosione. Sono fossetti poco profondi tracciati dopo la semina
della coltura come quelli presenti nella sistemazione idraulico-agraria a fosse livellari.
Generalmente la loro pendenza è di circa il 4-6% ma in suoli argillosi può essere anche del
7-8 %. Questi fossetti vengono aperti nei punti dove l’acqua, rallentando di velocità per
cambiamento di pendenza, tende a ristagnare. È opportuno che i fossi acquai, affinché
siano efficaci mezzi contro l’erosione, non siano distanti più di 80 m tra loro.

Di seguito di questa breve descrizione della sistemazioni idraulico-agrarie di tipo


permanente delle aree declivi evidenziare un opere agronomica complementari a queste
rappresentata dai fossi di guardia. Questi sono fossi fatti per isolare gli appezzamenti dalle
acque provenienti da aree non coltivate e sono fatti prima di approntare gli elementi

136
costitutivi delle sistemazioni idrauliche-agrarie. I fossi di guardia scaricano le acque che
raccolgono in impluvi naturali o in acquidocci armati a rittochino.
Tecniche per la difesa e conservazione del suolo delle aree declivi non classiche.
Tra le tecniche per la difesa e conservazione del suolo delle aree declivi di tipo non
classico sono da menzionare la sistemazione idraulico-agraria ad onde o terraces e la
coltivazione a strisce.
Sistemazione idraulico-agraria ad onde.
La sistemazione idraulico-agraria ad onde è approntata su pendici con pendenze inferiore
al 10-12%. Questa si basa sul modellamento della superficie del suolo con ripetute
arature a colmare usualmente con aratro polivomere eseguite in traverso. Le arature
determinano ad unità colturali presentanti dei colmi disposti nel senso delle curve di
livello intervallati da superfici concave tanto che la pendice presenta un aspetto ondulato.
In queste aree concave si viene ad accumulare nei momenti di pioggia le acque superficiali
di deflusso che per la pendenza da loro posseduta, circa 1-2,5 %, come nel caso delle
scoline, viene convogliata in fossi a rittochino o impluvi naturali. Aspetto particolare di
questa sistemazione idraulico-agraria è che queste aree, dove l’acqua viene raccolta
temporaneamente, vengono normalmente coltivate.

Da L. Giardini

La coltivazione a strisce.
La coltivazione a strisce è una semplice tecnica, eseguibile in aree con modesta pendenza,
che consiste nel seminare trasversalmente rispetto alla pendice colture con cicli e
caratteristiche morfologiche: vedi figura seguente con mais, prato annuale, frumento,
erbaio

Da L. Giardini

Ciò porta ad una riduzione dell’erosione per impatto delle gocce di pioggia, di quella
laminare ed incanalata. Ciò per le diverse tecniche di lavorazione del suolo, per

137
l’andamento trasversale delle file delle colture, per la diversificata presenza delle piante
nel tempo come per la diversa morfologia di queste.
A termine dei precedenti cenni sulle sistemazioni idraulico-agrari classiche è da
sottolineare come la loro manutenzione e conservazione, in particolare nelle aree declivi, è
importante non solo per il loro effetto antierosivo e regimante dei deflussi ma anche per il
mantenimento e conservazione degli elementi del paesaggio agricolo. Fra queste
sistemazioni idraulico-agrarie per importanza, diffusione e bellezza si menziona il
terrazzamento.

La manutenzione e conservazione del terrazzamento che favorisce anche la tutela della


biodiversità per le numerose specie vegetali e animali che trovano l’habitat ideale nei suoi
muri a secco.
Fognatura e drenaggio tubolare
Altre sistemazioni idraulico-agrarie, molto diffuse nei Paesi del centro e del nord Europa,
sono la fognatura e il drenaggio tubolare.
Queste sistemazioni hanno lo scopo di abbassare la falda freatica in modo di creare nel
profilo superficiale di suolo una zona detta franco di coltivazione, dove il raggiungimento
della saturazione idrica del suolo è solo temporanea e connessa a piogge prolungate e di
forte intensità.

Drenaggio tubolare

Suolo alla capacità di campo Franco di coltivazione

Livello della falda


Suolo alla capacità idrica massima

138
La profondità ottimale del franco di coltivazione, è per i cereali e colture pratensi di 40-60
cm, per le colture di rinnovo 60-80 cm, e per coltre arbustive e arboree di 100-150 cm.
Il drenaggio tubolare, in buone condizioni di conducibilità idraulica del suolo, ha una
portata media stimata da 1,1 fino a 2,2 l s-1 ha-1. Ciò lo rende capace di smaltire le acque di
pioggia che nelle 24 ore hanno un’altezza da:9,5 mm (afflusso idrometeorico = 0,0095 m x
10.000 m2 = 95 m3 di acqua di pioggia su 1 ettaro nelle 24 ore; smaltimento di acqua ad
ettaro per drenaggio = 1,1 litri di acqua x 60 x 60 x 24 = 95.040 litri di acqua ad ettaro
nelle 24 ore = 9,5 m3 di acqua di su 1 ettaro nelle 24 ore) a 19,0 mm (afflusso
idrometeorico = 0,019 m x 10.000 m2 = 190 m3 di acqua di pioggia su 1 ettaro nelle 24 ore;
smaltimento di acqua ad ettaro per drenaggio = 2,2 litri di acqua x 60 x 60 x 24 = 190.080
litri di acqua ad ettaro nelle 24 ore = 190 m3 di acqua su 1 ettaro nelle 24 ore)
Queste quantità di acqua smaltite dai dreni, espresse in mm al giorno, mostrano la ragione
per la quale il drenaggio in Italia ha stentato e ancora stenta a sostituire l’affossatura
scoperta per l’irregolarità dell’intensità delle piogge, loro durata e l’argillosità dei suoli
che spesso caratterizzano diverse aree del Paese.
Il drenaggio ha avuto in Italia la prima applicazione con il nome di fognatura: vedi figura.
Questa, fatta con lastre di pietra coperte da un piccolo strato di pietrisco, è oggi
difficilmente proponibile, anche se le pietre possono essere sostituite da laterizi, per gli
eccessivi costi e tempi di messa in opera. La fognatura prese il nome di gattaiola per l’uso
di far passare un gatto lungo tutto il cunicolo della fogna per controllare se ci fossero
ostruzioni.

Nell’approntamento del moderno drenaggio tubolare occorre sempre proteggere l’entrata


dei tubi con una rete in modo da non permettere l’ingresso di animali che potrebbero
ostruirli.
Nei suoli acidi, per la mobilità del ferro e dell’alluminio, all’interno dei tubi si possono
formare delle pericolose concrezioni di ossidi che riducono la sua efficienza drenate. Per
tale motivo è bene pulirli periodicamente con pulisci-dreno flessibili che utilizzano un
forte getto d’acqua. Getto d’acqua che fa avanzare il pulisci-dreno grazie al principio del
movimento a reazione: vedi disegno, dove i triangoli rappresentano le concrezioni di
ossidi, i getti d’acqua sono le linee tratteggiate e la direzione di avanzamento è indicata
dalla freccia.

139
Il drenaggio tubolare viene fatto con tubi di PVC rigidi o flessibili con diametro che, in
genere, oscilla tra i 50 mm e i 63 mm.
I tubi rigidi, con lunghezza di circa 6 m, hanno la parte finale con diametro leggermente
più piccolo di quella iniziale per permettere l’unione di più pezzi.
I tubi flessibili hanno lunghezze anche di diverse decine di metri e sono avvolti su un aspo.
Indipendentemente dal tipo dei tubi l’ingresso dell’acqua in questi avviene tramite piccole
fessure longitudinali o trasversali presenti sulla loro parete.
Punto di partenza per la messa in opera del drenaggio è avere il piano quotato dell’area in
esame per stabilire il tracciato e la pendenza dei dreni, di prima ed eventualmente di
seconda raccolta, dove farli scaricare e dove collocare eventuali pozzetti d’ispezione.

I tubi per il drenaggio si pongono per circa i 2/3 del loro diametro sotto il fondo di
lavorazione, per facilitare la penetrazione dell’acqua e la loro pendenza non deve essere
inferiore nei suoli di pianura al 2-3 ‰ (ossia su 100 m un dislivello di 20-30 cm) per evitare
l’interramento con materiale terroso che penetra dalle fessure con l’acqua.

140
L’interramento dei dreni è ridotto se questi sono rivestiti da fibra di cocco o materiale
similare.

Oggi i tubi da drenaggio flessibili sono posti alla giusta pendenza e profondità da
macchine guidate da raggio laser.

La distanza dei tubi per il drenaggio tra di loro oltre alle caratteristiche fisiche del suolo
dipende anche dalla profondità di messa in opera.
A tal riguardo vale il principio generale che più i dreni si pongono in profondità e più,
entro certi limiti, si possono distanziare tra loro. A tal riguardo occorre porre attenzione
nel collocare i tubi alla distanza giusta perché altrimenti si possono avere zone non
drenate con deleteri effetti dei ristagni idrici sulle colture.
A) Drenaggio tubolare a giusta distanza

B) Drenaggio tubolare a distanza eccessiva con affioramento della falda e ristagno


idrico

141
Distanza orientativa tra dreni in suoli con
diversa tessitura
Suolo Distanza in m
Argilloso 8 - 12
Argilloso limoso 7 - 14
Franco o di medio impasto 10 - 20
Sabbioso limoso 10 - 20
Sabbioso 20 - 40
-1
Altro elemento importante è la velocità in m s che l’acqua deve avere all’interno dei
dreni. Questa non deve superare 1,5 m s-1 per il pericolo di danni ai tubi. La velocità
dell’acqua può essere regolata o riducendo la pendenza o aumentando il diametro del
tubo.
Nelle aree drenate declivi, con brusco cambiamento di pendenza, occorre aumentare il
diametro del dreno nel punto dove questo si verifica per evitare un repentino aumento di
pressione che potrebbe determinare lo scoppio del tubo drenante.
Di particolare importanza sono anche eventuali punti di raccordo tra dreni che devono
presentare angoli 45°, con una tolleranza tra un minimo di 30° e un massimo di 60° e
pozzetti di ispezione per verificare il funzionamento dell’impianto.
Il drenaggio tubolare oltre che a svolgere la sua funzione emungente potrebbe servire,
opportunamente progettato, come mezzo per fare la sub-irrigazione immettendo acqua
nei tubi. Ciò è agronomicamente conveniente e talvolta anche economicamente valido, in
particolare per le piante arbustive e arboree, poiché in questo modo l’acqua arriva
direttamente alle radici senza perdite per evaporazione.
Nella pratica del drenaggio una pratica di pronto intervento drenante non permanente nel
tempo è l’uso dell’aratro talpa o aratro fognatore.
Questo è costituito da un organo discissore che può raggiungere i 70-80 cm di profondità
alla cui estremità inferiore è fissato un corpo cilindrico di circa 8-10 cm di diametro con
la parte anteriore foggiata a scalpello.
A corpo cilindrico è collegato posteriormente un lisciatoio con diametro di circa 2 cm
maggiore di questo.
Usando questo strumento, in suoli tendenzialmente argillosi allo stato plastico, i cunicoli
che si formeranno hanno funzione di dreni.
Inconveniente di questo intervento è la limitata durata nel tempo dei cunicoli drenanti (
circa 2-3 anni), la difficoltà di dare a questi una pendenza uniforme, senza dossi e
avallamenti e la loro lunghezza limitata (circa 50-100 m secondo le caratteristiche morfo-
pedologiche dell’area)
Aratro talpa

142
Sistemazioni idraulico-agrarie delle terre irrigue
Nelle aree irrigue il suolo viene interessato da sistemazioni idraulico-agrarie di tipo
permanente per permettere specifiche tecniche irrigue. Di seguito alcuni cenni su di queste
ossia: sulla sistemazione per irrigazione ad infiltrazione laterale o per scorrimento in
solchi, sulla sistemazioni per irrigazione a scorrimento superficiale a spianata, ad ala
semplice, ad ala doppia a campoletto e sulla sistemazione per irrigazione a sommersione
Sistemazione per irrigazione ad infiltrazione laterale o per scorrimento in solchi
Il suolo viene sistemato aprendo solchetti superficiali in modo che l’acqua scorrendo si
venga a distribuire in questi sia verticalmente, per infiltrazione e percolazione, sia
lateralmente per capillarità.
I solchi sono aperti lungo le interfile dalla coltura a distanze che dipendono da questa e dal
tipo di suolo. Ad esempio nel caso del mais ogni 2 o 3 interfile, nel caso di colture a file
strette e pratensi ogni 1-3 m.
Un semplice tecnica per calcolare la giusta distanza che deve intercorrere tra i solchetti
irrigui è quella di tracciare 2 di questi, con profondità e sezione che si vuole usare, in
modo convergente. Fatto ciò si traccia la bisettrice dell’angolo formato dall’incontro dei
due fossetti e si distribuisce in questi il corpo d’acqua calcolato anche in base alla loro
lunghezza. Dopo la distribuzione dell’acqua, lungo la bisettrice, si prelevano, con una
trivella, più carote di suolo alla profondità dove si vuole raggiungere la capacità di campo.
Quando uno dei carotaggi, fatti lungo la bisettrice, evidenzierà il contatto tra i due fronti
umidi ciò indicherà la distanza ottimale.
Punto di contatto dei fronti umidi e relativa distanza che deve intercorrere tra le canalette
adacquatrici.

Da L. Giardini

La sistemazione per scorrimento superficiale, molto diffusa in passato, è rappresentata


dalla spianata, dall’ala semplice, dall’ala doppia e dal campoletto che sono tipiche delle
aree con prati polifiti stabili, prevalentemente di graminacee, detti marcitoi, situati tra i
fiumi Sesia e Mincio.
Nella sistemazione per scorrimento superficiale l’acqua, che tracima da fossetti
adacquatori con varie tecniche, viene distribuita su tutto l’appezzamento, approntato in
modo vario (vedi fig. successiva), per tutto l’anno. Acqua che si distribuisce
sull’appezzamento, in modo uniforme e continuo, sotto forma di sottile stato d’acqua.

143
Per la pendenza, la lunghezza dei fossetti adacquatori, profondi circa 15-20 cm, e la
larghezza e la lunghezza dei campi vedi le figure successive.

Poiché l’acqua usata è di risorgiva, e quindi con temperatura costante e relativamente più
elevata di quella dell’aria nella stagione fredda, i prati in inverno si presentano sempre in
attività vegetativa. Questi raccolti danno origine alla così detta “piuma iemale o
invernale” che rappresenta ottimo foraggio verde per l’alimentazione invernale degli
animali.
Sistemazione per l’irrigazione a sommersione.
Sistemazione del suolo per l’irrigazione a sommersione è la risaia dove viene coltivato il
riso.
Il riso in Italia è seminato verso fine Aprile, quando con la temperatura di 13 °C può
germinare, alla dose di circa 200 kg ha-1. Il riso, che è raccolto in Ottobre, è una coltura
che ha bisogno di una distribuzione continua, eccetto specifici periodi, dell’acqua per
sommersione. Ciò non solo per scopi irrigui ma anche come volano termico in modo che le
piante possano avere una temperatura costante durante il loro ciclo vitale.
Per questo scopo il riso, eccetto le asciutte dei primi e di fine Giugno fatte per la lotta alle
infestanti e per distribuire concimi azotati in copertura, è sempre interessato da uno strato
d’acqua di 15-20 cm: dalla semina alla sua maturazione lattea che cade verso Settembre.
La maturazione piena, coincidente con la mietitrebbiatura, avviene in Ottobre con risaia
asciutta.
L’irrigazione, per il periodo irriguo, porta ad un consumo di 30.000-40.000 m3 ha-1 con un
consumo medio di 2 l s-1 ha-1.
La risaia, la cui superficie, detta camera, è livellata con macchinari, oggi controllati da
raggio laser, presenta 2 tipi di argini per contenere l’acqua: i lunghini di tipo permanente
e i trasversi di tipo temporaneo perché disfatti con l’aratura che segue la raccolta del riso.

144
Gli argini hanno sezione trapezoidale con base maggiore di circa 80 cm, base minore di
circa 30 cm e altezza di circa 50 cm. Ciò permette il contenimento dell’acqua e i
sopralluoghi della risaia da parte dell’agricoltore.
L’acqua, immessa nella risaia tramite la caldana, detta così perché l’acqua percorrendo
un percorso tortuoso si scalda, passa da una sezione all’altra della risaia tramite
bocchette fatte negli argini trasversi e lunghini. Le bocchette sono sfalsate tra loro per
evitare danni al riso per formazione di correnti d’acqua. Nelle varie sezioni della risaia
sono approntati dei solchi diffusori sia per migliorare la distribuzione dell’acqua che per
allontanarla velocemente durante le asciutte o al termine della stagione irrigua.

La risaia
Da R. Landi

La grande “bonifica idraulica”


Talvolta le opere idraulico-agrarie aziendali delle aree di pianura non riescono a svolgere
il compito di allontanare le acque di pioggia raccolte nelle affossature dei campi dato che
queste acque non defluiscono verso il bacino di raccolta, fiume, lago o mare, per
mancanza di cadente idraulica.
In questo caso occorre agire su vasti comprensori con particolari interventi agronomici
detti di grande bonifica idraulica in modo da avere un adeguato e stabile franco di
coltivazione.
La grande bonifica idraulica si attua con : la mazzolatura; la colmata, il prosciugamento.
La mazzolatura.
Con la mazzolatura l’aumento della cadente idraulica si ottiene semplicemente innalzando
il livello del suolo tramite riporto di terra.
Il terreno di riporto si ottiene dallo scavo di ampie e profonde fosse poste a circa 10 m in
modo parallelo tra loro tra loro.
Il terreno delle fosse, che successivamente saranno quelle per la raccolta delle acque, porta
ad un aumento del franco di coltivazione poco consistente: per aumentare 10 cm il franco
coltivazione di 1 ha occorre movimentare 1.000 m3 di terra. Oggi questa bonifica, per
l’elevatissimo costo che comporta, non viene più applicata in Italia. Questa in passato è
stata usata nelle Valli Emiliane e nelle aree di Massaciuccoli e di Bientina.
Aumento del franco di coltivazione
Da R. Landi

145
La colmata.
Con la colmata l’aumento della cadente idraulica si ottiene innalzando il livello del suolo
tramite il riporto di sedimenti veicolati dalle torbide dei fiumi che, in Italia, sono di
consistenti durante il periodo autunno-invernale.
Questa bonifica si basa nel far sedimentare le torbide dei fiumi nell’area a bassa cadente
opportunamente delimitata e approntata nel seguente modo.
1) costruzione di un argine maestro lungo tutto il perimetro dell’area da bonificare che
prende il nome di “vasca di colmata”.
2) costruzione all’interno della vasca di colmata di “argini secondari” per la
delimitazione di “casse di colmata o preselle”.
3) costruzione di “chiaviche di immissione” tramite le quali le acque torbide prese dal
fiume, con un “canale colmatori”, verranno portate nelle casse di colmata.
4) costituzione degli “sfioratori” tramite i quali le acque immesse nelle “casse di colmata”
dopo aver depositato le torbide defluiscono in un “canale colatore” e da queste a un canale
ricevente.
Con la regolazione dell’altezza delle paratie delle chiaviche di immissione e degli sfioratori
si seleziona la granulometria della torbida che si sedimenterà.
Ad esempio se le paratie delle chiaviche d’immissione saranno basse passerà
prevalentemente materiale grossolano. Se le paratie saranno alte passeranno materiali
fini e grossolani. Se le paratie degli sfioratori saranno alte si depositeranno anche
materiali fini. Bonifica per colmata del fiume Lamone nel ravennate.

Il prosciugamento.
Nella bonifica per prosciugamento l’acqua del comprensorio non arriva per naturale
cadente idraulica al bacino di raccolta, fiume o lago o mare, ma viene fatta defluire in
questo dopo sollevamento con idrovore con un canale emissario fatto dall’uomo dopo una
particolare delimitazione del comprensorio.
La bonifica per prosciugamento prevede le seguenti operazioni, alcune delle quali sono
fatte contemporaneamente.
1) Delimitazione dell’area delle “acque alte” ovvero dell’area dove le acque raccolte nelle
fosse possono sempre defluire al bacino di raccolta per naturale cadente idraulica (vedi
figura successiva).
2) Delimitazione delle aree delle “acque medie” a sinistra e/o a destra del canale emissario
delle “acque alte”. Ossia delimitazione di aree dove le acque raccolte nelle fosse dei campi

146
possono defluire al bacino di raccolta solo se sono ad un livello superiore all’acqua
contenuta in questo.
Si dicono “acque medie” perché, quando il fiume è in piena o il lago è in fase di colmo o il
mare è in fase di alta marea, queste non defluiscono naturalmente ma solo con particolari
accorgimenti che consistono nello scaricare le acque medie nella cassa o vasca di raccolta
delle “acque basse” posizionata in corrispondenza di un impianto idrovoro.
Il rigurgito delle acque del canale di raccolta principale in quello delle “acque medie”, nei
momenti di colmo del bacino di raccolta, è impedito, da paratoie (vedi figura successiva).
3) Delimitazione delle aree delle “acque basse” ossia delle aree dove le acque delle
affossature non possono mai defluire naturalmente al bacino di raccolta. Queste vengono
sempre convogliate nella “vasca o cassa di raccolta” delle acque basse, posta in
corrispondenza dell’impianto idrovoro. L’acqua contenuta nella vasca di raccolta sarà poi
trasferita, con sollevamento idraulico, in una “cassa o vasca di scarico” comunicante con il
canale delle acque alte.
Bonifica per prosciugamento della valle Standiana. Da R.Landi.

L’impianto idrovoro può funzionare sia con motori elettrici sia diesel per sopperire ad
interruzioni d’energia elettrica. Le acque medie, nel caso di impossibilità di defluire nel
147
canale delle “acque alte”, possono raggiungere la cassa di raccolta delle “acque basse”
tramite “chiaviche con botte” che le fanno passare sotto il canale delle acque alte.
Nella progettazione dei canali delle acque alte e medie occorre calcolare il calo di
costipamento del territorio bonificato affinché i canali abbiano sempre una giusta cadente
e quindi siano sempre efficienti.
I problemi che oggi si hanno nel proporre la bonifica per prosciugamento non sono solo
dovuti all’ingente costo da sostenere ma anche alle problematiche connesse alle modifiche
ambientali ossia alla scomparsa delle aree umide.

148
Fertilizzazione e concimazione, ammendamento e correzione.
Dall’Ottobre 1984 i fertilizzanti, i concimi, gli ammendanti e i correttivi sono
regolamentati dalla legge n° 784 riportata nella Gazzetta Ufficiale italiana.
La distinzione tra fertilizzazione e concimazione dipende dal fatto che i termini indicano
interventi agronomici aventi finalità diverse.
 La fertilizzazione serve per migliorare la fertilità agronomica del suolo nel lungo
periodo di tempo. Per questa si usano i fertilizzanti ossia sostanze che per le loro
caratteristiche incrementano la fertilità complessiva del suolo migliorando così
l’accrescimento, lo sviluppo e la produzione delle colture.
 La concimazione serve per migliorare la funzione nutritiva del suolo anticipando gli
elementi nutritivi necessari per il ciclo in atto colturale. Per questa si usano prodotti detti
concimi.
La distinzione tra fertilizzanti e concimi non risiede quindi tanto nelle caratteristiche del
prodotto ma quanto nello scopo per cui si usano.
Ad esempio tutti i fertilizzanti possono essere considerati concimi ma solo alcuni concimi
possono considerarsi fertilizzanti.
Anche la distinzione tra ammendamento e correzione dipende dal loro diverso scopo
agronomico.
L’ammendamento, che si fa con gli ammendanti, serve per migliorare le caratteristiche
fisiche dei suoli anomali. L’apporto di sabbia su un suolo argilloso è un esempio di
ammendamento. La correzione, che si fa con i correttivi, serve a migliorare, per un certo
periodo di tempo, la reazione o pH dei suoli.
Elementi nutritivi: cenni.
È noto che le piante sono organismi autotrofi capaci di produrre sostanza organica da
elementi contenuti in composti inorganici. Degli elementi il C viene preso dalla CO2
dell’aria e l’O2 e l’H dall’acqua. Tutti gli altri elementi sono quasi totalmente assorbiti
sotto forma minerale dal suolo con le radici.
Gli elementi nutritivi indispensabili per la vita vegetale presi dal suolo sono 13.
 3 macroelementi principali o plastici: N, P e K . Questi sono assorbiti in quantità
rilevanti e, normalmente, non si trovano nel suolo in quantità sufficienti per un elevata
produzione.
 3 macroelementi plastici secondari o mesoelementi: Ca, Mg e S. Questi sono assorbiti
in quantità da medie a basse e normalmente si trovano nel suolo in quantità tale da essere
sufficienti per una discreta produzione.
 7 microelementi o oligoelementi: Fe, Mn, B, Zn, Cu, Co e Mo. Questi sono assorbiti in
quantità bassa per la costituzione di particolari composti organici come, ad es., gli enzimi.
Questi raramente si trovano nel suolo in quantità tale da essere insufficienti per una
buona produzione.
Per l’importanza dei singoli elementi si rimanda a specifiche materie come Chimica del
suolo, Fisiologia vegetale, ecc. . Di seguito verranno vengono evidenziate brevemente solo
alcune nozioni relative ai 3 macroelementi principali: azoto, fosforo e potassio.
Azoto
L’importanza dell’azoto è rappresentata dalla partecipazione alla costituzione del DNA,
RNA, proteine, enzimi, clorofilla, ecc.. . L’azoto ha una notevole azione sulla produttività
della pianta e si riflette in modo evidente sul NAR, CGR, ecc.. .
149
L’azoto è assorbito prevalentemente dalle radici come ioni NO3- e NH4+. Molto ridotta è
infatti la capacità della pianta ad assorbirlo sotto forma organica come acido glutammico,
acido aspartico, urea, ecc. .
La quantità di azoto presente suolo, che deriva principalmente dalla mineralizzazione
della S.O. è molto variabile.
Ad esempio, solo considerando una profondità di 0,3 m, un peso specifico apparente di 1,2
, una % di S. O. dall’ 1% al 3,5% , una % di mineralizzazione del suolo o K2 dall’1 al 3
% questa oscillerà da circa 20 a circa 190 kg anno-1 ha-1.
Ad esempio:
 considerando un ettaro di suolo, un profilo di 0,30 m, un p.s.a. di 1,2, una % di S. O.
dell’ 1%, una % di mineralizzazione del suolo o K2 dall’1% si avrà :
volume del suolo pari a 3.000 m3 (10.000x0,30).
Poiché 1 m3 sono 1.000 dm3 questo sarà uguale a 3.000.000 dm3(3.000x1.000).
3.000.000 dm3 di suolo x 1,2 (p.s.a del suolo) corrisponderanno a 3.600.000 kg.
Se la % di S.O. del suolo è pari a 1% si avrà (3.600.000x0,01) 36.000 kg di S.O. ha-1.
Se la % di mineralizzazione è pari a 1% si avrà (36.000x0,01=360) 360 kg di S.O.
mineralizzata. Considerando poi il 5% N nella S.O. del suolo, la produzione di Azoto
minerale sarà (360x0,05=18) di 18 kg ha-1.
 considerando un ettaro di suolo, un profilo di 0,30 m, un p.s.a. di 1,2, una % di S. O.
dell’ 3,5 %, una % di mineralizzazione del suolo o K2 del 3% si avrà :
volume del suolo pari a 3.000 m3 (10.000x0,30).
Poiché 1 m3 sono 1.000 dm3 questo sarà 3.000.000 dm3 (3.000x1.000).
3.000.000 dm3 di suolo x 1,2 (p.s.a del suolo) corrisponderanno a 3.600.000 kg.
Se la % di S.O. del suolo è pari a 3,5 % si avrà (3.600.000x0,035) 126.000 kg di S.O. ha-1.
Se la % di mineralizzazione è pari a 3% si avrà (126.000x0,03=3.780) 3.780 kg di S.O.
mineralizzata. Considerando il 5% N nella S.O. del suolo, la produzione di Azoto minerale
sarà (3.780x0,05=189) di 189 kg ha-1.
L’importanza e l’utilizzazione dell’azoto varia durante il ciclo vitale delle piante. È
particolarmente importante ed elevata durante la differenziazione degli apici vegetativi, la
fioritura e la formazione dei frutti e dei semi. Se però l’azoto nel suolo è in eccesso
danneggia la pianta per i ritardi che determina nelle fasi di fioritura e maturazione.
Fosforo
L’importanza del fosforo è rappresentata dalla sua presenza nel DNA, RNA, ATP, ecc.. .
Il fosforo viene assorbito dalle radici prevalentemente come ione ortofosforico PO43-.
L’utilizzazione del fosforo varia durante il ciclo vitale. È elevata durante la fase di
fioritura, fecondazione e fruttificazione. Il fosforo è un fattore importante per la precocità
dello sviluppo e la resistenza alle avversità. La quantità di fosforo da fornire alle colture
con la fertilizzazione o la concimazione è valutata come elemento (P) o anidride fosforica
(P2O5). Per passare da P a P2O5 occorre dividere il valore di P per 0,44 come per passare
da P205 a P occorre moltiplicare il valore della P2O5 per 0,44.
Potassio
L’importanza del potassio è data dalla partecipazione alla sintesi degli zuccheri, proteine,
lipidi, nel controllo dell’equilibrio acido-base, ecc.. . Il potassio è assorbito dalle radici
come ione K+. L’utilizzazione dell’potassio è particolarmente elevata durante la fase di
plantula, e durante la fioritura, fecondazione e fruttificazione. Il potassio è un fattore
150
importante per la precocità di sviluppo e resistenza alle avversità abiotiche come di danni
da freddo e l’allettamento e biotiche come gli attacchi parassitari. La quantità di potassio
da fornire alle colture con la fertilizzazione o la concimazione è valutata come K o K2O .
Per passare da K a K2O occorre dividere per 0,83. Per passare da K2O a K occorre
moltiplicare per 0,83.
Come citato per l’azoto anche l’assorbimento del fosforo e del potassio varia con il ciclo
vitale delle colture. Per evidenziare questo fatto di seguito è esposta una tabella relativa al
frumento, dove è possibile osservare che in questa pianta il maggior assorbimento di N,
P2O5 e K2O si ha nelle fasi di fine inverno-levata e di levata-fioritura con circa il 69 % , il
72 % e il 84 % sul totale assorbito nel ciclo vitale.
Ciclo vitale del frumento: % di assorbimento degli elementi nutritivi
Elementi N P2O5 K2 O
Nascita-fine invero 16 7 11
Fine inverno-levata 27 23 32
Levata-fioritura 42 49 52
Fioritura-maturazione 15 21 5

Evidenziato quanto sopra è compressibile come la concimazione è fondamentale per avere


produzioni quali-quantitativamente elevate.
Ciò è schematizzato nella figura del mastello della produzione che mette il luce come
questa è regolata dalla legge del minimo ossia che la produzione è regolata dal fattore
nutritivo disponibile nel suolo nella minima quantità.

151
La funzione che esprime la variazione della produzione vegetale all’aumentare delle
disponibilità di un qualsiasi elemento è evidenziata nella curva sotto riportata che mostra
4 tratti : A, B, C, D.
Massima resa

Riduzione di resa

152
Il tratto A corrisponde ad una situazione di deficienza acuta del nutriente con curava
avente concavità verso l’alto che indica un effetto meno che proporzionale delle prime dosi
dell’elemento e un effetto più che proporzionale per le successive. Difficilmente si
riscontra nel suolo questa situazione di forte carenza.
Il tratto B corrisponde ad una situazione di deficienza moderata di nutriente
caratterizzata da una curva asintotica indicante incrementi di resa progressivamente
minori man mano che ci si avvicina alla massima resa. Situazione frequente in pratica.
Il tratto C corrisponde al raggiungimento della sufficienza del nutriente per cui
all’aumentare di questo non si ha aumento di produzione ma solo un consumo di lusso.
Talvolta il consumo di lusso può essere nocivo come nel caso di accumulo di azoto sotto
forma di nitrati nei vegetali. Nitrati che in dosi elevate provocano metaemoglobinemia
comportante la distruzione dei globuli rossi.
Il tratto D indica che all’aumentare ulteriore del nutriente si entra nella soglia di tossicità
con riduzione della produzione. Questo tratto è particolarmente connesso alla
distribuzione di N e di microelementi. Per l’N e i microelementi la fine del tratto della
curva B e l’inizio di quello della curva D sono vicine tra loro.
Anche sotto l’aspetto economico non è valido puntare al raggiungimento della massima
produzione con l’aumento della distribuzione dei nutrienti ma fermarsi al limite superiore
di convenienza economica della concimazione ossia quando il valore dell’incremento di
prodotto ottenuto con l’aumento della dose di elemento è uguale alla spesa marginale di
concimazione: vedi il punto di contatto tra la curva della resa e la tangente a questa
indicata con una linea tratteggiata.

Incremento dosi elementi nutritivi


La convenienza economica a spingere la concimazione fino al raggiungimento della
massima resa sarà tanto più economicamente valida quanto più alto sarà il prezzo di
mercato del prodotto e tanto più basso quello dei concimi.

Fertilizzanti
Sono composti con C di origine animale, e/o vegetale che apportano varie % di macro e
micro elementi, microflora utile e, spesso, sostanze biologicamente attive di tipo ormonale
dette fattori di crescita. I fertilizzanti si possono classificare in vario modo.
Di seguito un semplice schema dei principali fertilizzanti in base alla loro origine
evidenziando che per titolo di un di un fertilizzante, come quello di concime, si intende la
% in peso dell’elemento (come N, P o P2O5, K o K2O, ecc..) contenuto nel prodotto di
origine aziendale o commerciale tal quale.

153
pennone
cornunghia
peli e crini
deiezioni animali fresche
cuoio e cuoiattoli
animali
crisalidi
sangue secco
farina d’ossa
F farina di pesce
e
r residui della lana
t residui del cuoio
i
l
i sovescio di leguminosa in purezza o miste
z sovescio di graminacee in purezza o miste
z vegetali
a sovescio di altre famiglie botaniche in purezza o miste
n
t compost
i

letame
liquame
terricciato
misti
fango di depurazione
residuo solido urbano
compost

154
Fertilizzanti di origine animale.
I fertilizzanti di origine animale sono poco utilizzati per colture di pieno campo dato il
loro costo elevato. Di seguito si riportano i titolo in N e in P2O5 di alcuni di questi.
Fertilizzanti
Titolo in %
N P2O5
Pennone
10 -

Cornunghia torrefatta 9 -
Cornunghia naturale
9 -

Pelli e crini (pellicino o 5 -


pellicini)
Cuoiattoli
5 -
Cuoio torrefatto
5 -
Crisalidi
5 -
Sangue secco
9 -

Cuoio e pelli idrolizzati 10 -


Guano (deiezione di uccelli
3 3
marini)
Farina di pesce
5 3
Farina d'ossa
2 18

Fertilizzanti di origine vegetale


Sovescio.
Con sovescio si indica l’interramento di masse vegetali direttamente sul campo con aratro
o altro strumento.
Il coefficiente isoumico e l’apporto di elementi nutritivi dipende dalle piante utilizzate.
Le piante utilizzate per il sovescio, in purezza e/o in miscuglio, sono, ad esempio le
leguminose favino, favetta, lupino, veccia, trifoglio incarnato, trifoglio squarroso, ecc.. ; le
graminacee avena, segale, loietto, ecc... ; le crucifere colza e senape, ecc.. .
Un tipico miscuglio per sovescio, che spesso fornisce benefici agronomici superiori all’uso
delle singole specie è quello con l’avena assieme alla veccia. La graminacea accrescendosi
rapidamente offre alla veccia protezione dal freddo invernale e sostegno per la sua
crescita e la veccia, fissando l’azoto atmosferico, arricchisce il suolo di quest’elemento
assicurando nel contempo una ottima difesa erosiva dovuta all’impatto delle gocce di
pioggia sul suolo.

155
Le piante da sovescio assolvono a diverse funzioni tra le quali ad es.: apporto di materia
organica fresca al suolo, in media 40-70 t ha-1; apporto di nutrienti; attivazione e
incremento dell’Edafon, utilizzazione dell’azoto nitrico che altrimenti verrebbe dilavato;
contenimento dell’erosione, contenimento delle infestanti; facilitazione nella correzione
del pH dei suoli alcalini o salsi.
In particolare se le piante da sovescio sono:
 leguminose si ha trasferimento, con l’azoto-fissazione, dell’azoto atmosferico al suolo,
in media 50-60 kg ha-1; apporto con la massa vegetale di una quantità di azoto totale che
può sostituire la concimazione azotata per la coltura successiva, ad es. un sovescio di
veccia può apportare fino a 150 kg di azoto totale ha-1; rende più disponibili alle colture,
trasferendoli in superficie con i loro residui, importanti elementi nutritivi poco mobili
come fosforo e potassio
 graminacee si ha forte azione strutturante con l’apparato radicale e assorbimento
dell’azoto lisciviabile
 crucifere si ha mobilizzazione, come nel caso delle leguminose, del fosfato minerale
tricalcico o Ca3(PO4)2
Il sovescio, rappresenta quindi un utilissimo mezzo per arricchire il suolo
indipendentemente dalla disponibilità di letame.
Cosa fondamentale nel sovescio é quello di ottenere la più rapida copertura del suolo e la
maggior quantità possibile di biomassa nel periodo di tempo a disposizione.
Il sovescio può essere: autunno-invernale, estivo, con specie seminate su suolo nudo, con
specie traseminate nella coltura principale, con specie seminate sulle stoppie e intercalare
Se il sovescio intercalare è una pratica che dipende dalla disponibilità d’acqua nel suolo,
in presenza di limitate risorse idriche è possibile solo effettuarlo con specie che crescono
nel periodo autunno-invernale.
Infatti la crescita delle piante da sovesciare comporta una perdita di acqua nel suolo per
evapotraspirazione, in media circa 200 mm di acqua. Perdita che può danneggiare la
coltura che segue se non sono possibili interventi irrigui.
Al sovescio, in aziende con foraggere, come quelle faunistiche e zootecniche si destina
l’ultimo ricaccio dell’ultimo anno delle foraggere poliennali.
Agrotecnica per il sovescio.
Solitamente per una buona riuscita delle colture da sovescio non è necessario un apporto
di nutrienti. L’epoca di interramento migliore delle piante in genere coincide con la loro
fioritura. Ritardare il sovescio oltre la maturazione dei semi oltre a non comportare
particolari vantaggi fertilizzanti favorirebbe solo la risemina spontanea delle specie
utilizzate in questa pratica.
La tecnica di interramento delle colture è importante per ottenere dei buoni effetti
agronomici. La sostanza organica di un sovescio interrato troppo profondamente in un
suolo argilloso, poco ossigenato e mal drenato, è soggetta alla fermentazione e non alla
mineralizzazione e alla produzione di Humus. Operando su suolo argilloso e asfittico è
utile procedere prima alla trinciatura della biomassa e poi, dopo qualche giorno,
interrarla la massa in modo superficiale. Diversi studi indicano che circa il 50% degli
elementi nutritivi forniti da un sovescio vengono rilasciati con prontezza nel primo anno
dall’interramento.

156
Compost.
In teoria qualunque materiale organico vegetale può essere trasformato in compost
purché questo non sia inquinato da sostanze tossiche come ad es. i metalli pesanti..
Processo di compostaggio.
Questo è un processo biochimico inizia con una frantumazione del materiale. La
triturazione della massa in frammenti lunghi circa 4-6 cm è la premessa per il buon
svolgimento dei processi biochimici. Dopo essere stata triturata, la massa viene posta in
cumuli su platee all’aperto dove, per effetto della flora batterica e fungina, inizia il
processo di produzione del compost. Questo può essere diviso in due distinte fasi.
1) Fase di bio-ossidazione.
Durante questa fase il materiale subisce un attacco microbico a carico delle molecole
organiche libere quali zuccheri, amido, lipidi, sostanze proteiche. Come conseguenza di ciò
si ha, all’interno dei cumuli, un aumento rapido della temperatura fino a raggiungere
circa 60-65 C°. Con il raggiungimento di tale livello termico si verificano due importanti
fenomeni:
a) eliminazione degli agenti patogeni e dei semi delle erbe infestanti presenti nella
biomassa utilizzata.
b) un calo generalizzato della carica microbica dovuto ad una forma di auto
sterilizzazione operata dall’elevata temperatura.
La flora microbica consumando tutte le molecole organiche più facilmente attaccabili,
esaurisce buona parte dell’ossigeno presente nel cumulo. Per tal motivo per rendere più
veloce il processo di compostaggio, è necessario procedere ad un rivoltamento delle masse
in fermentazione.
È di fondamentale importanza mantenere sempre un buon tenore di aria nei cumuli che
non deve essere mai inferiore al 5% del volume degli stessi, in quanto se si verificassero
condizioni di mancanza di ossigeno si avrebbero fenomeni indesiderati dovuti alla flora
batterica anaerobica con formazione di idrogeno solforato, mercaptani, ecc... che
avrebbero effetti tossici sulle piante. Dopo il rivoltamento dei cumuli e la loro
ricostituzione il processo riprende il suo corso con un nuovo aumento della temperatura.
2) maturazione della massa
Con il cessare della fase bio-ossidativa inizia una seconda fase definita di maturazione.
Anche in questa fase si hanno processi bio-ossidativi ma il loro svolgimento è molto lento e
non consente alla massa di raggiungere temperature elevate. Mentre nella fase descritta in
precedenza la flora batterica consuma le sostanze organiche libere, nella fase di
maturazione i processi biochimici indotti dai microrganismi sul materiale sono più
complessi e portano a sostanze organiche, non preesistenti nel materiale di partenza,
rappresentate da quelle che si trovano nell’ Humus .

Fertilizzanti di origine mista


Il letame
Il letame e un fertilizzante di origine mista costituito dalle deiezioni solide e liquide
raccolte sulla lettiera che dopo circa 5-6 mesi di fermentazione o maturazione nella
letamaia è maturo. Il letame è il più importante tra i tra i fertilizzanti di origine mista per
gli effetti che ha sulla fisica, chimica e biologia del suolo.
157
Letame tradizionale: % e ‰ sul tal quale
Composizione H2O % N tot. ‰ P2O5 tot. ‰ K2O tot. ‰
Fresco
bovino 77,5 3,4 1,6 4,0
equino 71,3 5,8 2,8 5,3
ovino 64,6 8,3 2,3 6,7
Maturo
bovino 75,0 5,0 2,6 5,3
equino (variabile) 6,7 2,3 7,2
ovino 57,8 9,2 10,7 22,8

Dalla tabella si può calcolare che 50 t di letame bovino maturo ha-1 apportano 250 kg di N
130 kg di P2O5 e 265 kg di K2O. Unico difetto del letame bovino maturo, come quello
equino, è di avere una quantità in P2O5 pari a circa la metà di quello in N e K2O.
Il coefficiente di efficienza fertilizzante del letame varia in base alle condizioni
pedologiche.
Di seguito la tabella relativa all’intervallo d’efficienza fertilizzante del letame secondo
alcuni Autori.
Letame
Efficienza fertilizzante Bassa Media Alta
Letame (primo anno) 0,30 0,35 0,45
Letame (efficienza totale) 0,45 0,60 0,75

Scorretto deposito di letame in una


Carro spargi letame
malga: Alpe di Siusi, Alto Adige.

Liquame.
In molti moderni allevamenti bovini, suini, ecc.. le deiezioni solide e liquide non si
accumulano sulla lettiera ma direttamente sul pavimento.
Queste deiezioni tramite rimozione meccanica con raschiatoi o per rimozione idraulica
vengono raccolte in vasche di cemento con acqua con il termine di liquame.
Il volume delle vasche è tale che le deiezioni dell’allevamento vengono raccolte in queste
due o tre volte l’anno rimanendo per un periodo di 6-4 mesi.
Durante la permanenza nelle vasche il liquame, per il fenomeno della flottazione, tende a
separare la sua parte liquida da quella solida, formando dei sedimenti sul fondo e un

158
cappellacio galleggiante in superficie. Ciò porta a problematiche per la completa e
omogenea distribuzione del liquame in campo.
Per evitare ciò si interviene o con l’omogeneizzazione di questo per via meccanica tramite
eliche, o idraulica tramite pompe o con la parziale separazione della sua frazione solida
dalla liquida con particolari macchinari presentanti vagli prima di metterlo nelle vasche.

La parte solida separata viene messa su platea per poi distribuirla sui campi.
Dato che i liquami vengono movimentati e distribuiti con pompe è necessario che la
quantità in s.s. sia inferiore al 12%. Per questo occorre usare una giusta quantità di acqua
per il lavaggio della stalla e/o la diluizione delle deiezioni nelle vasche.

Liquame molto denso

In genere la quantità di acqua nel liquame bovino varia dal 90 al 95 % e in quello suino
dal 95 al 98% sul totale. Nella seguente tabella sono riportate le quantità di elementi
nutritivi medi contenute nel liquame bovino e suino.
Liquame di caratteristiche medie
Principali elementi sul tal quale N tot. ‰ P2O5 tot. ‰ K2O tot. ‰
Bovino 4,0 3,0 4,0
Suino 2,5 1,4 2,5

L’uso dei liquami talvolta può determinare problematiche agronomico-ambientali per


eccesso di elementi nutritivi nel suolo e/o ad errata epoca e/o quantità distribuita. In
relazione alle problematiche vedi, ad esempio l’allettamento delle colture, la
metaemoglobinemia e ipomagnesioemia in animali utilizzatori di foraggi troppo ricchi in
NO3- e K+ , la scarsa appetibilità del foraggio per cattivi odori, l’aumento della salinità del
suolo, degradazione della struttura per apporto di Na+, modifiche dell’Edafon, accumulo
di metalli pesanti nel suolo come Zn+1 e Cu+2, inquinamento delle falde acquifere e dei
corpi d’acqua superficiali, con fosfati, nitrati, ecc. e microrganismi, immissione
nell’ambiente di patogeni e gas serra, proliferazione di mosche, emissione di cattivi odori,
ecc...
La distribuzione del liquame sul suolo oltre ad essere fatta con il sistema dell’irrigazione a
pioggia, può avvenire con il sistema dell’irrigazione per infiltrazione laterale o tramite
carri botte attrezzati per la distribuzione a “spaglio” o la sua collocazione sul o nel suolo
tramite tubi adduttori o coltelli iniettori. La distribuzione tramite carri botte a spaglio
porta ad un maggior inquinamento ambientale e una minor efficienza fertilizzante
rispetto, in particolare, a quelli con coltelli iniettori.

159
Una particolare distribuzione del liquame delle aree marginali e morfologicamente difficili
delle aree montane, in particolare, nelle malghe, usata per prati, prati-pascoli e pascoli è la
fertirrigazione Le ragioni dell’uso della fertirrigazione sono molteplici:
1) difficoltà e costo della raccolta e trasporto delle deiezioni accumulate in stalla
2) la tecnica del lavaggio delle stalle con acqua e successiva distribuzione del liquame con
il
vecchio metodo delle canalette scavate nel suolo verso i prati e i pascoli posti nelle aree a
valle della stalla non è efficiente: i liquami vicino alla stalla sono più ricchi di frazione
solida e quindi di elementi nutritivi e meno ricchi lontano da questa.
3) sviluppo con il vecchio metodo delle canalette scavate nel suolo di rigogliosa flora
ammoniacale e nitrofila lungo i loro bordi, vedi Aconitum napellus (ranuncolacea
velenosa), Urtica dioica (urticacea non foraggera), Senecio cordatus (composita non
foraggera), Rumex alpinus (poligonacea non foraggera), Chenopodium bonus-henricus
(chenopodiacea non foraggera), che ostacola il fluire dei liquami.
4) la distribuzione con canalette porta nel tempo a una differenza di fertilità tra aree
poste sopra la stalla, non interessate dal liquame e sotto questa, interessate dal liquame
5) Costo elevato e difficoltà della distribuzione meccanica delle deiezioni.

Senecio cordatus lungo la caletta.


160
Nella fertirrigazione fatta nelle malghe, la raccolta dei liquami avviene in vasche a tenuta.
Il dimensionamento delle vasche è di 3-4 m3 per capo bovino e per mese di permanenza in
stalla considerando che in un anno un capo produce circa 25 volte il suo peso di feci e circa
15 litri di orina al giorno. I liquami raccolti possono essere distribuiti: con il metodo della
miscelazione discontinua, vecchio e poco efficiente o con il metodo della miscelazione
continua, più recente ed efficiente.
Metodo della miscelazione discontinua.
Questo consiste in vasche con agitatori dei liquami, pompe a stantuffo e attrezzature per
la distribuzione. Il numero delle vasche può essere di 2 o 4.
Se a 2 vasche, 1 è per il liquame e 1 è per fare la miscela con acqua con agitatori a pale,
meglio a pale oscillanti rispetto alle ruotanti che evitano attorcigliamenti dei residui
pagliosi.
Se a 4 vasche, 1 è per le orine, 1 per le deiezioni solide, 1 per l’acqua, 1 per fare la miscela
“deiezioni solide, liquide ed acqua” tramite agitatori”.
In entrambi i metodi dalla vasca di miscela pompe a stantuffo provvedono all’invio del
liquame nella tubazione di distribuzione che lo porta all’irrigatore.
Miscelazione discontinua a 2 o a 4 vasche
Miscela Miscela
con acqua con acqua

Orine e feci orine feci acqua

pompa a stantuffo

irrigatore

Metodo della miscelazione continua.


Metodo della miscelazione continua si basa su un miscelatore, posto presso stalla, che
utilizza il principio del tubo di Venturi.
In questo le acque che provengono da un punto di presa posto sopra la stalla, per aumento
della loro velocità entro una condotta forzata, dopo il restringimento del tubo di Venturi
determinano una depressione che aspira il liquame contenuto nella vasca di raccolta.
La miscelazione, senza agitazione, avviene all’inizio della condotta di distribuzione subito
dopo il restringimento del tubo.
L’energia per fare la fertirrigazione non è quella prodotta dal motore della pompa ma è
data dalla caduta, nella condotta forzata, della stessa acqua usata per la distribuzione:
acqua che proviene o da una vasca di raccolta posta sopra la stalla o da una sorgente o un
piccolo corso d’acqua localizzato sopra questa.
161
Miscelatore a tubo di Venturi

H2O

La regolazione della velocità


acqua determina la quantità di
liquame aspirato

liquame

Con l’energia acquisita dall’acqua nella caduta verso la stalla, è possibile fertirrigare aree
situate sopra questa fino a circa il 70-80 % del dislivello “vasche di raccolta o punto di
presa dell’acqua - stalla”.
Raccolta acqua

Irrigatore a 140-160 m d’altezza


dalla stalla (70-80% risalita)

stalla con
miscelatore
dislivello 200 m

L’ attrezzatura per la distribuzione del liquame è la stessa per l’irrigazione a pioggia ma


con l’irrigatore a bocca più larga.
Anche per questa tecnica il limite agronomico è quello di distribuire un prodotto povero in
fosforo. Liquame che non può essere arricchito con concimi fosfatici dato che il fosforo
verrebbe velocemente reso indisponibile dall’alcalinità delle deiezioni.
Oltre a ciò le deiezioni inizialmente alcaline una volta nel suolo, per la formazione di NO3-
dall’NH4+, determinano una acidificazione di questo che fa sentire i suoi effetti in suoli
calcio carenti. Sempre in suoli poveri di Ca2+ l’acido ippurico, presente nell’orine, si
trasforma in acido benzoico. Acido che seleziona la flora perchè tossico per alcune specie
come, ad es. , per il trifoglio violetto. Per tali motivi su suoli con pH sotto la neutralità è
utile fare, prima della fertirrigazione, una calcitazione e una distribuzione di concime
fosfatico.
162
Per evitare danni alla vegetazione, la concentrazione dei liquami deve variare in base alla
stagione: andando verso la stagione calda deve essere progressivamente minore per
evitare l’aumento eccessivo della componente osmotica del potenziale idrico del suolo. Il
rapporto liquame:acqua all’inizio deve essere 1:10, poi 1:20 ed infine 1:50 nella stagione
calda.
La distribuzione del liquame nelle aree difficili con morfologia molto disforme, oltre ai
sistemi citati, può essere fatta anche con carri botte.

Terricciato.
Il terricciato è fatto da letame a cui viene aggiunta terra distribuita in strati. Il letame
varia da circa 1/3 a circa 2/3 sul totale della massa. Dopo un periodo di cure e di
fermentazione di circa 8-10 mesi si ha il terricciato maturo.
Cumulo di terricciato
Da R. Landi

Il cumulo di terricciato, disfatto e rifatto circa ogni 2-3 mesi, ha la parte superiore
leggermente concava per raccogliere le acque meteoriche e per facilitare la distribuzione
del colaticcio che, preso periodicamente dalla sua base, viene distribuito su questo.
Il terricciato, usato nel vivaismo e per colture orticole è molto utile, anche se molto
dispendioso, per fare la concimazione invernale delle marcite e dei prati ricchi di trifoglio
ladino per i positivi effetti sull’accrescimento dei suoi fusti striscianti. Un terricciato fatto
bene contiene circa 4-5 ‰ di N, 2 ‰ di P2O5, 0,8-1,5 ‰ di K2O e 1-4 ‰ di CaO.

163
Fango di depurazione e residuo solido urbano.
I fertilizzanti di origine mista sono rappresentati dai fanghi di depurazione delle acque e
dai residui solidi urbani più o meno sottoposti a compostaggio.
Il valore agronomico di questi fertilizzanti dipende, oltre al coefficiente isoumico e
dall’apporto di elementi nutritivi, dalla quantità in metalli pesanti e fattori patogeni

Fango di depurazione: limiti di concentrazione in elementi


per l’uso agricolo espressi in mg kg -1 o ppm di S.S.
Hg 25
Cd 40
Ni 400
Pb 1.000
Cr 1.200
Cu 1.500
Zn 3.000

Compost.
Per il compost di origine mista valgono gli tessi principi base evidenziati in precedenza sul
compost di origine vegetale.

Concimi.
Per ultimi, ma non per importanza economica ed impiego, di seguito viene brevemente
accennato ai concimi.
Una prima classificazione dei concimi prevede una loro divisione in base al loro modo di
produzione.
Se per via chimica sono detti inorganici o minerali se derivano dall’unione tra concimi
minerali e sostanza organica di varia origine sono detti organo-minerali.

Inorganici o minerali
Concimi

Organo-minerali

I concimi organo-minerali sono utilizzati prevalentemente per colture ad alto reddito dato
il loro elevato costo. Un particolare concime organo-minerale è la composta.
Per compensare la scarsa dotazione in P2O5 del letame bovino Draghetti propose di
distribuire del concime fosfatico minerale in strati mentre si veniva a costituire il cumulo
del letame. Il tal modo il concime innalza la % di P2O5 formando degli umofosfati
facilmente utilizzabili dalle colture.

In particolare i concimi inorganici o minerali possono essere classificati in diversi modi


come di seguito riportato.

A questa prima classificazione ne seguano alte come sotto riportate.


164
Classificazione in base al titolo del prodotto commerciale.
Questa classificazione prevede concimi a basso e ad alto titolo.
Basso
Classificazione in base al titolo
Alto
I concimi a basso titolo sono quelli che contengono nel prodotto commerciale N, P2O5 o P e
K2O o K in una percentuale bassa: vedi il nitrato di calcio e il nitrato di potassio.
I concimi ad alto titolo sono quelli che contengono N, P2O5 o P e K2O o K in una
percentuale alta: vedi il solfato di potassio e l’ammoniaca anidra
La stechiometria è il mezzo per determinare il titolo del prodotto.
Ad esempio, la formula bruta dell’urea, che ha il 46% di N, è CH4N2O o H2N-CO-NH2.
I pesi atomici dei singoli elementi contenuti nella molecola sono: H=1; N=14; C=12; O=16.
Sono presenti 4 atomi di H, 2 di N, 1 di C e uno di O.
Il peso molecolare dell’urea è (4 x 1)+(2 x14)+(1x12)+(1x16) = 4+28+12+16 = 60
Il peso totale dell’azoto presente nella molecola d’urea è N = 2x14 = 28
La seguente proporzione permette di calcolare il titolo del concime urea
28:60 = x:100 da cui x = (28 x 100):60 = 46,6%
Titolo che permette, a sua volta, di calcolare quanto concime commerciale distribuire ad
ettaro nota la quantità da somministrare. Ad esempio, dovendo fornire 150 kg ha-1 di N
con urea, occorrerà distribuire 150:0,46 = 326 kg di concime commerciale ha-1.
Classificazione in base all’elemento nutritivo contenuto.
Semplici
Classificazione in base
all’elemento contenuto
Complessi o Composti
I concimi semplici apportano solo un elemento nutritivo.
I concimi complessi propriamente detti, in quanto ottenuti da combinazioni chimiche o
composti, in quanto ottenuti da miscele fisiche di concimi semplici, apportano due o tre
elementi nutritivi. In relazione a ciò questi possono essere rappresentati da concimi binari
azoto-fosfatici o azoto-potassici o da un ternario azoto-fosfo-potassico.
Di seguito una semplice tabella relativa ai principali concimi semplici, complessi e
composti.

Concimi semplici e composti inorganici


Concimi semplici
Concimi azotati
Nome commerciale e formula chimica Titolo o % in N
Nitrato di calcio - Ca(NO3)2 13-15,5
Nitrato di sodio - NaNO3 15-16
Calciocianammide - CaCN2 20-21
Solfato ammonico - (NH4)2SO4 20-21
Nitrato ammonico - NH4NO3 26,5
Urea - CO(NH2)2 46
165
Concimi fosfatici
Nome Titolo o % in P2O5
Fosforite - roccia fosfatica a base di fosfato tricalcico 25-28 totale
Ca3(PO4)2
Perfosfato minerale - miscela di fosfato monocalcico 19-21 solubile in acqua e
Ca(H2PO4)2•H2O e fosfato bicalcico CaHPO4•H2O citrato ammonico
Perfosfato triplo - 80% a base di Ca(H2PO4)2•H2O e il 46-48 solubile in acqua e
resto a base di CaHPO4•H2O e Ca3(PO4)2 citrato ammonico
Scorie Thomas - derivato della siderurgia a base di 16-18 solubile in acido
4CaOP2O5 o fosfato tetracalcico e 5CaOP2O5SiO2 o citrico
silicofosfato di calcio.
Concimi potassici
Nome Titolo o % in K2O
Cloruro potassico - KCl 50-52 o 60-62
Solfato potassico - K2SO4 50-52
Concimi complessi o composti
Concimi fosfo-azotati
Nome Titolo o % in N e P2O5
Fosfato biammonico - (NH4)2HPO4 18 - 46
Concimi azoto-potassici
Nome Titolo o % in N e K2O
Nitrato di potassio - KNO3 13 - 44
Concimi azoto-fosfo-potassici (alcuni)
Nome Titolo o % in N, P2O5 e K2O
8-24-24 - K da cloruro 8 - 24 - 24
8-20-24 - K da solfato 8 - 20 - 24
12-12-12 - K da cloruro 12 - 12 - 12
12-24-12 - K da solfato 12 - 24 - 12
15-15-15 - K da cloruro 15 - 15 - 15
Classificazione in base alla reazione o pH dei concimi
La reazione o pH dei concimi può essere costituzionalmente o fisiologicamente acida,
neutra o alcalina.

Costituzionalmente neutro, acido o alcalino


Classificazione del concime in base
alla reazione o pH
Fisiologicamente neutro, acido o alcalino

Un concime costituzionalmente neutro è quando il prodotto commerciale in soluzione


determina un pH prossimo a 7.
Un concime fisiologicamente neutro è quando il prodotto commerciale viene assorbito
dalle piante in modo tale da non lasciare nel suolo né gruppi acidi né alcalini o che, pur
essendo costituzionalmente alcalino all’inizio, poi, per fenomeni chimico-biologici,
determina una reazione acida che controbilancia l’effetto alcalinizzante. È l’esempio del
nitrato ammonico dove gli ioni NO3- e NH4+ vengono entrambi assorbiti dalle radici e
166
dell’urea che determinante reazione alcalina appena distribuita poi, per formazione di
acido nitrico per opera dei batteri nitrificanti, impartisce al suolo una reazione acida tale
da controbilanciare il precedente effetto.
Un concime costituzionalmente acido è quando ha impurità acide dovute al processo di
produzione industriale: vedi perfosfato minerale semplice che ha, come impurità, acido
solforico.
Un concime fisiologicamente acido è quello che dopo l’assorbimento da parte delle piante
lascia nel suolo un residuo acido. Vedi il solfato ammonico e il cloruro di potassio che una
volta assorbito lo ione NH4+ e il K+ lasciano nel suolo l’anione SO4-2 e Cl-1 .
Un concime costituzionalmente alcalino è quello che per il processo di produzione
industriale presenta delle impurezze con reazione alcalina. Vedi le scorie Thomas e la
calciocianammide ricche di CaO .
Un concime fisiologicamente alcalino è quello che a seguito dell’assorbimento lascia nel
suolo un residuo alcalino. Vedi il nitrato di calcio e di sodio che una volta assorbito l’NO3-
1
lasciano nel suolo ioni Ca++ e Na+.
Classificazione dei concimi in base al loro stato fisico.
polverulenti

Solidi granulari
Classificazione dei concimi
in base allo loro stato fisico pellettati

gassosi
Fluidi
liquidi
I concimi possono essere solidi o fluidi.
I concimi solidi sono quelli semplici, complessi e composti citati nella precedente
classificazione. Ad esempio un concime solido polverulento è la calciocianammide, uno
solido granulare è il perfosfato triplo, uno solido pellettato è il guanito.

I concimi solidi polverulenti presentano talvolta notevoli problemi connessi alla loro
movimentazione, all’impaccamento per umidità, alla miscelazione con altri per il loro
diverso peso specifico, alla loro distribuzione con spandiconcimi centrifughi e, quando
fosfatici, all’elevata immobilizzazione del fosforo per la elevatissima superficie specifica
dei loro granuli.
Le problematiche ora citate si hanno anche nei concimi solidi granulari ma in misura
molto ridotta.

Diversa grandezza e relativo peso dei granuli di urea in base alla casa produttrice.

167
Nitrato di calcio

Concimi fosfatici in sacconi : facilità di movimentazione

Concimi fluidi: liquidi e gassosi.


I concimi fluidi possono essere in forma liquida o gassosa. I pregi di questi concimi sono:
minor costo dell’unità fertilizzante e facilità di movimentazione; regolarità e rapidità
nella distribuzione; possibilità per i concimi liquidi della distribuzione in copertura;
possibilità di creare miscele di concimi liquidi con % di elementi in base all’esigenza delle
colture: possibilità di utilizzazione dei concimi liquidi nella fertirrigazione e nella
concimazione fogliare; possibilità nei concimi liquidi dell’unione con antiparassitari,
diserbanti, inibitori della nitrificazione, regolatori di sviluppo, ecc.. ; presenza nei concimi
liquidi di fosforo, da acidi polifosforici, con discreta mobilità mobile nel suolo.

Acidi polifosforici

Da R. Landi

Accanto a questi aspetti positivi dei concimi fluidi ve ne sono di negativi come: rete di
distribuzione territoriale non molto diffusa, vedi in particolare per i concimi gassosi;
maggiore organizzazione e costo aziendale per approntare cisterne di stoccaggio e
168
conservazione; necessità di macchinario specifico e costoso per la loro applicazione come
balie e distributori; possibilità nei concimi liquidi di precipitazione dell’azoto o del
fosforo o del potassio per cristallizzazione nelle cisterne di stoccaggio quando si abbassa la
temperatura; difficoltà o impossibilità, per i concimi liquidi, di distribuzione in presenza
di vento o quando la temperatura dell’aria è troppo elevata o bassa .
I concimi fluidi si dividono in: soluzioni liquide con tensione di vapore, poco usati e in via
di abbandono; soluzioni liquide chiare; soluzioni liquide torbide o sospensioni: gas sotto
pressione.
Soluzioni liquide con tensione di vapore.
Sono le soluzioni acquose di ammoniaca, dette acqua ammonia, con titoli tra circa il 19 e il
20 % in N.
Per l’NH3 in queste contenuta hanno un discreta tensione di vapore per cui si rendono
necessari particolari serbatoi di stoccaggio. Queste soluzioni sono usate per la
concimazione in pre-semina.
Soluzioni liquide chiare.
Si ottengono da concimi minerali solidi sciolti in acqua a base di solo N o di P o di K
(soluzioni semplici) o più elementi (soluzioni ternarie).
Questi concimi liquidi hanno vario titolo ma mai elevato. Una soluzione semplice azotata
è l’UAN (urea ammonium nitrate), con titolo, usualmente, del 30%, costituita dal 42,2%
di nitrato ammonico, 32,7% di urea e 25,1% di H2O. Una soluzione liquida binaria fosfo-
azotata è il polifosfato di ammonio con titolo 10-34 (10 % N e 34% P2O5)
Una soluzione ternaria è quella con titolo 14-7-7 (14 % N, 7% P2O5, 7% K2O) in cui l’N è
in forma nitrica, ammoniacale e ureica, il fosforo da polifosfati e il potassio da cloruro
Esempio della linea “produzione-distribuzione in campo” del concime fluido liquido.

Da R. Landi

169
Particolari distributore di concimi liquidi sono quelli con pneumatici molto larghi per
evitare costipamento del suolo: questi sono detti gli “high-flotation”. Spesso i distributori
dei concimi liquidi hanno abbinato un dispositivo per la distribuzione di presidi sanitari.

Da R. Landi

Soluzioni liquide torbide o sospensioni.


Le sospensioni sono concimi liquidi binari o ternari con alta % di azoto o fosforo o
potassio dove, per evitare il raggiungimento del punto di saturazione e la cristallizzazione,
con precipitazione degli elementi, viene aggiunta alla soluzione argilla pura, bentonite o
attapulgite, in ragione del 3-4 % in peso.
Con l’aggiunta d’argilla, gli ioni in eccesso nella soluzione, che porterebbero alla
saturazione, sono fissati dalla propria CSC evitando in questo modo il fenomeno della
precipitazione.
Per evitare che, a sua volta, l’argilla si depositi sul fondo del contenitore il liquido è
continuamente mosso o con insufflazione di aria tramite il borbottaggio o con agitatori
meccanici a palette. Per l’aggiunta di argilla, che rende non chiara la soluzione, questi
concimi vengono detti liquidi torbidi. Questi hanno vari titoli:18-9-9; 5-15-15; ecc… .
Agitazione dei concimi liquidi torbidi per insufflazione di aria o per via meccanica

Da R. Landi

170
Concimi gassosi sotto pressione
L’unico concime gassoso commercializzato e utilizzato in agricoltura è l’ammoniaca
anidra che è ricavata dall’aria.
L’ammoniaca a temperatura ambientale è gassosa e passa allo stato liquido a -33°C o sotto
pressione di 8-10 atm e in questo stato fisico può essere immagazzinata e conservata.
Allo stato liquido sotto pressione è tenuta in contenitori in acciaio. Dato la pericolosità del
concime il suo stoccaggio ed uso è regolamentato da precise e severe norme di Legge.
L’NH3 anidra viene distribuita in pre-semina ad alte dosi, circa dai 100 ai 200 kg ha-1, con
speciali applicatori, portati dalla trattrice, provvisti di denti iniettori connessi al
contenitore del fluido tramite piccoli tubi in acciaio. I coltelli, posti tra loro alla distanza
di circa 30-50 cm, iniettano l’NH3 nel suolo alla profondità di circa 15-20 cm.
Una volta iniettata l’NH3 gassifica interessando un cilindro di suolo di circa 10-15 cm di
diametro. La distribuzione è opportuno farla quando le condizioni fisiche del suolo sono
tali da non lasciare aperte le tracce connesse all’incisione dei coltelli: ossia né troppo
umido né troppo secco. Se ciò accadesse l’NH3 si perderebbe nell’aria come gas.
Il concime, nonostante che all’inizio presenti una reazione nettamente alcalina, una volta
messo nel suolo, per opera dei batteri nitrificanti, che lo trasformano in NO3-, impartisce
una reazione acida. Per tale ragione questo concime è, nel complesso, a reazione neutra.
NH3 anidra è il concime azotato con il titolo più alto in azoto: 82%.
L’uso di questo concime è possibile su tutti i suoli purché contenenti una certa % di argilla
e non sassosi. Applicatore per ammoniaca anidra

Da R. Landi

L’uso di questo concime è possibile su tutti i suoli purché contenenti una certa % di argilla
e non siano sassosi. Fissazione dell’ammoniaca anidra in suoli

Da R. Landi

171
Gli svantaggi dell’uso di questo concime sono l’elevato costo del macchinario, la
precauzione d’uso e l’impossibilità di fare distribuzioni in copertura.
Classificazione dei concimi in base alla loro rapidità di utilizzazione e alla disponibilità nel
tempo dell’elemento apportato.
In relazione a quanto sopra la classificazione dei concimi e la seguente.

pronto effetto
Classificazione concimi in base alla rapidità
d’utilizzazione e disponibilità nel tempo lenta cessione
lento effetto

Un concime azotato a pronto effetto è il nitrato di calcio o il nitrato di potassio, uno a lento
effetto è la l’urea. L’azoto come NO3- è subito assorbito dalla pianta. L’azoto come urea
prima che sia assorbito deve trascorrere del tempo affinché, tramite l’ureasi si trasformi
in carbonato ammonico o (NH4)2CO3 e poi, tramite i batteri nitrosanti e nitrificanti, in
anione NO3-.
Occorre sottolineare che concime a lento effetto non è sinonimo di concime a lenta
cessione.
Con lenta cessione si intende la cessione graduale nel tempo di un elemento: N e/o P e/o
Mg, ecc.. La lenta cessione in particolare per un concime azotato è molto utile perché
consente di dare alla coltura, in pre-semina, tutta la quantità di azoto necessaria per il suo
ciclo non incorrendo a perdite per dilavamento avendo, oltre ciò, a disposizione l’azoto in
accordo con il ritmo di assorbimento della coltura.
Le tecniche per cedere gradualmente gli elementi nutritivi sono varie. Ad es. per l’azoto
sono:
1) complessità chimica della molecola che rallenta la sua solubilità, vedi:
 urea formaldeide o UF (titolo 38%)
 l’isobutilidendiurea o IBDU (titolo 30%)
 crotonilidendiurea o CDU (titolo 30%),
 fosfato doppio d’ammonio e magnesio (titolo 7% N e 40% P2O5)
2) rivestimento dei granuli di concime con cere, zolfo, film plastici, ecc.. che sono
progressivamente degradabili.
3) incorporamento del prodotto azotato in matrice inerte e porosa: tipo vermiculite o
perlite espansa, ecc.. .
Per il costo dei concimi a lenta cessione il loro uso è limitato a colture ad elevato reddito.
Trattando dei concimi un brevissimo cenno circa gli inibitori dell’ureasi e della
nitrificazione che inibendo per un certo periodo di tempo l’ureasi, enzima di origine
biologica che trasforma l’urea in carbonato ammonico e il processo della nitrificazione a
carico dello ione NH4+, dovuto all’inizio per opera dei batteri nitrosanti, come la 2 cloro 6
triclorometil piridina, consentono una maggiore permanenza nel suolo dell’azoto. Per il
costo e le problematiche ecologiche degli inibitori dell’ureasi e della nitrificazione l’uso di
questi prodotti è limitato.
Con la distribuzione dei concimi alle colture vi possono essere delle interazioni positive
(sinergismi) o negative (antagonismi) tra: elementi nutritivi; elementi e pianta; concime e
concime

172
Di seguito alcuni esempi.
Interazione tra elementi nutritivi
Positiva.
Lo ione NH4+ nei suoli costituzionalmente alcalini favorisce assimilazione del fosforo per
aumento del Carrier e di gruppi acidi sui peli radicali assorbenti responsabili della
liberazione di H+ che consentono da avere nel suolo una maggiore presenza dell’anione
H2PO4-1 più facilmente assorbito dell’anione HPO4-2.
Negativa.
Gli ioni Ca+2 e Ba+2 da un lato e il K+ dall’altro sono antagonisti tra loro,, specie quando
in quantità non equilibrate nel suolo, perché nel loro assorbimento, di tipo attivo,
utilizzano il solito Carrier.
Interazione tra elementi e pianta
Positiva.
Con l’aumento dell’assorbimento dell’azoto si ha maggior sviluppo della parte aerea e
quindi della parte radicale con conseguente maggior assorbimento di tutti gli altri
elementi
Con l’aumento dell’assorbimento dell’azoto si ha maggiore CSC radicale, per l’aumento
di acidi organici, e quindi maggior assorbimento dei cationi.
Con l’aumento dell’assorbimento del H2PO4-1 si ha maggiore attività azotofissatrice
simbiotica e quindi maggiore quantità di azoto per la coltura.

Interazione tra concime e concime


Negativa.
Nella distribuzione dei concimi occorre tener presente che alcuni non possono essere mai
miscelati tra loro ed altri lo possono essere solo al momento dell’uso a causa di reazioni
chimiche che portano alla immobilizzazione o perdita di elementi nutritivi.
È caso della reazione tra la calciocianammide con presenza di ioni Ca+2 e il perfosfato. Il
fosfato monocalcico contenuto nel perfosfato si trasforma in fosfato tricalcico non
disponibile per la pianta.
Per la possibilità di miscelazione tra concimi vedi la figura seguente.
Possibilità di miscelazione tra concimi

Da R. Landi

173
Etichettatura commercializzazione dei concimi.
I concimi sono commercializzati in sacchi o imballaggi dove sono riportate le seguenti
dichiarazioni ed indicazioni.
 dicitura Concime CEE se si tratta di concimi disciplinati da disposizioni comunitarie o
una concime minerale semplice, concime minerale composto, concime organico, concime
organo-minerale, concime a base di elementi secondari, concime a base di microelementi o
miscela di microelementi se si tratta di concimi nazionali.
 denominazione del tipo di concime
 titolo del concime, cioè la percentuale in peso e relative forme (es. azoto nitrico o azoto
ammoniacale o azoto organico) e il tipo di solubilità (es. anidride fosforica solubile in
acqua o in citrato ammonico neutro
 peso netto, peso lordo e tara
 nome, ragione sociale o marchio depositato e la sede dello stabilimento di fabbricazione
 nome e l’indirizzo del Responsabile dell’immissione in commercio,
 nei concimi organo-minerali è obbligatoria la dichiarazione del titolo in carbonio
organico di origine biologica e spesso quella dei concimi minerali semplici o composti usati
nella loro preparazione
Le frodi più frequenti sono:
• commercializzazione di fertilizzanti con titoli inferiori rispetto al dichiarato o di
confezioni di peso netto inferiore rispetto al indicato
• concimi organici o organo minerali con materiali organici non consentiti
• etichettatura non conforme alle disposizioni di legge.
Etichetta del concime a norma di legge

174
Esempio di etichetta concime CEE N.P.K 12.12.12
Azoto totale
(N) 12%, di cui:
Azoto (N) nitrico 1,5%
Azoto (N) ammoniacale 10,5%
Anidride Fosforica
(P2O5) solubile in citrato ammonico
neutro e nell’acqua 12%, di cui
Anidride Fosforica (P2O5)
solubile in acqua 10%
Ossido di Potassio (K2O)
solubile in acqua 12%
Prodotto e confezionato da xxx SpA
Via xx, 112 – Firenze (FI)
Peso netto kg 5O

Distribuzione dei concimi


La distribuzione dei concimi può essere fatta in tempi e modi diversi dipendendo da
fattori operativi come dallo sviluppo e dal ritmo di assorbimento delle colture.
Di seguito una schematica classificazione.
in pre-semina
a spaglio o a tutto
in copertura

Distribuzione
alla semina

localizzata
in copertura nell’interfila

Le macchine spandiconcime, per gli interventi di cui sopra, sono di vario tipo:
 macchine spandiconcime di tipo centrifugo per distribuire concimi in pre-semina o in
copertura a tutto campo
 macchine per la concimazione localizzata alla semina lungo la fila o in copertura
nell’interfila
 barre irroratrici per distribuire concimi liquidi in pre-semina o in copertura

175
Indipendentemente da ciò per effettuare una concimazione ben fatta occorre una buona
manutenzione e regolazione della macchina, utilizzare concimi in buono stato di
conservazione ed avere suolo più possibile livellato
I distributori di concime centrifughi portati, che hanno sostituito quelli a caduta per forza
di gravità, sono utilizzati nella concimazione di pre-semina e in quella di copertura a tutto
campo.
Questi distributori possono essere a piatto con movimento rotativo o a tubo oscillante.
La loro larghezza di azione è regolabile ma mediamente è di circa 10-15 m.
Quando vengono distribuiti contemporaneamente concimi con diverse caratteristiche
fisiche è utile, ogni tanto, mescolarli nella tramoggia dato che, con il movimento e le
vibrazioni, tendono a separasi in modo differenziato. Ciò porterebbe ad irregolarità nella
loro distribuzione e conseguentemente ad effetto disforme sulla coltura.

Spandiconcime a tubo oscillante e a piatto ruotante

La concimazione localizzata alla semina consiste nel porre il concime lateralmente al seme
perchè non lo danneggi quando germina così come non danneggi la futura plantula per
aumento del potenziale osmotico del suolo.
176
Le moderne seminatrici hanno questa possibilità operando delle piccole incisioni nel suolo
lateralmente a dove verrà deposto il seme tramite dischi o altre soluzioni meccaniche.
La concimazione localizzata ha i seguenti vantaggi :
- minor bloccaggio chimico da parte del potere assorbente del suolo nei confronti del
fosforo
- minore utilizzazione degli elementi nutritivi da parte delle piante infestanti
- pronta utilizzazione dalla coltura con aumento della velocità di crescita.
Nella concimazione localizzata alla semina la dose di concime è, specie per le colture
primaverili estive, relativamente modesta per il pericolo di danni alle plantule:
solitamente la dose varia da 0,1 a 0,15 t di concime ha-1.
Concimazione localizzata alla semina
concime

seme
Particolare della distribuzione del concime al lato del seme

177
Concimazione localizzata alla semina. Tramoggia divisa in due comparti: uno per
perfosfato ed uno per urea.

Nella concimazione localizzata in copertura fatta nelle interfile delle colture primaverili-
estive come il mais, girasole, sorgo, ecc…, con file distanti da circa 75 a 50 cm tra loro, si
usano quasi esclusivamente concimi azotati semplici come il nitrato di calcio o di potassio,
solfato ammonico, nitrato ammonico e urea. La concimazione azotata localizzata
nell’interfila è fatta, usualmente una o due volte né quando la coltura è troppo piccola ( ad
es. non prima che il mais abbia raggiunto i circa 15-20 cm di altezza e per il girasole non
prima ha che abbia 4-5 foglie vere) né quando la pianta è troppo sviluppata (ad es. nel
mais o nel girasole quando hanno superano circa i 40-50 cm di altezza). Ciò per non
danneggiare le piante con la macchina.
La concimazione in copertura per le colture a interfile larghe, tipo mais e girasole, viene
generalmente fatta con macchine che fanno contemporaneamente la sarchiatura e la
rincalzatura. In questo modo il concime viene interrato superficialmente nel suolo.
La concimazione in copertura a spaglio a tutto campo, fatta su colture a interfile strette,
come nella distribuzione dei concimi azotati sui cereali nella fase di accestimento, spesso è
abbinata ad erpicatura con erpici a denti o ad un passaggio di un erpice strigliatore per
interrare il prodotto.
La distribuzione del concime liquido in pre-semina come in copertura può essere fatta
anche con macchinario usato per il diserbo basta che le componenti meccaniche siano di
materiale non corrodibile. Nella distribuzione del concime liquido in copertura occorre
controllare la disposizione della barra irrorante e la regolazione degli ugelli in modo da
evitare sopra o sotto-dosaggio.

Nella concimazione in copertura con concime liquido azotato, fatta nei cereali in 1 o 2
volte, usualmente dall’inizio alla fine accestimento, non conviene superare i 60 kg ha-1 di
azoto per intervento Ciò per evitare ustioni alle foglie che comunque non sono mai
particolarmente dannose. In questi casi occorre distribuire una soluzione fatta da 2 q di
UAN diluiti in 400 litri di acqua.

Nella concimazione delle colture erbacee occorre considerare alcuni principi generali,
come di seguito messo in evidenza, che usualmente vengono presi in considerazione.

178
1) Nella concimazione di pre-semina distribuire a tutto campo la totalità o quasi del
fosforo e la totalità del potassio calcolato necessario per la coltura e una parte dell’azoto
totale calcolato per la coltura sotto forma ammidica o ureica o ammoniacale. In relazione
a quest’ultima pratica occorre considerare che l’azoto distribuito sotto forma ureica è da
evitare quando si opera su suoli tendenzialmente sciolti dove l’ureasi è poco attiva e in
previsione di piogge dopo la distribuzione del concime. Difatti in questo caso si può avere
dilavamento dell’urea per cui è opportuno distribuire l’elemento in questione sotto forma
ammoniacale.

2) Nella concimazione localizzata alla semina dare la parte del fosforo che eventualmente
residua e una limitata quantità dell’azoto totale previsto, circa 20 - 50 kg ha-1, sotto forma
ammoniacale.

3) Nella concimazione in copertura distribuire la rimanente quantità dell’azoto calcolato


necessario per la coltura in 2 o 3 volte preferendo nella/e prima/e distribuzione/i la forma
nitrica o nitro-ammoniacale e nell’ultima la forma ureica per velocità di assimilazione.
Per predisporre per una coltura, in modo sufficientemente corretto, una formula di
concimazione e conseguente piano di concimazione occorre prendere in considerazione:

 la produzione prevista della coltura e l’asportazione di P2O5 o P dal suolo da parte


della coltura per l’unità in peso di prodotto.

 il rapporto di concimazione e le caratteristiche del potere assorbente del suolo nei


confronti del fosforo
L’asportazione di P2O5 o P da parte della coltura è espressa in kg per 1 tonnellata o per 1
quintale di granella o fieno prodotto.
Il rapporto di concimazione è il rapporto con cui devono stare gli elementi nutritivi tra
loro, indipendentemente dalla quantità fornita, per avere il massimo rendimento
produttivo. Nel rapporto di concimazione viene preso come base unitaria l’asportazione di
P2O5 o di P per unità in peso di prodotto: vedi tabella allegata.
Il fosforo è preso come base in quanto è l’elemento più critico nel suolo perché soggetto ad
immobilizzazione. In relazione a ciò la quantità di P2O5 o di P che deriva dall’asportazione
per unità di prodotto deve essere aumentata della % che si stima immobilizzata dal suolo.
Moltiplicando questa quantità di P2O5 o di P per la produzione prevista e considerando
questo risultato pari ad 1 con il rapporto di concimazione si determina la quantità totale
di N e di potassio, come K2O o K+, necessario per la coltura.

179
Coltura Asportazioni medie di alcune colture in kg N,
P2O5 e K2O per 0,1 t di prodotto fornito.
N P2O5 K2O
Frumento (granella) 2,40 1,25 2,51
Orzo (granella) 2,48 0,96 2,31
Segale (granella) 2,52 1,48 2,15
Avena (granella) 2,75 1,18 3,16
Mais (granella) 2,14 1,06 2,48
Girasole (granella) 2,67 1,50 2,48
Sorgo (granella) 4,20 1,85 4,10
Barbabietola da foraggio (radice) 0,40 0,15 0,64
Erba medica (fieno) 2,65 0,72 1,85
Trifoglio violetto (fieno) 2,74 0,62 2,06
Trifoglio bianco (fieno) 2,52 0,78 1,70
Sulla (fieno) 1,98 0,41 1,15
Lupinella (fieno) 2,20 0,46 1,30
Colza (granella) 4,50 2,43 6,20

Rapporti di concimazione per alcune colture N : P2O5 : K2O


Frumento 1,5 : 1 : 0,5
Orzo, segale, avena 1 :1 : 0,5
Mais 1,5-2 : 1 : 0,5
Girasole 1,2 : 1 : 0,5
Sorgo 1,5 : 1 : 0,5
Erba medica, trifoglio violetto, trifoglio bianco, sulla, lupinella 0 :1 :1
Colza 1,7 : 1 : 0,8

Concimazione del frumento


La procedura per stabilire la formula di concimazione del frumento inizia con la
previsione della produzione considerando il tipo suolo, l’ambente climatico, il genotipo
usato, ecc. .
Prevista, ad esempio, una produzione di 6 t ha-l di granella, in base all’asportazione del
fosforo, saranno necessari 75 kg di P2O5 ha-l per soddisfarla
Considerando, ad esempio, che la quantità di P2O5 immobilizzata dal suolo sia il 40%
occorre aumentare la quantità di P2O5 prevista per la produzione di 6 t ha-l di granella
della stessa % di immobilizzazione. I 75 kg P2O5 ha-l prima calcolati verranno quindi
aumentati di 30 Kg. In tal modo si dovrà distribuire un totale di 105 Kg di P2O5.
Considerando un rapporto di concimazione 1,5:1:0,5 e la derivata formula di
concimazione, il piano concimazione per il frumento in esame prevedrà, quanto riportato
nella successiva tabella.

180
Esempio di formula di concimazione e piano di concimazione per il frumento
con una produzione prevista di 6 t ha-1.
Necessità totale di elementi nutritivi in kg N P2O5 K2 O
ha-1 157,50 105,00 52,50
Distribuzione dei concimi
In presemina a tutto campo
concime Titolo t ha-1 N in kg P2O5 in kg K2O in kg
Urea 46 1 46
Fosfato 18-46 1,09 19,62 50,14
biammonico
Solfato potassico 50 1,05 52,50
Tot. pre-semina 65,62 50,14 52,50
% sul totale 41,66 47,75 100
Alla semina localizzato
Fosfato 18-46 1,19 21,47 54,86
biammonico
% sul totale 13,63 100
In copertura
Nitrato ammonico 26,5 2,65 70,41
% sul totale 44,73
Apporto totale elementi nutritivi in Kg 157,50 105,00 52,50
% sul totale 100 100 100

Concimazione del mais


Il mais è una specie dotata di grande efficienza fotosintetica il cui ritmo di assorbimento,
in particolare del potassio e dell’azoto, è molto intenso nei giorni che precedono la
fioritura.
La procedura per stabilire la formula di concimazione del mais inizia con la previsione
della produzione considerando il tipo suolo, l’ambente climatico, il genotipo usato, ecc. .
Prevista ad esempio una produzione di 10 t ha-l di granella, in base alle asportazioni,
saranno necessari kg 106 ha-l di P2O5 per soddisfarla.
Considerando ad esempio che la quantità di P2O5 immobilizzata dal suolo sia il 50%
occorre aumentare la quantità di P2O5 prevista per la produzione di 10 t ha-l di granella
della stessa % di immobilizzazione.
I 106 kg P2O5 ha-l prima calcolati verranno quindi aumentati di 53 Kg.
In tal modo si dovrà distribuire un totale di 159 Kg di P2O5.
Considerando un rapporto di concimazione 2:1:0,5 e la derivata formula di concimazione,
il piano concimazione per il mais in esame prevedrà, quanto riportato nella successiva
tabella.

181
Esempio di formula di concimazione e piano di concimazione per il mais con una
produzione prevista di 10 t ha-1 (valori approssimati).
Necessità totale di elementi nutritivi in kg ha-1 N P2O5 K2O
318,00 159,00 79,50
Distribuzione dei concimi
In presemina a tutto campo
concime Titolo t ha-1 N in kg P2O5 in kg K2O in kg
Urea 46 0,4218 194
Perfosfato triplo 46 0,24565 113
Solfato potassico 50 0,159 79,50
Tot. pre-semina 194 113 79,50
% sul totale 61,00 71,05 100
Alla semina localizzato
Fosfato biammonico 18-46 0,1 18,00 46,00
% sul totale 5,66 100
In copertura
Nitrato ammonico 26,5 0,40 106,00
% sul totale 33,33
Apporto totale elementi nutritivi in Kg 318,00 159,00 79,5
% sul totale 100 100 100
Concimazione dell’erba medica.
La procedura per stabilire la formula di concimazione per l’erba medica inizia con la
previsione della produzione considerando il tipo suolo, l’ambente climatico, il genotipo
usato, ecc. .Essendo l’erba medica una coltura poliennale, per l’esempio in oggetto di
durata triennale, si prevede che produca 20 t ha-l di fieno in totale cosi ottenuti 4 q ha-l di
fieno al primo anno, 10 t ha-l di fieno al secondo e 6 t ha-l di fieno al terzo anno. Previsti 20
t ha-l di fieno, in base alle asportazioni, saranno necessari 144 kg di P2O5 ha-l per
soddisfarla Considerando che l’erba medica si avvale dei simbionti per il fabbisogno
azotato e che presenta un’alta CSC radicale questo porta ad escludere sia la concimazione
azotata sia l’aumento della quantità di P2O5 stimata necessaria per la produzione per
compensare l’immobilizzazione dovuta al suolo. Considerando il rapporto di
concimazione 0:1:1 e la derivata formula di concimazione, il piano concimazione per
l’erba medica in esame prevedrà, quanto riportato nella successiva tabella.
Esempio di formula di concimazione e piano di concimazione per l’erba medica con
una produzione complessiva triennale prevista di 20 t ha-1 (valori approssimati).
Necessità totale di elementi nutritivi in kg ha-1 N P2O5 K2O
0,00 144,00 144,00
Distribuzione dei concimi
In presemina a tutto campo
concime Titolo t ha-1 N in kg P2O5 in kg K2O in kg
Perfosfato minerale 20 0,72 0,00 144,00
Solfato potassico 50 0,288 144,00
Tot. pre-semina 144,00 79,50
% sul totale 0,00 100 144,00
182
Apporto totale elementi nutritivi in Kg 0,00 144,00 144,00
% sul totale 100 100 100
Eventualmente solo all’inizio può convenire dare un concime azotato tipo nitrato anionico
alla dose di 0,01 t ha-1 per coprire le primissime necessità della coltura ossia fino a quando
la pianta non avrà un rapporto simbiotico efficiente. L’uso del nitrato ammonico è da
vedere come starter ma sotto un aspetto agronomico, in condizioni normali, è inutile.
A queste quantità di concimi dati in presemina alcuni agricoltori distribuiscono circa 0,01-
0,015 t ha-1 di ternario 8-24-24 distribuito prima di ogni ripresa vegetativa primaverili.
Anche in questo caso però questa concimazione e da considerarsi pochissimo efficiente se
non nulla perchè l’erba medica al secondo e al terzo anno di vita ha una simbiosi rizobica
già instaurata sia perché e radici così profonde da non utilizzare in fosforo e il potassio
estremanente poco mobili nel suolo.

183
Controllo e gestione delle erbe infestanti
Il danno della flora infestante sulla produzione agraria è aumentato negli ultimi decenni a
causa del passaggio da un’agricoltura tradizionale ad una industrializzata con elevata
semplificazione delle tecniche agronomiche e forte riduzione d’impiego di mano d’opera.
Le piante infestanti creano danni diretti e indiretti alle colture come di seguito
evidenziato.
Danni diretti.
 Competono con la specie coltivata per l’acqua, la luce e gli elementi nutritivi.
 Emettono tossine determinando antagonismo.
Danni indiretti.
 Determinano un peggioramento qualitativo delle produzioni di granella destinate
all’alimentazione animale per aumento dell’umidità della granella raccolta o perché
possono inquinarla con semi indesiderati, alcuni dei quali tossici.
 Determinano un peggioramento delle produzioni vivaistiche.
 Interferiscono negativamente nelle pratiche agricole per presenza di una intricata
vegetazione.
 Diminuiscono la qualità dei foraggi.
 Portano impurità nella produzione delle sementi.
 Sono fonti di diffusione di malattie per le colture.
 Favoriscono gli incendi quando secche.
 Ostacolano il flusso delle acque nei canali d’irrigazione e nelle affossature dei campi.
Le infestanti però, quando sono sotto la soglia del danno economico, sono utili alla
sostenibilità dell’agroecosistema perché incrementano la biodiversità, possono essere
ospiti dei parassiti degli agenti patogeni delle colture, ostacolano l’erosione, possono essere
alimenti per la fauna selvatica.
La diffusione delle infestanti e conseguente danno dipende principalmente:
 dal modo di riproduzione della pianta: se per via vegetativa o per seme
 dall’agente di diffusione dei propaguli: vento, acqua, sementi, animali, macchine
agricole, ecc..
 dalle condizioni ambientali che favoriscono il loro sviluppo come luce, umidità,
disponibilità elementi nutritivi del suolo, ecc..
 dalle condizioni climatiche della stagione nel quale avviene la loro germinazione o
germogliazione.
Tra le piante infestanti che hanno possibilità di riprodursi per via vegetativa si trovano
diverse specie tra le quali Agropyrum repens, Cynodon dactilon, Potentilla reptans,
Tussilago farfara che si riproducono per stoloni e rizomi, Cirsium arvense e il Sonchus
arvensis che si riproducono per radici, Alium vineale, Oxalis spp. che si riproducono per
bulbi e bulbilli.
Tra le piante infestanti che hanno notevole possibilità di riprodursi per seme si citano:
l’Alopecurus myosuroides che produce 3.000 semi per pianta; Matricaria camomilla che
produce 45.000 semi per pianta; Papaver rhoeas che produce 50.000 semi per pianta
In un ettaro di suolo coltivato si stima che il numero di semi d’infestanti nel suolo, detta
banca dei semi, varia da 50 ai 400 milioni. Fortunatamente non tutti questi semi, per
ragioni varie, sono in grado di germinare ma ciò sottolinea la grande problematica
connessa con queste piante.
184
Di seguito la Tab. A che riporta il n° di piante infestanti a m2 che riducono del 5 % la
produzione del frumento, il numero medio di semi prodotto per pianta e la loro vitalità
media nel tempo e la Tab. B che evidenzia qualitativamente la germinazione dei semi di
alcune piante infestanti nei vari mesi dell’anno.
Tab. A N° di piante infestanti a m2 che riducono del 5 % la produzione del frumento,
numero medio di semi prodotto per pianta e la loro vitalità media nel tempo.
Pianta infestante n° di piante a m2 Semi per pianta Longevità in anni nel suolo
Gallium aparine 1,8 1.100 10
Avena sterilis 5,3 500 15
Papaver rhoeas 22 50.000 40
Matricaria camomilla 22 45.000 20
Lolium multiflorum 25 1.500 -
Alopecurus mysuroides 26 3.000 15
Stellaria media 26 2.500 80
Veronica persica 26 150 10
Veronica hederifolia 44 100 10
Lamium purpureum 44 500 -
Myosotis arvensis 66 2.000 -
Viola tricolor 133 2.500 -
Tab. B Germinazione dei semi di alcune piante infestanti nei vari mesi dell’anno.
Intensità di germinazione bassa ─ ; intensità di germinazione media ═ ; intensità di
germinazione alta ≡ .
Mese G F M A M G L A S O N D
Anagallis arvensis ─ ≡ ≡ ═ ─ ═ ═
Avena ludoviciana ≡ ≡ ═ ═ ≡ ≡ ═
Cappella bursae-pastoris ─ ═ ═ ≡ ═ ─ ─ ─ ═ ≡ ─
Chenopodium album ─ ─ ═ ≡ ≡ ─ ═
Fumaria officinalis ≡ ≡ ═ ─ ─ ─ ─
Gallium aparine ≡ ═ ─ ≡ ≡
Matricaria recutita ─ ─ ═ ═ ─ ─ ═ ═ ═ ─ ─
Medicago lupolina ─ ═ ≡ ═ ═ ─
Papaver rhoeas ─ ═ ≡ ═ ─ ─ ─ ═ ═ ─
Plantago maior ═ ≡ ≡ ═ ─
Poa annua ─ ═ ≡ ═ ═ ─ ─ ═ ═ ═ ─
Polygonium aviculare ─ ≡ ≡ ═ ─
Polygonium convolvuls ═ ═ ═ ═ ─
Polygonium persicaria ─ ═ ≡ ═ ─
Ranunculus arvensis ≡ ≡ ═ ─
Raphfanus raphanistrum ─ ═ ≡ ═ ─ ═ ≡ ═
Sinapsi arvensis ─ ═ ≡ ═ ─ ─ ═ ─
Solanum nigrum ─ ≡ ≡ ≡ ─
Stellaria media ─ ─ ═ ≡ ─ ─ ─ ═ ═ ═ ─
Veronica hederifolia ≡ ≡ ≡ ═ ─ ≡ ≡ ═
Uno studio condotto negli USA anni fa stimò che la percentuale di perdita della
produzione agraria totale mondiale causata dalle infestanti era la maggiore tra 5 possibili

185
cause. Come si può osservare dalla seguente tabella derivata da questo studio la perdita
dovuta alle infestanti ammontava al 33,8 % sul totale.

% di perdite della produzione agraria totale mondiale dovute ad avversità varie.


Perdita dovuta ad insetti 9,6
Perdita per diminuzione di fertilità del suolo 13,6
Perdita dovuta a malattie del bestiame 16,7
Perdita dovuta a crittogame 23,6
Perdita dovuta ad erbe infestanti 33,8
Totale 100
I mezzi di lotta per contrastare la diffusione delle infestanti sono di due tipi: indiretti e
diretti.

Indiretti Pratiche agronomiche

Meccanici
Mezzi
di
lotta Chimici

Diretti

Fisici

Biologici

Tra i mezzi di controllo indiretti si citano le seguenti pratiche agronomiche:


- uso di un razionale avvicendamento. La presenza nell’avvicendamento di cereali
alternati a piante rinettanti come le sarchiate mais, girasole, barbabietola da foraggio ecc..
o “soffocanti” come il sorgo da foraggio e le piante foraggere riduce lo sviluppo e la
diffusione delle infestanti.
- bruciatura dei residui colturali. Questa pratica soggetta oggi a rigidi permessi e controlli
distrugge fisicamente i propaguli di molte piante infestanti.
- impiego di letame maturo. Nel processo di fermentazione del letame vengono
devitalizzati molti propaguli delle infestanti
- pulizia del macchinario agricolo
- sfalcio controllato delle aree inerbite prima della maturazione dei semi o degli organi di
propagazione agamica.
- pacciamatura con film di polietilene nero o film di materiali biodegradabili. Con questa
tecnica si crea un ambiente fisico sfavorevole allo sviluppo delle piante infestanti dovuto
principalmente a mancanza di luce.
186
Tra i mezzi di controllo diretti si citano quelli: meccanici , chimici, fisici , biologici,
Circa i mezzi meccanici è stato in precedenza accennato trattando delle lavorazioni del
suolo a cui si rimanda.
Circa i mezzi chimici si riferiscono all’uso dei diserbanti.
Il controllo delle infestanti con interventi chimici può essere fatto con i seguenti criteri:
sulla previsione delle possibili malerbe o sulla valutazione di quelle esistenti.
La previsione della composizione floristica delle specie infestanti si basa, eccetto l’uso di
complesse tecniche matematico-previsionali, su osservazioni pratiche eseguite sulle
infestanti sviluppate nelle colture che hanno interessato l’appezzamento negli anni
precedenti.
Ciò per prevedere la composizione floristica delle malerbe future in modo da impostare
strategie di diserbo più opportune. Questa è la base per gli interventi di diserbo in pre-
semina e in pre-emergenza.
La valutazione della flora infestante presente sulla coltura si basa nel verificare il tipo di
infestazione presente sulla coltura per la scelta dei diserbanti da impiegare. Questa è la
base per gli interventi di diserbo in post-emergenza della coltura.

Una semplice classificazione dei diserbanti prevede otto categorie come di seguito
riportato.

In base alla fase vegetativa in cui colpiscono la pianta infestante

In base al modo di applicazione


D
i
s In base al modo d’azione
e
r In base allo stato fisico
b
a
In base alla costituzione chimica del principio attivo o p.a.
n
t
i In base alla tossicità del principio attivo o p.a.

In base alla selettività verso la coltura

In base alle interferenze fisiologiche sulle piante infestanti

In base al momento d’applicazione

La classificazione dei diserbanti in base alla fase vegetativa in cui colpiscono le piante
prevede la loro divisione in:
 geosterilizzanti, che rendono il suolo inadatto alla germinazione del seme della pianta
infestante

187
 germicidi o antigerminello, che colpiscono le infestanti dallo stato embrionale prima
della loro emergenza.
 erbicidi che agiscono sulle infestanti già emerse.

La classificazione dei diserbanti in base al loro modo di applicazione prevede la loro


divisione in prodotti per applicazione sull’apparato fogliare e prodotti per applicazione
sul suolo
Modo di applicazione

Foglie

Suolo

Pre-semina

Pre-emergenza della coltura


Da
dellacoltura
L.Giardini

Post-emergenza della coltura

sotto chioma

in bande

188
Una particolare tecnica di diserbo è quella dell’applicazione sull’apparato fogliare
con corde a trasudazione di liquido ossia con macchine presentanti tubi flessibili porosi da
cui trasuda il diserbante che così viene a contatto con l’apparato aereo dell’infestante.
La classificazione dei diserbanti in base al modo di azione prevede la loro divisione in
diserbanti per contatto e diserbanti traslocabili o teletossici o sistemici.
L’azione dei diserbanti per contatto avviene quando il sia ha il contatto fisici del principio
attivo o p.a. del diserbante con l’infestante. Sono p.a. che provocano azioni caustiche:
letali per le specie infestanti annuali e parzialmente dannose per quelle pluriennali poiché
dopo il danneggiamento queste producono un nuovo apparato aereo.
L’azione dei diserbanti traslocabili o teletossici o sistemici avviene quando sia ha
l’assorbimento del p.a. e la sua traslocazione all’interno dell’infestante.
Se l’assorbimento è per via radicale la traslocazione è per via xilematica.
Se l’assorbimento è per via fogliare la traslocazione è per via floematica.
Sono diserbanti adatti per specie infestanti annuali e pluriennali.
Le fasi dei diserbanti (◙) Diserbanti
per contatto traslocabili
assorbimento fogliare assorbimento radicale
Contatto ◙ ◙
Ritenzione ◙ ◙
Assorbimento ◙ ◙
Traslocazione floematica ◙
Traslocazione xilematica ◙
Azione ◙ ◙ ◙
La classificazione dei diserbanti in base al loro stato fisico prevede la divisione in solidi
(paste, polveri solubili o bagnabili, microcapsule e granuli) e liquidi (soluzioni e
emulsioni).
Nei diserbanti solidi rientrano molti antigerminello e geosterilizzanti. Nei diserbanti
liquidi la maggioranza degli erbicidi.
Solitamente la quantità di prodotto commerciale da distribuire varia da circa 2 a 4 litri o
Kg ha-1 previa diluizione in 400-500 l di acqua.
Parti che costituiscono un diserbante liquido

Principio attivo

Inerti, solventi, emulsionanti,


adesivi, coloranti

Prodotto commerciale

Bagnanti, antischiuma Acqua

Diserbante
189
La classificazione dei diserbanti in base alla composizione chimica del p.a. prevede una
loro divisione secondo famiglie chimiche come di seguito riportato.
Costituzione chimica p.a.
Composti inorganici
Sali Clorato di sodio
Composti organici
Azoto-organici alifatici, aromatici, Ammidi
aliciclici Benzonitrili
Arilcrbammati
Tiocbarammati
Feniluree
Solfoniluree e altri derivati dell’urea
Dinitroaniline (nitroderivati)
Dinitrofenoli
Azoto-organici eterociclici Diazine
Dipirilidici
Pirazoli
Piridine
Triazine
Fosfo-organici Fosfonati
Altri composti organici Derivati ac. carbossilici
Derivati ac. carbossilici aliciclici
Derivati ac. carbossilici aromatici
Derivati ac. fenossicarbossilici

Questa è una classificazione in continua evoluzione per l’entrata in commercio di nuovi


principi attivi.
La classificazione dei diserbanti in base alla tossicità prevede una loro divisione in
relazione alla tossicità del p.a. secondo la CEE, alla DL 50 o dose letale del p.a. e alla DT
50 o tempo di sicurezza del p.a. .
La divisione in relazione alla tossicità del p.a. secondo la CEE è schematizzata nella
seguente figura.

190
Per l’acquisto dei diserbanti molto tossici, tossici e nocivi e relativo uso occorre avere un
patentino a norma di legge.
La divisione in relazione alla DL 50 o dose letale del p.a. si basa sulla quantità di sostanza,
per unità di peso corporeo, capace di provocare la morte del 50% della popolazione
sperimentale in oggetto.
Il valore della DL50 è espresso in mg Kg-1 ed è ottenuta da animali da laboratorio tipo
ratto, cavia o coniglio. Questa classificazione è commessa alla tossicità del p.a. : tanto più
è tossico tanto minore è la sua DL 50.
La classificazione in relazione alla DT 50 o tempo di sicurezza del principio attivo è
relativa al tempo che deve intercorrere tra la distribuzione del diserbante e la raccolta o
utilizzazione dei vegetali per non incorrere a effetti nocivi sulla salute amimale.
Questa classificazione è commessa alla tossicità del p.a. del diserbante : tanto più è tossico
e tanto maggiore è la DT 50.
La classificazione dei diserbanti in base alla loro selettività prevede la loro classificazione
in:
Selettivi

Diserbanti
Non selettivi o totali

I diserbanti selettivi uccidono solo le piante infestante con cui vengono a contatto o che
l’assorbono ma non le specie agrarie.
I diserbanti non selettivi o totali danneggiano tutte le piante con cui vengono a contatto o
che l’assorbono.
La selettività verso la coltura è data dai seguenti cinque meccanismi.
1) Selettività per contatto. Quando il contatto della pianta agraria con il diserbante è
impedito da protezioni meccaniche utilizzate durante la sua distribuzione o quando questa
è effettuata pre-semina o in pre-emergenza o sotto-chioma della coltura.
2) Selettività per ritenzione. Quando per differenza di conformazione, portamento,
presenza di cere, peli, ecc.. tra le foglie della coltura agraria e quelle dell’infestante si ha o
meno ritenzione del diserbante.
3) Selettività per assorbimento. Quando esiste una differente capacità d’assorbimento del
diserbante tra pianta agraria e pianta infestante in funzione dei meccanismi che
permettono meno l’ingresso o nel vegetale.
In relazione a questi meccanismi si riporta quanto segue.
Meccanismo cuticolare. Specie infestanti ed agrarie possono avere uno diverso spessore
cuticolare, per cui il prodotto in funzione di questo spessore può essere o non essere
assorbito.
Meccanismo stomatico. Specie infestanti e agrarie possono avere un diverso numero di
stomi come un diverso orario di apertura per cui la penetrazione del diserbante può
essere in quantità letale o meno.
Meccanismo radicale. Specie infestanti e agrarie possono avere una diversa capacità di
assorbimento del p.a. del diserbante in relazione allo ione con cui è legato.
4) Selettività di traslocazione. Specie infestanti e agrarie possono avere una diversa
velocità di traslocazione del p.a. del diserbante verso punti di azione.
191
Ad esempio il p.a. 2,4 D, traslocato per via floematica, si muove in modo estremamente
lento nelle monocotiledoni e molto velocemente nelle dicotiledoni.
5) Selettività intrinseca. Specie infestanti e agrarie quando il p.a. del diserbante viene
assorbito, per differenti meccanismi metabolici delle piante, questo può risultare tossico o
meno. La selettività intrinseca a sua volta si divide in:
 selettività di attivazione. È l’esempio del 2,4 DB e l’MCPB che non tossici nelle
Leguminose lo diventano in altre Famiglie botaniche che li trasformano in 2,4 D e MCP
tossici.
 selettività di inattivazione. È il classico esempio della simazina e atrazina che tossici su
diverse piante non lo sono per il mais e il sorgo perché trasformati in idrossiderivati non
pericolosi.
 selettività della membrana cellulare. È il caso del diserbante rappresentato dal p.a. oli
gialli che sono capaci di degradare la membrana cellulare delle infestanti delle
Ombrellifere coltivate come la carota, il finocchio, il sedano, ecc.. ma non la membrana
cellulare di quest’ultime.
 selettività per inibizione enzimatica. Quando si stabilisce un legame chimico tra p.a.
del diserbante ed un enzima posseduto dalla coltura agraria che ne fa perdere la tossicità.
La classificazione dei diserbanti in base alle interferenze fisiologiche sulle piante infestanti
prevede quanto di seguito riportato.
Interferenze Principio attivo
sulla struttura cellulare Oli minerali, arsenicati, cianati, boarti,
solfammati.
a livello nucleare e protoplasmatico Carbammati, fenossiderivati, dinitrofenoli
sulla fotosintesi Aminotriazolo, clorati, derivati dell’urea,
anilidi, carbammati, triazine, dipiridilici
sulla respirazione Derivati dell’ac. benzoico, dinitrofenoli,
idrazide maleica, acetamidi, cloroderivati
degli ac. acetico, propionioco, isobutirrico,
dipiridilici, fenossibutirrici, idrazine
maleica, fenossiderivati, picolinderivati
sui fitoregolatori Derivati dell’ac. benzoico, fenossiderivati,
benzonitrili, idrobenzonitrili, acetonitrili.
Solitamente a livello d’interferenza sia ha una principale e altre secondarie.

La classificazione dei diserbanti in base in base al momento della loro applicazione li


divide nel seguente modo.
Diserbanti di pre-semina o pre-trapianto delle colture agrarie: in questa fase sono usati i
geosterilizzanti e gli antigerminello
Diserbanti di pre-emergenza delle colture agrarie: in questa fase possono essere usati
anche prodotti antigerminello selettivi.
Diserbanti di post-emergenza delle colture agrarie sia in inverno che in primavera.
L’intervento in post-emergenza, dove si usano diserbanti selettivi, è, in genere, da
preferire all’intervento in pre-emergenza perché è intervento mirato rispetto a quello di
pre-semina o di pre-trapianto o di pre-emergenza.

192
Permanenza del diserbante nel suolo.
I diserbanti permangono nel suolo un periodo variabile di tempo: da meno di 30 giorni
come nel caso di quelli detti non residuali, a più di 100 giorni come nel caso di quelli detti
persistenti o residuali.
La differente persistenza nel suolo dei p.a. dei diserbanti è dovuta alle seguenti cause.
- Attività microbiologica. Le molecole del p.a. possono essere più o meno metabolizzate e
rapidamente degradate dalla microflora. Per tale ragione in suoli con attivo Edafon la
quantità del p.a. ha-1 viene leggermente aumentata
- Decomposizione chimica. Le molecole del p.a. possono essere più o meno rapidamente
degradate per fenomeni chimici di ossidazione, riduzione, idrolisi, ecc..
- Assorbimento colloidale. Le molecole del p.a. possono essere più o meno rapidamente
inattivate per fenomeni di adsorbimento sui colloidi inorganici e organici. Per tale ragione
in suoli argillosi o ricchi di S.O. la quantità del p.a. ha-1 viene leggermente aumentata
- Volatilizzazione. Tutti i diserbanti hanno una tensione di vapore che varia in relazione al
tipo di molecola e alla temperatura. In relazione a ciò la persistenza del p.a. varia da
prodotto a prodotto e da clima a clima.
- Fotodecomposizione. Per azioni fotochimiche delle varie componenti dello spettro
luminoso i p.a. dei diserbanti possono essere degradati più o meno velocemente. In
relazione a ciò l’efficacia di alcuni diserbanti è condizionata dalle caratteristiche di
luminosità del giorno.
- Dilavamento. La persistenza del p.a. nel suolo dipende dal suo coefficiente di
solubilizzazione o PC e conseguentemente dal sua possibilità di dilavamento. Dilavamento
che è connesso alle caratteristiche fisiche nel suolo e al regime pluviometrico.
Diserbo veicolato con acqua.
Elementi da tener presente nel diserbo veicolato con acqua per avere un buon risultato
agronomico sono: scelta del tipo di ugelli per la sua distribuzione, corretta distanza degli
ugelli tra loro e la superficie del suolo; l’assenza di mal funzionamenti negli ugelli;
l’orizzontalità della barra irrorante rispetto al suolo. Ciò per avere una distribuzione
omogenea del prodotto in modo da evitare aree non interessate da diserbante o eccessi di
apporto per sovrapposizione dei getti.
Sempre per evitare danni su altre colture agrarie, uomini o animali occorre effettuare il
trattamento diserbante in assenza di vento per evitare pericolosi effetti di deriva.

Circa i mezzi fisici per il controllo delle infestanti verrà di seguito solo citato il pirodiserbo
e la solarizzazione per potenzialità di diffusione e per il loro potenziale basso impatto
ambientale.
Pirodiserbo.
Il pirodiserbo è una tecnica: con una decisa azione verso le infestanti annuali e un parziale
effetto verso quelle poliennali; con un effetto più marcato sulle specie dicotiledoni rispetto
alle monocotiledoni; con un consumo energetico e conseguenze ambientali complessive
contenute; agro-economicamente valida per piante arbustive o arboree e per piante
erbacee ad interfile larghe; particolarmente indicata e valida su suolo morfologicamente
uniforme e pianeggiante; che elimina totalmente il problema ecologico-sanitario connesso
alla presenza dei diserbanti nell’ambiente e nei prodotti alimentari.

193
Il pirodiserbo, fatto con le pirodiserbatrici, è un intervento di tipo fisico, mirato a
provocare uno shock termico sulla flora avventizia tale da determinare la morte delle sue
cellule.
Non si tratta di una bruciatura quanto di una lessatura dei tessuti della pianta.
Tempestività d’intervento, conoscenza delle essenze da controllare e padronanza della
pirodiserbatrice sono condizioni indispensabili per l’efficacia del trattamento.
La pirodiserbatrice è simile ad una sarchiatrice dove al posto delle zappette o dei denti
sono montati dei bruciatori di GPL a tazza con fiamma puntiforme o a bacchetta con
fiamma corta.

In particolare il pirodiserbo viene usato per le colture erbacee a interfile larghe in post-
emergenza con appositi accorgimenti che evitano danni alle colture.

Particolare di una pirodiserbatrice con gli ugelli


da cui fuoriesce il GPL.

Pirodiserbatrice su mais

La solarizzazione è una tecnica che, tramite l’uso di sottili film plastici stesi sul suolo
umido per un certo periodo di tempo, porta ad elevato riscaldamento dei primi cm del
suolo con devitalizzazione dei semi e dei propaguli delle infestanti in questo contenuti.
Il limite di questa pratica, oltre al costo del materiale e la sua stesura, è di essere possibile
solo su limitate superfici e di aumentare la mineralizzazione della S.O. del suolo.
Una ulteriore tecnica di lotta diretta alle infestanti è quella con mezzi biologici ossia con
l’impiego di parassiti delle avventizie o con la coltivazione di piante inibitrici, vedi quelle
del genere Brassica, che lasciano nel suolo sostanze tossiche per le infestanti con effetto
allelopatico.
Classico esempio di lotta biologica tramite l’impiego di parassiti è quello che è stato usato
in passato in Australia con l’uso dell’insetto Cactoblastis cactorum per eliminare l’Opuntia
spp. che infestava i pascoli.
194
La lotta biologica contro le piante infestanti tramite l’impiego di parassiti come insetti,
funghi o batteri è in fase di diffusione ma occorre che il parassita sia estremamente
selettivo e rapido nell’azione.
Un aspetto negativo di questa lotta è che il parassita solitamente raggiunge il controllo
dell’infestante quando il danno sulla coltura agraria è ormai consistente e che, dopo la
scomparsa dell’infestante, tende rapidamente a regredire dal territorio sul quale è stato
diffuso.

Rotazione e avvicendamento.
L’attività agricola primordiale conobbe ben presto il fenomeno che un suolo coltivato per
più anni con la stessa coltura tende a ridurre, più o meno rapidamente, le rese.
Il relazione a ciò il popolo ebraico lasciava riposare il suolo un anno su sette, i Greci
impiegavano la tecnica del maggese e i georgici latini considerarono l’utilità
dell’alternanza delle colture.
Nel medioevo unico metodo proposto per rimediare all’effetto della riduzione delle rese di
una colture ripetute su se stesse era quello di inserire tra queste la pratica del riposo
pascolato. Nei secoli successivi tutto rimase basato su questo principio. Occorre aspettare
il XVI secolo perché in Italia e nell’Europa del nord si iniziasse a parlare di alternanza tra
le colture. Nel 1730 in Inghilterra furono poste le basi della così detta “rivoluzione
agraria”.
Questa si fondò sull’ideazione della prima rotazione agraria, storicamente documentata,
detta rotazione Norfolk dal nome della omonima contea inglese dove fu messa in pratica.
Questa fu un rivoluzione verde presupposto economico per la successiva rivoluzione
industriale. La rotazione Norfolk è una rotazione quadriennale così strutturata:
 1° anno, coltivazione della rapa per radici foraggere, la crucifera Brassica napus var.
napobrassica detta navone o rutabaga
 2° anno, coltivazione dell’orzo con o senza trasemina di trifoglio violetto
 3° anno, coltivazione del fagiolo o del trifoglio violetto, se al secondo anno è stata fatta
la trasemina del trifoglio violetto nell’orzo
 4° anno, coltivazione del frumento tenero
Rapa

Rotazione Norfolk: 1730


Orzo con trasemina di trifoglio violetto
Frumento o
Orzo

Trifoglio violetto
o
Fagiolo

195
Brassica napus var. napobrassica
Più tardi il navone, utilizzato per l’alimentazione del bestiame da carne, venne sostituito
dalla barbabietola da zucchero.
Questa rivoluzione agronomica era rappresentata dalla regolare introduzione di una
leguminosa, trifoglio violetto o fagiolo, in grado di elevare la produzione del cereale ed
della rapa.
Il prato di leguminosa o il fagiolo veniva a sostituire il riposo naturalmente inerbito di
scarso valore foraggero che interrompeva la coltivazione più o meno ripetuta della stessa
specie agraria.
L’azione miglioratrice delle leguminose venne poi chiarita 1886 dagli agronomi tedeschi
Helbriegel e Wilfahrth che scoprirono le proprietà azotofissatrici dei batteri Azotobacter
(oggi Rhizobium) presenti nei noduli radicali delle leguminose medesime.
Nell’ambito di qualsiasi rotazione le colture si dividono in 3 gruppi:
 Colture depauperanti o liquidatrici o sfruttanti che lasciano il suolo in uno stato di
fertilità agronomica peggiore di quello che hanno trovato. Ad es. frumento, avena, orzo,
sorgo, ecc...
 Colture miglioratrici che lasciano il suolo in uno stato di fertilità agronomica migliore
di quello che hanno trovato. Ad es. i prati di foraggere graminacee o di leguminose sono
colture miglioratrici rispettivamente per l’azione positiva sulla struttura e sulla dotazione
di azoto del suolo.
 Colture preparatrici che lasciano il suolo in uno stato di fertilità agronomica migliore
di quello che hanno trovato. Ciò non tanto per virtù proprie ma per le tecniche colturali
che le caratterizzano, vedi lavorazione ordinaria del suolo, abbondanti letamazioni o
concimazioni, lavorazione complementare del suolo tipo sarchiatura, ecc.. , che fanno
sentire i loro positivi effetti per alcuni anni sulle colture che le seguiranno.
Queste colture preparatrici sono le colture da rinnovo,con cui si apre la rotazione: es.
mais, barbabietola, girasole, ecc….
Nel predisporre una rotazione occorre sempre tener conto di 1°) iniziare con un coltura
preparatrice 2°) alla pianta preparatrice far seguire una pianta depauperante 3°) alla
pianta depauperante far seguire una pianta miglioratrice pratense 4°) alla pianta
miglioratrice pratense far seguire una pianta depauperante.
Questi sono i semplici ma basilari principi da adottare per una corretta rotazione e
avvicendamento colturale.

196
A tal riguardo i termini rotazione e avvicendamento, pur basandosi lo stesso principio
agronomico, ossia dell’alternanza regolare tra colture preparatrici, depauperanti e
miglioratrici, non sono sinonimi.
Per rotazione si intende una rigida successione delle specie coltivate che, una volta decisa,
rimane tale per tutti i cicli per cui si intende applicare.
In tal modo al termine della rotazione tutte le stesse colture torneranno, dopo un preciso
numero di anni, sempre sul solito appezzamento.
Per avvicendamento si intende una successione delle specie coltivate non rigida ma elastica
variando nei vari cicli per cui si intende applicare in funzione di fattori di convenienza
economica.
Per tale ragione al termine dell’avvicendamento, rispetto alla rotazione, non tutte le
colture torneranno, dopo un preciso numero di anni, sul solito appezzamento.
Indipendentemente da ciò con l’avvicendamento e la rotazione, si viene ad avere dei
positivi effetti sulla fertilità agronomica del suolo comportanti:
riduzioni negli apporti di concimi o fertilizzanti alle piante
riduzione della selezione di una flora infestante specifica e resistente alle tecniche di
lotta
riduzione della pressione selettiva sui parassiti e sulle infestanti delle colture in modo
da evitare l’affermazione di specie resistenti agli usuali interventi
aumento della diversità biologica
eliminazione del fenomeno della stanchezza del suolo.
In particolare in relazione ai positivi effetti sulla fertilità agronomica si evidenzia quanto
segue.
Fertilità fisica.
La fertilità fisica del suolo è positivamente influenzata dalla rotazione e
dall’avvicendamento per il lavoro di rinnovo con cui iniziano in quanto la formazione di
strutture per aggregazione che ne consegue si rifletterà positivamente sui rapporti acqua-
suolo, aria-suolo e Edafon-suolo. Oltre a ciò con le differenti profondità di lavorazione
connesse alle varie colture presenti nel ciclo colturale si evita la formazione della suola di
lavorazione.
Fertilità chimica.
La fertilità chimica è positivamente influenzata perché le varie colture che rientrano nel
ciclo colturale avranno differenti esigenze in fatto di elementi minerali evitando un
depauperamento chimico di tipo unidirezionale e daranno origine a differenti apporti di
Humus dai loro residui colturali come, quando presenti leguminose, varie entità di
apporti azotati.
Fertilità biologica.
La fertilità biologica è positivamente influenzata per l’azione positiva sulla stabilizzazione
o sull’ incremento sull’Edafon, per il controllo della diffusione di patogeni specifici e per
il contenimento delle infestanti specializzate.
A livello agro-gestionale a favore della rotazione e dell’avvicendamento, rispetto alla
mono-successione, sono i seguenti aspetti:
una diversità di raccolti consente di ridurre il danno economico dovuto ad un
imprevisto crollo dei prezzi di qualche coltura

197
introiti economici più ripartiti nell’anno per la vendita frazionata nel tempo dei
raccolti
la diversità di colture permette di sfuggire meglio a danni causati da fattori abiotici e
biotici
un miglior utilizzo dello strato attivo del suolo
la pluralità di colture permette di utilizzare in miglior modo la manodopera e il
macchinario aziendale
aumento della soddisfazione professionale dell’agricoltore per l’acquisizione di
diversificate conoscenze tecniche.
Accanto a queste voci positive la rotazione e l’avvicendamento presenta alcuni aspetti
negativi quali, ad es. :
minore specializzazione tecnica e organizzativa del personale aziendale
minore possibilità aziendale di avere prezzi di vendita dei prodotti agricoli vantaggiosi
per le minori quantità immesse sul mercato.

Tipi di rotazioni e avvicendamenti colturali.


Una delle più accettate classificazioni delle rotazioni e avvicendamenti colturali è esposta
nel seguente prospetto.

R
o
t pascolato
a
con riposo
z
i discontinue non pascolato
o con maggese
n
i
/
a
v in base alla lunghezza del ciclo
v
regolari
i
in base alla complessità
c
e
n
d continue
in base alla lunghezza del ciclo
a irregolari
m in base alla complessità
e
n in base alla lunghezza del ciclo
t
miste
i
in base alla complessità

198
Rotazioni e avvicendamenti discontinui.
Sono caratterizzati dall’interruzione della coltivazione del suolo, con conseguente suo
riposo, per un numero variabile di anni.
L’interruzione è sotto forma o di riposo pascolato o non pascolato o di maggese che
talvolta può essere pascolato.
Gli schemi delle rotazioni o avvicendamenti discontinui più frequenti sono:
a) con riposo irregolare. Questa forma di alternanza, diffusa in passato nell’Appennino
centrale, prevede, ad es. , per un certo numero di anni una serie di successioni patata-
cereale e poi un’interruzione della coltivazione per circa 10-20 anni con riposo pascolato o
non pascolato.
b) con riposo di tipo regolare. In questo caso il riposo, con durata di uno o pochi anni, si
alterna regolarmente con un prestabilito periodo di tempo interessato da colture.
c) con maggese. In questa alternanza il periodo di non coltivazione è rappresentato sia dal
maggese che dal riposo pascolato o meno. Successioni discontinue con maggese e riposo
sono: maggese-frumento detta seconderia; maggese-frumento-riposo detta terzeria;
maggese-frumento-avena-riposo detta quarteria; maggese-frumento-avena-riposo-riposo
detta quinteria.
In Italia gli avvicendamenti discontinui, tipici degli ambienti poveri e difficili, sono quasi
del tutto scomparsi data l’evoluzione tecnica in agricoltura e la quasi totale scomparsa
della transumanza. Nonostante ciò gli avvicendamenti discontinui sono utilissimi
strumenti agronomici per valorizzare i territori marginali e ripristinare la fertilità dei
campi.
Rotazioni e avvicendamenti continui.
Le rotazioni e gli avvicendamenti continui consistono nel succedersi di una serie
ininterrotta di colture con il principio seguente principio agronomico: coltura
preparatrice - sfruttante - miglioratrice - sfruttante .
Le rotazioni e gli avvicendamenti continui possono essere: regolari, irregolari e misti.
 Nel caso dei regolari la superficie aziendale è divisa in sezioni di uguale superficie.
 Nel caso degli irregolari la superficie aziendale è divisa in sezioni con diversa
superficie.
 Nel caso dei misti la superficie aziendale è divisa in due parti: una con sezioni di
identiche superfici ed una usata per una coltura, fuori rotazione, rappresentata da una
foraggera pratense poliennale.

199
Esempio di rotazione e avvicendamento continuo relativo ad una superficie di 96 ha.
 Tipo regolare. La superficie aziendale è suddivisa in cinque appezzamenti di 19,2 ha
ciascuno. Di seguito un esempio.
Rotazione regolare di tipo quinquennale: es. mais - frumento duro con
trasemina di erba medica - erba medica - erba medica - frumento tenero. Nel 5°
anno la rotazione si conclude e nell’anno successivo, il 6°, inizia una nuova
rotazione o avvicendamento e la coltura del mais tornerà nello stesso
appezzamento di partenza.
Campi 1° anno 2° anno 3° anno 4 anno 5 anno 6° anno
1 Mais Frumento Erba Erba Frumento Mais
duro con medica medica tenero
trasemina
di erba
medica
2 Frumento Erba Erba Frumento Mais Frumento
duro con medica medica tenero duro con
trasemina trasemina
di erba di erba
medica medica
3 Erba Erba Frumento Mais Frumento Erba
medica medica tenero duro con medica
trasemina
di erba
medica
4 Erba Frumento Mais Frumento Erba Erba
medica tenero duro con medica medica
trasemina
di erba
medica
5 Frumento Mais Frumento Erba Erba Frumento
tenero duro con medica medica tenero
trasemina
di erba
medica

200
Rotazione regolare di tipo quinquennale: es. mais - frumento
duro con trasemina di erba medica - erba medica - erba medica -
frumento tenero. Nel 5° anno la rotazione si conclude e nell’anno
successivo, il 6°, inizia una nuova rotazione o avvicendamento e
la coltura del mais tornerà nello stesso appezzamento di
partenza.
Alternanza

Campi 1 2 3 4 5 1
2 3 4 5 1 2
3 4 5 1 2 3
4 5 1 2 3 4
5 1 2 3 4 5

 Tipo irregolare. La superficie aziendale è suddivisa in cinque appezzamenti con di


19,2- 20,8 - 16 - 22 - 18 ha.
 Tipo misto. La superficie aziendale è divisa in due corpi: uno di 76,8 ha e uno di 19,2
ha.
L’area di 76,8 ha è divisa a sua volta in 4 appezzamenti di 19,2 ha regolarmente coltivati
in successione tra loro con piante diverse. La restante area di 19,2 ha, coltivata fuori
rotazione a prato poliennale di erba medica è inserita nella superficie nell’area di 76,8 ha
con regolare ciclo colturale ogni 4 anni quando il medicaio viene disfatto. Entrando i 19,2
ha nell’area di 76,8 ha ne usciranno altrettanti che rappresenteranno la nuova superficie
per il medicaio.

201
Le rotazioni e gli avvicendamenti continui sono classificati in base alla loro lunghezza in
anni e alla loro complessità.
In base alla lunghezza del ciclo in anni, si dividono in: biennali, triennali, quadriennali
quinquennali, sessennali, settennali, ottennali, decennali.
In base alla complessità si dividono in: semplici e composte ossia derivanti dall’unione di 2
rotazioni semplici.
Esempi di rotazioni/avvicendamenti semplici e composte
Rotazioni semplici
Bien. Ri. Fru.
Quad. Ri. Fru. tr. T. viol. Fru.
t. viol.
Quin. Ri. Fru. T. viol. T. viol. Fru.
Quin. Ri. Fru. Riso Riso Riso
Sess. Ri. Fru. E. me. E. E. Fru.
med. med.
Rotazioni composte
Sett. Ri. Fru. E. me. E. me. E. Fru. Ave.
med.
Sett. Ri. Fru. Prato Prato Prato Rin. Fru.
Otte. Ri. Fru. tr. T. viol. Fru. E. E. E. Fru.
t. viol. med. med. med.
Dece. Ri. Fru. tr. T. viol. Fru. Rin. Fru. E. E. E. Fru.
t. viol. me. me. me.
Bien. = biennale, Quad. = quadriennale, Quin. = quinquennale, Sess. = sessennale, Sett.
= settennale, Otte. = ottennale, Dece. = decennale.
Ri. = rinnovo, Fru. = frumento, Fru. tr. t. viol. = frumento con trasemina di trifoglio
violetto, T. viol. = trifoglio violetto, E. me. = erba medica, Ave. = avena.

202
Non solo le colture erbacee ma anche quelle arboree e arbustive seguono delle regole nella
loro successione come è esposto, per alcune di queste nel schema seguente.
Indicazioni per la successione di alcune colture
arboree.
Precedente p c a m s m p d v o p
e i l a u e e i i l i
s l b n s l r o t i o
c i i d i o o s e v p
o e c o n p o p
g o r o e o
i c l r
o c o o
o
Seguente
Pesco 3 3 2 2 2 1 1 + + + +
Ciliegio 3 3 2 2 2 2 1 + + + +
Albicocco 2 2 2 2 2 1 1 + 1 + +
Mandorlo 2 2 2 2 2 1 1 + + + +
Susino 1 2 2 2 2 2 1 + + + +
Melo 1 1 1 1 1 2 2 + + + 2
Pero 1 1 1 1 1 2 2 + + + 2
Diospero + + + + + + + 2 1 + +
Vite + + + + + + + + 2 + +
Olivo + + + + + + + + + 1 +
Pioppo + + + + + 2 + + + + 2
1 = subito dopo l’espianto; 2 = dopo tre-quattro anni;
3 = dopo diciotto-venti anni; + = tempo non
esattamente definito ma con probabilità breve.
Terminando le precedenti brevi note sulle rotazioni e gli avvicendamenti appare utile
specificare il significato di coltura intercalare.
La coltura intercalare è una coltura con ciclo inferiore ad un anno collocata tra due
colture annuali.
Le colture intercalari sono interessanti anche da un punto di vista del bilancio aziendale in
quanto sono gravate dalle sole spese di coltivazione poiché la spesa del beneficio fondiario
è a carico della sola coltura principale.
La possibilità di fare colture intercalari è legata alla facilità di lavorazione del suolo, alla
possibilità di usare la minima lavorazione o la semina diretta sul sodo e, per le colture a
ciclo estivo, vedi mais in secondo raccolto, alle disponibilità irrigue aziendali.
Coltura intercalare di rapa, da agosto a dicembre, inserita tra la raccolta del frumento a
fine giugno e la semina del mais a fine aprile

203
Gestione delle superfici agricole non produttive.
La gestione delle superfici agricole non produttive riguarda l’uso di particolari pratiche
agronomiche per le superfici a seminativo soggette al ritiro dalla produzione o set-aside.
Pratiche agronomiche atte a garantire che gli appezzamenti fuori produzione non siano
abbandonati completamente ma siano mantenuti con un livello minimo con copertura
vegetale gestita adeguatamente tutto l’arco dell’anno.

Infatti la copertura vegetale gestita adeguatamente consente, al suolo di conservare la


fertilità, di favorire la biodiversità, di contrastare l’erosione, di contenere lo sviluppo delle
infestanti non pabulari, di limitare il rischio d’incendi e non ultimo come importanza di
favorire la diffusione e la tutela della fauna selvatica con la messa a loro disposizione di
rifugi e di alimenti.
In particolare per questa funzione faunistica si deve garantire la presenza di una
copertura vegetale naturale o seminata durante tutto l’anno, eseguire, eccetto i periodi
della nidificazione o riproduzione, uno sfalcio o altra operazione equivalente almeno una
volta l’anno e approntare fasce tagliafuoco mediante aratura o altro lavoro equivalente.
Gestione delle superfici in rotazione o in avvicendamento con residui colturali.
Una corretta gestione delle superfici in rotazione o in avvicendamento con residui colturali
ha l’obiettivo di mantenere un buon livello di sostanza organica nel suolo, di e di offrire
rifugio e alimenti agli animali selvatici. La pratica della bruciatura delle stoppie e dei
residui colturali, come non di rado si osserva, incide negativamente su quanto prima
evidenziato.

Pedopatologia
Il suolo può ridurre notevolmente la capacità di essere produttivo per alterazioni
pedopatologiche che possono essere accidentali o croniche.
Quelle di tipo accidentale sono dovute ad una errata gestione agricola dell’uomo. Queste
possono durare anche più anni ma poi scompaiono. Le alterazioni accidentali sono il
guasto e la stanchezza.

204
Quelle di tipo cronico sono alterazioni intrinseche dei suoli che coinvolgono la fertilità
agronomica nel suo complesso. I suoli che presentano le alterazioni di tipo cronico si
dicono anomali.
Pedopatologie accidentali.
Il guasto o arrabbiaticcio o calda-fredda o verde-secca si manifesta soprattutto negli
appezzamenti coltivati con cereali a paglia con riduzione della loro produttività. Del
guasto è stato già accennato in precedenza affrontato l’argomento delle lavorazioni a cui si
rimanda. Si evidenzia che il guasto si presenta più nei suoli tendenzialmente detritici che
in quelli argillosi e organici e più nel centro e sud Italia che nel nord Italia.
La stanchezza consiste in una diminuzione della produzione delle colture che vengono
ripetute per più anni sul solito appezzamento. Questo fenomeno varia secondo le specie
agrarie. Molto sensibili sono le leguminose e le crocifere, poco sensibili sono il mais, il
sorgo, ecc… .
Alla stanchezza del suolo sono state attribuiti vari motivi come: emissione di sostanze
tossiche dalle radici delle piante che ostacolerebbero lo sviluppo della stessa specie;
depauperamento di elementi nutritivi, in particolare di microelementi, nello stato attivo
del suolo; una diminuzione del Ca+2 e del pH del suolo per le leguminose; diffusione nel
suolo di patogeni come per l’erba medica del fungo Corynebacterium insidiosum e del
batteriofago o virus del rizobio. Unico rimedio valido contro la stanchezza è quello di tipo
preventivo ossia l’adozione di rotazioni o avvicendamenti con ritorno delle colture, sul
solito appezzamento, ben distanziate nel tempo.
Pedopatologie cromiche: i suoli anomali.
I suoli anomali sono suoli che se gestiti con usuali e corrette pratiche agronomiche non
danno buoni risultati produttivi.
Questo per presenza di anomalie fisiche o chimiche congenite, quindi croniche, che
alterano la loro fertilità chimica e/o fisica
Di seguito uno schema dei tipi dell’anomalie del suolo.

Acidità

Chimiche Alcalinità

Alomorfismo o salinità
Anomalie
Argillosità o colloidismo
o
Fisiche
Scioltezza

Le anomalie chimiche si riducono con la correzione del suolo tramite l’impiego dei
correttivi.
Le anomalie fisiche si riducono e, teoricamente, si eliminano con l’ammendamento del
suolo tramite l’impiego degli ammendanti.

205
I suoli anomali in Italia sono circa 48,7% dell’intero territorio, ovvero circa 14.680.000
ha. I motivi dell’anomalie pedologiche sono diversi come esposto nella seguente tabella.
Suoli anomali ha
Suoli acidi ~ 4.600.000
Suoli acidi organici ~ 150.000
Suoli argillosi e argillosi-alcalini ~ 9.800.000
Suoli alomorfi ~ 130.000 (salso-alcalini)
Totale ~ 14.680.000

Suoli acidi: circa 4.600.000 ha.


L’acidità del suolo pone dei limiti alla coltivazione di diverse specie agrarie.
Un limite severo è quando il suolo presenta un pH in acqua di 4-4,5. Ciò non è tanto e solo
dovuto all’elevata presenza di ioni H+ e alla carenza in basi, come il Ca+2, quanto alla
mobilità dell’Al+3, AlOH+2, Al(OH)2+ che riducono la fertilità chimica del suolo e sono
tossici per le piante e per l’Edafon.
Nei suoli acidi l’azoto totale può presentarsi in quantità anche elevata ma è quello sotto
forma nitrica che presenta valori bassi per la forte riduzione dell’attività della microflora
batterica ammonizzante, nitrosante e nitrificante. Anche la quantità di P2O5 totale può
essere quantitativamente discreta ma è la sua frazione assimilabile che è bassa in quanto
soggetta ad immobilizzazione da parte del Fe+3 e Al+3.
Le principali cause dell’acidità del suolo sono dovute a:
 caratteristiche intrinseche della roccia madre o del sub-strato pedogenetico
rappresentato da litotipi acidi come trachini, gneiss, graniti, porfidi, arenarie, ecc... ;
 dilavamento di basi per pioggia: per tale ragione la perdita oscilla da 250 a 600 kg CaO
ha-1 anno-1;
 asportazioni di cationi da parte delle colture tramite il raccolto della loro produzione.
In particolare con la raccolta della produzione viene annualmente asportato dal suolo da
circa 30 a circa 250 kg ha-1 di CaO con un’asportazione media di 100 kg di CaO ha-1. Le
asportazioni di cationi dal suolo tramite questa via sono maggiori nelle leguminose che
nelle graminacee. Ad es. un medicaio non irriguo con una produzione annua di l0 t ha-1 di
fieno asporta circa 352 kg di CaO e 75 kg di K2O dal suolo corrispondente rispettivamente
a circa 35,2 kg di CaO e 7,5 kg di K2O t-1.
 produzione biologica di CO2 nel suolo. La CO2 prodotta con la respirazione radicale e
l’attività della microflora mobilizza Ca2+ dal CaCO3 presente nel suolo con perdite stimate
pari a circa 235-245 kg ha-1 anno-1 dell’elemento in oggetto come CaO.
 Tecniche agronomiche. L’uso di alcuni concimi causa l’inacidimento del suolo. Da es.
l’apporto di 100 kg ha-1 di solfato ammonico o (NH4)2SO4 solubilizza 106 kg di CaO ha-1,
mentre l’apporto di 100 kg ha-1 di cloruro potassico o KCl solubilizza 66 kg di CaO ha-1.
Se, ad es. , si addizionano solo le perdite di CaO dovute all’asportazione media delle
colture (100 kg ha-1), per l’attività biologica media del suolo (240 kg ha-1) e per l’effetto
medio dell’uso complessivo di concimi acidificanti (500 kg ha-1) si avrebbe una rimozione
di 840 kg ha-1 di CaO per anno
Per le prima citate cause nei suoli acidi o tendenzialmente tali è importante determinare il
suo fabbisogno in calce sia per portare il Ca+2 che per correggere il valore del pH.
Questa correzione, fatta con i correttivi, è detta, con temine generico, calcitazione.
L’efficienza del correttivo e quindi della calcitazione, dipende dalla sua caratteristica
chimica.
206
Tra i correttivi usualmente usati si citano i seguenti.
 Calce viva o ossido di calcio. Questa è ottenuta nei forni di calcinazione delle rocce
calcaree secondo questa reazione: CaCO3 > CaO + CO2. La calce viva, che può avere
anche 95% di CaO, ha una azione correttiva netta e rapida. L’impiego della calce viva
richiede comunque molta attenzione perché, per la sua causticità, danneggia l’Edafon
come la microflora del letame. Per tale ragione è bene distribuire la dose calcolata in 2-3
anni al posto di somministrarla con un unico intervento e non quando viene distribuito
letame.
 Calce spenta ossia o idrossido di calcio. Questa è ottenuto dall’idratazione della calce
viva secondo la seguente reazione: CaO + H2O > Ca(OH)2. La calce spenta avendo una
ridotta capacità correttiva rispetto alla calce viva è meno usata per la correzione.
 Calce di defecazione degli zuccherifici. È di un prodotto valido perché, oltre a
contenere carbonato di calcio, l’agente correttivo, presenta anche una certa quantità di
azoto organico e di fosforo.
 Polvere di marmo. Questa deriva dalle cave di marmo o dalla fine macinazione o
micronizzazione del marmo stesso. È correttivo lento nell’azione la cui rapidità dipende
dal diametro delle particelle: più è piccolo e più è veloce ed efficacie.
 Marna. È una rocce argillosa contenente circa il 30-40% di carbonato di calcio.
Quando finemente macinata è un buon correttivo anche se non rapido nell’azione.
 Acqua dura ossia ricche di carbonati di calcio e o di magnesio.
Le marne e le poveri di marmo, anche impiegate in dosi elevate, non creano mai al suolo
problemi sulla sua fertilità biologica ne sul letame come quelli dovuti all’uso della calce.
La distribuzione dei correttivi prima evidenziati, eccetto l’acqua dura che avviene con
l’irrigazione, si effettua con mezzi meccanici a tutto campo.
Per calcolare la quantità di correttivo da somministrare al suolo esiste il metodo ufficiale
del Decreto Ministeriale del 1994 che fornisce una tabella del fabbisogno in calce espresso
in t di CaCO3 puro, per di 1 ettaro di suolo considerando un profilo di 0,2 m di profondità,
sulla base del suo pH quando posto a contatto con una soluzione tampone a pH 7,5.
A tal riguardo per avere l’equivalenza d’azione correttiva tra alcuni prodotti correttivi
valgono le seguenti regole: per passare da CaCO3 a CaO occorre moltiplicare il CaCO3
per 0,56 mentre per passare da CaO a CaCO3 occorre dividere il CaO per 0,56; per
passare da CaCO3 a Ca(OH)2 occorre moltiplicare il CaCO3 per 0,74 mentre per passare
da Ca(OH)2 a CaCO3 occorre dividere il Ca(OH)2 per 0,74.
Nella determinazione della quantità di correttivo da distribuire al suolo non è utile
giungere alla neutralità di questo ma ad pH che consente di coltivare le specie agrarie che
interessano in modo economicamente e agronomicamente sostenibile.
Orientativamente nei suoli acidi italiani la quantità media normalmente utilizzata per la
correzione è di circa 2 t ha-1 di calce viva e circa di 25 t ha-1 di calce spenta. Per la
correzione dei suoli acidi del Europa centrale e settentrionale si utilizzano circa 9-10 t ha-1
di carbonato di calcio e circa dai 300 ai 400 t ha-1 di marne.
In Italia settentrionale, i suoli acidi sono presenti nella:
- brughiera localizzata in Lombardia tra il Ticino e l’Adda. Il substrato pedogenetico di
questi suoli è costituito da materiale fluvio-glaciale del Rissiano e del Würmiano.
- baraggia localizzata in Piemonte nel vercellese e nel novarese. Il substrato pedogenetico
di questi suoli è costituito da materiale fluvio-glaciale. Il suolo che ne deriva ha tessitura
limo-argillosa e quando sommerso, vedi nelle zone delle risaie, perde l’acidità per
fenomeni riduttivi.
207
- zona dei Ferretti localizzati nella fascia sub-alpina. Il substrato pedogenetico di questi
suoli è costituito da detriti incoerenti, decalcificati e presentanti argillificazione dei
feldspati e un color giallastro dovuto a materiali ferrosi.
Questi suoli acidi dell’Italia settentrionale sono molto permeabili e anche se la pioggia
totale annua di queste zone oscilla da 1.000-1.200 mm, con circa 240 mm in estate,
soffrono di aridità. Il pH varia tra circa il 4,5 e il 5,2. La quantità di azoto totale può
oltrepassare il 2,24 ‰ ma quello nitrico è basso: circa 5-6 ppm. Anche la quantità di P2O5
totale del suolo può essere discreta arrivando a circa 1,5-2,0 ‰ ma la P2O5 assimilabile è
bassa.
È da evidenziare che anche negli altopiani calcarei del Friuli si hanno suoli di medio
impasto-argillosi acidi ma con pH più alto dei precedenti oscillando circa tra 6 a 6,4.
La tipica flora naturale di questi territori acidi, in particolare quello della Brughiera, è
rappresentata dalla: Calluna vulgaris o brugo, ericacea; Molinea coerulea o molinia,
graminacea; Pinus silvestris o pino silvestre, conifera; Robinia pseudoacacia o acacia,
leguminosa; Betula alba o betulla, betulacea.
La tecnica di messa a coltura di questi suoli acidi nel passato si è basata su:
- decespugliamento, seguito da dissodamento e calcitazione con 50-60 q ha-1 anno di
calce.
- coltivazione di specie foraggere allevamento di bestiame adatte all’acidità
- apporto di S.O. nel suolo sotto forma di residui colturali e di letame.
- irrigazione con acque dure, come quelle del lago Maggiore prese con il canale Villoresi,
contenenti circa 70-100 g CaCO3 a m3.
Su questi suoli, dopo circa 12 di correzione e apporto diretto e indiretto di S.O. , è stato
potuto coltivare l’erba medica che per essere agro-economicamente conveniente ha
bisogno di un pH minimo di circa 6,4.
Punto fondamentale di questi interventi agronomici è l’aumento dei colloidi organici del
suolo. Infatti questi hanno la capacità di fissare i cationi portati con la calcitazione e con
l’irrigazione con acque dure per l’elevato valore della loro C.S.C. .
Nei suoli acidi è importante la pratica dell’utilizzo di concimi costituzionalmente o
fisiologicamente alcalini e la tecnica della localizzazione del fosforo.
In Italia centrale i suoli acidi sono presenti sulla formazione geologica del macigno e
risultano usualmente interessati dall’associazione vegetale del ginestreto.
Il macigno è caratterizzato dall’arenaria, roccia sedimentaria del Terziario, che si trova su
quasi tutto l’Appennino eccetto sui massicci calcarei del Gran Sasso e la Maiella.
I suoli derivati da questa formazione geologica si presentano:
- tendenzialmente sciolti con circa il 70-80% sabbia, il 10-20% limo e il 5-10 % argilla
- discretamente dotati di S.O. totale, fino a circa il 2-3 %, ma poco umificata
- con discreta quantità di P2O5 e N totale, circa 1,3 ‰, ma poco in forme assimilabili.
Il pH di questi suoli solitamente oscilla tra circa 5 e 5,5 ma può arrivare fino a 6 se nel
macigno si trovano dei flysch argillosi alternati all’arenaria.
La tipica flora naturale di questi territori è caratterizzata dalla leguminosa Sarothamnus
scoparius o ginestra dei carbonai, dall’ericacea Erica arborea o erica, dalla pteridofita
dell’Ordine delle Filicales Pteris aquilina o felce aquilina e dall’ericacea Vaccinium
mirtillus o mirtillo.
La tecnica di messa a coltura di questi suoli è stata resa possibile in passato con il debbio.
Il debbio si basa sulle seguenti operazioni.

208
1°) Decespugliamento.
2°) Formazione di piote o pellicce dalla porzione superficiale del cotico erboso di 6-7 cm
staccato dal suolo e fatto seccare.
3°) Formazione con le piote di fornelli, circa 200-300 ha-1 o di cordoni. Nei fornelli e nei
cordoni le piote sono messe sopra la vegetazione decespugliata e seccata con la loro
porzione interessata dal cotico volta verso il basso.
4°) Incendio della vegetazione decespugliata e lenta combustione dei fornelli o cordoni per
10-12 giorni.
5°) Rottura dei fornelli o cordoni dopo la combustione e spargimento del materiale
terroso, ricco di ceneri, seguita da lavorazione superficiale. Ceneri della vegetazione
decespugliata che, quando ricca di ginestre e felci, sono caratterizzate da una quantità di
P2O5 totale fino 2,8 %, e da molto K2O.
Con questa tecnica si ha: l’incremento del pH del suolo fino 6,3-6,4; l’eliminazione dei
propaguli delle infestanti e dei parassiti vegetali; l’aumento della microflora per
l’innalzamento del pH; un’azione favorevole dei residui carboniosi sulla fisica del suolo.
Dopo questo intervento occorre agire con calcitazioni apportando da circa 0,6 a 1 t CaO
ha-1 o da circa 2 a 2,5 t di Ca(OH)2 ha-1, per mantenere un pH accettabile nel tempo e con
letamazioni. In particolare le calcitazioni devono essere fatte ogni 2-3 anni su suoli sciolti
o 5-7 anni su suoli argillosi e non contemporaneamente al letame dato che l’innalzamento
del pH danneggia, come prima citato, la microflora di quest’ultimo.

In relazione al problema dell’acidità del suolo di seguito un breve elenco di piante di


interesse agrario ordinate secondo il pH minimo che tollerano.
Alcune piante di interesse agrario e relativo pH minimo tollerabile.
Valore pH Piante Valore pH Piante Valore Piante
pH
4,5 Oryza 5,0 Dactylis 6,0 Trifolium
sativa glomerata pratense
4,5 Lupinus 5,0 Festuca 6,4 Medicago
albus arundinacea sativa
4,5 Phleum 5,4 Trifolium 6,8 Beta
pratense incarnatum vulgaris
4,7 Trifolium 5,5 Lolium 6,9 Vicia
hibridum multiflorum faba
4,8 Solanum 5,5 Lotus
tuberosum corniculatus
4,8 Secale 5,6 Zea
cereale mais
5,8 Trifolium
repens
5,8 Triticum
vulgare

Suoli acidi organici: circa 150.000 ha.


I suoli acidi organici derivano da substrati pedogenetici rappresentati dai sedimenti di
torba.
209
La formazione delle torbe, nei nostri ambienti temperati, è dovuta ad accumulo di S.O. di
piante palustri in ambiente anaerobiotico.
Il materiale delle torbiere ha, normalmente, pH acido ma è possibile che sia anche neutro
od alcalino.
Le torbe possono derivare non solo dall’accumulo di piante palustri ma anche
dall’accumulo, sempre in ambiente anaerobiotico, di:
microrganismi e polline, in questo caso sono dette torbe microrganiche e hanno
consistenza da gelatinosa a cornea secondo se secche o idratate
sostanze organiche proveniente da altre torbiere in via di alterazione, in questo caso
sono dette torbe pelitiche.
Le torbiere possono essere di 2 tipi:
1) basse o di palude, dovute ad accumulo di piante fanerogame sviluppate in ambiente
relativamente ricco di elementi nutritivi come Arundo fragmites, Sirpus, Carex, Cyperus,
Juncus, Tipha, ecc..
2) alte, dovute ad accumulo di piante sporofite sviluppate in ambiente povero di elementi
nutritivi come Sphagnum, Eriophorium, Polytricum, Juniperium, ecc.
L’origine delle torbiere italiane risale all’ultima glaciazione quaternaria e sono poste in
vicinanza dei grandi laghi quaternari.
La formazione di una torbiera avviene in 3 fasi:
1) Sviluppo di Fanerogame nello stagno o palude con accumulo dei loro residui
indecomposti frammisti ai sedimenti terrosi portati dall’acqua che alimenta l’area umida.
È la formazione della torbiera bassa ad Arundo fragmites, Sirpus, Carex, Cyperus, Juncus,
Tipha, ecc .
2) L’aumento progressivo di questi residui fa scomparire la superficie libera dell’acqua e
la S.O. accumulata tende ad umificarsi per presenza di ossigeno.
Si ha una relativa instaurazione di condizioni più asciutte e la scomparsa delle precedenti
piante acquatiche che vengono rimpiazzate prima con specie erbacee tipo Calluna, Erica,
Molinea ecc.. e poi con specie arboree Alnus o ontano, Betula, Pinus, ecc.. .
3) Le piante arboree con il loro sviluppo limitano l’evaporazione per cui si ha il ritorno a
condizioni umide e sviluppo di piante con basse richieste nutritive.
È la formazione della torbiera alta con piante sporofite tipo Sphagnum, Eriophorium,
Polytricum, Juniperium, ecc.
La torbiere possono avere tutti questi 3 strati o solo alcuni.
Le torbiere, sotto un aspetto pratico, hanno anche i termini di: torbiere di pendio dovute
alla saturazione del suolo di acque povere di cationi provenienti da risorgive e torbiere
moreniche o di sbarramento dovute alla saturazione del suolo delle acque delle paludi o
dei laghi in via di formazione
Le torbiere alte, come le torbiere di pendio, sono caratterizzate da sedimenti formati da
piante poco esigenti sviluppate in acque povere di sali minerali e in ambiente fresco. I suoli
che ne derivano sono poveri e adatti a piante nettamente acidofile.
Le torbiere basse, più diffuse di quelle alte, sempre caratterizzate da sedimenti di piante
superiori sviluppate in acque ricche di sali minerali e in ambienti più relativamente più
caldi.
La fertilità dei suoli derivati dalle torbiere dipende dal rapporto tra frazione organica e
frazione inorganica.

210
Sotto l’aspetto agronomico più elevata è la frazione organica e minore è la fertilità come
accade nei suoli originatisi dalle torbiere alte e di pendio.
I suoli acidi organici torbosi sono detti: cuore se hanno una quantità di S.O. dal 20 al
50% e mezze-cuore se hanno una quantità di S.O. uguale o inferiore al 20%
I suoli torbosi in Italia sono presenti, ad es. , nel ferrarese, nella zona pontina nel Lazio,
nell’area prossima al palude di Bientina, nell’area prossima al palude di Massaciuccoli, e
nell’area prossima lago di Burano.
Questi suoli organici torbosi presentano: eccessiva permeabilità; bassa densità o peso
specifico reale e apparente; elevata sofficità per alta porosità; elevata elasticità al
costipamento; alta capacità idrica massima arrivando anche 600 % in peso; un punto di
appassimento che si manifesta quando l’acqua contenuta alla capacità di campo scende
del 30-40 %, tanto che questi suoli soffrono di aridità fisiologica; un riscaldamento lento
,quando asciutti, in quanto ricchi d’aria con bassa conducibilità termica e un
raffreddamento rapido, quando umidi, in quanto ricchi d’acqua con ottima conducibilità
termica. Quest’ ultimo aspetto li rende particolarmente soggetti al pericolo di gelate nella
stagione fredda.
Come accennato i suoli organici torbosi sono, in genere, acidi. Infatti il loro pH in acqua
oscilla tra circa 4,6 e 5,6. Questo non toglie che si possono trovare suoli torbosi con un pH
alcalino nella stagione calda. È il caso di suoli posti in prossimità della costa che sono
interessati da infiltrazione d’acqua marina. Acqua che, risalendo per capillarità nella
stagione calda, alcalinizza il suolo. Alcalinità che poi scompare nella stagione piovosa
autunno-invernale per dilavamento dei sali.
L’acidità nei suoli torbosi non è dovuta tanto agli acidi organici umici ma quanto ad acidi
inorganici come l’H2CO3 e, principalmente, all’H2SO4.
Infatti i substrati torbosi quando liberati dall’acqua sono soggetti a ossidazione della S.O. .
Questa ossidazione porta sia a produzione di H2CO3, derivante dalla liberazione di CO2,
sia alla produzione acido solforico proviene dalla degradazione delle proteine solforate,
come la cisteina e cistina. Infatti le proteine solforate contenute nei residui delle piante
palustri una volta ossidate produrranno idrogeno solforato o H2S che, solubile in acqua,
darà origine a solfuro di ferro ferroso o disolflsuro di ferro ferroso o FeS2 che si
concretizzerà in pirite o nella marcasite che differiscono per il sistema di cristallizzazione:
cubico nella pirite e rombico nella marcasite.
L’FeS2 sommerso non preoccupa ma quando il suolo viene bonificato ossia prosciugato si
ha formazione di H2SO4 per azione dell’O2 presente nell’aria tellurica secondo la reazione:
FeS2 + H2O + 7 O = FeSO4 + H2SO4 . Questa acidità inorganica dovuta ad acido solforico,
molto più pericolosa di quella dovuta all’acido carbonico, viene però ben controllata da
una efficiente regimazione idraulica agraria.
Messa a coltura dei suoli acidi organici torbosi.
La messa a coltura dei suoli acidi organici torbosi prevede:
1) la bonifica per prosciugamento, tenendo conto del calo di costipamento, per
allontanare l’acqua, causa dei sedimenti torbosi che hanno dato origine al suolo.
2) lavorazione del suolo delle aree bonificate con aratro.
L’aratura da origine alle motine ossia ad intrecci di materiale vegetale molto resistenti che
vengono portati in superficie: motine che vengono successivamente eliminate per via
meccanica. In passato le motine si eliminavano con il loro incendio quando, subito dopo
una pioggia, si asciugavano. In queste condizioni le motine prendevano fuoco mentre ciò
non accadeva al sottostante suolo torboso perché umido.
211
3) l’approntamento di una efficiente rete di sistemazioni idrauliche-agrarie collegate ai
canali della bonifica per prosciugamento.
4) alterne calcitazioni e letamazioni per innalzare il pH del suolo verso la neutralità e per
attivare l’Edafon.
Arrivati a questo punto i suoli torbosi hanno solo bisogno d’interventi di mantenimento
fatti con periodiche e alterne calcitazioni e letamazioni.
Se possibile è utile l’irrigazione, meglio con acque dure e torbide per presenza di argilla,
dato che l’acqua percolando elimina le sostanze tossiche connesse all’acidità.
Le colture da considerare per queste aree all’inizio della loro messa a coltura sono ad es.
: il trifoglio ladino, il trifoglio violetto, il ginestrino, il mais, la barbabietola, se presente
salsedine e il riso anche se non attiva microflora.

Suoli argillosi e argillosi-alcalini: circa 9.800.000.


I suoli argillosi e argilloso-alcalini presenti in Italia, che sono particolarmente diffusi nel
Piemonte, ai lati dell’Appennino, in Basilicata e in Sicilia, coprono circa 1/3 della
superficie nazionale ossia circa 9.800.000 ha.
Di questi 9.800.000 ha 6.500.000 derivano da suoli delle aree collinari originati dai
sedimenti del Pliocene dell’era terziaria e 3.300.000 da suoli delle aree pianeggianti evoluti
su sedimenti derivati dall’erosione delle formazioni collinari plioceniche.
Tutti questi suoli sono anomali per eccesso di argillosità o colloidismo avendo da circa il
30% fino al 70% di argilla, talvolta discrete quantità di limo e poca sabbia.
In particolare nei suoli argilloso-alcalini, che ammontano a circa 3.000.000 di ha, oltre
all’anomalia fisica si ha anche un’anomalia di tipo chimico dovuta ad alcalinità
costituzionale. Alcalinità costituzionale che, connessa al carbonato di cacio presente in
questi suoli dal 8 al 25% in peso, determina un pH alcalino costituzionale tra circa 7,5 e
8,4.
Questo pH deriva, dalle seguenti reazioni:
H2O + CO2 + CaCO3 > Ca(HCO3)2
Ca(HCO3)2 > Ca+2 + 2 HCO3-
2 H2O > 2 H+ + 2 OH-
2H+ + 2HCO3- ↔ 2 H2CO3
H2CO3 che tende ad rimanere indissociato non influenzando il pH.
Ca+2 + 2OH- ↔ Ca(OH)2
Ca(OH)2 che tende ad rimanere dissociato innalzando il pH.
Poiché la concentrazione di H+ in un suolo alcalino costituzionale è espressa dalla
seguente uguaglianza
H+ = K x [concentrazioneCO2/concentrazione di Ca(HCO3)2]
dove K è la costante di dissociazione del Ca(HCO3)2
deriva che l’acidità del suolo aumenta con l’incremento della CO2 nel suolo, ad es. per
maggiore ossidazione della S.O. e respirazione radicale e per diminuzione del bicarbonato
di calcio nel suolo, ad es. per il suo allontanamento tramite le acque di deflusso.
Il pH che presentano i suoli argilloso-alcalini non è particolarmente limitante né per le
colture né per microflora. Le loro problematiche agronomiche sono dovute essenzialmente
212
all’asfitticità e a connessi a fenomeni riducenti, alla bassa disponibilità della P2O5 e del
Fe+3 dovuto alla ricchezza di Ca+2. In questi suoli si possono trovare tracce di NaCl (circa
0,8 ‰) e di CaSO4 (circa 5 ‰) ma queste non sono limitanti per le piante agrarie .
Gli ambienti con suoli alcalino-argillosi, caratterizzati da carenza di piante arboree
spontanee specie nei versanti esposti a Sud, si ha una ricca toponomastica che deriva dalla
loro morfologia e colore: crete, biancane, mammelloni, calanchi, mattaioni, nicchie
La flora spontanea tipica di questi ambienti è data da Hedysarum coronarium o sulla,
leguminosa, Melilotus officinalis o meliloto, leguminosa, Ononis spinosa, leguminosa, Inula
viscosa, composite, Artemisia coerulescens, composite, Poterium sanguisorba, rosacea,
Atriplex portulacoides, chenopodiacea, Tamarix africana e Tamarix gallica, tamaricace.
Cenno sulla gestione agronomica dei suoli argilloso-alcalini.
Dalla uguaglianza prima riportata H+ = K x [CO2/Ca(HCO3)2] deriva che le prima citate
anomalie chimiche del suolo argilloso-alcalino non diminuiscono fino quando o la quantità
di bicarbonato di carbonato di calcio non si abbassa o la quantità di CO2 non si alza.
Per la riduzione del CaCO3 si evidenzia che per eliminarne solo l’1% occorrerebbe
apportare 20 t ha-1 di H2SO4 nel suolo ragion per cui l’uso correttivi acidificanti non è in
pratica proponibile.
In conseguenza di ciò per la coltivazione di questi suoli è fondamentale l’associazione
inscindibile “lavorazioni del suolo ordinare comuni e di rinnovo - regimazione idrica -
apporto di S.O.” .
Le lavorazioni devono essere fatte in tempera asciutta per avere maxi e micro strutture
ottimali e, quindi, per creare la massima porosità possibile. Con l’aumento della porosità
sia ha una maggior presenza O2 nel suolo e una diminuzione dei fenomeni riducenti, un
buon rapporto aria/acqua con incremento della fertilità fisica del suolo per aumento della
durata nel tempo degli aggregati con cementi argillosi.
La regimazione idrica, fatta con l’affossatura o con il drenaggio, deve essere ben
dimensiona e efficiente per permette di allontanare velocemente al massimo le acque e con
queste il Ca(HCO3)2 dal suolo.
L’apporto di S.O. nel suolo è importante per la produzione di CO2, per la formazione di
cementi organici e per l’incremento dell’attività della microflora con conseguentemente
per l’attivazione del ciclo degli elementi nutritivi.
L’apporto di S.O. , sia diretto con i fertilizzanti o concimi che indiretto con i residui
colturali, occorre che non sia connesso ad un profondo interramento poiché in questi suoli
tendenzialmente asfittici verrebbe mineralizzata con difficoltà.
Da evidenziare che in queste situazioni pedologiche la somministrazione del fosforo deve
essere fatta con concimi a reazione fisiologicamente o costituzionalmente acida distribuiti,
quando possibile, anche in modo localizzato.
Nel complesso le problematiche agronomiche di questi suoli non sono tanto di tipo chimico
, che per aspetti non sussistano, ma quanto di tipo fisico.
Suoli alomorfi.
Come premessa ai suoli alomorfi, cioè interessati dalla salinità in senso lato, vengono di
seguito riportati i seguenti parametri usati per la loro caratterizzazione agronomica.
 ‰ di sali contenuti nel suolo espressi come NaCl.

213
 Conduttività elettrica o Electrical Conductivity o ECe dell’estratto della pasta satura
del suolo.
 ESP o Exchangeable Sodium Percentage o % di Na+ sulla C.S.C. del suolo.
 pH del suolo.
‰ di sali contenuti nel suolo espressi come NaCl.
È considerata salinità dannosa per colture quando nel suolo si ha il 2,8 ‰ di sali espresso
come NaCl.
Quando la salinità nel suolo supera il 10-12 ‰ lo sviluppo delle colture è praticamente
impossibile.
Conduttività elettrica o Electrical Conductivity o ECe dell’estratto della pasta satura del
suolo.
Attualmente la salinità del suolo non si valuta tanto in ‰ di NaCl quanto come
conduttività elettrica o Electrical Conductivity o ECe dell’estratto della sua pasta satura
con rapporto 1:5 suolo-acqua.
La misura dell’ECe è fatta in deciSiemens m-1 (dS m-1) o in milliSiemens cm-1 (mS cm-1) o
in microSiemen cm-1 (µ µS cm-1) o con la misura anglosassone in mMoh cm-1 o µMoh cm-1.
In relazione a ciò si evidenzia che:
1dS m-1 = 1mS cm-1 =1.000 µS cm-1
1dS m-1 = 1 mMoh cm-1 = 1.000 µMoh cm-1
È considerata salinità dannosa per le colture quando l’ECe suolo è uguale o superiore a 4
dS m-1 o mS cm-1 o mMoh cm-1 o 4.000 µS cm-1 o 4.000 µMoh cm-1.
In base alla ECe, i suoli alomorfi sono classificati come nel seguente prospetto.
Classificazione dei suoli secondo la U.S. Salinity Laboratory staff dell’USDA (United States
Department of Agricolture).
Tipo di suolo ECe in dS m-1 o mS cm-1 o mMoh cm-1 ESP pH
Salino o salso >4 < 15 < 8,5
Sodico o alcalino <4 > 15 > 8,5
Salino-sodico o salso alcalino >4 > 15 < 8,5
Suolo salino o salso
Il suolo salino o salso ha una ECe > 4 dS m-1, un ESP < 15% e un pH < 8,5.
La crescita delle piante è ridotta e il suolo presenta bassa infiltrazione dell’acqua, stabilità
di struttura e aerazione del suolo.
A seguito dell’evaporazione dell’acqua di risalita capillare nel pieno del giorno su questo
suolo si hanno efflorescenze biancastre di sali, ad es. cloruri e solfati, portati in superficie
con formazione di una crosta biancastra sul suolo. Crosta biancastra che nelle prime ore
della mattina, dopo che di notte ha assorbito l’umidità atmosferica, diventa di colore più
scuro. Per tale ragione questo suolo era, in passato, detto alcale bianco o solonchak o white
alcali soil.

214
La bonifica del suolo salino si attua con la lisciviazione dei sali tramite l’acqua
d’irrigazione
L’acqua da usare per lisciviare un profilo di un suolo salino deve essere maggiore per
portare lo stesso profilo di suolo alla capacità di campo. La percentuale di acqua da usare
in più è calcolata tramite la seguente formula: (ECe dell’acqua irrigua: ECe dell’acqua di
drenaggio)x100. Questa quantità suppletiva è detta fabbisogno di lisciviazione.
Un modo empirico per la correzione è la lisciviazione del suolo con acqua in relazione allo
strato di suolo che si vuol dessalare. In base a questa regola apportando un’altezza
d’acqua pari al profilo da dessalare si riducono i sali del profilo di circa l’80%.
Suolo alcalino o sodico
Il solo alcalino o sodico suolo ha una ECe < 4 dS m-1, un ESP> 15% e un pH > 8,5.
Il suolo alcalino sono sotto l’aspetto agronomico il peggiore e il più degradato tra i suoli
alomorfi.
In questo suolo per dessalamento naturale,dovuto a dilavamento meteorico del cloruro di
sodio, si ha deflocculazione delle argille e dei composti umici per perdita dell’azione di
massa del catione.
In queste condizioni il suolo presenta lievi depressioni e i suoi pori si occludono sempre
più con il passar del tempo portando a bassa infiltrazione e permeabilità dell’acqua che,
nella stagione piovosa, determina ristagni idrici superficiali.
Otre a ciò sia ha un aumento del pH per formazione di Na2CO3 nella soluzione circolante e
uno spostamento degli umati di sodio verso l’alto o il basso secondo il prevalere
dell’evaporazione sulla percolazione. Se si accumulano in superficie si formano delle
concrezioni nere cha hanno fatto prendere in passato a questo suolo il nome di lcale nero
o solonetz o black alcali soil.
Per bonificare questi suoli occorre spostare il Na+ dal complesso di scambio. Per lo
spostamento del Na+ si usa apportare gesso agricolo. Tramite sale lo ione Ca2+ del solfato
sostituisce due ioni Na+. Sodio che viene poi allontanato con le acque di deflusso, connesse
a irrigazioni, raccolte delle affossature appositamente approntate nei campi.
Per la correzione tramite questo sistemasi usano da circa 3 a 10 t di gesso ha-1. Dopo
l’apporto di gesso si dilava il suolo con irrigazioni. Come correttivo può essere anche usato
solfo o acido solforico.
Suolo salino-sodico o salso alcalino.
Il suolo salino-sodico o salso alcalino è tra il più diffuso tra gli alomorfi. Questo ha una
ECe > 4 dS m-1, un ESP > 15% e un pH < 8,5.
La crescita delle piante in questo tipo di suolo è danneggiata sia dall’eccesso di sali solubili
in generale sia, in particolare, dall’eccesso di ioni Na+. Se non gestiti in modo
agronomicamente corretto si evolvono naturalmente in suoli alcalini. La correzione di
questo suolo si basa su gli stessi principi ed uso di prodotti indicati per il suolo alcalino.
Anche i suoli alomorfi hanno una caratteristica flora spontanea.
Quando la salinità è elevata si osservano le Chenopodiacea Salicornia erbacea, la più
resistente al sodio, Salsola soda, Salsola kali, Suaeda frutticosa e Suaeda marittima.
Quando la salinità tende a diminuire compaiono altre chenopodiacee come l’Atriplex
portulacoides , Atriplex halimus e la Plumbaginacea Statice limonium.
Nella fase di dessalamento del suolo si sviluppano tappeti erbosi delle Graminacee
Aeluropus litoralis o gramignone e Piccinella o Glyceria distans var. tenuis o festucaeformis
che possono essere pascolate quando il suolo è asciutto.
215
La messa a coltura dei suoli alomorfi prevede:
 la bonifica idraulica approntamento di una efficiente rete di affossature
 lavorazione ordinaria di rinnovo o comune medio-profonda prima del periodo più
piovoso dell’anno per dilavare il sodio da suolo
In relazione a quest’ultimo aspetto il suolo lavorato consente una maggiore infiltrazione
dell’acqua di pioggia. L’acqua una volta infiltrata si dissocia: H2O > H++ OH- .
Lo ione H+ porta al progressivo spostamento del sodio dal complesso di scambio
determinando i seguenti due fenomeni:
 deflocculazione dell’argille
 aumento del sodio nella soluzione circolante e sua riduzione sul complesso di scambio
con innalzamento del pH per formazione di carbonato di sodio.
Ciò è evidenziato nelle seguenti semplici figure e reazioni.
Suolo salso con argilla flocculata Suolo salso con argilla deflocculata

Na Na Na H

Argilla
Argilla 2 H+ + 2 OH- 2 Na+ + 2 OH-
a
a
H Na
Na Na
2NaOH + H2O + CO2 > 2NaOH + H2CO3
2NaOH + H2CO3 > Na2CO3 + 2HO-
Na2CO3 + 2H2O > H2CO3 + 2Na + 2OH-
Fatta la lavorazione ordinaria, si interviene con lavori complementari per evitare la
risalita dell’acqua capillare. In questa fase si possono formare tappeti delle graminacee
pascolabili Piccinella o Glyceria distans var. tenuis o festucaeformis e Aeluropus litoralis
Giunti a questo punto si interviene con, la correzione dei suoli. La correzione ha come
obiettivi principali:
a) La sostituzione del Na+ sul complesso di scambio con altro catione e suo
allontanamento per dilavamento con le acque di drenaggio
b) trasformazione del carbonato e bicarbonato di sodio in sali facilmente dilavabili
c) riequilibrio tra i cationi sul complesso di scambio
d) eliminare la deflocculazione dei colloidi argillosi
e) instaurazione di un pH più sostenibile per le specie agrarie

Per la correzione dei suoli sodici viene, come in precedenza accennato, utilizzato
solitamente il gesso agricolo o CaSO4 2H2O per la sua efficacia e il suo costo sostenibile.
Questa operazione viene detta gessatura.
Da un punto di vista chimico l’azione del gesso si basa su:
 trasformare il carbonato di sodio presente nella soluzione circolante in carbonato di
calcio e solfato di sodio, quest’ultimo facilmente dilavabile, secondo la seguente reazione:
Na2CO3 + CaSO4 → Na2SO4 + CaCO3
 sostituire l’Na+ presente sul complesso di scambio con il Ca+2 secondo questa azione:
Argilla-2Na + CaSO4 = Argilla-Ca + Na2SO4
216
L’azione del gesso è anche molto utile nei confronti dell’argilla in quanto il calcio da
questo apportato, sostituendo il sodio sul complesso di scambio, come di seguito
semplicemente evidenziato, determina una sua buona flocculazione.
Uso del gesso come correttivo
Na
Ca CaSO4
Argilla + CaSO4 Argilla
Na
Lisciviato con acqua
Per la correzione dei suoli alomorfi sono utilizzabili, come pina citato, anche S elementare
e H2SO4 come altri prodotti tipo CaCl2 , FeSO4 e Ca(NO3)2.
Nel caso dell’uso di S elementare questo si trasforma in H2SO4 per opera dei tiobatteri del
suolo. L’impiego dello zolfo è stato proposto in particolar modo negli Stati Uniti (S.
Joaquin Valley, California) dove la distribuzione di 4 t ha-l di S ebbero effetti superiori a
quelli di una gessatura di 27 t ha-l. Lo zolfo, trasformato in acido solforico dai tiobatteri
ha il seguente effetto diretto sul carbonato di sodio : 2S + 3O2 + 2H2O = H2SO4; Na2CO3 +
H2SO4 = Na2SO4 + H2O + CO2 . Lo zolfo è comunque un prodotto costoso e richiede un
certo tempo per la sua trasformazione ad acido solforico.
L’aggiunta nei suoli alomorfi di CaCl2 o di Ca(NO3)2 o di FeSO4 porta alla formazione dal
Na2CO3 o di NaCl o di Na NO3 o di Na2SO4, tutti sali ad idrolisi non alcalina facilmente
dilavabili, come dalle seguenti rispettive reazioni
CaCl2 + Na2CO3 > 2NaCl + CaCO3
Ca(NO3)2 + Na2CO3 > 2Na NO3 + CaCO3
FeSO4 + Na2CO3 > FeCO3 + Na2SO4
ma è il costo di questi prodotti a renderli usualmente non proponibili.
Alla gessatura seguono interventi di manutenzione annuale delle scoline, di apporto di
letame al suolo per attivarne la microflora e, se possibile, dove questo coltivato,
irrigazioni anche a sommersione come quella per la coltivazione del riso.
Nei suoli messi a coltura in un primo momento il pH può salire ma successivamente, nel
tempo, la % di Na+ sul complesso di scambio colloidale e la ECe si abbasseranno.
In fase di coltivazione sui suoli alomorfi sono adatte, in base al loro progressivo grado di
dessalamento le seguenti colture: erbai autunno-vernini, avena, frumento, barbabietola ed
l’orzo. Circa le colture foraggere è da osservare che l’erba medica quando è allo stadio
giovanile resiste poco alla salinità, solo allo 0,6 ‰ , rispetto a quando adulta e che è
particolarmente resistente il trifoglio alessandrino.
Circa le riduzioni della produzione di alcune colture dovute alla salinità espressa come
ECe in mS cm-1, nella seguente tabella viene riportato il valore di quest’ultima in
corrispondenza di una sua diminuzione del 10 %.
Riduzione della produzione del 10% di alcune colture dovuta alla salinità.
Coltura ECe in mS cm-1
erba medica adulta 3,4
frumento 7,4
barbabietola 8,7
orzo 10
trifoglio alessandrino 10,3

217
In particolare circa i suoli salso-alcalini, i più diffusi tra i suoli alomorfi con circa 130.000
ha, questi possono avere due origini.
A) Una origine continentale per accumulo di acque salse. Vedi le valli mirandolesi in
Emilia
Romagna, Poggio Rusco in Lombardia e in corrispondenza dei depositi del fiume Secchia
in Emilia Romagna.
B) Origine marina. Vedi le aree una volta sommerse dal mare o i comprensori irrigati con
acque salmastre oggi sono in fase si di espansione lungo le coste.
Irrigazione
L’irrigazione può avere le seguenti funzioni: umettante, per soddisfare
l’evapotraspirazione delle colture; fertilizzante, per apportare elementi nutritivi;
dilavante, per ridurre la salinità del suolo; termica, per favorire la crescita e/o lo sviluppo
delle colture; antiparassitaria, per lottare contro i parassiti vegetali; sussidiaria per
facilitare alcune tecniche agronomiche; climatizzante, per favorire la radicazione delle
talee.
L’agricoltura è il settore produttivo che utilizza più acqua di tutti gli altri. L’irrigazione
dei suoli agricoli assorbe circa il 70% dell’acqua impiegata nel mondo.
L’acqua usata in agricoltura proviene da fonti naturali o alternative.
Le fonti naturali includono l’acqua piovana e l’acqua superficiale (fiumi e laghi) e
profonda (pozzi).
Le fonti alternative sono rappresentate dei centri abitati o strutture gestite dall’uomo da
cui derivano acque reflue prive di sostanze e microrganismi nocivi alla salute e
all’ambiente. La riutilizzazione dell’acqua reflue per l’irrigazione è una pratica diffusa in
tutto il mondo. In Europa, per es., dal 1997 esiste un progetto, in Clermont-Ferrand,
Francia, dove più di 10.000 m3 di acqua reflua urbana al giorno sono riutilizzati per
l’irrigazione di 700 Ha di mais. Anche in Italia più di 4.000 ha di colture varie sono
irrigate con acqua riciclata..
In particolare l’irrigazione umettante, la più importante tra le sue diverse funzioni, può
essere : normale, di soccorso e ausiliaria.
Quella normale, fatta per gran parte del ciclo colturale delle piante agrarie, ha lo scopo di
portare nel suolo quella quantità di acqua necessaria per la massima produzione di
biomassa e quindi per la massima resa unitaria.
Quella di soccorso è fatta per portare acqua nel suolo quando questa è prossima ad una
quantità vicina a quella corrispondente al punto di appassimento. L’interevento irriguo di
soccorso è particolarmente importante in coincidenza di alcuni momenti critici come la
fioritura e la formazione dei semi o dei frutti.
Quella ausiliaria è fatta per assicurare la riuscita di alcune fasi colturali come la
germinazione semi e emergenza delle plantule, l’ attecchimento delle piante trapiantate,
ecc.. .
Per effettuare l’irrigazione di tipo umettante occorre fare uno studio preliminare dell’area
in oggetto prendendo in esame: il clima dell’area agricola in oggetto, il tipo di suolo e la
qualità dell’acqua disponibile.
Per il clima è importante avere dati influenti sulla ETP e i dati riguardanti la piovosità
come quantità totale, frequenza, intensità e loro probabilità di frequenza nei vari momenti
critici dell’anno.

218
Per il suolo è importante avere informazioni su : caratteristiche topografiche come
pendenza, regolarità della superficie, possibilità di regimazione idrica, ecc..; spessore e
permeabilità del profilo del suolo; caratteristiche chimiche come salinità e natura dei sali
presenti, pH,ecc...; caratteristiche fisiche come la stabilità di struttura e la crepacciabilità;
caratteristiche idrologiche come l’acqua utilizzabile o AWC e velocità di infiltrazione;
fattori economici connessi alla sua produttività, ai costi per l’adattamento all’irrigazione,
ecc.. . In base alla velocità infiltrazione del suolo questo può essere diviso, secondo Bauzil,
in 4 classi di suscettibilità all’irrigazione come riportato nella seguente tabella.
Suscettibilità del suolo all’irrigazione in base alla velocità d’infiltrazione.
> 180 mmh-1 Suolo con eccessiva velocità d’infiltrazione irrigabile con difficoltà.
-1
180 - 18 mmh Suolo adatto all’irrigazione.
-1
18 - 3,6 mmh Suolo con limitata velocità d’infiltrazione irrigabile con difficoltà.
-1
< 3,6 mmh Suolo con velocità d’infiltrazione molto bassa difficile da irrigare.
Per la qualità dell’acqua è importante avere dati su: temperatura. In estate si dicono
fredde le acque che hanno temperature < 15 ° C; pH. Il pH (dal latino pondus hydrogenii)
dell’acqua per irrigazione è bene che, eccetto su suoli anomali, sia prossima alla
neutralità; quantità di solidi sospesi. È bene usare, eccetto per scopi particolari, acque con
un coefficiente di torbidità molto basso ossia con bassa quantità di materiali terrosi in
sospensione espressi in g l-1; quantità di sostanze tossiche inorganiche e organiche. Alcuni
microelementi come il Boro alla concentrazione di 0,3-1 ppm e il Cloro alla concertazione
di 2-4 meq l-1 sono nocivi per certe colture; la quantità o concentrazione di sali disciolti
nell’acqua è importante per evitare danni al del suolo e alle colture; S.A.R o Sodium
Absorption Ratio che indica il valore della concentrazione nell’acqua del sodio rispetto a
quella del calcio e del magnesio calcolato nel seguente modo Na+/√ √(Ca2+ + Mg2+)/2 dove
Na+ Ca2+ Mg2+ sono espressi in meq l-1; l’anione carbonato e bicarbonato poiché alte
concentrazioni di carbonato (CO32-) e di bicarbonato (HCO3-) nell’acqua irrigua
aumentano il SAR.
Alcuni brevi cenni di tecnica irrigua.
Punto di partenza per il calcolo del fabbisogno irriguo è la richiesta idrica totale in base
all’ETP e ai Coefficienti colturali o Kc espressa come altezza in mm di acqua al giorno o
per decade. Nella tabella di seguito riportata i Kc di alcune colture nello stadio (3)
intermedio (dallo sviluppo ad inizio maturazione) e nello stadio (4) finale (da inizio a
maturazione completa) in diverse condizioni climatiche.
Coltura Stadio Umidità relativa
> 70% < 20%
Velocità del vento m s-1
0-5 5-8 0-5 5-8
Frumento e cereali minori 3 1,05 1,10 1,15 1,20
4 0,25 0,25 0,20 0,20
Mais da granella 3 1,05 1,10 1,15 1,20
4 0,50 0,50 0,60 0,60
Sorgo 3 1,05 1,10 1,15 1,20
4 0,50 0,50 0,55 0,55
Barbabietola 3 1,05 1,10 1,15 1,20
4 0,90 0,95 1,00 1,00
Girasole 3 1,05 1,10 1,15 1,20
4 0,40 0,40 0,35 0,35
219
Un impianto irriguo deve essere progettato tenendo conto della sua efficienza ossia della
percentuale di acqua che effettivamente giunge sull’area da irrigare considerando la
tecnica irrigua usata.
Solitamente l’efficienza non è mai pari a il 100 %, ovvero uguale ad 1, ma inferiore.
Questo perché vi sono perdite di acqua durante la sua distribuzione, per evaporazione o
ruscellamento superficiale, ecc.. .
L’efficienza di irrigazione varia molto secondo i sistemi irrigui andando da valori vicini
ad 1, come nell’irrigazione a goccia, fino a 0,5 nei sistemi e nei casi peggiori.
Se, ad esempio, il fabbisogno irriguo calcolato è di 5 mm d-1 e l’efficienza del sistema
irriguo è 0,8, la quantità che realmente si dovrà avere a disposizione sarà: 5:0,8 = 6 mm d-
1
.
Questo è fondamentale per la stima a livello aziendale della quantità di acqua per l’intera
stagione irrigua.

Sistemi irrigui
I sistemi utilizzati per distribuire l’acqua dipendono da diversi fattori tra i quali la dose,
la qualità delle acque, il tipo di suolo e di coltura, le caratteristiche climatiche, ecc.. .
I fondamentali sistemi irrigui sono per scorrimento, infiltrazione laterale, sommersione,
per subirrigazione o irrigazione sotterranea, aspersione, a goccia o localizzata.
Di seguito si accennerà solo all’irrigazione per aspersione data la sua diffusione,
economicità di gestione e ampia adattabilità a suoli e colture.
Il sistema per aspersione o a pioggia consiste nel far cadere dall’alto sulle colture e sul
suolo acqua più o meno finemente suddivisa.
Di seguito alcuni principali vantaggi presentati da questo sistema irriguo:può essere
impiegato su qualsiasi tipo di suolo anche se molto permeabile; non necessita di alcuna
modificazione della superficie da irrigare; porta indirettamente al riscaldamento e
all’ossigenazione dell’acqua distribuita; è la migliore tecnica per l’irrigazione ausiliaria;
ha uno dei più alti indici di efficienza: circa 0,8- 0,9; consente economia di manodopera in
quanto può essere completamente automatizzato; permette di usare portate molto basse.
Accanto a questi pregi si trovano anche dei difetti quali : compattamento del suolo, in
particolare quando l’intensità della pioggia è eccessiva; elevato prezzo d’acquisto
dell’attrezzatura e relativo costo di manutenzione e di ammortamento; in giornate ventose
la distribuzione dell’acqua non è regolare; durante la distribuzione si ha perdita di acqua
per evaporazione; sistema poco adatto per la distribuzione di acque torbide o con
contenuto elevato in Sali; causa problemi se usato in particolari stadi vegetativi come, ad
es. , durante la fioritura del mais; stimolo allo sviluppo delle infestanti.
L’impianto irriguo a pioggia è costituito dalla seguenti parti :
- gruppo motore-pompa che fornisce l’acqua con adeguata pressione agli irrigatori
- condotte dell’acqua sotto pressione: mobili, semi fisse e fisse
- irrigatori o aspersori che possono essere statici o dinamici
Gli irrigatori statici, principalmente usati per vivai, aree ricreative, ecc.. hanno ugelli di
piccolo diametro (circa 1 mm) che lasciano zampillare l’acqua fuori dalla tubazione.
La pressione d’esercizio è bassa, circa 1 bar o meno, l’intensità della pioggia piuttosto alta
così come lo è la possibilità di occlusione degli orifizi.
Gli irrigatori dinamici, usati per le colture di pieno campo, sono di tipo rotativo. Questi
sono costituiti da:
1) un tubo di collegamento alla condotta di adduzione dell’acqua
220
2) una porzione per il lancio dell’acqua, detta irrigatore, inclinata di circa 35°
sull’orizzontale con strozzatura progressiva del diametro dell’ugello fino a 10-30 mm
3) un dispositivo rompigetto che serve ad assicurare la frantumazione del getto d’acqua
per migliore la sua distribuzione sul campo
4) un meccanismo di rotazione, completo o settoriale, attorno all’asse verticale
dell’irrigatore che sfrutta la forza del getto stesso.
Irrigatore rotativo dinamico monogetto a braccio oscillante per irrigazione settoriale

Da F. e U. Bonciarelli

Schema di impianto con irrigazione a pioggia semi fisso

Da F. e U. Bonciarelli

Le caratteristiche più importanti che contraddistinguono gli irrigatori rotativi sono le


seguenti:
Pressione d’esercizio. In base a ciò vi sono irrigatori a:
- bassa pressione, da 1 a 3 bar o 0,98 - 2,94 atm (1 bar = 0,986 atm)
- media pressione, da 3 a 5 bar o 2,94 - 4,9 atm
- alta pressione, > a 5 bar o 4,9 atm
Con l’aumento della pressione si ha una gittata più lunga ma però è necessario una
maggiore potenza del gruppo motore-pompa che comporta una gestione dell’impianto più
costosa.
Intensità di pioggia (1 mm di acqua h-1 ha-1 = 10 m3 di acqua h-1 ha-1).
In base a ciò vi sono irrigatori ad intensità :
- bassissima, < 1 mm h-1, adatti per irrigazione antibrina
- bassa, da 3 a 5 mm h-1
- media, da 5 a 10 mm h-1
- alta, da 10 a 15 mm h-1

221
La scelta di questo parametro deve essere fatta in modo che l’irrigazione non apporti una
quantità d’acqua superiore alla velocità d’infiltrazione, pena danni alle colture e al suolo
come ristagno superficiale, ruscellamento, erosione, ecc.. .
Solitamente nei suoli sciolti possono essere usati irrigatori a media o alta intensità mentre
in quelli argillosi è bene usare quelli a bassa intensità.
Gittata o lunghezza del getto di pioggia. In base a ciò vi sono irrigatori a gittata:
- corta, fino a 20 m
- media, da 20 a 40 m
- lunga, > a 40 m
Gli irrigatori a lunga gittata hanno degli inconvenienti economici ed agronomici: costo
elevato, irregolarità di distribuzione in caso di vento, con forte azione battente dell’acqua
sul suolo con demolizione degli aggregati strutturali, ecc.. .
Portata.
La portata è la quantità di acqua erogata nell’unità di tempo. Si esprime in l s-1 e oscilla
generalmente da 0,5 a 7 l s-1.
Gli irrigatori più usati in Italia sono quelli: a media pressione e gittata, con portata
superiore a 2 l s-1, con ugelli con diametro da 12-18 mm e con intensità di pioggia da 10 a
15 mm h-1 .
Altro elemento importante è la disposizione e la distanza a cui devono essere messi gli
irrigatori tra loro dato che non deve essere lasciata nessuna zona scoperta.
La disposizione degli irrigatori dipende molto dalla velocità del vento che interessa la zona
irrigua: più la velocità del vento è elevata e relativamente minore deve essere la distanza
tra due irrigatori per avere la stesso coefficiente di uniformità di bagnatura del suolo.
Possibili disposizioni degli irrigatori

Da F. e U. Bonciarelli

Nell’ultimo decennio si sono notevolmente diffusi gli impianti irrigui mobili di tipo
avvolgente detti, dai pratici, rotoloni.
222
Questi sono caratterizzati da un irrigatore rotativo di notevole gittata, montato su una
struttura con ruote o con slitta, attaccato ad una lunga tubazione flessibile che lo alimenta
e che si avvolge e svolge su a una grossa bobina montata su un carrello.
All’inizio dell’irrigazione la bobina avvolta sul carrello e la struttura a slitta o a ruote con
l’irrigatore viene messo sulla testata del campo da irrigare.
Fatto ciò l’irrigatore, sostenuto dalla struttura portante, viene spostato in fondo al campo
da irrigare srotolando in questo modo il tubo flessibile della bobina per tutta la sua
lunghezza.
Allacciato poi l’irrigatore al gruppo motore-pompa che lo alimenta, ha inizio
l’irrigazione.
Irrigando, questo indietreggia lentamente richiamata dal tubo flessibile che si riavvolge
automaticamente sulla bobina fino a termine dell’operazione.

Impianto irriguo non fisso di tipo avvolgente

Impianto irriguo non fisso di tipo avvolgente

223
Impianto irriguo per aspersione non fisso

Per stabilire quando fare l’irrigazione occorre effettuare il bilancio idrico del suolo.
Questo consiste nel valutare le variazioni della sua riserva idrica in base alle :
a) voci in entrata ossia agli apporti idrici al netto delle perdite
b) voci in uscita ossia all’evapotraspirazione della coltura.
Infatti solo quando la riserva idrica del suolo scende sotto di un determinato valore è
opportuno reintegrarla con un intervento irriguo.
Per tale scopo è utilizzata l’equazione del bilancio idrico:
P + I + W + Af - R - D - ET = 0
Dove i termini, espressi in mm, sono: P = precipitazione piovosa , I = acqua di irrigazione ,
W = variazione del contenuto idrico dello strato di suolo relativo alla profondità del suolo
da tenere in condizioni idriche adeguate per avere una produzione agro-economicamente
valida, Af = apporto idrico dalla falda freatica , R = acqua persa per ruscellamento , D =
acqua persa per percolazione, ET = acqua persa per evaporazione e traspirazione
L’esattezza del momento quando fare l’irrigazione dipende dalla accuratezza con cui sono
misurati e/o stimati i termini del bilancio.

224
Le principali problematiche nella determinazione del bilancio idrico sono connesse alla
determinazione:
1. della pioggia effettivamente utile o Pu
2. dell’apporto idrico di falda
3. delle perdite per ruscellamento e/o percolazione
4. della stima dell’evapotraspirazione
5. della stima dell’umidità del suolo
6. della individuazione dello strato di suolo interessato alle variazioni idriche
7. della % di riduzione dell’AWC del suolo a cui far corrispondere l’inizio
dell’intervento irriguo
8. dell’efficienza irrigua.
Ipotizzando che i punti 1-6 e 8 sopra riporti siano noti e che l’irrigazione si effettui quando
l’AWC del suolo è circa il 50 % della sua quantità, il periodo considerato va dal 1 luglio
al 29 agosto, l’ET e la Pu sono valutate ogni 3 giorni, per stabilire quando irrigare e il
relativo volume di adacquamento,si procede come nel seguente esempio relativo ad una
coltura X.
Calcolo per l’intervento irriguo
Dati base.
- 1 mm (0,001 m) di acqua di pioggia caduta o evaporata da 1 ettaro corrisponde a 10 m3
(10.000 x 0,001 = 10 m3)
- 1 m3 = 1.000 litri = 1.000 kg (supposto 1 la densità dell’acqua) = 1 t
- 1 mm = 10 m3 = 10 t
- strato o profilo di suolo interessato dall’apporto idrico = 0-0,35 m
- peso specifico apparente del suolo o PSa = 1,2
- peso dell’acqua nel suolo alla capacità di campo (Cc) = 30 % del peso secco del suolo
- peso dell’acqua nel suolo al punto di appassimento o Pa = 10 % del peso secco del suolo
- acqua contenuta alla Cc = 10.000 m2 x 0,35 x 1,2 x 0,3 = 1.260 t di acqua = 126 mm
- acqua contenuta alla Pa = 10.000 m2 x 0,35 x 1,2 x 0,1 = 420 t di acqua = 42 mm
- inizio intervento irriguo quando l’AWC del profilo 0-0,35 m del suolo è circa il 50%
ossia quando è circa 42 mm di acqua ( 1.260 - 420 = 840 t = 84 mm : 2 = 42 mm ).
- 31 giugno presenza di pioggia che ha ricaricato completamente il suolo fino alla Cc.
- in mm d’acqua distribuita (V) con l’intervento irriguo saranno in numero tale che
l’AWC del profilo del suolo non verrà ripristinata.
- l’irrigazione avviene dopo il tramonto del sole.
Data ET in mm Pu in mm (ET+Pu) in mm Σ mm( ET+Pu) V in mm
01-03/07 -17 15 -2 -2
04-06/″″ -16 10 -6 -8
07-09/″″ -19 0 -19 -27
10-12/″″ -20 0 -20 -47 47
13-15/″″ -21 0 -21 21
16-18/″″ -20 20 0 21
19-21/″″ -23 15 -8 29
22-24/″″ -24 0 - 24 -53 53
25-27/″″ -23 0 -23 23
28-30/″″ -20 0 -20 -43 43
225
31/7-02/08 -18 30 0 (12 mm persi) 0
03-05/″″ -18 35 0 (17 mm persi) 0
06-08/″″ -17 0 -17 -17
09-11/″″ -16 0 -16 -33
12-14/″″ -15 33 -15 -15
15-17/″″ -16 0 -16 -31
18-20/″″ -15 0 -15 -46 46
21-23/″″ -14 0 -14 -14
24-26/″″ -15 0 -15 -29
27-29/″″ -13 0 -13 - 42 42

Procedimento per la determinazione della 1° irrigazione.


- 01/07-03/07 sia ha una ET di 17 mm, una pioggia utile di 15 mm e perdita netta di 2
mm di AWC del suolo
- 03/07-06/07 si ha una ET di 16 mm, una pioggia utile di 10 mm e perdita netta di 6 mm
di AWC nel suolo che sommata alla precedente ammonta a 8 mm
- 06/07-09/07 si ha una ET di 19 mm, una pioggia utile di 0 mm e perdita netta di 19 mm
di AWC nel suolo che sommati ai precedenti 8 mm ammonta a 27 mm
- 09/07-12/07 si ha una ET di 20 mm, una pioggia utile di 0 mm e perdita di 20 mm di
AWC nel suolo che sommata ai precedenti 27 mm ammonta a 47 mm
Giunti a questo valore si irriga perché si è superato il 50% dell’AWC con 47 mm di acqua
in quanto questa è la quantità l’acqua che per ristabilire completamente l’AWC. Se
fossero distribuiti una quantità di mm di acqua maggiori a 47 l’eccedenza non verrebbe
immagazzinata nel suolo ma persa per percolamento.
Per stabilire il momento dei successivi intervento irrigui si procederà come sopra,
considerando che il 12/07 l’AWC è stata completamente ristabilita.

Appendice
Unità di misura ed equivalenze.
Concentrazione di soluzioni acquose
1 mole -1= 1.000 mmoli l-1
1 kg m-3= 1 g l-1
1 mg l-1= 1 ppm
Peso
1 t = 10 q = 1000 kg
1 kg = 1.000 g = 1.000.000 mg
Precipitazioni (pioggia)
1 mm = 1 l m-2= 10 m3 ha-1
1 pollice (inch) = 25 mm
Pressione
1 bar = 1.00.000 Pa (Pascal)
1 millibar = 100 Pa
1 atmosfera = 101,325 Pa
1 mm Hg = 133,3224 Pa
1 hPa = 100 Pa
1 kPa = 1.000 Pa
226
Radiazione solare
1 W m-2= 1 J m-2 s
1 W m-2= 1,43 10-3cal cm-2 min
1 cal cm-2 s = 41,880 W/ m-2
1 cal cm-2 min = 698 W m-2
1 cal m-2 = 4,185 103 J m-2
Superficie
1 ha = 10.000 m-2
1 m-2 = 10.000 cm-2
Prefissi multipli e sottomultipli dell’unità di peso del Sistema Internazionale (g = grammo)
Sottomultipli Prefisso Simbolo
10-1 deci d 0,1 g
10-2 centi c 0,01 g
10-3 milli m 0,001g
-6
10 micro m
-9
10 nano n
10-12 pico p
10-15 femto f
-18
10 atto a
Multipli Prefisso Simbolo
10 deca da 10 g
102 etto h 100 g
103 kilo k 1.000 g
6
10 mega M
9
10 giga G
12
10 tera T
1015 peta P
18
10 esa E

227
Frumento - Famiglia Poacee o Graminacee - Triticum spp. .
Il frumento è stata una delle prime piante ad essere coltivata dall’uomo circa 11.000 di
anni fa, nel Neolitico, nel vicino e medio Oriente.
Attualmente è il cereale più coltivato nel mondo con circa 224 milioni di ha.
In Italia nel 2005 il frumento aveva una superficie di 2.120.000 ha: in leggero regresso
rispetto al 2001.
Il frumento è utilizzato, oltre che per la produzione di farina per la panificazione e la
pastificazione, nell’alimentazione animale e come coltura a perdere per gli animali
selvatici.
Con la macinazione della granella si ottengono le seguenti tre frazioni: l’endosperma
amilifero, da cui si ricava la farina, l’ embrione o germe, ricco di grassi usato per la
mangimistica e nell’industria e la crusca, utilizzata nell’alimentazione animale e nella
produzione di prodotti dietetici, costituita dai tegumenti della granella.
Al genere Triticum appartengono 9 specie di frumento tra cui quelle con il patrimonio
genetico:
- diploide (2n = 14) come il Triticum monococcum o piccolo farro
- tetraploide (2n = 28) come il Triticum durum o frumento duro, il Triticum dicoccum o
farro, Triticum turgidum o frumento turgido
- esaploide (2n = 42) come il Triticum aestivum o frumento tenero e il Triticum spelta o
gran farro
Il Triticum monococcum, dicoccum e spelta sono detti grani vestiti dato che, nella
trebbiatura, il rachide della spiga si disarticola facilmente e le glume e le glumette
rimangono aderenti alle cariossidi (vedi oltre)che in questo modo risultano vestite.
Il Triticum aestivum e durum, i maggiori per diffusione e produzione a livello mondiale,
sono detti frumenti nudi dato che le cariossidi , dopo la trebbiatura, non presentano
glume e glumette.
Triticum aestivum e durum: morfologia.
Frutto: cariosside.
La cariosside ha forma allungata e sezione trasversale rotondeggiante/sub-triangolare.

Cariosside di frumento

228
La cariosside è un frutto vestito indeiscente uniseminato poiché i tessuti del pericarpo
sono concresciuti con quelli del seme.
La cariosside è costituita da:
⌦embrione, circa il 3% del suo peso;
⌦endosperma amilaceo circa l’88% del suo in peso;
⌦tegumenti, circa l’ 9% del suo peso, rappresentati dello spermoderma e il pericarpo.
1.000 cariossidi pesano circa 30-40 g ossia 30-40 mg a cariosside nel frumento tenero e 30-
55 g ovvero 30-55 mg a cariosside nel frumento duro.
La cariosside nella parte opposta all’embrione presenta un ciuffetto di tricomi o peli.
L’Apparato radicale
L’Apparato radicale è di tipo fascicolato.
Nel frumento si hanno:
- radici primarie o embrionali, fino a 5-7, che pur restano vitali per tutto il ciclo
vegetativo della pianta servono principalmente nel primo periodo della sua vita.
- radici secondarie o avventizie che si sviluppano nella fase di accestimento dai nodi basali
del culmo principale e da culmi secondari prossimi al suolo.
Queste saranno poi predominanti sulle radici primarie e più importanti di queste nell’
l’assorbimento dell’acqua e degli elementi nutritivi.
L’apparato radicale nella pianta adulta può giungere e superare 1,5 m di profondità.
Fusto o culmo
Il culmo è cilindrico, costituito da circa 5-8 nodi dai quali si diparte una foglia e altrettanti
internodi internamente cavi, eccetto nel frumento duro dove l’ultimo internodo è pieno.
L’altezza del culmo principale oscilla, secondo le varietà o cv., tra circa 180 cm, in quelle
vecchie e circa 90 cm, in quelle nuove.
Nella prima fase giovanile, ovvero nella fase di accestimento, il frumento, presenta un
fusto raccorciato di pochi mm poiché i nodi sono vicinissimi tra loro.
Ogni nodo presenta un meristema che in un certo momento del ciclo vitale, ovvero nella
fase di levata, entra in attività provocando l’allungamento del relativo internodo.
Gli internodi basali sono i primi ad allungarsi.
Dato che all’ascella delle foglie sono presenti delle gemme, che daranno origine ad altri
culmi, al fusto principale se ne aggiungeranno dei nuovi: nelle cv. moderne mediamente
da 2 a 3. Questi culmi detti secondari di 1°, 2°, 3° ordine, ecc.. si formano nella fase di
accestimento e il loro numero, oltre che dalla cv. , è connesso alle tecniche colturali e alle
caratteristiche ambientali.
Apparato fogliare
All’emergenza una struttura detta coleoptile, che è una foglia trasformata, incappuccia e
riveste l’apice caulinare o piumetta con lo scopo di proteggerlo durante l’emergenza.
Qualche giorno dopo l’emergenza la prima foglia vera fora il coleoptile e inizia a
fotosintetizzare. Le successive foglie che si formano sono inserite sui nodi con disposizione
alterna. Il n° totale delle foglie è circa 5-8 e il colore è verde più o meno intenso o
glaucescente se presente un sottile strato ceroso.
Ogni foglia è costituita da: una guaina che abbraccia il completamente il fusto; due
auricole (zona del collare); una ligula ; una lamina parallelinervia.

229
Particolare di foglia di frumento: lamina, guaina, ligula grossolanamente dentellata e
auricole o orecchiette pelose.

Da F. ed U. Bonciarelli

L’ultima foglia che si forma, quella subito sotto l’infiorescenza, è la più sviluppata di tutte
ed è detta foglia-bandiera. Questa riveste grande importanza durante la fioritura e la fase
della formazione della cariosside.
Infiorescenza
Il frumento presenta un’infiorescenza a spiga composta terminale presentante un asse
principale o rachide costituito da una serie di nodi e internodi.
Ad ogni nodo è inserita una spighetta pluriflora.
Il numero delle spighette, nelle attuali cultivar di frumento tenero e duro, varia da 18 a 20.
Le spighette sono sessili e disposte alternativamente sui nodi del rachide assumendo così
una disposizione distica.
Ogni spighetta ha: 2 glume basali e un asse raccorciato o rachilla su cui sono inseriti da 3
a 7 fiori bisessuati alterni.
Ciascun fiore della spighetta è racchiuso da 2 brattee dette glumelle o glumette:
- quella inferiore o lemma si presenta come concavità per accogliere il fiore
- quella superiore, o palea, si presenta come coperchio per coprire il fiore.
La lemma, in alcune cv. di frumento tenero e sempre nel frumento duro, ha sul dorso una
carenatura che si prolunga con una lunga resta, che in alcune cv. può essere lunga fino a
circa 15-20 cm. Queste cv. si dicono aristate quelle senza resta si dicono mutiche.
Spighetta di frumento: rachide (A); rachilla (R); le glume (H); le glumette, lemma (D) e
palea (V); l’androceo (St), il gineceo (F) e le lodicole (L).

resta

230
Il fiore di ogni spighetta è costituito da un gineceo o pistillo presentante ovario uniovulato
supero, uno stilo bifido e uno stigma piumoso e un androceo costituito da 3 stami con
rispettivo filamento e antera.
La fecondazione è autogama e cleistogama.
Alla base degli stami vi sono due lodicole che gonfiandosi dopo la fecondazione fanno
divaricare le glumelle lasciando vedere chiaramente gli stami che fuoriescono da queste.
In ogni spighetta normalmente solo i 2-3 fiori basali sono fertili mentre gli altri sono
sterili.
Biologia
La biologia del frumento che è una pianta annuale microterma comprende, come l’orzo,
l’avena, la segale ed altri cereali a questo simili, le seguenti fasi: germinazione, emergenza,
accestimento, viraggio, levata, botticella fioritura, maturazione.
Germinazione - Emergenza.
La germinazione della cariosside conseguente alla sua semina, fatta usualmente in Italia
centrale verso i primi di novembre, inizia con l’assorbimento d’acqua dal suolo fino a
circa il 40% del suo peso.
La temperatura per la germinazione, pur essendo quella ottimale di circa 20° C e la
minima di circa 0° C., avviene con accettabile prontezza e regolarità già a 2-3° C. Dopo
circa 10-15 gg. dalla germinazione avviene l’emergenza del frumento ossia la fuoriuscita
dalla superficie del suolo della plantula.
La germinazione avviene nel seguente modo:
 1°) uscita della prima radichetta embrionale
 2°) uscita del germoglio rivestito dal coleoptile
 3°) uscita delle altre, al massimo circa 5-6, radichette embrionali.
Se la cariosside è messa ad una profondità di oltre 4 cm il coleoptile non riesce a
raggiungere la superficie del suolo. In questo caso la plantula allunga il primo internodo
embrionale, detto epicotile, che spinge in superficie il coleoptile rendendo la piantina
molto esile. Per tale ragione la profondità ottimale di semina è di circa 2-3 cm.
Il coleoptile, dopo l’emergenza dal suolo, viene forato dalla prima foglia vera che,
iniziando a fotosintetizzare, fa vivere la plantula di vita autonoma che fino a questo
momento aveva utilizzato le sostanze di riserva dell’endosperma del seme.
Coleoptile che viene forato dalla prima
foglia vera.

Accestimento.
Il frumento, come gli altri cereali microtermi, ha la capacità di accestire ossia di produrre
altri culmi secondari oltre al primo di origine embrionale.
A partire dalla formazione della 3-4 foglia vera, dall’ascella di queste foglie, si sviluppano
gemme avventizie che daranno origine a culmi di accestimento di 1° ordine con relative
radici avventizie.
231
Fase di accestimento del frumento

Da questi culmi di 1° ordine a loro volta, in relazione alle condizioni pedoclimatiche,


sempre tramite gemme avventizie, si origieranno altri culmi di accestimento secondari di
2° ordine e da questi di 3° ordine, ecc... con relative radici avventizie.
L’odierna agrotecnica non punta ad un alto accestimento, al massimo 3-4 culmi, poiché
questi non portano sempre una spiga fertile. Ciò per la forte competizione ormonica
intraplanta tra i culmi di vario ordine che determina un diseccamento precoce di quelli
secondari in eccesso.
Il fenomeno dell’accestimento si verifica quasi a contatto del suolo in un zona detta piano
di accestimento. Nella fase di accestimento si ha accumulo di sostanze di riserva alla base
del culmo che, in tal modo, tende leggermente ad ingrossarsi ricordando vagamente la
forma di un piccolissima cipollina. Nella fase di accestimento si determina il n° totale delle
spighe m-2.
Viraggio.
L’accestimento teoricamente continuerebbe a persistere se l’apice vegetativo restasse
sempre tale in tale stato ma, per stimoli termo-fotoperiodici, verso circa metà di Febbraio,
vedi nei frumenti seminati entro la seconda metà di novembre, si ha l’induzione o
iniziazione fiorale detta fase del viraggio. Ciò avviene quando il frumento ha circa 7-9
foglie.
Frumento nella fase del viraggio e relativo apice con abbozzi delle spighette.

Da F. ed U. Bonciarelli

In alcune cv. il viraggio è possibile solo se le piante sono state soggette, per un certo
periodo di tempo, a basse temperature comprese tra circa 0 e 6 °C ossia se hanno subito
la cosi detta vernalizzazione. A seguito del viraggio l’apice del culmo non differenzierà
più foglie ma differenzierà gli abbozzi delle future spighette.

232
Levata.
Dopo il viraggio, quando la temperatura dell’aria si alza sui 10-12° C, ossia in Italia
centrale mediamente verso metà marzo, la pianta inizia la fase della levata.
I nodi, fino a questo momento molto vicini tra loro, iniziano a distanziarsi per
proliferazione del tessuto meristematico presente alla loro base determinando un
allungamento degli internodi che avviene iniziando da quello più basso.
Visivamente la levata corrisponde quando sezionando il culmo con una lametta l’apice
caulinare si trova a circa 1 cm dal piano di accestimento.
Botticella.
Quando tutti gli internodi si sono allungati la spiga, ormai formata, viene
progressivamente messa fuori, in circa 15-20 giorni, dalla guaina dell’ultima foglia o
foglia-bandiera che l’avvolge. Prima della fuoriuscita della spiga il rigonfiamento
dell’ultima guaina, dovuta a questa, porta vagamente a farla somigliare a una piccola
botte da il mone a questa fase che è detta di botticella. Questo avviene verso i primi giorni
del mese di maggio.
Spigatura e fioritura.
Pochi giorni dopo la fase di botticella segue l’uscita della spiga o spigatura e dopo circa 5-6
giorni dalla spigatura la fase di fioritura che cade verso circa il 15 maggio in Italia
centrale per i frumenti seminati entro la seconda metà di novembre con la fuoriuscita
degli stami.
In questa fase la pianta ha raggiunto la massima altezza.
In queste fasi, specie quella di fioritura, il frumento è sensibile ai colpi di freddo” ossia ad
abbassamenti sotto i 15° C che portano a sterilità delle spighette.
La fase di fioritura sarebbe più giusto chiamarla di “sfioritura” dato che la fecondazione è
cleistogama e gli stami si vedono solo dopo che questa è terminata per l’apertura delle
glume e glumette.
Per completare la fioritura di una spiga sono necessari 2-3 giorni e, per l’intero
appezzamento di frumento della solita varietà, circa 7 giorni.
Nella fase fioritura si determina il n° di cariossidi per spiga che rappresenta il grado di
allegagione dei fiori.
Maturazione.
Subito dopo la fecondazione inizia il processo di embriogenesi e di maturazione.
La fase di maturazione si divide in:
 Lattea: dalla fecondazione a circa 10 giorni dopo questa. Il 70% del peso della granella
è dato da acqua. Se la cariosside viene schiacciata fuoriesce un liquido lattiginoso per
presenza di granuli di amido.
È la fase ottimale per la raccolta del frumento come erbaio-silo.
 Cerosa: le lamine del frumento tendono ad ingiallire così come le cariossidi. Il 40-45%
del peso della granella è dato da acqua. La granella si può incidere con l’unghia del dito
come se avesse una consistenza simile alla cera.
 Gialla: la pianta è quasi tutta di color giallo per suo progressivo disseccamento. È circa
la fine di giugno. La cariosside si scalfisce con difficoltà con l’unghia del dito.
Il frumento ha, a questo stadio, raggiunto la fase di maturazione fisiologica dell’embrione
per cui una cariosside potrebbe subito germinare e dare origine ad una nuova pianta se si
eliminasse il fenomeno della sua dormienza dovuta a sostanze ormoniche. Circa il 30% del
peso della granella è rappresentato da acqua.
233
Segue alla maturazione gialla le maturazioni:
 Piena: è circa il 10-15 di luglio, epoca che non conviene oltrepassare per la raccolta.
In questa fase circa il 15% del peso della granella è acqua.
 di Morte : è oltre la metà di luglio.
In questa fase circa il 10% del peso della granella è acqua.
Ottima umidità per la conservazione delle cariossidi ma se il frumento viene raccolto in
questo stadio si ha una elevata perdita di granella per sgranature.

Ciclo biologico del frumento

Da F. ed U. Bonciarelli

Fasi fenologiche del frumento e dei cerali


a paglia con sigle secondo Large e FAO,
Keller e Maggiolini e Zodaks e Al.

Esigenze ambientali.
Il frumento come l’orzo, l’avena, la segale, ecc.. , è una specie longidiurna che avvia
l’iniziazione fiorale nell’inverno avanzato quando i giorni si allungano.
È una specie microtema che non ha bisogno di alte temperature per crescere, svilupparsi e
riprodursi. Il frumento è una pianta C3 che con le alte temperature intensifica la
fotorespirazione demolendo molto di quello che ha fotosintetizzato.
234
Le esigenze termiche per un accettabile svolgimento delle diverse fasi fenologiche non sono
elevate: germinazione e accestimento circa 2-3 °C, levata circa 10-12 °C, fioritura circa
15° C e maturazione circa 18-20 °C.
In particolare le temperature critiche minime, ossia quando le funzioni vitali frumento
cessano sono: emergenza circa da -6 a -8 C°, accestimento fase della 3° foglia circa da -15
a -20 °C (il frumento può resistere fino a -29 °C sotto copertura nevosa), levata circa da -2
a -3° C.
Durante la fase di levata il frumento è molto sensibile al freddo così come lo è nella fase di
fioritura. Nei fondovalle e in tutte aree dove si verificano pericolosi di freddo ritorni
tardivi le varietà a levata precoce sono a rischio per cui è bene usare c.v. a levata e
fioritura tardiva.
Anche gli eccessi di temperatura sono pericolosi. Alte temperature, superiori a 30°C,
durante la fase di maturazione lattea accompagnate da venti secchi, provocano la
cosiddetta stretta da caldo comportante una riduzione nella produzione quantitativa e
qualitativa della granella che si presenta striminzita e con basso peso ettolitrico. Negli
ambienti dove è facile avere la stretta si preferiscono cultivar con levata e fioritura
precoce.
Trattando di esigenze termiche occorre evidenziare che le massime produzioni di
frumento si hanno in climi temperato-freschi con temperature massime tra circa 22 e 24
°C.
Dopo la temperatura, l’acqua contenuta nel suolo è il fattore più importante per la
produttività della coltura.
Eccetto periodi siccitosi durante il periodo autunno-invernale e primaverile, non molto
comuni in Italia, è nella fase di granigione, da maggio a metà giugno, ossia circa 40-45 gg. ,
che le disponibilità idriche del suolo sono un fattore limitante la produzione. Se carenti si
ha infatti una diminuzione di assimilazione netta e accorciamento della fase di
riempimento delle cariossidi.
Anche l’eccesso di umidità atmosferica, durante e dopo la maturazione fisiologica, causa
danni per sua riduzione di qualità della granella.
In particolare nei frumenti duri le cariossidi risultano bianconate presentando una
frattura non vitrea, come dovrebbe essere, per presenza di zone con notevole quantità di
amido.
Dopo che le cariossidi fisiologicamente mature sono interessate da piogge e notevole
abbassamento delle temperature ambientali, si ha spesso la loro germinazione per rottura
della loro dormienza. Dormienza, dovuta a sostanze ormoniche dette blastocoline, che
normalmente dura circa dai 30 ai 60 giorni.
Esigenze pedologiche.
Il frumento si adatta ad un ampia gamma di condizioni pedologiche. Trova le condizioni
ideali in suoli tendenzialmente argillosi, di buona struttura e con sostanza organica
facilmente mineralizzabile.
Nei suoli fortemente argillosi può soffrire di diradamenti durante inverni freddi e piovosi.
Predilige pH prossimo alla neutralità, pur adattandosi bene sia in suoli con alcalinità
costituzionale sia in suoli sub acidi. Il frumento tollera discretamente la salinità.
Su suoli poco profondi o ricchi di scheletro si adattano male varietà di frumento, specie se
tenero, di elevata potenzialità produttiva.

235
Avversità.
Di seguito verranno citate solo le principali avversità del frumento abiotiche e biotiche.
Avversità abiotiche.
Neve eccessiva, alta umidità atmosferica, gelate, ristagni idrici dovuti a piogge prolungate
e intense, allettamenti dei culmi dovuti a vento forte e grandine, particolarmente
pericolosa in fase di spigatura-maturazione, sono le principali avversità abiotiche.
Le precipitazioni nevose quando hanno un’altezza normale sono da considerarsi utili
perché rappresentano una coltre coibente che permette al frumento di sopportare
temperature molto rigide. Solo quando queste, come quantità e permanenza nel tempo,
sono eccessive possono sottoporre il frumento ad attacchi di Fusarium nivale che è uno dei
patogeni responsabili del mal del piede della coltura.
L’elevata umidità relativa dell’aria, è sfavorevole in quanto indirettamente favorisce gli
attacchi di crittogame fogliari.
La forte ventosità abbinata ad intense piogge è una caratteristica ambientale sfavorevole
al frumento quando è in fase di fioritura-maturazione. Ciò determina l’allettamento della
coltura, ossia la caduta dei culmi al suolo, comportante difficoltà d’utilizzazione della
granella sia come colture perdere sia per l’ottenimento di scorte alimentari tramite la
raccolta.
In generale, sotto l’aspetto climatico, l’Italia settentrionale è particolarmente adatta al
frumento tenero mentre l’Italia meridionale e insulare è adatta al frumento duro.
Avversità biotiche.
Di tipo vegetale.
Mal del piede dato dai funghi Ophiobolus o Gaeumannomyces graminis, Cercosporella
herpotricoides, Fusarium nivale, Culmorum graminearum, ecc.. ; ruggini date dai funghi
Puccinia glumarum o ruggine gialla, Puccinia graminis var. tritici o ruggine nera e dalla
Puccinia recondita o triticina o ruggine bruna; carie date dai funghi Tilletia tritici e Tilletia
laevis ; carbone dato dal fungo Ustilago tritici sono le principali avversità biotiche vegetali.
Contro queste è utile un tecnica di lotta preventiva con anticrittogamici usati come
concianti delle cariossidi da seminare. Poco economico è infatti trattare la pianta con
anticrittogamici quando questa è sviluppata.
Alcuni principi attivi per la concia delle sementi

In aree dove è ricorrente la diffusione di malattie fogliari a comparsa precoce, come


ruggine gialla e oidio, è bene evitare di usare cultivar suscettibili a tali malattie anche se
molto produttive

236
Di tipo animale.
Solitamente queste avversità non provocano particolari danni in Italia e, in genere, non
richiedono specifici trattamenti per lo scarso ritorno economico.
Avvicendamento
Il frumento è una coltura sfruttante con ridotto potere umigeno dato che mediamente
apporta circa 5-7 t ha-1 di paglia con un coefficiente isoumico o K1 pari a 0,1.
Poiché è una coltura sfruttante il frumento nella rotazione o avvicendamento deve essere
preceduto o seguito da colture da rinnovo o leguminose da granella o colture pratensi.
Tra le colture da rinnovo particolarmente adatte a precedere il frumento sono, ad es., la
barbabietola da foraggio, il girasole, il mais e, meno, il sorgo. Particolarmente valida è a
collocazione del frumento dopo leguminose da granella o pratensi o dopo prati o prati-
pascoli oligofiti o polifiti.
Occorre tener presente però che nell’ambito delle colture da rinnovo vi sono alcune
importanti differenze. Ad es. : il girasole e la barbabietola sono particolarmente valide per
il controllo delle malerbe, la loro precocità di raccolta e per i loro residui colturali poco
ingombranti e velocemente degradabili. In particolare quest’ultimo fatto rende possibile
la semina del frumento a seguito di una lavorazione semplificata del suolo come con una
sua semina diretta; il mais, come il sorgo, crea problemi per gli abbondanti residui lasciati
e per il ritardo con cui la coltura, specie se irrigua, libera il suolo specie se sono ibridi a
ciclo lungo.
Se il frumento segue i prati, questi, al termine della loro utilizzazione, devono essere
disfatti prima possibile in estate, possibilmente prima di agosto, per esplicare il miglior
effetto sulla fertilità del suolo.
La profonda semplificazione dei sistemi colturali che oggi caratterizza l’agricoltura ha
portato all’espansione della pratica del ringrano o omosuccessione del frumento e il
ristoppio dopo altri cereali a paglia. Tecnica che occorre evitare in quanto determina:
 maggior virulenza delle malattie
 maggiore infestazione di malerbe specifiche
 peggioramento della fertilità fisica, chimica e biologica del suolo

In base alla rotazione o avvicendamento utilizzato sul frumento può essere traseminato o
bulato in autunno o più spesso a fine inverno-inizio primavera una leguminosa foraggera,
come trifoglio violetto, erba medica, lupinella, ecc… o una graminacea foraggera. In
questo caso occorre adeguare la concimazione e l’eventuale uso di diserbanti alle le specie
traseminate.
Lavorazione e preparazione del suolo.
Le lavorazioni che vengono normalmente fatte per la semina del frumento sono:
 trinciatura dei residui della coltura precedente
 aratura nel periodo estivo a 30-40 cm di profondità o a 20-25 cm in base al tipo di
suolo e se la coltura precedente era una di rinnovo
 erpicature con erpice a dischi, seguite da un’ultima erpicatura con erpice a denti o
rotante, che serve, quando prevista, anche per interrare i concimazione distribuiti in pre-
semina.
In relazione all’aratura è bene che sia fatta almeno circa 20 gg. prima della semina per
evitare una zollosità eccessiva ed aver il tempo di bene contrastare le infestanti con
l’ultima erpicatura. Ore a ciò è importante che questa sia fatta in condizioni di tempera
per evitare il fenomeno del guasto.
237
Ogni possibile semplificazioni delle lavorazioni del suolo, in termini di numero ed
d’intensità, è un obiettivo che occorre che occorre perseguire in quanto in sintonia con
un’ agricoltura di tipo sostenibile mirante alla riduzione dei costi di produzione e
dell’impatto ambientale. In relazione a ciò per la lavorazione principale si è venuto a
diffondere, specie in suoli di medio impasto o tendenti al sabbioso le seguenti tecniche:
 riduzione della profondità d’aratura a circa 20-25 cm
 lavorazione a doppio strato
 minima lavorazione o minimum tillage
 non lavorazione con semina diretta su suolo sodo.
Per il minimum tillage sono spesso usati gli erpici a dischi pesanti o gli erpici ruotanti che
interessano uno strato di suolo di circa 10-15 cm.
L’ostacolo più frequente per la semplificazione o la riduzione delle lavorazioni del suolo
anche con condizioni pedologicamente idonee è costituito dalla quantità e qualità dei
residui della coltura precedente.
Ad es. dopo l’erba medica, data la sua tendenza al ricaccio, la riduzione della profondità
di lavorazione del suolo è problematica tanto che la profondità ideale è circa 35 cm.
Difficoltà si presentano anche dopo il sorgo da granella. Infatti in questo caso l’aratura
media o medio-profonda è utile per ben interrare i suoi residui colturali solitamente
abbondanti e poco alterabili. Così dicasi dopo il mais da granella anche se i suoi residui
colturali sono più alterabili.
Nel caso di semina diretta su suolo non lavorato è spesso indispensabile che questa sia
effettuata dopo un trattamento con diserbanti non selettivi ad assorbimento fogliare con
uno dei seguenti p.a. : gliphosate, gliphosate trimesio, glufosinate ammonio.
In particolare, per le tecniche di lavorazione che utilizzano l’aratro, l’interramento dei
residui della coltura precedente al frumento, previa trinciatura e distribuzione uniforme
sui campi, è un pratica sempre da attuare pre facilitare l’interramento, la sua
degradazione e lo sviluppo di un’attiva microflora che blocca temporaneamente l’azoto
nitrico in eccesso nel suolo nelle primissime fasi dell’accrescimento del frumento che
altrimenti sarebbe perso per dilavamento.
Concimazione
Insieme alla corretta scelta varietale la concimazione rappresenta l’intervento agronomico
più importante per la produzione e la qualità della granella.
Criteri base la tecnica di concimazione sono :
 la conoscenza della quantità di macroelementi, N, P2O5 o P e K2O o K, nel suolo
 la conoscenza della quantità dell’asportazione di N, P2O5 o P e K2O o K per 0,1 t
granella prodotta
 la conoscenza della rapporto di concimazione N - P2O5 o P - K2O o K.
 la conoscenza della % d’immobilizzazione della P2O5 o P da parte del suolo
 l’impostazione di un preciso piano di concimazione ossia la definizione delle dosi e delle
epoche di somministrazione degli elementi nutritivi e la scelta dei tipi di concime da
utilizzare.
Per la dotazione di macroelementi nel suolo di N, P2O5 o P e K2O o K si rimanda a quanto
accennato in precedenza nella parte riguardante Agronomia generale.
Per la determinazione della formula di concimazione occorre basarsi, come accennato in
precedenza, su l’asportazione di N, P2O5 o P e K2O o K per 100 kg granella prodotta, sulla
% d’immobilizzazione della P2O5 da parte del suolo e sul rapporto di concimazione.

238
Per le asportazioni e il rapporto di concimazione per il frumento si riportano i seguenti
valori.
Asportazioni N = 2,4 kg P2O5 = 1,25 kg K2O = 2,51 kg
Rapporto di concimazione 1,5-1 (N) : 1 (P2O5) : 0-0,5 (K2O)
Questi valori, per una produzione di 70 q ha-1 di granella
- considerando l’interramento della paglia
- il 30 % di immobilizzazione della P2O5 da parte del suolo
- un rapporto di concimazione 1,5:1:0,5 .
portano ad un fabbisogno totale ad ettaro di :
- circa 170 kg di N, circa 113 kg di P2O5 e circa 56 kg di K2O
Per il piano di concimazione ossia dosi , epoche di somministrazione degli elementi
nutritivi e la scelta dei concimi da usare, si rimanda l’esempio riportato, a titolo
esemplificativo, nella parte riguardante Agronomia generale.
In particolare per l’azoto, se non viene dato prima o durante la semina, una tecnica
potrebbe essere quella di effettuare 2-3 concimazioni in copertura.
Se programmate 3 concimazioni in copertura la prima potrebbe essere fatta nel mese di
Gennaio con il 25 % dell’N totale calcolato, la seconda a circa metà del mese di Febbraio
con il 40 % dell’N totale calcolato nella fase del viraggio, la terza a circa metà del mese di
Marzo con il 35 % dell’N totale calcolato ad inizio della fase di levata. La concimazione di
gennaio, se lo sviluppo della coltura è buono, può essere omessa. In tal caso la quantità di
azoto totale calcolato per la coltura può essere distribuita per il circa il 60 % a Febbraio e
circa il 40% a Marzo
Semina
La semina del frumento può essere fatta o nel periodo autunno-invernale o nel periodo
fine inverno-inizio primavera.
La normale epoca di semina autunnale cade, nelle aree pianeggianti interne dell’Italia
centrale, verso fine ottobre-primi di novembre.
La semina di fine inverno-inizio primavera cade invece, nelle aree pianeggianti interne
dell’Italia centrale, verso fine febbraio-primi di marzo.
Scelta delle varietà o c.v.
La scelta delle varietà da coltivare dipende dalle caratteristiche qualitative della granella
richieste dalla destinazione d’uso, al possesso di requisiti agronomici adatti all’areale di
coltivazione, alla resistenza alle fitopatie ricorrenti all’areale di coltivazione, ecc… .
Oggi le c.v. presenti sul mercato sementiero hanno altezze contenuta, in genere tra circa i
90 e i 100 cm e presentano buone caratteristiche agronomiche e produttive.
Per creare queste cultivar, il miglioramento genetico ha considerato diversi fattori quali:
precocità, resistenza all’allettamento, resistenza al freddo, resistenza alle malattie e
qualità della granella. Circa i parametri qualitativi della granella in Italia le varietà di
frumento tenero sono raggruppate nelle seguenti 4 classi : classe 1 o frumenti di forza
ossia con elevato contenuto proteico; classe 2 o frumenti direttamente panificabili; classe 3
o frumenti comuni; classe 4 o frumenti da biscotti.
Un classificazione di alcune varietà di frumento in base a queste 4 classi è riportata nel
successivo elenco.
Aquileia (4), Ariani (4), Aurelio (3), Autonomia (4), Barra (1), Blasco (1), Bolero (2),
Brasilia (1), Centauro (2) , Chiarano (2), Colfiorito (1), Colodine (2), Denar 4 (3), Dorico
(1), Eridano (2), Etruria (2), Eureka (4) , Francia (2), Gemini (2) , Genio (2) , Golia (1) ,
Idra (2), Lampo (2), Leopardo (3), Loreto (1), Libellula (4), Manital (1), Mec (2), Mieti (2),
239
Mirtos (3), Mol (1), Nobel (2), Oderzo (2) , Orso (4), Pandas (1) , Paradis (1) , Pascal (4),
Sagittario (1) , San Pastore (4), Salmone (1), Santerno (3), Serena (3), Serio (2), Soissons
(2), Spada (2), Sprint, Storika (2), Trivoli (4), Tommaso (3), Veronese (4), Zena (1)
Avverse condizioni climatiche possono talora impedire le normali semine autunnali del
frumento. In tali casi, effettuando le semine del cereale a fine inverno-inizio primavera,
occorre scegliere varietà alternative, cioè capaci di passare alla fase riproduttiva senza
aver ricevuto un periodo di basse temperature (vedi il fenomeno della vernalizzazione).
Tra le c.v. non alternative, si citano ad es., Centauro, Eureka, Mieti, Nobel, Serio e
Soissons. Tra le c.v. alternative si citano, ad es. , Blasco, Bolero, Colfiorito, Pandas e
Zena.
Indipendentemente dalla c.v. scelta la semente da usare dove avere:
 una purezza specifica non inferiore al 99%
 una germinabilità non inferiore al 95%,
 un bassissimo numero di semi di infestanti (su 500 g di cariossidi non più di 10 semi di
avena selvatica e 0 semi di Lolium temulentum) e materiali estranei ed essere esente da
parassiti fungini come, ad es. , del genere Tilletia e Ustilago .
Dal punto di vista varietale il mercato offre tre tipi di semente in ordine di purezza
decrescente:
 di base
 certificata di 1° riproduzione
 certificata di 2° riproduzione
La semente di base ha una purezza specifica del 99,9 %, quella di 1° riproduzione del 99,7
%, quella di 2° del 99,0 %. La semente più usata nella normale pratica è di 2°riproduzione
dato il buon rapporto prezzo/qualità.
Ne frumento la quantità di seme da distribuire ad ettaro deve essere tale da avere , in
condizioni medie, circa 300-350 piante emerse a m2, che, dopo la fase di accestimento e
nelle cv. moderne, daranno origine circa 900-1050 spighe a m2 compresa quella principale
o maestra. Questo vuol dire seminare circa 400-450 cariossidi a m2 considerando normale
nel frumento un’emergenza di circa il 75 - 77,7%. Le indicazioni sul n° di piante emerse
ora citate sono indicative per semine fatte a fine ottobre primi di novembre in condizioni
pedo-climatiche e altitudinali medie. Ciò, in pratica, corrisponde a circa 160-180 kg di
seme ha-1 considerando che il peso medio della cariosside è pari a circa 0,040 g o 40 mg .
Per stabilire i kg ha-1di seme da distribuire per avere 300-350 piante emerse a m2,
considerando quanto prima riportato, si può usare la seguente formula:
kg ha-1 di seme = (Nc : Em) x Ps x Ha) : G
dove Nc = numero di cariossidi per m2 (es. 300 o 350); Em = % emergenza delle piante (es.
0,750 o 0,777); Ps = peso medio di 1 seme circa 0,040 g o 40 mg .; Ha = 1 ettaro in m2,
ossia 10.000 m2; G = 1.000 ossia il n° dei grammi in 1 Kg
Con i valori prima citati si ottengono i seguenti quantitativi di seme in kg ha-1
Per 300 piante emerse a m2 : (300/0,75)x 0,040x10.000/1.000 =(160.000/1.000) =160 kg
Per 350 piante emerse a m2 : (350/0,777)x 0,040x10.000/1.000 = (180.000/1.000) = 180 kg
In caso di posticipazione della data di semina autunnale rispetto a quella ottimale per la
località in esame o per semine eseguite direttamente su suolo non lavorato la densità di
semina è opportuno aumentarla a circa 500 cariossidi per m2.
Nella tradizionale pratica, nel caso di posticipazione della semina, si aumenta la quantità
di seme prevista ad ettaro di circa 1 kg per ogni giorno di ritardo rispetto a quella usuale
della zona.
240
Per le semine da fare a fine inverno-inizio primavera, per il ridotto accestimento che avrà
il frumento, la quantità di seme può arrivare anche fino a 250-280 kg ha-1.
Superando i kg ha-1 di seme ora citati, per semine fatte in giusta epoca o in ritardo, si ha
un eccesso di fittezza che predispone, in particolare, all’allettamento e a malattie fungine
oltre ad essere spreco di denaro.
Distribuzione del seme.
Usualmente la semina è fatta impiegando la seminatrice di tipo universale. La distanza tra
le file varia tra circa 15 e 18 cm e la profondità di interramento tra circa 3 e 5 cm
preferendo quella minore in suoli tendenzialmente argillosi, freddi e umidi.
Semine troppo profonde sono da evitare dato che le plantule stenterebbero ad emergere e
l’investimento non sarebbe ottimale.
Le seminatrici per frumento, trainate o semiportate, sono di due tipi:
 con distribuzione per gravità, con cilindri scanalati, come le seminatrici universali.
 con distribuzione pneumatica, più moderne e veloci delle precedenti.
Distribuzione del seme per gravità nelle seminatrici universali a cilindri scanalati.

La semina può essere fatta anche a spaglio con distributore centrifugo a cui deve seguire
un leggero passaggio di erpice a denti o erpice strigliatore per interrare il seme.
Le seminatrici trainate hanno larghezze di lavoro da circa 1,5 a 4 metri e una velocità
operativa di circa 4-8 km h-1. Le seminatrici semiportate hanno larghezze di lavoro da
circa 2 a 6 metri e una velocità operativa di circa 6-10 km h-1.
Cure colturali
Un possibile cura colturale sul frumento è la rullatura. Questa può essere utile nei
seguenti momenti.
♦ Subito dopo la semina se il suolo si presenta asciutto o troppo soffice. La rullatura,
aumentando la risalita d’acqua capillare, per aumento della microporosità e facendo
aderire bene il seme al suolo, permette al frumento di germinare velocemente.
♦ In inverno dopo che il suolo che a subito forte congelamento torna normale. Una
leggera rullatura fatta subito dopo il disgelo riavvicina le radici al suolo che per questo
motivo si erano sconnesse.
♦ Nella fase di accestimento o al massimo fine accestimento-inizio levata quando il
decorso invernale è stato particolarmente mite. In questo caso per eccessivo rigoglio
vegetativo dovuto ad eccesso di produzione di nitrati per l’elevata attività della microflora
si può avere il fenomeno dell’allettamento. Con una leggera la rullatura compattando il

241
suolo, si riduce la disponibilità di O2 per i batteri nitrificanti a causa della diminuzione di
porosità.
Controllo delle erbe infestanti.
Eccetto la lotta indiretta con adeguati avvicendamenti, lavorazioni, ecc.., la lotta diretta
alle infestanti si basa sul diserbo.
Per attuare un efficace diserbo occorre:
- conoscere le specie che potenzialmente saranno presenti nel campo e saperle riconoscere
allo stadio plantula.
- conoscere il potere germinativo dei semi delle specie infestanti presenti nel suolo e la
soglia di danno economico ovvero il n° infestanti a m2 che giustifica l’intervento.
Di seguito una tabella dove sono riportate alcune tipiche infestanti del frumento
Alcune piante infestanti del frumento

Il diserbo del frumento può essere fatto in pre-semina, pre-emergenza, post-emergenza


precoce, post-emergenza tardiva. Gli ultimi due interventi sono i più usati.
Data la grande quantità di prodotti disponibili sul mercato di seguito si riportano solo
alcuni principi attivi di pre e post emergenza impiegati da tempo nel frumento, come negli
altri cereali a paglia con buoni risultati.
242
Alcuni p.a. e diserbanti per il frumento

Irrigazione.
Pratica molto rara in Italia se non eccezionale. L’irrigazione talvolta può essere utilizzata
in mancanza di piogge durante la fase di germinazione del frumento. Eccezionale è
l’irrigazione in estate durante la fase di fioritura.

243
Avversità del frumento.
Di seguito sono riportate le principali avversità abiotiche e biotiche dovute a crittogame e
le misure agronomiche per contrastarle.
Avversità abiotiche.
 gelate invernali: varietà resistenti, lotta ai ristagni idrici e buona disponibilità nel suolo
di K e P.
 gelate tardive primaverili: varietà non precoci nelle fasi levata-fioritura
 allettamento: cv. a taglia bassa, semine non fitte, dosi di azoto non elevate
 stretta da caldo: varietà a fioritura precoce, semine non fitte, dosi di azoto non elevate
Avversità biotiche.
 mal del piede: rotazioni larghe, evitare ristoppi e effettuare le concia del seme
 ruggine gialla, nera e bruna: varietà resistenti o tolleranti
 oidio: semine non fitte, concimazioni azotate non elevate, varietà resistenti o tolleranti,
trattamenti con anticrittogamici nella fase di botticella anche se economicamente poco
convenienti
 carie e carbone: rotazioni lunghe e concia del seme.
Avversità biotiche dovute a crittogame.
Contro le fitopatie fungine, oidio, ruggini, ecc.., particolarmente virulente in annate umide
e piovose sono utilizzati trattamenti anticrittogamici.
In particolare per la semina la granella deve essere trattata, ovvero conciata, contro i
patogeni fungini tipo carie, mal del piede, ecc.. . Spesso la semente viene commercializzata
già trattata con il sistema umido o slurry. Spesso sotto l’aspetto economico ed ecologico
trattamenti contro le fitopatie, eccetto la concia del seme, non sono convenienti.
Per un controllo agronomico preventivo delle malattie fungine è di valido riscontro l’
impiego di varietà resistenti, semine non fitte, evitare il ristoppio ed effettuare
concimazioni equilibrate.
Raccolta.
La raccolta della granella si effettuava in passato con la mietitura a mano o macchina con
le mietitrici seguita dalla trebbiatura a postazione fissa con le trebbiatrici.
Oggi la raccolta si effettua direttamente con le mietitrebbiatrici che, normalmente, hanno
barre di taglio larghe 4 m . Queste macchine possono essere autolivellanti. In questo caso è
possibile mietitrebbiare appezzamenti con circa il 20-25 % di pendenza mentre con le
normali mietitrebbiatrici il massimo di pendenza è circa il 10-14 %.
Per evitare perdite di granella e per non danneggiarla è importante un’attenta regolazione
degli organi della mietitrebbia, da controllare ogni volta per adeguarli a mutate condizioni
di temperatura, umidità dell’aria e di densità della coltura, a presenze di allettamenti e di
erbe infestanti, ecc… . Poiché nel corso della notte la granella riacquista umidità
dall’atmosfera, la mietitrebbiatura è bene iniziarla a mattino inoltrato.
La raccolta con mietitrebbiatrici si effettua quando la granella ha cira il13%.
Le perdite di granella con la mietitrebbiatura, quando la macchina è ben regolata, sono
circa il 3-4 %. La capacità di lavoro è di circa 2.000-2.500 m2 h-1 per metro di barra
falciante per cui, con barra di 4 m, 1 ha viene raccolto in cira 1 ora.
Spesso le mietitrebbiatrici effettuano anche la trinciatura della paglia, facilitando in tal
modo la successiva lavorazione del suolo specie se fatta con aratura superficiale o con la
tecnica della minima lavorazione.

244
Mietitrebbiatrice autolivellante

Produzione
La produzione di granella di frumento tenero nei paesi nord europei non di rado arriva a
superare le 10 t ha-1. La produzione media italiana nel 2006 di granella frumento tenero è
stata di circa 5,4 t ha-1 mentre quella di frumento duro è stata di circa 2,9 t ha-1.
In Italia produzioni aziendali di frumento tenero di 7 t ha-1, 6 t ha-1 e di 4,5 t ha-1 sono
abbastanza comuni rispettivamente nel nord, centro e sud del Paese.
Il rapporto granella/paglia nelle nuove varietà è prossimo a 1:1. Oggi oltre al rapporto
granella/paglia si usa anche l’harvest index o H.I. o indice di raccolto ossia il rapporto tra:
granella secca prodotta/quantità totale di biomassa secca prodotta (granella, paglia e pula)
ad ettaro. L’H.I. nelle varietà moderne oscilla tra 0,50 e 0,55.
Orzo - Famiglia Poacee o Graminacee - Hordeum vulgare.
L’orzo assieme al frumento è stata una delle prime piante ad essere coltivata, circa 11.000
di anni fa, nel Neolitico all’inizio della attività agricola.
Cereale a paglia, già estesamente coltivato nel 7° secolo a.C. nel Medio Oriente è oggi
diffuso in tutto il mondo.
L’orzo è tra i cereali quello che si spinge più a Nord e in altitudine pur adattandosi bene
anche in aree semiaride.
Questo cereale in Italia, dopo il frumento, è come superficie coltivata e importanza
economica, è il più importante. Nel 2005 l’orzo nel nostro Paese aveva una superficie di
circa 320.000 ha: in leggero regresso rispetto al 2001.
Circa l’85-90 % dell’orzo è coltivato per l’alimentazione animale per la sua granella ma è
anche utilizzato come pianta foraggera poiché insilabile. Altra utilizzazione dell’orzo è
per la produzione della birra, come surrogato del caffè e per l’alimentazione umana .
Caratteri botanici
L’orzo ha un’infiorescenza a spiga, simile come struttura al frumento e agli altri cereali a
paglia, costituita da un rachide con 20-30 nodi posti in modo alterno tra loro su cui si
inseriscono 3 spighette uniflore: 1 mediana e 2 laterali.
I tipi di orzo coltivato vengono distinti in base al n° di file di spighette per spiga.
Se la spighetta mediana è fertile e le 2 laterali sono sterili la spiga si presenta appiattita e
l’orzo viene detto distico o Hordeum vulgare distichum.

245
Se tutte le 3 spighette sono fertili la spiga non è appiattita e l’orzo viene detto polistico o
esastico o Hordeum vulgare hexasticum.
L’Hordeum vulgare hexasticum può appartenere alla varietà aequale o ineaequale se, per
la particolare disposizione delle spighette, appare formato da 6 o 4 file. Quello che appare
formato da 4 file ha sezione quadrangolare e ha il nome improprio di orzo tetrastico.

Spighette d’orzo polistico, a sinistra e distico a destra

Da F. e U. Bonciarelli

L’orzo è un cereale strettamente autogamo. Un carattere distintivo della pianta, che lo fa


riconoscere allo stato erbaceo dagli altri cereali, sono le foglie presentanti auricole glabre e
molto sviluppate tanto da incrociarsi tra loro abbracciando il fusto.
Orzo: auricole glabre e molto sviluppate che abbracciano il fusto.

Da F. e U. Bonciarelli

246
L’orzo, rispetto al frumento, è più precoce di circa 8-10 giorni nella spigatura e,
conseguente, nella maturazione, tanto la sua raccolta cade circa verso il 20-25 di giugno.
Fiore
Il fiore dell’orzo è simile come struttura a quello del frumento. Le glumelle dell’orzo sono
saldate alla cariosside.
Le glumelle inferiori hanno una resta per cui gli orzi sono sempre aristati.
Le spighe, quando mature, hanno un portamento più o meno pendulo.
Frutto
Il frutto, è una cariosside ma a differenza di quest’ultimo è vestita poiché ha le glumelle
aderenti a questa.
Il peso delle 1.000 cariossidi nelle le cv. nelle distiche varia da circa 40 a 50 g o 40-50 mg
a cariosside e quello ettolitrico da circa 65 a 70 kg.
Il peso delle 1.000 cariossidi nelle le cv. nelle polistiche varia da 35 a 45 g o 35-45 mg a
cariosside e quello ettolitrico da 60 a 65 kg.
Apparato Radicale
L’apparato radicale è simile come struttura a quello del frumento.
Steli, foglie, infiorescenza e fiore.
Circa la struttura degli steli, delle foglie, dell’infiorescenza e del fiore l’orzo è simile a
quella del frumento. La pianta d’orzo raggiunge nell’attuali varietà altezze variabili da
circa 0,8 a 1 m.
Ciclo biologico
Per il ciclo biologico è simile al frumento a cui si rimanda.
Esigenze ambientali.
Clima.
L’orzo, rispetto al frumento, ha minori esigenze idriche per cui si adatta bene anche in
ambienti con piovosità scarsa e irregolare.
Suolo
L’orzo, rispetto al frumento, ha minori esigenze nutritive e si attratta meglio alla salinità.
Grazie a ciò è coltivato con successo in ambienti marginali su suoli con modesta fertilità e
anomali.
Avversità abiotiche e biotiche.
Avversità abiotiche.
L’orzo è sensibile all’avversità abiotica dovuta a forte vento ovvero comportante
l’allettamento.
Avversità biotiche.
L’orzo tollera meglio del frumento le fitopatologie, specie il mal del piede, quando succede
nella rotazione o avvicendamento colturale a se stesso o ad altri cereali a paglia. Per
questo motivo è più adatto del frumento alla coltura ripetuta su se stessa.
Le avversità biotiche fungine sono simili a quelle che colpiscono il frumento, vedi
diapositiva successiva, anche se è più soggetto all’oidio e ne presenta alcune tipiche come
l’elmintosporiosi, che attacca le foglie, la rincosporiosi, che provoca un completo
disseccamento della spiga e il giallume virotico.

247
Avversità biotiche fungine dell’orzo
elmintosporiosi rincosporiosi oidio carbone

Da F. e U. Bonciarelli

Miglioramento genetico
Per quanto riguarda le varietà d’orzo vi sono cv. non alternative, solitamente polistiche e
c.v. alternative, solitamente distiche.
La scelta delle varietà da coltivare è legata ai seguenti punti
1) al possesso di requisiti agronomici positivi per gli ambienti di coltivazione
2) alla resistenza alle fitopatie ricorrenti gli ambienti di coltivazione
3) alle caratteristiche qualitative della granella richieste dalla destinazione d’uso.
Circa i requisiti agronomici che le varietà devono avere in relazione agli ambienti di
coltivazione sono da considerare la:
 durata del ciclo biologico. Varietà troppo precoci sono di norma poco produttive ed
esposte a freddi tardivi e basse temperature durante la fase di fioritura. Varietà troppo
tardive sono esposte al rischio di carenza d’acqua durante la fase del riempimento delle
cariossidi.
 resistenza al freddo. La resistenza al freddo è importante nelle aree di coltivazione
settentrionali o montane.
 resistenza all’allettamento. La resistenza a questa avversità è importante poiché la
produzione delle c.v. suscettibili all’allettamento è scarsa e di cattiva qualità.
 resistenza o tolleranza a fitopatie. Ciò è importante per diminuire gli interventi
antiparassitari che sono negativi sotto un aspetto ambientale ed economico.
Tecnica colturale.
Simile a quella del frumento, deve considerare, in particolare, i seguenti punti.
Lavorazione del suolo.
L’orzo, come il frumento, non necessita di lavori del suolo particolarmente profondi. Una
profondità di circa 25-30 cm è, spesso, sufficiente. L’orzo si presta bene a essere seminato
su suoli preparati con la tecnica della lavorazione minima o addirittura ad essere seminato
sul sodo anche se l’aratura serve per evitare l’insorgenza di forti attacchi di mal del piede.
248
Avvicendamento.
L’orzo può seguire qualsiasi coltura nell’avvicendamento. Dopo colture miglioratrici,
come le leguminose è più opportuno che l’orzo ceda il posto al frumento. La possibilità a
seguire il frumento, da evitare al massimo, dipende in particolare dalla sua resistenza alle
cattive condizioni fitosanitarie connesse, in particolare, ai funghi responsabili del mal del
piede come Fusarium spp., Geumannomyces graminis, ecc. .
Pur essendo l’orzo più resistente alle fitopatie rispetto al frumento e meno esigente in fatto
di fertilità è bene evitare il ritorno su se stesso ed inserirlo in avvicendamenti con
foraggere.
Concimazione.
Come tecnica è simile a quella del fumento. La formula di concimazione deve basarsi, sulle
asportazione di N, P2O5 o P e K2O o K per 100 kg di granella, sull’immobilizzazione della
P2O5 e sul rapporto di concimazione.
Circa le asportazioni in kg di elementi per 100 kg di cariossidi prodotte e il rapporto di
concimazione, si riportano i seguenti valori in precedenza evidenziati.
Asportazioni 0,1 t di granella: N = 2,48 kg , P2O5 = 0,96 kg , K2O = 2,31 kg
Rapporto di concimazione : 1 (N) , 1 (P2O5 o P), 0-0,5 (K2O o K+)
Per una produzione di 6 t ha-1, considerando l’interramento della paglia e un 30 % di
immobilizzazione del P2O5 da parte del suolo, il fabbisogno totale dei macroelementi sarà
di circa: 75 N, 75 kg P2O5 e 0 o 37 kg di K2O.
Tutto il P e il K sono solitamente distribuiti in un unico intervento a tutto campo in pre
semina. Utile sarebbe comunque fornire parte del P con la concimazione localizzata alla
semina. La quantità totale massima di N da distribuire all’orzo varia normalmente tra 80
e 100 kg ha-1. Quantità più alte di N non aumentano significativamente la produzione ma
anzi possono causare allettamenti. Per l’N, se non viene dato niente prima della semina o
durante la semina con la concimazione localizzata, una tecnica potrebbe essere quella di
fare 2-3 concimazioni in copertura nei momenti con le modalità e con i concimi accennati
in precedenza per il frumento. In relazione a ciò, poiché per l’orzo ad uso zootecnico è
importante un alto contenuto di proteine, l’ultima concimazione azotata al momento della
levata, ossia verso metà Marzo - fine Marzo, deve essere la più consistente.
Semina
Per la semina dell’orzo, come per gli altri cereali a paglia, è importante utilizzare seme
trattato o “conciato” contro i patogeni.
Epoca.
L’epoca di semina più diffusa dell’orzo è l’autunnale. Questa deve essere leggermente
ritardata rispetto a quella del frumento per ridurre gli attacchi del giallume virotico
veicolato dagli gli afidi e di rincosporiosi.
L’orzo per la sua brevità del ciclo biologico può essere anche seminato, con varietà
alternative, a fine inverno o ad inizio primavera.
Granella d’orzo Da F. e U. Bonciarelli

Profondità di semina.
La profondità di semina è bene che non superi i 3-4 cm.
Densità di semina.
249
Per l’orzo a semina autunnale la densità è circa 450 cariossidi germinabili per m2 mentre
per quello a semina primaverile è maggiore: circa 500-550 semi germinabili a m2.
Anche in relazione e in relazione alla ciò alla c.v. impiegata la quantità di seme ad ettaro
varia da circa 160 a 180 kgha-1
Varietà.
Le varietà di orzo dovrebbero presentare una buona precocità in relazione all’ambiente di
coltivazione, una discreta resistenza al freddo, all’allettamento, alle malattie e alla rottura
della spiga. Di seguito un breve elenco di alcune varietà e loro caratteristiche della spiga.
Varietà Tipo Spiga Utilizzazione
Arda Autunnale Distica Zootecnica
Baraka ″″ Distica ″″
Express ″″ Polistica ″″
Keliba ″″ Distica ″″
Pilastro ″″ Polistica ″″
Plaisant ″″ Polistica ″″
Cure colturali
Diserbo.
Eccetto differenze tra pochi principi attivi i diserbo è simile al frumento a cui si rimanda.
Ad ogni modo le strategie per il controllo delle infestanti del cereale si basano sulle
seguenti azioni: il diserbo di post-emergenza deve essere mirato secondo la flora infestante
prevalente, usare le dosi minime riportate sul prodotto commerciale.
Di seguito alcuni principi attivi usati nel diserbo dell’orzo nelle fasi di: post-emergenza
precoce , accestimento e levata.
Alcuni principi attivi per il diserbo dell’orzo in post-emergenza precoce:stadio 1-3 foglie.

Alcuni principi attivi per il diserbo dell’orzo in post-emergenza nelle fasi di accestimento e
di levata.

250
Alcuni principi attivi per il diserbo dell’orzo in post-emergenza, nelle fasi di accestimento
e levata

Misure agronomiche contro le avversità fungine dell’orzo e trattamenti antiparassitari


Le misure agronomiche contro le avversità fungine dell’orzo e i trattamenti
antiparassitari sono simili a quella del frumento. La lotta contro queste si effettua
principalmente con la concia del seme.
Raccolta e produzione.
La raccolta avviene come per gli altri cereali a paglia con la mietitrebbia.
Mietitrebbiatura è, generalmente fatta circa 10 giorni prima del frumento. Anche in
questo caso per evitare perdite di prodotto e non diminuire la qualità della granella è
necessaria un’attenta regolazione degli organi della mietitrebbia. Poiché nel corso della
notte la granella riacquista umidità dall’atmosfera, la mietitrebbiatura non deve iniziare
prima del mattino inoltrato. È preferibile mietitrebbiare quando l’umidità della granella è
sotto il 13.5%.
La media italiana dell’orzo, sia per uso zootecnico che per la produzione di birra, è circa
3,79 t ha-1. La resa per ettaro è in aumento per l’introduzione di nuove cv. e per
l’affinamento della tecnica colturale. Per l’orzo di uso zootecnico nel Nord Italia 5-6 t ha-1
sono considerate produzioni discrete ma non elevate.
L’orzo per essere idoneo alla conservazione deve avere i seguenti requisiti: umidità
inferiore al 13,5%, assenza di infestazione da acari e insetti, assenza di micotossine o
quantomeno rispondenza alle norme italiane e/o europee che fissano i limiti massimi
tollerati in relazione a ciò. A livello preventivo per avere una buona conservazione è utile
la pulizia delle mietitrebbie e dei carri raccolta .

251
Avena comune - famiglia Poacee o Graminacee - Avena sativa.
L’aria geografica originaria dell’avena è la medio orientale. Si ritiene che la specie
progenitrice dell’Avena sativa sia l’Avena fatua pericolosa infestante dei coltivi.
Questo cereale a paglia oggi è prevalentemente coltivato in Europa, Russia negli U.S.A. .
In Italia l’avena è il terzo cereale a paglia più importante come superficie coltivata.
Nel 2005 aveva una superficie di circa 174.000 ha: in aumento di circa il 24 % rispetto al
2001.
In Italia, l’avena è coltivata soprattutto in aree marginali caratterizzate da scarse
potenzialità produttive. Precisamente è coltivata per circa il 55% nell’Italia meridionale, il
25% nelle Isole, il 18% nell’Italia centrale e il 2% nell’Italia settentrionale.
La scarsa diffusione dell’avena rispetto agli altri cereali è legata a una resa modesta solo
in parte compensata dal prezzo di vendita della granella di questo cereale, che, in
dipendenza della qualità, può raggiungere un livello sensibilmente più alto di quello del
frumento o dell’orzo.
L’avena è utilizzata principalmente come granella nell’alimentazione animale, vedi la
biada o per la costituzione di erbai per foraggio verde o per formazione di insilati.

Caratteri botanici.
L’Avena sativa ha un patrimonio genetico 2n pari a 42. Il suo apparato radicale è
fascicolato e costituito da radici embrionali primarie e da radici avventizie. L’apparato
radicale dell’avena ha uno sviluppo superiore a quello degli altri cereali microtermi dato
che le radici possono spingersi in profondità oltre 1,5 m. .
Il culmo dell’avena ha portamento eretto, con un numero di nodi generalmente superiore
a quello degli altri cereali microtermi.
L’altezza della pianta risulta variabile in relazione alla varietà e alle condizioni di
coltivazione risultando compresa tra circa 0,7 m nelle varietà più basse a semina
primaverile e circa 1,5 m nelle varietà più alte a semina autunnale.
Le foglie del cereale sono parallelinervie di color verde bluastro con lamina larga,
inguainanti il culmo, con ligula molto sviluppata e assenza di auricole.

252
Avena

Da F. e U. Bonciarelli

ligula

I fiori dell’avena, al pari degli atri cereali a paglia, sono riuniti in un’infiorescenza.
L’infiorescenza è un panicolo terminale a simmetria unilaterale o equilaterale con
numerose ramificazioni portanti spighette con 2 o 3 fiori.
Panicoli d’avena con le due simmetrie
Infiorescenza d’avena a panicolo tendente allo
spargolo

La forma dell’infiorescenza è di tipo piramidale, specie nei tipi con simmetria equilaterale.
A seconda della lunghezza delle ramificazioni, il panicolo può essere più o meno spargolo.
I fiori hanno ovario nonocarpellare supero, stigma bifido e 3 stami con antere bilobate.
La fioritura è scalare acropeta e dura 6-7 giorni nell’ambito di un’infiorescenza. La
fecondazione è autogama, cleistogama, anche se è possibile, seppur raramente, la
fecondazione incrociata. Alla fecondazione segue l’apertura delle glumelle.
La spighetta dell’avena è aristata con caratteristica resta, inserita sulla lemma.
Il frutto dell’avena è cariosside vestita, con glume strettamente aderenti al frutto, eccetto
in alcune cv. la presentano nuda.

253
Cariossidi vestite dell’avena

Da F. e U. Bonciarelli

Il peso di 1.000 cariossidi varia da circa 25 a 35 g , ossia da circa 0,025 a 0,035 g a


cariosside e il peso ettolitrico varia da circa da circa 40 a 60 kg.
La composizione media granella è la seguente: umidità 10-12%; proteina grezza (N x 6,25)
11-13%; lipidi grezzi 4,2-4,6%; fibra grezza 12,2-12,8%; ceneri 3,2-3,6%; estrattivi
inazotati 56-58%. Il valore nutritivo della granella non è alto per la presenza di una
discreta quantità di fibra tanto che è circa 0,7 UF per kg rispetto ad 1 UF presentato da
quella dell’orzo.
Ciclo biologico
Il ciclo biologico dell’avena è molto simile a quello del frumento a cui si rimanda per il
nome delle varie fasi e relative caratteristiche.
A parità di condizioni ambientali, l’avena è più tardiva , in media circa 10 giorni, rispetto
al frumento nei riguardi della fioritura e della maturazione.
Anche nell’avena vi sono cv. adatte alla semina invernale e cv. adatte alla semina
primaverile.
Le epoche di raggiungimento delle diverse fasi di sviluppo sono naturalmente molto
variabili in relazione all’epoca di semina, all’ambiente e alla precocità della varietà.
In Italia centrale, nelle semine con varietà precoci fatte nella prima settimana di
novembre, sia ha indicativamente: l’inizio dell’emergenza a fine novembre, l’inizio della
levata nella seconda decade di marzo, la fioritura verso fine maggio, la maturazione verso
i primi di luglio.
Ciclo biologico dell’avena. Date indicative per coltura seminata in Italia centrale nella
1° settimana novembre

254
Esigenze ambientali
Clima
Le esigenze climatiche dell’avena sono simili a quelle del frumento tenero.
Le temperature cardinali minime, quando le funzioni vitali si arrestano ma con cessano,
sono: 4 °C per la germinazione, 6 °C per l’accestimento, 16 °C per la fioritura, 18 °C per
la maturazione.
L’avena è poco resistente al freddo: temperature minime di poco inferiori a -15 °C sono
molto dannose per le varietà devono passare l’inverno.
Per tale ragione la semina è spesso primaverile: cosa possibile per la sua alternatività.
In generale le varietà coltivate in Italia sono particolarmente penalizzate da inverni rigidi,
tanto che in Italia centro-settentrionale spesso risulta obbligatoria la semina primaverile.
Attualmente però il miglioramento genetico da dato origine a varietà d’avena meno
sensibili al freddo che possono consentire semine autunnali anche in ambienti con inverno
rigido.
Vista la tardività l’avena è raramente danneggiata dal freddo durante la fase della
fioritura.
L’avena ha i consumi idrici più alti tra tutti i cereali microtermi. Per tale ragione è molto
adatta ai climi freschi e ai suoli umidi e, al contrario, non ai climi caldi e siccitosi, specie
durante la granigione. I consumi idrici unitari oscillano tra 400 e 600 kg di acqua
evapotraspirata per 1 kg di s.s. prodotta: valori, tra i cereali, solo inferiori a quelli del
riso.
Suolo
L’avena per quanto riguarda il tipo di suolo, se si eccettua la salinità, è il più adattabile
tra i cereali a paglia.
La sua rusticità e lo sviluppo notevole dell’apparato radicale le consente di crescere
praticamente su moltissimi tipi di suolo. Infatti, se si eccettua la salinità e i suoli con
caratteristiche pedologiche che determinano l’insorgenza dell’asfissia radicale e carenze
idriche, si adatta, ad es. ,a suoli sciolti o ricchi di scheletro, a suoli compatti e umidi, a
suoli tendenzialmente acidi non fertili e soffici per S.O. poco decomposta.
Per quest’ultima ragione l’avena è il cereale più adatto ad aree di recente messa in
coltura, acide e ricche S.O. in quanto sopporta bene lo squilibrio degli elementi nutritivi
tipici di queste condizioni pedologiche.
Avversità abiotiche.
Le avversità abiotiche che più influenzano la coltura si cita:
 il freddo.
I danni da freddo sono elevati se la gelata si verifica improvvisamente. Infatti nella stessa
varietà, la temperatura di -9 °C può provocare danni trascurabili o la morte di tutte le
piante secondo se questo si verifica dopo un periodo di “indurimento” dei tessuti vegetali
ossia circa dopo circa due settimane con temperature di poco superiori agli 0 °C o
repentinamente dopo un periodo di temperature miti.
 l’allettamento.
L’avena è una delle specie più sensibili all’allettamento, fatto particolarmente grave in
considerazione della morfologia dell’infiorescenza della pianta che rende difficile la
raccolta della granella negli appezzamenti allettati. La suscettibilità all’allettamento
dell’avena è molto elevata nelle vecchie cv. in relazione alla loro notevole taglia: anche
oltre 1,5 m.

255
Il miglioramento genetico però oggi portato alla creazione di cv. con taglia inferiore a 0,9
m. Tuttavia, in ambienti freschi e su terreni fertili, l’allettamento colpisce gravemente
anche le nuove c.v. ad altezza più contenuta .
 la stretta da caldo.
In ragione degli elevati consumi idrici unitari, l’avena è particolarmente svantaggiata
dalla siccità primaverile che riduce fortemente la produzione di biomassa. La stretta da
caldo è un’avversità abbastanza frequente, vista la tardività di maturazione della specie.
La stretta provoca un calo sensibile delle produzioni ed ha effetti negativi sulla qualità
della granella, in quanto riduce in particolare il peso dei 1.000 semi e quello ettolitrico.
L’entità dei danni è fortemente legata alle caratteristiche varietali e all’epoca di semina
risultando maggiori in varietà tardive a semina primaverile.
Avversità biotiche
Tra le avversità biotiche vegetali sono da evidenziare quelle fungine dovute al carbone
(Ustilago avenae), alle ruggini (Puccinia coronata avenae e Puccinia graminis avenae) e
all’oidio (Erysiphe graminis). L’avena è resistente agli agenti del mal del piede per cui più
dell’orzo si adatta ai ristoppi.
Tra le avversità biotiche animali sono da evidenziare quelle dei Rabditoidei o nematodi
delle radici (Heterodera avenae) che attaccano anche la base dei culmi.
Contro le avversità biotiche unica lotta agro-economicamente valida è quella indiretta con
l’uso di cv. resistenti e corretti avvicendamenti.
La riuscita della lotta contro le avversità biotiche è comunque favorita:
 dalla distruzione tempestiva dei residui colturali dove gli agenti di malattie e di insetti
fitofagi svernano
 dalle sistemazioni idrauliche che, evitando ristagni idrici, aumentano la
resistenza delle piante coltivate verso le fitopatie e gli insetti
 da una concimazione completa ed equilibrata.
 dalla correzione del pH del suolo poiché molte avversità biotiche sono favorite da una
reazione anomala del suolo.
E’ bene che l’uso dei prodotti chimici contro le avversità biotiche segua, come per le altre
colture agrarie, le basi della lotta integrata ossia sull’accertamento della presenza dei
parassiti, sulla conoscenza delle condizioni microclimatiche predisponenti la notevole
insorgenza delle avversità, sulla conoscenza delle soglie di tolleranza verso queste, sulla
scelta dei fitofarmaci a più basso impatto ambientale e sulla massima salvaguardia degli
insetti ausiliari.
Miglioramento genetico: le varietà dell’avena.
In Italia, il miglioramento genetico dell’avena non è stato sviluppato in passato come
quello del frumento. L’opera di miglioramento genetico dell’avena è stata comunque
indirizzata, oltre alla resistenza verso malattie, all’allettamento, al freddo e
all’abbassamento della taglia, anche verso un accorciamento del ciclo di sviluppo per
ridurre i danni dovuti alla stretta da caldo.
Di seguito alcune cv. per l’Italia del nord, del centro, del sud e delle isole (* indica cv.
tardive).
- Nord: Perona*, Poncho*, Donata, Fulvia, Prevision, Tropicale*, Origine*
- Centro: Argentina, Donata, Fulvia, Prevision, Tropicale*.
- Sud: Argentina, Prevision, Marisa, Rogar 8, Fulvia, DE 161.
- Sicilia: Donata, Argentina, Ava, Flavia, Marisa, Fulvia.
- Sardegna: Marisa, Rogar 8, DE 161, Argentina, Prevision, Donata.
256
Ad eccezione di alcune zone dell’Italia del nord i migliori risultati sono ottenuti
utilizzando varietà precoci, che sfuggono meglio alla carenza idrica del suolo e alle alte
temperature durante la granigione.
Tecnica colturale.
Posto nell’avvicendamento.
L’avena occupa i posti più diversi nell’avvicendamento.
Ottima utilizzatrice della sostanza organica accumulata nei suoli da vecchi prati o pascoli
si presta ad essere la specie di apertura per la messa in coltura di suoli incolti o derivarti
da un disboscamento.
In analogia con gli altri cereali a paglia, l’avena è coltura sfruttante e la sua collocazione
tipica nell’avvicendamento è dopo ad una coltura da rinnovo.
Dato la sua suscettibilità all’allettamento, non è adatta a seguire una leguminosa pratense
o da granella poiché queste lasciano una elevata quantità di azoto nel suolo.
In aree con ordinamenti colturali eccessivamente semplificati l’avena la si trova spesso
dove si pratica il ristoppio dato la sua resistenza agli agenti del mal del piede.
Utilizzo.
L’avena, oltre per la produzione di granella, viene impiegata come coltura foraggera da
erbaio o come coltura da sovescio pura o in consociazione con le leguminose quali favino,
veccia, pisello, ecc. L’avena si usa anche nella consociazione temporanea con leguminose
pratensi, come l’erba medica, per aumentare la produzione del prato del primo anno in
relazione al suo sfalcio in fase di levata avanzata o inizio botticella.
Lavorazione del suolo.
L’avena richiede una lavorazione del suolo meno accurata rispetto al frumento.
Il momento della lavorazione principale, fatta con aratro o con scarificatore o altro
strumento, dipenderà dal tipo di suolo, dalla precessione colturale e da quando si vuol
seminare l’avena.
Per le semine autunnali l’epoca per la lavorazione del suolo è in funzione del tempo che
intercorre tra la raccolta della coltura precedente e la semina.
In relazione a ciò questa può essere fatta in estate subito dopo la raccolta della coltura
autunno-vernina, ad es. colza o favino o a fine estate – inizio autunno dopo la raccolta
della coltura primaverile-estiva come il mais o il sorgo.
Per semine primaverili su suolo argilloso la lavorazione principale è bene che sia fatta in
estate in modo da formare di strutture agronomicamente valide.
Per semine primaverili su suoli sabbiosi o limosi soggetti a compattamento la lavorazione
principale del suolo può essere fatta in vicinanza della semina.
Concimazione
L’avena è una coltura rustica da un punto di vista nutrizionale grazie anche al notevole
sviluppo del suo apparato radicale che le consente di assorbire elementi nutritivi da da
discrete profondità.
In base all’asportazioni di elementi nutritivi per 0,1 t di granella d’avena, corrispondenti a
N=2,75 kg, P2O5 =1,18 kg, K2O=3,16 kg, al suo rapporto di concimazione pari a 1: 1 : 0,5-
0, considerando ad es. il 30 % di immobilizzazione della P2O5, la concimazione per una
produzione di 4 t ha-1 prevede la distribuzione di una quantità totale per ettaro di: circa
60 kg di N, 60 kg di P2O5 e 30 o 0 kg di K2O.

257
Se non si prevede di distribuire K, il fosforo può essere dato al cereale tramite circa 0,13
t di fosfato biammonico localizzato alla semina: fatto che determina anche la distribuzione
di circa il 39 % della dose di N totale calcolata.
Non raramente, però, per la suscettibilità all’allettamento dell’avena, la dose di N totale è
opportuno che non superi i 50 kg ha-1. Infatti solo per varietà molto resistenti a
quest’avversità coltivate su suoli sciolti, un decorso stagionale particolarmente piovoso e
in previsione di alte produzioni si apportano al massimo circa 80 kg di N ha-1.
Quantità minori a 50 kg ha-1di quest’elemento è opportuno che siano date alla coltura in
previsione o nella constatazione di decorsi stagionali poco piovosi o in condizioni di
carenza idrica primaverile. Riguardo ai tipi di concimi azotati da somministrare vale la
regola generale di optare per quelli con più bassi costi dell’unità fertilizzanti “alla radice”
considerando ovviamente le caratteristiche del suolo e l’andamento climatico dell’area di
coltivazione.
Circa il tipo di concime fosfatico da usare, esclusa la somministrazione di fosforo alla
semina, può essere utilizzato, in pre-semina a tutto campo, perfosfato triplo. In questa
distribuzione può essere, eventualmente, aggiunto quella quantità di K2O prevista
necessaria al cereale sotto forma, ad es. , di solfato potassico.
Semina
La semina dell’avena può essere autunnale, o primaverile.
La scelta di una delle due epoche è frutto di un compromesso tra la relativamente scarsa
resistenza al freddo della coltura e la necessità di garantire buone condizioni idriche e
termiche durante la fase di levata e di maturazione della granella.
Semina autunnale
In generale la semina autunnale, è leggermente anticipata rispetto a quella del frumento:
nell’ Italia del nord cade, mediamente, in corrispondenza della seconda metà di ottobre.
Ne Sud Italia la semina autunnale può spingersi fino Dicembre inoltrato. In linea generale
la semina autunnale è da preferire dove l’ambiente non è eccessivamente freddo e quando
si utilizzino varietà resistenti al gelo poiché consente di ottenere rese più alte rispetto a
quella primaverile.
Semina primaverile.
Le basse esigenze termiche del seme per la germinazione fanno si che la semina
primaverile possa avvenire in epoca molto precoce, anche con un leggero anticipo rispetto
alla barbabietola. A seconda del decorso stagionale, le semine in pianura padana possono
iniziare in febbraio e protrarsi fino alla metà di marzo. Semine in epoca più tardiva sono
da evitare in quanto aumentano eccessivamente i rischi di insuccesso per eccessi termici o
carenza di precipitazioni durante le fasi di levata e di maturazione. La semina primaverile
sarà tanto più tardiva quanto più si sale in latitudine o altitudine.
In Italia la semina primaverile viene usata molto praticata nelle regioni del Nord, mentre
al Centro e, soprattutto al Sud e nelle Isole viene molto spesso praticata la semina
autunnale.
La tecnica di semina è simile a quella vista nei precedenti cereali a paglia: a righe distanti
circa 15-18 cm tra loro.
Di norma la semina viene effettuata con seminatrice universale, distribuendo il seme a 2-3
cm di profondità.
La quantità di seme ad ettaro da distribuire dipende dalla caratteristiche pedo-climatiche
dell’area in esame e dall’epoca di semina.

258
Per le condizioni pedo-climatiche adatte all’avena la quantità di seme oscilla tra circa 140
kg ha-1 per le semine autunnali a circa 190 kg ha-1 per le semine primaverili: ciò per avere
un investimento medio da 250 a 400 piante a m2. Nel caso di avena per erbaio
l’investimento deve essere aumentato di circa il 25%.
La quantità di seme per le semine primaverili è maggiore poiché l’accestimento delle
piante è minore. Anche nelle semine autunnali ritardate si aumenta l’investimento a m2
per compensare fallanze dovute a morte di piante per freddo.
Investimenti a m2 eccessivi sono comunque sempre da evitare data la notevole sensibilità
dell’avena all’allettamento.
Cure colturali
Concimazione in copertura
La concimazione in copertura con azoto è solitamente fatta o verso metà Febbraio nella
fase del viraggio, o verso metà del mese di Marzo ad inizio della fase di levata.
Diserbo
Per le pratiche del diserbo si rimanda a quanto accennato al frumento e al seguente
esempio di diserbo dell’avena. Un esempio di una strategia per il diserbo nell’avena.

Trattamenti antiparassitari
Per i trattamenti antiparassitari si rimanda a quanto accennato nei precedenti cereali a
paglia.
Raccolta
La raccolta dell’avena cade a circa metà luglio in relazione a quando e dove è stato
seminato il cereale.
La raccolta dell’avena viene effettuata con le normali mietitrebbiatrici da frumento
opportunamente tarate seguendo gli stessi criteri evidenziati nei precedenti cereali a
paglia.
La raccolta deve essere però tempestiva per limitare le perdite per sgranatura delle
cariossidi poiché sono più elevate che negli altri cereali a paglia anche se oggi, le moderne
varietà, presentano una buona resistenza a questa tendenza .
Produzione
Le produzioni medie nel 2005 sono state di circa 2,5 t ha-1 di granella tuttavia, in annate
favorevoli e in buone condizioni pedologiche e agronomiche, possono essere raggiunte
produzioni superiori a 5 t ha-1 di granella.

259
Segale - Famiglia Poacee o Graminacee - Secale cereale.
L’area geografica da cui ha preso origine la segale è quella medio orientale. La storia della
segale come pianta agraria inizia almeno nell’ Età del Bronzo. Nel 4° secolo a.C. si è
diffusa prevalentemente nell’Europa centro-settentrionale e orientale e, in Italia, nel Sud
Tirolo, Friuli, Lombardia, Piemonte. La segale è stata il cereale base dei Celti e degli Slavi.

È il tipico cereale dei Paesi e luoghi freddi e umidi per latitudine o altitudine. In Italia
viene principalmente coltivata in Piemonte, Lombardia e Trentino.
La segale nel 2005 aveva una superficie di circa 3.000 ha uguale rispetto al 2001
Caratteri botanici.
La segale è una pianta allogama per autoincompatibilità con impollinazione anemofila per
cui la fecondazione incrociata è la regola. I caratteri botanici sono simili al frumento, ma
si distingue da questo per le orecchiette che non abbracciano il fusto e per la ligula corta
con piccoli denti triangolari. Segale: orecchiette

Da F. e U. Bonciarelli

Il culmo è molto alto, fino a circa 2 m , sottile ma elastico e flessibile. Ha foglie verde
glauco con lamina più corta e stretta del frumento. La spiga porta, ad ogni dente del
rachide, una spighetta triflora di cui un fiore è sterile. Per tale ragione ogni spighetta
porta a maturazione solo due cariossidi. La glumella inferiore presenta una lunga resta.
Segale: spighe Segale

260
Le cariossidi, che sono nude, hanno colore diverso, da biancastro a verdognolo a grigio
fino a nero, secondo le cv., Queste sono tendenti all’estremità, dove è localizzato
l’embrione, ad avere forma appuntita e dalla parte opposta, alla forma tronca.

Segale: granella

Da F. e U. Bonciarelli

Il peso dei 1.000 semi è circa 50 g o 0,05 g a cariosside e il peso ettolitrico è circa 70 kg.
La cariosside della segale è costituita per circa il 17% dal pericarpo, l’80 dall’endosperma
e per il 3% circa dall’embrione. Questa ha le seguenti caratteristiche nutritive
considerando un’umidità commerciale del 10,5% di acqua: 2,0% di ceneri; 11,6% di
protidi grezzi; 1,7% di lipidi, 2,5% di fibra grezza e 71,7% di estrattivi inazotati.
Ciclo biologico.
Il ciclo biologico è simile a quello del frumento. La segale compie la fase di accestimento
più in ritardo rispetto al frumento e la sua capacità ad accestire è inferiore. Rispetto al
frumento compie però le restanti fasi del ciclo vitale più rapidamente e precocemente.
Esigenze ambientali: clima e suolo.
Come accennato è una specie rustica adatta alle aree difficili, marginali, caratterizzate da
climi freddi, umidi con suoli sciolti ed acidi.
La sua resistenza al freddo e le sue minori esigenze termiche rispetto al frumento è
evidenziata dal fatto che può fiorire a 14°C e maturare a 19°C .
La segale è da preferire tra i vari cereali a paglia quando si mettono a coltura incolti con
suoli acidi organici.
Avversità
Tra l’avversità biotiche della segale è da ricordare il fungo ascomicete Claviceps purpurea
conosciuto come segale cornuta. Questo trasforma le cariossidi in sclerozi di forma
allungata che sono velenosi per gli animali: uomo compreso.
Avvicendamento o rotazione e concimazione.
Nell’avvicendamento o rotazione la segale occupa lo stesso posto del frumento. Più di
quest’ultimo sopporta il ristoppio.

261
La tecnica di concimazione è simile, per tecnica di calcolo, epoche, tipi e modalità di
distribuzione di concimi, a quella del frumento ma la quantità totale di azoto non supera
normalmente i 40-50 kg di N ha-1 per elevata suscettibilità l’allettamento del cereale.
Semina.
La semina è, normalmente, autunnale e dato il suo scarso accestimento è fatta
precocemente in settembre-prima metà di ottobre in relazione alle aree di coltivazione. In
certi casi molto rari la semina può essere fatta anche a fine inverno-inizio primavera.
Per la semina si impiegano da circa 130 a 160 kg di seme ha-1 in relazione alle
caratteristiche pedo-climatiche e altimetriche della zona.
Raccolta.
Per la raccolta della granella occorre mietitrebbiare con un leggero anticipo sull’epoca di
maturazione piena, ossia verso circa fine luglio. Ciò per evitare perdite dovute a
sgranatura.
Produzione ad ettaro.
La segale nel 2005 aveva una produzione media nazionale di circa 2,6 t ha-1 ma spesso
nelle aree marinali e difficili la resa è minore: 1,5 t ha-1 se non più bassa.

Mais - Famiglia Poacee o Graminacee - Zea mays


Il mais, originario dell’America centrale, è ritenuto che derivi dalla Zea mexicana pianta
selvatica del Messico e del Guatemala detta teosinte. Cristoforo Colombo portò il mais in
Europa. La prima rapida diffusione del mais in Europa si ebbe nel 1600 nelle regioni
balcaniche, allora facenti parte dell’Impero Ottomano, grazie alle condizioni climatiche
favorevoli che assicuravano produzioni di granella più che doppie rispetto a quelle dei
tradizionali cereali del periodo. Qualche tempo dopo probabilmente il mais iniziò a
diffondersi dai vicini Balcani in Italia, da cui forse deriva il nome volgare di granoturco.
Le regioni della Pianura Padana, in particolare quelle nord-orientali, furono quelle che
introdussero diffusamente il mais nei loro ordinamenti colturali.
Oggi le regioni italiane più maidicole sono Veneto, Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia
Giulia che da sole producono circa il 66 % di tutto il mais italiano. La produzione
nazionale copre circa l’85% del fabbisogno interno, il restante fabbisogno nazionale è
coperto dall’importazione dagli USA e dal Sud America. In Italia il mais da granella nel
2005 aveva una superficie di circa 1.200.000 in leggero aumento rispetto al 2001.
In Italia, il mais per scopi zootecnici è coltivato per la produzione di granella e di insilato.
Caratteri botanici.
Il mais è una pianta, polipoide con patrimonio genetico 2n = 20, annuale macroterma che
presenta un grande polimorfismo, evidente specie nel peso, forma e colore della cariosside.
Per tale motivo si hanno 7 gruppi, indicati come sottospecie o sub-specie, dei quali
interessano, per scopi zootecnico faunistica, in particolare, i seguenti due gruppi:
 Zea mays indentata o mais a dente di cavallo o dent corn con cariosside ad endosperma
corneo solo ai lati suoi lati e farinoso all’interno e all’apice di questa detto corona.
Questo tipo di mais è più diffuso del seguente data la sua maggiore produttività. È un mais
molto adatto nell’alimentazione degli ungulati.

262
 Zea mays indurata o mais vitreo o plata o flint corn con cariosside tondeggiante avente
endosperma corneo che la riveste completamente. Moltissime vecchie varietà di mais
europee sono di questo tipo. È il mais preferito per l’alimentazione dei volatili.
Mais indentata Mais indurata

Da F. e U. Bonciarelli
Apparato radicale.
L’apparato radicale del mais è caratterizzato da:
radici primarie o seminali che cessano la loro funzione dopo la formazione della 4-5
foglia
radici secondarie o avventizie emesse dalla zona della corona pochi giorno dopo
l’emergenza della plantula. Queste accrescendosi, a partire da circa 2-3 cm di profondità,
rappresentano il vero apparato radicale. Apparato radicale fascicolato ed espanso, che
quando la pianta è sviluppata può raggiungere circa 1,5 m di profondità con il massimo di
presenza nei primi 40 cm
radici aeree originate dai primi 2-3 nodi del culmo con funzione di ancoraggio e in
parte di assorbimento nutrizionale.

263
Stelo.
Lo stelo del mais o stocco, con diametro che nella pianta adulta può raggiungere anche
circa 6-7 cm, ha altezza di circa 2-3 m in base al genotipo.
Lo stelo è formato da nodi ed internodi che si allungano da meristemi posti sopra questi. I
nodi del fusto, di forma circolare ellittica, sono pieni come gli internodi di parenchima
midollare con fasci conduttori. Parenchima che ha funzione di riserva idrica e di sostanze
nutritive per la pianta. Il numero degli internodi, nelle 2 sub-specie di mais prima
considerate, varia da circa 12 a 24. . L’accestimento è, nei mais coltivati, assente o
estremamente raro. Se presente è dovuto a germogli posti nei primi nodi prossimi al suolo.
Foglie
Le foglie, inserite ai nodi, sono: alterne, lanceolate, parallelinervie, larghe fino a 8 cm,
lunghe da circa 70 a 80 cm, acuminate, glabre nella pagina inferiore e spesso pubescenti
nella superiore, con guaina amplessicaule, ligula aderente al fusto e senza orecchiette.
Organi fiorali.
Il mais è una pianta monoica ossia ha fiori maschili e femminili portati sulla stessa pianta
ma su due infiorescenze separate.

Da F. e U. Bonciarelli

A sinistra pianta di mais (A) con infiorescenza femminile a spiga detta usualmente
pannocchia (B) con in evidenza un fiore femminile e relativo ovario da cui si diparte il
lungo stilo con funzione di stigma (C, D). A destra infiorescenza maschile (A) a spiga o
panicolo detta usualmente pennacchio con particolare delle spighette (B,C,D,E)
L’infiorescenza maschile è rappresentata da un panicolo o pannocchia usualmente detto
“pennacchio” costituita da numerose ramificazioni su cui si trovano inserite le spighette.
Ogni spighetta ha 2 fiori maschili, ognuno con 3 stami.

264
L’infiorescenza maschile del mais: panicolo o
pannocchia detto pennacchio.

L’infiorescenza femminile è rappresentata da una spiga ascellare o spadice,


impropriamente detta pannocchia, collocata verso il 6°-7° nodo sotto l’infiorescenza
maschile.

L’infiorescenza femminile del mais: spiga


ascellare o spadice detta pannocchia.

L’asse centrale della spiga o rachide, detto tutolo, è portato da un peduncolo o branca
ascellare del culmo con circa 8-12 nodi molto raccorciati ognuno dei quali con una foglia
metamorfosata detta brattea o spata. Le brattee formeranno poi il cartoccio con funzione
protettiva della spiga. Sul tutolo si localizzano le spighette. Ciascuna spighetta porta due
fiori di cui uno fertile. Le spighette si inseriscono sul tutolo in file, dette ranghi, che in
variano da 14 a 20 anche in relazione al genotipo.
I fiori femminili hanno lunghissimi stili detti sete o barbe. I primi stili e relativi stimmi a
uscire dal cartoccio sono quelli dei fiori basali del tutolo.
Impollinazione è anemofila e la fecondazione è quasi totalmente incrociata: si stima che
solo circa 1% della fecondazione avviene per autofecondazione.
La lunghezza della spiga oscilla da 10 a 20 cm e il n° di fiori potenziali per singolo rango
può arrivare fino a 50. Questo porta ad un potenziale di circa di 1.000 cariossidi per spiga.
265
Gli attuali genotipi di mais hanno la caratteristica di produrre una sola spiga per pianta
ossia essere monospiga ma in particolari condizioni, come per basso n° di piante a m2
dovute a varie cause, hanno la possibilità di produrre una seconda spiga che, più piccola
della principale è però di scarsa importanza produttiva.
Il mais non è solo pianta monoica ma anche diclina proterandra ossia la fioritura
maschile, con diffusione del polline per opera del vento, avviene circa 2-3 giorni prima
della fioritura femminile.
La fioritura dell’infiorescenza maschile dura circa 2-3 giorni cosicché in un campo questa
si protrae più giorni per la sua scalarità.
Nell’infiorescenza femminile gli stigmi e gli stili o sete o barbe appena compaiono
all’esterno dal cartoccio sono subito pronti per a ricevere il polline. Entro 24 ore dalla
impollinazione si ha la fecondazione dell’ovulo. Entro circa 10-12 giorni dalla
fecondazione si ha la formazione dell’embrione a cui segue l’inizio della fase di accumulo
dell’amido nell’endosperma della cariosside in via di formazione.
Frutto
Il frutto del mais al pari dei cereali a paglia è una cariosside detta impropriamente seme.
Nel gruppo Zea mays indurata, le cariossidi hanno,come prima accennato, endosperma
corneo tutto intorno alla cariosside.

Nel gruppo Zea mays indentata, rispetto a gruppo Zea mays indurata, le cariossidi hanno,
come in precedenza accennato, endosperma corneo solo ai lati e farinoso al loro interno e
sul loro apice o corona.
Questa caratteristica fa sì che la corona, con l’avanzare della maturazione, per perdita di
umidità dell’endosperma e conseguente riduzione di volume, presenta un’infossatura
simile a quella di un dente incisivo di cavallo da cui il termine indentata .

La cariosside è costituita, in peso, dalle seguenti parti: embrione (12-14 %), endosperma
(75-80 %), involucri (8-10 %)

266
L’embrione è costituito, come gli altri cereali, dalla: piumetta protetta dal coleoptile con
già differenziate gli abbozzi delle prime 5 foglie, dalla radichetta protetta dalla coleorizza
e dallo scudetto o scutello ricco di grassi.
L’endosperma è costituito da uno strato aleuronico esterno e da un parenchima
amidaceo interno.
Gli involucri sono costituiti dal pericarpo e dal perisperma.
Visivamente nella cariosside di Mais si riconoscono le seguenti patri.
 la corona, parte della cariosside che nella spiga è opposta all’inserzione sul tutolo
 2 facce, una superiore e una inferiore rivolte rispettivamente verso l’apice e la base
della spiga
 l’embrione in corrispondenza della dell’inserzione della cariosside sul tutolo
Per il polimorfismo che caratterizza la Zea mays indurata e la Zea mays indentata il peso il
peso di 1.000 cariossidi è molto variabile variando da circa 250 a 350 g (0,25 a 0,35 g a
cariosside)
Ciclo biologico
Ciclo biologico del mais e determinismo della produzione di granella

Da F. e U. Bonciarelli

267
In condizioni ambientali adatte il seme germina emettendo prima la radichetta
embrionale e poi il coleoptile. La temperatura minima per questa fase, per avere
germinazioni e nascite uniformi, è di circa 12° C nei primi 5 cm del suolo.
Dal coleoptile, una volta emerso, fuoriuscirà la prima foglia vera.
Con l’accrescimento del fusto le successive foglie si dipartiranno, in modo alterno, dai
nodi sovrastanti al primo. Dopo l’emissione delle 3-4 foglia, circa 30-45 giorni dalla
semina, si ha la levata rapida corrispondente all’inizio dello sviluppo completo della
pianta.
In 50-70 giorni, in media 2 mesi, le piante raggiungono il loro massimo sviluppo ed
iniziano la fase di fioritura.
Nei primi 40-50 giorni dalla fecondazione la pianta è nella fase di maturazione lattea.
Dopo questa fase la pianta entra nella fase di maturazione cerosa che nei mais seminati a
fine aprile cade verso la 1 settimana di Settembre.
In fase di maturazione cerosa le cariossidi hanno circa il 40-45 % di umidità mentre la
parte aerea delle piante, nel complesso, hanno circa il 30-35 % di acqua. Nel mais tipo
indentata in questa fase si inizia vedere la fossetta sull’apice della cariosside.
Mais tipo indentata con fossetta sull’apice della cariosside

Nella fase di maturazione cerosa la pianta tende ad ingiallire le foglie basali: questo è il
momento per la raccolta del mais da insilare come trinciato integrale.
Segue alla maturazione cerosa, verso fine Settembre - primi di Ottobre, la maturazione
fisiologica.
In questo stadio la granella, con il 30-35 % di umidità, ha raggiunto il massimo contenuto
di S.S. e può germinare.
La raccolta del mais da granella si fa, in genere, a fine Ottobre primi di Novembre
quando l’umidità delle cariossidi è scesa a circa il 20-24 %. Pur aspettando questo periodo
la granella raccolta per essere ben conservata in silos deve essere sempre essiccata
artificialmente. Infatti per avere una sicura conservazione l’umidità deve essere, al
massimo, del 13 %.
Riassumendo il ciclo del mais si evidenzia che: i giorni tra la semina e l’emergenza
oscillano da 18 a 20; tra l’emergenza e l’antesi, secondo i genotipi, oscillano tra circa 40 e
75 i giorni; tra l’antesi e la maturazione fisiologica, secondo i genotipi, oscillano tra circa
45 e 70 giorni.
In relazione a queste diversità i mais in commercio, oggi in maggioranza ibridi, sono divisi
in 9 classi di precocità FAO indicanti il numero di giorni intercorrenti tra l’emergenza e
la maturazione fisiologica.
Dalla tabella che segue si può osservare che intervallo di tempo nei vari tipi di mais varia
tra circa 80 e 150 giorni.
268
Classe FAO Tipi di mais Ciclo in giorni
100 Ultra precoci 76-85
200 Precocissimi 86-95
300 Precoci 96-105
400 Medio precoci 106-115
500 Medi 116-120
600 Medio tardivi 121-130
700 Tardivi 131-140
800 Molto tardivi 141-150
900 Ultratardivi > 150
Esigenze ambientali
Il mais è una pianta di origine tropicale, macroterma e originariamente brevidiurna.
Grazie però alla elevata variabilità genetica degli ibridi e alla selezione di genotipi
fotoindifferenti ha oggi il mais ha la possibilità di essere coltivato fino al 50° di latitudine
Nord.
Alla coltivazione del mais sono adatti tutti gli ambienti, dalla pianura alla collina, con
suoli presentanti una profondità minima di circa 50 cm. Il limite per la coltivazione del
cereale, eccetto il fattore altimetrico, non è tanto pedologico quanto climatico. Con
piovosità scarsa e irregolare nei mesi estivi la coltura asciutta non è economicamente
proponibile: solo con l’irrigazione sono possibili produzioni valide.
Tipo di suolo.
Il mais, pur adattandosi a varie condizioni pedologiche, da pH sub-acido a sub-alcalino, in
ambienti ricchi di sabbia o di argilla, ha difficoltà su suoli mal strutturati e asfittici.
Temperatura.
Come accennato la pianta non germina se la temperatura del suolo è inferiore a 10° C
(zero di vegetazione). Solo quando questa ha raggiunto circa i 12° C si ha una
germinazione e % d’emergenza accettabile.
La plantula di mais, una volta emersa, se interessata da abbassamenti di temperatura
prossimi a 4-5 ° C può morire o entrare in forte stress fisiologico.
La temperatura ottimale per la crescita oscilla tra i 22 e i 24 °C mentre per la fioritura è
di circa 26° C. Durante la fioritura temperature superiori a 32-33 °C e bassa umidità
relativa dell’aria sono dannose perché portano a cattiva allegagione con incompleta
granigione della spiga, specie nella parte apicale poiché è l’ultima a fiorire.
Fabbisogno idrico.
Il mais nel nostro Paese, eccetto in alcune aree nord-orientali, non riesce a fornire
produzioni quanti qualitativamente buone con il solo apporto idrico delle piogge. Per tale
ragione in Italia il mais è considerata una coltura irrigua.
Avversità abiotiche e biotiche.
Tra le avversità abiotiche si citano i ritorni di freddo, le precipitazioni prolungate dopo la
semina, il forte vento, la siccità, ecc..
Tra le avversità biotiche si evidenziano i seguenti parassiti. Tra i funghi l’Ustilago maidis o
carbone; la Gibberella zeae, il Fusarium graminearum, il Fusarium culmorum o marciumi
dello stocco. Tra i batteri l’Erwinia spp. o colpo di fuoco. Tra i virus il MDMV e il BYDV

269
Carbone del mais sulla spiga

Da F. e U. Bonciarelli

Tra gli insetti: i lepidotteri Agrotis ipsilon o agrotide o nottua ipsilon, Ostrinia nubilalis o
piralide e la nottua Sesamia cretica che danneggiano foglie, fusto e spiga; i coleotteri
Agriotes litigiosus, Agriotes lineatus, Agriotes spunctator, Agriotes sordidus, Agriotes
obscurus o ferretti e la larve del Melolontha melolonta o maggiolino che attaccano
l’apparato radicale e il colletto delle piantine; gli emitteri omotteri l’Aphis spp. o afidi che
determinano un ritardo dello sviluppo della pianta; gli ortotteri il Gryllotalpa gryllotalpa o
grillotalpa Attacco di piralide del mais: danni sulla spiga e sul fusto

Ibridi Da F. e U. Bonciarelli
Il grande successo agro-economico del mais si basa sulla sostituzione delle vecchie cultivar
locali o ecotipi con ibridi ottenuti dall’incrocio di linee pure.
Le linee pure o inbreds si ottengono classicamente dalla autofecondazione per circa 6-7
anni di piante scelte, per caratteri agronomici pregevoli, entro una popolazione di
partenza.
Con l’autofecondazione e la costituzione delle linee pure omozigoti il mais riduce la sua
taglia e produzione. Con l’incrocio di due linee pure porta alla produzione di seme che
rappresenta l’ibrido F1.
Nell’ibrido, derivante dalla germinazione del seme F1, si ha il lussureggiamento della
pianta di mais con la messa in evidenza dei caratteri positivi selezionati con le linee pure.
Gli ibridi ora descritti sono detti semplici o a 2 vie.
270
Vi sono però anche altri tipi di ibridi come quelli a 3 vie e a 4 vie. Gli ibridi a 3 vie
derivano dell’incrocio di una linea pura con un ibrido di prima generazione o F1, gli
ibridi a 4 vie derivano dell’incrocio di due ibridi F1.
Gli ibridi a 2 vie sono adatti per aree particolarmente vocate per il mais.
Gli ibridi a 3 vie e a 4 vie sono adatti per aree con problematiche pedo-climatici
progressivamente crescenti.
Ciò perchè hanno un patrimonio genetico via via più ampio e adattabile anche se meno
produttivo.
Per fornire, indicativamente, la potenzialità produttiva degli ibridi se quello dei 2 vie è
fatta pari a 100, quella dei 3 vie è circa 90 e quella a 4 vie è circa 80.
Altro pregio degli ibridi a tre e quattro vie è quello che, pur producendo meno rispetto a
quelli semplici, hanno una semente di costo d’acquisto è più basso.
Mais: produzione degli ibridi a 2 vie (AxB),
Schema della selezione di linee pure. 3 vie (AxB) x E , 4 vie (AxB) x (C x D).

Da F. e U. Bonciarelli

Scelta degli ibridi.


In Italia, come indicazione orientativa, per colture non irrigue devono essere preferiti
ibridi precoci (classi 200-300), per colture irrigue in normali aree pedo-climaticamente
quelli medio-precoci o medi (classi 400-500) mentre per colture in arre pedo-
climaticamente favorevoli e irrigue quelli medio-tardivi o tardivi (classi 600-700).
Per la produzione d’insilato di mais integrale, con piante allo stadio di maturazione
cerosa, solitamente si usano ibridi medio-tardivi o tardivi. Nel caso di coltura intercalare
per la produzione d’insilato gli ibridi indicati sono precoci o medio-precoci .
Posto nell’avvicendamento
Il mais è una tipica pianta da rinnovo miglioratrice a ciclo primaverile-estivo e come tale
apre l’avvicendamento o rotazione collocandosi prima o dopo colture depauperanti. Otre
271
a ciò il mais può essere inserito nella successione colturale anche come coltura di secondo
raccolto come, ad es., dopo il primo taglio di un prato all’ultimo anno di carriera
produttiva o dopo un erbaio a raccolta precoce.
Il mais non risentendo, in modo significativo, eccetto in particolari casi, degli effetti
negativi dalla monosuccessione sulla produttività dalla coltura ha portato a far trascurare
le regole dell’avvicendamento portando alla instaurazione di omosuccessioni maidicole di
durata “illimitata”.
Questo però non è agronomicamente valido per gli inconvenienti negativi che la pratica
determina sulla fertilità del suolo come, ad esempio, :
 peggioramento dello stato fisico particolarmente temibile nei suoli argillosi
 difficile ed costosa gestione delle erbe infestanti e rischio di diffusione di malerbe
specializzate
 perdita per lisciviamento dal suolo, durante il periodo piovoso autunno-invernale,
dell’azoto minerale residuo presente nel suolo dopo il mais, non essendovi una coltura a
capace di utilizzarlo in questo periodo stagionale.
 accresciuta virulenza di certi patogeni.
Una soluzione di compromesso, pur sempre non agronomicamente ottimale, è quella della
ripetizione della coltura per periodi di tempo limitati in funzione delle caratteristiche dei
suoli.
In questo caso una indicazione di massima è quella di contenere la ripetizione
omosuccessione per un massimo di 3 anni su suoli da medio impasto ad argillosi e di 5
anni su suoli franco-sabbiosi a sabbiosi.
Lavorazione del suolo
Circa la lavorazione principale del suolo per il mais le tecniche comportanti una netta
riduzione della profondità di lavorazione, in genere, non si sono dimostrate adatte in
ambienti pedologici argillosi per riflessi negativi particolarmente a cario della fertilità
fisica del suolo.
Studi ed esperienze pratiche hanno comunque evidenziato che nei suoli argillosi non si
sono ottenuti significativi vantaggi produttivi da lavorazioni spinte oltre una media
profondità: specie in quelli, come i vertisuoli, che si fessurano durante il periodo caldo e
siccitoso.
Nella tradizionale agrotecnica maidicola l’aratura è fatta ad una profonda di circa 40-45
cm, in particolare quando il mais segue colture che lasciano discrete quantità di residui
colturali. Buoni risultati produttivi si sono comunque ottenuti, anche su suoli
tendenzialmente o fortemente argillosi, con la semplice riduzione della lavorazione a 30-35
cm di profondità come con lavorazione a doppio strato e con la minima lavorazione a
seguito di discatura.
Evidenziando che il mais non ha bisogno di un suolo eccessivamente amminutato per il suo
letto di semina in relazione all’ultimo lavoro complementare di preparazione è bene che
questo sia fatto seguendo la tecnica della falsa semina.
Tecnica che prevede l’anticipo dell’affinamento del suolo di 2 o 3 settimane in sulla data di
semina prevista.
In tal modo le infestanti che emergeranno saranno poi eliminate con un ultimo passaggio
di erpice a denti o di erpice strigliatore il giorno stesso o quello prima della semina. In tal
modo si evita l’uso di diserbanti disseccanti in presemina e il conseguente negativo
impatto ambientale.

272
Concimazione
Il mais è una pianta con alta potenzialità produttiva che richiede, per esplicarla, elevate
disponibilità di elementi nutritivi nel suolo.
Per impostare un piano di concimazione è necessario avere in possesso, oltre alla
dotazione del suolo in macroelementi: la prevista produzione del mais in kg ha-1;
l’asportazioni per 100 kg di cariossidi di N, P2O5 o P e K2O o K; il rapporto di
concimazione e la % di immobilizzazione della P2O5 da parte del suolo.
In reazione a quanto ora evidenziato considerando una produzione di 12 t ha-1 di
granella, una asportazione per 0,1 t di cariossidi di N = 2,14 kg , P2O5 = 1,06 kg e K2O =
2,48 kg , un rapporto di concimazione 1,5 (N) : 1 (P2O5) : 0-0,5 (K2O), una
immobilizzazione della P2O5 o P da parte del suolo del 30%, la quantità totale di N, P2O5
e K2O da fornire al mais sarà circa di 248 kg ha-1 di N, 165 kg ha-1 di P2O5 e 0 o 82 kg ha-1
di K2O.
Nella usuale agrotecnica tutto il P e il K e circa il 50-60 % dell’azoto totale viene
distribuito in pre-semina e alla semina e la restante % di N in copertura in modo più
frazionato possibile: ciò non avviene per il mais in secondo raccolto dove anche l’N è
distribuito totalmente o quasi in presemina e alla semina per la brevità di tempo che
intercorre tra semina e la raccolta.
Forma dell’azoto.
Poiché l’azoto viene fornito in discrete quantità alla semina è da evitare in questa fase
l’uso di concimi nitrici per pericoli di dilavamento e al loro posto impiegare concimi con
azoto ureico o ammoniacale o nitro-ammoniacale.
Per la concimazione in copertura localizzata nell’interfila, abbinata usualmente alla
sarchiatura o alla rincalzatura, è corretto impiegare nitrato ammonico per la prima
distribuzione e urea per la seconda distribuzione.
Forma del fosforo.
Per il fosforo da usare è bene che, se si usano concimi solidi, sia di tipo monocalcico o se si
usano concimi liquidi sia sotto forma di polifosfato.
Forma del potassio.
Il potassio da impiegare è corretto, specie nei suoli argillosi, che sia sotto forma di solfato
e non di cloruro.
Semina
La regolarità ed uniformità della densità di semina del mais a m2 e la conseguente
emergenza, condizionano fortemente il risultato produttivo del mais poiché la coltura non
raggiungerebbe un valore del LAI, di circa 4-5, necessario per intercettare al massimo la
radiazione solare.
In particolare, se semine rade sono evitare per quanto ora evidenziato anche l’eccessiva
fittezza di semina è negativa porta anche ad una riduzione della fertilità della spiga.
Epoca di semina.
Per ottenere nascite ragionevolmente pronte ed uniformi è necessaria avere una
temperatura del suolo, alla profondità di deposizione del seme, di circa 12°C.
Basandosi sull’andamento climatico medio dell’Italia centrale si può assumere, come data
di riferimento per avere questa condizione termica, l’intervallo di tempo compreso tra la
seconda-terza settimana di aprile e i primi giorni di maggio in base alla latitudine
altitudine e alla vicinanza dalle coste.
Per la coltura in secondo raccolto la semina deve essere fatta appena il suolo è pronto per
ricevere la semente.
273
Nelle aziende maidicole con ampie superfici destinate al cereale la semina deve iniziare dai
suoli più tendenti al sabbioso e poi passare a quelli argillosi in quanto più freddi.
Una scalarità della semina è anche da attuare in base alla lunghezza del ciclo dell’ibrido: i
più tardivi devono essere seminati per primi e i più precoci per ultimi.
Densità di semina.
Il numero di cariossidi da seminare per m2 dipende dall’investimento del mais che si vuole
avere alla raccolta. In relazione a ciò occorre considerare che la percentuale di fallanze è,
nei casi migliori, circa il 5-10% e nei casi peggiori, il 10-15%.
La distanza tra le file di semina è, usualmente, 75 cm. Riduzioni della distanza tra le file
sono possibili a condizione che sia rispettato lo spazio necessario per le macchine
operatrici aziendali che effettueranno i lavori complementari di coltivazione come la
sarchiatura o la rincalzatura e la concimazione in copertura.
Circa l’investimento finale del mais vale orientativamente la seguente tabella

Investimento finale orientativo del mais a m2 in diverse condizioni colturali


Coltura principale irrigua per granella, n° piante a m2
Ibridi precoci 8
Ibridi medio precoci 7
Ibridi tardivi 6
2
Coltura principale non irrigua per granella, n° piante a m
Ibridi precoci 5
Ibridi semi precoci 4
2
Coltura intercalare irrigua per granella, n° piante a m per semine tempestive
Ibridi semi precoci 7
Ibridi semi precoci 6
Coltura principale irrigua da insilato a maturazione cerosa, n° piante a m2
Ibridi precoci 9
Ibridi medio precoci 8
Ibridi tardivi 7
Coltura principale da foraggio (granturchino) per raccolta alla fioritura 30-50
Il n° di semi da seminare a m si trova, supposto che 7 sia l’investimento piante a m2
2

ottimale finale e che le fallanze stimate siano del 15 % (0,15), nel seguente modo:
7 : (1-0,15) = 7: 0,85 = circa 8,23 semi m-2
Considerando il precedente l’investimento ottimale e una distanza interfila di 0,75 m la
distanza a cui dovrà essere posto sulla fila il seme deriva dalla seguente operazione:
10.000 (1 m2 = 10.000 cm2) : 8,23 (semi su 1 m-2) = 1215,0668
1215.0668 : 75 ( o 0,75 m) = 16,2 cm
Cure colturali
Tra le cure colturali, oltre ai lavori di coltivazione come la sarchiatura e la rincalzatura,
da effettuare al massimo quando le piante hanno una altezza di circa 60 cm, si ricorda, per
importanza, la lotta contro le piante infestanti e l’irrigazione.
Lotta alle infestanti
Eccetto nella coltivazione in biologico del mais, in agricoltura convenzionale e integrata le
piante investanti, alcune delle quali di seguito riportate in tabella, si contrastano,
usualmente, con il diserbo chimico.

274
Alcune delle principali infestanti del mais
Poacee o Graminacee Dicotiledoni
Digitaria sanguinalis Abuliton theophrasti
Echinochloa crus-galli Amaranthus spp.
Setaria spp. Calystegia sepium
Sorhgum halepense Chenopodium spp.
Convolvus arvensis
Datura stramoniun
Fallopia convolvulus
Phytolacca americana
Polygonum spp.
Portulaca oleracea
Solanum nigrum
Veronica spp.

Il diserbo del mais può essere fatto nei seguenti modi.


Diserbo in pre-emergenza.
Questo diserbo si fa dopo la semina sia a tutto campo che localizzato lungo la fila.
Per tale operazione si utilizzano principi attivi a azione residuale antigerminello che
agiscono per assorbimento radicale.
Il diserbo in pre-emergenza non è molto efficace quando si opera su suoli con S.O.
superiore al 10% e ricchi di microflore dato che i p.a. vengono adsorbiti dalla S.O. e
degradati da questa.
Diserbo in post-emergenza.
Il diserbo in post-emergenza è considerato, solitamente, in sostituzione al diserbo di pre-
emergenza quando, per varie ragioni, le infestanti non possono venir controllate.
I principi attivi usati sono principalmente ad assorbimento fogliare con l’aggiunta di
coadiuvanti, additivi o bagnanti per migliorare la loro azione.
Di seguito vengono riportati alcuni principi attivi usati in pre e post emergenza in
agricoltura integrata
Mais: diserbo in pre-emergenza e alcuni principi attivi.

275
Mais: diserbo in post-emergenza e alcuni principi attivi.

Irrigazione.
Come accennato in Italia il mais è considerato una coltura irrigua. In base delle
disponibilità di acqua, sono possibili i seguenti 2 regimi irrigui:
a) irrigazione basata sulla completa restituzione dei consumi evapotraspirativi dalla
coltura
b) irrigazione con limitato sussidio idrico con interventi idrici di soccorso.
Irrigazione basata sulla completa restituzione dei consumi evapotraspirativi.
Per questo tipo di irrigazione si rimanda alla parte di Agronomia generale.
Irrigazione con limitato sussidio idrico.
In questo tipo di irrigazione l’acqua viene distribuita al mais con un numero limitato di
interventi idrici, in corrispondenza a precise fasi del ciclo biologico o stadi critici in modo
da evitare sensibili riduzioni produttive.
Poiché il presupposto del sussidio idrico limitato è la valorizzazione ottimale dell’acqua
disponibile del suolo, devono essere effettuate tutte le agrotecniche al tal fine ossia:
1°) opportuni adattamenti della tecnica colturale;
2°) individuazione degli stadi critici nei quali devono essere fatti gli interventi irrigui.

Nel mais gli stadi critici in corrispondenza dei quali occorre effettuare l’intervento irriguo
sono:
1)emissione della 10a foglia

2)comparsa dell’infiorescenza maschile dall’ultima foglia

3)inizio dell’ingrossamento delle cariossidi ossia circa 15 giorni dopo la fioritura


femminile

4)maturazione latteo-cerosa della granella ovvero circa 5-6 settimane dopo la fioritura
femminile.
276
Ogni fenofase ora riportata si ritiene raggiunta quando è costatabile sul 70% delle piante
di un campione rappresentativo della coltura.

I relazione a questi 4 stati critici è bene, come minimo, che almeno quelli corrispondenti
alla comparsa dell’infiorescenza maschile e all’inizio dell’ingrossamento delle cariossidi
siano interessati dall’irrigazione.

Ciò che corrisponde ad un periodo di circa 40 giorni nei mesi di luglio e agosto. In queste
fasi del mais stress idrici anche temporanei portano forti insuccessi dei processi
fecondativi e ad una conseguente riduzione della produzione di granella.

L’irrigazione del mais si effettua, usualmente, o con il sistema a pioggia o per infiltrazione
laterale a solchi.

Misure agronomiche contro le avversità del mais e trattamenti antiparassitari


Circa le misure agronomiche per la difesa contro le avversità biotiche vengono di seguito
riportare alcune soluzioni fitosanitarie per il mais condotto in modo integrato.

Mais: alcune strategie d’intervento per la difesa integrata dai fitopatogeni e dai fitofagi
Avversità Principio attivo Quantità Lotta indiretta
in l o kg
ha-1
Crittogame
Ustilago maydis Ibridi resistenti
(Basidiomicete) o concimazione azotata
carbone. equilibrata,
eliminazione dei giovani
copi fruttiferi.
Gibberella zeae o Evitare semine fitte e
marciume del fusto concimazione azotata
equilibrata.
Batteriosi
Erwinia spp. o colpo Rotazioni o
di fuoco. avvicendamenti
agronomicamente e
ampi
Virosi
MDMV o nanismo Lotta alle infestanti
maculato. graminacee ospiti dei
virus.
BYDV o nanismo
giallo.
Fitofagi
Agriotes spp. o Benfuracard 4,7% 12
elateridi Carbosulfan 5 % 10-12
Furathiocarb 10% 10
Phoxim 10% 10
277
Isofenphos 5% 12
Tefluthrin 0,5% 12
Chlorpyrofos 7,5% 10-12
Agriotes spp. o nottue Bifenthrin 2% 1
Cyfluthrin 5% 0,5
Cypermethrin 5% 0,5
Deltamethrin 2,4 % 35ml hl-1
Landa-Cyhalothrin 2,5% 0,5
Ostrinia nubilalis o Sfibratura degli stocchi
piralide e aratura tempestiva.

Raccolta e produzione
Raccolta
La raccolta del mais da granella, fatta con mietitrebbie, coincide con la maturazione
fisiologica evidenziata dalla comparsa del punto nero alla base della cariosside. Le
cariossidi al momento della mietitrebbiatura hanno un’umidità da circa il 24 a il 35 %.
Raccolte anticipate della comportano un aumento dei costi di trebbiatura e d’essiccazione,
nonché perdite consistenti di cariossidi, che possono essere anche superiori al 10%, per
rottura delle stesse o perché si staccano con difficoltà dal tutolo.
Raccolte tardive portano a forti perdite di prodotto per allettamento o rottura degli steli e
caduta delle spighe a causa di attacchi parassitari.
Anche quando vengono raccolti mais precoci con una umidità della granella molto bassa
questa tende a sgranarsi dal tutolo determinando, anche in questo caso, a perdite di
prodotto.

Mietitrebbiatura del mais


Da F. e U. Bonciarelli

Solitamente il periodo di raccolta del mais da granella cade tra fine settembre e fine
ottobre-primi di novembre in relazione alla precocità degli ibridi.
A questo stadio la granella ha un contenuto di acqua di circa 25 % e la pianta è ancora
resistente da consentire una regolare trebbiatura.
La raccolta del mais si effettua a macchina con mietitrebbie presentanti apposite testate
con particolare regolazione del battitore e controbattitore.
In Italia centrale la ripresa delle piogge in autunno consiglia fare la raccolta dei mais
medio-precoci o medi entro e non oltre la prima metà di ottobre per sfuggire al rischio di
impraticabilità dei suoli, soprattutto in quelli argillosi e per avere tempo per fare un
buon lavorazione del suolo per la coltura successiva.
278
Come accennato in precedenza una volta raccolta la granella questa deve essere sottoposta
ad essiccazione artificiale eccetto se non si destina per l’alimentazione degli animali come
farina umida, conservandola in silos a trincea, o come granella intera conservandola in
silos metallici, previo trattamento con acido propionico. L’aggiunta di acido propionico
alla dose dell’1% sul peso della granella al 30% di umidità assicura la conservazione del
prodotto per 1 anno.
La raccolta del mais integrale per insilato, che interessa gli ibridi di Zea mays indentata, di
norma si effettua quando sulla cariosside compare la tipica dentatura ossia circa 15-20
giorni prima della la maturazione fisiologica. In questa fase l’intera pianta ha circa 30-
35% di s.s. e sulla cariosside è evidente la cosi detta linea dell’acqua. Ciò cade da circa
metà si settembre ai primi di novembre in relazione alla precocità degli ibridi.

Produzione
Il mais nel 2005 aveva in Italia una produzione media di circa 9,4 t ha-1 di granella.
In accettabili condizioni agro pedo climatiche il mais classe FAO medio o medio tardivo
può produrre 10-12,5 t di s.s. di cariossidi e un totale di 20-25 t ha-1 di s.s. considerando
circa un apporto di 10-12,5 t di s.s. da stocchi e foglie poiché mediamente il rapporto s.s.
stocchi/s.s. granella di 1:1 .
In ottime condizioni pedoclimatiche, colturali e con adatti ibridi è però possibile
raggiungere i 17-18 t ha-1 di s.s. di granella .
Dato che la comparazione tra le produzioni degli ibridi di mais e il prezzo della granella si
effettua all’umidità standard del 15,5 % il procedimento per determinare il peso della
granella all’umidità standard è il seguente.
Peso umidità standard = Peso granella alla raccolta x [ (100 - % umidità della granella alla
raccolta) : (100 - % umidità standard della granella) ]
Esempio:Produzione 550 kg al 18% umidità
Produzione al 15.5% = 550x[(100-18):(100-15.5)] = 550x[82:84.5 ] = 550x0.9704 = kg
533.72
Il mais è una macchina vegetale molto efficiente, tanto che l’assimilazione netta per giorno
durante la fioritura-inizio granigione può oscillare tra i 250 e 400 kg ha-1.
Per avere una elavatata assimilazione netta occorrono queste condizioni.
1) apparato radicale funzionale e ben sviluppato favorito da lavorazioni ben eseguite,
buone condizioni fisiche del suolo, sistemazioni idraulico agrarie efficienti, ecc..
2) apparato assimilatorio sviluppato, piante con Lai pari a 4-5, foglie con portamento
eretto e regolare investimento a m2.
3) apparato assimilatore efficiente e longevo, favorito da equilibrate concimazioni,
irrigazioni, lotta alle fitopatie e uso di ibridi con carattere stay-green.
4) un elevato numero di cariossidi in formazione rappresentanti i magazzini per
l’accumulo di fotosintetizzati.
5) una adeguata lunghezza del ciclo vegetativo dopo la fioritura dato che la produzione
dipende principalmente dalla quantità di fotosintetizzati elaborati dopo la fioritura.
I mais precocissimi e precoci come quelli molto tardivi e ultra-tardivi negli ambienti
italiani portano però a produzioni granellari non elevate: i primi per il corto periodo
assimilante, i secondi perché giungono alla fase di fioritura e di granigione in condizioni
sub-ottimali per la fotosintesi.

279
Esempio dei fattori determinati la produzione del mais da granella
Fasi Fattori Valori
2
Semina Semi a m A 7-8
Emergenza % di emergenza B 85-90
Piante a m2 AxB 5,9-7,2
Formazione spighe Spighe per pianta C 1
2
Spighe per m AxBxC 5,9-7,2
Fioritura e formazione cariossidi Fiori per spiga D 800-900
% di allegagione E 75 - 80
Cariossidi per spiga DxE 600-720
2
Cariossidi a m ABCxDE 3.540-5.184
Riempimento totale cariossidi Peso 1 cariosside in g F 0,25-0,35
-2
Produzione in kg m ABCxDExF 0,885-1,814
-1
in t ha 8,85-18,14

Sorgo - Famiglia Poacee o Graminacee - Sorghum vulgare


Il sorgo o Sorghum vulgare è una pianta annuale con sistema fotosintetico C4 appartenente
alla famiglia delle Poacee o Graminacee, tribù della Andropogoneae.
Il sorgo ha come origine l’Africa occidentale.
Da questa area africana si è diffuso in Asia e in Europa e poi in America e in Australia.
Le piante di sorgo in base ai vari genotipi contengono, lei lori tessuti, in quantità diversa,
il glucoside cianogenetico durrina che le rende molto tossiche per gli animali che
l’utilizzano poiché nei loro stomaci si idrolizza in acido cianidrico.
La durrina ha la massima concentrazione nelle giovani piante e poi diminuisce, fino a
quasi scomparire quando la granella entra nella di maturazione.
Nei sorghi da granella il fenomeno dell’accestimento è quasi assente mentre è elevato in
quelli da foraggio.
Il sorgo è stato una delle prime piante ad essere coltivata dall’uomo ed è una delle piante
cerealicole più importanti nelle aree aride e semiaride della Terra: dopo frumento, riso,
mais e orzo è il 5° cereale per importanza economica a livello mondiale.
Il Sorghum vulgare appartiene alla stessa famiglia del Sorghum halepense o sorghetta:
pericolosa infestante dei coltivi
Nel 2005, in Italia, il sorgo da granella aveva una superficie di 34.000 ha con una
diminuzione, rispetto al 2001, di circa il 6 %.
Secondo stime FAO del 2005 è stato coltivato soprattutto nel continente africano, con circa
22,7 milioni di ha e in Asia, con circa 12.9 milioni di ha, che corrispondono, nel loro totale,
a circa l’82% della superficie mondiale di coltivata con questo cereale.
Tuttavia, in relazione alla bassa produttività unitaria di questi due continenti, la loro
produzione complessiva ammonta a circa del 50% di quella mondiale.

280
Coltivazione in Italia
La coltura è, in particolar modo, presente nelle Regioni italiane centrali e in Emilia
Romagna nelle aree con suoli argillosi e profondi con disponibilità irrigue assenti o
insufficienti per la coltivazione del mais.

Utilizzazione
Il sorgo viene coltivato oltre che per la granella anche per:
⌦la produzione di foraggio
⌦la fabbricazione di scope e spazzole
⌦la produzione di fibra vegetale,
⌦l’industria cartiera e della plastica,
⌦la produzione di succhi zuccherini
⌦la produzione biomasse per produzione di energia, ecc.. .

Di seguito una classificazione delle varietà e degli ibridi di sorgo in base alla loro
utilizzazione con riportate alcune caratteristiche dalla pianta.

Sorghum vulgare: classificazione delle varietà e ibridi in base alla loro utilizzazione con
alcune caratteristiche dalla pianta.
Per granella Ibridi Pianta bassa, al massimo alta
circa 1,5 m e con accestimento
limitato. Granella nuda
generalmente con contenuto
molto basso in tannini.
Per foraggio var. Sudan grass Pianta con culmi esili e con
notevole accestimento
var. Saccaratum Pianta a più sfalci con tessuti ad
alto contenuto zuccherino con
tenore di durrina molto basso o
assente nella fase d’utilizzazione
adatta all’insilamento
Per fabbricazione di scope var. Technicum Piante con panicoli molto lunghi
e ramificati con granella piccola
e avvolta da lunghe glume
ellissoidali.
Per produzione di fibre var. Technicum e ibridi Pianta molto alta, tra circa 2 e 5
m.
Per produzione di zucchero var. Saccharatum Pianta molto alta, tra circa 2 e 5
m, con midollo dei culmi con
fino a circa il 20 % di saccarosio
sulla s.s.
Il sorgo viene coltivato nei paesi in via di sviluppo prevalentemente per la produzione di
granella da destinare all’alimentazione umana mentre nei paesi industrializzati viene
coltivato per l’alimentazione animale in alternativa alla granella di mais.
Ai fini degli del sostentamento degli animali selvatici il sorgo interessa per la produzione
di granella e di foraggio. In relazione a ciò viene successivamente e brevemente descritta
la coltivazione del sorgo per questi scopi .
281
Caratteri botanici
Apparato radicale
L’apparato radicale del sorgo, fascicolato e piuttosto fibroso, costituito da radici primarie
e da radici avventizie, è molto espanso sia verticalmente, anche oltre 1.5 m, che
orizzontalmente, anche oltre 2 m. Le radici del sorgo hanno un’elevata capacità di
estrazione dell’acqua dal suolo. L’apparato radicale avventizio raggiunge la massima
estensione in prossimità dell’antesi.
Fusto
I sorgo ha un fusto con portamento eretto alto da circa 1 a 1,5 m, se da granella e fino a
circa 2-4 m se da foraggio o per produzione di fibra o per produzione di zucchero.
Il fusto è costituito da un numero di nodi e internodi variabili secondo il genotipo: negli
ibridi precoci da granella il culmo ha circa 8-10 nodi mentre in quelli tardivi fino a circa
22-24 nodi.
Gli internodi dei sorghi da granella sono pieni di midollo che, secondo i genotipi, può
essere può essere fibroso o succulento. Nei sorghi zuccherini gli internodi sono succulenti
con un contenuto di saccarosio che può arrivare a circa il 20%.
Nei sorghi da granella la capacità di accestimento è molto limitata mentre è elevata nei
sorghi per la produzione di foraggio e zuccherini.
Foglie
Le foglie, inserite in modo alterno ad ogni nodo, sono inguainanti il culmo, parallelinervie,
glabre, lanceolate con lamina larga, cutinizzate, con superficie pruinosa e con margini
lievemente dentellati in prossimità dell’apice fogliare. Quest’ultimo carattere consente di
distinguerle da quelle di mais, quando sono in fase giovanile, che lo presentano liscio.
La pruina, la cutinizzazione e gli stomi molto piccoli conferiscono al sorgo una elevata
capacità di contenere la traspirazione dell’acqua.
Il numero di foglie varia in base alla lunghezza del ciclo della pianta: i genotipi precoci
presentano circa 8-10 foglie, i genotipi tardivi presentano 18-20 foglie.
Fiori
I fiori del sorgo sono riuniti in una infiorescenza terminale detta panicolo. I panicoli
hanno dimensioni e forma molto differenziate. Esistono sorghi con panicolo compatto,
spargolo e reclinato.
Le 3 tipologie del panicolo del sorgo

Sulle ramificazioni laterali del panicolo di 2°-3° ordine sono inserite coppie di spighette
geminate di cui una sessile fertile e una peduncolata sterile.
La spighetta sessile è formata da: due glume che a maturità diventano coriacee e lucenti,
due glumelle una superiore piccolissima e una inferiore di consistenza cartacea, da un
fiore bisessuato formato dall’apparato maschile e femminile simile a quello del frumento
ossia con ovario monocarpellare supero, stilo bifido e stigma piumoso e 3 stami con antere
bilobate.
La fioritura del panicolo inizia circa 2 giorni dopo la fase di spigatura e in ogni pianta
dura 6-10 giorni. La fecondazione è per circa il 95 % autogama. La fecondazione per
impollinazione incrociata interessa solo il circa 5% dei fiori.
282
da scope zuccherino
Panicoli di sorgo

da foraggio da granella
Frutto
Il Frutto del sorgo è una cariosside, volgarmente detto seme, variabile come forma e
colore. Vi sono infatti cariossidi:
 nude, parzialmente vestite e vestite, quest’ultime con glume strettamente aderenti al
frutto
 di forma tondeggiante, apiculata, ecc..
 di colore bianco, giallo, bruno-violaceo, rossiccio, ecc..
Mediamente un panicolo porta a maturazione dalle 1.500 alle 2.500 cariossidi.
1.000 cariossidi hanno peso variabile, che in base ai genotipi, oscilla da circa 15 a circa 35
g ossia da circa 15 a 35 mg per cariosside.
Sezione della cariosside del sorgo e suo diverso colore.

Granella di sorgo comune Granella sorgo da foraggio Sudan grass

Da F. e U. Bonciarelli

283
Il sorgo ha come caratteristica quella che dopo la maturazione della granella la pianta
rimane, per un certo periodo di tempo, ancora allo stato verde.

Da un punto di vista qualitativo l’aspetto più importante per caratterizzare la granella di


sorgo è rappresentato dalla presenza di tannini condensati nelle cellule tegumenti
pericarpo o nello spermoderma. La presenza di tannini condensati comporta un
deprezzamento del prodotto dato che questi hanno un’azione antinutrizionale,
interagendo negativamente con l’assimilazione delle proteine da parte degli animali che
utilizzano le cariossidi o loro farina. L’appetibilità della granella ricca in tannini è minore,
anche per i volatili, dato il sapore amaro dei tannini. Sebbene i tannini sono importanti
prima della raccolta del sorgo per granella in quanto conferiscono a quest’ultima
resistenza all’ammuffimento e di repellenza all’attacco degli uccelli, gli attuali ibridi per
granella il coro contenuto è basso o bassissimo.
Il sorgo da granella, in relazione al contenuto progressivamente crescente in tannini nelle
cariossidi è stato diviso nelle seguenti fascia commerciali: I, II, III e IV.

Sorgo: fasce commerciali di ibridi in base al contenuto in tannini


Fascia Tannino in %
I ≤ 0,30
II 0,31-0,65
III 0,66-1,00
IV ≥ 1,00
Per l’alimentazione animale sono da preferire i genotipi con la minore % di tannini
ovvero quelli appartenenti alla fascia I.

Ciclo biologico
Il ciclo biologico del sorgo è simile a quello del mais.
Le epoche di raggiungimento delle diverse fasi fenologiche o di sviluppo sono in relazione
all’epoca di semina, all’ambiente e alla precocità della varietà o dell’ibrido. Premesso ciò
di seguito una schematica figura relativa al periodo di raggiungimento delle fasi
fenologiche del sorgo e loro indicativa durata nell’ Italia centrale.
Fasi fenologiche del sorgo e loro durata indicativa in Italia centrale

284
Sorgo: stadi fenologici e relative sigle

Sorgo stadio 10, 1° foglia Sorgo stadio 13, 3° foglia spiegata

Sorgo: stadio 20, inizio accestimento


Sorgo: stadio 80, maturazione cerosa

Indicativamente, sempre in Italia centrale, per semine fatte dalla prima settimana maggio
con clima favorevole l’emergenza, si completa in circa 2 settimane per cui le plantule si
possono ben osservare verso 20 di maggio.
È da evidenziare che le prime fasi di crescita della pianta nel sorgo sono relativamente
lente.

285
Dopo circa un mese dall’emergenza, ossia nella terza settimana di giugno - fine giugno, le
piante presentano 7-8 foglie e virano ovvero gli apici vegetativi di differenziano in
riproduttivi.
Dopo il viraggio inizia la levata, caratterizzata dal rapido sviluppo del culmo principale.
La levata, che dura circa 40 giorni seconda le varietà o ibridi, dell’ambiente pedo-
climatico, ecc.. , termina con la spigatura, ossia con emissione del panicolo, che cade a
circa fine luglio - primi di agosto in relazione ai fattori ambientali.
Subito dopo l’emissione del panicolo inizia la fioritura che prosegue scalarmente in senso
basipeto lungo il panicolo: la fioritura inizia nei fiori posti sulle ramificazioni apicali del
panicolo e in senso acropeto lungo le singole ramificazioni del panicolo.
Esiste scalarità di fioritura tra le piante e tra i culmi di accestimento di una stessa pianta.
In condizioni normali la fioritura, che cade nel mese di agosto, si protrae per 7-12 giorni
nello stesso appezzamento.
Durante i primi 15-20 giorni dopo la fecondazione si ha la formazione dell’embrione e le
cariossidi hanno un modesto aumento di peso.
Completata la formazione dell’embrione, inizia l’accumulo delle sostanza di riserva
nell’endosperma con aumento del peso secco delle cariossidi e calo del loro contenuto di
acqua.
La maturazione della granella presenta le seguenti fasi: lattea, cerosa, fisiologica e di
raccolta.
La maturazione fisiologica, che segna la fine dell’accumulo di sostanze di riserva nel seme,
si manifesta con la formazione di uno strato di cellule suberificate, chiamato “strato o
punto nero”, che, chiudendo i vasi xilematici e floematici tra peduncolo e frutto, isolano
quest’ultimo dalla pianta madre.
Alla maturazione fisiologica la granella presenta un’umidità di circa il 35%.
Raggiunta la maturazione fisiologica si ha la fase di progressiva perdita di umidità da
parte delle granella.
Nella fase di maturazione di raccolta la pianta del sorgo rimane verde salvo nei casi di
condizioni ambientali durante la granigione favorevoli all’insorgenza di avversità
parassitarie fungine come quelle causate dal genere Macrophomina che portano la pianta
a morte anticipata.
Miglioramento genetico e ibridi
Oggi la coltivazione del sorgo si basa sulla coltivazione di 8 classi FAO di ibridi da 0 a 700
in base al n° di giorni intercorrenti tra emergenza e maturazione fisiologica di giorni come
riportato nella seguente tabella.

Sorgo: le 8 classi FAO degli ibridi


Lunghezza del ciclo Classe Giorni
Estremamente precoce 0 < 76
Molto precoce 100 76-85
Precoce 200 86-95
Medio precoce 300 96-105
Medio 400 106-115
Medio tardivo 500 116-120
Tardivo 600 121-130
Molto tardivo 700 131-140

286
Il sorgo, rispetto al mais, presenta l’intervallo fioritura-maturazione raccorciato.
Conseguentemente, a parità di epoca di fioritura, il sorgo matura in media circa 20-25
giorni prima del mais. Ossia , come data indicativa in Italia centrale per gli ibridi di media
precocità, verso fine settembre-primi di ottobre. Epoche che coincidono con la raccolta
della granella.
Negli ambienti italiani in coltura asciutta, dove si può contare su una certa piovosità
estiva, le classi che hanno dato le migliori produzioni sono le 300 e 400 ossia quelle medio
precoci e medie con lunghezze tra i 96 e i 115 giorni.
Sorghi medio tardivi o, ancor più tardivi, non sono molto adatti dato che spesso corrono il
rischio di non maturare la granella per la lunghezza del loro ciclo.
Caratteri morfologici importanti per i sorghi da granella nei riguardi della raccolta
meccanizzata, sono: taglia contenuta (1-1,5 m di altezza) e panicolo portato da un lungo
peduncolo in modo che quest’ultimo sia ben distanziato dall’ultima foglia.
Quest’ultima caratteristica permette di raccogliere solo i panicoli evitando le foglie.
Se in passato la ricchezza in tannini nella granella era un carattere utile, perché riduceva
l’attacco degli uccelli (ibridi BR o bird resistent), oggi, data l’azione deprimente sulla
digeribilità delle proteine contenute in questa, è in un carattere non tanto ricercato.
Questo carattere è da evitare nella costituzione di colture a perdere.
Per il successo produttivo coltura la scelta dalla classe di precocità dell’ibrido è basilare.
Questa deve essere fatta in relazione alle differenti condizioni ambientali come riportato
nella successivo schema.
Ambiente e tipo di coltivazione Classe FAO

100

Alta collina - coltura intercalare


200

300
Pianura - bassa collina senza sussidio idrico
400

500
Pianura - bassa collina con suolo profondo e buon andamento
termo-pluviometrico o con possibilità di sussidi idrici. 600

Ad esempio Per le zone di coltivazione del sorgo di bassa collina su terreni profondi e
argillosi in Italia centrale un ottimo compromesso tra precocità e potenzialità produttiva è
rappresentato dagli ibridi di classe 300 e 400 con durata del ciclo tra 105 e110 giorni.
Esigenze ambientali
Temperatura
Il sorgo è una specie macroterma tra le più esigenti riguardo a temperatura.

287
Il sorgo ha infatti esigenze termiche maggiori del mais tanto che per ben geminare nel
primi cm del suolo vuole una temperatura di circa 14°-15°C.
All’inizio dell’accrescimento periodi abbastanza prolungati con temperature di 5-7°C
danneggiano le piante in modo irreversibile e quando in fase di crescita se la temperatura
scende sotto i 12-15 °C questa rallenta fino a bloccarsi se si abbassa sotto i 10°C.
Per questo motivo in zone caratterizzate da primavere fredde l’anticipo della semina deve
essere evitato.
La levata e la fioritura del sorgo avvengono in condizioni ottimali con temperature di 26-
30°C . In fase di fioritura il sorgo sopporta temperature anche fino a 38°C.
Intensità luminosa e fotoperiodo.
Il sorgo presenta un processo fotosintetico C4 che utilizza bene elevate intensità luminose.
Dal punto di vista fotoperiodico la specie originariamente è brevidiurna ma grazie al
miglioramento genetico, oggi i suoi ibridi e varietà sono fotoindifferenti, tanto che
completano il ciclo entro la fine dell’estate anche alle latitudini più settentrionali.
Suolo
Il sorgo presenta una buona adattabilità a tutti i suoli, anche argillosi con cattiva
struttura, purché siano presenti sufficienti riserve idriche. I migliori suoli per il sorgo
sono comunque argillosi, ben strutturati, drenati e profondi.
I suoli sabbiosi sono adatti al sorgo solo se è possibile irrigare.
Inadatti al sorgo sono i suoli soggetti a ristagno idrico, in quanto asfittici e freddi.
Per il pH del suolo è un cereale adattabile trovandosi a suo agio da pH 5,5 a pH 8,5. Lo
stesso dicasi per la salinità non subendo danni fino a 4 mS cm-1 di ECe: solo con 7 mS cm-1
di ECe sia ha una riduzione produttiva del 25%.
La delicatezza delle plantule in fase di emergenza rende la coltura sensibile al fenomeno
della crosta del suolo per cui particolare attenzione è richiesta nei suoli limosi.
Avversità abiotiche e biotiche
Tra le avversità abiotiche si citano:
 i ritorni di freddo e l’eccessiva piovosità durante le prime fasi del ciclo vitale. Il seme in
germinazione è molto sensibile agli eccessi idrici e alle basse temperature che,
singolarmente o insieme, determinano gravi diradamenti e nascite scalari,
compromettendo spesso il successo della coltura. Particolare cura va riservata alla
manutenzione della rete scolante degli appezzamenti
 la siccità nell’intervallo fenologico botticella-fioritura. Stress intensi idrici durante la
fioritura determinano aborto fiorale con conseguente riduzione del numero di cariossidi
per panicolo. Lo stress idrico all’inizio della fase di botticella ostacola inoltre
l’allungamento dell’ultimo internodo e, se particolarmente intenso, il panicolo non
fuoriuscirà completamente dalla guaina dell’ultima foglia (eserzione del panicolo
negativa), rendendo difficili le operazioni per la sua raccolta. La siccità durante le fasi
più avanzate del ciclo favorisce gli attacchi di parassiti fungini come quelli del genere
Macrophomina che, come citato, determinano la morte precoce delle pianta.
 l’allettamento e rottura dei culmi. Avversità non rare che provocano danni
considerevoli, in particolare se si verificano dopo della granigione. Il danno è dovuto alla
facilità con cui, a contatto del suolo, i panicoli ammuffiscono e le loro cariossidi iniziano a
germinare. L’allettamento è anche dannoso per i sorghi da foraggio in quanto comporta
difficoltà di raccolta.

288
Tra le avversità biotiche si citano:
 le crittogame di marciumi delle plantule, dovuti a generi Fusarium e Pythium e dello
stelo dovuti a generi Rhizoctonia, Macrophomia, ecc..
 gli insetti elateridi, agrotidi, afidi, le piralidi, ecc.. con danni simili al mais
 gli uccelli granivori (colture a perdere escluso)
Per le avversità biotiche, dati da funghi e insetti, i rimedi economicamente validi sono
l’uso di ibridi resistenti, concia del seme e la geodisinfestazione durante la semina.
Tecnica colturale
Avvicendamento
Nell’avvicendamento il sorgo occupa il posto della coltura da rinnovo e, spesso, precede o
segue un cereale autunno-vernino o una leguminosa da granella.
Il suolo dopo la coltivazione del sorgo ha una fertilità chimica minore rispetto a quella che
si ha dopo altre colture da rinnovo in particolare per la sua minore dotazione di N dovuta
ad una elevata immobilizzazione biologica temporanea di questo elemento da parte dei
microrganismi decompositori.
Il sorgo pur adattandosi alla omosuccessone, perché non ha problemi autoallelopatici, è
bene collocarlo in avvicendamenti pluriennali con foraggere specie quando coltivato su
suoli argillosi con cattive condizioni fisiche, dove si ha presenza d’infestanti resistenti ai
diserbanti o dove si ha diffusione di patogeni che causano il marciume dello stocco.
Alcuni avvicendamenti o rotazioni, senza foraggere, delle aree non irrigue o con
disponibilità idriche molto limitate sono, ad esempio :
 sorgo - frumento
 sorgo - frumento - orzo
 sorgo - frumento - girasole - frumento
 sorgo - frumento - girasole - frumento - colza - frumento.
Il sorgo, per granella o per foraggio, con ibridi precocissimi, può essere inserito negli
avvicendamenti come coltura intercalare seminata a fine primavera o inizio estate. È il
caso dell’inserimento del sorgo dopo cereali a semina autunnale raccolti a maturazione
cerosa per insilamento o dopo la rottura del prato poliennale all’ultimo anno a seguito
della prima utilizzazione foraggera, ecc.. .
Grazie all’epoca della sua raccolta il sorgo libera relativamente presto il suolo lasciando
tempo sufficiente lungo per la lavorazione ordinaria e per quelle complementari di
preparazione per le colture a semina autunno-invernale.
Lavorazioni del suolo.
Poiché il sorgo valorizza suoli argillosi non irrigui la lavorazione ordinaria del suolo deve
considerare due aspetti : la sua natura di coltura asciutta a ciclo primaverile estivo e la
piccolezza del suo seme.
In relazione a ciò:
 la lavorazione da rinnovo, rappresentata o da un’aratura relativamente profonda o da
una lavorazione a due strati dove essere fatta in estate. Ricerche hanno evidenziato come
riducendo progressivamente la profondità della lavorazione del suolo, pur abbassandosi il
dispendio energetico, non raramente aumentano le erbe infestanti e il relativo costo
economico e ambientale per il loro controllo. La lavorazione comune primaverile è
possibile quando il sorgo segue, ad es. , un erbaio intercalare autunno-vernino, una cover
crop o una prima precoce utilizzazione primaverile del medicaio all’ultimo anno
produttivo.

289
 la lavorazione complementare di preparazione dove essere molto curata in modo da
formare un letto di semina ben affinato e livellato. Affinamento che nei suoli argillosi di
cattiva struttura e in quelli limosi non deve essere eccessivo per il pericolo di formazione
del fenomeno della crosta.
Nel caso che il letto di semina sia eccessivamente soffice, è utile fare una rullatura
immediatamente prima della semina per avere un richiamo d’acqua per capillarità in
superficie e una leggera rullatura subito dopo la semina per migliorare l’adesione dei
semi al suolo. In questo caso occorre adottare rulli scanalati per minimizzare possibili
danni per formazione di crosta del suolo.
I lavori di complementari coltivazione del sorgo sono gli stessi di quelli del mais a cui si
rimanda. In particolare quando la distanza dell’interfile lo consente, è utile almeno una
sarchiatura nel primo mese di vita della coltura del sorgo per contrastare le malerbe
poiché all’inizio la crescita della pianta è lenta.
Concimazione
Il sorgo da un punto di vista nutrizionale non è particolarmente esigente ed essendo
tipicamente coltura asciutta l’apporto dei concimi ad ettaro non è alto.
Per impostare un piano di concimazione è necessario avere in possesso, come le altre
colture, oltre alla dotazione del suolo dei macroelementi e la prevista produzione del sorgo
in t ha-1, l’asportazioni per 100 kg di cariossidi di N, P2O5 o P e K2O o K, il rapporto di
concimazione e la % di immobilizzazione della P2O5 da parte del suolo a cui si rimanda
alla parta di Agronomia generale.
Ipotizzando sorgo una resa di 6 t ha-1 di granella, una immobilizzazione della P2O5 da
parte del suolo del 30 % e considerando un’asportazione per 0,1 t ha-1 di 1,85 kg di P2O5 si
dovranno distribuire, in aree climaticamente non limitanti per altezza e distribuzione di
pioggia, un totale circa 215 kg di N , 144 kg di P2O5 e 70 kg di K2O ha-1 . La quantità di
P2O5 e di K2O è, solitamente distribuita tutta in presemina a tutto campo. La quantità di
azoto totale è invece frazionata per circa il 65 % in presemina e alla semina e per la
rimanente percentuale in copertura circa un mese dopo l’emergenza delle plantule.
Per il sorgo per foraggio è, in genere, valido non distribuire oltre 100 kg ha-1 di N in
presemina e circa 50 Kg ha-1 di N in copertura dopo ogni sfalcio ad eccezione dell’ultimo.
Per il fosforo in suoli con pH tendente all’acido, in relazione alla scarsa mobilità, è utile
distribuire perfosfato triplo meglio se, in parte, con la concimazione localizzata tramite
fosfato biammonico.
Per il potassio il tipo di concime da distribuire, in particolare sui suoli argillosi, è quello
sotto forma di solfato.
Epoca di semina.
L’epoca di semina del sorgo è connessa alle caratteristiche climatiche della zona di
coltivazione e allo stato termico del suolo.
Solo con temperatura media del suolo di 14-15 °C la germinazione ed emergenza è
ottimale e per tale ragione è bene aspettare che i primi strati del suolo presentino questi
valori. Indicativamente queste temperature si raggiungono dopo circa 15 giorni l’epoca
ottimale per la semina del mais nella stessa area ossia da circa la 3° settimana aprile in
Italia meridionale a circa metà maggio in Italia settentrionale. Per il sorgo da foraggio è
utile posticipare leggermente le semine, rispetto a quanto prima indicato, per avere uno
sviluppo rapido della pianta e conseguentemente una migliore competizione con le erbe
infestanti.

290
Orientativamente in Italia centrale la semina del sorgo da granella, in relazione alla
vicinanza dalle coste, all’altitudine e al tipo di suolo, si effettua nell’arco di circa due
settimane a partire da fine aprile. Nei suoli sciolti la semina sarà leggermente anticipata,
nei suoli argillosi sarà leggermente posticipata.
Esecuzione della semina.
Il sorgo, per le piccole dimensioni del seme e il ridotto contenuto di sostanze di riserva, ha
spesso un’emergenza difficoltosa.
La semina viene effettuata o con seminatrice universale per cereali o con seminatrice di
precisione. Comunque per avere buoni risultati è bene usare seminatrici pneumatiche di
precisione.
Indipendentemente dal tipo di seminatrice la semina deve considerare quanto segue:
 profondità costante compresa tra circa 2 e 3 cm. Solo quando il suolo risulta secco si
può approfondire ma mai oltre i 4 cm.
 nei sorghi da granella file distanti tra loro da 45 a 50 cm per effettuare agevolmente la
sarchiatura , nei sorghi da scope file distanti tra loro da 30-40 , nei sorghi da foraggio file
distanti tra loro da 20-40 cm in funzione della morfologia della pianta. In funzione di
quest’ultimo aspetto gli ibridi di sorgo da foraggio Sudan grass necessitano interfile più
ravvicinate rispetto agli ibridi Sudan grass x Sorghum.
 deposizione del seme del sorgo da granella sulla fila circa a 8- 3cm. Questa distanza
sulla fila è metà di quella che si dovrebbe teoricamente rispettare dato che, per problemi
di scarsa germinabilità, sia ha circa il 40-50% di fallanze del seme distribuito.
Densità a m2 e quantità di seme.
La densità di semina a m2 per il sorgo varia, oltre che per le caratteristiche pedoclimatiche
della località e dalla possibilità o meno di soccorso idrico, in relazione allo scopo della sua
coltivazione ossia se per produzione di granella, foraggio, fibre, zucchero o per scope.
Relativamente al sorgo da granella sono riportati nelle seguenti tabelle delle indicazioni
orientative per alcune delle principali classi FAO.
Investimento finale a m2 del sorgo in coltura asciutta per gli ibridi di classe FAO 100 - 600.
Classe FAO Piante m-2
100 35
200 35
300 30
400 25
500 25
600 25
Investimento finale a m2 del sorgo in coltura irrigua per gli ibridi di classe FAO 100 - 500.
Classe FAO Piante m-2
200 45
300 40
400 35
500 30
Considerando gli investimenti sopra riportati, un peso indicativo medio per cariosside di
circa 0,0245 g e una germinabilità del 60 % la quantità in kg di seme ad ettaro varia da
circa 14,3 a 10,2 kg rispetto ai circa teorici 8,5 - 6,1 kg.
Relativamente alla produzione di foraggio la densità di semina deve essere quella per
avere, in relazione ai genotipi, orientativamente, dalle circa 50 alle circa 100 piante a m2.
291
Ciò porta ad usare, considerando un peso medio di 15 mg per cariosside, una quantità di
seme da circa 12 a circa 25 kg ha-1.
I caratteri maggiormente influenzati dall’investimento sono il numero di panicoli per
pianta e il numero di cariossidi per panicolo, mentre il peso medio delle cariossidi è
carattere piuttosto stabile.
Una densità di semina troppo bassa rispetto all’ottimale, per la classe di precocità
dell’ibrido, può determinare la formazione di culmi secondari in numero eccessivo con
ripercussioni negative sulla raccolta connessa al diverso grado di maturazione tra panicoli
principali e secondari.
Decisa la densità che si vuole avere, la dose di seme ha-1 è in funzione della purezza e
germinabilità della semente come del peso medio delle cariossidi e della percentuale delle
fallanze previste.
Per il calcolo della quantità di seme di sorgo in kg da mettere nella tramoggia di carico
della seminatrice per 1 ha-1 vale il seguente esempio considerando di volere 30 piante m-2,
di avere il 99 % di purezza, una germinabilità del 90 % della semente, un peso di 1.000
cariossidi di 25 g e di prevedere il 40% di fallanze.
Quantità in kg di seme ad ettaro = {[[30 : (0,99x0,90)]] x [1: (1-0,4)]] x 25 }:1.000 = circa 14
kg
Diserbo.
Il diserbo per il sorgo può venir effettuato in pre-semina o in pre-emergenza o in post-
emergenza ma la lotta contro le infestanti graminacee è sempre difficile.
Per facilitare il diserbo in pre-semina fatto con trattamenti a tutto campo, al fine di
stimolare l’emergenza delle infestanti, occorre preparare in anticipo il letto di semina e
quindi intervenire con prodotti diserbanti totali.
In post-emergenza occorre scegliere bene i prodotti in base alle infestanti presenti
presenti.
Diserbo del sorgo: alcuni p.a. epoche per la loro distribuzione e infestanti controllate
Sorgo: alcuni diserbanti di pre-semina, pre-emergenza e post-emergenza
Principio attivo % Epoca impiego Quantità in l o kg ha-1
Glifosate 30,4 pre semina 1,5-3,0
Glifosate trimesio 13,1 pre semina 4,5-7,5
Propachlor 3 pre emergenza 6,0
Aclonifen 49,0 pre emergenza 1,0-1,5
Terbutyhlazine 37 pre - post emergenza 1,3-4,0
44,1 pre - post emergenza 1,1-3,4
50 pre - post emergenza 1,0-3,0
Bromoxyilil 31,4 post emergenza 0,7-1,0
Dicamba 21,2 post emergenza 0,6-1,1
Fluroxypyr 17,6 post emergenza 0,5-1,0
MCPA 25,0 post emergenza 0,25-0,45
MCPA+2,4 D 25,0-31,0 post emergenza 0,5-0,8
Allo scopo di ridurre l’uso dei diserbanti persistenti nel suolo una valida tecnica è quella
falsa semina seguita dalla distribuzione di erbicidi a base di glyphosate, glyphosate
trimesio, glufosinate ammonio.

292
Irrigazione.
Il sorgo ha minori esigenze idriche del mais. Tutto ciò porta a un consumo idrico di acqua
evapotraspirata per produrre 1 kg di sostanza secca inferiore a 250 kg.
Otre a queste caratteristiche il sorgo ha la capacità di entrare in stasi vegetativa in caso di
carenza idrica per poi rientrare in attività, senza compromettere in modo significativo la
sua produzione, quando questa cessa con l’unico inconveniente di allungare il suo ciclo
vitale.
In considerazione delle caratteristiche della pianta è stimato che per fornire rese
accettabili la coltura deve avere nel suolo una quantità di acqua di almeno 300-350 mm
ha-1 pari a 3000-3500 m3 ha-1 e, in particolare, 120-150 mm ha-1 nel trimestre giugno-
agosto. Condizione questa che si riscontrano con una certa frequenza nelle Regioni
centrali italiane.
Indipendentemente dalla citata resistenza del sorgo alla siccità, il periodo fenologico con
più alta sensibilità alla carenza idrica è comunque compreso tra la fase di botticella e
prima della fioritura ed è in questo periodo, se vi è disponibilità d’acqua, che è opportuno
irrigare.
Una buona disponibilità idrica durante la fase di emissione del panicolo garantisce un
completo allungamento dell’ultimo internodo ottenendo così un sufficiente distanziamento
del panicolo dalle foglie. Questa eserzione, detta anche carattere Combine, facilita le
operazioni di mietitrebbiatura e riduce le perdite di granella alla raccolta.
Se la coltura del sorgo da granella è solitamente possibile senza irrigazione ciò non lo è
per quella da foraggio poiché questa è essenziale per la velocità di crescita dei ricacci
dopo l’utilizzazione e quindi per il loro numero complessivo nel corso dell’annata agraria.
In particolare per il sorgo da foraggio se dopo ogni sfalcio non sono avute precipitazioni
superiori a 20 mm, occorre intervenire con una irrigazione ma non quando la sua
vegetazione è più alta di circa 60 cm in modo tale da non provocare allettamenti
Raccolta del sorgo da granella.
Per la raccolta del sorgo da granella si usa la mietitrebbiatrice per frumento con
opportuni giri del battitore, un corretto spazio tra battitore e contro battitore e
posizionando la barra falciante relativamente alta in modo da raccogliere solo i panicoli.
Ma avendo queste accortezze non è facile individuare il momento ottimale per la raccolta
della granella del sorgo data la sua maturazione scalare poiché procede gradualmente
dall’apice del panicolo verso la sua base e la differenza di maturazione tra panicoli
principali e quelli dei culmi di accestimento.
La granella può essere raccolta:
 allo stato umido, con circa il 28-33% di H2O e conservata come tal quale o macinata
in silos
 con umidità inferiore al 23% per poi essere essiccata a valori inferiori 15,5% .
Con raccolta della granella con percentuali di umidità più alte di quelle citate, si possono
avere rotture delle cariossidi con presenza di sfarinato che facilita fermentazioni e porta
allo sviluppo di nicrorganisni dannosi o inutili per l’alimentazione del degli animali.
Una caratteristica del sorgo che offre notevoli vantaggi alla raccolta è, come citato,
l’eserzione del panicolo o carattere Combine ovvero una buona distanza tra ultima foglia
e la base di questo.
Quanto maggiore è questa distanza tanto più pulita sarà la granella e minori le perdite di
mietitrebbiatura in quanto la macchina potrà operare senza ricorrere ad un taglio che
interesserebbe anche una parte di stelo con foglie che alla maturazione della granella è di
293
norma verde e tenace. Fatto che ostacolano gli organi lavoranti della mietitrebbia e
determina un aumento dell’umidità alla granella.
La raccolta del sorgo cade usualmente nel mese settembre cercando di anticipare, per
quanto possibile, le piogge autunnali. L’umidità della granella al momento della raccolta è
quasi sempre discretamente bassa e il ricorso all’essiccazione artificiale, più o meno
intensa, è connessa fondamentalmente al decorso stagionale avverso come ad esempio uso
ibridi troppo tardivi o semine troppo ritardate.
Raccolta del sorgo da foraggio.
Durante la raccolta dei sorghi da foraggio occorre tagliare alto lasciando 7-9 cm di stocco
sul suolo, per avere un rapido e abbondante ricaccio.
Oltre a ciò occorre evitare l’impiego di macchine operatrici molto pesanti per evitare di
danneggiare i 7-9 cm di stocco lasciati sul suolo e conseguentemente di deprimere la
ricrescita e l’accestimento.
La tecnica di raccolta del sorgo da foraggio è molto variabile in base al suo utilizzo come
di seguito brevemente indicato.
 Insilato.
Per questo scopo il sorgo si raccoglie quando la granella delle piante sono allo stadio
latteo-ceroso. Per l’individuazione del momento opportuno si fa riferimento ad un valore
medio dell’appezzamento di sorgo data la sua scalarità di maturazione.
 Consumo verde.
Per questo scopo le piante del sorgo si sfalciano quando hanno raggiunto un’altezza di
almeno 80-100 cm e non oltre lo stadio di botticella-spigatura.
Dopo tale stadio la qualità del sorgo decresce rapidamente e risulta necessario effettuare
una trinciatura per ridurre gli scarti nei punti di distribuzione. Una tecnica molto utile è
quella dell’appassimento in campo dato che si opera con foraggio molto umido.
L’appassimento consente di ridurre il valore d’ingombro alimentare del foraggio negli
animali aumentando cosi la capacità di ingestione di quest’ultimi.
Limiti del sorgo allo stato verde
Il consumo del sorgo da foraggio allo stato verde di va evitato qualora si verifichino le
seguenti condizioni: stress idrico. temperature che scendono sotto gli 8 °C, raccolta
quando le piante troppo giovani sotto circa i 70 cm di altezza In questi casi si riscontra nel
foraggio una discreta presenza di durrina, alcaloide tossico per gli animali. Questo rischio
viene ridotto “affienandolo” il sorgo per circa 72 ore.
 Fienagione.
Per questo scopo le piante del sorgo si sfalciano quando hanno raggiunto un’altezza di
almeno 70-80 cm. Il condizionamento meccanico del foraggio con condizionatrice a rulli è
molto utile per abbreviare l’essiccazione e la permanenza dello sfalciato in campo.
Produzione
Le produzioni medie di sorgo da granella sono variabili in quanto è una coltura
primaverile estiva usualmente non irrigua. Tuttavia anche come coltura in asciutto, con
l’affinamento delle tecniche colturali e con la scelta di adatti ibridi, questo cereale può
fornire, con una certa stabilità, rese di circa 5-6 t ha-1, arrivando a punte di circa 8-10 t
ha-1 su suoli e in annate particolarmente favorevoli per quantità e distribuzione della
pioggia.

294
Oltre alla produzione della granella occorre considerare che è possibile recuperare i
residui colturali come foglie e stocchi che e dopo essiccazione o insilamento possono essere
utilizzati per l’alimentazione degli animali.
Nei 15 paesi dell’Unione Europea nel 2005 la produzione media del sorgo da granella era
di circa 6.0 t ha-1 mentre in Italia di circa 5,7 t ha-1.

Sorgo: mietitrebbiatura

Girasole - Famiglia Composite o Asterace - Helianthus annuus


Origini.
È una pianta annuale originaria delle regioni occidentali degli Stati Uniti d’America
appartenente alla famiglia delle Composite o Asterace.
In Italia, nel 2005, il girasole aveva una superficie di 130.000 ha con una riduzione rispetto
al 2001 di circa il 37 %.
Utilizzazione
Il girasole è una specie a ciclo primaverile-estivo caratterizzata da esigenze termiche
moderate, un’elevata resistenza alle basse temperature nelle prime fasi di sviluppo, da
brevità del ciclo biologico e da discrete capacità di adattamento a condizioni di scarsa
disponibilità idrica.
Potendo nascere e svilupparsi a temperature relativamente basse, la coltura può essere
seminata precocemente: ad es. nelle aree dei fondo valle delle colline interne toscane verso
fine marzo prima settimana di aprile .
La precocità di sviluppo, unitamente alla semina anticipata, consente alla pianta di fruire
per lunga parte del ciclo biologico delle riserve d’acqua accumulate nel suolo e fa sì che le
fasi più delicate dello sviluppo, incentrate sullo stadio di fioritura, avvengano con anticipo
rispetto al verificarsi dei massimi termici ed evapotraspirativi della piena estate.

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Apparato radicale.
L’apparato radicale del girasole, fascicolato-fittonante, può giungere fino a 2 m di
profondità con la più alta concentrazione delle radici nei primi decimetri di profondità
del profilo del suolo. In relazione alla sua profondità riesce ad avere a disposizione riserve
idriche non utilizzabili da altre specie. Per queste caratteristiche il girasole si adatta
meglio delle altre piante a ciclo primaverile-estivo alla coltura asciutta negli ambienti
dell’Italia centrale e meridionale.
Stelo.
Il girasole ha un culmo robusto eretto, non ramificato, peloso e ruvido al tatto, pieno di
midollo, con un diametro tra circa 2 e 3 cm e con un’altezza, nei genotipi più coltivati,
oscillante tra circa 1 e 2 m.
Foglia.
Le foglie del girasole sono semplici ovate, acute, dentate e con lungo picciolo.
Fiore.
I fiori del girasole sono riuniti in un’infiorescenza a capolino detta calatide costituita da
un ricettacolo piatto discoidale circondato da una doppia o plurima serie di brattee.
Le calatidi hanno un diametro che varia, in relazione alla cv. e alle condizioni agro-
pedoclimatiche, tra circa 10 e 40 cm.
Queste presentano: radialmente alla periferia circa 40-80 fiori sterili appariscenti, posti su
1 o 2 file, costituiti una grande e vistosa ligula gialla che, nel loro complesso viene
considerata, impropriamente, la corolla della pianta e all’interno circa 1.500-2.000 fiori
non appariscenti ermafroditi fertili con fioritura scalare che si completa in circa 8-12
giorni.
Particolare delle ligule dei fiori sterili Calatide di girasole
esterni e dei fiori fertili poco appariscenti
bisessuati interni della calatide che
formeranno i frutti .
Da F. e U. Bonciarelli

296
Questa scalarità di fioritura fa sì che in un campo di girasole questa, nel complesso, duri
circa 2-3 settimane. L’impollinazione è entomofila la fecondazione è incrociata.
Il girasole, durante la fioritura è un’ottima pianta nettarifera e può far produrre alle api
decine di kg di miele per ettaro.
Il nome girasole dipende dal suo eliotropismo. Questo movimento è dovuto al fatto che un
segmento dello stelo localizzato sotto il capolino, detto pulvino, fin da quando questo è in
boccio presenta una rotazione che gli consente di seguire il sole per stimoli auxinici.
Rotazione che permette alla calatide di ricevere sempre i raggi solari in modo
perpendicolare. Dopo il tramonto del sole inizia la torsione in senso inverso, da Ovest ad
Est, per poi iniziare nuovamente questo meccanismo all’alba. Quando la pianta ha
completato la fioritura perde questa proprietà eliotropica, rimanendo le calatidi orientate
verso N-NE.
Frutto.
Il frutto, detto impropriamente seme, è un achenio compresso, largo circa 3,5-9 mm, lungo
circa 7,5-17 mm e spesso circa 2,5-5 mm contenente il vero seme. 1.000 acheni pesano
circa da 40 a 60 g per cui un achenio mediamente pesa circa da 40 a 60 mg. Il colore più
comune dell’achenio è grigio o nero uniforme con, talvolta, striature bianco-argentee. Il
seme è costituito da tessuto ricco in olio. Rispetto all’intero achenio l’olio è il 45 al 52 %
del suo peso.

Da F. e U. Bonciarelli

Achenio: frutto del girasole.

Ciclo biologico
La germinazione del girasole inizia già quando la temperatura del suolo è di circa 6-7° C .
Per tale ragione viene seminato circa 15-20 giorni del giorni prima del mais. Ciò che
corrisponde, in Italia centrale, dal 20 di Marzo ai primi di Aprile in funzione delle
località. La plantula emerge in circa 7-15 giorni. La germinazione è epigeica per cui il
girasole soffre del fenomeno della crosta. Allo stadio dell’ottava foglia si differenzia,
all’apice del suo fusto, l’abbozzo del capolino. Segue un periodo di rapidissimo
accrescimento della pianta, detto fase di levata, con formazione di un ampio apparato
fotosintetizzante.
La emissione di nuove foglie si arresta quando compare il bottone fiorale con un diametro
di circa 1,5-2 cm. Ciò accade verso il 30 di maggio. Da questo momento la produzione di
s.s. del girasole, che lenta all’inizio, diventa rapida proseguendo fino a fine fioritura.

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Schema del ciclo biologico del girasole.

Da F. e U. Bonciarelli

Procedendo l’accrescimento, il bottone fiorale aumenta di dimensioni e si allontana


progressivamente dalle ultime foglie mantenendo una posizione orizzontale.
Ad un certo punto, assunta una posizione sub-verticale, il bottone fiorale apre la corona di
brattee che lo avvolgono lasciando successivamente vedere le ligule gialle portate dalla
corona di fiori più esterna del disco, detti fiori del raggio, che danno al capolino del
girasole il suo aspetto caratteristico.
Sezione schematica del capolino del girasole

Il disco appare tutto coperto di piccoli fiori fertili ancora incompleti nelle loro strutture.
Il numero di questi dipende dagli ibridi e dalle condizioni colturali ed ambientali: in
situazioni eccezionalmente favorevoli può superare il n° di 2.000 fiori per capolino.
298
Nei piccoli fiori fertili l’emissione degli stami carichi di polline e la recettività degli stigmi
si realizza scalarmente, procedendo dai fiori più esterni verso quelli posti al centro del
disco.
La fecondazione è incrociata e l’impollinazione è entomofila: fatta solitamente da api.
Dopo la fecondazione inizia il riempimento dei semi che dura circa 35 giorni.
Poiché i fiori centrali sono gli ultimi ad essere fecondati è possibile che la loro allegagione
e successiva formazione degli acheni avvenga in condizioni di accentuata competizione
idrica e nutrizionale tra i frutti. In conseguenza di ciò diversi fiori posti al centro del
capolino possono o non allegare o presentare acheni più piccoli.
Questa area di minor contributo produttivo, più o meno ampia in relazione alle condizioni
ambientali e agli ibridi, è quella che determina il decremento nella resa di acheni per
capolino.
Gli acheni regolarmente formati si ingrossano ed aumentano rapidamente di peso, per
l’accumulo delle sostanze di riserva, in particolare di olio. Olio che nel frutto maturo può
costituire oltre il 50% del peso secco.
Alla stadio di fioritura completa la pianta raggiunge la sua massima altezza.
Alla formazione degli acheni segue la fase di maturazione fisiologica, che cade verso circa
il 20 agosto, corrispondente al raggiungimento dalla massima quantità di S.S. nei frutti.
Il ciclo del girasole tra emergenza e la maturazione fisiologica dura mediamente circa 115
giorni ma può essere di circa 100 giorni negli ibridi precoci come di circa 140 giorni negli
ibridi tardivi.
Allo stadio di maturazione fisiologica gli acheni hanno un contenuto di umidità superiore
al 30-35 %, la superficie superiore del capolino è di colore giallo-bruno e gran parte delle
foglie della pianta sono secche.
Girasole prossimo alla
maturazione.
Da F. e U. Bonciarelli

Successivamente alla fase di maturazione fisiologica, la perdita di umidità degli acheni è


rapida e l’intera pianta dissecca progressivamente.
Il questa fase il girasole è in fase di maturazione piena e la pianta, è quasi completamente
secca ed imbrunita, può essere raccolta. Questa fase orientativamente cade verso la metà
di settembre considerando poiché per le diversità pedo-climatica italiane e i diversi tipi di
ibridi utilizzati può oscillare anche di cira 7-10 giorni.
Esigenze ambientali
Il girasole è una specie a ciclo primaverile-estivo, caratterizzata da modeste esigenze
termiche, elevata resistenza alle basse temperature nelle prime fasi di sviluppo, brevità del
ciclo biologico e da notevoli capacità di adattamento a condizioni di scarse disponibilità
idriche.
Potendo nascere e accrescersi inizialmente a temperature relativamente basse, la coltura
può essere seminata, come prima accennato, ad es. in Italia centrale dall’ultima di Marzo
ai primi di Aprile in base delle località.

299
La semina in epoca relativamente precoce e la precocità di sviluppo consente alla pianta di
utilizzare per lunga parte del ciclo biologico delle riserve d’acqua accumulate nel suolo in
modo tale che le fasi più delicate dello sviluppo, incentrate sullo stadio di fioritura,
avvengano con anticipo rispetto al verificarsi dei massimi evapotraspirativi della piena
estate.
Clima.
Gli ambienti climatici nei quali il girasole può essere coltivato in Italia sono diversi: da
quelli di pianura e di fondovalle a quelli di media ed alta collina.
Dal punto di vista climatico il più importante fattore limitante la produzione è
rappresentato da scarsa ed irregolare piovosità nel periodo primaverile-estivo, che in
Italia centrale cade, in particolare, nel bimestre giugno-luglio
Il girasole essendo una pianta tollerante i deficit idrici, su suoli profondi con elevata AWC,
è adatto, con ibridi adeguati, ad essere coltivato in Italia centro e settentrionale anche
senza irrigazione.
Suolo.
Le esigenze pedologiche del girasole non sono eccessive ma non adatti alla coltura sono i
suoli sabbiosi tendenzialmente poveri e con bassa capacità di ritenzione idrica, suoli poco
profondi o suoli argillosi con cattiva struttura, freddi e con ristagni idrici. Gli altri suoli,
anche quelli ricchi di S.O. , sono in grado di ben ospitare la coltura. Il girasole non ha
particolari esigenze in fatto di pH del suolo trovandosi bene quando questo oscilla da circa
6 a 8. Pur considerando questa adattabilità il girasole preferisce comunque più i suoli sub-
alcalini rispetto ai suoli sub-acidi. Questa oleaginosa è inoltre anche moderatamente
tollerante la salinità.
Avversità abiotiche e biotiche
Le avversità che colpiscono il girasole sono principalmente biotiche come quelle dovute
all’Oomicete Plasmopara helianthi o halastedii agente della peronospora, al coleottero
Agriotes spp. o elateride, alla scrofulariacea parassita Orobanche cumana e, eccetto come
coltura a perdere, agli gli uccelli granivori.
Tecnica colturale
Il girasole è una pianta da rinnovo e precede ottimamente i cereali a paglia a semina
autunnale perché libera presto il suolo entro metà settembre e lascia da circa 4,5 a 6 t ha-1
di residui colturali con un discreto coefficiente isoumico che si degradano facilmente.
Per una stima dell’apporto dei residui colturali dell’oleifera occorre tener conto che
solitamente il rapporto “residui colturali:granella” varia da circa 1:0,45 a 1:0,40. Tramite
questo rapporto dalla produzione di granella si può risalire alla produzione dei residui
colturali epigeici. Ad esempio, rilevando una produzione di 2,5 t ha-1 di acheni in girasole
produrrà da 6,25 t ha-1 (2,5:0,40) a circa 5,6 (2,5:0,45) t ha-1 di residui colturali.
Posto nell’avvicendamento colturale.
Il girasole è una classica coltura miglioratrice da rinnovo da inserire in avvicendamenti
pluriannuali, per evitare problemi dovuti al diffondersi di specifiche malattie parassitarie
e erbe infestanti, in modo che torni, possibilmente, sul solito appezzamento ogni circa 4-5
anni. Una situazione nella quale si impone quasi inevitabilmente l’interruzione della
coltivazione dell’oleifera nell’avvicendamento per un congruo numero di anni è quella
causata dalla presenza del girasole selvatico (Heliantus rigidus e Heliantus tuberosus)
ormai presente in molti tipici comprensori elianticoli italiani.

300
Helianthus thuberosus

Helianthus rigidus
Grazie alla sua raccolta precoce il girasole libera presto il suolo, di norma prima della fine
dell’estate. In tal modo agevola i lavori comuni la coltura che lo segue, tipicamente
rappresentata da un cereale a paglia autunno-venino.
Il girasole e coltura molto utile nell’avvicendamento o rotazione anche perché sia a seguito
del controllo delle erbe infestanti realizzato dal diserbo o dalle sarchiature come dal forte
suo potere competitivo, assicura un buon rinettamento del suolo dalla vegetazione
avventizia.
Otre a ciò la facilità con cui dei residui colturali sono frammentati meccanicamente a
seguito della raccolta permettono un buon risultato sia della tecnica della minima
lavorazione sia della semina diretta del cereale su suolo non lavorato.
Lavorazione e preparazione del suolo.
Essendo specie a semina primaverile il lungo intervallo di tempo intercorrente dalla
raccolta estiva o autunnale della coltura precedente alla semina dell’oleifera permette che
la sequenza dei lavori del suolo possa essere fatta correttamente.
Per la lavorazione principale del suolo, oltre l’aratura usualmente profonda 35 o 40 cm, è
possibile impiegare la lavorazione a due strati, l’aratura a ridotta profondità a 25-30 cm,
la minima lavorazione e la semina diretta su suolo. Dato però le caratteristiche climatiche
delle aree elianticole italiane, caratterizzate da ridotta e irregolare piovosità durante i
mesi in cui si svolge gran parte del ciclo colturale, le citate tecniche alternative all’aratura
non sempre hanno fornito buoni risultati per la riduzione della capacità da parte del suolo
ad immagazzinare sufficienti riserve idriche.
Alla lavorazione principale seguiranno l’estirpatura ed erpicature. In caso di suoli con
lacunosità nel loro profilo superficiale è utile una rullatura di presemina.
Concimazione.
Per impostare in modo pratico e sostanzialmente corretto un piano di concimazione per
questa composita è necessario avere, al pari delle altre colture, indicazioni, oltre alla
dotazione del suolo dei macroelementi e la prevista produzione del girasole in t ha-1,
sull’asportazioni per 100 kg di acheni di N, P2O5 o P e K2O o K, indicazioni sul rapporto

301
di concimazione e sulla % di immobilizzazione della P2O5 da parte del suolo come
brevemente indicato nella parta di Agronomia generale.
In base ad una prevista produzione 3 t ha-1 di acheni, considerando una immobilizzazione
della P2O5 del 30 %, un’asportazione per 0,1 t di acheni 2,67 kg di N , 1,5 kg di P2O5 e
2,48 kg di K2O e il rapporto di concimazione 1,2 (N) : 1 (P2O5) : 0-0,5 (K2O), le quantità
totali in kg di N, P2O5, K2O da distribuire su 1 ha, su suolo ben dotato di potassio, saranno
circa 70 kg N, 60 kg P2O5 , 0 K2O.
Spesso la concimazione prevede la distribuzione di tutto il P e l’N, ed eventualmente anche
del K, tutto in presemina.
Questa tecnica deve essere però modificata in aree con condizioni pedo-climatiche ideali.
In queste è utile distribuire circa il 25 % dell’N totale in copertura nell’interfila con
nitrato ammonico o urea abbinato ad una sarchiatura o rincalzatura, prima che la pianta
chiuda le file per l’accesso ai mezzi meccanici, ovvero quando la coltura è alta circa 35
cm,. Girasole: lavoro di sarchia-rincalzatura

Semina.
Attualmente i girasoli coltivati sono quasi tutti ibridi che si diversificano, in particolare,
per la lunghezza del loro ciclo tra emergenza e maturazione fisiologica. In relazione a
questa caratteristica esistono girasoli precoci, medio-precoci, medi, medio-tardivi e
tardivi.
In Italia le rese migliori si sono ottenute con cicli medio precoci e medi rispettivamente
con un numero di giorni da 115 a 130 giorni. Questi, in Italia centrale, il base alla loro
localizzazione geografica, iniziano la fase fioritura rispettivamente verso il 20-30 giugno e
il 5-15 luglio.
Il successo della semina dipende dall’epoca di semina, dalle tecniche con le quale viene
fatta, in quanto influente sull’emergenze della piante, dall’investimento finale a m2, dal
posizionamento delle piante sulla fila e tra le file e dall’intercettazione della luce da parte
delle foglie.
Epoca di semina.
Per ottenere una germinazione veloce, ossia entro circa 15 giorni dalla semina, è
necessaria una temperatura media dei primi cm del suolo di circa 10°C. Questo valore, in
Italia centrale, in condizioni climatiche e altimetriche medie, si ha circa verso la fine di
marzo prima decade di aprile mentre in Italia meridionale entro il mese di febbraio.
Anticipare la semina può esporre la coltura a notevoli rischi. Infatti, se la temperatura del
suolo rimane a lungo su valori troppo bassi, il tempo necessario per la germinazione e
relativa emergenza della plantula dal suolo può essere eccessivo, esponendo semi e
plantule a pericolose avversità.
302
Effetti negativi sono prodotti anche da ritardi nella semina in quanto fioritura e
produzione degli acheni si sposteranno sempre più verso il periodo estivo più caldo e
siccitoso.
Profondità di semina.
La corretta profondità di semina è circa tra 3 e 4 cm. È importante che in tutto
l’appezzamento la profondità sia uniforme, per garantire emergenze regolari e
contemporanee. A tal fine, oltre a ben regolare gli organi della seminatrice, è importante
la valutazione dell’uniformità della sofficità del suolo: se questa è variabile le ruote della
trattrice possono affondare o meno falsando la profondità di deposizione del seme.
Quando il suolo è asciutto in superficie seminare a profondità maggiori della norma è una
soluzione da evitare, per rischi di emergenze ridotte e scalari come di un’accentuata
incidenza di avversità biotiche, come quella dovuta alla peronospora.
Densità di semina.
La densità di semina ottimale per i classici comprensori elianticoli dell’Italia centrale e
per ibridi a ciclo medio è di circa 5 piante a m2
Distanza tra le file di semina.
La coltura del girasole prevede semina a file distanziate tra loro, usualmente, tra circa 50
e 70 cm. Uno dei fattori pratici che incide nella scelta della distanza tra le file da adottare
è la compatibilità con le esigenze di operative di tutte le macchine e strumenti usati nelle
varie operazioni colturali per la composita.
A parità di densità, la riduzione dell’interfila anticipa la completa copertura del suolo da
parte della coltura, aumenta il potere di competizione verso le erbe infestanti e
l’utilizzazione dell’umidità del suolo da parte delle radici e migliora lo sfruttamento dello
spazio aereo a vantaggio dell’intercettazione della radiazione solare da parte delle foglie.
Ma occorre considerare che con la riduzione dell’interfila l’esecuzione delle operazioni
colturali sono più difficoltose non considerando che alcune ricerche hanno evidenziato che
la riduzione della distanza dell’interfila da 75 a 45 cm non ha portato a incrementi
produttivi statisticamente significativi.
Alla semina, per calcolare la distanza sulla fila, occorre tener presente che la quantità di
seme a m2 deve essere aumentata del 25% poiché normalmente l’emergenza del girasole è
del 75%. Ciò vuol dire che da 5 si passa a 6,25 piante a m2. Valore che porta una distanza
dei semi sulla fila di circa 22,8 cm considerando file distanti 70 cm tra loro.
Il girasole è molto sensibile anche a densità di poco superiori a quelle ottimali dell’ibrido
impiegato, riducendo la robustezza dello stelo e la resa in acheni.
Dopo la semina, in suoli troppo ricchi troppo di macropori, una leggera rullatura è utile
per favorire il contatto tra seme e terreno e la risalita dell’acqua per capillarità dagli
strati sottosuperficiali. A tal fine l’uso di rulli scanalati, che lasciando il suolo corrugato
impediscono la formazione di crosta, sono i più indicati.
Quantità di seme ha-1.
Il seme di girasole viene commercializzato il confezioni con un preciso numero di semi,
dette dosi, conciato con prodotti anticrittogamici contro parassiti fungini. Spesso la dose è
di 70.000 semi ed ha un peso di circa 6 kg.

Tipi di seminatrice.
Le migliori seminatrici sono quelle pneumatiche di precisione.
303
Scelta dell’ibrido
Gli ibridi girasole, semplici o più vie, presenti oggi sul mercato sementiero sono oggi
numerosi differendo per durata del ciclo, morfologia della pianta, produttività e
caratteristiche quanti-qualitative della granella prodotta.
Con riferimento ai caratteri quanti-qualitativi tra i diversi ibridi vi sono differenze di
produzione fino a circa 1 t ha-1 di acheni e 8- 9 % di olio sul peso secco.
Come accennato gli l’ibridi di girasole si dividono in 5 classi: precoci, medio precoci, medi,
medio tradivi e tardivi. Il loro rispettivo un numero di giorni, tra l’emergenza e la
fioritura, è di circa 59, 63, 66, 70 e giungono in fase di maturazione fisiologica in un arco
di tempo, tra un minimo di circa 105 a massimo circa di 120 giorni.
Il periodo di fioritura e di maturazione fisiologica degli attuali ibridi si posiziona, entro in
un arco di tempo di circa 15 giorni, tra l’ultima settimana di giugno e la prima di luglio e
tra circa tra metà di settembre e gli ultimi giorni di questo mese.
Diserbo
Il diserbo, oltre che per via meccanica con sarchiatrici o rincalzatrici, viene effettuato
con diserbanti di pre-semina o di post emergenza. Di seguito alcuni principi attivi, loro
applicazione e spettro d’azione.
Alcuni p.a. usati nel diserbo del girasole
Principio attivo Codice per associazioni Epoca d’impiego Spettro d’azione
Trifluralin 1 Prs D+G
Linuron 2 Pre D
Metobromuron 3 Pre D
Metolaclor 4 Pre G+D
Oxadiazon 5 Pre D
Pendimetalin 6 Pre D+G
Prometrina 7 Pre D
S-Metolaclor 8 Pre G+D
Terbutrina 9 Pre D
Aclonifen 10 Pre-Post D
Oxadiargil 11 Pre-Post D
Oxifluorfen 12 Pre-Post D
Imazametabenz-metile 13 Post G+D
Alossifop-etossietile 14 Post G
Alossifop-R-metile estere 15 Post G
Ciclossidim 16 Post G
Fenoxaprop-P-etile 17 Post G
Fluaxifop-P-butile 18 Post G
Quizalofop-etile-isomero D 19 Post G
Setossidim 20 Post G
Dinitramine 21 Pre G+D
Epoca d’impiego: presemina = Prs ; pre-emergenza = Pre; post-emergenza = Post ; pre-
emergenza e post-emergenza = Pre-Post.
Associazioni di pre-emergenza: 1+2 ; 2+6 ; 3+4 ; 3+8 ; 3+6 ; 2+10
Associazioni di post-emergenza: 10+13
Spettro d’azione: graminacee (G), dicotiledoni (D)

304
Irrigazione
L’ampia diffusione del girasole in molte aree dell’Italia settentrionale e centrale è dovuta
alla capacità della pianta di valorizzare di suoli di pianura e di collina privi di possibilità
irrigue.
Questa sua caratteristica di arido resistenza, dipende, come citato, da diverse
caratteristiche morfofisiologiche e colturali della pianta tra le quali : apparato radicale
ampio e profondo, possibilità si semine primaverili precoci e brevità del ciclo biologico.
Indipendentemente dall’arido resistenza del girasole, questo ha il suo massimo bisogno
idrico tra circa i 20 giorni prima e i 25 giorni dopo la fioritura.
Negli ambienti più meridionali della penisola italiana, dove situazioni di siccità ricorrono
con maggiore frequenza ed intensità, il girasole è però possibile coltivarlo solo con
irrigazioni di soccorso.
Di seguito sono riportati, in modo schematico, due punti per ottimizzare l’effetto
dell’irrigazione di soccorso.
 Il volume d’acqua fornito deve essere tale da portare a capacità idrica di campo uno
strato di terreno di almeno circa 50-60 cm.
 Il momento dell’intervento, deve cadere nella fase in cui deficit idrico si fa risentire
maggiormente sulla produzione.
Circa il periodo di maggiore sensibilità allo stress idrico questo va da quando il girasole si
presenta in stadio A o di grosso bottone fiorale fino a quando si presenta in stadio C
ovvero alla fine della fioritura quando le ligule dei fiori del raggio appassiscono.
Stadio A: stadio di bottone fiorale, di circa 4-6 cm di diametro, posto sopra il piano delle
ultime foglie corrispondente alla fase iniziale della massima sensibilità allo stress idrico.
Stadio A o bottone fiorale con circa 4-6 cm di diametro

Stadio C: stadio quando le ligule dei fiori del raggio appassiscono corrispondente allo
stadio di fine fioritura, che segna la fine del periodo di massima sensibilità allo stress
idrico
Stadio C o fine fioritura quando le ligule dei fiori del raggio appassiscono

305
L’apporto di acqua agro-ecomomicamente più utile al girasole è quello fatto con due
interventi irrigui: uno in presenza del bottone fiorale e uno a circa fine fioritura.
Misure agronomiche contro le avversità.
Di seguito una breve descrizione delle principali avversità abiotiche e biotiche del girasole.
Abiotiche.
Allettamento. Per eccessiva altezza e peso del capolino le piante del girasole possono
subire sbandamenti che le portano ad intrecciarsi con quelle delle file vicine così che nelle
interfile percorse dallo spartigrano della mietitrebbia i capolini possono subire delle forti
sollecitazioni meccaniche da far cadere a terra gran parte degli acheni.
Biotiche.
Delle numerose malattie fungine riscontrate in Italia sul girasole poche sono quelle che
hanno una reale importanza pratica. Tra queste sono da segnalare la peronospora
(Plasmopara helianthi), il marciume carbonioso dello stelo (Sclerotium bataticola o
Macrophomina phaseolina) e l’agente dello stelo nero (Phomopsis helianthi
Negli avvicendamenti di breve durata è utile che la coltura del girasole sia protetta contro
queste avversità: come minimo verso la peronospora tramite la concia del seme con il p.a.
metalaxil.
Altra avversità biotica è rappresentata ad attacchi da parte di uccelli che si nutrono delle
giovani plantule: attacchi che possono essere talmente intensi da far fallire intere
coltivazioni girasole.
Produzione, raccolta, resa ad ettaro.
La produzione di acheni ad ettaro del girasole, poiché la pianta produce una sola
infiorescenza, è data dal prodotto “popolazione di piante x n° medio di fiori per capolino x
percentuale di allegagione dei fiori”.
Il corretto stadio di maturazione del girasole per la raccolta gli acheni non corrisponde
alla fase di maturità fisiologica ma successivamente a questa poiché in questa contengono
circa oltre il 30-35% di umidità.
Lo stadio opportuno per la raccolta del girasole è quando le piante sono in fase di
maturazione piena ossia quando queste presentano la vegetazione quasi disseccata e il
dorso del capolino, più o meno reclinato, di colore bruno. Ciò cade, in Italia centrale,
verso circa la metà di settembre, in base alla precocità degli ibridi, alla localizzazione
geografica dell’area di coltivazione e all’andamento climatico.
Per ben mietitrebbiare il girasole l’umidità della granella deve essere del 20% circa. Una
volta raccolta la granella per poter essere ben conservarla la sua umidità deve essere al
massimo del 10%. Per tale ragione se l’umidità è più alta di questo valore la granella deve
essere essiccata artificialmente.
La produzione media italiana del girasole nel 2005 era di circa 2,2 t ha-1. Una discreta
produzione acheni può essere considerata dalle 3,5 alle 4,0 t ha-1. Come indicazione media
in Italia centrale il coltura del girasole non irrigua produce tra i 2,5 e le 3 t ha-1 di
granella.
Mietitrebbiatura del girasole.
Da F. e U. Bonciarelli.

306
Fava, favino, favetta o fava cavallina - Famiglia Leguminose o Fabacee - Vicia faba subsp.
maior , Vicia faba subsp. minor , Vicia faba subsp. equina .
Origini e caratteristiche.
La fava è pianta microterma annuale appartenente alla famiglia delle Fabacee o
Leguminose. Questa ha come centro d’origine l’area mediterranea e quella medio-
orientale.
La fava è una pianta il cui processo di domesticazione nel bacino del Mediterraneo risale a
circa il 6° millennio a. C. È pinta coltivata per la produzione di granella, erbai e per
sovescio.
La fava presenta seguenti tre varietà: maior, equina e minor.
La Vicia faba subsp. maior o fava da granella, principalmente utilizzata per
l’alimentazione umana, e quella più estesamente coltivata: nel 2005 aveva in Italia una
superficie coltivata di 49.000 ha, in leggero aumento rispetto al 2001.
Le subsp. equina e minor sono utilizzate per l’alimentazione degli animali selvatici e
domestici e per tecnica del sovescio.
Di seguito verranno brevemente esposte le principali caratteristiche agronomiche e
l’agrotecnica delle var. equina e minor dato il loro l’interesse per l’alimentazione degli
animali selvatici e domestici evidenziando che se sono simili a quella della Vicia faba var.
maior.
Seme.
1.000 semi nella subsp. maior hanno un peso da circa 1.000 a 2.500 g ossia da circa 1 a 2,5
g per seme; 1.000 semi nella subsp. equina hanno un peso da circa 700 a 1.000 g ossia da
0,7 a 1,0 g per seme; 1.000 semi nella subsp. minor hanno un peso < 700 g ossia < 0,7 g per
seme.
Seme di Vicia faba subsp. maior, le altre due subsp. hanno semi più piccoli con
forma più tondeggiante.

Da F. e U. Bonciarelli.

Stelo.
Tutte le subsp. o varietà di fava hanno uno stelo non ramificato più o meno robusto, a
sezione quadrangolare, angoloso a portamento eretto alto, in relazione alle varietà, da
circa 80 fino a circa 150 cm. La pianta ha accestimento molto limitato.
Foglia.
La fava presenta foglie alterne paripennate composte costituite da 2-3 paia di foglioline
ellittiche, a margine intero e sessili.
Fiore.
I fiori della fava, in n° da circa 1 a 6, sono portati su un breve racemo che nasce all’ascella
delle foglie mediane e superiori dello stelo. I fiori sono ermafroditi. L’impollinazione è per
307
circa il 40% allogama entomofila, fatta da api, bombi, ecc.. , e, per circa la restante
percentuale, autogama.
Fiori di favino Pianta di fava in fioritura

Da F. e U. Bonciarelli.

Frutto.
Dall’ovario si sviluppa il frutto o baccello contenente da circa 2-4 semi nella var. minor ed
equina o fino a 10 semi come nella var. maior. Quando il baccello è maturo tende ad
aprirsi.
Apparato radicale.
La fava ha una radice di tipo fittonante.
Esigenze ambientali climatiche.
La germinazione avviene con accettabile prontezza quando la temperatura del suolo nei
primi cm è di circa 5° C. In queste condizioni si ha l’emergenza in circa 15-20 giorni.
Allo stadio di plantula quando questa presenta 5 foglie vere presenta la massima
resistenza al freddo ma temperature di -6°C le sono spesso fatali: solo alcune cv. di favino
resistano fino a circa -15°C.
Dato che la fava è una forte consumatrice d’acqua la formazione dei semi è compromessa
dalla siccità
Esigenze pedologiche.
Il pH più adatto alla fava è quello alcalino costituzionale. La fava si adatta bene ai suoli
argillosi ma non ai suoli acidi e/o sabbiosi e/o molto organici e/o soggetti a ristagni idrici.
Avversità
Le principali avversità, della fava sono quelle biotiche di tipo vegetale e animale.
Tra quelle vegetali si citano per importanza, l’antracnosi dovuta a Ascochyta fabae, la
ruggine o Uromices fabae e l’orobanche dovuta a l’Orobanche speciosa e Orobanche
crenata della Famiglia delle Scrophulariaceae. In particolare l’orobanche pone dei
problemi dove si hanno avvicendamenti di breve durata con presenza della leguminosa.
L’orobanche è una fanerogama parassita che con particolari organi, detti austori, penetra
nelle radici della pianta alla ricerca dei vasi conduttori dai quali prendono la linfa
elaborata. Ciò determina fortissimo stress alla pianta fino a condurla a morte.
L’orobanche produce una elevatissima quantità di semi, da 50.000 a 500.000 per pianta,
che possono sopravvivere nel suolo anche fino a circa 14 anni rendendo molto difficile il
suo risanamento.
308
Orobanche

Da F. e U. Bonciarelli.

Tra avversità animali si menziona l’afide nero o Aphis fabae e il tonchio o Brucus
rufimanus.
Posto nell’avvicendamento e tecnica colturale.
La fava è una coltura miglioratrice che nella subsp. major talvolta si avvale del lavoro di
rinnovo.
È pianta miglioratrice perché l’apporto di N al suolo è stimato in circa 40-50 kg ha-1. Oltre
all’azoto la fava lascia residui vegetali che mediamente sono stimati in circa 4-5 t ha-1 di
sostanza secca.
Lavori ordinari, di preparazione e di coltivazione del suolo
La preparazione del suolo normalmente si basa sul un lavoro comune, tramite aratro, ad
una profondità tra i circa 30 e 40 cm. I lavori di preparazione sono rappresentate da
erpicature e quelli di coltivazione, ma solo per la Vicia faba var. maior da consumo
fresco, da una sarchiatura.
Concimazione: quantità modalità.
Per impostare un piano di concimazione per la fava è necessario conoscere: la dotazione
dei macroelementi del suolo, la prevista produzione in granella in t ha-1, l’asportazioni per
100 kg di granella di P2O5 o P e K2O o K e il rapporto di concimazione. La conoscenza
della % di immobilizzazione della P2O5 da parte del Ca+2 del suolo non è importante
poiché avendo una elevata C.S.C. radicale non ne risente: vedi la precedente parte di
Agronomia generale.
Le asportazioni per 0,1 t di granella sono: 1,4 kg di P2O5 e 1,5 kg di K2O . Il rapporto di
concimazione è 0 (N) : 1 (P2O5) : 1 (K2O)
In base a una prevista produzione 3,2 t ha-1 di granella di fava le quantità totali in kg di
P2O5, e K2O da distribuire su 1 ha saranno 0 kg ha-1 di N, circa 45 kg ha-1 di P2O5 e, in
suoli poveri di potassio, circa 45 kg ha-1 di K2O. La distribuzione dei concimi è
normalmente fatta in presemina a tutto campo.
Semina.
Epoche.
La fava, come accennato, è pianta microterma ma nonostante ciò non è molto resistente al
freddo per cui se in Italia centrale e meridionale la semina si può fare anche in autunno
in Italia settentrionale è più sicura la semina primaverile.

309
In Italia centrale la semina autunnale cade tra metà ottobre e i primi di novembre in
modo che le piantine abbiano 4-5 foglie vere prima dell’arrivo del freddo mentre quella
primaverile a fine marzo.
La quantità di seme ad ettaro varia in base alle varietà: per il favino e la favetta circa
160-180 kg ha-1 in modo da avere un investimento di circa 40-60 piante a m2, per la fava
circa 220-250 kg ha-1 per avere un investimento di circa 12-15 a m2.
Il seme è distribuito in file distanti tra loro 35-40 cm per la favetta per il favino e 40-50 cm
per la fava. La profondità di semina varia in base alla grossezza del seme da circa 4-5 cm
per favetta e favino a circa 6-8 cm per la fava.
Varietà
Di seguito alcune subsp. o varietà di favino e favetta.
Vicia faba var. minor :
Aurora Carola, Castel, Chiaro di Torre Lama, Collageno, Cristal , Diva, Divine Enrico,
Irena, Lady, Manfredini, Marcel, Mars, Meli, Melodie Minor, Polo, Prothabat 69,
Prothabon 101, Rumbo, Rutabon, Safir, Sicania, Sicilia, Scirocco, Scuro di Torre Lama,
Sikelia, Spada, Vesuvio, Vesvo.
Vicia faba var. equina:
Alfred, Aribo, Casprin, Geo, Herz-Freya, Lofabo, Victor.
Cure colturali
Le cure colturali sul favino e si basano sul diserbo.
Raccolta e produzione
La raccolta della fava, per granella secca, indipendentemente dalle varietà, cade entro le
seconda metà di giugno-primi di luglio.
Le produzioni di granella oscillano usualmente tra 1,5 e 2,0 t ha-1 per la favetta e il favino
e tra 4 e 5 t ha-1 per la fava. I semi secchi contengono mediamente circa 15% di acqua e
dal 22 al 25 % di sostanze azotate. La fava da granella aveva, nel 2005, una produzione
media nazionale di circa 1,8 t ha-1. Simili produzioni si hanno, i media, per il favino e la
favetta.
Barbabietola da foraggio - Famiglia Chenopodiaceae - Beta vulgaris subsp. Crassa
Origine geografica.
Il principale centro di origine del genere Beta è costituito dall’area mediterranea e
dall’Asia Minore. Un secondo centro è localizzato nell’area delle isole Canarie e del Capo
Verde.
I primi riferimenti ad una famiglia di piante conosciute con il nome di Beta si ritrovano
nella letteratura greca intorno al 420 a.C. dove veniva descritta come versatili piante da
giardino. Nel 1400 la Beta vulgaris o barbabietola veniva coltivata in tutta Europa.
In agricoltura la Beta vulgaris è importante per due motivi: per la produzione di zucchero
tramite la Beta vulgaris subsp. saccarifera e per l’alimentazione degli animali selvatici e
domestici tramite Beta vulgaris subsp. crassa.
La Beta vulgaris subsp. crassa come la Beta vulgaris subsp. saccarifera deriva dalla Beta
vulgaris ssp. Marittima indicante l’adattabilità di queste specie ai suoli salsi.
Beta vulgaris ssp. maritima

310
Caratteri botanici.
Radice.
La radice della barbabietola è di forma tendente al conico con diverse radichette
secondarie piccole e fini. Nel corso della fase vegetativa la radice principale si ingrossa
tuberizzandosi.
Questo fenomeno interessa anche le zone del colletto o collo e della testa sulla quale è
inserita la rosetta di foglie: zone che corrispondono alla parte emergenti della radice.

La sua forma varia molto tra quella della barbabietola da zucchero e da foraggio ed, in
particolare, in quest’ultima in base alle varie cultivar: vedi figure.
Barbabietola da foraggio (1-5) Barbabietola da zucchero (6)

Le linee orizzontali indicano il livello del suolo

Radice di barbabietola da
zucchero
Radici di barbabietola da foraggio

La radice principale nella barbabietola da foraggio nel corso della fase vegetativa si
ingrossa tuberizzandosi, in particolare nella zona del colletto o collo e della testa dove si
inseriscono le foglie. Per tale ragione si sviluppa da circa il 50% ad oltre 80% fuori della
superficie del suolo.
Stelo.
Dalla testa della radice della barbabietola durante la fase riproduttiva si sviluppa uno
stelo con piccole foglie portante infiorescenza infiorescenze.

311
Foglia.
La foglia della barbabietola è di forma ovale di color verde scuro sostenuta da un picciolo.
Le foglie sono in numero di circa 20-25 e si dispongono a rosetta su la zona superiore della
radice detta testa.
Fiore.
Durante la fase riproduttiva dalla testa della radice della barbabietola si sviluppa uno
stelo con infiorescenze a grappolo portanti 3-5 fiori sessili poco appariscenti.
L’impollinazione della bietola è anemofila e la fecondazione è di tipo incrociato.
Seme e germinazione.
Dalla fecondazione si originano semi che al temine del processo di fruttificazione saranno
immersi in una massa suberosa formante un glomerulo pluriseminato o poligerme. Il
glomerulo ha forma tondeggiante irregolare con diametro tra i 3,5 e i 5 mm e un peso tra
circa i 20 e i 30 mg . La germinazione della barbabietola è epigeica con la fuoriuscita dal
suolo dei cotiledoni spinti dall’ipocotile.
Ciclo biologico.
La barbabietola è una pianta biennale ma, per scopi foraggeri, come per produzione di
zucchero, deve essere considerata “tecnicamente” annuale poiché si raccoglie da fine
estate ad inizio autunno. A seguito dell’emergenza della plantula con il passar del tempo la
barbabietola produce numerose foglie di forma ovale di color verde scuro sostenute da un
picciolo che si dispongono a rosetta su la zona superiore della radice detta testa. La rosetta
di foglie si rinnova continuamente: le foglie più vecchie ingialliscono e disseccano mentre
altre nuove si differenziano e distendono. Normalmente sulla testa ci sono 20-25 foglie ma
il totale di quelle prodotte da questa zona durante tutto il ciclo ammonta a circa 50. Dopo
2 mesi dall’emergenza, verso circa metà maggio, inizia un rapido accrescimento delle
foglie e, uno minore ,della radice.
Ciclo biologico della barbabietola da zucchero simile a quello della barbabietola da
foraggio.
Da F. e U. Bonciarelli.

Dopo circa 4 mesi dall’emergenza verso ossia circa verso metà luglio la crescita delle foglie
si arresta mentre continua quella della radice che dura fin verso fine agosto-metà

312
settembre. A fine estate la quantità di biomassa radicale prodotta è massima e segna il
periodo della raccolta per le ssp. crassa come per la ssp. saccarifera.
Esigenze ambientali
Clima.
Come accennato la bietola non ha esigenze termiche elevate potendo germinare, in modo
agronomicamente soddisfacente, a 6° C.
Dato il forte potenziale di produzione in s.s. della barbabietola da foraggio e un consumo
idrico unitario di 350-400 l kg-1 di s.s. deriva un discreto fabbisogno totale annuo di acqua
per la coltura con una richiesta evapotraspirativa massima nei mesi di luglio e agosto.
Suolo.
Il suolo ottimale alla coltura è quello profondo, di medio impasto tendente all’argilloso,
ben strutturato che non ostacoli lo sviluppo e l’ingrossamento della radice e non formi
crosta durante l’emergenza delle plantule. Circa il pH del suolo questa chenopodiacea
rifugge ad suoli acidi mentre si adatta molto bene in quelli con pH alcalino fino a un
valore prossimo a 8,4.
Avversità abiotiche e biotiche.
Tra le avversità abiotiche si ricorda, oltre alle basse temperature che possono portare alla
prefioritura nell’anno di semina, il marciume del cuore, dovuto alla carenza di boro nel
suolo e la rizomania comportante la produzione di molte e piccole radici: avversità
abiotiche che tipicamente si manifestano nei suoli dove la bietola viene coltivata troppo
frequentemente.
Tra le avversità biotiche si cita in particolare quella fungina dovuta a Cercospora
bieticola che provoca la cercosporiosi, grave malattia che attacca le foglie e quelle causate
degli insetti fitofagi altica, elateride e nottua Tra le avversità biotiche sono da menzionare
anche i nematodi e la cuscuta (Cuscuta pentagona) che determinano forte diminuzione
della produzione di radici ad ettaro.
Tecnica colturale.
Avvicendamento.
La bietola è pianta da rinnovo preparatrice che apre la rotazione precedendo
normalmente i cereali a paglia.
Preparazione del suolo
La barbabietola, per il suo apparato radicale, valorizza le lavorazioni di rinnovo
profonde. Buoni risultati si sono ottenuti con tecnica della lavorazione a due strati. Dai
lavori di preparazione dipenderà la regolarità dell’emergenza della barbabietola. Infatti il
seme ha bisogno di un buon stato fisico per poter prontamente geminare ed emergere. Per
tali ragioni il suolo sarà interessato a un’estirpatura ed erpicature, l’ultima delle quali
deve essere accurata per avere un letto di semina strutturato e livellato.
Concimazione.
La concimazione della barbabietola da foraggio si basa nel distribuire tutto l’N, la P2O5 e,
eventuale, il K2O, prima dell’ultimo passaggio dell’erpice per preparare il letto di semina.
Le dosi distribuite sono in relazione alla caratteristica dell’ibrido e oscillano, in totale, tra
100-180 kg ha-1 di N ,100-120 kg ha-1 di P2O5 e, eventuale, 100 kg ha-1 K2O.

313
Semina.
Per la semina della barbabietola si utilizzando i glomeruli. Questi, come accennato, nelle
varietà non geneticamente selezionate, sono poligermi. Ciò in passato determinava
un’eccessiva nascita di piantine pungola fila a cui si compensava con costosi interventi di
diradamento
Per evitare ciò si è ricorso in principio alla semina di precisione con glomeruli monogerme
tecnici, derivati dalla frammentazione meccanica dei normali glomeruli e poi con alla
semina di precisione con glomeruli monogerme genetici, ottenuti per selezione genetica,
portanti un solo seme.
Questi hanno forma tendenzialmente lenticolare e un peso, per glomerulo, tra gli 8 e i 13
mg. Sempre per migliorare la semina di precisione questi glomeruli monogerme genetici
sono confettati con particolari sostanze in modo da renderli sferici.
Da F. e U. Bonciarelli.

Glomeruli monogerme Glomeruli monogerme confettati


Per facilitare un buon contatto “glomerulo-suolo” e perchè il seme possa assorbire bene
acqua per germinare, è utile, eccetto in suoli limosi e limo-argillosi con cattiva struttura
per evitare la crosta del suolo, una leggera rullatura di pre-semina e di post-semina.
La semina, nelle barbabietole da foraggio, ha l’obiettivo di arrivare a 5-6 piante a m2 con
file distanti tra loro da 50 a 70 cm. Nella semina occorre considerare che la %
d’emergenza è dell’ordine del 70% per cui l’investimento sul quale si dovrà determinare
la distanza sulla fila dovrà essere circa 7-8 piante a m2. La profondità di semina ottimale è
di circa 3 cm.
L’epoca di semina in Italia settentrionale e centrale cade circa tra la prima settimana di
marzo e metà-fine di febbraio. Nel meridione d’Italia, esente da basse temperature
invernali, la semina può essere fatta anche in autunno verso circa la seconda decade di
ottobre.
Varietà.
La barbabietola è una pianta allogama e le forme coltivate o sono ibridi F1 o sono delle
varietà sintetiche ottenute dall’incrocio di linee eterozigoti. Nella costituzione delle varietà
si è puntato, oltre alla produttività, alla resistenza all’avversità biotiche, resistenza alla
prefioritura e monogermia. Di seguito alcune varietà di barbabietola da foraggio: Bianca,
Gialla Cilindrica, Polyfourra, Polysais Bianca, Polysais Gialla, Polysais Rossa, Rossa
Mammouth, Rota, Semizuccherina.
314
Diserbo.
Anche per la subsp. crassa il diserbo, se necessario, si effettua con p.a. da distribuire in
base alle necessità in pre-semina o in pre-emergenza o in post-emergenza. La tecnica della
sarchiatura è indispensabile se viene scelto di effettuare il diserbo in post-emergenza
localizzato lungo la fila poiché questa pratica lascia scoperta 25-30 cm d’interfila.
Irrigazione.
Ammettendo una produzione di 18 t ha-1 di s.s. di radici di barbabietola e considerando un
consumo idrico medio di 400 l kg-1 di s.s. deriva un fabbisogno totale di circa 720 mm .
Il periodo del massimo bisogno irriguo, corrispondente a quello dei massimi valori
evapotraspirativi, coincide al maggior sviluppo fogliare ovvero quando le piante chiudono
le file. Questo periodo va da giugno ai primi di agosto al centro e al nord Italia e da
maggio a luglio nel sud Italia.
Nonostante che la barbabietola sia seminata presto, il che le consente di svolgere buona
parte del suo ciclo prima degli elevati consumi evapotraspirativi, l’irrigazione è basilare
nelle regioni dell’Italia centrale e meridionale per avere produzioni economicamente
valide.
Trattamenti antiparassitari.
Contemporaneamente alla semina si effettua la geodisinfestazione localizzata con una dose
di circa 8-10 kg ha-1 di prodotto commerciale a base, ad esempio, del p.a. Chlorpyrifos.
Raccolta.
La raccolta per la subsp. crassa cade verso settembre-ottobre dipendendo dal ciclo
vegetativo ibridi e dalle caratteristiche pedoclimatiche dell’area di coltivazione.
La produzione della varietà crassa in condizioni buone pedologiche e con irrigazione
raggiunge circa gli 80-1.00 t ha-1 con circa il 10% di s.s. e circa il 9% di proteine sulla s.s.
Considerando che 1 kg di s.s. equivale a circa 0,93 UF, un ettaro di barbabietola da
foraggio fornisce da circa 7.440 a 1.000 UF.
Topinambur - Famiglia Composite o Asterace - Helianthus thuberosus
Origine geografica.
Il Topinambur, originario della fascia meridionale degli Stati Uniti d’America, appartiene
alla famiglia delle Composite o Asteracee ed è stato introdotto in Europa agli inizi del
XVII.
Attualmente la specie si trova coltivata otre che nella parte meridionale degli USA su
limitate superfici in Francia, in Germania ed in alcuni Paesi dell’Est Europeo,
principalmente per la produzione di tuberi da destinare all’alimentazione animale e
umana. In Italia è poco diffuso e la coltivazione relegata nelle Regioni settentrionali e
centrali nonostante la rusticità della pianta e la disponibilità di materiale migliorato.
L’Helianthus thuberosus è conosciuto anche sotto il nome di patata del Canada, tartufo di
canna, pera di terra, fior di sole, tartufola bastarda, carciofo del Canadà, girasole
tuberoso, patata selvatica, elianto, ecc. Alcuni di questi nomi derivano dalla
commestibilità umana dei rizotuberi di questa composita.
Apparato radicale.
L’apparato radicale del topinambur è di tipo fascicolato.

315
Steli.
Il topinambur ha due tipi di fusti: ipogei e epigei.
I fusti ipogei sono rizotuberi disposti attorno alla pianta, a varia profondità nel suolo,
portanti, in particolare, nella loro parte più distale, delle gemme od occhi.
Solitamente i rizotuberi hanno un diametro variabile da circa 4 a 7 cm, un peso medio
variabile da circa 150 a 250 g e una colorazione superficiale, dovuta a pigmenti
antocianici, dal rosso-violetto al rosa chiaro.
Internamente i tessuti dei rizotuberi sono di color bianco-giallo chiaro. Il peso di questi
organi, così come la loro forma varia non solo tra le varie cultivar ma anche, entro certi
limiti, nell’ambito della stessa pianta.
I fusti epigei sono costituiti da culmi assurgenti, fistolosi, tomentosi, alti fino a circa 2-3 m.
Questi mostrano diverse ramificazioni, specie in corrispondenza del tratto basale e un
diametro che in prossimità della sua base può essere di qualche centimetro.
Foglie.
Le foglie del topinambur sono tomentose e presentano il fenomeno dell’eterofillia ossia
hanno forme diverse in base alla loro posizione verticale.
Fiore.
I fiori del topinambur sono riuniti in un’infiorescenza a capolino detta calatide costituita
da un ricettacolo piatto discoidale circondato da una serie di brattee gialle. La calatide ha
un diametro che varia, in relazione alla cv. e alle condizioni agro-pedoclimatiche, tra circa
3 e 5 cm. In Italia da fine estate ad inizio autunno si ha la fioritura. L’impollinazione in
questa pianta è entomofila e la fecondazione è incrociata.
Frutto
Il frutto del topinambur è un achenio nel cui interno si trova il seme. L’achenio, dai
pratici detto seme, è lungo circa 5 mm e largo circa 3 mm. 1.000 acheni pesano circa 10
grammi ossia 1 achenio pesa circa 10 mg. Difficilmente, alle latitudini italiane, alla
fecondazione segue la formazione di embrioni vitali. In relazione a ciò l’importanza del
rizotubero nella propagazione della specie.
Ciclo biologico.
In primavera, circa un mese dopo lo sviluppo del nuovo apparato radicale e lo sviluppo
dei fusti aerei dalle gemme del rizotubero , inizia la formazione dei nuovi rizomi che col
passar del tempo verranno interessati dal processo di tuberizzazione.
La maturità biologica del rizotubero viene raggiunta a fine fioritura e coincide col
progressivo disseccamento dell’apparato aereo.
In questa fase il rizotubero presenta il massimo contenuto in sostanza secca ed entra in
fase di latenza che, correlata con l’aumento nei suoi tessuti di acido abscissico e alla
diminuzione dell’enzima inulasi, viene ad essere successivamente interrotta dal passaggio
dell’inverno.
Infatti, appena le condizioni climatiche ambientali risulteranno favorevoli, dal rizotubero
si origineranno nuove radici, nuovi fusti aerei e sotterranei ecc., perpetuando così l’elianto
che, botanicamente parlando, è una pianta perennante.
Utilizzazione.
Il topinambur è importante sia nel settore alimentare che in quello industriale.

316
Il primo caso si riferisce all’utilizzo dell’Helianthus thuberosus nell’alimentazione degli
animali selvatici e domestici tramite la somministrazione dei rizotuberi e/o degli steli con
foglie, sia freschi o insilati.
Il secondo caso si riferisce alla possibilità di estrazione dai rizotuberi di zuccheri e, dopo
loro fermentazione, di etanolo.
A tal riguardo occorre sottolineare che il rizotubero contiene, come polisaccaride di
riserva, l’inulina e non amido che essendo idrosolubile, sotto l’azione dell’enzima inulasi,
si scinde in molecole di fruttosio. Grazie all’alta percentuale di idrati di carbonio
contenuti nel tubero, fino a circa il 15-17%, si ottengono sciroppi zuccherini contenenti
circa il 80% di fruttosio e il 20% di glucosio.
Esigenze ambientali.
L’elianto è una pianta molto rustica che si adatta a svariate condizioni climatiche e
pedologiche.
Clima.
In particolare per le caratteristiche climatiche si evidenzia la resistenza del rizotubero
alle basse temperature. Infatti questo può sopportare, in fase di latenza, senza danno -
12°C e secondo alcuni Autori, anche i - 30°C.
Suolo.
Le caratteristiche del suolo più adatte al topinambur dipendano non tanto da sue
particolari esigenze intrinseche quanto dall’utilizzazione agraria di questa composita
come di seguito brevemente evidenziato.
Coltivazione del topinambur per produzione di tuberi.
Per questo indirizzo produttivo è bene riservare alla coltura suoli non compatti per
favorire l’ingrossamento dei fusti sotterranei e per facilitare la loro raccolta che, attuata
dopo sfalcio e asportazione dal campo dello strame, cade, di norma, verso fine ottobre-
metà novembre.
Coltivazione del topinambur per produzione foraggera.
Nell’impianto dell’elianto per la formazione di un prato sa ha la possibilità di utilizzare
anche suoli argillosi poiché il tubero non ha un’ importanza economico-alimentare diretta.
Coltivazione del topinambur per produzione mista di tuberi e foraggio.
Per questo indirizzo produttivo misto è corretto riservare alla coltura suoli di medio
impasto e freschi per favorire l’ingrossamento dei rizotuberi e la crescita dell’apparato
aereo.
Avversità abiotiche e biotiche.
Il topinambur sotto l’aspetto della resistenza alle avversità abiotiche e biotiche è una
pianta particolarmente resistente. In particolare di avversità biotiche, oltre a patogeni non
specifici quali Agrobacterium tumefaciens, Puccinia heliantii, ecc.. , non se ne rilevano di
particolarmente dannose.
Miglioramento genetico
Il lavoro fatto da fitomiglioratori ha messo a disposizione diverse cultivar di cui si citano
solo alcune: Blanc, Columbia, Dwarf Sunray, Giano 223, Halbschaft, Precoce, Progres,
Blanc Sutton, Violet Commun, Violet de Rennes, Industrie, Rote Zonenkugel, Sunchoke,
Tait, ecc.

317
Interessante è la possibilità di ricorrere anche alla coltivazione di ibridi Helianthus
tuberosus x Heliantus annus che presentano elevate capacità produttive, sia di tuberi che
di foraggio, elevato tenore in inulina e tuberizzazione compatta.
Tecnica colturale.
Posto nell’avvicendamento.
Solitamente all’elianto vengono destinati appezzamenti fuori rotazione per il pericolo che,
dopo la raccolta della coltura, una certa percentuale di rizotuberi rimanga nel suolo,
assumendo, per la coltura successiva, la veste di vera e propria pianta infestante.
Indipendentemente da ciò il topinambur è da considerarsi una coltura da rinnovo a tutti
gli effetti e per tale ragione apre l’avvicendamento colturale o rotazione.
Attualmente il problema pericolosità dell’inserimento negli avvicendamenti è
ridimensionato per la disponibilità sul mercato di principi attivi diserbanti come il 2,4 D,
Glyphosate, Picloram, ecc.. , che riescono a contrastare lo sviluppo della pianta.
Una lotta indiretta contro la permanenza del topinambur negli appezzamenti in
avvicendamento è fatta con la presenza in questi di colture pratensi che, grazie ai ripetuti
sfalci, contrastano la formazione dei rizotuberi.
Lavorazione e preparazione del suolo.
Le lavorazioni del suolo che si dovranno fare per questa composita saranno quelle
richieste dalle colture da rinnovo ossia: arature tempestive medio-profonde, preparazione
del letto di semina, ecc.
Concimazione.
Indicare la quantità totale di N, P2O5 e K2O da somministrare su ettaro di elianto, anche
riferendosi alla coltivazione del topinambur per la produzione di soli rizotuberi, la più
diffusa in Italia, non è facile poiché che gli studi in merito sono pochi.
Nonostante ciò le fonti bibliografiche italiane evidenziano che la concimazione della
coltura di topinambur per rizotuberi si basa sul rapporto di concimazione 2,14 (N) - 1
(P2O5)-2,8 (K2O). In relazione a questo rapporto,per un impianto di 30.000 rizotuberi ha-1,
viene indicato un totale di circa 170 kg di N, 80 kg di P2O5, e 220 kg di K2O.
Semina.
L’epoca di semina o più correttamente di piantamento del topinambur cade normalmente
in primavera nel mese di marzo. La modalità di piantamento dipende dalla utilizzazione
per cui la composita viene coltivata come di seguito brevemente esposto.
Coltivazione del topinambur per produzione di tuberi.
Da densità di “semina” più adatta è di circa 3-5 piante a m2 con distanza tra le file di
circa 50-60 cm. Normalmente la messa a dimora del rizotubero viene fatta ad una
profondità di circa 8-10 cm. Per “seminare” un ettaro occorrono da 1,2 a 2 t di tuberi-
seme presupponendo un loro peso unitario di 40 g .
Coltivazione per produzione di foraggio.
In questo caso il topinambur viene utilizzato come una qualsiasi foraggera cioè falciando
la sua parte aerea. Il foraggio può essere somministrato agli animali sia fresco che insilato.
Per la densità di “semina” si rileva come, l’investimento più adatto è circa 20 piante a m2
con distanza tra le file di circa 25 cm e di circa 20 cm sulla fila.
La maggiore densità di investimento rispetto alla coltura fatta per produzione di
rizotuberi, porta ad una filatura degli steli con il risultato di un loro minor diametro e una
minore consistenza dei tessuti a vantaggio dell’appetibilità e digeribilità del foraggio.

318
Il primo taglio del prato si effettua quando l’elianto presenta un’altezza di circa 70 cm e
viene ripetuto ogni volta che si raggiunge questa altezza. Il numero dei tagli in un anno è,
solitamente, 3.
Coltivazione mista.
In questo caso il topinambur viene considerato contemporaneamente come fonte di
rizotuberi e di foraggio verde. La densità di “semina” è simile se non uguale a quella per
la produzione di soli rizotuberi a cui si rimanda.
Cure colturali.
Eventuali cure colturali del topinambur per produzione di rizotuberi sono precoci
sarchiature abbinate ad eventuali concimazioni in copertura.
Diserbo.
La pratica del diserbo nel topinambur non è usata per la sua naturale aggressività verso le
piante infestanti.
Irrigazione.
L’irrigazione è raramente usata nella coltura dell’elianto per la sua notevole resistenza
alla siccità. L’irrigazione se ritenuta economicamente conveniente è di soccorso e fatta nel
momento della formazione e/o ingrossamento dei rizotuberi.
Tecnica colturale.
È da sottolineare che la rusticità agronomica del topinambur non deve essere interpretata
in modo tale da pesare che la coltura trovi il suo optimum di sviluppo e di produzione solo
in ambienti difficili o che il topinambur cresca bene anche senza cure colturali.
Produzioni elevate si avranno solo quando la pianta è coltivata in ambienti pedo-
climaticamente non limitanti e dove verranno attuate razionali pratiche agronomiche.
Produzioni
Topinambur per rizotuberi
In Italia, in coltura non irrigua, si considera una discreta produzione di rizotuberi
quando è circa 60 t ha-1.
Dalla Tab. allegata si deduce che 600 q ha-1 di rizotuberi forniscono circa 12.2600 U.F. ha-1
e circa 890 kg ha-1 di proteina grezza,
Composizione e caratteristiche nutritive del topinambur: rizotuberi, fusti e foglie
Alimento Sostanza Composizione % della sostanza secca Caratteristiche
secca in % nutritive per kg
di s.s.
P.G. G. F.G. E.I. C. Ca F U.F. P.D. %
Rizotuberi 20,4 7,3 1,0 3,4 82,9 5,4 0,29 0,24 1,03 5,0
Fusti e 28,1 7,1 1,0 18,5 65,8 - - 0,78 4,0
foglie
P.G. = proteine grezze; G. = grassi; F.G. = fibra grezza; E.I. = estrattivi inazotati; C. =
ceneri; Ca = Calcio; F = fosforo; U.F.= unità foraggere; P.D. = proteina digeribile
Come accennato la raccolta dei tuberi comporta l’eliminazione dal campo della parte
aerea in fase di disseccamento. Questo strame, che per produzioni di 60 t di rizotuberi ha-1
è circa 15 t ha-1 con circa il 50% di s.s. , può essere utilizzato come fonte energetica o per
la produzione di compost.
Occorre evidenziare che se il topinambur viene coltivato per l’estrazione dell’alcool da
questo processo derivano delle polpe esaurite utilizzabili come mangime per gli animali.

319
La produzione delle polpe esaurite è circa il 30% del prodotto tal quale per cui, valutando
0,21 U.F. per kg di polpa esaurita, da una produzione di 60 t ha-1 di rizotuberi è possibile
ricavare, oltre all’etanolo, circa 3.780 U.F.
Topinambur per foraggio.
Produzioni di 60 t ha-1 di sostanza verde di steli e foglie sono da considerarsi conseguibili
nell’ambito di una coltura ben eseguita.
La durata produttiva del “prato di elianto” è connessa alla sua gestione agronomica.
Una oculata scelta dell’epoca e del numero degli sfalci, abbinata a razionali concimazioni
di copertura, porta ad una utilizzazione pluriennale del prato di topinambur. Prato che
fornisce un valore nutritivo non indifferente. Infatti una produzione di 60 t ha-1 fornisce,
come si può osservare in Tab. prima esposta, circa 13.150 U.F e 1.190 kg di proteina
grezza.
Topinambur per rizotuberi e foraggio
In questo caso il topinambur viene considerato nello stesso tempo sia come fonte di
rizotuberi sia di steli e foglie. Questa coltivazione viene effettuata sostanzialmente con le
stesse pratiche agronomiche richieste per la produzione di soli tuberi con l’avvertenza che
quando le piante raggiungono un’altezza di 1,5 m si attuerà un taglio a 80 cm dal suolo.
In seguito verranno effettuati altri sfalci, al massimo due, avendo cura di non “spogliare”
troppo la pianta per non danneggiare la formazione dei tuberi.
Complessivamente da questa utilizzazione si può avere una produzione di 15-20 t di tuberi
e 30-40 t di foraggio verde ad ettaro. Quanto esposto è uno un vecchio modo di
utilizzazione che nella fase di raccolta del foraggio porta ad escludere l’utilizzazione di
macchine.
Una revisione del sistema, per adattarlo alla raccolta meccanica, è quello di attuare un
unico taglio alla base degli steli in una fase di sviluppo della pianta medio precoce
lasciando poi i ributti svilupparsi normalmente. Alla fine di ottobre-metà di novembre
verrà poi eseguita la raccolta dei tuberi.

Topinambur per produzione di rizotuberi. Rizotuberi di topinambur

Foto E. Raso

320
Foraggere
Si definiscono foraggere tutte quelle piante spontanee o seminate che danno biomassa
direttamente o indirettamente, fresca o conservata, per l’alimentazione degli animali.
Prendendo come riferimento l’Annuario statistico italiano dell’Istat, le foraggere possono
essere classificate nel seguente modo:
Monofiti
Erbai Oligofiti

Polifiti
Monofiti
Prati Oligofiti
Polifiti
Foraggere temporanee
Monofiti
F
o Prati-pascoli Oligofiti
r
a Polifiti
g Monofiti
g
e Pascoli Oligofiti
r Polifiti
e

Prati naturali

Foraggere permanenti Prati-pascoli naturali

Pascoli naturali

Le foraggere temporanee sono piante seminate dall’uomo con durata limitata nel tempo.
Le foraggere permanenti sono piante spontanee con durata teoricamente illimitata nel
tempo.
Alle foraggere temporanee appartengono gli/i:
Erbai: con durata inferiore ad 1 anno, la cui biomassa fresca viene raccolta e
successivamente distribuita agli animali.
Prati: con una durata usualmente compresa da 1 a 5 anni, la cui biomassa viene
raccolta e poi distribuita fresca o conservata agli animali. I prati sono solitamente inseriti
nell’avvicendamento colturale e per tale motivo prendono in nome di prati avvicendati.
Prati-pascoli: con una durata usualmente compresa da 1 a 5 anni, la cui biomassa viene
in parte raccolta e in parte utilizzata direttamente agli animali. I prati-pascoli sono spesso
inseriti nell’avvicendamento colturale e per tale motivo prendono in nome di prati-pascoli
avvicendati .
Pascoli. Sono foraggere durata pluriennale la cui biomassa è direttamente utilizzata
agli animali.
321
Alle foraggere permanenti appartengono i:
Prati naturali. Sono foraggere la cui biomassa viene raccolta e poi distribuita fresca o
conservata agli animali.
Prati-pascoli naturali. Sono foraggere la cui biomassa viene sia raccolta sia
direttamente utilizzata agli animali.
Pascoli naturali. Sono foraggere la cui biomassa è direttamente utilizzata agli animali.
Tutte le foraggere temporanee possono essere o monolite, ossia costituite da 1 sola specie o
oligofite, ovvero costituite da 2 a 5 specie o polifite ossia costituite da un n° di specie
superiore a 6.
Tutte le foraggere permanenti sono polifite.
Gli erbai forniscono agli animali alimenti freschi o conservati e spesso servano per
integrare le risorse foraggere dei prati-pascoli e/o dei pascoli. In Italia nel 2005 gli erbai
avevano una superficie di 930.000 ha, in leggero regresso rispetto al 2001, con una
produzione media di foraggio verde di circa 30 t ha-1.
I prati avvicendati rivestono la maggiore importanza per produttività. In Italia nel 2005 i
prati avevano una superficie di 1.133.000 ha, in leggero regresso rispetto al 2001, con una
produzione media di foraggio verde di circa 28 t ha-1.
I pascoli naturali sono le foraggere più diffuse sulla Terra ma la loro produttività ad ha-1 è
in genere modesta. In Italia nel 2005 i pascoli avevano una superficie di 3.535.000 ha, in
discreto aumento rispetto al 2001, con una produzione media di foraggio verde di circa 2,5
t ha-1.
Importanza delle colture foraggere.
Le foraggere stanno, ormai da molti anni, assumendo in Italia una crescente importanza
per le seguenti ragioni:
۞ aumento della richiesta di proteine animali da parte dell’uomo
۞ maggiori conoscenze scientifiche sulla loro biologia
۞ miglioramento della fertilità del suolo
۞ lotta all’erosione del suolo
۞ miglioramento paesaggistico, ambientale e ricreativo del territorio
۞ diffusione e sostentamento della fauna selvatica
In particolare il miglioramento della fertilità del suolo delle foraggere è dovuto al loro
effetto positivo sulle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche e la difesa
dall’erosione delle foraggere è dovuta alla loro parte epigeica (intercettazione delle gocce
di pioggia con assorbimento della loro energia cinetica, ritardo del tempo di caduta sul
suolo, riduzione dell’erosione laminare e incanalata per il percorso più tortuoso con cui
l’acqua è costretta a circolare tra i cespi delle piante) e ipogeica (trattenimento fisico del
suolo, miglioramento della struttura, porosità, infiltrazione e permeabilità del suolo con
diminuzione del deflusso superficiale)
Graminacee foraggere.
Delle oltre 450 specie della Famiglia delle Graminacee o Poacee presenti in Italia quelle
usate per la costituzione dei prati, prati-pascoli e pascoli temporanei sono in numero
limitato tanto che si possono riferire ai 4 generi Lolium, Dactylis, Festuca e Phleum e alle
7 specie Lolium multiflorum o Lolium italicum o loiessa o loietto italico o panettone, Lolium
perenne o loietto o loietto inglese o loietto perenne, Lolium hybridum o loglio ibrido,
Dactylis glomerata o erba mazzolina o dattile, Festuca arundinacea o festuca arundinacea
o festuca alta, Festuca pratensis o festuca dei prati, Phleum pratense o coda di topo o
fleolo.

322
Le graminacee foraggere sono più diffuse nell’Europa centro-settentrionale che in quella
mediterranea dove sono spesso rimpiazzate dalle leguminose.
Ciò è certamente dovuto a condizioni climatiche, vedi alte temperature e siccità estiva e
pedologiche, vedi suoli difficili per la semina ma anche nella ancora limitata conoscenza
da parte degli agricoltori delle loro esigenze e potenzialità agronomiche.
Le principali differenze delle graminacee foraggere rispetto, ad esempio, alle leguminose
foraggere, la seconda famiglia botanica più importante per la foraggicoltura, sono nella
 diversa conformazione e modo di vegetare degli apparati radicali ed aerei
 diversa composizione chimica del foraggio
 esigenze termofotoperiodiche più complesse
 differenti esigenze nutritive
 diverso ciclo di sviluppo e ritmo di vegetazione
 maggiore diversificazione tra le varie cultivar nei riguardi del ritmo di vegetazione.
Apparato radicale.
L’apparato radicale delle graminacee è di tipo fascicolato e migliora struttura del suolo.
Questo si posiziona, tranne che nella Festuca arundinacea e in minor misura nella Dactylis
glomerata, superficialmente nel suolo portando la pianta ad una scarsa resistenza alla
siccità che diminuisce con il passar del tempo.
Quest’ultimo fatto è dovuto al motivo che l’apparato radicale nelle graminacee foraggere,
eccetto alcune specie, non è perenne ma si rinnova annualmente.
L’apparato radicale che cessato di funzionare in luglio-agosto viene poi sostituito da uno
nuovo nel periodo autunnale.
Le vecchie radici formano in tal modo una specie di feltro che fa da sbarramento alle
nuove radici le quali sono costrette a svilupparsi sempre più in superficie aumentando così
progressivamente la sensibilità alla siccità delle piante.
Ecco perché, contrariamente a quanto si ritiene, le lavorazioni del suolo non dovrebbero
essere troppo superficiali in modo da consentire subito un buon approfondimento delle
radici.
Apparato aereo
L’apparato aereo è formato da un fitto insieme di steli e foglie, allungate e strette, potanti
infiorescenza che si origina per il fenomeno dell’accestimento. Steli e foglie che formano
cotiche erbose particolare adatte al pascolamento. Le infiorescenze sono spighe o panicole
e i frutti sono delle cariossidi quasi sempre vestite.
Composizione chimica del foraggio
Il foraggio delle graminacee presenta una composizione chimica diversa da quello delle
leguminose.
È infatti più ricco di glucidi, di fibra greggia, di potassio e più povero di proteine, caroteni,
calcio e magnesio.
Il peggioramento delle sue caratteristiche chimiche è inoltre più rapido, con il procedere
dell’età della biomassa rispetto a quello della leguminose.
Per tale fatto nelle graminacee la tempestività dell’utilizzazione della biomassa è basilare.
Infatti se il foraggio è utilizzato nel corretto momento fenologico questo è qualitativamente
competitivo con quello delle leguminose.

Esigenze ambientali
In relazione all’esigenze termiche il comportamento delle graminacee foraggere rispetto al
termostadio è più complesso di quello delle leguminose foraggere. Ad esempio:
323
 lo zero di vegetazione ossia la temperatura alla quale l’attività vegetativa si arresta è di
0°C nel Phleum pratense, circa 3-4°C nel Lolium italicum, Festuca arundinacea e Festuca
pratense e circa 6-7°C nel Lolium perenne e nella Dactylis glomerata: ciò spiega il
comportamento nei confronti delle basse temperature delle citate specie.
 La massima temperatura al di sopra della quale l’attività vegetativa si arresta è di
circa 25° C nel Phleum pratense, circa 30° C nel Lolium perenne, circa 35° C nella Dactylis
glomerata e circa 40°C nella Festuca arundinacea: ciò spiega il comportamento nei
confronti delle alte temperature delle citate specie.
Alcune generi o specie di graminacee foraggere, quando allo stadio di giovani piantine,
hanno necessità di passare delle precise ore con basse temperature, detto “fabbisogno in
freddo”, per giungere allo stadio di fioritura. Queste graminacee si dicono non alternative
e se seminate in primavera, rimangono sempre allo stadio vegetativo nel corso dell’anno di
semina. È, ad es. , il caso del Lolium perenne.
Le graminacee che, al contrario, seminate in primavera entrano nella fase riproduttiva
nello stesso anno vengono dette alternative. È, ad es. , il caso del Phleum pratense.
Circa il fotoperiodo, le graminacee foraggere hanno , in genere, bisogno di giorni
decrescenti di luce all’inizio del loro ciclo vitale per giungere alla fioritura prestandosi così
bene, in Italia ad essere seminate in autunno.
Un fattore limitante la crescita delle graminacee foraggere può essere, in particolare in
alcuni generi, la bassa umidità relativa dell’aria. Ciò spiega la loro non “risposta”
all’irrigazione estiva in ambienti secchi.
Altra caratteristica differenziale tra graminacee e leguminose è la diversa esigenza
nutritiva. Ad esempio le graminacee foraggere per il loro accrescimento e sviluppo hanno
necessita di avere a disposizione nel suolo discreti quantitativi di N disponibile al contrario
delle leguminose poiché lo possono auto-ricavare con la fissazione simbiotica radicale.
Questa esigenza di N delle graminacee foraggere può essere soddisfatta oltre che dalla
concimazione, anche dalla consociazione con leguminose foraggere. Leguminose che
mettono a disposizione delle graminacee elevati quantitativi di quest’elemento: anche fino
a circa il 50% di quello fissato dai simbionti.
Oltre a ciò altra caratteristica differenziale tra graminacee e leguminose foraggere è nella
capacità di scambio cationico radicale: bassa delle graminacea, da 21 a 36 meq g-1 di
sostanza secca radicale, alta nelle leguminose. Ciò mette in grado le graminacee foraggere
di assorbire più facilmente gli ioni monovalenti, come il potassio, rispetto ai bivalenti come
il calcio e il magnesio.
Nel complesso le graminacee foraggere al contrario delle leguminose sono considerate
liquidatrici della fertilità chimica del suolo anche se sono considerate più di quest’ultime
miglioratrici della fertilità fisica per l’incremento della condizione strutturale del primo
strato del suolo dovuta ai loro apparati radicali fascicolati.
Il ciclo di sviluppo delle graminacee foraggere
Il ciclo di sviluppo delle graminacee foraggere consiste in una:
 fase vegetativa, che va dalla germinazione alla fine dell’accestimento
 fase riproduttiva, che inizia con la differenziazione degli apici fioriferi prima della
levata e termina con la fioritura e fecondazione dei fiori
 fase di maturazione del seme

324
Ciclo di sviluppo delle graminacea foraggera poliennale Dactylis glomerata

Le graminacee foraggere presentano due importanti aspetti: molto spesso la poli-


annualità della pianta e quindi del ripetersi, anno dopo anno, delle fasi prima elencate; il
loro ciclo vitale che viene fortemente perturbato dall’utilizzazione con lo sfalcio e/o il
pascolamento che periodicamente elimina gran parte degli apparati aerei.
Il ritmo di vegetazione delle graminacee foraggere in Italia mostra la tendenza a
concentrare la produzione di biomassa all’inizio della primavera e alla fine dell’autunno
ed avere una marcata stasi produttiva estiva.
Fasi vegetative e riproduttive
La germinazione nelle graminacee foraggere dipende dalle specie: ad es. è facile nel
Lolium italicum, più difficile nella la Festuca arundinacea. Per facilitare la germinazione è
utile, se non talvolta indispensabile, una leggera rullatura dopo la semina.
L’accestimento è la proprietà più importante delle graminacee foraggere perché da questa
dipende la produzione di biomassa alimentare e di seme.
Alla fine dell’inverno, una graminacea foraggera ha, all’ascella delle foglie, delle gemme
avventizie di differente età: “vecchie” e “giovani”.
Le gemme vecchie daranno luogo ad infiorescenze, quelle giovani, daranno luogo a foglie.
Questi fusti con il proseguo del tempo entrano, in preciso momento fenologico, in
competizione nutrizionale fra di loro, tanto che per azioni di ormoni florigeni quelli
325
portanti anche le infiorescenze o “talli a fiore” inibiscono quelli portanti solo foglie o “
talli erbacei”.
In questa fase la pianta indirizza tutto il suo metabolismo verso la fase riproduttiva
producendo poche foglie e quindi biomassa foraggera.
È possibile contrastare questo cambiamento di metabolismo, in modo da produrre
biomassa più foraggera, in due modi:

 attraverso la concimazione azotata, che favorisce i talli erbacei nella competizione con
quelli a fiore

 attraverso l’asportazione delle iniziali delle infiorescenze quando queste sono chiuse
dalle guaine fogliari ad un’altezza di circa 7-10 cm dal suolo.
Questa asportazione interrompe la produzione di ormoni florigeni stimolando le piante
all’accrescimento erbaceo, poiché gli apici con le iniziali delle infiorescenze, una volta
eliminati, non si riformano più nell’anno del taglio. Ciò può essere fatto o con un
pascolamento precoce o con un pre-taglio. Pre-taglio la cui tempestività è fondamentale
perché se troppo precoce molti apici a fiore non vengono eliminati, se troppo tardivo
inibizione dei talli a fiore su quelli erbacei è già iniziata.
Al termine della fase di accestimento inizia la fase della levata indicata dagli stadi A, B, C,
D, E, F.

In particolare:

 lo stadio A, corrispondente l’inizio della levata, che coincide con la presenza all’interno
della guaina fogliare, a circa 1 centimetro sopra il piano di accestimento, dell’apice
vegetativo che mostra, all’osservazione con lente d’ingrandimento, delle zone
alternativamente chiare ed opache corrispondenti alle iniziali dei futuri nodi e internodi

 stadio B, corrisponde al momento dell’inizio della levata rapida caratterizzato da apici


di fusti, ancora racchiusi nelle guaine fogliari a circa 7-l0 cm dal suolo presentanti gli
abbozzi delle glume

 stadio C, corrispondente all’inizio dell’organizzazione delle spighette con gli abbozzi


dell’androceo e del gineceo

 stadio D, corrisponde al momento della meiosi

 stadio E, corrispondente all’inizio della spigatura ovvero dalla presenza


dell’infiorescenza fuori dalla guaina dell’ultima foglia.

 Stadio F, corrispondente all’inizio della fioritura ossia dell’apertura dei fiori con
fuoriuscita degli stami.

326
Stadio B o stadio 7-10 cm

Dal punto di vista pratico gli stadi che rivestono più importanza per la produttiva della
foraggera graminacea sono: A, B , E.
Lo stadio A è lo stadio ottimale per la concimazione azotata di copertura
Lo stadio B o “stadio levata” o “stadio l0 cm” è lo stadio ottimale per l’utilizzazione della
graminacea foraggera con il pascolamento.
Lo stadio E o “stadio spigatura” è lo stadio ottimale per l’utilizzazione della foraggera con
lo sfalcio.
Oltre lo stadio E non conviene utilizzare le piante, perché si ha un rapido e consistente
riduzione della qualità alimentare.
L’accumulo e l’utilizzazione delle sostanze di riserva.
Il luogo d’accumulo delle sostanze di riserve necessarie per i vari cicli di sviluppo delle
graminacee foraggere nel corso dell’anno è localizzato nelle radici e nelle guaine fogliari.
L’utilizzazione l’accumulo e l’utilizzazione ciclica di queste sostane di riserva oscilla tra
circa 30 e 45 giorni secondo la specie e l’andamento stagionale. Ritmo simile ma più
rapido di quello che hanno le leguminose foraggere.
Utilizzazioni con sfalcio o pascolamento troppo ravvicinate tra loro portano a perdita di
produttività e longevità poiché non consentano un adeguato accumulo di sostanze di
riserva.

327
Nelle graminacee foraggere la precocità delle varie specie viene espressa riferendosi alla
data in cui queste giungono allo stadio B o “stadio levata” o “stadio l0 cm” e allo stadio E
o “stadio spigatura” . Facendo riferimento al stadio B si parla di precocità di levata.
Facendo riferimento allo stadio E si parla di precocità di spigatura.
In relazione a quanto ora esposto è detto:
 intervallo di precocità di una varietà di foraggera graminacea il n° dei giorni
intercorrenti fra la sua data media di levata o stadio B e la sua data media di spigatura o
stadio E. Maggiore è l’intervallo di precocità e più “elastica” per l’utilizzazione è la
varietà coltivata. Infatti, in questo intervallo, compreso fra la utilizzazione con il
pascolamento e con la falciatura, il foraggio è sempre qualitativamente buono

 gamma di precocità il n° di giorni intercorrenti tra la data di spigatura della varietà


più precoce e la data di spigatura della varietà più tardiva appartenente alla stessa specie
Tutte le graminacee foraggere, eccetto la loiessa (Lolium multiflorum o Lolium italicum)
hanno una gamma di precocità ampia che supera ad esempio circa 1 mese nel Lolium
perenne e nella Dactylis glomerata e circa 2-3 settimane nella Festuca arundinacea nella
Festuca pratensis e nel Phleum pratense.
 periodo di precocità il n° di giorni intercorrenti tra la data media di spigatura della
varietà appartenente alla specie più precoce (vedi Festuca arundinacea) e la data media di
spigatura della varietà appartenente alla specie più tardiva (vedi Phleum pratense). Questo
arco di tempo può addirittura superare circa i 2 mesi.
Una tra le caratteristiche più interessanti delle graminacee rispetto alle leguminose è
rappresentata dal fatto che esse presentano delle differenze di precocità molto marcate
non solo fra i generi, le specie ma anche tra le varietà.
Da questa diversità di precocità deriva la possibilità di utilizzare le graminacee per la
creazione nell’ambito di una stessa Azienda di successioni di colture pure con differenti
precocità approntando le catene di foraggiamento. Catene di foraggiamento che, formate
da 4 o 5 “anelli” a utilizzazione settimanale o decadica danno luogo ad una produzione
pressoché continua nel periodo vegetativo di foraggio utilizzabile con il pascolamento e/o
lo sfalcio.
Da questo rapido esame delle caratteristiche principali delle graminacee, si può
concludere che, se è vero che queste presentano alcuni svantaggi come attecchimento non
sempre pronto, scarsa resistenza alla siccità, foraggio talvolta grossolano, utilizzazione
non sempre facile a causa dei rapidi mutamenti nella composizione chimica dell’erba è
altrettanto vero che questi sono superati dagli aspetti positivi, che possono essere così
riassumersi: miglioramento della fertilità fisica del suolo, grande rusticità e resistenza alle
malattie, adattabilità al pascolamento, precocità molto ampia, che permette la loro
utilizzazione come colture pure, nell’ambito di una loro concatenazione nel tempo, grande
reattività alle concimazioni azotate, caratteristiche morfo-fisiologiche ed esigenze nutritive
che le rendono molto adatte a costituire consociazioni equilibrate con le leguminose.
Sempre connesso a quanto fino a questo punto esposto sulle graminacee foraggere gli
elementi più importanti da considerare per la loro gestione produttiva sono:
1) Il momento della prima utilizzazione primaverile con il pascolamento che deve essere
relativamente precoce per favorire l’accestimento
2) Il momento dell’utilizzazione con lo sfalcio che non deve essere troppo tardivo perché
riduce la qualità e l’appetibilità del foraggio.

328
3) Il momento dell’ultima utilizzazione pre-invernale con i pascolamento o lo sfalcio che
non deve essere troppo tardivo per dar modo alle nuove foglie di ricostituire le sostanze di
riserva prima del freddo.
4) la frequenza della utilizzazione che deve lasciare una congruo periodo di riposo, circa
30-45 giorni, tra taglio e taglio o pascolamento e pascolamento, con utilizzazioni più
ravvicinate nel periodo primaverile e più distanziate in quello estivo.
5) l’altezza della utilizzazione che non deve essere meno di circa 5-6 cm dal suolo.
Leguminose foraggere.
Delle oltre 400 specie della Famiglia delle Leguminose o Fabacee presenti in Italia quelle
usate per la costituzione dei prati, prati-pascoli e pascoli temporanei sono in numero
limitato tanto che si possono riferire ai 5 generi Medicago, Trifolium, Lotus, Onobrichys e
Hedysarum alle 7 specie Medicago sativa o erba medica, Trifolium pratense o trifoglio
violetto, Trifolium repens o trifoglio bianco, Trifolium hybridum o trifoglio ibrido, Lotus
corniculatus o ginestrino, Onobrichys sativa o lupinella e Hedysarum coronarium o sulla.
Queste 7 specie sono ancor oggi preferite da molti agricoltori alle graminacee foraggere,
in precedenza considerate, per il loro adattamento alle alte temperature ambientali,
resistenza alla siccità, per l’elevata produttività e per la ottima qualità del foraggio.
Queste foraggere, eccetto la lupinella e il ginestrino, se consumate fresche, senza
particolari precauzioni, però possono provocare nei poligastrici il fenomeno patologico
del meteorismo che può mettere in pericolo la vita di quest’ultimi.
Le leguminose sono piante miglioratrici perché arricchiscono il suolo di azoto e sostanza
organica Nei riguardi poi dell’azoto sono, come in precedenza accennato, autosufficienti
grazie alla simbiosi con i rizobi radicali di cui esistono ceppi specializzati per le varie
specie.
Esigenze ambientali
In relazione all’esigenze termiche le leguminose foraggere sono più esigenti delle
graminacee foraggere.
Questa una delle ragioni per cui, eccetto casi specifici, vengono seminate a fine inverno od
inizio primavera ed hanno una buona produttività anche nel periodo estivo.
La maggiore esigenza in fatto di temperatura delle leguminose rispetto alle graminacee
spiga come mai nella produzione di biomassa delle superfici a foraggere temporanee e
permanenti oligofite o polifite le graminacee sono quelle contribuiscono in maggior misura
nel periodo primaverile e le leguminose in quello estivo.
Nei confronti bianco della luce è da rilevare che le leguminose esigono forti intensità
luminose.
Ad es. per il trifoglio quando consociato, specie con graminacee, il maggiore fattore
limitante la sua produzione è la scarsa intensità di luce causa l’ombreggiamento delle
piante appartenenti agli altre specie.
Circa il fotoperiodo, le leguminose foraggere sono quasi tutte specie a giorno lungo pur
esistendo alcune a giorno corto come, ad es. , le mediche di provenienza mediterranea.
In relazione alle caratteristiche del pH del suolo l’esigenze delle leguminose pratensi sono
più particolari delle graminacee foraggere. Infatti, ad esempio
l’erba medica, la lupinella e la sulla esigono suoli con alcalinità costituzionale ben
dotati di calcio assimilabile.

329
il trifoglio violetto e, in particolare, il trifoglio bianco e il trifoglio ibrido esigono suoli
tendenzialmente acidi o acidi
il ginestrino non ha articolari esigenze adattandosi bene sia all’alcalinità costituzionale
che all’acidità.
Come prima evidenziato una tra maggiori differenze tra leguminose e graminacee è la
loro diversa esigenza nutritiva.
Ad esempio le leguminose foraggere, per il loro ottimale accrescimento e sviluppo, non
hanno bisogno, al contrario delle graminacee, di avere a disposizione nel suolo quantitativi
di N abbastanza consistenti e facilmente disponibili poiché lo possono auto-ricavare
tramite la fissazione simbiotica radicale.
Oltre a ciò altra caratteristica differenziale tra leguminose e graminacee foraggere è che le
prime rispetto alle seconde hanno un’elevata capacità di scambio cationico radicale: da
circa43 a circa 48 meq g-1 di sostanza secca. Questa caratteristica fa si che queste
assorbono facilmente i cationi bivalenti, come il calcio e il magnesio e non tanto quelli
monovalenti come il potassio. Nella concimazione, quindi, si avvantaggiano anche di
apporti di potassio, proprio per la difficoltà di assorbimento di quest’elemento.

Ciclo di sviluppo delle leguminose foraggere


La germinazione del seme delle leguminose foraggere è abbastanza veloce e da luogo allo
sviluppo di una radice principale seguita dall’emergenza delle due foglie cotiledonari,
dalla formazione di una foglia semplice e, successivamente, dalle emissione delle foglie
composte.
La radice principale da luogo o ad un fittone, vedi ad es. erba medica e lupinella o a radici
tendenti al fascicolato, vedi ad es. i trifogli, ma mai come le graminacee.
La pianta di leguminosa foraggera si accresce ramificandosi e si sviluppa passando
attraverso gli stadi di “bottone fiorale”, fioritura e produzione maturazione dei semi.
La produzione di seme può avvenire nello stesso anno di impianto, per cui le leguminose
foraggere, prima citate, sono da considerarsi delle tutte specie alternative.
Durante l’inverno foglie della pianta prossime al suolo assumono, solitamente, l’habitus “a
rosetta”. Al risveglio vegetativo dopo l’inverno, come dopo una utilizzazione foraggera, le
piante allungano gli internodi per poi passare, come ora citato, alle fasi di “bottone
fiorale”, “fioritura” e “produzione e maturazione dei semi”.
All’inizio del primo anno di vita le piante, usufruendo solo della fotosintesi e
dell’assorbimento radicale per l’accrescimento e la formazione degli organi vegetativi, non
accumulano sostanze di riserva nella radici fino alla prima fioritura. Per tale motivo non è
valido utilizzare la foraggera prima di questo stadio. Negli anni successivi al primo il ciclo
vegetativo della foraggera leguminosa è condizionato dalle sostanze di riserva presenti
nelle radici.
Al risveglio vegetativo o dopo l’utilizzazione le leguminose utilizzano le sostanze di riserva
delle radici per riformare la parte epigea poiché i giovani germogli sono ancora incapaci
di una efficiente fotosintesi. Utilizzazione che determina una perdita in peso che può
raggiungere anche gli 0,6-0,7 t di sostanza secca ha-1 con un massimo a circa 3 settimane
dopo l’utilizzazione.

330
Andamento delle riserve nutritive nelle radici della erba medica.

Circa 3 settimane dopo l’utilizzazione

Progressivamente che le foglie dei nuovi getti aumentano di numero e si accrescono


l’attività fotosintetica diventa sempre più elevata tanto che ad un certo momento il
bilancio tra “produzione” e “consumo” dei fotosintetizzati diventa positivo per il primo.
Si assiste allora ad un flusso di questi verso le radici, evidenzia da un nuovo aumento del
peso il s.s. delle radici che, in particolare, fra l’inizio della fioritura e la piena fioritura è
circa l’11 % . L’aumento di s.s. delle radici continua fino alla formazione dei semi o finché
non interviene un'altra utilizzazione.
In particolare andamento di accumulo e consumo delle riserve radicali è importantissimo
perché condiziona la frequenza e l’epoca delle utilizzazioni che, a loro volta, determinano
la produttività complessiva della leguminosa foraggera e la sua durata economica negli
anni.
Così, ad esempio, è stato valutato che, utilizzando la leguminosa foraggera prima della
comparsa dei bottoni fiorali, si perde circa il 25% della sua produzione annuale purché
questa sia qualitativamente migliore. Tagli ancor più frequenti conducono ad un rapido
decadimento nel tempo della foraggera.
Il momento migliore per l’utilizzazione delle colture leguminose foraggere in purezza è, in
genere, quello dell’inizio fioritura. Per l’accumulo delle riserve pre-invernale nelle
leguminose foraggere è da evidenziare che, sopratutto, è la data dell’ultima utilizzazione
dell’anno quella che ha la maggiore importanza.
Il ritmo di vegetazione delle leguminose, contrariamente a quello delle graminacee, è
“primaverile-estivo” con, orientativamente, 3 “ricacci”. Il più importante come contributo
di sostanza secca è quello del periodo primaverile, segue quello estivo, solitamente il 70%
di quello primaverile ed in fine quello autunnale. È da notare, in particolare, che,

331
mediamente, il primo ricaccio dell’anno delle leguminose foraggere è più tardivo rispetto
al primo delle graminacee foraggere.
Le leguminose per pericoli di meteorismo, per il ciclo “accumulo e utilizzazione” delle
riserve radicali piuttosto lento e i danni che subiscono per calpestamento sono più adatte,
in genere, all’utilizzazione tramite il taglio che tramite pascolamento. Fa eccezione il
trifoglio bianco più rapido nella costituzione delle riserve e con un caratteristico sistema di
propagazione vegetativa che si presta bene, con particolari varietà, al pascolamento

Erba medica - Famiglia Leguminose o Fabacee - Medicago sativa


Origine geografica e introduzione in Italia
La Medicago sativa o erba medica, è una specie originaria l’Asia Sud occidentale.
Plinio (Como, 23-24 d.C. - Pompei, 79 d.C.) indica, dai persiani nel 492-490 a.C. In Italia
giunse tra il 200 ed il 150 a.C. Plinio indica che l’erba medica fu introdotta in Grecia dai
persiani dalla regione degli altopiani Nord-occidentali dell’antica Media, poi Persia e
attuale Iran. La sua coltivazione come pianta da foraggio si può far risalire ad oltre 2.000
anni fa.
L’erba medica in Italia e nel 2005 aveva una superficie complessiva 786.000 ha , in leggero
regresso rispetto al 2001 e in forte arretramento rispetto agli ultimi decenni del 1900.
Arretramento dovuto, in particolare, alla crescente importanza dell’insilato di mais con
integrazione proteica con farina di soia o favino della razione alimentare degli animali.
Nonostante ciò l’erba medica continua da molti ad essere chiamata la “regina delle
foraggere” perchè oltre ad essere ancora la più estesamente coltivata ha i seguenti pregi:
1) elevata produzione di foraggio, longevità, capacità di ricaccio e facilità di
conservazione del raccolto
2) possibilità di essere utilizzata dagli animali con varie tecniche e sotto varie forme: nei
punti appositamente approntati per l’alimentazione dall’uomo, direttamente in campo
tramite pascolamento, allo stato fresco, insilato, disidratato sfarinato, disidratato
pellettato, ecc.. .
3) elevato valore nutritivo della biomassa, in particolare quello proteico)
4) discreta resistenza alla siccità ed alle basse temperature
5) azione miglioratrice sulle proprietà fisiche e chimiche del suolo
6) capacità di mobilizzare le riserve di elementi nutritivi dislocati in profondità nel suolo
Area d coltivazione in Italia
L’erba medica è coltivata principalmente in Italia centro-settentrionale
Caratteri botanici
L’erba medica coltivata in Italia appartiene alla specie Medicago sativa ed ha un
patrimonio cromosomico tetraploide (2n=32).
È una pianta che in ambienti adatti vive fino a circa 15 anni ma che seminata come
coltura pura ha una vita “economica” di circa 3-4 anni.
Seme
Il seme è piccolo, circa 3 mm lunghezza x 1,5 mm di larghezza, ha forma reniforme, color
giallo olivastro se giovane e giallo-rossiccio se vecchio. 1.000 semi pesano circa 2 g con un
peso medio per seme di circa 2 mg. Circa l’ 8-10% dei semi sono “duri” ossia vitali ma
non subito germinabili.

332
Seme

Apparato radicale
Dal seme si accresce una radice fittonante che penetra rapidamente nel suolo giungendo,
quando la pianta è adulta a notevole profondità: fino a circa 6 m fino e in condizioni
molto favorevoli, anche fino a circa 12 m. Nella Medicago sativa il fittone è poco
ramificato, ma porta un capillizio di sottili radici secondarie, che tende ad infittirsi con
l’aumentare della profondità.

Radice fittonante

Steli e foglie
La pianta di erba medica è costituita da numerosi steli eretti o sub-eretti alti circa 0,8-1 m,
che si originano dalla “corona” o “cespo” posto a livello del suolo che si forma con il
passare del tempo con il succedersi delle utilizzazioni.
Gli steli sono cavi, più o meno angolosi, glabri, più o meno ramificati e con i nodi basali
molto ravvicinati. Le ramificazioni si dipartono dai nodi immediatamente sovrastanti
quelli basali.
Il rapido ributto dell’apparato aereo dopo ogni taglio è una delle più apprezzate
caratteristiche di questa foraggera.
Le foglie hanno stipole a marine dentato e sono composte trifogliate.
Le foglioline composte sono oblunghe, glabre e denticolate nel terzo superiore del loro
margine. Quella centrale si inserisce tra le altre due con un breve peduncolo:
caratteristica comune al genere Medicago.
Le foglie costituiscono circa il 45% del peso della biomassa aerea e sono le parti più
nutrienti: circa il 20% di sostanze azotate rispetto a circa il 10% degli steli.
Foglia composta
Stelo

333
Fiore
I fiori dell’erba medica sono riuniti, in numero da circa 10 a 20 in piccoli racemi ascellari
di colore azzurro-violaceo
Fiore e infiorescenza

Frutto
Il frutto è un legume a spirale che contiene da 2 a 8 semi che quando maturo deisce
lasciando cadere i semi.

Frutto

Ciclo biologico
Il seme d’erba medica ha una germinazione agronomicamente accettabile a 5-6°C.
Dopo la germinazione, l’emergenza dei cotiledoni, l’emissione della prima foglia singola
cuoriforme e la prima foglia trifogliata la piantina sviluppa rapidamente una radice
fittonante.
Lo stelo inizialmente non è ramificato, ma poco tempo dopo, anche a motivo
dell’accrescimento contrattile dell’ipocotile che tende a trascinare verso il basso il giovane
334
stelo, emette germogli dalle gemme dei nodi posti a livello dei suolo per cui, col passare
del tempo, ogni pianta, alla sua base, formerà un cespo o “corona”, con diametro di
diversi cm quando adulta, da cui si formeranno i nuovi steli: solitamente circa 4-7 per
pianta.
La spiccata capacità di formare nuovi steli o “ricacciare” dopo ogni utilizzazione è una
delle caratteristiche più importanti dell’erba medica.
La ripresa vegetativa dopo l’inverno inizia quando la temperatura media dell’aria giunge
a 8-10°C : ciò che corrisponde al mese di febbraio nell’Italia meridionale e a quello di
marzo in Italia centro-settentrionale.
La fioritura, preceduta dalla fase dei “bottoni fiorali”(protuberanza di tessuto
meristematico in prossimità dell’apice vegetativo), inizia circa verso il 15 maggio.
La stagione di vegetativa dura 6-7 mesi, in cui, se le condizioni idriche sono favorevoli, il
medicaio può produrre 4-5 tagli: 1 ogni 5-6 settimane circa.
Dove l’acqua è un fattore limitante l’erba medica riduce la crescita in estate dando un
numero inferiore di tagli : circa 2 o 3.
Da evidenziare che la germinazione e l’emergenza in buon medicaio determina circa 400
piante a m2.
La massima produzione di biomassa si ha nell’anno successivo a quello di semina, dopo di
che la produzione declina, anno dopo anno per diradamento delle piante di medica che
vengono sostituite da altre piante spontanee.
Si considera conveniente “rompere” il medicaio quando la densità di piante di erba
medica è scesa sotto le 80-100 a m2. Ciò, in genere, si verifica solitamente al 3°-4° anno
dall’impianto.
Epoca di fioritura dell’erba medica rispetto alla
spigatura di alcune graminacee foraggere.

335
Esigenze ambientali
Clima
L’origine geografica dell’erba medica fa sì che i maggiori centri di coltivazione sono le
zone a clima temperato caldo. L’erba medica, grazie al suo apparato radicale profondo, è
una tra le colture foraggere più resistente al caldo e alla siccità.
La Medicago sativa è pianta relativamente resistente al freddo precoce poiché ha la
tendenza a vegetare anche durante l’autunno rimanendo così esposta alle basse
temperature.
Suolo
L’erba medica è coltivata principalmente su suoli neutri o alcalini costituzionali di medio
impasto o argillosi ma con buona struttura. Il suolo per questa leguminosa foraggera,
oltre a quanto accennato, deve essere profondo, fresco, con calcio scambiabile che non
deve mai scendere sotto il 2% e ben drenato. Per quest’ultimo aspetto è da evidenziare che
l’erba medica teme moltissimo l’eccesso di umidità nel suolo e che per la durata del
medicaio è fondamentale una buona sistemazione idraulica-agraria del suolo.
Nei confronti dei pH l’erba medica è molto sensibile all’acidità del suolo: in suoli con pH
< 6,5 la sua coltura è problematica L’erba medica tollera la salinità del suolo o dell’acqua
d’irrigazione solo quando allo stadio adulto.

Avversità abiotiche e biotiche


Un’avversità abiotica temibile è l’allettamento in particolare se colpisce le piante che
rappresenteranno la prima produzione dell’anno ovvero la produzione “maggenga” ossia
quella del mese di Maggio.
Tra le avversità fungine sono importanti: l’avvizzimento batterico (Corynebacterium
insidiosum), il marciume delle radici provocato dal Fusarium roseum, ecc..
Tra le avversità dovute ad entomofagi si ricorda: l’Apion, il punteruolo o Phytonomus
punctatus, ecc.. .Alta grave avversità biotica dei medicai è costituita dalla cuscuta (Cuscuta
sp.), pianta fanerogama parassita che provoca diradamenti a chiazze circolari.
Devastanti effetti della cuscuta nel medicaio

Miglioramento genetico
La coltura plurisecolare dell’erba medica in ambienti caratterizzati da diverse condizioni
ha portato alla formazione di ecotipi, dotati di caratteristiche apprezzabili per
adattamento e produttività. Ovviamente il valore agronomico degli ecotipi è massimo nel
loro ambiente.
336
Per questo motivo non è consigliabile usare ecotipi selezionati in località lontane
dall’ambiente di coltivazione. In relazione a ciò, da anni, sono state costituite cultivar o
varietà che presentano particolari pregi di adattabilità, produttività, resistenza alle
avversità, ecc.. .
Ai seguito alcuni ecotipi e varietà di Medicago sativa.
Ecotipi: Cremonese, Dell'Italia centrale, Della Sardegna, Della Sicilia, Friulana di
Premariacco , Leonicena, Marchigiana, Maremmana, Polesana , Romagnola , Sabina,
Tipica Basso Friuli, Vogherese.
Varietà:Aconcagua, Adorna, Adriana, Adriatica, Agata, Alba, Alfagraze, Aquarius,
Altari, Atene, Ambra, Araucana, Argenta, Auriga, Aurora, Australis, Azzurra, Barlydia ,
Beda, Belen, Blue Moon, Bresaola, Brio, Campagnola, Canè, Carmen, Casalina, Cascine,
Cecilia, Celeste, Celsius Centauro, Central, Classe, Claudia, Colosseo, Costanza, Cuore
Verde, Delfina, Delta, Doblone, Eagle, Echo, El Capitan, Elena, Eletta, Emiliana, Equipe,
Eride, Etrusca, Eugenia, Ezzelina, Fatalina, Felix , Felsy, Ferri ,Frigo , Gamma,
Garisenda, Gea, Genesis, Gigante Romea, Giulia, Hallmark, Hunter River, Hystory, Icon,
Iside, Isola, Itaca, Jupiter, Kinnok, Krima, L-Msa 31, L. 202 ,,La Bella, La Berica, La
Rocca Satana, La Rocca del Palladio, La Torre, Legend, Letizia, Lilly Linfa, Lodi ,
Londra Lucrezia, Maga, Manto, Maraviglia, Medusa, Melissa Supreme, Memar, Memont,
Messe, Minerva, Mirabile, Monarca Spinta,,Monica, Nardian, Nebe, Nemagone, Orion,
Padana, Palladiana, Paola, Petaso, Picena GR, Point, Pomposa, Power 4.2, PR57N02,
PR57N61 , PR57Q53, PR58N57, PR59N49, Precedent, Premariacco, Profit, Prospera,
Prosementi Bologna, PS3008, Rainier, Redgreen, Regina, Riviera Vicentina, Robot ,
Roma, Rushmore, Salado, Selene, Sequel HR, Silverado, Sinesap, Siriver MKII, Soca,
Sovrana, Superba, Susi, Tahoe, Taurus, Topaz, Siriver, Stella, Tosca, Triade, UQL1,
Valleverde, Venere, Venus, Verzy, Vivaldi 501, Warotte, Zenith.

Tecnica colturale
Posto nell’avvicendamento.
L’erba medica è stata sempre considerata una coltura miglioratrice. In passato il medicaio
era coltivato fuori rotazione mentre oggi la norma è di utilizzarlo per 3-4 anni inserendolo
in una razionale rotazione.
Un classico avvicendamento e il seguente quinquennale “rinnovo-frumento con medica -
medica - medica - frumento”. L’unica incompatibilità dell’erba medica, quanto a
successione colturale, è verso se stessa per cui può tornare sul solito appezzamento solo
dopo alcuni anni.
Consociazione temporanea: la bulatura
Una tecnica d’impianto del medicaio, comune in passato, è la quella della “bulatura” con
la quale l’erba medica viene seminata nei cereali a paglia, frumento tenero in particolare,
a fine inverno quando questi sono in fase di accestimento.
La cerealicoltura convenzionale porta ad abbandonare questa pratica sia per difficoltà
dovuta al “diserbo” che per la “fittezza” di semina del cereale.
Lavorazione e preparazione del suolo
È utile un lavoro profondo a circa 35-40 cm che offre alla leguminosa la possibilità di ben
sviluppare il suo apparato radicale.

337
Lavoro profondo che deve essere fatto presto in estate per dare il tempo di realizzare un
perfetto affinamento del suolo per il letto di semina. Perfezione che è importante dato la
piccolezza dei seme.
Per le semine primaverili di medica vanno curate in particolare l’estirpatura/e nel periodo
autunno-invernale e l’ultima erpicatura che deve cadere circa una settimana prima della
semina per avere un letto di semina perfetto.
Concimazione
La concimazione dell’erba medica si basa sul fosforo in quanto l’azoto non è importante
data l’azotofissazione e il potassio è, solitamente, abbondante nei suoli dove viene
coltivata la foraggera.
La dose dei concimi deve tener conto delle necessità del medicaio per l’intera sua durata.
Prevedendo 3 anni di vita economica del medicaio vengono, per condizioni pedo-
climatiche e produttive medie in coltura non irrigua, distribuiti in presemina circa 150-
200 kg ha-1 di P2O5 e se il caso circa 150-200 kg ha-1 di K2O e circa 25 kg di N ha-1 come
starter.
Il concime fosfatico ed eventualmente quello potassico e azotato, devono essere distribuiti
prima dell’ultimo passaggio d’erpice per la preparazione definitiva del letto di semina. Il
concime azotato se non dato a tutto campo può essere distribuito come localizzato alla
semina.
Semina
Modalità
La semina, come accennato, può essere fatta o su suolo nudo in purezza, specialmente per
le semine primaverili o con la tecnica della trasemina “bulandola” su un cereale in fase di
accestimento.
La semina in purezza può farsi a spaglio, interrando poi il seme con una leggera
erpicatura con erpice a denti o strigliatore o con la seminatrice universale a file distanti
14-16 cm. In ogni caso è importante non interrare eccessivamente il seme dato la
piccolezza.
Epoche per la semina in purezza.
L’erba medica può essere seminata:
 all’uscita dell’inverno nei mesi di febbraio o marzo quando la temperatura media del
suolo dei primi cm, in base alle caratteristiche climatiche della località, raggiunge i 5-6°C,
 in estate se presente un impianto irriguo a pioggia
 in autunno, da circa metà settembre a metà ottobre, secondo la località, purché le
piantine possono avere 4-5 foglie vere e un apparato radicale sviluppato almeno 5 cm
prima dell’arrivo dell’inverno per ben resistere al freddo.
La semina di fine inverno è quella più praticata
Profondità di semina
La profondità di semina è circa 1,5-2 cm per avere regolari emergenze .

Quantità di seme
Teoricamente per avere l’investimento ideale di circa 400 piante a m2 dato che 1.000 semi
pesano circa 2 g e 400 semi pesano 0,8 g sarebbero sufficienti circa 8 kg di seme ha-1 se il
letto di semina e la semina fosse stata fatta perfettamente e la germinazione e l’emergenza
delle plantule fosse ideale.

338
Nella pratica ciò è difficile che accada specie in ambienti collinari o di bassa montagna con
in condizioni pedo-climatiche marginali.
In reazione a ciò la quantità di seme che viene distribuito oscilla tra 20-25 fino a 35-40 se
non 50 kg ha-1.
Sul mercato è presente seme microincapsulato.
La microincapsulazione è ottenuta ricoprendo il seme con una pellicola composta da una
miscela di elementi minerali, da batteri azoto-fissatori specifici per ogni varietà e da
additivi.

Cure colturali.
Concimazione in copertura
La concimazione fosfo-potassica in copertura del medicaio non è razionale data la scarsa o
scarsissima mobilità di questi elementi nel suolo e la profondità dell’apparato radicale
dell’erba medica.
Diserbo.
Il diserbo del medicaio può rendersi utile o necessario per ridurre l’eccessiva presenza di
erbe spontanee cattive foraggere che potrebbero esercitare una dannosa concorrenza sulla
erba medica riducendone la presenza e diminuendo il valore nutritivo del foraggio.
Il diserbo è particolarmente utile per le colture destinate alla disidratazione che richiede
foraggio di ottima qualità.
Irrigazione
L’erba medica è soprattutto pianta valorizzatrice di suoli profondi e non irrigui tanto che
nei climi “freschi” il medicaio profitta poco dell’irrigazione.
Produzione
Nell’anno di semina la produzione dell’erba medica non è elevata specie se “bulata”.

339
La piena produttività si raggiunge nell’anno successivo alla semina. Normalmente al 3°
anno di vita del medicaio la produzione comincia a declinare per progressivo diradamento
delle piante.
Nel momento in cui si scende sotto le circa 80-100 piante a m2 il medicaio deve essere
“disfatto o rotto” perché la sua resa è economicamente e, spesso qualitativamente,
compromessa: ciò coincide solitamente con il 3° o del 4° anno di vita.
Tipo utilizzazione
L’erba medica viene utilizzata o come fieno o fresca nel foraggiamento verde o come
insilato.
La fienagione è delicata: specialmente al 1° taglio primaverile quando l’erba è
“grossolana” per presenza di infestanti e la stagione è poco propizia per umidità dell’aria,
bassa intensità del sole, suolo umido, ecc.
La fienagione dà i migliori risultati al 2° e al 3° taglio dell’anno.
N° di utilizzazioni
Nel corso dell’anno il medicaio fornisce più utilizzazioni: da un minimo di 2, nel caso di
clima e suolo non “ottimale”, a 4-5 in condizioni ottimali.
In Italia il calendario, indicativo, di queste tramite lo sfalcio, specie nel 2°-3° anno, è il
seguente, considerando che in momento ottimale è quando il medicaio è in fioritura per
circa il 10%: 1° seconda metà di maggio , 2° primi di luglio, 3° prima metà di agosto, 4°
fine settembre-primi di ottobre. Il primo taglio dell’anno è il più abbondante.
Produzione ad ettaro
L’erba medica in Italia nel 2005 presentava una produzione media generale di circa 33 t
ha-1 di foraggio verde.
L’erba, al momento del taglio, ha dal 75 all’80% d’acqua.
La resa media annua in fieno di erba medica può giungere fino a circa 13 t ha-1. In
condizioni più normali le rese si aggirano tra 8 e 10 t ha-1.
Un fieno di erba medica di ottima qualità ha circa 17- 22% di proteina grezza sulla s.s. è
un valore nutritivo di circa 0,6 U.F. per kg di s.s.
La raccolta del fieno deve essere fatta con cura perchè si possono perdere le foglie che
sono la sua parte più pregiata.

Erba mazzolina o dattile - Famiglia Graminacee o Poacee - Dactylis glomerata


Origine geografica
È una graminacea erbacea di durata poliennale originaria dell’Europa e delle aree
temperate asiatiche e africane. La Dactylis glomerata è comune in Italia allo stato
spontaneo. La Dactylis glomerata coltivata in purezza dura circa 5-8 anni ma, in ambienti
favorevoli, anche fino a 9 anni.
In Italia la Dactylis glomerata è coltivata in purezza o in miscugli oligofiti o polifiti con
leguminose, vedi in particolare con erba medica, trifoglio bianco, lupinella, sulla,
ginestrino, o con altre graminacee foraggere per la costituzione di prati, prati-pascoli e
pascoli. L’area di coltivazione si estende dalla pianura fino in montagna purché non alta.
È coltivata nel centro e nord Italia e meno nel Sud Italia e nelle isole. In Europa
meridionale si trova anche la specie Dactylis hyspanica adatta al pascolamento
340
Apparato radicale
Le radici della Dactylis glomerata sono fascicolate e profonde più delle altre graminacee e
in estate non cessano l’attività come accade per la maggioranza delle altre graminacee
foraggere.
Steli o culmi
La Dactylis glomerata è una pianta alta da circa 0,6 a 1,4 m. I culmi hanno sezione ellittica
e sono appiattiti alla base. Nelle cv. da sfalcio i culmi sono alto fino a circa 1,4 m, nelle cv.
da pascolo sono meno alti: circa 0,6 m. I Fusti hanno con prefogliazione conduplicata.
Le cv. di Dactylis glomerata da sfalcio hanno un portamento eretto.

Prefogliazione conduplicata della Dactylis glomerata con


sezione del culmo ellittica

Base del cespo della Dactylis glomerata

Foglie
La dattile ha una foglia di colore verde glauco o verde bluastro, con apice acuminato,
priva di auricole o orecchiette ma con lunga ligula bianca.
Le cv. di Dactylis glomerata da sfalcio hanno foglie grandi di quelle da pascolo hanno
foglie più fini e sono più resistenti al calpestamento. Vi sono cv. di Dactylis glomerata da
“sfalcio e pascolo” con caratteristiche intermedie.

Foglia e area del collare della Dactylis


glomerata con il particolare della sua ligula

341
Infiorescenza e fiore
L’infiorescenza della dattile è una pannocchia ramificata con spighette riunite in mazzetti
provviste di 2-6 fiori bisessuati.
Impollinazione
È una pianta con fecondazione incrociata e impollinazione anemofila.
La specie presenta genotipi alternativi e non alternativi. La capacità di rispigatura dopo
l’utilizzazione foraggera è bassa.

Infiorescenza a pannocchia
della Dactylis glomerata

Frutto
Il frutto, detto erroneamente “seme”, è una cariosside vestita con piccola resta incurvata
che si distacca facilmente dal rachide dopo la maturazione: 1.000 “semi” pesano cira 1,1 g
, 1 seme circa 1,1 mg.

Cariosside vestita di Dactylis glomerata

342
Ciclo biologico
La Dactylis glomerata ha lo “0” di vegetazione tra circa 5° e 6° C.
La gamma di precocità della Dactylis glomerata è di circa 30 giorni: la cv. Dora ha come
data media di spigatura il 25 aprile la cv. Lucifer ha come data media di spigatura il 25
maggio Le cv. di Dactylis glomerata da sfalcio sono precoci a spigare rispetto alle cv. da
pascolo.

25 aprile

10 maggio

Lucifer
Trifoglio
Erba 25 maggio
bianco
medica

Esigenze ambientali
Clima
È dotata di ottima resistenza al freddo, tranne che allo stadio di plantula, e resistenza alla
siccità che gli permette una certa vegetazione estiva. Nonostante ciò se fa molto caldo e
secco entra in stasi vegetativa. È una foraggera poco sensibile all’ombreggiamento.
Suolo
L’erba mazzolina si adatta bene anche su suolo argilloso purché con buona struttura,
profondo, fresco e senza ristagni idrici.
Per il pH del suolo è una pianta rustica anche se predilige il suolo con pH alcalino-
costituzionale e non tanto quello con pH acido.
Avversità
In particolare si evidenziano le avversità biotiche rappresentate dalla ruggine e l’oidio che
rendono la pianta meno appetita e nutriente. La lotta è di tipo indiretto con scelta di cv.
resistenti.
Miglioramento genetico
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione varie cv. sia per sfalcio, pascolo o per
utilizzazione mista. Di seguito alcune cv.: Bepro, Cesarina, Curie, Dama, Dora, Draga,
Fala, Jana, Kopa, Luplan, Micol, Nera, Otello, Porto, Rex, Robur, Torquato.
Tecnica colturale

343
La Dactylis glomerata dopo la semina si insedia un po’ lentamente non formando cotici
serrati
lavorazione e preparazione del suolo
Lavorazioni del suolo
Usualmente sono rappresentate dall’aratura seguita da un’estirpatura e/o erpicatura.
Concimazione
La una discreta concimazione per la coltura in purezza si basa nel dare:
Alla semina 50-100 kg ha-1 di N e 120-150 kg ha-1 di P2O5 e K2O anche in parte localizzati
meglio se tramite concimi semplici.
In copertura, prima della ripresa vegetativa, ovvero durante il riposo invernale, 50-80 di
P2O5 e K2O kg ha-1 e, sempre durante l’inverno come nel periodo di utilizzazione, 80-150
fino a 200 kg ha-1 totali di N in aree irrigue in modo frazionato con 40-50 kg ha-1 per
intervento.
Semina
La semina viene generalmente fatta o in settembre-ottobre nelle aree con inverni miti o in
marzo-aprile nelle aree con inverni freddi e nelle zone alto-collinari e montane
La semina autunnale o primaverile, deve cadere in un periodo in modo che la pianta
abbia 4-5 foglie vere prima dell’arrivo de freddo o del caldo.
Modalità
La tecnica di semina a file con distanza tra le file di 15-18 cm o a spaglio.
Dopo la semina è utile una rullatura dato che la cariosside e rivestita dagli involucri
glumeali.
Involucri che, determinando una camera d’aria, rendano più difficile assorbimento
dell’acqua da parte del seme, determinando una minore germinazione ed una emergenza
lenta. Involucri glumeali

Camera d’aria
Profondità
La profondità di semina è circa 1,5-2 cm per avere regolari emergenze.
Quantità di seme
La quantità di seme varia tra circa 30-40 kg ha-1 per la semina a righe a circa 45-50 kg ha-
1
per la a spaglio.
Cure colturali
Diserbo
Indicato per semine primaverili dato il lento insediamento della Dactylis glomerata e
l’aggressività delle infestanti dicotiledoni in questa stagione.

344
Una volta insediata la Dactylis glomerata è discretamente aggressiva e controlla bene le
infestanti ione.
Irrigazione
L’irrigazione, utile dove è possibile dopo la distribuzione d’azoto in copertura, si basa
sulla distribuzione di circa 400-500 m3 ha-1 ogni circa 15-20 giorni.
Qualità, utilizzazione e produttività
La Dactylis glomerata ricaccia prontamente abbondanti foglie dopo l’utilizzazione
fornendo un foraggio più ricco in proteine della Festuca Arundinacea e della Lolium
multiflorum e meno ricco in fibra grezza della Festuca Arundinacea. La composizione del
foraggio raccolto per la produzione di scorte alimentari è buono cosi come lo è la sua
appetibilità purché la Dactylis glomerata sia utilizzata tempestivamente poiché il suo
peggioramento qualitativo dopo la spigatura è rapido.
La Dactylis glomerata si utilizza tramite il pascolamento quando la pianta ha una altezza
di 10-15 cm (stadio B) e con lo sfalcio (stadio E).
Se pascolata è corretto far pascolare per 3-4 giorni e poi far seguire un riposo di 20-30
giorni.
La raccolta con lo sfalcio avviene quando il 50% delle pannocchie sono fiorite ciò che
corrisponde, nell’anno di massima produttività, a circa 120 q s.s. ha-1 anno (circa 10.000-
11.000 UF). Per semine primaverili la produzione del I anno è più bassa del 40-60%
rispetto a quella dei successivi anni
La fienagione è relativamente rapida e comporta meno rivoltamenti e perdite meccaniche
rispetto alle altre foraggere graminacee..
Per la produzione di insilato è utile un pre-appassimento fino al 35% s.s. poiché non ha
molti zuccheri fermentescibili: 1 giorno di permanenza in campo.

Trifoglio bianco per pascolo e per prato - Famiglia Leguminose o Fabacee - Trifolium
repens var. silvestris, Trifolium repens var. holladicum, Trifolium repens var. giganteum
Origine geografica
L’origine del trifoglio bianco è controversa per alcuni Autori è l’Eurasia per altri è il
Nord America per altri ancora entrambe le aree. Diffuso allo stato spontaneo Italia lo si
trova comunemente nei pascoli e nei prati permanenti
Il trifoglio bianco è una pianta perennante in virtù della sua propagazione vegetativa.
Il prato di trifoglio bianco ladino ha una durata economica media di circa 3-4 anni con più
tagli all’anno in relazione al clima. Otre i circa 3-4 anni non è più economicamente
conveniente perché si colonizza di graminacee infestanti cattive foraggere
Seme
Il peso dei 1.000 semi varia da circa 0,5 g nel Trifolium repens var. giganteum a circa 0,7 g
nel Trifolium repens var. sylvestris e hollandicum
Apparato radicale
Nel trifoglio bianco si distinguono due apparati radicali: il primario e l’avventizio
L’apparato radicale primario, derivato dal seme, è fittonante e dura al massimo circa 1-2
anni. L’apparato radicale avventizio, che sostituisce quello primario dopo circa 1-2 anni, è

345
rappresentato da radici fascicolate poco profonde che si sviluppano dai nodi dei suoi fusti
striscianti o stoloni.
Steli
Nel trifoglio bianco si distinguono due tipi di fusti o steli: principali, derivati dal seme e
secondari. L’apparato aereo secondario che si cresce a raggera in modo strisciante
attorno a stelo principale, è rappresentato dagli stoloni, pieni al loro interno, detti
“catene”, con gemma apicale sempre attiva. Dagli stoloni, ad ogni loro nodo, prendono
origine radici e foglie . Dalle gemme ascellari delle foglie si sviluppano o infiorescenze o
altri steli striscianti.
Foglie
Le foglie de trifoglio sono composte trifogliate. Le foglioline della foglia composta sono
obovato-ellittiche con margine seghettato presentanti una tipica “marche” chiara a V
rovescio. Le foglioline si inseriscono su un lungo peduncolo che si diparte dallo stelo
strisciante con dei peduncolini molto corti compreso quello delle fogliolina centrale.
Le foglie sono relativamente piccole nelle varietà da pascolo, più grandi in quelle da prato.
La lunghezza dei piccioli delle foglie sono tali che le portano ad un’altezza dal suolo di
circa 5 cm nella var. sylvestris, circa 20-25 cm nella var. holandicum e circa 50 cm nella
varietà giganteum.
Fiore e infiorescenza
La pianta ha fiori papilionacei con impollinazione entomofila e fecondazione incrociata. I
fiori sono riuniti in un’infiorescenza a capolino che si sviluppa dai nodi. La prima
fioritura dell’anno nel trifoglio bianco cade tra circa il 5 e il 15 maggio.
Frutto e semi
Il frutto è un legume lineare appiattito contenente circa 3-4 semi. I semi sono cuoriformi
di color giallo dorato .In particolare nelle varietà da pascolo vi è un’alta percentuale di
semi duri: fino a circa il 30-40 %.
Ciclo biologico
La germinazione del trifoglio bianco si completata in circa 8 giorni con l’emissione in
superficie delle 2 foglie cotiledonari. Dopo la comparsa di una piccola foglia semplice si ha
l’emissione della prima foglia composta trifogliata. Dalla gemma apicale inizia a
svilupparsi il fusto primario o seminale che, corto specie nella prima porzione, presenta
nodi ravvicinati sui cui sono inserite le foglie composte.
Dopo circa 1,5-2 mesi dalle gemme ascellari del fusto primario iniziano a svilupparsi fusti
secondari stoloniferi striscianti detti “catene”che si allungano rapidamente. A questo
punto l’accrescimento del fusto seminale si blocca. I fusti secondari o stoloni hanno
internodi allungati e una gemma apicale vegetativa permanente.
Da ogni loro nodo si sviluppano radici avventizie, che sostituiranno progressivamente la
radice seminale entro il 2 anno di vita della pianta, un foglia e, all’ascella della foglia, una
gemma ascellare. Gemma ascellare che rimarrà o latente o darà origine ad una
infiorescenza a capolino o ad un nuovo stolone.
Dopo circa 1-2 anni contemporaneamente alla morte della radice seminale muore anche il
fusto primario cosicché ciascun stolone assume una propria indipendenza divenendo un
centro di vegetazione da cui si origineranno nuovi stoloni che così prolungando così la vita
della pianta in modo “illimitato” conquistando nuova superficie di suolo.

346
Trifolium repens: infiorescenze, stelo, foglie con marche e legume con semi.

Riassumendo: dopo circa 1-2 anni muore la radice seminale e il fusto primario e ciascuno
stolone diviene centro di diffusione a raggera del trifoglio bianco. Per tale ragione nel
trifoglio bianco si ha foraggio fatto di foglie e fiori con alto valore nutritivo e molto
digeribile. Le sostanze di riserva per la stasi vegetativa invernale e per i ricacci sono
localizzate negli stoloni.
Esigenze ambientali
Clima
Il trifoglio bianco è discretamente resistente al freddo (il trifoglio bianco ladino, che è
meno resistente al freddo della var. sylvestris e holladicum, resiste fino a circa -10°C, ed è
molto esigente in fatto di luce tanto che se consociato con graminacee foraggere aggressive
tende a diradarsi.
Suolo
Il suolo più adatto al trifoglio bianco è quello di medio impasto sciolto, fresco, mediamente
dotato di S.O. con pH da neutro al sub-acido. Le varietà sylvestris e holladicum sono meno
esigenti in fatto di fertilità del suolo e si adattato ai suoli tendenti all’argilloso. Le varietà
giganteum, più esigente in fatto di fertilità del suolo, predilige nettamente suoli medio
impasto-sabbiosi o sabbiosi. Tutte le varietà del trifoglio bianco risultano sensibili al
fenomeno pedopatologico della stanchezza.
Acidità del suolo
In relazione a quest’ultima caratteristica il trifoglio bianco si adatta a pH 5,5-6,0
presentando, per il trifoglio ladino, un pH ottimale tra circa 6,0 e 6,5.
Avversità
Tra le avversità biotiche, mai particolarmente pericolose, si citano, l’oidio (Erisiphe
poligoni), la ruggine (Uromices trifolii), il marciume radicale (Rizoctonia violacea).
La cuscuta è invece una seria avversità biotica la cui lotta, economicamente proponibile, è
di tipo preventivo basata sull’impiego di seme decuscutato, rotazioni, ecc..
Miglioramento genetico
Del trifoglio bianco oltre a degli ecotipi vi sono numerose varietà derivate dal
miglioramento genetico.
Tra le varietà del Trifolium repens var. sylvestris, trifoglio bianco selvatico endemico dei
prati permanenti e dei pascoli naturali, longevo, con foglie e piccioli piccoli (circa 5 cm),

347
con stoloni lunghi, numerosi ma sottili, resistente al calpestamento e al freddo, adatto al
pascolo, si cita la “S-184”.
Tra le varietà del Trifolium repens var. holladicum , meno longevo del Trifolium repens
var. sylvestris), con foglie e piccioli medi lunghi circa 20-25 cm, resistente al calpestamento
e al freddo, con stoloni meno numerosi ma sempre sottili, più precoce a vegetare, più
tardivo ad andare in riposo e più produttivo del silvestre, si citano le varietà Milka,
Milkanova, Huia e Deano.
Tra le varietà del Trifolum repens var. giganteum, o trifoglio ladino con foglie e piccioli
lunghi circa 50 cm, meno resistente al freddo e non al calpestamento, con stoloni meno
numerosi ma più robusti, pronto nel ricaccio, meno precoce degli altri ma nettamente più
produttivo, si citano gli ecotipi: Gigante lodigiano, Espanso, Regal adatti ai suoli
tendenzialmente sabbiosi della pianura lombarda detti “ladini”da cui deriva il nome.
Tecnica colturale
Il trifoglio bianco necessita di una lavorazione comune a media profondità e di un letto di
semina perfetto e livellato dato la piccolezza del seme.
Concimazione
La concimazione d’impianto prato di trifoglio bianco ladino in purezza è simile a quella
del medicaio ossia si basa sulla distribuzione in presemina di circa: 30 kg ha-1 di N, se
ritenuto utile e 120-150 kg ha-1 P2O5 e K2O (K2O in particolare nei suoli ladini). Alla
ripresa vegetativa, meglio se frazionati, 80 kg ha-1 di P2O5 e K2O dato la presenza di
radici superficiali al contrario dell’erba medica.
Semina
Epoche
La semina più usata è quella primaverile fatta in nei mesi di marzo e aprile secondo le
località geografiche. La semina autunnale, nel mese di settembre, è possibile ma solo in
aree con clima mite. La quantità di seme da distribuire in coltura pura varia tra circa 8 e
10 kg ha-1 a circa 1-2 cm di profondità.
Cure colturali
Diserbo
Per il diserbo chimico vedi i principi attivi citati per l’erba medica.
Irrigazione
L’irrigazione per prato di trifoglio bianco ladino, fatta per scorrimento prevede, un
apporto di circa 1.000-1.200 m3 ha-1 nei suoli sciolti e circa 800 m3 ha-1 in quelli di medio
impasto. L’irrigazione per aspersione prevede, secondo i suoli, un apporto di circa 400-
1.000 m3 ha-1 . Solitamente il turno varia da 8 a 15 giorni.
Utilizzazione
Oltre che per il pascolo con le varietà nane è utilizzato, con le varietà giganti per la
fienagione e la foraggiata verde e, con certi accorgimenti per la produzione d’insilato.
Produzione
In coltura pura, nell’anno d’impianto a semina primaverile, con 2-4 sfalci produce circa
2-4 t s.s. ha-1. Sempre in coltura pura, nell’anno di massima produzione, con il primo
taglio fatto senza aspettare la fioritura dei capolini e i successivi fatti all’imbrunire dei
questi, si può raggiungere i 9-11 t s.s. ha-1.
348
Il foraggio fresco è molto digeribile (circa 25% di fibra grezza sulla s.s.), ricco di proteine
grezze (circa 20% sulla s.s.) e sali minerali. Anche il fieno è di ottima digeribilità e qualità
nutrizionali.

Festuca arundinacea o festuca alta - Famiglia Graminacee o Poacee - Festuca arundinacea


Origine
Pianta poliennale e cespitosa di taglia ragguardevole è, probabilmente, originaria delle
aree temperate del continente eurasiatico.
Oggi è diffusa in tutte le aree temperate del mondo.
Viene coltivata in purezza o in miscugli oligofiti e polifiti per la produzione di scorte
foraggere tramite lo sfalcio, per la costituzione di pascoli e uso misto.
È una pianta foraggera miglioratrice delle caratteristiche fisiche del suolo con discreto
potere antierosivo.
Tra le foraggere graminacee da prato è la più produttiva e longeva: coltivata può durare
fino a circa 10 anni.
Caratteristiche botanico-biologiche
Le radici della Festuca arundinacea sono fascicolate e molto profonde tanto che possono
giungere fino 1,5 m. Questa caratteristica conferisce alla pianta una discreta resistenza
alla siccità anche se in estate le radici cessano l’attività facendola entrare in stasi
vegetativa.
Steli
La Festuca arundinacea ha culmi eretti, alti da circa 80 cm fino a circa170 cm con
prefogliazione convoluta. Portamento della pianta
Le cv. da pascolo, con foglie fitte, hanno portamento “prostrato” mentre quelle da sfalcio,
con foglie fini e strette, hanno portamento eretto. Si hanno caratteristiche intermedie.
Prefogliazione convoluta con sezione
trasversale del fusto circolare

Base degli steli o cespo di Festuca


arundinacea
Foglie
Le foglie della Festuca arundinacea sono larghe, a portamento rigido, appuntite, di color
verde brillante, con nervatura mediana marcata. Le guaine non avvolgono completamente
il fusto. La ligula è corta e le orecchiette sono robuste, pelose e denticolate. Ad
accrescimento completato le foglie sono ruvide al tatto per presenza di scaglie silicee.
349
Fiore
L’infiorescenza della Festuca arundinacea è una panicola lunga fino a circa 25-35 cm con
spighette con 3-10 fiori. L’impollinazione è anemofila e la fecondazione è allogama

Fiore di
Festuca
arundinacea Spighetta di
Festuca
arundinacea

Panicola di Festuca
arundinacea

Frutto
I frutti della Festuca arundinacea sono cariossidi vestite appena aristate. Questi sono
erroneamente dette semi. 1.000 cariossidi pesano circa 2,5 g ovvero 1 seme circa 2,5 mg.

350
Cariossidi di Festuca arundinacea
Ciclo biologico
La Festuca arundinacea, presenta uno “0” di vegetazione di circa 3-4°C. Dopo la stasi
invernale è la più precoce graminacea foraggera a vegetare. La festuca arundinacea ha
cv. alternative e non alternative
La gamma di precocità è discretamente alta: circa 21 giorni. La cv. più precoce Manade
spiga circa il 29 marzo le cv. più tardive (Ludion, Lironde, Jebel) spigano circa il 23 aprile
La data media di spigatura è circa il 7 aprile.
Intervallo di precocità gamma di precocità della Festuca arundinacea

Il grado di rispigatura nella Festuca arundinacea è quasi assente.


Epoca di spigatura di alcune varietà di Festuca arundinacea in relazione all’epoca di
fioritura del trifoglio bianco e dell’erba medica.

351
La Festuca arundinacea tra i molti pregi ha due difetti: il lento insediamento, che rende
poco produttivo il primo anno e la scarsa appetibilità del foraggio quando utilizzata oltre
lo stadio di spigatura.
Esigenze ambientali
Clima
La Festuca arundinacea, come citato, è molto rustica verso il freddo, spingendosi fino a
circa 700 metri s.l.m e la siccità.
Suolo
Anche per le caratteristiche pedologiche la Festuca arundinacea non ha particolari
esigenze, in particolare di tessitura, ma vegeta male su suoli superficiali. Circa il pH del
suolo è più resistente all’acidità che all’alcalinità. È una foraggera particolarmente
resistente all’eccesso di umidità nel suolo tanto che sopporta anche momenti di
sommersione.
Festuca arundinacea: resistenza alla sommersione.

Avversità
Tra le avversità biotiche si evidenzia solo quella dovuta alla ruggine che viene combattuta
per via indiretta scegliendo cv. resistenti.
Miglioramento genetico
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione varie cv. sia per sfalcio, pascolo o per
utilizzazione mista. Di seguito alcune cv. : Arpa, Astrid, Barlexas II, Carol, Celone,
Cochise, Coronado Gold, Erika, Finelawn, Firaces, Grande, Hotspur, Jasmine, Labarinth,
Lara, Lucky Selen, Magno, Marksman, Merlin Gold, Miss Ketty, Ninja, Palma, Penna,
Pure Gold, Rembrandt, Rustinera, Safari, Samantha, Scorpiones, Southern Comfort,
Starlett, Strand, Tangaroa, Tanit, Tar Heel, Titan, Venanzio.
Tecnica colturale
La lavorazione comune del suolo per la Festuca arundinacea viene fatta, normalmente,
con l’aratura o con la tecnica della minima lavorazione.
352
Fatta questa segue la preparazione di un ottimo letto di semina dato che la pianta ha una
lenta emergenza, circa 20 giorni, e un lento insediamento. Inizialmente è poco aggressiva
ma successivamente, quando è affermata, è aggressiva.

Concimazione.
Per la coltura in purezza della Festuca arundinacea la concimazione è simile, come dosi e
tecniche di distribuzione, a quella della Dactylis glomerata. Una discreta concimazione è
rappresentata dalla distribuzione in presemina di 50-100 kg ha-1 di N e 120-150 kg ha-1 di
P2O5 e K2O, anche in parte localizzati e in copertura, prima della ripresa vegetativa,
ovvero durante il riposo invernale, di 50-80 di P2O5 e K2O kg ha-1 e durante l’inverno e
nel periodo di utilizzazione 80-150 fino a 200 kg ha-1 di N, in aree irrigue, distribuiti in
modo frazionato con 40-50 kg ha-1 per intervento. La concimazione con abbondanti
quantità di N migliora l’appetibilità del foraggio poiché le foglie hanno meno scaglie
silicee.
Semina
L’epoca di semina della Festuca arundinacea può essere primaverile, nei mesi di marzo o
aprile o autunnale nei mesi di settembre o ottobre in relazione alle località, tenendo conto
che la pianta deve avere 5 foglie vere prima dell’arrivo freddo o della siccità.
In coltura in purezza la semina può essere fatta o con seminatrice universale o a spaglio.
Quella con la seminatrice prevede righe distanti tra i 15 e i 18 cm, profondità di circa 1,5
cm e una quantità di seme pari a circa 30-40 kg ha-1. Se effettuata a spaglio, si effettua con
circa 45 kg di seme ha-1, ed è seguita da una leggera erpicatura e, in relazione alle
caratteristiche pedologiche, da un passaggio di rullo non pesante: ottimo se cultipaker.
Cure colturali
Diserbo
Per semine autunnali uno sfalcio precoce di pulizia è sufficiente per controllare le
infestanti in questo periodo.
Irrigazione
L’irrigazione per la Festuca arundinacea, se possibile e economicamente conveniente, è
simile quella della Dactylis glomerata. È utile sicuramente utile, specie in abbinamento alla
concimazione azotata, ma non in ambienti troppo caldi dato che a 25° il ricaccio
diminuisce e a 35° cessa. La dose media è di 400-500 m3 ha-1 con turni di circa 10-15
giorni.
Utilizzazione.
È la foraggera graminacea più precoce di tutte quelle in questa sede considerate e quindi è
la prima ad essere utilizzata per il pascolo e/o lo sfalcio e/o l’insilamento.
Per le utilizzazioni, al fine di avere scorte foraggere, non bisogna né anticiparle troppo,
per permettere l’accumulo delle sostanze di riserva né ritardarle troppo per la presenza di
scaglie silicee sulle foglie che determinano un peggioramento dell’appetibilità e della
qualità del foraggio. Per l’utilizzazione con il pascolamento la pianta deve avere una
altezza di circa 10-15 cm. La Festuca arundinacea sopporta ritmi di utilizzazione tra
spigatura e spigatura relativamente vicini, tra circa 20 e 28 giorni presentando una buona
elasticità di utilizzazione: specie nelle cv. mediterranee.

353
Festuca arundinacea: sfalcio

Insilamento
La Festuca arundinacea si adatta meglio della Dactylis glomerata all’insilamento per la
presenza di una maggiore quantità di zuccheri fermentescibili nei suoi tessuti.
Produttività
È la graminacea foraggera più produttiva di tutte le altre piante. In coltura pura al
secondo anno, il più produttivo, con lo sfalcio fornisce un totale anche circa 12-14 t s.s. ha-
1
ovvero 10.000-11.000 unità foraggere ha-1 anno. Per il taglio è bene che questo sia fatto
tra lo stadio “botticella-inizio spigatura” per migliorare la qualità del prodotto. Al primo
anno, in semina primaverile, la produzione totale è circa 50-70% della massima prima
citata.

Festuca pratense o festuca dei prati Famiglia Graminacee o Poacee - Festuca pratensis
Origine
È originaria delle zone temperate nord africane e eurasiatiche. Oggi è diffusa in tutte nelle
aree temperate e fresche del Mondo. In Italia e in Europa si trova allo stato spontaneo.
La festuca pratense è una foraggera che in Italia è coltivata nelle aree con clima temperato
e fresco come nelle aree montane, specie in quelle del Nord Italia. La Festuca pratensis è
adatta per la costituzione di prati, prati-pascoli e pascoli di qualità sia in purezza che
consociata con leguminose non troppo aggressive. La Festuca pratensis è meno longeva
della Festuca arundinacea avendo una durata agro-economica di circa 5-8 anni.
Caratteri botanici

Steli
La Festuca pratensis ha steli semi-eretti di altezza più contenuta della Festuca
arundinacea. In questa specie variano da circa 60 a 120 cm. I culmi hanno sezione
circolare.
Foglie
Le foglie della Festuca pratensis hanno color verde brillante, sono più larghe e meno rigide
della Festuca arundinacea per minor numero di scaglie silicee. Le foglie hanno ligula corta
e orecchiette non pelose, non dentellate e abbastanza incrociate

354
Fiore
La Festuca pratensis ha una infiorescenza a pannocchia più corta della Festuca
arundinacea variando da circa 10 a 15 cm. Per le caratteristiche del fiore,
dell’impollinazione e della fecondazione si rimanda alla Festuca arundinacea.
Frutto
Le cariossidi della Festuca pratensis sono vestite e più piccole della Festuca arundinacea:
1.000 pesano circa 1 g ossia 1 mg per cariosside.

Festuca pratensis

Ciclo biologico
Il ciclo biologico è simile a quello della Festuca arundinacea.
Esigenze ambientali
Clima
La Festuca pratensis è molto meno resistente alla siccità e più resistente al freddo rispetto
alla Festuca arundinacea
Suolo
La Festuca pratensis è meno rustica rispetto alle caratteristiche del suolo della Festuca
arundinacea pur resistendo al anch’essa al ristagno idrico.
Avversità abiotiche e biotiche
Pur non avendone di specifiche è meno “rustica” della Festuca arundinacea
Miglioramento genetico
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione varie cv. di Festuca pratensis sia per
sfalcio, pascolo o per utilizzazione mista. Di seguito alcune cv. : Conartica, CY Kada o SK
6, Full, Jabeljska. Della Festuca pratensis esistono c.v. da sfalcio e da pascolo.
Le cv. sfalcio, con data media di spigatura circa verso circa il 10 maggio, hanno le seguenti
caratteristiche: sono più precoci a raggiungere lo stadio di spigatura, hanno una
maggiore altezza, ricaccio più veloce e sono meno longeve rispetto alle cv. da pascolo
Le cv. pascolo hanno le seguenti caratteristiche opposte a quelle prima citate per le cv. da
sfalcio.
355
Festuca pratensis: gamma di precocità

Le cv. per utilizzazione mista hanno caratteristiche intermedie.


La Festuca pratensis ha una gamma di precocità minore rispetto alla Festuca arundinacea
: circa 3 settimane.
Nel complesso le caratteristiche delle cv. di Festuca pratensis fanno inquadrare questa
specie come di più facile e veloce insediamento, meno aggressiva e più appetita dagli
animali rispetto alla Festuca arundinacea.
In particolare contenuta aggressività delle cv. di Festuca pratensis fanno si che sia ben
utilizzata per la creazione di miscugli foraggeri.
Tecnica colturale
Circa il posto nell’avvicendamento della Festuca pratensis, la lavorazione e preparazione
del suolo e la tecnica di concimazione è sostanzialmente simile a quelle della Festuca
arundinacea tenendo conto delle sue peculiari caratteristiche.
Semina
Nella semina, in genere di tipo primaverile, si impiegano circa 35-40 kg ha-1. Anche le
modalità tecniche sono simili alla Festuca arundinacea.
Cure colturali
Anche le modalità tecniche sono simili alla Festuca arundinacea tenendo conto,
ovviamente, delle sue peculiari caratteristiche.
Produttività
La produzione di biomassa , che raggiunge il massimo verso circa il 2°-3° anno di vita
dell’impianto, varia tra circa 8 a 10 t di fieno ha-1 ovvero circa 6-7 t di s.s. ha-1.

Trifoglio violetto - Famiglia Leguminose o Fabacee - Trifolium pratense


Origine
Il Trifolium pratense o trifoglio violetto è originario del bacino del Mediterraneo ed è
spontaneo in Europa. Nel nostro Paese si trova anche in montagna fino a circa 2.000 m
s.l.m. . È particolarmente coltivato in Italia centro settentrionale sia puro che in miscugli
oligofiti e polifiti di breve durata.
356
Caratteri botanici
Il Trifolium pratense ha varietà diploidi e tetraploidi.
Seme
Il seme del Trifolium pratense ha forma ovale, è leggermente appiattito, ha radichetta
embrionale pronunciata è di color giallo-violetto se “fresco” e bruno se “vecchio”. Il peso
dei 1.000 semi è circa 1,7 g nelle cv. diploidi ossia 1,7 mg per seme e circa 2,5 g nelle cv.
tetraploidi ossia 2,5 mg per seme. In questo trifoglio si hanno da circa 8 al 10 % di semi
duri

Apparato radicale
Il Trifolium pratense ha radice principale fittonante profonda con numerose radici
secondarie ricche di tubercoli radicali dovuti al Rhizobium trifolii.
Steli
Gli steli, eretti o sub-eretti, hanno lunghezze oscillanti da circa 0,50 a circa 1 m,
ramificati, pieni o cavi, tendenti al glabro e leggermente angolosi.
I nodi basali degli steli sono molto ravvicinati e da questi si originano le ramificazioni
La pianta adulta di Trifolium pratense ha la zona della corona leggermente infossata nel
suolo anche per l’iniziale accrescimento contrattile dell’ipocotile. Dalla zona della corona
si originano i nuovo ricacci dopo ogni utilizzazione. L’infossamento della corona fa si che
il Trifolium pratense possa discretamente resistere al freddo e all’asportazione della parte
aerea vicina al suolo sia tramite taglio che con il pascolamento. Lo sviluppo degli steli è
legato, come nelle atre leguminose foraggere, alla creazione di sostanze di riserva nella sua
porzione ipogea.

Foglie
Le foglie del Trifolium pratense sono composte trifogliate portate da piccioli brevi, quelle
poste in alto o lunghi, quelle poste in basso. Le foglie hanno alla base dei piccioli 2 grandi
stipole (brattee) appuntite con venature rosso-violette. Le foglioline composte sono
ellittiche, con margine intero, con “marca” a V chiara più o meno evidente. Le 3 foglioline

357
composte si inseriscono, a loro volta, sul picciolo principale tramite picciolini molto corti e
di ugual lunghezza.
Stipole

Fiore e infiorescenza
La pianta ha impollinazione entomofila e fecondazione allogama o incrociata.
I fiori del Trifolium pratense sono papilionacei, da circa 50 a 250 sono riuniti in
un’infiorescenza a capolino di color rosso-violaceo.

Fiore

Frutto
I fiori producono un frutto tipo legume con 1 solo seme.

Ciclo biologico
La dura della vita del trifoglio violetto è di diversi anni ma economicamente parlando, in
coltura pura, dura dai 2 ai 3 anni fornendo più tagli all’anno in relazione al clima.
Esigenze ambientali
Clima

358
Nonostante la sua origine mediterranea è esigente in freschezza ambientale, presenta una
certa resistente al freddo ma non tanto alle alte temperature tanto che se superiori a circa
35-38 °C sono dannose per l’accrescimento e la persistenza della coltura. Rispetto al
trifoglio bianco è meno esigente in fatto di intensità luminosa e ciò lo facilita nelle
consociazione con graminacee foraggere Suolo
Suolo
Il suolo ottimale è di medio impasto oscillante tra pH 6,5 e 7,5. Nonostante ciò si adatta ai
suoli tendenzialmente argillosi come quelli con acidità fino a circa pH 5,5.
Avversità
Simili a quelle del trifoglio bianco.
Miglioramento genetico
Le caratteristiche genotipiche del trifoglio violetto sono diversificate. Dal punto di vista
agronomico si hanno 2 grandi gruppi
a) tipi a più tagli o medium types con rapido sviluppo elevata precocità e scarsa
resistenza al freddo
b) tipi ad un solo taglio o mammouth types a sviluppo piuttosto lento, tardivi e molto
resistenti al freddo
Questa divisione dipende dal fatto che:
 i medium types avendo avuto origine a latitudini più basse hanno esigenze più limitate
in fotoperiodo ciò che li mette in condizioni di fiorire più volte durante la stagione
vegetativa e quindi di fornire più tagli.
 i mammouth types, avendo avuto origine a latitudini più elevate inizino a fiorire
solamente con fotoperiodo lungo raggiungendo lo stadio vegetativo più opportuno per il
taglio 1 volta nell’arco della stagione vegetativa
Nel trifoglio violetto medium types si trovano
sia ecotipi
come ad esempio, Bolognino, Cremonese, Dell’Italia centrale, Piemontese
che varietà
come ad esempio, Beskyd , Cardinal, Cerante, Diademi, Diana, Giusy, Grasslands
Sensation, Isella, Joseph, L. 148/30 Longevo, L. 69 Valente, Milo, Montecalvo, Nelson,
Nike, Perseo, Poljanka, Quattro, Quinequeli, Salino, Spadone Gigante di Santa Marta,
Turbo, Vignola, Viola
Una caratteristica che fa distinguere il trifoglio violetto dalle altre leguminose foraggere è
quella di avere una apprezzabile gamma di precocità ossia un discreto numero di giorni
tra la cv. più precoce e la più tardiva a fiorire.
La gamma di precocità è di circa 20 giorni con data media di fioritura verso il 10 maggio.
Trifoglio violetto: gamma di precocità

359
Tecnica colturale
Le normali tecniche colturali prevedono, per la semina del trifoglio violetto a fine
inverno-inizio primavera, la più impiegata, la lavorazione del suolo con aratura nel
periodo estivo seguita da una estirpatura e da accurate erpicature per preparare un buon
letto.
Leguminosa è sensibile al fenomeno della stanchezza del suolo.
Concimazione.
La concimazione del trifoglio violetto in purezza è usualmente basata nel distribuire a
tutto campo all’impianto 30 kg ha-1 di N (se si ritiene utile) e 100-120 kg ha-1 P2O5 e K2O.
Alla ripresa vegetativa, se ritenuto utile e in modo frazionato, si distribuiscono 50 kg ha-1
di P2O5 e 50 kg ha-1 di K2O. Nell’ambito della concimazione in copertura è corretto far
seguire a questa un passaggio di erpice a denti per interrare il fertilizzante dato che P e K
sono poco mobili.
Semina
La semina del trifoglio violetto eseguita a fine febbraio-inizi di marzo è la più usata.
Normalmente la quantità di seme è di circa 20-25 kg ha-1 (varietà diploidi) o 25-35 kg ha-1
(varietà tetraploidi) distribuito con seminatrice a file distanti 15-18 cm con una profondità
di circa 1 cm. La semina autunnale, non comune, è possibile in settembre ma solo in aree
con clima mite e con possibilità irrigue.
Cure colturali
Diserbo
Per il diserbo chimico vale orientativamente quanto riportato per i trifoglio bianco,
Utilizzazione e produttività
Il trifoglio violetto si utilizza come foraggio verde, come fieno e come insilato.
L’insilato risulta relativamente facile perché il trifoglio violetto ha una discreta quantità
di zuccheri fermentescibili.
La produzione totale media annua di un impianto di trifoglio violetto ammonta da a circa
3,5 a 7 t di s.s. ha-1. Al primo anno produce circa da 2 a 4 t di s.s. ha-1 con 1 o 2 tagli. Nel
secondo anno da circa 5 a 10 t di s.s. ha-1 con 2 o 3 tagli. Nell’anno di massima produzione
(il secondo) il primo taglio cade verso metà maggio, il secondo verso fine giugno e,
eventualmente, il terzo dopo circa 35-40 giorni da secondo.
L’ultimo taglio non deve esser mai fatto troppo tardi in modo che la pianta possa la
possibilità di avere un certo ricaccio dell’apparato aereo per ricostituire le sostanze di
riserva prima dell’inverno.

Loglio perenne o loglio inglese o loietto - Famiglia Graminacee o Poacee - Lolium perenne

Origine
Il Lolium perenne è una pianta originaria del bacino del Mediterraneo e dell’Asia
occidentale. Oggi il loglio perenne è diffuso in tutte le aree temperate fresche e piovose del
Mondo.

360
In Italia lo si trova come pianta spontanea ed è coltivato, specie nel Nord e nel Centro
Italia, dalla pianura alla montagna non alta, fino a 1.500 m s.l.m..
La sua coltivazione è sia in purezza che in miscugli oligofiti e polifiti per la costituzione, in
particolare, di pascoli assieme a leguminose foraggere, es. trifoglio bianco o trifoglio
violetto, o ad altre graminacee foraggere. Nel Sud Italia e nelle Isole è meno diffuso.
Caratteri botanici
Il Lolium perenne è una specie poliennale, cespitosa, con taglia media che in coltura pura
ha una durata da circa 3-4 fino a circa 6 anni se le condizioni pedo climatiche e
agronomiche sono buone. È una specie non alternativa. Le cv. da pascolo sono più longeve
le cv. da sfalcio sono meno longeve.
È una pianta che ha forme geneticamente diploidi e tetraploidi: sia nelle cv. da sfalcio che
da pascolo.
Steli
Il Lolium perenne ha culmi spesso pigmentati di rosso alla base eretti che variano da circa
0,5 a circa 0,8 m di altezza che, nelle aree mediterranee a clima mite, rimangono fogliosi
anche d’inverno. Le c.v. da pascolo sono più basse, longeve e con ricaccio meno veloce.
Le c.v. da sfalcio sono più alte, meno longeve e con ricaccio veloce.

Apparato radicale
Il Lolium perenne ha radici fascicolate non tanto profonde che in estate, con le alte
temperature, come quasi tutte le altre graminacee foraggere, cessano l’attività portandolo
ad essere scarsamente resistente alla siccità

Lolium perenne: radici

361
Foglie
Il Lolium perenne ha foglie relativamente strette, non lunghe, elastiche, di color verde
scuro, lucenti nella pagina inferiore, da ciò il nome di lustrino, con ligula tronca e
orecchiette tendenti all’incrociato ma non lunghe.

Lolium perenne: foglia

Lolium perenne: regione del collare

Fiore e infiorescenza
I fiori bisessuati del Lolium perenne hanno l’impollinazione è anemofila e la fecondazione
incrociata o allogama. I fiori sono riuniti in una infiorescenza a spiga. Le spighette della
spiga hanno da circa 5 a 10 fiori e sono poste in modo alterno su due file ben visibili.

362
Lolium perenne: fiore Lolium perenne: spighetta

Lolium perenne: spiga

Frutto
Il frutto, detto comunemente seme, è una cariosside vestita con piccola resta apicale.
1.000 cariossidi pesano circa 2 g nelle cv. diploidi e circa 3 g nelle c.v. tetraploidi.

Lolium perenne: cariossidi

Ciclo biologico
La nascita del Lolium perenne è pronta, ha un buon accestimento e una discreta rapidità
di ricaccio. Le c.v. da pascolo hanno un ricaccio relativamente lento. Le c.v. da sfalcio
hanno un ricaccio veloce.
363
Il Lolium perenne ha una gamma di precocità molto alta: circa 35-40 giorni. Infatti la
data di spigatura della cv. più precoce cade circa il 20 aprile mentre quella più della cv.
più tardiva circa il 7 di giugno. La data media di spigatura della specie è verso circa il 15
di maggio. Il grado di rispigatura dopo l’utilizzazione con lo sfalcio è basso.
Lolium perenne: esempio schematico dell’ intervallo e gamma di precocità.

Esigenze ambientali
Clima
Il Lolium perenne ha esigenza di climi temperati, fresche e piovosi. Sopporta abbastanza
bene gli eccessi idrici. Il suo “0” di vegetazione è circa di 4-5° C.
Suolo
Il suolo che preferisce è quello di medio impasto argilloso, con pH neutro, ricco di Ca+2,
ma non troppo fertile e ricco di S.O. poiché la pianta tende all’allettamento.
Avversità abiotiche e biotiche
La principale avversità biotica è la ruggine che rende la pianta meno appetita e nutriente.
La lotta è indiretta e viene effettuata tramite scelta di c.v. resistenti.
Miglioramento genetico
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione varie cv. di Lolium perenne: Andreè,
Applaude, Athena, Barblack, Catia, Cerio, Charger, Cinquale, Citation Fore, Esquire,
Excellent, Fairway, Flor, Igor, Ilirka, Jeopardy, Kaiser, Keystone, Lipresso, Lorenz,
Maja, MP88, Naki, Navajo, Nobility, Pamir, Paradise, Pazsit, Pennant II, Pianist, Pier,
Ponderosa, Popeye, Prevert, Ringles, Roadrunner, Sansiro, Solen, Stadion, Sun, Top Gun,
Tove, Valle, Vantage, Vejo, Veronique.
Tecnica colturale
Il Lolium perenne è una coltura foraggera e come tale nell’avvicendamento segue o
precede una coltura sfruttante.
Consociazione
Il Lolium perenne per la sua aggressività contenuta verso le altre specie si presta a
consociazioni con altre specie foraggere. In particolare si unisce bene con il trifoglio
bianco.

364
Lavorazione e preparazione del suolo
Per la lavorazione del suolo e preparazione del letto di semina il Lolium perenne è simile a
quanto in precedenza evidenziato affondando brevemente la Dactylis glomerata.
Concimazione
Per la coltura del Lolium perenne in purezza la concimazione è simile alle altre
graminacee foraggere in precedenza prese brevemente in esaminate.
Alla semina: 50-80 kg ha-1 di N e 120-150 kg ha-1 di P2O5 e K2O meglio se forniti con
concimi semplici. In copertura: prima della ripresa vegetativa, ovvero durante il riposo
invernale, 50-80 di P2O5 e K2O kg ha-1 e, se è il caso, circa 80 fino ad un massimo di circa
150 kg ha-1 di N distribuiti in 2-3 volte.
Semina
Tenendo conto della non alternatività del Lolium perenne i mesi ideali autunnali sono
settembre e ottobre in relazione all’altitudine e alla posizione geografica.
La semina viene fatta o con seminatrice universale, a righe distanti 15-18 cm e a 1 cm di
profondità o a spaglio con distributore centrifugo. La quantità di seme da distribuire
varia da circa 30 a circa 40 kg ha-1.
Cure colturali
Tra le cure colturali si citano l’irrigazione e il diserbo.
In particolare l’irrigazione è particolarmente utile in abbinamento alla concimazione
azotata L’irrigazione non è efficace nei periodi più caldi dell’anno: nel Lolium perenne a
25°C ricaccio diminuisce a 35°C cessa. Le dosi di acqua impiegate sono circa 400-500 m3
ha-1 ogni circa 10-15 giorni.
Produzione
L’utilizzazione foraggera del Lolium perenne è possibile tramite lo sfalcio e il
pascolamento.
Nel Lolium perenne il peggioramento qualitativo del foraggio è lento tanto che può essere
appetibile addirittura in fase di spigatura: e quindi una specie con una buona elasticità
ovvero con un elevato intervallo di precocità.
Nel pascolamento la resistenza al calpestamento è elevata ma è bene utilizzare la pianta
quando presenta una altezza di 15-20 cm. Il periodo di riposo tra due utilizzazioni con lo
sfalcio è di 30-35 giorni.
Il Lolium perenne fin dal 1°anno ha una discreta produttività ma non eccezionale. La
qualità e appetibilità del foraggio comunque molto buona. La produzione media annua
complessiva varia da circa 80 a circa100 q s.s. ha-1.

Sulla - Famiglia Leguminose o Fabacee - Hedysarum coronarium


Origine
L’Hedysarum coronarium è una pianta foraggera leguminosa poliennale originaria del
bacino del Mediterraneo. La sulla è coltivata prevalentemente nell’Italia centrale e
meridionale sia come coltura monofita che in miscugli non molto longevi con possibilità di
sfalcio e di pascolamento.

365
Caratteri botanici
L’Hedysarum coronarium ha diversi biotipi e un polimorfismo diversificato.

Steli
Ha una portamento che in relazione agli angoli che lo stelo forma con il suolo può essere
ortotropo, semiortotropo, semiplagiotropo e plagiotropo.

Sulla: portamento degli steli

Il portamento ortotropo è il più adatto al taglio mentre il portamento plagiotropo è il più


adatto al pascolamento. I tipi a portamento semi-ortotropo presentano solitamente un n°
di steli più elevato.
Gli steli della pianta sono semplici o ramificati, vuoti o fistolosi, provvisti di nervature più
o meno fitte ed evidenti dal verde chiaro al rosso scuro. Questi raggiungono altezze, nei
tipi semiortotropo e semiplagiotropo, da circa 140 a circa 160 cm. In tutti i biotipi, dopo la
fioritura, gli steli tendono a lignificare velocemente.
Apparato radicale
L’apparato radicale è fittonante, sviluppato, con numerose squame lamellari o “palette
bruno-biancastre ricche di Ca.

Sulla: radice

366
Foglie
Le foglie sono composte, altere, imparipennate con 2-12 paia di foglioline otre alla
terminale.
I tipi a portamento semiplagiotropo sono più fogliosi. Le foglioline sono picciolate ovali o
sub-ovali o tondeggianti o lanceolate, pelose lungo i margini e nella pagina inferiore,
carnosette e lunghe da circa 2 a circa 3 cm.

Sulla: foglia composta imparipennata

Fiore e infiorescenza
Fiori sono papilionacei. Questi sono riuniti in infiorescenze a racemo ascellare conico-
globoso di color rosso porpora. La impollinazione è entomofila e fecondazione è di norma
incrociata o eterogama. La pianta è molto nettarifera e ricercata dai pronubi. La data di
fioritura cade, in base all’ambiente climatico e ai genotipi, da metà di maggio ai primi di
giugno.

Sulla: infiorescenze a racemo ascellare conico-globoso

Sulla: fiore papilionaceo

Sulla in fioritura

367
Frutto
Il frutto è un legume detto lomento. Questo è indeiscente, spinescente, mucronato
all’apice, e costituito da 2-5 articoli monospermi subsferici compressi che a maturità si
disarticolano in discoidi verrucoso-spinosi di color marrone. Non tutti i discoidi
contengono il seme. La sua maturazione dei legumi, e quindi anche quella dei semi, è
scalare.

Sulla: lomento costituito articoli monospermi


subsferici o discoidi
Seme
I semi hanno forma sub-reniforne, colore giallo-brunastro lucente e non sono piccoli.
1.000 semi “vestiti” ossia 1.000 articoli monospermi o discoidi, pesano circa 9 g .
1.000 semi “nudi” pesano circa da 4,5 a 4,8 g. I semi duri nella sulla arrivano fino al 40%.

Ciclo biologico
Il ciclo biologico dell’Hedysarum coronarium è simile alle leguminose foraggere trattate in
precedenza da evidenziare che la sulla coltivata ha una durata economica biennale o
triennale.
Esigenze ambientali
Clima
È una pianta climaticamente “rustica” per gli eccessi termici. Nel meridione d’Italia, in
clima miti, riesce anche a vegetare d’inverno. L’Hedysarum coronarium in estate per
carenza idrica del suolo entra in stasi vegetativa che viene poi ripresa alle prime
abbondanti piogge autunnali. La sulla si adatta bene nell’Italia centrale e meridionale
grazie all’entrata in fase di riposo vegetativo periodo estivo per caldo e siccità.
Non altrettanto si adatta bene nel Nord Italia tanto che con temperature di -10°C anche
l’apparato radicale delle pianta muore. Per tale ragione non viene usualmente coltivata
oltre la latitudine di Forlì.
Suolo
La sulla è adatta a utilizzare suoli argillosi anche asfittici. Vuole pH alcalino costituzionale
dato la sua esigenza in Ca+2.
È una tipica pianta pioniera da “bonifica” delle zone calanchive argillose con netta
funzione antierosiva.

368
Avversità abiotiche e biotiche
Otre ai danni per freddo in anni con alta umidità atmosferica si hanno in particolare
attacchi di oidio (Erisiphe martii e Erisiphe polygoni) e ruggine (Uromyces appendiculatus).
La lotta economicamente valida è quella indiretta con la scelta di genotipi resistenti.

Miglioramento genetico
L’Hedysarum coronarium ha varietà ed ecotipi. Tra le varietà si citano: Carmen, Corona,
Grimaldi, Mara e Sparacia. In particolare la cv. Grimaldi per la sua produttività e perché
immune da oidio e la Sparacia per la sua relativa tardività e resistenza al freddo.
La selezione genetica è orientata verso la creazione di cv. adatte al pascolamento o cv.
plagiotropo, resistenti all’oidio e al freddo.
Tecnica colturale
La tecnica di colturale si basa su un’aratura a circa 30 cm, una eventuale estirpatura ed
erpicature per preparare un buon letto di semina.
Concimazione
La concimazione per coltura in purezza usualmente si basa nel fornire a tutto campo in
pre semina circa 100-120 kg ha-1 di P2O5 e K2O e, se giustificato, 30 kg ha-1 di N.
Semina
Il seme dell’Hedysarum coronarium per ben germinare deve avere una temperatura del
suolo di circa 10° C e in circa 10-12 giorni emergono dal suolo le 2 foglie cotiledonari.
La semina della sulla su suolo che non l’ha mai ospitata prima deve essere sempre
accompagnata dall’inoculazione del seme con lo specifico rizobio. L’epoca di semina
nell’Italia centrale e meridionale, con clima mite ed autunno piovoso, cade nel mese di
settembre. Questa può essere fatta sia a macchina, in file distanti tra 18-20 cm ad una
profondità di 2-3 cm, o a spaglio seguita da un passaggio di erpice a denti per
l’interramento del seme.
Un’antica pratica è la semina con seme vestito o nudo sulle stoppie dei cereali in luglio-
agosto a cui subito segue la bruciatura delle stoppie e poi un passaggio con erpice a denti
per interrare il seme.
L’incendio, veloce e di breve durata, riduce la durezza dei semi, favorendo la loro
germinazione, che avviene con l’arrivo delle prime piogge autunnali.
La semina primaverile è proponibile in aree interne dell’Italia centrale con inverni freddi.
L’epoca indicata per la semina primaverile è in marzo o aprile.
In questo caso è bene usare seme nudo e non vestito. Usando quest’epoca si semina
raramente nel primo anno le piante riescono a fiorire prima dell’estate.
Quantità di seme
Per semine in purezza come sulla “vestita”, sia a spaglio che a righe, si usa da 100-120 fino
a circa 240-300 kg ha-1 di discoidi sia perché gli articoli dei lomenti sono vuoti per il 10-30
% sia per la presenza di semi duri.
Per semine in “purezza”come sulla “nuda” si usa circa 35-45 kg ha-1 se a spaglio a circa
20-30 kg ha-1 se a righe in file distanti tra 18-20 cm .
La variazione della quantità di seme dipende anche dal tipo di suolo (maggiore in quello
“argilloso-limoso”) e da come si presenta il letto di semina (maggiore in quello non
perfettamente preparato).
369
Cure colturali
Per le cure colturali si cita come utilità il diserbo e l’irrigazione. Nonostante ciò
solitamente il diserbo per l’Hedysarum coronarium non è molto importante cosi come
l’irrigazione dato il costo dell’operazione non sempre compensato dall’aumento di
prodotto.
Utilizzazione e produttività
L’Hedysarum coronarium può essere utilizzata come prato, per produzione di foraggio
verde, affienato o insilato o come prato-pascolo. In questo ultimo caso prima si effettua
uno sfalcio in maggio e poi un pascolo sui ributti in autunno dopo il riposo estivo.
Nelle semine primaverili al 1° anno la produzione consiste in un modesto sfalcio seguito da
1 o 2 ributti pascolabili.
La produzione massima si ha nel secondo anno del sullaio o sulleto. Per avere un buon
foraggio occorre tagliare il prato quando si presenta in prefioritura o, al massimo, quando
è per il 10% fiorito: aspettando oltre, la qualità e l’appetibilità peggiora.
Quantitativamente la produzione è variabile dato che risente molto dell’andamento
climatico.
Nel primo anno d’impianto si può avere anche circa 20-30 t ha-1 di foraggio verde e nel
secondo anno circa 50-60 q ha-1 di foraggio verde con circa 5.000-6.000 UF ha-1. La
produzione di fieno varia da 50-60 fino 120 q ha-1.

Lupinella, crocetta o sanofieno - Famiglia Leguminose o Fabacee - Onobrychis sativa o


Onobrychis viciifòlia.
Origine
L’Onobrychis sativa è una pianta poliennale originaria delle aree temperate del continente
eurasiatico. In Italia è coltivata, in particolare, nelle propaggini dell’Appennino centro-
settentrionale come prato monofita e prato-pascolo oligofita in particolare con trifoglio
violetto e/o ginestrino e/o erba medica e/o erba mazzolina e/o festuca arundinacea.
Caratteri botanici.
Ai fini foraggeri l’Onobrychis sativa presenta due varietà:
 l’Onobrychis sativa var. comune o lupinella comune. Questa varietà è rustica, longeva
tanto che produttivamente può durare oltre i 6-7 anni. In genere raggiunge la massima
produzione al terzo o al quarto anno. Nell’anno di semina questa varietà di lupinella
presenta un portamento tendenzialmente prostrato e non fornisce valida utilizzazione
foraggera. Negli anni successivi al primo da la possibilità di una sola utilizzazione tramite
taglio con un successivo ricaccio pascolabile. La lupinella comune ha crescita poco rapida
e poco lussureggiante e per il suo portamento prostrato-ascendente è adatta anche al
pascolamento.
 l’ Onobrychis sativa var. bifera o lupinella gigante o lupinellone. Questa varietà, meno
adatta al pascolamento della precedente, fornisce 2 o anche 3 utilizzazione annuali
tramite lo sfalcio con possibilità comunque di utilizzazione dei suoi ributti con il
pascolamento. L’Onobrychis sativa var. bifera è pedologicamente più esigente della var.
comune, più rapida nello sviluppo, tanto che nell’anno di semina fornisce un buon
quantità di biomassa ma e meno longeva della precedente. Per quest’ultima ragione
370
viene mantenuta in coltura per circa 2 o 3 anni, usualmente ritenuti il limite di
convenienza economica. La lupinella gigante ha un accrescimento cresce più velocemente
della comune tanto che nell’anno di semina fornisce un abbondante taglio. Questa varietà
di lupinella è particolarmente idonea alla formazione di prati monofiti.
Apparato radicale
Ha una radice fittonante ben sviluppata

Steli
Gli steli dell’Onobrychis sativa sono prostrato-ascendenti o eretti, variamente ramificati,
tomentosi, più o meno vuoti, di color verde con nervature rossastre, lunghi circa 0,4 - 1 m
che giungono ad altezze di circa 0,4-0,9 m.
Foglie
Le foglie dell’Onobrychis sativa sono composte, alterne, imparipennate con 15-29 foglioline
ovato-oblunghe portate da lunghi piccioli basali. I marini delle foglioline sono interi e le
pagine inferiori sono pubescenti.

Onobrychis sativa:
foglia composta

371
Fiore e infiorescenza
Il fiore della lupinella è di tipo papilionaceo.

I fiori sono riuniti in racemi conici ascellari e/o terminali di color rosa.

La fioritura della lupinella cade verso circa il 5 di maggio


La fecondazione dei fiori è per circa il 75% incrociata entomofila e il 25% autogama.
La lupinella è una pianta molto nettarifera e in media, la fioritura verso circa il 5 di
maggio.

Frutto
Il frutto dell’Onobrychis sativa è un legume monosperma indeiscente, reticolato, sub-
sferico, appiattito lateralmente e irsuto sul dorso e sulle facce, lungo circa 5-8 mm

372
Seme
Il seme è ovoidale, reniforme, bruno chiaro. 1.000 semi “nudi” ovvero senza il legume
pesano circa 13-18 g (circa 13-18 mg per seme), 1.000 “vestiti” ovvero ancora racchiusi
dal legume secco, pesano circa 18-24 g (circa 18-24 mg per seme con legume).

Ciclo biologico
Il ciclo biologico dell’Onobrychis sativa è simile alle leguminose foraggere trattate in
precedenza da evidenziare che l’Onobrychis sativa var. comune o lupinella comune può
durare oltre i 6-7 anni e l’ Onobrychis sativa var. bifera o lupinella gigante o lupinellone
dura circa 2 o 3 anni.
Esigenze ambientai
Clima
L’Onobrychis sativa è pianta indicata per ambienti caldi e siccitosi. Ciò è connesso al fatto
che geneticamente è legata all’ Onobrychis caput-galli presente negli incolti aridi da 0 a
800 metri s.l.m. in tutta la penisola ed in Sicilia.
Pur essendo sensibile al freddo nei primi stadi di sviluppo, una volta affrancata, lo
sopporta tanto che può essere coltivata fino a circa 800 m s.l.m . La resistenza al freddo è
una caratteristica molto apprezzate nelle lupinelle da coltivare in aree “montane”. Anche
questa caratteristica è legata al fatto che L’Onobrychis sativa è geneticamente connessa
all’Onobrychis montana presente nei pascoli aridi montani localizzati tra circa 1.000 e
2.000 metri s.l.m. dell’'Italia settentrionale e centrale.
Suolo
L’Onobrychis sativa rifugge dai suoli acidi prediligendo suoli con pH alcalino
costituzionale e ricchi di Ca+2. Questa foraggera si adatta bene a suoli ricchi di scheletro,
non molto profondi ne particolarmente fertili come ai suoli argillosi ma senza problemi
di ristagni idrici.
Per tali ragioni pedo-climatiche valorizza i suoli delle arre collinari e di bassa montagna di
diverse aree centrali e meridionali italiane .
Avversità abiotiche e biotiche
Le principali avversità dell’Onobrychis sativa sono il freddo, specie nella sua fase giovanile
e l’oidio. Questa pianta non è attaccata, come le altre leguminose foraggere, dalle cuscute.
Miglioramento genetico
Tra le varietà dell’Onobrychis sativa si citano: Bisavola, Lea, Lupin, Palio, Perly , Sepial,
Sofia, Tetim, Vala, Zeus.

373
Tecnica colturale
La lavorazione del suolo e la preparazione del letto di semina dell’Onobrychis sativa è
simile alle precedenti leguminose colture foraggere a cui si rimanda
Posto nell’avvicendamento
L’Onobrychis sativa è un pianta miglioratrice pratense e come tale nell’avvicendamento
colturale precede o segue una coltura sfruttante come, ad esempio, l’erba medica poiché
ha le stesse esigenze pedologiche. Ma ciò non nei suoli migliori perché l’erba medica ha
una produzione totale maggiore.
Un tipico avvicendamento quadriennale è : girasole o mais - frumento con lupinella
traseminata - lupinella - lupinella - frumento. L’Onobrychis sativa è possibile bularla su
cereali a paglia.
Lavorazione e preparazione del suolo
La tecnica di coltivazione si basa su un’aratura a circa 30 cm, una eventuale estirpatura
ed erpicature per preparare un buon letto di semina.
Concimazione
Concimazione per la contusione di un lipinellaio in purezza all’impianto si basa su
usualmente nel fornire a tutto campo in presemina circa 30 kg N ha-1, se considerato utile
e 100-120 kg ha-1 di P2O5 e di K2O (K in suoli carenti di quest’elemento) meglio se con
concimi semplici.
Semina
Epoca semina
Due sono le epoche di semina per L’Onobrychis sativa:
- autunnale nelle aree centro-meridionali e meridionali italiane con influsso climatico
mediterraneo.
- primaverile, entro il mese marzo, in quelle più fredde delle aree dell’Italia centrale e
settentrionale.
Tecnica di semina.
La semina dell’Onobrychis sativa si effettua sia con seminatrici di tipo universale a righe
distanti 20-30 cm tra loro come con la tecnica a spaglio. La profondità di semina è circa
di 2 cm. La lupinella può essere bulata nei cereali a paglia in fase di accestimento.
Quantità seme
La quantità di seme da distribuire per l’Onobrychis sativa sono di circa:
 140-150 kg ha-1 per semina a righe con “seme vestito e circa 170 kg ha-1 per semina a
spaglio con “seme vestito”
 50 kg ha-1 per semina a righe con “seme nudo” e 70 kg ha-1 per semina a spaglio con
“seme nudo”
Cure colturali
Diserbo e irrigazione
Per le cure colturali si cita come utilità il diserbo e l’irrigazione. Nonostante ciò
solitamente il diserbo per l’Onobrychis sativa non è molto importante cosi come
l’irrigazione dato il costo dell’operazione non sempre compensato dall’aumento di
prodotto..

374
Utilizzazione e produttività
L’Onobrychis sativa è foraggera da “sfalcio” o da “sfalcio e pascolo”. Il foraggio può
essere utilizzato fresco o allo stato di fieno o per la produzione di erba-silo o per insilato
dato il bon rapporto “glucidi - proteine”.
L’utilizzazione dell’Onobrychis sativa con lo sfalcio è fatto a fioritura incipiente ossia tra
fine aprile e i primi maggio.
L’utilizzazione dei ributti estivo-autunnali dell’Onobrychis sativa con il pascolamento è
favorito da portamento prostrato della pianta e dalla zona della corona interrata.
Fatto molto importante per l’utilizzazione di questa foraggera leguminosa in purezza con
il pascolamento è che non provoca il pericolosissimo fenomeno del meteorismo.
Produzione in coltura in purezza
Seminata in primavera produce molto poco nell’anno di semina. La produzione di
foraggio verde, al 2-3° anno, può oscillare da circa 20 a 40 t ha-1 ciò che corrisponde a
circa 5-7 t ha-1 di fieno con il 15-13% di proteina grezza.

Loiessa, loietto italico o paiettone - Famiglia Graminacee o Poacee - Lolium multiflorum o


Lolium italicum
Origine
Il Lolium multiflorum o Lolium italicum, originario del bacino del Mediterraneo, è oggi
diffuso in tutte le aree temperate del Mondo. È foraggera graminacea con veloce
accrescimento e forte aggressività. In Italia è coltivato, in particolare, in Italia
settentrionale e centrale non siccitosa.
Caratteri botanici
Come accennato il Lolium multiflorum o Lolium italicum è una specie con rapido
insediamento, aggressiva, con notevole facilità alla auto-disseminazione spontanea,
caratterizzata da cespi eretti che non fanno un classico tappeto erboso. Quest’ultima
caratteristica fa si che se la loiessa è raccolta tardivamente dopo la spigatura, la pianta
diventi, negli avvicendamenti, una vera e propria infestante.
Della loiessa esistono 2 varietà:
 Lolium multiflorum o Lolium italicum var. westerwoldicum a ciclo biologico annuale.
Questo è utilizzato prevalentemente per la formazione di erbai autunno-vernini per la
produzione di foraggio verde o per la produzione d’insilato o per la produzione di fieno.
 Lolium multiflorum o Lolium italicum var. italicum a ciclo biologico biennale o
triennale. Le cv. appartenenti a questa var, a tendono a rispigare facilmente dopo
l’utilizzazione e hanno dormienza autunnale tardiva e ripresa primaverile precoce.
Il Lolium multiflorum ha cv. diploidi e tetraploidi
Radici
Il Lolium multiflorum o Lolium italicum ha radici fascicolate che in estate cessano la loro
attività.

375
Steli
L’altezza degli steli del Lolium multiflorum o Lolium italicum varia, in base alle varietà,
da circa 0,4 m fino a 1 - 1,2 m. I culmi hanno sezione circolare, internodi cavi e sono
talvolta in basso colorati di rossiccio.

Foglie
Il Lolium multiflorum o Lolium italicum ha foglie larghe circa 1 cm, ligula corta e
orecchiette incrociate e sviluppate che circondano il fusto. La prefogliazione è convoluta.

376
Fiore
I fiori sono riuniti in una infiorescenza a spiga

Lolium multiflorum o Lolium italicum: infiorescenza a


spiga.
Fiore

Spighetta

Frutto
Cariosside
La cariosside, detta erroneamente seme, è vestita e aristata. Le cv. diploidi hanno il peso
delle 1.000 cariossidi pari a circa 2 g, 2 mg per cariosside. Le cv. tetraploidi hanno il peso
dei 1.000 semi pari a circa 4 g, 4 mg per cariosside.

Cariossidi

377
Lolium multiflorum o Lolium italicum 1 = cariosside , 2 = zona del collare, 3 = sezione
trasversale del culmo, 4 = culmi e apparato radicale, 5 = infiorescenza a spiga.

Ciclo biologico
Il Lolium multiflorum o Lolium italicum ha uno “0” di vegetazione tra i 2° e 3° C. La sua
spigatura media cade verso il 10 maggio. La gamma di precocità nella var.
westerwoldicum è praticamente inesistente, solo pochi giorni mentre nella var. italicum è
circa 14 giorni
Il Lolium multiflorum o Lolium italicum var. westerwoldicum è alternativo.
Il Lolium multiflorum o Lolium italicum var. italicum può essere sia alternativo sia non
alternativo.
Esigenze ambientali
Clima
La loiessa è molto sensibile alla siccità e al caldo come è pure sensibile alle basse
temperature.
Solo
Il Lolium multiflorum o Lolium italicum predilige suoli ben provvisti di cationi, profondi
ma non troppo argillosi o sabbiosi.
Avversità abiotiche e biotiche
È una pianta molto rustica tanto che non ha avversità particolarmente degne di nota se
non quella abiotica dell’allettamento in conseguenza della distribuzione di un eccessiva
quantità di seme ad ettaro e/o a una eccessiva concimazione azotata.

Miglioramento genetico
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione varie cv. di Lolium multiflorum o
Lolium italicum. Alcune queste sono, ad es. , 110 DE, 111 DE, Adige, Avendo, AM 1,
378
Asterix, Attila, Baresi, Bardelta, Barextra, Barmultra, Bartempo, Barturbo, Bella
Bionda, Bellina, Brixia, Cebios, Cembalo, Ceronte, Certo, Cesco, Classic, Crema, Devis,
Excellent, Extrem, Cowboy, Filo, Florence, Focus, Hellen, Ivan, Jolly, L. 17 Asso, Lambro,
Latino, Lidor, Lilio, Linos, Lirita, Lubina, Lusipin, Maddalena, Marvel, Master,
Medoacus, Menichetti, Millenium, Mitos, Mowester, Nibbio, Obelix, Padano,
Primadonna, Rapido, Romulus, Rouky, Sottile, Sprint, Star, Sultano, Surrey,
Tachimasari, Tauro, Teanna, Tur, Vertibelo, Vespolini.
Lavorazione del suolo
La lavorazione si effettua usualmente tramite aratura o con la tecnica della minima
lavorazione.
Concimazione
Concimazione per coltura in purezza del Lolium multiflorum o Lolium italicum varia in
base al suo utilizzo.
Se per erbaio a semina autunnale è, usualmente, indicatala la distribuzione in presemina
di circa 50 kg ha-1 di N, anche localizzato e di circa 50-100 kg ha-1 di P2O5 e K2O a tutto
campo. A questa concimazione segue la distribuzione, prima e durante la ripresa
vegetativa, in 2 o 3 volte, di un totale di circa 80-100 kg ha-1 di N. Dopo lo sfalcio, per le
cv. a 2 sfalci, è suggerita la distribuzione di circa 50 kg ha-1 di N.
Se per prato a semina autunnale in presemina è, usualmente, indicatala la distribuzione di
circa 50 kg ha-1 di N, anche localizzato e 50-100 kg ha-1 di P2O5 e K2O a tutto campo. A
questa concimazione segue la distribuzione, prima o durante la ripresa vegetativa a fine
riposo invernale, di circa 50 kg ha-1 N in 2 o 3 volte e , se è il caso, di circa 50-80 kg ha-1 di
P2O5 e K2O. Dopo lo sfalcio è suggerito apportare circa 50 kg ha-1 di N.
Semina
La loiessa è prevalentemente seminata in purezza per l’approntamento dell’erbaio ad 1 o,
al massimo, 2 sfalci e/o per il prato di breve durata. La loiessa è anche seminata per la
formazione di prati oligofiti di breve durata con, ad es. , il Trifolium pratense o con il
Lolium hybridum.
Modalità
La distribuzione del seme può essere fatta o con seminatrice universale a righe distanti 15-
18 cm ad una profondità di circa 1-1,5 cm o a spaglio seguita da una leggera erpicatura o
passaggio di erpice strigliatore
Quantità
La dose di seme da distribuire per il Lolium multiflorum o Lolium italicum con seminatrice
universale varia da 25 a 35 kg ha-1 se a spaglio la quantità di seme deve essere aumentata
di circa il 20%.
Epoca
L’epoca di semina può essere o autunnale, a fine settembre-primi ottobre o primaverile, a
fine marzo-primi aprile La semina autunnale è utilizzata sia per l’approntamento
dell’erbaio che per il prato di breve durata. Quella primaverile per il prato di breve
durata.

379
Cure colturali
Tra le cure colturali si citano il diserbo e l’irrigazione.
Il diserbo non è necessario per la loiessa da erbaio. Per la loiessa da prato di breve durata,
anche se solitamente non necessario per l’aggressività della specie, quando
economicamente conveniente occorre farlo nel 1° anno dopo che la coltura ha raggiunto
circa la 5° foglia.
Lolium multiflorum var. westerwoldicum

Lolium multiflorum var. italicum

380
Irrigazione
L’irrigazione in genere non è fatta per l’erbaio autunno-primaverile. Per il prato se
ritenuto economicamente conveniente, si interviene con un’irrigazione di soccorso
apportando una dose di circa 300-400 m3 ha-1 ossia 30-40 mm ha-1.
Utilizzazione
L’utilizzazione della loiessa allo stato fresco è la più comune, seguita dalla fienagione , che
non risulta facile per la grande massa prodotta e dall’insilamento. Rara è l’utilizzazione
con il pascolamento ma niente lo vieta.
Produzione
La loiessa per erbaio produce circa 40-50 t ha-1 di biomassa verde. Per la formazione di un
insilato senza problemi fermentativi occorre che la loiessa raccolta abbia il 35 % di s.s. .
Per raggiungere questo valore un pre-appassimento dopo il taglio di 1 giorno in campo
solitamente è sufficiente.
La loiessa per prato mediamente produce al 1° anno circa 10-11 t di s.s. ha-1 e al 2° anno
circa 5-6 t s.s. ha-1.

Ginestrino - Famiglia Leguminose o Fabacee - Lotus corniculatus


Origine
Il Lotus corniculatus è originario dell’area europea medio orientale ed è presente allo
stato spontaneo nei prati e pascoli naturali. Sulle montagne italiane si trova come Lotus
corniculatus var. alpinus. Il ginestrino coltivato in purezza può avere una carriera
produttiva anche di 6 anni però è raro trovarlo come tale. Il ginestrino è prevalentemente
utilizzato per la formazione di prati e prati-pascoli oligofiti e polifiti come de pascoli in
aree difficili e marginali. L’utilizzazione del ginestrino è tramite la fienagione,
l’insilamento e il pascolamento. Una importante caratteristica di questa leguminosa
foraggera è che non provoca meteorismo quando pascolato
Caratteri botanici
Apparato radicale
Il ginestrino ha una radice fittonante che usualmente giunge fino a 0,6-0,9 m, con estese
radici secondarie nei primi 0,3-0,6 m di profondità. Questa caratteristica radicale lo porta
ad avere una certa resistenza alla siccità.

Lotus corniculatus: steli e apparato radicale.

381
Steli
Steli del Lotus corniculatus sono generalmente glabri, arrotondati alla base e angolosi
nella porzione superiore, con portamento tendenzialmente prostrato nelle c.v. da pascolo o
eretto o semi-eretto nelle c.v. da sfalcio. Per questa differenza di portamento l’altezza
della pianta varia da circa 0,3 a 0,5-0,8 m e la lunghezza degli steli da circa 0,3 a 1,20 m
Foglie
Le foglie sono composte, alterne, imparipennate costituite da 5 foglioline, di cui 2 alla base
del picciolo, simulanti stipole e 3 poste all’apice di questo.

Lotus corniculatus: foglia composta

Da gemme poste all’ascella delle foglie si formano ramificazioni in numero variabile.


Fiore e infiorescenza
I fiori del ginestrino, di color giallo-arancio, sono di tipo papilionaceo.

Lotus corniculatus: fiore

Normalmente il fiore ha impollinazione entomofila e fecondazione incrociata ma


eccezionalmente può avere impollinazione autogama. I fiori, in numero da 2 fino ad 8,
sono riuniti in un’infiorescenza a capolino ombrelliforme, portata da un lungo peduncolo.

Lotus corniculatus: infiorescenza a capolino.


Nella pianta di ginestrino la fioritura dei capolini è scalare.
Pur avendo diversità varietali il ginestrino ha una gamma di precocità quasi nulla: circa 4
giorni. La data media di fioritura cade verso il 15 maggio.
382
Frutto
Frutto del ginestrino è un legume cilindrico e diritto lungo circa 2,5-4 cm, bruno scuro a
maturità, contenente circa 10-20 semi.
I legumi derivanti dalla fecondazione dei 2-8 fiori del capolino formano una
infruttescenza disposta a “zampa di pollo” che deiscono facilmente “scattando” e
attorcigliando le valve spargendo così il seme attorno alla pianta.

Lotus corniculatus: legumi e infruttescenza.

Seme
I semi del ginestrino sono tondeggianti di color verde-bruno scuro quando “giovani” e
giallo-rossicci quando “vecchi”. 1.000 semi pesano circa 1,2 g ossia 1,2 mg per seme. La
percentuale dei semi duri varia da circa lo 8 al 10%.

Lotus corniculatus: seme

Esigenze ambientali

Clima
L’ambiente ottimale per il ginestrino è quello fresco-umido. Il ginestrino è resistente alla
siccità e al freddo.
Suolo
Circa il suolo si adatta sia a quello argilloso che sabbioso da pH da 8,2 a pH 5,5. Questa è
la ragione della sua coltivazione anche su suoli marginali e difficili.
Avversità abiotiche e biotiche
Le avversità del ginestrino più pericolose sono quelle biotiche. In ambienti con alta
umidità atmosferica è da evidenziare la ruggine e la peronospora che danneggiano le
foglie.
Miglioramento genetico
Le varietà di ginestrino più interessanti sotto l’aspetto foraggero sono le seguenti:
 “arvensis”, forma nana per pascolo alta circa 50 cm
 “tenuifolius” e “tenuis”, forme erette a foglia stretta per la costituzione di pascoli e
prati-pascoli alte circa 50 cm.
 la normalmente coltivata a portamento eretto a foglia larga per la formazione di prati,
alta circa 90 cm.
383
Lotus corniculatus in fiore
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione varie cv. di Lotus corniculatus. Alcune
queste sono, ad es. , le seguenti: Agrosan Treno, Albena, Baco, Fabio, Franco, Frilo,
Giada, Gran San Gabriele, Lotanova, Upstart. Anche il ginestrino, oltre a c.v. ha ecotipi.
Tecnica colturale
La lavorazione del suolo e la preparazione del letto di semina è quella evidenziata elle
precedenti leguminose foraggere.
Concimazione
La concimazione per coltura in purezza usualmente consiste nel distribuire, in presemina
circa 30 kg ha-1 di N (se ritenuto utile) e circa 120-150 kg ha-1 di P2O5 e K2O
Semina
Epoca semina
La più adatta è la primaverile, nei mesi di marzo e aprile. Quella autunnale è possibile
però in zone con inverno non freddo.
Quantità seme
Per il ginestrino la quantità in kg di seme da distribuire ha-1, per la discreta percentuale
di semi duri e per la loro piccolezza varia da circa 10-20 fino a 35 kg : quest’ultima
quantità in ambienti difficili.
Tecnica di semina
La semina è razionale farla su suolo nudo ben preparato perché all’inizio lo sviluppo del
ginestrino è lento e soffre di competizione con le infestanti. La semina può essere fatta sia
con seminatrice universale, con righe distanti da 18 a 25 a una profondità di circa 1-1,5
cm , sia a spaglio
Se la semina è fatta a spaglio per l’interramento del seme, sempre a circa 1-1,5 cm di
profondità, dopo la sua distribuzione occorre passare o con un erpice leggero a denti o con
un erpice strigliatore.
Cure colturali
Eccetto l’uso di diserbanti specifici, il cui costo e impatto ambientale e sempre consistente,
1 o 2 tagli di pulizia una volta cresciuto sono sufficienti per contrastare le infestanti.
384
Produzione
Il ginestrino in coltura pura e in ambienti pedo-climaticamente adatti nel 1° anno fornisce
1 (se in asciutto) o 2 tagli (se in irriguo) con produzioni totale di circa 2-3 t ha-1 di s.s., negli
anni successivi al 1°, con 3-4 tagli per anno, la produzione totale annua è circa 6-7 t ha-1 di
s.s. in aree montane e circa 8-10 t ha-1 di s.s. in pianura fino a 11 t ha-1 di s.s. se irrigua.
In fase di fioritura il ginestrino in coltura pura, per il sapore amaro dei tessuti, non è
molto appetito dagli animali. Per tale ragione occorre falciarlo ad inizio fioritura per
avere un buon fieno. Sempre per lo stesso motivo il ginestrino non è adatto al
pascolamento ma ciò ha poca importanza perché normalmente è utilizzato in miscugli
foraggeri e non tanto allo stato puro.

Coda di topo o fleolo - Famiglia Graminacee o Poacee - Phleum pratense


Origine
Il Phleum pratense, graminacea foraggera pluriennale, è originario delle zone temperato
fredde euro-asiatiche. Sulle Alpi la sua forma spontanea raggiunge circa i 2.000 m s.l.m.
mentre la forma coltivata è presente fino a circa 1.800 m s.l.m.
Utilizzazione
La coltivazione della coda di topo, con le c.v. utilizzabili tramite pascolamento o con
sfalcio, si effettua in particolare nel nord Italia, meno nelle aree alto collinari e montane
con clima umido e fresco senza sbalzi termici del centro Italia.
Phleum pratense o coda di topo o fleolo
-

Il Phleum pratense è importante per la produzione di biomassa foraggera nelle aree fredde
e montane italiane, specie quelle alpine.

385
Tra le foraggere il Phleum pratense è quella che presenta le c.v. più tardive ad essere
utilizzate sia con il pascolamento sia tramite lo sfalcio.
Il Phleum pratense può essere coltivato in purezza ma, normalmente, viene utilizzato per
la costituzione di miscugli oligofiti e polifiti per la costituzione di prati, prati-pascoli e
pascoli.
Data la non aggressività della specie è particolarmente adatto a consociazioni con trifoglio
bianco, trifoglio ibrido, ginestrino e non tanto con l’erba medica che tenderebbe a
soffocarlo.
Caratteri botanici
Il fleolo coltivato in purezza, ha una durata agro-economica di circa 6 anni in aree
climaticamente fresche e di circa 3 anni in aree climaticamente meno adatte alle sue
esigenze.
Le c.v. da pascolo, indipendentemente dalle condizioni pedo-climatiche, sono sempre più
longeve rispetto a quelle da sfalcio.
Apparato radicale
Il fleolo ha radici fascicolate e superficiali che ciò lo portano ad essere particolarmente
sensibile alla siccità.
Steli
Il Phleum pratense ha steli poco fitti, retti o sdraiato-ascendenti, a sezione circolare,
cespitosi e può presentare, in alcune c.v. , corti rizomi.
I culmi hanno altezze oscillanti da circa 0,8 a 1,4 m, nodi di colore scuro e alla loro base
sono rigonfi, tipo piccolissimo bulbo, per la presenza di sostanze di riserva.
Le c.v. da pascolo hanno sempre un’altezza minore rispetto a quelle da sfalcio.
Foglie
Il Phleum pratense ha foglie di color verde-bluastro o glauco, sono larghe circa 1 cm,
leggermente spiralate, con nervature poco marcate, ligule bianche, leggermente
denticolate, lunghe fino a circa 4 mm, non presentano orecchiette ed hanno guaine
aderenti al culmo.

Phleum pratense: area del collare con evidente ligula e senza orecchiette

Fiore e infiorescenza.
I fiori del Phleum pratense sono bisessuati e riuniti in un’infiorescenza a pannocchia o
panicola spiciforme serrata, cilindrica lunga da circa 5 a circa 15 cm, con spighette
uniflore.

386
Frutto
Il frutto del fleolo è un cariosside vestita di piccole dimensioni, di forma tendente al
globoso con 2 tipiche glume mucronate.
1000 cariossidi pesano circa 0,4 g ovvero 0,4 mg per cariosside.

Phleum pratense

cariosside

Ciclo biologico
Il fleolo, che ha uno zero di vegetazione di circa 0° C e una ripresa vegetativa post
invernale precoce, è tra le foraggere graminacee in precedenza menzionate, la più tardiva
a raggiungere lo stadio di levata e di spigatura. La coda di topo è una specie alternativa.
La spigatura del Phleum pratense, nelle sue c.v. più precoci, cade verso il 20 di maggio
mentre in quelle più tardive verso il 13 di giugno.
Caratteristica del fleolo è quella, sia nel primo anno d’impianto come negli anni successivi
a questo, di concentrare il 60-80% della totale produzione annuale di biomassa nel
periodo primaverile.
La varietà più precoce del Phleum pratense spiga circa verso 22 di maggio mentre la
varietà più tardiva spiga circa verso 13 di giugno.

387
L’intervallo di precocità della foraggera, ovvero la sua elasticità della specie è discreta.
Difatti tra inizio della levata e quello della spigatura intercorrono mediamente 30 giorni.
La gamma di precocità della foraggera, ovvero il numero di giorni intercorrenti tra la
spigatura della varietà più precoce e quella della più tardiva, è di circa 25 giorni. Difatti
la varietà più precoce spiga verso circa il 20 di maggio e la varietà più tardiva spiga verso
circa il 15 di giugno. La data media della spigatura tra le varie c.v. è circa il 3 di giugno.

Phleum pratense: intervallo e gamma di precocità.

Levata: inizio pascolo Spigatura: inizio sfalcio


Esigenze ambientali
Clima
Il Phleum pratense vuole ambienti senza sbalzi termici e fenomeni di siccità prolungata. Il
fleolo è resistente ai freddi anche intensi ma non al caldo: a 25° C di temperatura cessa
l’attività vegetativa. Il caldo provoca, dopo pochi anni dall’impianto, la sua scomparsa.
Queste caratteristiche limitano, in Italia, il suo uso nelle zone poste in altitudine.
Suolo
Il Phleum pratense predilige suolo profondo, fresco e tendente all’argilloso sopportando gli
eccessi idrici. Il fleolo è tipica specie da suoli acidi, adattandosi fino a pH 3,8, non
tollerando l’alcalinità.
Avversità
Tra le avversità del Phleum pratense sono da evidenziare quelle biotiche fungine dovute al
genere Puccinia (ruggini) e al genere Heterosporium per i danni che causano alle foglie.
La lotta contro questi patogeni e di tipo indiretto utilizzando c.v. resistenti.
Miglioramento genetico
388
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione varie c.v. di Phleum pratense. Alcune
queste sono, ad es. , Glacier , Kaba, Krim, Run, Sauro, SK 45 (Emma), Skala,Toro.
Tecnica colturale
Lavorazione e preparazione del suolo
Simile a quella delle foraggere graminacee in precedenza citate.
Posto nell’avvicendamento
Simile a quella delle foraggere graminacee in precedenza citate.

Concimazione
La concimazione per la coda di topo in purezza prevede normalmente in presemina circa
50-70 kg di N e 100 kg di P2O5 e K2O ha-1.
A questa seguano concimazioni in copertura, durante il riposo invernale, fino prima della
ripresa vegetativa, meglio se in modo frazionato, con circa 50-80 kg di P2O5 e K2O ha-1 e
circa 120-180 kg di N ha-1 di cui il 50% al termine del riposo invernale e il restante 50%
in modo frazionato in relazione alle caratteristiche pedo-climatiche e al tipo di cultivar.
Semina
Epoca di semina
La semina del fleolo nelle aree alto collinari e montane può essere o estivo-autunnale, nei
mesi di agosto e settembre, in modo che raggiunga le 5 foglie vere prima del freddo o
primaverile, nei mesi di marzo e aprile, in modo che si affranchi bene prima del
sopraggiungere del caldo e della siccità
Modalità
La semina può essere fatta con al seminatrice universale o a spaglio. Se viene usata la
semina a righe queste devono essere distanti da circa 15 a 20 cm tra loro. La semina a
macchina è facilitata perché il seme non è “paglioso”. Se viene usata la semina a spaglio la
quantità di seme deve essere aumentata del 20%.
Profondità
Il seme deve essere interrato a circa 0,5-1 cm. Dopo la semina è utile una rullatura.
Quantità
La quantità di seme da distribuire è circa 10 kg ha-1 fino a circa 15-20 kg ha-1 in suoli e/o
in ambienti difficili.
Cure colturali
Tra le cure colturali si citano il diserbo e l’irrigazione.
Diserbo
Il Phleum pratense se seminato in modo corretto non ha bisogno di interventi diserbanti
ma data la sua lentezza d’insediamento può essere necessario o un “taglio anticipato di
pulizia”
o con un trattamento con diserbante da fare non prima della 4-5 foglia con prodotti e
modalità simili a quelli citati per la Dactylis glomerata.
Irrigazione
389
Quando possibile ed economicamente conveniente l’irrigazione è simile come modalità alle
altre graminacee foraggere ma da sottolineare l’inefficacia di questa pratica quando la
temperatura dell’aria è alta.
Utilizzazione
La biomassa del Phleum pratense può essere utilizzata fresca, tramite il pascolamento, il
foraggiamento verde o come fieno o insilato.
L’utilizzazione del fleolo con il pascolamento deve essere opportunamente distanziata:
circa di 35-40 giorni l’una dall’altra. Il pascolamento del Phleum pratense può essere fatta
anche sui ributti dopo lo sfalcio quando questi hanno un’altezza di circa 10-15 cm.
L’utilizzazione del fleolo con lo sfalcio nella stagione calda deve essere anticipata rispetto
al momento della spigatura poiché il peggioramento qualitativo del foraggio è piuttosto
rapido. La fienagione risulta più facile rispetto altre graminacee foraggere citate perchè il
taglio cade nei periodi caldi di oltre metà maggio o metà giugno.
Produzione
La coda di topo produce un foraggio di buona qualità e digeribile ma con una quantità di
proteine e di zuccheri non levata.
La massima produzione di biomassa dell’impianto del fleolo in purezza si raggiunge verso
circa il 3°-4° anno di vita con circa da 9 a 12 t di fieno ha-1. Quantità corrispondente a
circa 11 t di s.s. ha-1 ossia 8.000-9.000 U.F. ha-1.

Trifoglio ibrido o trifoglio di Alkise o trifoglio nero - Famiglia Leguminose o Fabacee -


Trifolium hybridum
Origine
Il Trifolium hybridum ha origine geografica comune a quella degli altri trifogli ovvero
medio orientale - mediterranea ma non se ne conosce con esattezza la storia evolutiva
venendo al monumento esclusa una sua origine ibrida da atri trifogli.
Coltivato in Svezia fin dal decimo secolo d.C. , entrò in Gran Bretagna nella prima metà
1800.
Contemporaneamente si estese nell’Europa centro meridionale e nel continente
americano.
In Italia non è molto coltivato.
È utilizzato principalmente nel Veneto, in areali di fondo valle e o montani, dove la
piovosità elevata e temperature estive modeste determinano condizioni adatte al suo
sviluppo.
Il trifoglio ibrido si trova principalmente come costituente dei prati e dei pascoli anche
fino a 1600 m s.l.m.
Caratteri botanici
Apparato radicale
L’apparato radicale del trifoglio di Alkise è esteso ma meno profondo di quello del
trifoglio violetto al quale somiglia come habitus di crescita.

390
Stelo
Il trifoglio ibrido, a differenza del trifoglio pratense, ha accrescimento indeterminato,
infatti l’asse principale non termina con un’infiorescenza ma con una gemma apicale in
continua attività.
Le ramificazioni, portanti i fiori, si sviluppano da gemme poste all’ascella delle foglie.
Anche il trifoglio ibrido forma una corona dalla quale emette numerosi steli di
portamento e lunghezza simile a quelli del trifoglio violetto ma, rispetto a questo, più
sottili e più prostrati. L’altezza o taglia della pianta è di circa 70-80 cm e data l’esilità dei
fusti ha la tendenza ad allettare con facilità.
Foglie
Le foglie del Trifolium hybridum sono composte trifogliate portate da lunghi piccioli
caratterizzati dalla presenza di stipole molto evidenti che avvolgono talvolta lo stelo.

Stipole

Le foglioline composte non hanno la tipica “marca biancastra” a V del trifoglio bianco e
violetto. Queste hanno margine finemente dentato o seghettato e forma intermedia tra
quelle del trifoglio pratense e del trifoglio bianco.

Fiore e infiorescenza
Il fiori papilionacei del trifoglio di Alkise hanno petali separati tra loro.

Fiore
Trifolium hybridum: capolino

391
La loro impollinazione è incrociata entomofila, api in particolare è fecondazione è
eterogama. Il trifoglio ibrido è pianta autoincompatibile. I fiori sono riuniti in numero di
circa 40-60 in un capolino bianco-rosato simile come forma a quello del trifoglio bianco.
Questo è portato da un lungo peduncolo che si sviluppa all’ascella delle foglie.
La pianta del trifoglio ibrido, come gli altri trifogli esaminati, presenta più capolini con
una data media di prima fioritura verso il 16 maggio.
I capolini, una volta che i loro fiori sono stati fecondati, imbruniscono e si reclinano,
facendo assumere all’infiorescenza un aspetto analogo a quello del trifoglio bianco.
Frutto e seme
Dalla fecondazione deriva un frutto tipo legume che contiene circa 2-3 semi cuoriformi.

Legume

Appena raccolti questi sono di colore verde-giallastro ma, invecchiando, diventano di


colore nero da cui deriva uno dei nomi del trifoglio ibrido. Il peso di 1000 semi è circa
0,70-0,80 g ossia circa 0,70-0,80 mg per seme.
Ciclo biologico
È pianta poliennale di durata ecomico-produttiva contenuta: circa 2-3 anni fino, ad un
massimo, di 5 anni.
Esigenze ambientali
Clima
Il clima adatto al trifoglio ibrido è quello con temperature non elevata. Questo trifoglio è
particolarmente adatto ai climi freddi e senza siccità.
Suolo
È caratterizzato da adattabilità a diverse condizioni pedologiche, tanto da vegetare bene
sia in suoli alcalini che in quelli acidi. La sua capacità di sopportare valori piuttosto elevati
di pH lo rende adatto ai suoli organici, inclusi quelli torbosi purché ben riforniti d’acqua.
Il trifoglio nero si adatta a suoli umidi sopportando periodi sommersione abbastanza
lunghi.
Per le ragioni pedo climatiche citate il trifoglio di Alkise sostituisce su suoli acidi il
trifoglio violetto negli ambenti freddi e umidi.
Avversità abiotiche e biotiche
Le avversità biotiche sono simili a quelle citate nei trifogli esaminati in precedenza. Tra
quelle abiotiche si sottolinea quello dovuto all’allettamento.

392
Miglioramento genetico
Il trifoglio ibrido ha cultivar diploidi e tetraploidi.
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione diverse cv. di Trifolium hybridum tra
le quali, ad es., Buffalo, Dixon, Grasslands Polar, Levante, Tigea.
Tecnica colturale
Per le tecniche colturali del trifoglio nero si rimanda a quelle del trifoglio violetto che si
possono considerare simili: lavorazione, preparazione del letto di semina, concimazione,
ecc. .
Il trifoglio ibrido può essere coltivato in coltura pura ma data la sua caratteristica di dare
1 sola utilizzazione economicamente valida si presta in particolare ad inserito in miscugli
foraggeri pratensi oligofiti e polifiti con lo scopo di rinforzare la prima produzione
annuale di biomassa. Particolarmente valida è la sua consociazione con il Phleum pratense
con il quale condivide l’elevata resistenza al freddo, gli ambiente umidi e il suolo acido. Il
trifoglio nero è anche utilizzato per consociazioni con la Dactylis glomerata.
Semina
Epoca
L’epoca di semina ottimale del trifoglio di Alkise è quella primaverile.
Modalità
La semina può essere fatta sia con seminatrice universale per cereali sia a spaglio
Quantità, distanza tra le file e profondità
Se il trifoglio nero è seminato con seminatrice si impiegano da circa 8 a 12 kg ha-1 di seme
seminato a sapaglio circa 13-16 kg ha-1 . La distanze tra le file e la profondità di semina e
simile a quella del trifoglio violetto.
Cure colturali
Per le cure colturali (irrigazioni, diserbo, irrigazione, ecc..) si rimanda a quanto
brevemente accennato esaminando il trifoglio violetto.
Utilizzazione
Come accennato il trifoglio ibrido entra prevalentemente nei miscugli foraggeri per prati e
pascoli per le aree montane.
Produzione
Il trifoglio ibrido raramente nell’anno di impianto nei climi freddi fornisce una
produzione di biomassa economicamente valida da essere utilizzata. Anche dal secondo
anno in poi questo trifoglio non riesce, comunque, a dare più di 1 sola utilizzazione poiché
il ricaccio è scarso. La produzione totale annua è mediamente circa 2,5-4,0 t ha-l di
sostanza secca, pari a circa 3-5 t ha-l di fieno, il cui valore nutritivo è simile a quello del
trifoglio pratense

Loglio ibrido - Famiglia Graminacee o Poacee - Lolium hybridum

Il Lolium hybridum È una specie ibrida tra specie “Lolium perenne x Lolium multiflorum”,
coltivata in aree temperate non siccitose dell’Italia settentrionale e centrale.
Per tutte le caratteristiche pedo-climatiche e agronomiche vedi quanto citato per il Lolium
perenne e Lolium multiflorum.
393
Il miglioramento genetico ha messo a disposizione diverse cv. di Lolium hybridum tra le
quali, ad es. , Cross, Esga , Rubrico, Zeno.
Utilizzo
Si utilizza in purezza o in prati oligofiti di breve durata con leguminose come ad es. il
trifoglio violetto. Rara è l’utilizzazione per il pascolo ma niente lo vieta.
Durata e Produzione
Il Lolium hybridum ha una durata produttiva di 2-3 anni. La produzione annuale
complessiva in coltura pura arriva fino a 10 t ha-1 di s.s. collocandosi in posizione
intermedia tra il Lolium multiflorum e il Lolium perenne.

Consociazioni vegetali foraggere


Negli ecosistemi le piante, eccetto in ambienti estremi per clima e tipo di suolo, si trovano
raggruppate in associazioni vegetali spesso formate da numerose Specie appartenenti a
Famiglie diverse.
Negli agroecosistemi l’uomo ha preso questo esempio naturale e nel settore della
foraggicoltura ha sviluppato le consociazioni foraggere utilizzando i miscugli foraggeri.
Le consociazioni foraggere, come in precedenza accennato, possono essere,
schematicamente e semplicemente, classificate nel seguente modo.
1) In base al numero dei componenti:
 bifite, costituite da 2 generi o specie appartenenti anche a famiglie diverse
 oligofite, costituite da 3 a 5 generi o specie appartenenti anche a famiglie diverse
 polifite, costituite da oltre 5 generi o specie appartenenti anche a famiglie diverse
2) In base alla durata nel tempo:
 annuale o di breve durata, come gli erbai oligofiti e polifiti
 poliennale o di lunga durata, come i prati, prati-pascoli e pascoli bifiti, oligofiti e polifiti.
Con razionali e ben fatte consociazioni, rispetto a colture foraggere in purezza, si hanno,
in particolare, i seguenti benefici:
 maggiore resistenza ai fattori climatici negativi per gli effetti protettivi delle specie
esercitano tra loro maggiore. Ad esempio in una consociazione “graminacee-leguminose”
si ha maggior resistenza al freddo delle leguminose per la presenza di graminacee, che, più
precoci a levare, le proteggono
 produzione quali-quantitativa di biomassa più stabile e/o maggiore rispetto alla media
delle singole produzioni delle colture in purezza perché il rischio d’insuccesso ambientale
è ripartito su più componenti della consociazione
 maggiore durata produttiva nel tempo della consociazione rispetto delle stesse singole
colture in purezza
 migliore ripartizione della produzione annuale, ad esempio le graminacee coprono la
minore produzione primaverile delle leguminose e queste la minore produzione estiva
delle graminacee
 migliore equilibrio chimico del foraggio
 maggior risparmio di azoto nella gestione agronomica dei prati, prati-pascoli e pascoli.
Secondo varie ricerche in una consociazione “graminacee-leguminose” quando le
leguminose sono il 40-50% del miscuglio foraggero si può omettere l’apporto di N per le
graminacee

394
 in una consociazione “graminacee-leguminose” maggiore reattività alle concimazioni
azotate per presenza di graminacee e fosfo-potassiche per presenza di leguminose
 maggior controllo indiretto delle infestanti per il maggior numero di fenomeni
competitivi delle componenti foraggere verso quest’ultime
 più ampia possibilità di utilizzazione della biomassa foraggera. Infatti, ad esempio, in
una consociazione “graminacee-leguminose”, si può pascolare senza pericolo di
meteorismo per la presenza di graminacee e/o produrre fieno con meno perdita di foglie
delle leguminose per il fitto intreccio fatto dalle foglie delle graminacee
 in una consociazione “graminacee-leguminose” più facile conservazione della biomassa
foraggera delle leguminose tramite la tecnica dell’insilamento per presenza nel raccolto di
graminacee con elevati tenori di zuccheri fermentescibili.
 maggiore lotta all’erosione del suolo

Fattori di competizione nelle consociazione foraggere.


La competizione è un fenomeno biologico che si ha quando più organismi cercano un
solito fattore e questo è quanti-qualitativamente inferiore al totale della somma delle
richieste.
Principali fattori della competizione.
Luce: è il fattore più importante. È stato dimostrato che nelle colture pratensi l’intensità
luminosa al livello del suolo è pari all’1% rispetto a quella riscontrabile all’altezza del
piano superiore delle foglie.
Acqua: nelle consociazioni questa competizione dipende dallo sviluppo dell’apparato
radicale, suo rinnovamento, ecc.. .
Elementi nutritivi: nelle consociazioni questa competizione dipende dalla C.S.C. delle
radici, dal modo di procurarsi l’N, ecc.
I fattori della competizione non agiscono in modo separato tra loro ma spesso
interagiscono tra loro Ad esempio: competizione luce, meno fotosintesi, meno sviluppo
aereo, meno sviluppo radicale, meno assorbimento elementi ed H2O e viceversa.
La competizione può essere:
 Interspecifica ovvero tra piante di specie diverse.
 Intraspecifica ovvero tra piante della stessa specie.
 Intraplanta o intragenotipica ovvero tra organi della stessa pianta, come ad esempio
tra gemme erbacee e gemme a fiore.
I fenomeni biologici nelle consociazioni.
I fenomeni biologici che si possono presentare nelle consociazioni sono i seguenti.
 Fenomeni di cooperazione o mutualismo: le specie traggono vicendevoli benefici.
 Fenomeni di commensalismo: una specie trae beneficio e l’altra è indifferente.
 Fenomeni di indipendenza o neutralità: le specie sono indifferenti tra loro.
 Fenomeni di parassitismo positivo: una specie si avvantaggia a scapito dell’altra ma
nel complesso la produzione media della consociazione è più elevata di quella media della
foraggera in purezza meno produttiva.
 Fenomeni di parassitismo negativo: una specie si avvantaggia a scapito dell’altra in
modo tale che nel complesso la produzione media della consociazione è più bassa di quella
media della foraggera in purezza meno produttiva.
395
I fenomeni competitivi sono la base per classificare le specie foraggere in relazione alla
loro aggressività o concorrenza. In particolare per l’Italia settentrionale si ha una
classificazione che presenta una scala di valori che vanno da 1, riferito alle specie meno
aggressive, come ad esempio il Phleum pratense, Trifolium hybridum, Lotus corniculatus,
a 2, 3 e 4 riferiti a specie progressivamente più aggressive: ad esempio il Lolium
multiflorum ha valore 4 essendo molto aggressivo.
Considerando i fenomeni competitivi nella costituzione di un miscuglio foraggero occorre
agire nel seguente modo:
 in condizioni pedoclimatiche buone, anche di collina e montagna, optare per miscugli
bifiti: vedi una specie graminacea e una specie leguminosa.
 in zone marginali, per suoli anomali e/o climi, optare per miscugli oligofiti per ridurre
al massimo i fenomeni competitivi e avere un’accettabile produzione.
 in zone difficili optare per miscugli polifiti costituiti al massimo da 10 specie per
rendere gestibile la consociazione foraggera ed avere produzioni di biomassa accettabili.
In relazione agli accorgimenti per l’individuazione del numero e i tipi delle specie
costituenti la consociazione foraggera come gli strumenti per mantenere l’equilibrio tra le
specie della consociazione seminata si riporta quanto segue:
 per la scelta della/e leguminosa occorre considerare le caratteristiche fisiche, chimiche
e biologiche del suolo come, ad es. , pH, tessitura, struttura, capacità idrica, ecc.
 per la scelta della/e graminacea occorre considerare il tipo di clima: temperatura,
piovosità, ecc..
 per la scelta delle specie da riunire tra loro nella consociazione,optare per quelle che
non differiscono tra loro con un valore maggiore ad 1
Nelle consociazioni in ambienti difficili per la costituzione del miscuglio si deve seguire il
criterio della complementarietà biologica, morfologica e produttiva.
In quelli facili il criterio di similitudine, sempre biologica, morfologica e produttiva, per
avere una migliore risposta agli interventi agronomici.
Per la riuscita e gestione del miscuglio foraggero nel tempo occorre usare un’appropriata
tecnica colturale, specialmente riferita ai seguenti punti.
 Quantità di seme: deve essere più bassa quanto più è aggressiva è la specie.
 Modalità semina: migliore è la semina a righe rispetto quella a spaglio che riduce i
fenomeni competitivi per migliore omogeneità spaziale.
 Epoca di semina: l’autunnale favorisce le graminacee, la primaverile le leguminose.
 Concimazione: se a base di N favorisce le graminacee se a base di P2O5 e K2O favorisce
le leguminose.
 Irrigazione: favorisce piante con apparato radicale superficiale.
 Diserbo: intuitivo.
 Modalità utilizzazione: il pascolamento favorisce le graminacee, le specie che hanno
organi di propagazione vegetativa (stoloni, rizomi) e le specie autoriseminanti; lo sfalcio
favorisce le piante a portamento più alto.
 Epoca di utilizzazione: anticipata facilita le graminacee, ma anche il trifoglio bianco,
tardiva facilita le leguminose o le graminacee ultraprecoci già andate a seme dato che
favorisce la loro disseminazione.
 Altezza del pascolamento e del taglio: se troppo basso penalizza più le graminacee che
le leguminose

396
 Frequenza utilizzazioni della biomassa: più sono ravvicinate danneggiano e più le
leguminose dato che hanno un ciclo di ricostituzione delle sostanze di riserva più lungo
delle graminacee.
Prima di accennare al complesso argomento del procedimento per la costituzione dei
miscugli foraggeri, un brevissimo cenno su una tecnica per fornire agli animali biomassa
alimentare, senza interruzione temporale, con graminacee foraggere coltivate in purezza.
Questa tecnica è quella dell’approntamento di una catena di foraggiamento basata sulla
coltivazione di “anelli” di c.v. foraggere con diversa gamma precocità.
Per l’Appennino settentrionale viene indicato, ad esempio, la catena di foraggiamento
costituita dagli “anelli” di: Festuca arundinacea precoce - Dactylis glomerata semi-precoce
- Dactylis glomerata semi-tardiva - Festuca pratense tardiva.
Costituzione dei miscugli per le consociazioni foraggere.
Per la vastità dell’argomento di seguito si riportano solo alcuni esempi relativi alla
formazione di miscugli bifiti “leguminosa+graminacea”, adatti per lo sfalcio e il
pascolamento, in aree collinari o di bassa montagna, in base alla profondità del suolo, suo
pH e il tipo di clima.
Suolo profondo, di medio impasto tendente all’argilloso con pH da neutro ad alcalino
costituzionale.
Clima siccitoso = erba medica + festuca arundinacea c.v. tardiva
Clima intermedio = erba medica + erba mazzolina c.v. tardiva
Clima fresco = erba medica + coda di topo c.v. precoce
Suolo superficiale, argilloso con pH alcalino costituzionale.
Clima medio tendente al siccitoso = lupinella sgusciata + erba mazzolina c.v. intermedia
Clima tendente al siccitoso = sulla + erba mazzolina c.v. tardiva
Suolo mediamente profondo, sabbioso con pH acido.
Clima siccitoso = trifoglio bianco + festuca arundinacea c.v. intermedia
Clima intermedio = trifoglio bianco + erba mazzolina c.v. intermedia
Clima fresco = trifoglio bianco + coda di topo c.v. precoce

Suolo mediamente profondo, di medio impasto con pH da neutro a sub-acido.


Clima intermedio e fresco = t. violetto + Lolium multiflorum var. italicum.
Le consociazioni ora citate si ottengono distribuendo su 1 ettaro la somma del 50% dei kg
di seme di leguminosa e del 50% dei kg di seme di graminacea indicati per la costituzione
dei relativi impianti in purezza.
Ad esempio, per l’approntamento della consociazione “erba medica+festuca arundinacea
c.v. tardiva”, si distribuiranno circa 17 kg (35 kg x 0,50) di erba medica + 17 kg (35 kg x
0,50) 35 kg x 0,50 di festuca arundinacea su 1 ettaro.
A tal riguardo si evidenzia che la quantità di seme ad ettaro per la coltura in purezza
oscilla, entro certi limiti, in relazione alle caratteristiche pedologiche.
Unica eccezione a ciò è per coda di topo la cui quantità il seme per la semina in purezza è
valutata sempre alla dose massima di 20 kg ha-1.
Ad esempio, per l’approntamento della consociazione “erba medica+coda di topo c.v.
precoce” si distribuiranno circa 17 kg (35 kg x 0,50) di erba medica + 10 kg (20 kg x 0,50)
di coda di topo su 1 ettaro.
397
Miglioramento quali-quantitativo della produzione di biomassa foraggera del pascolo.

Il miglioramento quali-quantitativo della produzione di biomassa foraggera del pascolo,


fatto sempre assieme alla ricerca dell’equilibrio spaziale e temporale ottimale del numero
degli animali pascolatori, si basa sui seguenti metodi.
1) Recupero di superfici pascolabili.
2) Incremento quanti-qualitativo della produzione di biomassa del cotico esistente.
3) Introduzione o reintroduzione nello specifico biotopo di specifiche piante foraggere.

1) Recupero di superfici pascolabili.


Questo può essere fatto con i seguenti 4 interventi.
 Tecnica dello spietramento
Questa tecnica è l’eliminazione fisica delle pietre dalle superfici a pascolo tramite apposite
macchine. Considerando che questo intervento è agro-economicamente sconveniente se la
pietrosità ha un diametro < a 10 cm, le macchine utilizzabili per lo spietramento sono le
seguenti.
Macchine raccogli-sassi.
Queste possono essere:
- a cantieri riuniti, che fanno il lavoro in un solo passaggio. Sono costituite da “un
raccoglitore, un griglia, uno scivolo, un cassone di raccolta”. Di volta in volta i sassi
vengono scaricati lateralmente alla macchina o su un carrello.
Raccogli-sassi a cantieri riuniti

- a cantieri separati, che fanno il lavoro con 2 passaggi con 2 macchine diverse. Un 1°
passaggio con macchina andanatrice con formazione di andane di sassi di circa 4 m di
larghezza e un 2° passaggio con macchina raccoglitrice seguita da un carro trainato per il
l’allontanamento del materiale sassoso.
In entrambi i casi la raccolta dei sassi è circa il 50% di quelli presenti sul suolo.

398
Raccogli sassi a cantieri separati

Macchine tritura-sassi.
Queste sono costituite da un robusto carter e un frangitore a martelli ad asse orizzontale
per triturare i sassi. La macchina ha una larghezza di lavoro di circa 1 m e tritura dal 50
al 80% dei sassi in base alla loro durezza.
Trituratore di sassi

Il trituratore di sassi con sollevamento del materiale consente una migliore qualità della
frantumazione

399
Occorre comunque osservare che, sotto l’aspetto ecologico, i sassi hanno una loro funzione
“positiva” dato che: mantengono sotto di loro l’umidità del suolo; hanno una azione
antierosiva per riduzione della velocità delle acque di scorrimento superficiale; hanno una
protezione delle piante foraggere vicino al sasso verso il “morso” degli animali. Per
quest’ultimo motivo il sasso rappresenta un “punto di ricolonizzazione” nei pascoli
degradati per sovraccarico.

 Tecnica del decespugliamento


Il decespugliamento può essere fatto per via meccanica o per via chimica.
Il decespugliamento per via meccanica vede l’impiego di macchine decespugliatrici.
Le macchine decespugliatrici possono operare con:
 lame che tagliano i cespugli. Queste si usano quando i cespugli sono radi e non
eccessivamente sviluppati
 con trituratore a catene o a martelli. Queste si usano quando i cespugli sono non molto
alti e compatti, come , ad es. , quelli delle ericacee.
Decespugliatrice con trituratore a martelli

Tutte le decespugliatrici recidono gli arbusti rispettando il cotico erboso presente. Ciò
comporta anche l’eliminazione dell’ombreggiamento o aduggiamento del cotico erboso e

400
la produzione di un triturato con funzione pacciamante che stimola la nascita dei semi
delle foraggere latenti nel suolo.
Nella tecnica del decespugliamento da evitare l’uso di lame apripista per la forte e
pericolosa alterazione delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del profilo del
suolo.
Il decespugliamento per via chimica vede l’impiego dei diserbanti.
Solitamente con questa tecnica non si hanno grossi risultati dato che le infestanti dei prati-
pascoli e dei pascoli sono molto rustiche.
Per motivi ecologici ed economici conviene sempre ridurre al massimo l’impiego di questa
tecnica e fare il trattamento diserbante in modo localizzato e non a “tutto campo”.
Per il trattamento localizzato viene usato con buoni risultati il p.a. diserbante sistemico
non residuale Glifosate: meglio se distribuito con il sistema con “corde a trasudazione di
liquido”.
Se si propende di impiegare il diserbo, è bene farlo quando le infestanti sono o in pre-
fioritura o in fase di ributto dopo l’eliminazione meccanica della parte aerea poiché in
questi momenti le infestanti sono in forte assorbimento.
 Tecnica dell’incendio.
L’incendio è antichissima pratica che ha sul suolo effetti complessi e interagenti tra loro.
Questi effetti dipendono dai seguenti fattori: intensità dell’incendio, caratteristiche fisiche
e morfologia del suolo, interventi antropici e caratteristiche precipitazioni atmosferiche
dopo l’incendio, stagione nella quale si verifica l’incendio (l’autunnale è più pericolosa
della primaverile), frequenza dell’incendio sulla stessa area (se inferiore a circa 4-6 anni è
particolarmente dannosa).
La pratica dell’incendio, oggi molto limitata e regolata da severe regole se non, in molte
zone, del tutto vietata, è ancora usata ai fini del decespugliamento per i seguenti effetti
positivi: immediata mobilizzazione di diversi elementi nutritivi per le piante tramite la
cenere della combustione; miglioramento floristico del cotico erboso dovuto non solo alla
eliminazione delle specie infestanti cattive foraggere ma anche per aumento, in
particolare, di specie eliofile leguminose; aumento, anche se limitato, in particolare nel
tempo, del pH nei suoli acidi; maggiore spostamento degli animali che utilizzando i ributti
delle piante infestanti dopo l’incendio possono controllarne la loro diffusione.
Assieme a questi effetti positivi vi sono però i seguenti importanti effetti negativi: drastica
rottura dell’equilibrio ecosistemico; distruzione della S.O. del suolo per ossidazione;
impermeabilizzazione degli strati sotto-superficiali del suolo, per accumulo di pirolizzati
idrofobici, derivati dalla S.O. combusta, che riducendo l’infiltrazione e la permeabilità
dell’acqua nel suolo, hanno effetti negativi, diretti e indiretti, sulla fertilità del suolo,
sulla sua difesa e conservazione e, conseguentemente, sul cotico erboso; comparsa dopo
breve tempo di specie pirofite invadenti e cattive foraggere come cisto, ferula, ginestra
spinosa, asfodelo, carlina, ecc..
Il decespugliamento con il fuoco, dove permesso, è agronomicamente ammissibile solo per
interventi limitati, localizzati e controllati.
 Tecnica della piccola bonifica idraulica agraria
Questa tecnica consiste nell’approntare affossature o drenaggi per eliminare acque
“stagnanti” in aree limitate. Solo se di costo contenuto, fatta gradualmente e rispettosa
dell’equilibrio ecosistemico, è pratica proponibile.
401
Dopo questa semplice e brevissima esposizione delle recupero di superfici pascolabili con
l’eliminazione delle piante infestanti occorre evidenziare che queste nei pascoli hanno
delle importanti funzioni agro-ecosistemiche.
Ad esempio: la Carlina acaulis che con le sue spine proteggendo dal morso degli animali le
foraggere vicine a questa è un fattore di riconquista da parte delle foraggere del pascolo
degradato, come è stato osservato sull’erba mazzolina;

Esempio della funzione


positiva della Carlina acaulis
nel pascolo.

lo Pteridium aquilinum o felce aquilina, geofita rizomatosa che permette l’utilizzazione


precoce di una discreta quantità di biomassa del cotico erboso che ben si sviluppa sotto la
sua vegetazione per il suo sviluppo stagionale tardivo e la presenza di micro-riserve
idriche nel suolo rappresentate dai rizomi morti di consistenza spugnosa;
Felce: la funzione “positiva” in un pascolo appenninico nella tarda primavera.

il Sarothamnus scoparius o ginestra dei carbonai che rappresenta per i Cervidi una fonte
alimentare invernale importantissima nelle aree a lungo innevate. Questi animali infatti
utilizzano circa 15-20 cm del germoglio formato nell’anno ricco di proteine e di Ca+2.
Alimento importante per la formazione delle impalcature e dell’ossatura del feto. È stato
stimato che 1 ettaro di ginestra dei carbonai fornisce circa 10 t di questo particolare
foraggio.
402
2) Incremento quanti-qualitativo della produzione di biomassa del cotico esistente

Per l’incremento quanti-qualitativo della produzione di biomassa dell’area pascolava


vengono applicate le seguenti 2 tecniche: concimazione e controllo del carico animale
sostenibile.
Tecnica della concimazione.
La concimazione agisce, otre sulla quantità e qualità della biomassa prodotta, anche sulla
composizione floristica del cotico, sulla sua distribuzione stagionale, sul controllo delle
piante infestanti e sul controllo dell’erosione poiché influenza alla densità del cotico
erboso e alla % delle piante “protettive” in questo.
Date le grandi differenze pedo-climatiche esistenti nel nostro Paese, considerando che la
distribuzione di K+ ha portato, soli in pochi e specifici casi, evidenti effetti produttivi di
seguito vengono fornite delle indicazioni, di massima, solo per l’N e il P.
Indicazioni relative al momento della distribuzione dei 2 elementi e alla loro quantità da
apportare.
Per il momento della distribuzione è stato osservato che l’N è utile frazionarlo 1/3 in
autunno e 2/3 a fine inverno e la P2O5 è utile distribuirla tutto in autunno
Per la quantità totale degli elementi da distribuire e stato riscontrato la quantità da circa
50 a circa 100 kg ha-1 di N e P, espresso come P2O5, ha dato i risultati migliori tenendo
presente che:
 negli ambienti più freschi e piovosi dell’Italia settentrionale e centrale, dove
predominano le graminacee, l’apporto deve essere spostato a favore dell’N
 negli ambienti meno freschi e piovosi dell’Italia meridionale, dove vi è predominanza
di
leguminose, l’apporto deve essere spostato a favore della P2O5.
Occorre evidenziare , in particolare, che la concimazione fosfatica aumenta la resistenza
delle foraggere al freddo, aumenta la produzione del periodo estivo ed è particolarmente
utile su suoli superficiali e la concimazione azotata anticipa e potenzia la prima
produzione annuale di biomassa, attenua la flessione produttiva estiva, prolunga la
crescita autunnale ed è particolarmente efficace su suoli profondi.
L’effetto del potenziamento della produzione sulle Alpi e sull’Appennino settentrionale
della prima produzione dell’anno di biomassa non è, comunque, molto utile poiché è già
naturalmente elevato per cui la concimazione azotata è bene dall’autunno spostarla alla
primavera successiva per sostenere incrementare la 2° produzione di biomassa dell’anno
del cotico erboso
Tecnica del controllo carico animale sostenibile.
Questa è una tecnica tanto intuitiva quanto non sempre razionalmente applicata per
evitare il sovraccarico e il sottocarico animale e conseguentemente degrado dell’area
pascoliva.
Si sottolinea che:
 il sovraccarico degli animali porta al depauperamento delle sostanze di riserva nelle
foraggere per l’utilizzazione della porzione delle piante troppo vicina al suolo,
l’infeltrimento del cotico erboso, l’inacidimento del suolo, a “ferite” sul cotico erboso che
aprono la strada all’erosione e alla comparsa di specie “di difesa” spinose e/o velenose.

403
 il sottocarico degli animali, porta a azione selettiva di questi sulla flora tramite
l’utilizzo delle specie migliori e, conseguentemente, la diffusione delle piante peggiori non
pabulari o addirittura velenose.
Sicuramente l’approntamento in punti strategici del pascolo di luoghi per l’abbeverata, di
aree di distribuzione degli alimenti e/o di sale pastorizio, come di zone non accessibili gli
animali, riduce le problematiche del sovraccarico e del sottocarico ma per evitarle la via
principale è la determinazione del carico animale sostenibile ad ettaro.
A tal riguardo si può usare la “tecnica del raccolto”.
Questa tecnica si basa sull’individuazione di tutte le fitocenosi e di tutte le altre
utilizzazioni del suolo presenti nell’area oggetto di studio tramite la tecnica della
fotointerpretazione di foto aeree e il loro riporto su carta topografica a grande scala dove
queste vengono misurate per la determinazione delle superfici totali. A questo lavoro se ne
accoppia, simultaneamente, un altro per la caratterizzazione dell’area in esame sotto
l’aspetto morfologico, climatico, ecc ... . Da due lavori base deriva poi la determinazione
del carico sostenibile dell’animale in esame valutando:
 la produzione di biomassa fresca totale utilizzabile o “b.t.u.” per lo specifico animale
nella stagione più critica dell’anno in un arco temporale minimo di un triennio
 la % d’asportazione della “b.t.u.” da parte dell’animale, nel rispetto della catena dei
detrivori del suolo, per ottenere la % di produzione primaria netta sostenibile utilizzabile
o “b.s.u.” dall’animale.
 il consumo giornaliero medio di biomassa fresca in kg connesso alla razione di
mantenimento dell’animale adulto .
Di seguito, allo scopo di rendere più chiaro quanto ora esposto, vengono sinteticamente
riportati i punti essenziali per la determinazione del carico sostenibile ad ettaro
nell’ambito del piano di assestamento faunistico del capriolo in un’Azienda agro-forestale
posta nel Comune di Londa, FI.

Sviluppo altimetrico: tra 400 e 1.100 m s.l.m. Clima: appenninico con manto nevoso
usualmente presente da Dicembre a Marzo per 120 giorni.
Fitocenosi aziendali e altro uso del suolo ha % su superficie totale aziendale
Ceduo misto 427,06 43,43
Ceduo misto tagliato 61,65 6,27
Ceduo di faggio 149 15,15
Ceduo di faggio tagliato 21,69 2,21
Rimboschimento conifere h < 2.5 m 145,51 14,80
Rimboschimento conifere h > 2.5 m 31,01 3,15
Castagneto 20,57 2,09
Coltivi abbandonati 25,86 2,63
Prato pascolo 23,34 2,37
Arbusteto 41,97 4,27
Rimboschimento latifoglie 3,56 0,36
Roccia affiorante 32,08 3,26
Totale 983,32 100,00
Considerando le presenti fitocenosi, ad esclusione dei 3,56 ha dei rimboschimenti di
latifoglie protetti dall’ingresso dl capriolo, per 3 anni sono stati fatti prelievi a random, in
più aree di circa 50 m2, per stabilire la quantità media in kg di biomassa fresca
404
teoricamente utilizzabile dall’ungulato, da 0 m fino ad 1 m di altezza, nelle 4 stagioni
dell’anno.
La biomassa fresca utilizzabile dal capriolo comprendeva, come per tutti gli altri erbivori,
le seguenti 6 categorie di biomassa: Erbe; Licheni e funghi; Frutti selvatici; Germogli di
arbusti; Germogli di latifoglie e/o conifere arboree; Cortecce.
Fatto ciò è stato individuato nel triennio, oggetto di rilievi, l’anno e la stagione più critica
per le disponibilità alimentari (nel caso dell’Azienda di Londa una delle 3 stagioni
invernali considerate) e sono state stabilite le % della produzione primaria netta totale
utilizzabile delle varie categorie alimentari prima citate o “b.t.u.” da devolvere ai detrivori
del suolo per avere le % delle varie produzioni primarie nette sostenibili utilizzabili o
“b.s.u.” dall’animale.
% della biomassa della produzione primaria netta totale da considerare biomassa sostenibile
utilizzabile o “b.s.u.” dagli animali nel rispetto della catena dei detrivori del suolo: da Odum,
Ovington, Susmsel, Shaker e Casanova.
Tipo di biomassa %
Erbe 50
Licheni e Funghi 10
Frutti selvatici 80
Germogli di arbusti 50
Germogli di latifoglie e/o conifere 10
Cortecce 5
Da questo lavoro deriva la successiva Tab. 1 concernente la produzione primaria netta
sostenibile utilizzabile o “b.s.u.” nell’Azienda agro-forestale XXX YYY, Comune di
Londa, FI. presentante le seguenti sigle
Tipo di fitocenosi: Ceduo misto = Cm; Ceduo misto tagliato = Cmt ; Ceduo di faggio = Cf;
Ceduo di faggio tagliato = Cft ; Rimboschimento di Conifere h <2,5 m = Cmi;
Rimboschimento di Conifere h > 2,5 m = Cma; Castagneto = Cs ; Coltivi abbandonati = C
; Prato pascolo = Pp ; Arbusteto = Ar .
Tipo di biomassa con sua quantità totale e utilizzabile: Erba = E; , Licheni e Funghi = Lf
Frutti selvatici = Frs ; Germogli di arbusti = Ga ; Germogli latifolie arboree = Gl,
Germogli conifere = Gc.
Tab. 1 Produzione primaria netta sostenibile totale utilizzabile o “b.s.u.” nell’Azienda agro-
forestale XXX YYY, Comune di Londa, FI. nella stagione invernale critica.
Biomassa % Cm Cmt Cf Cft Cmi Cma Cs Ca Pp Ar Tot. kg
E kg 0,5 b.t.u. 2562,4 1350,1 0,0 819,9 1193,2 192,3 49,4 212,0 186,7 138,5 6704,50
E kg b.s.u. 1281,2 675,05 0,0 410,0 596,6 96,2 24,7 106,0 93,35 69,25 3352,35
Lf kg 0,1 b.t.u. 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0
Lf kg b.s.u. 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0
Frs kg 0,8 b.t.u. 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 401,1 80,2 0,0 21,0 502,3
Frs kg b.s.u. 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 320,9 64,16 0,0 16,8 401,86
Ga kg 0,5 b.t.u. 9799,7 1436,40 357,6 1012,9 2080,8 124,0 189,2 411,2 1122,6 1691,4 18225,8
Ga kg b.s.u. 4899,85 718,2 178,8 506,45 1040,4 62,0 94,6 205,6 561,3 845,7 9112,9
Gl kg 0,1 b.t.u. 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 12,4 0,0 0,0 0,0 0,0 12,4
Gl kg b.s.u. 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 1,2 0,0 0,0 0,0 0,0 1,2
Gc kg 0,1 b.t.u. 0,0 0,0 0,0 0,0 4161,6 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 4161,6
Gc kg b.s.u. 0,0 0,0 0,0 0,0 416,16 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 416,16
b.t.u. tot. Kg 12362,1 2786,5 357,6 1832,8 7435,6 328,7 639,7 703,4 1309,3 1850,9 29606,6
b.s.u. tot. Kg 6181,05 1393,25 178,8 916,45 2053,16 159,4 440,2 375,76 654,65 931,75 13284,47
Considerato ciò si passa alla stima del consumo alimentare medio giornaliero (razione di
mantenimento) pro-capite del capriolo adulto in Kg di sostanza verde (s.v.) o fresca.
405
Consumo alimentare giornaliero medio giornaliero (razione
di mantenimento) di 1 capo adulto di ungulato in kg di
sostanza verde o fresca .
Specie animale Kg di s.v. Corrispettivo in U.F.
Capriolo ≅ 3,0 ≅ 0,40
Camoscio ≅ 3,2 ≅ 0,45
Cervo ≅ 14,2 ≅ 1,70
Cinghiale ≅ 4,6 ≅ 0,45
Daino ≅ 5,0 ≅ 0,70
Muflone ≅ 4,3 ≅ 0,60
Stambecco ≅ 7,0 ≅ 1,00
Calcolata la biomassa alimentare totale sostenibile utilizzabile (b.s.u. tot.) in base a quanto
raccolto durante la stagione critica, pari a kg 13284,47, si passa al carico sostenibile del
capriolo in assenza di competitori alimentari per l’Azienda agro-forestale di Londa
secondo quanto riportato.
13284,47 kg in 120 giorni = 110,70392 kg biomassa vegetale verde totale sostenibile a
giorno
110,70392 kg biomassa vegetale verde totale : 3 kg di consumo giornaliero di s.v.
consumata da 1 capriolo adulto = circa 36.90 capi sostenibili su 983.32 ha nel periodo
critico corrispondente a un carico di 1 capriolo adulto ogni circa 26.65 ha (983,32
ha:36,90 capi).
3) Introduzione o reintroduzione nello specifico biotopo di specifiche piante foraggere.
Questa tecnica si basa sui metodi della:
 Risemina o rinnovamento, con distruzione meccanica e/o chimica del vecchio cotico
 Trasemina o rinfittimento, senza distruzione meccanica o chimica del vecchio cotico
Tecnica della risemina
Questa tecnica è attuabile quando non ci sono fattori morfo-pedologici che impediscono la
lavorazione principale del suolo e successiva preparazione del letto di semina.
Poiché con questa tecnica viene sostituito un vecchio cotico erboso con uno nuovo occorre
contrastare al massimo la presenza d’infestanti.
Ciò si ottiene nei seguenti modi:
 anteponendo alla lavorazione principale del suolo un trattamento con diserbanti non
residuali: vedi p.a. glifosate, MCPA, MCPP, Dicamba, Asulon, ecc..
 lavorando il suolo tempestivamente
 all’inizio del primo anno, effettuare un taglio di pulizia per favorire il buon
insediamento delle piante.
Una procedimento di risemina, adatto in particolare ad ambienti montani e su suoli sciolti
e poveri di scheletro, è il sod-seeding che, schematicamente, si basa sui seguenti punti:
 disseccamento con diserbanti del vecchio cotico quando è in attività forte attività
vegetativa
 concimazione di pre-semina con circa 30-40 kg ha-1 di N e 100-120 kg ha-1 di P2O5
e K2O
 lavorazione del suolo con macchina operatrice tipo l’erpice a dischi in modo da non
invertire gli strati del suolo e frantumare bene l’erba disseccata
 semina del miscuglio a spaglio con distributore centrifugo
 leggera erpicatura con erpice a denti per interrare il seme
406
 rullatura per facilitare il contatto dei semi con il suolo per facilitare e velocizzare la
loro germinazione ed emergenza.
Queste operazioni possono essere fatte nel periodo primaverile-estivo in tutti gli ambienti
dove dopo la semina le condizioni termiche sono buone e la quantità di pioggia è discreta e
ben distribuita.
In ambienti con scarsità di piogge primaverili-estive il diserbo potrebbe essere sostituito
dalla trinciatura dell’infestanti a fine estate per poi effettuare le semine nel periodo
primaverili successivo sfruttando l’effetto pacciamante dei residui delle infestanti per
favorire l’emergenza del nuovo cotico.
Il pericolo della tecnica della risemina è che, talvolta, per errori di valutazione, il
miscuglio usato non è adatto al biotopo in oggetto per cui si può sostituire ad un vecchio
cotico uno nuovo con stesse caratteristiche produttive e qualitative se non addirittura
peggiori.
Tecnica della trasemina
La trasemina è usata quando per limiti pedo-morfo-climatici la risemina non è attuabile.
Questa tecnica si basa nel traseminare specie foraggere nel vecchio cotico degradato senza
che questo venga distrutto. La trasemina, per aver successo, deve prevedere che:
 sia possibile la distribuzione di circa 30-40 kg ha-1 di N e 100-120 kg ha-1 di P2O5e K2O
 le specie traseminate siano rapide nella germinazione e nella conquista della spazio ma
non molto aggressive.
 la trasemina sia effettuata in una stagione con condizioni climatiche che diano la
possibilità di buon affrancamento delle foraggere e che la competizione con quelle del
vecchio cotico sia limitata: ad es. nel meridione in autunno e nel settentrione in primavera.
 la trasemina sia possibile farla a file con seminatrici con falcioni rostrati o sia possibile
l’uso di macchinario per scarificare o incidere superficialmente il suolo del vecchio cotico
come ad es. gli erpici a dischi o i rulli chiodati.
 sia possibile fare le operazioni di semina con suolo relativamente umido in modo da
avere una germinazione e un’emergenza delle nuove foraggere elevata e veloce.
 sia possibile effettuare una leggera rullatura post-semina in direzione perpendicolare
alle incisioni superficiali del suolo o il passaggio degli animali post-semina per facilitare
l’interramento e l’aderenza del seme al suolo.
 sia possibile effettuare un controllo della vegetazione preesistente con un pascolamento
anticipato o con uno sfalcio precoce.
La trasemina ha il pregio, rispetto alla precedente, che se le specie foraggere traseminate
non attecchiscono rimangono quelle del vecchio cotico che, anche se non di buona qualità,
forniscono sempre una certa biomassa foraggera.
Non essendoci delle regole fisse circa le foraggere da traseminare, data la grandissima
variabilità degli ambienti pedo-cimatici italiani, è da evidenziare che:
 le leguminose sono importanti sotto l’aspetto produttivo e qualitativo specie negli
ambienti caldi e siccitosi dell’Italia centrale e meridionale.
 le graminacee, sono importanti per la loro maggior longevità, per assenza di
meteorismo negli animali che l’utilizzano, per la resistenza al calpestamento e per il loro
potere antierosivo.
Anche se, in genere, la tecnica della trasemina si effettua con graminacee e leguminose,
l’uso di sole leguminose è proponibile quando il cotico è già ricco di graminacee o quando
si vuole aumentare l’apporto proteico mentre l’uso di sole graminacee è proponibile

407
quando il cotico è già ricco di leguminose o quando si vuole aumentare l’apporto
energetico ultra-precoce o ultra-tardivo.
Nelle tecniche di risemina e trasemina il miscuglio usato è, spesso, di tipo oligofita con 2-3
leguminose e 1-2 graminacee rappresentate da cv. o ecotipi costituite o selezionati in
ambienti non diversi da quello dove introducono per evitare l’inquinamento genetico delle
specie locali.
Il miglioramento quali-quantitativo della produzione di biomassa foraggera delle aree
pascolive oltre con tecniche citate si può effettuare semplicemente tramite la scarificatura,
il riposo temporaneo e il pascolamento differito nel tempo.
Con la scarificatura si ha un “ringiovanimento” del pascolo per gli effetti benefici sulla
ferititi agronomica del suolo.
Con il riposo temporaneo di piccole porzioni del pascolo si favorisce la disseminazione
spontanea delle specie foraggere migliori presenti in questo.
Con il pascolamento differito nel tempo di porzioni del vecchio cotico erboso con buone
specie foraggere tramite il loro utilizzo come “foraggio in piedi” si determina la caduta dei
semi formati e il loro interramento per il calpestamento animale.
Metodi per la conservazione del foraggio
I metodi di conservazione del foraggio sono tre: fienagione, insilamento e disidratazione.
È stimato che circa l’80-85 % delle U.F. utilizzate dagli animali tramite piante foraggere è
sotto forma di fieni e insilati.
La fienagione e la disidratazione sono dei mezzi di conservazione per via secca o fisica,
mentre l’insilamento è un mezzo di conservazione per via umida o microbiologica.
Tutti i tre metodi portano, pur in modo diversificato, ad una diminuzione della s.s. e del
valore nutritivo del foraggio rispetto a quando era allo stato verde.

Conservazione per fienagione.


La fienagione è un sistema di conservazione si basa sull’abbassamento della quantità di
acqua nei tessuti vegetali fino ad inibire l’attività dei microrganismi. È il sistema più
antico e circa 80-85% dei foraggi conservati si basa su questo metodo .
Con la fienagione classica il foraggio viene tagliato quando ha circa 80-75 % in peso
d’acqua e permane in campo fino a quando questa scende a circa 15 %. Il prodotto così
ottenuto detto fieno viene poi trasporto e deposito in appositi locali detti fienili.
Andando nei particolari le fasi della fienagione sono:
 falciatura
 rivoltamenti dello sfalciato
 andature dello sfalciato
 raccolta del fieno con macchine auto-caricanti alla rinfusa o con macchine lo
raccolgono
in balle o in rotoballe
 trasporto e immagazzinamento del fieno nel fienile.
Falciatura
Premettendo che durante la falciatura è bene usare macchine con strutture anteriori,
dette barre di involo, per avvertire i selvatici presenti nel campo dell’operazione in corso,
in modo da spostarsi e non essere uccisi, le falciatrici impiegate possono essere: con lama
oscillante e controlama fissa, con doppia lama oscillante, a tamburi ruotanti, a dischi.
Di seguito figure delle varie falciatrici.
408
Falciatrice con lama oscillante e controlama fissa

Lama

Falciatrice a doppia lama oscillante: rispetto alla lama semplice a parità di lunghezza è
più leggera, ha meno rischio di ingolfamento e ha una velocità di avanzamento più
elevata di circa il 20-30 %.

Nelle falciatrici a lame quest’ultime possono avere bordi lisci o dentati. Quelle a bordi
dentati sono per foraggi grossolani.

409
Falciatrici

Rivoltamenti dello sfalciato


I rivoltamenti dello sfalciato, che servono per uniformarne il suo essiccamento, si attuano
con ranghinatori-voltafieno. Questi possono essere: a forche , obsoleti e poco usati; a
ruote folli o a stella, semplici e veloci nel lavoro; a pettine; a catena veloci nel lavoro; a
girello. Ranghinatore a forche

Ranghinatore a ruote folli o a stella

Ranghinatore a pettine

410
Ranghinatore a catena

Ranghinatore a girello

L’andanatura dello sfalciato


L’andanatura dello sfalciato si opera con i ranghinatori-voltafieno ora citati eccetto quelli
a forche.
Formazione delle andane con ranghinatore a girello

411
Cosa importante durante tutte queste fasi della fienagione è devitalizzare le cellule nel più
breve tempo possibile in modo da ridurre al minimo i fenomeni respiratori ed enzimatici,
che portano a riduzione di s.s. e valore nutritivo e a ridurre il tempo di permanenza dello
sfalciato in campo sfuggendo così ai relativi danni dovuti a cattivo tempo.
La fienagione porta sempre ad una perdita del valore alimentare del foraggio.
Questa perdita è dovuta a:
 respirazioni cellulari, che cessano quando la % di acqua dell’erba tagliata non scende
sotto circa il 40%
 alle modalità operative della fienagione che possono causare più o meno perdite foglie,
steli, ecc (le maggiori perdite sono, ad es. , nelle leguminose, specie nel periodo estivo ,
rispetto alle graminacee dato la maggiore differenza di velocità d’essiccamento tra foglie e
steli e per la facilità di distacco delle foglioline); dall’umidità relativa dell’aria; dalla
famiglia botanica cui appartengono le foraggere (ad esempio leguminose perdono acqua
più lentamente delle graminacee per maggior grossezza degli steli).
 A fermentazioni in fienile dovute a sviluppo di microrganismi come lieviti, muffe e
batteri che metabolizzano zuccheri e proteine contenuti nel fieno.
La diminuzione del valore alimentare del foraggio connessa alla fienagione in campo in
genere è dovuta a: perdita di s.s. (da circa il 15% fino al 40% in cattive condizioni
atmosferiche); perdita del valore nutritivo (da circa il 25% fino al 40% in cattive
condizioni atmosferiche); perdita di digeribilità ( da 25% fino al 30-40% in cattive
condizioni atmosferiche)
La fienagione dura in genere circa 3-4 giorni ma può ridursi a 2 giorni in estate come
allungarsi a 5-6 giorni durante le primavere umide, fresche e poco ventilate.
Per abbreviare la fienagione, e quindi ridurre le perdite del valore alimentare, occorre:
 falciare dopo che rugiada è scomparsa
 rivoltare 1 o 2 volte la massa dello sfalciato durante il giorno
 riunire lo sfalciato in andane la sera ridurre la sua esposizione alla rugiada notturna
 se piove non disfare le andane per evitare che lo sfalciato, aumentando la sua
superficie esposta, sia sottoposto ad dilavamento di sostanze nutritive
 dopo una pioggia disfare l’andana appena è possibile per evitare fenomeni fermentativi
e di marcescenza.
In luoghi umidi, come in alcune aree alpine, per facilitare l’essiccamento dell’erba falciata
si usa la tecnica della fienagione verticale .
Questa tecnica consiste nel mettere lo sfalciato su cavalletti o fili tesi sopra terra dopo che
è stato sottoposto ad un pre-appassimento fino al 30-40% di acqua. Ovviamente è un
metodo che richiede molta manodopera e molto tempo per raggiungere una umidità
accettabile per la conservazione: circa 7-8 giorni oltre quelli necessari al pre-appassimento
dello sfalciato.
Fienagione verticale

412
Un valido sistema, per abbreviare la fienagione, è quello che prevede l’uso della macchina
schiaccia-condizionatrice abbinata alla falciatrice.
La schiaccia-condizionatrice è una macchina costituita da un rullo e un contro-rullo liscio
o scanalato che schiaccia gli steli del foraggio facilitando l’evaporazione dell’acqua in
questi contenuta riducendo così il tempo di essiccamento:anche 1 solo giorno nel periodo
estivo.
Schema di funzionamento sul quale è basata la schiacciatricia-condizionatrice.

I diversi tipi di rullo per il condizionamento del foraggio

Fieno di erba medica normale Fieno di erba medica condizionata

Altro metodo per ridurre il tempo di permanenza in campo è quello di far pre-appassire il
foraggio in campo completando l’essiccamento in fienile.
Ovvero lasciando lo sfalciato in campo per circa 1 o 2 giorni fino a quando la quantità di
acqua nei tessuti e circa 40-50% e poi portare la massa semi-affienata, raccolta alla
rinfusa tramite un carrello autocaricante o raccolta in balle a bassa densità o in rotoballe

413
a nocciolino soffice in fienili con camini d’areazione per sottoporla a ventilazione
artificiale.
Ventilazione artificiale fatta con aria fredda o calda per circa 1 settimana per arrivare ad
una umidità del fieno di circa il 12-15 %.
In questo modo per la breve permanenza in campo si ha un recupero, rispetto al fieno
normale, di circa il 10-15% di s.s., circa il 15-20% di proteine, circa il 20-25% di valore
nutritivo e circa il 10-20% di digeribilità.
Poiché è un metodo che richiede energia, è economicamente proponibile solo in ambienti
freddo-umidi e/o per il primo taglio primaverile e l’ultimo autunnale in ambienti normali.

Raccolta del fieno


La raccolta del fieno si fa con:
 macchine pressafieno con formazione di balle con forma a parallelepipedo che possono
essere
 a bassa densità (50-75 kg m3), indicate per fieno semi-essiccato con circa il 50%
umidità, che successivamente o permarranno in campo o saranno trasportate in fienile
con “ventilazione artificiale” per terminare l’essiccazione.
 a media densità (75-175 kg m3) per fieno con circa il 25% di umidità
 ad alta densità (175-200 kg m3) per fieno con, al massimo, circa il 18% di umidità
Il relazione a quanto sopra la singola balla può avere un peso da circa 30 a circa 50 kg.
Queste sono macchine sempre meno usate.

414
 Macchine pressafieno rotoimballatrici o rotobaler con formazione di rotoballe
cilindriche dal peso di diverse centinaia di kg: sono macchine sempre più usate.
Con le rotoimballatrici la raccolta del fieno è molto più veloce alle raccogli-imballatrici
pressafieno a parallelepipedo.
Le rotobaler sono adatte per aree con pendenza lieve per il problema di stabilità sia della
macchina che delle balle cilindriche poiché sono molto pericolose se rotolano a valle.
Il peso delle rotoballe varia da circa 500 a circa 800 kg in base al tipo di balla e di fieno.
Infatti vi sono tre tipi rotoballa:
⌦con “cuore o nocciolino duro” prodotta da una macchina con camera di compressione
variabile, adatta per fieni secchi
⌦con “cuore o nocciolino soffice” prodotta da macchina con camera di compressione
fissa, adatta per fieni ancora umidi
⌦con “cuore o nocciolino intermedio” prodotta da una macchina con camera di
compressione variabile ma che porta alla formazione di una rotoballa intermedia alle due
precedenti adatta per fieni quasi secchi.
La facilità dell’essiccazione del fieno, fatta in campo come “rotoballa”, dipende dalla
sofficità del nucleo centrale: più è soffice e più è veloce e facile.

Rotoimballatrice a nocciolino tenero

Rotoimballatrice a
nocciolino intermedio

Rotoimballatrice a nocciolino duro

Conservazione per insilamento.


Questo sistema di conservazione per via umida o microbiologica si basa sulla creazione di
un ambiente asfittico e acido nella biomassa vegetale tale da preservala da deterioramenti
nel tempo.
Questa tecnica viene utilizzata:
 per trinciati di mais, sorgo, orzo, frumento, erbai bifiti, oligofiti o polifiti, ecc.. .
Il trinciato è fatto con macchine trincia-caricatrici che possono essere semoventi, trainate
e portate.

415
Macchina trincia-caricatrice semovente Macchina trincia-caricatrice trainata

Il trinciato deve essere in pezzi di 1-2 cm di lunghezza: tanto più piccoli quanto più è alta
la s.s. del tessuto vegetale.
Questo per facilitare il costipamento della massa nel silo allontanare l’aria dalla massa e
quindi consentire un regolare svolgimento del processo fermentativo (vedi oltre).
Cosa importante è che il trinciato deve avere una quantità di s.s. pari a circa il 35 % e un
rapporto proteine-carboidrati più possibile prossimo al rapporto 1:1.
 per foraggere non trinciate, anche leguminose, raccolte, previo pre-appassimento in
campo, in rotoballe fasciate con teli di plastica.
La formazione dell’insilato prevede, in ordine cronologico, le seguenti fasi:
 caricamento della biomassa vegetale nel silos, sua compressione per allontanare l’aria
e
suo isolamento dall’esterno nel modo più ermetico possibile
 respirazione dei tessuti vegetali con consumo O2 e produzione di C2O
 processi autolitici e enzimatici a carico della S.O. con produzione di alcool, aldeidi,
acidi
organici tipo piruvico e lattico.
 inizio fermentazioni microbiche nel seguente ordine:
1°) fermentazione acetica dovuta a batteri coliformi che dura circa 2-3 giorni
2°) fermentazione lattica dovuta a batteri lattici o lattobacilli che inizia dopo circa 3 giorni
dall’insilamento raggiungendo un massimo dopo 20 giorni dalla chiusura del silo
Con quest’ultima fermentazione si ha produzione di acido lattico che abbassa la massa
dell’insilato fino a circa pH 4 che permette la conservazione della biomassa vegetale.
Se l’insilamento è fatto male si hanno fermentazioni proteolitiche e/o butirriche con
alterazione qualitativa e sanitaria del prodotto fino a sua totale perdita.
Se l’insilamento è fatto bene le perdite del valore nutritivo della biomassa vegetale non
superano circa il 10%.
Per evitare processi fermentativi anomali nella biomassa trinciata o comunque per avere
un buona fermentazione è razionale seguire almeno una di queste indicazioni :
 fare un pre-appassimento di 1 giorno in campo in modo da raggiungere, come prima
citato circa il 35% di s.s. nei tessuti vegetali: azione fondamentale per l’insilamento delle
leguminose e molto importante per l’insilamento dei miscugli foraggeri ricchi di
leguminose.
 irrorarla con acido formico o con acido propionico. La quantità d’acido formico da
distribuire per le graminacee è circa lo 0,25-0,30 % del tal quale raccolto ovvero 2,5-3 l t-1
e per leguminose circa lo 0,35-0,40% del tal quale raccolto ovvero 3,5-4 l t-1.
416
L’acido formico non deve superare queste quantità per il pericolo di perdita di valore
nutritivo dell’insilato e possibilità di acidosi nel negli animali.
 aggiungere nel foraggio trinciato, dopo questo ha subito un pre-appassimento di circa
1 giorno in campo, fermenti lattici e/o emicellulosolitici per favorire la produzione di acido
lattico.
Per migliorare il valore nutritivo dell’insilato all’atto della sua costituzione la biomassa
può essere arricchita con:
 melasse o polpe di barbabietola da zucchero esaurite, ecc.. , specie se di leguminose,
per aumentare il quantitativo glucidico.
 urea, se di graminacee, alla dose di circa 1-1,2 kg per 100 kg di s.s. , per incrementare
la % di N totale dell’insilato

I silos possono essere a:


 “torre” con pareti, a sviluppo verticale e sezione circolare, con caricamento e
desilamento automatico

 “trincea”, con pareti in cemento armato, a sviluppo orizzontale, con caricamento e


desilamento non automatico.

417
 “platea” senza pareti, pavimentazione in cemento o in terra battuta, con caricamento e
desilamento non automatico.

Nei silos a trincea e platea il trinciato deve essere ben pressato con passaggi della trattrice
e deve essere coperto con un telo in PVC nella stessa giornata di formazione.
Per maggiore sicurezza di conservazione dell’insilato che utilizza questi ultimi due tipi di
silos è molto utile, se non talvolta fondamentale, la distribuzione nella biomassa di
sostanze acidificanti o di fermenti lattici e/o emicellulosolitici.

Altro sistema di conservazione per via umida o microbiologica, come in precedenza citato,
è quello di conservare il foraggio semi-appassito con circa il 50-55% di umidità, in
rotoballe avvolte, il più ermeticamente possibile, in un telo di plastica (il PVC verde chiaro
e nero sono tra quelli più usati) all’interno delle quali si svolge una fermentazione uguale a
quella che avviene nei classici silos.
Questo sistema è sempre più utilizzato per la conservazione della produzione dei prati e
prati-pascoli delle aree collinari e montane. Questa tecnica infatti non ha bisogno di
trinciatura, non prevede nessuna struttura fissa, permette la conservazione di “piccole”
quantità di foraggio ed è veloce nell’esecuzione. Questa sistema di conservazione è utile
perché si possono aprire le “balle d’insilato”, dette talvolta dai pratici “caramelle”, solo
quando gli animali hanno bisogno di alimenti evitando così pericolosi processi post-
fermentativi.
Conservazione del foraggio semi-appassito in rotoballe avvolte in telo di PVC verde chiaro.
Alpe di Susi, Alto Adige, ≅ 2000
2000 m s.l.m

418
Conservazione per disidratazione.
La disidratazione consiste nel rapido essiccamento artificiale del foraggio, fino a circa il
10% di umidità con minima riduzione del suo valore nutritivo.
Questo metodo di conservazione ha iniziato a diffondersi dopo il 1950 per l’erba medica.
Fino alle crisi petrolifere degli anni 60 e 70 l’erba medica, veniva disidratata subito dopo il
taglio, così da subire minime perdite di zuccheri, proteine e caroteni. In questo modo il suo
valore nutritivo iniziale veniva conservato per circa il 90%. Ciò comportava però un
grande consumo di energia poiché molta era l’acqua da far evaporare per unità in peso di
prodotto.
La crisi energetica ed il conseguente aumento del prezzo del petrolio portò poi, per motivi
economici, ad effettuare un pre-appassimento dell’erba medica in campo anche a costo di
subire un certo peggioramento qualitativo del prodotto.
Questa tecnica si rilevò valida perché portò ad un disidratato con caratteristiche nutritive
simili al precedente tanto che rimase in uso.
Gli impianti di disidratazione oggi sono quasi totalmente ad alta temperatura.
Questi sono costituiti da un grosso tamburo rotante inclinato nel quale l’erba trinciata, a
circa 3-5 cm di lunghezza, viene investita da una corrente di aria calda a circa 900-1200
°C che porta ad un rapidissimo essiccamento: bastano circa 1-2 secondi per le foglie e al
massimo circa 2-3 minuti per gli steli.
In via di abbandono sono gli impianti disidratanti a “bassa temperatura” ovvero con
corrente di aria calda a circa 150-200 °C che investe l’erba circa 30 minuti.
Una volta essiccata l’erba viene raffreddata, sfarinata e pellettata: i pellet sono cilindretti
di farina di medica super compressi di 1-2 cm di lunghezza.
Talvolta l’erba medica sfarinata viene compressa in formelle di circa 6-8 cm di lato.
In linea generale la conservazione tramite:
 insilamento conviene per le produzioni foraggere primaverili e autunnali
 fienagione conviene per le produzioni foraggere estive
 disidratazione conviene economicamente per l’erba medica, per ottenete un prodotto
altamente proteico e vitaminico utile, in particolare, nell’alimentazione dei monogastrici.

Foraggere arbustive e arboree


Il crescente interesse foraggero per alcune specie arbustive e arboree deriva dalla loro
capacità di vegetare in condizioni di deficit idrico pronunciato e prolungato, di
sopravvivere a temperature estreme, di valorizzare ambienti con suoli caratterizzati da
marcati fattori fisici e chimici limitanti, di avere un apparato aereo e radicale contrastante
l’erosione e, non ultimo per importanza, di avere un discreto valore alimentare.
Queste caratteristiche evidenziano l’elevate potenzialità delle foraggere arbustive e
arboree nelle aree marginali dato la loro funzione di protezione del suolo, miglioramento
degli habitat naturali, aumento della stabilità dell’ecosistema e di sostentamento degli
animali domestici e della fauna selvatica.
In alcuni ambienti le piante arbustive e arboree rappresentano l’unica fonte
d’approvvigionamento foraggero, mentre in molti altri contribuiscono ad integrare le
risorse alimentari erbacee nei periodi di carenza della produzione di biomassa.
Altre funzioni delle foraggere arbustive, che possono essere definite “accessorie” sono:
costituzione di siepi, produzione di frutti per l’alimentazione umana, fonte di nettare per

419
le api, materiale per l’estrazione di componenti per uso farmaceutico o industriale, fonte
di legna da ardere.
Tra le foraggere arbustive e arboree sono da evidenziare, non per ordine d’importanza:
Acacia albida, Acacia aneura, Acacia cyanophylla, Acacia salicina (acacia, Famiglia
Leguminose); Acer negundo (acero minore, Famiglia Aceracee); Amorpha fruticosa
(indaco bastardo, Famiglia Leguminose); Arbutus unedo (corbezzolo, Famiglia Ericacee);
Atriplex canescens, Atriplex cynerea, Atriplex halimus, Atriplex hymenelytra, Atriplex
lentiformis, Atriplex nummularia, Atriplex repanda , Atriplex vesicaria (atriplice, Famiglia
Amarantaceae o Chenopodiceae); Celtis australis, (bagolaro comune, Famiglia Ulmacee);
Ceratonia siliqua (carrubo, Famiglia Leguminose); Erica multiflora (scopa, Famiglia
Ericacee); Gleditsia triacanthos (spino di giuda, Famiglia Leguminose); Medicago arborea
(erba medica arborea, Famiglia Leguminose); Morus alba , Morus nigra (gelso bianco e
gelso nero, Famiglia Moracee); Myrtus communis (mirto, mortella, Famiglia Mirtacee);
Olea oleaster (oleastro, Famiglia Oleacee); Opuntia ficus-indica var. inermis (fico d’india
inerme, Famiglia Cactacee); Ostrya carpinifolia, (carpino nero, Famiglia Coriacee);
Phillyrea spp. (fillirea, Famiglia Oleacee); Pistacia lentiscus (lentisco, Famiglia
Anacardiacee); Populus tremula, Populus alba, Populus nigra (pioppo tremulo, pioppo
bianco, pioppo nero, Famiglia Salicacee); Prunus dulcis (mandorlo, Famiglia Rosacee);
Quercus ilex, Quercus pubescens, Quercus suber, (leccio, roverella e sughera, Famiglia
delle Fagacee); Robinia pseudo-acacia, (robinia, Famiglia Leguminose); Spartium junceum
(ginestra odorosa, Famiglia Leguminose); Tilia cordata o parvifolia o sylvestris (tiglio
selvatico, Tiliacee), Vitis riparia e Vitis rupestris, (vite, Famiglia Vitaceae o Ampelidacee).
In relazione a quanto sopra brevissime alcune note sulle seguenti Specie.
Arbutus unedo o corbezzolo
Il corbezzolo è presente nella macchia mediterranea è si sviluppa su suoli con pH acido. In
particolare la s.s. delle foglie presenta circa il 7,5 % di proteine totali e circa il 66,4 % di
estrattivi inazotati. Oltre a ciò le foglie e i germogli di questa pianta sono molto ricchi di
carotene.
Ceratonia siliqua o carrubo
Il carrubo fornisce silique ricche di carboidrati ad alto valore energetico con semi ad
elevato contenuto proteico, utilizzabili dagli animali al pascolo quando cadono al suolo in
estate-autunno. Il carrubo inoltre, svolge un’importante funzione di protezione per gli
animali dall’insolazione durante le ore più calde.
Olea oleaster o oleastro
Le foglie e i germogli presentano un valore nutrivo complessivamente buono e un buon
contenuto di proteine, fosforo e calcio.
Quercus ilex, Quercus pubescens, Quercus suber o leccio, roverella, sughera.
Normalmente di queste querce vengono utilizzate dagli animali foglie e germogli ed in
autunno i frutti che cadano sul suolo.

Spartium junceum o ginestra odorosa


Nella ginestra, il contenuto proteico delle foglie e dei germogli fa registrare consistenti
riduzioni passando dalla primavera all’autunno.

Morus alba , Morus nigra o gelso bianco e gelso nero


420
Il gelso come fonte foraggera è stato provato nel grossetano in consociazione con il
Trifolium subterraneum e brachycalicinum. In questa consociazione il gelso, impiantato con
un sesto di 5 m tra le file e di 2 m sulla fila, è molto utile perché fornisce foraggio verde
nel periodo estivo quando il trifoglio sotterraneo non è presente come pianta.

Opuntia ficus-indica var. inermis o fico d’india inerme


Con questa varietà il fico d’india in Italia meridionale e nelle Isole durante il periodo
estivo è molto importante per le U.F. e per l’acqua che fornisce agli animali.

Atriplex canescens, l’Atriplex halimus, Atriplex hymenelytra, Atriplex lentiformis, Atriplex


nummularia, Atriplex repanda , Atriplex vesicaria , atriplice.
Sono tra gli arbusti foraggeri di interesse faunistico e zootecnico più interessanti
Il genere Atriplex comprende oltre 400 specie e alcune di esse possono sopravvivere in
condizioni di prolungato ristagno idrico, altre di estrema aridità, altre ancora in
condizioni di alte temperature (+50°C Atriplex lentiformis, Atriplex hymenelytra) e basse
temperature (-15°C Atriplex canescens).
Oltre a ciò gli Atriplex si adattano a moltissimi tipi di suolo ed alcuni mostrano particolare
tolleranza per i suoli salati. Le piante presentano una struttura variamente ramificata e
l’altezza che oscilla tra circa tra 0,5 m (Atriplex cynerea) ed oltre 3 m (Atriplex
lentiformis).
In genere le foglie presentano peli vescicolari con un elevato contenuto di cloruro di sodio
che si riduce con la rottura degli stessi per effetto dell’azione battente delle piogge.
Le produzioni dell’Atriplex variano in funzione della specie e dell’ambiente, ad esempio:
in Australia arbusteti impiantati e gestiti razionalmente le produzioni possono
raggiungere 2-3 t ha-l . In Sicilia in ambienti decisamente marginali sono state ottenute
produzioni da 0,8 a 1,2 t ha-l di sostanza secca edibile (foglie e germogli).
Il contenuto proteico oscilla tra il 10 ed il 20% della sostanza secca, ma non più del 50%
delle proteine sono digeribili anche se, talvolta, sono stati osservati valori di oltre il 70%.
La digeribilità della sostanza organica può variare ampiamente con la specie, lo stadio
fenologico e la stagione attestandosi nella maggioranza dei casi tra il 50 ed il 60%.

421
Le specie del genere Atriplex, che hanno livelli di appetibilità diversi (l’Atriplex vesicaria è
la più preferita dagli animali) generalmente povere in energia (2,5-4,0 MJ kg-l di s.s.).
Mediamente il valore energetico è il 50-60% di quello di una comune foraggera erbacea
Un carattere comune a tutte le specie del genere Atriplex è l’elevato contenuto in sali (15-
50% della sostanza secca delle foglie). Ciò limita l’utilizzazione del genere Atriplex da
parte degli erbivori che hanno una elevata tolleranza al consumo di alimenti ricchi di sali.
Prove di lunga durata condotte in Paesi del bacino del Mediterraneo hanno evidenziato
come gli ovini possano utilizzare fino a 2 kg di sostanza secca per capo per giorno senza
alcuna integrazione, mantenendo costante il peso vivo ed un generale buon stato di salute.
Altra caratteristica del genere Atriplex è l’elevato contenuto di come prolina, glicina-
betaina. Tali composti non vengono normalmente assimilati con la digestione bensì
vengono eliminati con le feci e le urine. Tuttavia in esperimenti condotti su larga scala è
stato accertato che gli animali usualmente alimentati con foraggio di Atriplex sviluppano
una flora microbica nel loro tratto digestivo che rende possibile l’assimilazione di questi
composti. L’utilizzazione di integratori alimenti ricchi di energia esaltando l’attività di
questa flora microbica aumentano la digeribilità del foraggio di Atriplex.
L’impianto dell’arbusteto di Atriplex può essere realizzato per seme o per talea.
L’impianto tramite seme, fatto a postarella con apposita seminatrice, prevede il
prelavaggio del seme per circa 4 ore allo scopo la percentuale di germinazione.
L’impianto per talea può essere realizzato o con la messa a dimora di 3 talee per
postarella (le % di attecchimento sono circa del 60%) o con talee di tre mesi di età,
radicate in fitocella (le % di attecchimento sono superiori al 90%).
La densità di piante ad ettaro varia ampiamente in rapporto alla piovosità. Ad esempio in
Australia in ambienti con piovosità con piovosità superiore a 250 mm annui sono stati
adottati sesti di impianto fino a 5 x 5 m con un controllo, nel primo anno d’impianto, delle
specie infestanti con lavori di scerbatura e/o pascolamenti con ovini in primavera.
L’epoca di impianto idonea sia per seme o con talea coincide con l’inizio del periodo
piovoso.
In alcune regioni (Nord Africa, ecc.) il mantenimento di una buona attività per la
produzione di biomassa edibile delle piante viene realizzata con tagli periodici delle
ramificazioni (ogni 3-5 anni) a 30 cm di altezza dal suolo.
L’utilizzazione nell’area mediterranea inizia normalmente al secondo anno di età anche se
in condizioni favorevoli per clima e suolo l’utilizzazione può essere avviata sin dal primo
anno.
In alcune regioni del Nord Africa a clima mediterraneo, il mantenimento di una buona
attività di produzione di biomassa edibile delle piante è ottenuta con tagli periodici delle
ramificazioni a 30 cm di altezza dal suolo ogni 3-5 anni.
L’arbusteto di Atriplex può potenzialmente colmare il periodo di deficit estivo della
foraggera, considerando che un buon contributo alla produzione può essere fornito dalle
specie erbacee spontanee presenti nell’arbusteto sotto forma di fieno in piedi, di entità
variabile in funzione della piovosità. L’utilizzazione nell’area mediterranea inizia
normalmente al secondo anno di età anche se in condizioni favorevoli per clima e suolo
l’utilizzazione può essere avviata sin dal primo anno.
Per ultimo è da evidenziare che in impianti recenti Atriplex questo è stato consociato con
la Medicago sativa o con graminacee prative. Tuttavia, a causa della più bassa appetibilità
dell’arbustiva, gli erbivori preferivano prima le specie erbacee e solo dopo il loro
esaurimento utilizzano il foraggio di Atriplex.

422
Medicago arborea, erba medica arborea.
La Medicago arborea, che appartiene alla Famiglia delle Leguminose, è una pianta
sempreverde poliennale, con durata di vita tra i 10 e i 30 anni, originaria del bacino del
Mediterraneo. La specie presenta elevata resistenza al caldo e alla siccità estiva avendo la
possibilità di entrare in una specie di stasi vegetativa: stasi vegetativa che poi viene
interrotta in coincidenza con i primi eventi piovosi di fine stagione. Contrariamente a ciò
la pianta ha una scarsa tolleranza alle basse temperature: prolungati periodi sotto lo 0°C
determinano, in genere, la morte della pianta. Tuttavia, nella specie è presente un’ampia
variabilità per la tolleranza al freddo valorizzabile con la selezione.
La Medicago arborea è sensibile al ristagno idrico prolungato che, nei terreni argillosi,
crea condizioni favorevoli allo sviluppo di marciumi radicali causa di morte della pianta.
Questa pianta si sviluppa bene su suoli derivati da rocce o sub-strati calcarei, anche poco
profondi e ricchi di scheletro e in ambienti dove cadono almeno 400 mm di pioggia annui.
Lasciata crescere liberamente può raggiungere circa 3-4 m di altezza assumendo un
aspetto arborescente.
La pianta è molto ramificata con le ramificazioni di 1° ordine che partono dalla superficie
del terreno. La radice della Medicago arborea è molto profonda. Le sue foglie, che sono
trifogliate con la fogliolina centrale peduncolata, hanno la caratteristica di cadere in
estate negli ambienti semi-aridi in coincidenza di pronunciata carenza idrica. Nelle foglie
è frequente la presenza di saponine il cui contenuto varia in funzione del
genotipo.Nell’ambito delle popolazioni dell’area mediterranea si ritrovano genotipi
saponino-assenti .
I fiori di questa pianta sono papilionacei, grandi circa 1-1,5 cm e di colore giallo. La
fioritura nell’area mediterranea inizia in ottobre o novembre e si protrae fino alla tarda
primavera-inizio estate.
Medicago arborea inizio fioritura Medicago arborea in fioritura

I frutti che derivano dalla fecondazione dei fiori, come le altre mediche erbacee, sono
baccelli. Questi di forma spiralata, appiattiti e lisci, anno la caratteristica di rimanere a
lungo sulla pianta ed essere utilizzati dagli animali al pascolo.
I semi dell’erba medica arborea hanno un aspetto reniformi. Il peso di 1000 semi oscilla
tra i circa 7 e i 9 g (circa 7-9 mg per seme).
Poiché è una pianta sempre verde il suo utilizzo con pascolamento è particolarmente utile
in estate e in inverno.
Per la creazione di un arbusteto di medica arborea si può optare o alla semina diretta in
campo o all’ piantamento di piantine da seme o da talea allevate in fitocelle.
La propagazione per talea, che può essere fatta in autunno o in primavera, raggiunge una
radicazione superiori all’80%. Per favorire l’affrancamento e lo sviluppo delle piante

423
risulta opportuno eseguire scerbature durante il primo anno per eliminare la
competizione della flora spontanea.
Risultati non soddisfacenti in Sicilia sono stati ottenuti con la semina diretta su suoli con
caratteri vertici a causa della competizione delle infestanti e per il lento sviluppo delle
piante durante le fasi iniziali nonché per danni da roditori.
La densità dell’arbusteto di medica arborea varia in funzione della disponibilità idrica e
delle caratteristiche del suolo: in impianti realizzati in Tunisia sono stati usati sesti di 3,5 x
1m
In Sicilia per impianti sperimentali di dimensione aziendale sono stati adottati vari sesti;
da 2,5 , 2 , 1 m x 1,5 m.
L’importanza della Medicago arborea nell’ambiente Mediterraneo ai fini dell’utilizzazione
foraggera deriva dalla sua pronta ripresa vegetativa dopo le prime piogge autunnali che
consente un pascolo precoce alla fine dell’autunno-inizio inverno.
A tale utilizzazione può far seguito un ulteriore pascolamento dei ricacci nella tarda
primavera, prima comunque della comparsa di consistenti processi di senescenza
dell’arbusteto
La specie è altamente appetibile e le ridotte dimensioni delle piante favoriscono
l’utilizzazione da parte degli animali.
Nell’ambiente mediterraneo, come in Italia meridionale, Spagna, Tunisia, gli arbusteti
sperimentali hanno prodotto tra circa 2 e 6 t ha-1 anno-1 di sostanza secca con buon valore
nutritivo: ad esempio il contenuto di proteine grezze nei tessuti vegetali in % sulla s.s.
oscilla tra il 22,1 nel periodo autunno-invernale e circa il 14,5 nel periodo primaverile-
estivo. Nei semi la proteina grezza supera il 30%. La digeribilità della sostanza organica
della Medicago arborea raggiunge valori di circa il 70%.
Acacia spp., acacia.
Il genere Acacia comprende specie originarie dell’Australia (Acacia cyanophylla e Acacia
aneura) e dell’Africa (Acacia salicina ed Acacia albida) che riescono a vegetare e dare
produzioni foraggere interessanti per la produzione foraggera in ambienti con piovosità
annuale tra i circa 200 e 400 mm. Le produzioni foraggere sono rappresentate dalle
foglie ed i germogli e i semi delle piante che presentano, in genere, elevato contenuto
proteico, ricchezza in sali e basso contenuto di carboidrati. Nelle foglie e nei semi
dell’acacia la presenza della mimosina, aminoacido ritenuto tossico per gli animali, non
sembra avere effetti negativi nei ruminanti in quanto viene degradata dalla flora del
rumine.
Le piante del genere Acacia solitamente si caratterizzano per avere taglia relativamente
alta, un tronco principale con grosse branche da cui si dipartono ramificazioni di vario
ordine con rametti più giovani portanti lunghe foglie lanceolate.
L’apparato radicale delle piante è molto sviluppato in profondità con presenza di
tubercoli dovuti a batteri azoto-fissatori simbionti.
I fiori del genere Acacia, papilionacei di forma globosa e di color giallo, sono riuniti in
racemi. L’impollinazione dei fiori è, in genere, entomofila. I frutti sono delle silique o
legumi, con semi piatti ovoidali di colore scuro. L’attività vegetativa delle piante del
genere Acacia è prolungata e nell’ambiente mediterraneo va dalla primavera a tutto
l’autunno.
Le informazioni sulla produttività del genere non sono molte. Per l’Acacia cyanophylla
sono state riportate, in Tunisia ed Israele in ambienti con piovosità annua compresa tra
200 e 400 mm, produzioni di sostanza secca di cira 2 t ha-l per anno. In Sicilia, in località
424
con piovosità di circa 500 mm annua, sono state ottenute, per l’Acacia cyanophylla,
produzioni medie di biomassa edibile di circa 5 t ha-1 con bassi contenuti in fibra grezza,
un contenuto di proteina grezza di circa 16% nelle foglie e circa 23% nei semi .
Produzioni più basse sembra fornire l’Acacia salicina che in Spagna ha prodotto una
quantità di biomassa inferiori a 1 t ha-1 per anno di sostanza secca.

Acacia cyanophylla
Acacia albida

425
Esercitazioni del modulo di Agronomia generale e Coltivazioni erbacee
Corso integrato “Gestione agronomica dell’agroecosistema”, Scienze Faunistiche.
N.B. tutti i vegetali di seguito riportati sono visibili utilizzando le apposite procedure dei
motori di ricerca presenti in rete: vedi, ad es. , in ordine alfabetico, Altavista, Google,
Yahoo, Virgilio, ecc.. .
Associazioni vegetali delle Alpi, degli Appennini e delle Isole.
Associazioni vegetali alpine
Nelle Alpi, al pari degli altri rilievi montuosi, la quota e il clima creano dei piani
altitudinali vegetazionali.
Nei rilievi alpini, partendo dal basso, questi possono essere così indicati.

1°. Piano basale, con campi coltivati e da boschi.

2°. Piano collinare, con vigneti, prati coltivati e boschi di latifoglie.

3°. Piano montano che inizia da circa 800-1.000 m s.l.m con boschi misti latifoglie e
aghifoglie.

4°. Piano subalpino, che inizia da circa 1600-2.000 m s.l.m, diviso in:
4a = piano subalpino inferiore con boschi di aghifoglie che dai 1600-2.000 m s.l.m si
estende fino al limite superiore delle formazioni arboree d’alto fusto;
4b = piano subalpino medio caratterizzato da piante arboree nane tipo Pinus mugo o pino
mugo;
4c = piano subalpino superiore caratterizzato da piante legnose cespugliose basse tipo
Arctostaphylos uva-ursi o uva orsina e Vaccinium vitis-idaea o mirtillo rosso.

5°. Piano alpino, che inizia da circa 2.300 m s.l.m, caratterizzato da piante erbacee dalle
praterie alpine.

6°. Piano subnivale, che inizia da circa 2.600-2.800 s.l.m, caratterizzato da piante erbacee
“pioniere”.

7°. Piano nivale caratterizzato da piante erbacee pulvinate e dalle crittogame tipo muschi,
licheni ed alghe.

426
Prati, prati-pascoli e pascoli prealpini e alpini naturali
Le modalità secondo cui sono stati definiti i prati, prati-pascoli e pascoli naturali sono
diverse.
Semplicemente questi si possono definire come fitocenosi la cui fitomassa viene o raccolta
dall’uomo e poi distribuita agi animali o utilizzata parzialmente in modo diretto dagli
animali o utilizzata totalmente in modo diretto dagli animali.
Per definire in modo più completo queste fitocenosi è necessario anche considerare: la
loro composizione floristica e la loro origine.
In relazione alla composizione floristica è da evidenziare come questa è importantissima
poiché influenza l’aspetto quanti-qualitativo dell’offerta di biomassa vegetale.
A tale riguardo è da sottolineare che la composizione floristica delle tre fitocenosi prima
citate è dovuta principalmente all’interazione di tre processi selettivi dovuti alle
caratteristiche pedoclimatiche, all’azione svolta dalle specie tra di loro, alle modalità di
utilizzazione da parte degli animali
Tra le caratteristiche pedologiche responsabili della differenziazione delle fitocenosi è da
evidenziare il tipo e la disponibilità quanti-qualitativa degli elementi nutritivi nel suolo
Circa l’origine delle fitocenosi queste possono essere distinte in:
1) presenti sotto il limite della vegetazione arborea formate a seguito del disboscamento.
2) presenti a quote oltre il limite della vegetazione arborea.
Semplificando nelle pre-Alpi e nelle Alpi le risorse foraggere naturali sono costituite dai:
⌦prati, prati-pascoli e pascoli di valle
⌦prati, prati-pascoli e pascoli di mezza montagna situati tra i 1.000 e i 1.500-1.700 m
⌦pascoli di alta montagna che dai 1500-1.700 si spingono fino ai 2.500 m ed oltre
coincidendo con le ultime manifestazioni della vegetazione erbacea.
427
In particolare nelle zone più basse queste associazioni si inframmezzano ai boschi
risultando così arborate o cespugliate.
Lo studio della vegetazione nella sua composizione e i suoi rapporti con i fattori
ambientali si basa sulla fitosociologia.
Braun-Blanquet ha proposto che l’abbondanza e la dominanza delle specie di
un’associazione vegetale sia rappresentata da seguenti valori e simbolo:
5: per tutte le specie che ricoprono almeno il 75 % della superficie del rilievo;
4: per percentuali di ricoprimento comprese tra 50 e 75 %;
3: per percentuali di ricoprimento comprese tra 25 e 50 %
2. per percentuali di ricoprimento comprese tra 5 e 25 %
1: per percentuali di ricoprimento comprese tra 1 e 5 %
+: per specie che hanno una percentuale di ricoprimento inferiore all'1 %.
Pignatti ha proposto che l’abbondanza e la dominanza delle specie di un’associazione
vegetale sia rappresentata da seguenti valori, simbolo e lettera:
5: per coperture tra 80 e 100 %;
4: per coperture tra 60 e 80 %;
3: per coperture tra 40 e 60 %;
2: per coperture tra20 e 40 %;
1: per coperture tra 1 e 20 %;
+: per coperture trascurabili;
r: per specie rare con pochissimi individui e di copertura trascurabile.
In relazione a quanto ora riassunto e schematizzato nei confronti di un raggruppamento
vegetale o associazione vegetale o unità fitosociologia la/e specie può/possono essere
detta/e: caratteristica/che (s.c.) quando esclusiva/e di un certo raggruppamento;
preferente/i (s.p.) se vi si trova/no con una frequenza maggiore rispetto a quelle
riscontrate in altri aggruppamenti; indifferente/i (s.i) se è/sono presente/i anche in altri
raggruppamenti senza apparenti significati ecologici;
In relazione alla gerarchizzazione delle unità fitosociologiche, si hanno: Alleanze,
costituite da due o più associazioni individuata per specie caratteristiche comuni; Ordini:
complesso di alleanze; Classe che riunisce in se più ordini.
Le regole per denominare le singole unità fitosociologiche sono le seguenti.
Per denominare l’associazione è utilizzato il tema della denominazione latina di genere
della specie caratteristica con aggiunto il suffisso “-etum”, mentre il suffisso specifico della
nome latino della specie segue declinato al genitivo, per esempio l'associazione a Caulerpa
prolifera sarà denominata Caulerpetum proliferae. Per l’alleanza si utilizza il suffisso “-
ion”; per l'ordine il suffisso “-etalia” per la classe il suffisso “-etea”.
Principali associazioni vegetali naturali delle Alpi.
Elencando schematicamente le più importanti associazioni vegetali di interesse zootecnico-
faunistico alpine, che si estendono da circa 800 ad circa oltre 3.000 m s.l.m. di quota, si
riporta quanto segue.
 Brometi, fino a 700-900 m s.l.m. (falciabili)
 Arrenatereti fino a 700-900 m s.l.m. (falciabili)
 Lolio-cinosureti di bassa quota fino a circa 1.000 m s.l.m. e media quota fino a circa
1.000-1.300 m s.l.m. (falciabili)
428
 Festuco-cinosureti da circa 900 fino a circa 1.600 m s.l.m. (falciabili)
 Triseteti fino a circa 1.200-1.800 m s.l.m. (falciabili)
Circa 1.500-1.800 m
Triseteti s.m.
Festuco-cinosureti
Lolio-cinosureti
Brometi
Arrenatereti
Circa 700-900 m s.l.m.
Brometo, s.c. Bromus erectus L. (Graminacee): associazione vegetale di media qualità
foraggera che giunge fino a 700-900 m s.l.m.
Il Brometo ha come specie caratteristica (s.c.) il bromo dei prati (Bromus erectus) e si
localizza su suoli poco fertili di bassa montagna.
Si riscontra particolarmente nelle pre-Alpi e nelle vallate centro alpine dove costituisce un
associazione vegetale di mediocre qualità assieme alle specie preferenti (s.p.) Festuca
rupicola o Festuca valesiaca (Graminacee), Salvia pratensis (Labiate), Prunella grandiflora
(Labiate), Anthyllis vulneraria (Leguminose), Dianthus carthusianorum (Cariofillacee),
Brachypodium spp. (Graminacee) come il B. silvaticum, B. distiachyum, B. pinnatum , B.
retusum , B. boissieri , ecc. .
Il Brometo nelle aree più siccitose e carsiche ha un cotico poco compatto e prende il
temine di Xerobrometo. In questo si trovano le specie preferenti: Festuca ovina glauca
(Graminacee), Koeleria piramidalis (Graminacee), Koeleria gracilis, Teucrium chamaedris
(Labiate o Lamiaceae). Nelle aree pedo-climaticamente migliori il Brometo prende il
termine di Mesobrometo con presenza di s. p. : Anthyllis vulneraria (Leguminose), Orchis
morio (Orchidacee), Ophris apifera (Orchidacee), Ranunculus bulbosus (Ranuncolacee),
ecc.. . Talvolta il Mesobrometo si evolve per fertilizzazione o concimazione verso
l’Arrenatereto o, per eccessivo pascolamento, verso il Festuceto e il Cinosureto.
Arrenatereto, s.c. Arrhenatherum elatius L. (Graminacee): associazione vegetale di media
qualità foraggera che giunge fino a 700-900 m s.l.m.
L’Arrenatereto è un’associazione che si trova sui suoli di media fertilità delle zone
prealpine e alpine fino a 700-900 m s.l.m.
La s.c. dell’Arrenatereto è la Graminacea Arrhenatherum elatius o avena altissima.
Questa è una buona foraggera e solitamente è accompagnata da alcune Ombrellifere
invadenti come o sfondilio (Heracleum sphondylium) e la pimpinella maggiore (Pimpinella
major) come da altre buone foraggere: Trifolium repens, Trifolium pratense, Lathyrus
pratensis , Lotus corniculatus (Leguminose), Poa pratensis, Phleum pratense, Lolium
perenne (Graminacee) e Taraxacum officinale (Composite). Questa associazione costituisce
la maggior parte dei prati e prati-pascoli più bassi. Nelle zone un po’ più elevate
compaiono forme di transizione con il Triseteto, con abbondante presenza di Holcus
lanatus (Graminacee).
Lolio-cinosureto, s.c. Lolium perenne L. (Graminacee) e Cynosurus cristatus
(Graminacee): associazione vegetale di buona qualità foraggera di bassa quota (fino a
circa 1.000 m s.l.m.) e di media quota (fino a circa 1.000-1.300 m s.l.m.)
Le specie caratteristiche sono le graminacee Lolium perenne (Graminacea) e il Cynosurus
cristatus (Graminacea). A queste due si affiancano le s.p. Poa pratensis (Graminacea),
429
Trifolium repens (Leguminose) e nei Lolio-cinosureti più alti l’Alchemilla vulgaris
(Rosacee) e Carum carvi (Ombrellifere o Apiacee)
Festuceto-cinosureto, s.c. Festuca rubra subsp. Commutata o Festuca nigrescens
e Cynosurus cristatus (Graminacee): associazione vegetale di discreta qualità foraggera
fino a 900-1.600 m s.l.m.
Festuco-cinosureto è particolarmente diffuso su suoli discretamente profondi con reazione
da neutra a moderatamente acida. Quelle oltre alle s.c. Festuca rubra subsp. commutata o
Festuca nigrescens e Cynosurus cristatus (Graminacee) si trovano le s.p. Stellaria graminea
(Caryophillaceae), Trifolium repens (Leguminose), Dactylis glomerata (Graminacee), Poa
pratensis (Graminacee) Trifolium pratense (Leguminose), Leontodon hispidus (Composite o
Asteracee), Alchemilla vulgaris (Rosacee), Carum carvi (Ombrellifere o Apiaceae).
Triseteto, s.c. Trisetum flavescens L. (Graminacee): associazione vegetale di buona-media
qualità foraggera fino a 1.200-1.800 m s.l.m. di quota.
Il Triseteto è un’associazione analoga all’Arrenatereto cui solitamente succede salendo di
altitudine. Spesso questo si origina da un’associazione vegetale con buona presenza di
Holcus lanatus (Graminacea). Il Triseteto è tipico dei prati falciabili delle pendici
moderatamente umide e soleggiate, comprese fra i 1200 e i 1.500-1800 m s.l.m. nell’area
del faggio e delle conifere. In particolare il Triseteto si è originato dal disboscamento di
faggete e di conifere fatto in epoche passate.
La s.c. di questa associazione è il Trisetum flavescens (Graminacee) o avena d’oro o avena
bionda che sovrasta in altezza le s.p. : Festuca rubra o Festuca nigrescens (Graminacee) ,
Trifolium repens (Leguminose), Trifolium pratense (Leguminose), Trifolium montanum
(Leguminose), Poa alpina (Graminacee), Dactylis glomerata (Graminacee), Agrostis tenuis
(Graminacee), Bromus erectus (Graminacee), Campanula rhomboidalis (Campanulacee),
Campanula rotundifolia (Campanulacee), Campanula scheuchzeri (Campanulacee),
Geranium sylvaticum (Geraniacee), Taraxacum officinalis (Composite o Asteracee), Lotus
corniculatus (Leguminose), Knautia arvensis (Dipsacaceae), Leontodon hispidus
(Composite o Asteracee), Salvia pratensis (Labiate), Polygonum bistorta (Polygonacee),
Gallium verum (Rubiaceae), Daucus carota (Ombrellifere o Apiacee), Heracleum
sphondylium (Ombrellifere o Apiacee), Arnica montana (Composite o Asteracee) indice di
humus acido, Potentilla tormentilla o erecta (Rosacee) indice di humus acido, Trollius
europaeus (Ranuncolacee) indice di povertà chimica del suolo, Anthyllis vulneraria
(Leguminose) indice di povertà chimica del suolo, Thymus serpyllum (Labiate o
Lamiaceae) indice di suolo poco fertile e fresco, Ranunculus bulbosus (Ranuncolacee)
indice di suolo poco fertile e fresco, Luzula campestris (Giuncacee) indice di suolo poco
fertile e fresco, Polygonum bistorta (Polygonacee) indice di umidità del suolo ancora più
accentuato quando presenti anche Caltha palustris (Ranuncolacee), Carex spp.
(Ciperacee), Molinia coerulea o arundinacea (Graminacee)
Il Triseteto su suoli poco fertili e soggetto a eccessiva utilizzazione, in particolare con il
pascolamento, tra i 1.500-1800 e i 2.000 m s.l.m. di quota, si trasforma nelle seguenti
associazioni: Festuceto a Festuca rubra e Festuca violacea ; Poeto a Poa alpina; Cinosureto
a Cynosurus cristatus; Agrostideto ad Agrostis alpina e Agrostis rupestris

430
2.000 m s.l.m.
Poeto Cinosureto Agrostideto

Festuceto

1.500 1.800 m s.l.m.

Festuceto, s.c. Festuca rubra L. e Festuca violacea L. (Graminacee): associazione vegetale


di discreta qualità foraggera tra i 1.500-1.800 m fino a 2.000 m s.l.m. di quota .
Nei Festuceti a Festuca rubra e Festuca violacea vi sono delle s.p. come Dactylis glomerata
(Graminacee), Agrostis rupestris (Graminacee), Agrostis alpina (Graminacee), Poa alpina e
Poa bulbosa (Graminacee)Nella Poa alpina e Poa bulbosa i fiori possono essere normali
oppure, più frequentemente come nella Poa alpina var. vivipara, trasformati in gemme o
bulbilli, che cadendo sul terreno, radicano dando origine a nuove piante. Le specie
provvedono in tal modo alla loro diffusione in modo sicuro senza semi che, data la brevità
dell’estate alpina, spesso non maturano.
Poeto, s.c. Poa alpina L. (Graminacee): associazione vegetale di buona-media qualità
foraggera tra circa i 1.800- 2.000 m s.l.m di quota.
In particolare il poeto costituisce pascoli su suoli variamente evoluti con reazione neutra o
leggermente acida. La specie caratteristica di questa associazione è la Poa alpina
(Graminacea). Le ligule delle foglie superiori della Poa alpina sono membranacee, lunghe
circa 2,5-5 mm e lanceolate, quelle delle innovazioni sono lunghe circa 1-2 mm e tronche.
Tra le s.p. del Poeto si trovano Phleum alpinum (Graminacee), Festuca rubra o nigrescens
(Graminacee), Trifolium repens (Leguminose), Trifolium pratense (Leguminose), Agrostis
tenuis (Graminacee)
Cinosureto, s.c. Cinosurus cristatus L. (Graminacee): associazione vegetale di buona-
media qualità foraggera tra circa i 1.800-2.000 m s.l.m di quota.
La s.c. è la graminacea Cynosurus cristatus o coda di cane o covetta. Alcune s.p. del
Cinosureto sono:Trifolium repens (Leguminose), Trifolium pratense (Leguminose), Festuca
rubra (Graminacee), Dactylis glomerata (Graminacee), Poa pratensis (Graminacee),
Carum carvi (Ombrellifere o Apiaceae)
Agrostideto, s.c. Agrostis alpina L. e Agrostis rupestris L. (Graminacee): associazione
vegetale di buona-media qualità foraggera tra circa i 1.800-2.000 m s.l.m di quota.
A queste associazioni seguano, proseguendo oltre i 2.000 m s.l.m di quota, le associazioni
Leontodeto, Festuceto, Nardeto e Festuceto, indipendentemente ad tipo di roccia da cui si
è evoluto il suolo, il Curvuleto su suoli evoluti su rocce acuide e il Seslerieto-sempervireto,

431
Firmeto ed Elineto su suoli evoluti su rocce calcaree, come schematicamente esposto nella
nel seguente schema.

Suoli su rocce acide


Suoli su rocce calcaree
Circa 3.000 m s.l.m.
Curvuleto Elineto

Firmeto

Seslerieto-sempervireto
Festuceti

Nardeto

Festuceto

Leontodeto
Circa 2.000 m s.l.m.

Leontodeto, s.c. Leontodon hispidus L. , Leontodon pyrenaicus L. Leontodon autumnalis L.


Leontodon helveticus L. (Composite): associazione vegetale di buona qualità foraggera tra
circa 2.000- 2.300 m s.l.m di quota.
Oltrepassando i 2.000 si entra nel dominio dei veri pascoli alpini. L’associazione vegetale
migliore dei veri pascoli alpini è Leontodeto che si colloca tra circa i 2.000 e 2.300 m s.l.m
di quota. Questo può avere come s.c. i seguenti diversi leontodi: Leontodon hyspidus,
Leontodon pyrenaicus, Leontodon autumnalis, Leontodon helveticus (Composite o
Asteracee)
Piante dai fiori gialli con buone caratteristiche foraggere. I leontodeti hanno come specie
preferenti la Crepis aurea (Composite o Asteracee), il Phleum alpinum (Graminacea), la
Festuca rubra (Graminacea), l’Agrostis vulgaris (Graminacea) talvolta arricchite da
Trifolium badium (Leguminose), Trifolium alpinum (Leguminose), Trifolium repens
(Leguminose), Trifolium pratense (Leguminose), Lotus corniculatus (Leguminose), Arnica
montana (Composite), Campanula barbata (Campanulacee), Onobrychis montana
(Leguminose), Teucrium chamaedrys (Labiatae). I pascoli a leontodi prevalgono nelle aree
con suoli a pH acido ma sono presenti anche su suoli con pH alcalino costituzionale.

Festuceto, s.c. Festuca rubra L. e Festuca ovina L. (Graminacee): associazione vegetale di


media qualità foraggera tra circa i 2.300 e 2.500 m s.l.m di quota.
Il Festuceto con s.c. Festuca rubra sub. commutata o Festuca nigrescens e Festuca ovina
var. glauca (Graminacee) è tra le associazioni vegetali più significative del piano
subalpino. Questo presenta le seguenti s.p. : Dactylis glomerata (Graminacea), Poa
pratensis (Graminacea), Agrostis tenuis o Agrostis capillaris (Graminacea), Taraxacum

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officinale (Composite), Stellaria graminea , Trollius europaeus , ecc. Il festuceto può
comparire a seguito della razionale utilizzazione del nardeto da parte degli animali.
Nardeto, s.c. Nardus stricta L. (Graminacee): associazione vegetale di mediocre o cattiva
qualità foraggera tra circa i 2.000 e 2.500 m s.l.m di quota.
Nella stessa fascia altimetrica dei Festuceti ma su suoli chimicamente più poveri
l’associazione più diffusa è il Nardeto a Nardus stricta.
Questa graminacea, di scarso valore foraggero quando la pianta è giovane e bassissima se
non nulla in riferimento agli animali domestici.
Il nardeto può avere due origini.
- Primaria, non comune, localizzata in aree prossime a torbiere o su suoli evoluti da
rocce acide o acidificati per eccesso di dilavamento.
- Secondaria, localizzata in arre a pascolo poco o non più utilizzate dagli animali. Questa
origine è un cambiato di 180° dell’idea che inquadrava il nardo come specie indicatrice di
sovraccarico, anche se occorre evidenziare che la sua presenza e diffusione è favorita
dall’eccessivo calpestamento degli animali per sovraccarico che rende asfittico e acido il
suolo. I nardeti in passato si sono formati anche a seguito della distruzione di arbusteti a
mirtillo e a rododendro.
Nel complesso la maggiore presenza e sviluppo del nardeto si ha su montagne con rocce
silicee e conseguentemente su suoli acidi ma questa associazione si riscontra anche su suoli
derivati da rocce calcaree acidificati per dilavamento, nel tempo, dovuto alle idrometeore.
Nel nardeto il Nardus stricta domina incontrastato sulle s.p. che sono, fondamentalmente,
quelle del Leontodeto ovvero: Gentiana kochiana (Genzianacee), Avenella flexuosa
(Graminacee), Gentiana verna (Genzianacee), Alopecurus gerardi (Graminacee), Potentilla
erecta (Rosacee), Potentilla aurea (Rosacee), Sieversia montana (Rosacee), Empetrum nigrm
(Empetracee), Hypericum maculatum (Empetracee), Rhododendron ferrugineum (Ericaee),
Trifolium alpestre (Leguminose), Vaccinium uliginosum (Ericacee), Vaccinium vitis-idaea
(Ericacee), Vaccinium myrtillus (Ericacee), Calluna vulgaris (Ericacee), Veronica officinalis
(Scrophulariacee), Gentiana acaulis (Genzianacee), Campanula scheuchzeri
(Campanulacee), Campanula barbata (Campanulacee), Arnica montana (Composite o
Asteracee), Antennaria dioica (Composite o Asteracee), Hypochoeris uniflora (Composite
o Asteracee), Hieracium pilosella (Composite o Asteracee), Sieglingia decumbens
(Graminacee), Festuca rubra (Graminacee), Juncus trifidus (Juncacee), Luzula multiflora
(Juncacee), Carex leporina (Ciperacee), Carex pilulifera (Ciperacee), Cirsium
spinosissimum (Composite o Asteracee).
Le possibilità che un nardeto di origine secondaria si evolva in una associazione vegetale
con caratteristiche migliori, come quella del Leontodeto, dipendano dalla sua gestione
agro-pastorale.
Festuceto, s.c. Festuca halleri L. e Festuceto, s.c. Festuca varia L.(Graminacee):
associazione vegetale di media qualità foraggera tra circa i 2.500 e i 2.800 m s.l.m di quota.
il Festuceto a Festuca halleri e il Festuceto a Festuca varia, che può spingersi nelle
esposizioni esposte migliori fino a circa 2.800 m s.l.m. di quota, hanno entrambi come s.p.
Agrostis alpina (Graminacea), Alopecurus gerardi (Graminacea), Agrostis rupestris
(Graminacea), Potentilla grandiflora (Rosacea), Nardus stricta (Graminacea), Phyteuma
hemisphaericum (Campanulacea)
Curvuleto, s.c. Carex curvula L. (Ciperacea): associazione vegetale di scadente qualità
foraggera fino a circa 3.000 m s.l.m di quota su suoli evoluti da rocce acide.
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Sui suoli acidi l’ultima associazione erbacea chiusa, riscontrabile fino anche oltre i 3.000
m s.l.m. prossima alle nevi perenni, riconoscibile per il colore giallo-bruno della
vegetazione, è il Curvuleto a Carex curvula. . Il Carex curvula è parassitato dal fungo
Chlatrospora elynae che determina il disseccamento e arricciamento delle foglie in punta.
La vegetazione assume così una caratteristica colorazione ocracea anche durante l’estate.
Si tratta comunque di una parassitosi che non causa la morte delle piante. Il curvuleto,
con un periodo di vegetazione di circa 4-5 mesi quando è assente la copertura nevosa, è
una tipica associazione pioniera con valore foraggero molto scadente. Con a questa
ciperacea si possono riscontrare le seguenti s.p. Festuca halleri (Graminacea), Oreochloa
disthica (Graminacea), Poa alpina (Graminacea), Sesleria disticha (Graminacea),
Polygonum viviparum (Poligonacee), Pulsatilla vernalis (Ranuncolacee), Primula minima
(Primulacea), Primula daonensis (Primulacea), Primula glutinosa (Primulacea), Primula
integrifolia (Primulacea), Leontodon helveticus (Composite o Asteracee), Senecio rupestris
(Composite o Asteracee), Luzula lutea (Juncacee), Luzula spicata (Juncacee), Juncus
trifidus (Juncacee), Euphrasia minima (Scrofulariacee), Pedicularis kerneri
(Scrofulariacee), Veronica bellidioides (Scrofulariacee), Potentilla aurea (Rosacee), Elyna
myosuroides (Ciperacea).
Anche per il Curvuleto esistono delle forme di transizione verso altre associazioni: vedi
scendendo di quota il Curvulo-nardeto con s.c. Carex curvula e Nardus stricta e con s.p. il
Leontodon helveticus
Seslerieto-sempervireto, s.c. Sesleria caerulea var. calcarata L. (Graminacea) e Carex
sempervirens L. (Ciperacea): associazione vegetale di mediocre qualità foraggera circa i
2.700 e i 2.800 m s.l.m. di quota.
Sulle montagne con rocce calcaree o dolomitiche dove i pascoli di altitudine (2700-2900 m
s.l.m.) si estendono su suoli acidificati superficialmente, oltre a nardeti e festuceti, si trova
l’associazione Seslerieto-sempervireto con specie caratteristiche Sesleria caerulea var.
calcarea di medio o mediocre valore foraggero e il Carex sempervirens di scarsissimo
valore foraggero. Queste sono piante con una certa differenza circa le loro esigenze pedo-
climatiche: in particolare la Sesleria caerulea var. calcarea è più pioniera del Carex
sempervirens ma più esigente di questo per la luce e quantità di carbonato di calcio nel
suolo. All’inizio della sua formazione il Sesliereto-sempervireto si presenta a gradinate
che, se la pendenza non è eccessiva, si chiudono evolvendosi in vere e proprie cotiche
erbose.
Con queste 2 specie caratteristiche si possono trovare le specie preferenziali: Potentilla
aurea (Rosacee), Potentilla crantzii (Rosacee), Anemone o Pulsatilla alpina (Ranuncolacee),
Anthyllis vulneraria ssp. alpestris (Leguminose), Viola calcarata (Violacee), Aster alpinus
(Composite o Asteracee), Leontopodium alpinum (Composite o Asteracee).
Firmeto, s.c. Carex firma L. (Ciperacee): associazione vegetale di mediocre-cattiva qualità
foraggera tra circa i 2.700 e i 2.900 m s.l.m di quota, anche se si può trovare ad altezze
minori.
Carattere ancor più pioniere, sulle montagne calcaree tra i 2.700 e i 2900 m s.l.m. di quota
è il Firmeto ossia l’associazione con s.c. Carex firma (Ciperacee) che ha la stessa funzione
del Curvuleto nelle aree silicee.
La cotica non è più compatta, ma si presenta a scala o a maglie ma ha l’importante
funzione di trattenere il suolo. Suolo che è stabilizzato non tanto dal Carex firma , spesso
sradicato dal vento, quanto dalle specie preferenti presenti in quest’associazione come il

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Salix retusa e Salix reticolata (Salicacee), Dryas octopetala (Rosacee), Silene acaulis
(Cariofillacee), Gentiana acaulis ssp. clusii (Genzianacee), Potentilla nitida (Rosacee),
Saxifraga aizoon o paniculata e Saxifraga caesia (Saxifragacee)
Elineto, s.c. Elyna mysuroides L. (Ciperacea): associazione vegetale mediocre-cattiva
qualità foraggera tra circa 2.900 m fino a oltre i 3.000 m s.l.m. di quota.
Infine, sui dossi più ventosi delle aree montuose con rocce calcareo-dolomitiche, fino ad
oltre i 3000 m, dove il firmeto pioniero soccombe, si insedia Elineto ovvero l’associazione
con s.c. Elyna mysuroides (Ciperacea) riconoscibile per il colore bruno rossastro della
cotica erbacea. L’Elyna mysuroides ha come s.p. il Carex atrata (Ciperacea), la Gentiana
tenella (Gentianacee) e la Gentiana nivalis (Gentianacee).
A complemento di questa rapida e semplice rassegna delle associazioni vegetali prealpine
e alpine vengono di seguito riportate le associazioni erbacee delle aree umide o paludose e
le associazioni arbustive prealpine e alpine di maggiore interesse.
Associazioni erbacee delle aree umide o paludose.
Molinieto Erioforeto
Molinieto.
il Molinieto, s.c. Molinia arundinacea o Molinia coerulea (Graminacea), si trova ad
altitudini non troppo elevate e fornisce biomassa foraggera di mediocre qualità.
Il Molinieto ha come specie preferenti: Succisa pratensis (Dipsacaceae), Potentilla erecta
(Rosace), Agrostis tenuis o Agrostis capillaris (Graminacee), Pteridium aquilinum
(Polipodicee), Peucedanum oreoselinum (Ombrellifere o Apiaceae), Asphodelus albus o
Asphodelus macrocarpus (Liliacee), Potentilla alba (Rosacee), Helleborus niger
(Ranuncolacee), ecc.
Erioforeto
l’Erioforeto, s.c. Eriophorum Scheuchzeri (Ciperacee), fornisce biomassa foraggera di
decisamente di mediocre qualità.
L’ Eriophorum Scheuchzeri è una pianta alta fino a 30 cm con stelo a sezione circolare e
sottile, con ciuffi di lunghi peli sericei bianco-nivei che ornano i suoi frutti.
L’Erioforeto è diffuso nelle aree alpine tra circa 1.500 e 2.600 m s.l.m. di altitudine ai
margini di stagni, torbiere, corsi d’acqua e su terreni paludosi.

Associazioni arbustive
A contatto con i pascoli e spesso inframmezzate a questi, si riscontrano, non raramente, le
seguenti, spesso rigogliose, associazioni arbustive.
Mugheto Alneto Rodoreto Vaccinieto Ginepreto
Associazione complessa “brughiera alpina”
Il Mughetto, s.c. Pinus montana var. mugo (Pinacee), spesso accompagnato da Erica
carnea, è tipico dei suoli detritici delle aree calcaree e si trova a circa 1.500 a circa 2.500
m s.l.m. di altitudine .
Il mugheto è in forte espansione sui pascoli montani abbandonati. Nel mugheto si hanno
s.p Cetraria islandica (Licheni), Daphne striata (Thymelaeaceae o Imeleacee), Erica
carnea (Ericacee), Lotus corniculatus (Leguminose), Polygala chamaebuxus

435
(Polygalaceae), Rhododendron hirsutum e Rhododendron ferrugineum (Ericacee),
Sesleria caerulea o Sesleria calcarea (Graminacee), Vaccinium vitis-idaea (Ericacee)
l’Alneto, s.c. Alnus viridis o ontano verde (Betulacee), si trova tra circa 1.500 e 2.300 m
s.l.m. di altitudine.
il Rodoreto, con s.c. Rododendron hyrsutum (Ericacee) si trova, su suoli derivati da rocce
calcaree, tra circa 600 e i 2.300 m s.l.m. di altitudine mentre il Rodoreto, con s.c.
Rododendron ferrugineum si trova su suoli derivati da rocce acide tra circa 1.200 e 2.700 m
s.l.m. di altitudine. Nel Rodoreto si osservano in particolare le s.p. Vaccinium myrtillus o
mirtillo nero, Vaccinium vitis-idaea o mirtillo rosso, Vaccinium uliginosum o falso mirtillo,
Arctostaphylos uva-ursi o uva ursina tutti appartenenti alla famiglia delle Ericacee.
Queste, grazie anche ad una simbiosi radicale endotrofica con funghi, non temono
l’acidità del suolo.
il Vaccinieto, a s.c. Vaccinium myrtillus (mirtillo nero) e a s.c. Vaccinium vitis-idaea
(mirtillo rosso), Ericacee, tra circa i 1.500 e i 2.300 m s.l.m. di altitudine.
il Ginepreto, s.c. Juniperus nana, Cipressacee, tra circa i 1.500 e i 2.500 m s.l.m. di
altitudine. Il Ginepreto ha s.p. appartenenti alla Famiglia delle Ericacee come il
Vaccinium vitis-idaea o mirtillo rosso e l’ Arctostaphylos uva-ursi o uva ursina.
Associazione complessa “brughiera alpina”.
È un’ associazioni complessa di basso o bassissimo valore foraggero che costituisce la così
detta “brughiera alpina”. Questa associazione è data dalla Calluna vulgaris (Ericacee),
Erica carnea (Ericacee), Azalea procumbens (Ericacee), Rododendron spp. (Ericacee),
Vaccinium spp. (Ericacee), Arctostaphylos uva-ursi (Ericacee)., ecc..
PIÙ IMPORTANTI PIANTE DEI PRATI, PRATI-PASCOLI E PASCOLI DELLE PRE-
ALPI ED ALPI.
N.B. La lettera in maiuscolo o il segno in parentesi, dopo il nome della pianta in latino, si
riferisce alla pabularià e alla qualità foraggera riferita ad erbivori domestici.
(B) = buona
(M) = media/mediocre
(-) = bassa/nessuna
(V) = pianta velenosa
BETULACEE
 Alnus viridis (M) Ontano verde
CAMPANULACEE
 Campanula alpina (M) Campanella delle Alpi
 Campanula barbata (M) Campanella barbata
 Campanula morettiana (M) Campanula di Moretti
 Campanula rotundifolia (M) Campanella a foglie rotonde
 Campanula scheuchzeri (M) Campanula di Scheuchzer
 Campanula zoysii (M) Campanula di Zoys
 Phyteuma comosum (M) Fiteuma chiomato o Raponzolo di roccia
 Phyteuma hemisphaericun o orbiculare (M) Raponzolo
montano
CARIOFILLACEE
 Dianthus alpinus (M) Garofano di monte
 Dianthus superbus (M) Garofano superbo
 Silene acaulis (-) Silene acaule, Silene a cuscinetto
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 Stellaria graminea (M) Centocchio gramignola
CHENOPODIACEE
 Chenopodium bonus-henricus (M) Bon Enrico
CIPERACEE
 Carex curvula (-) Carice curva
 Carex ferruginea (-) Carice ferruginea o Rugginosa
 Carex firma (-) Carice rigida
 Carex foetida (M) Carice fetida
 Carex leporina (-) Carice leporina
 Carex pilulifera (-) carice pelosa
 Carex sempervirens (-) Carice cespitosa , Carice sempreverde
 Elyna mysuroides (-) Elina coda di sorcio
 Eriophorum scheuchzeri (-) Erioforo, Pennacchio rotondo
 Scirpus caespitosus (-) Scirpo a cespi
 Scirpus compressus (-) Scirpo compresso
CIPRESSACEE
 Juniperus nana (-) Ginepro nano
COMPOSITE o ASTERACEE
 Achillea atrata (M) Achillea nerastra
 Achillea clavenae (M) Achillea di Clavena
 Achillea millefolium (B) Millefoglio
 Achillea moschata (M) Achillea muschiata
 Antennaria dioica (M) o Antennaria dioica
 Arnica montana (-) Arnica, Tabacco di montagna
 Artemisia genipi (M) Genèpi dei savoiardi
 Aster alpinus (M) Astro delle Alpi
 Bellidiastrum michelii (M) Margherita
 Bellis perennis (M) Margheritina
 Buphthalmum salicifolium (-) Buftalmo a foglie di salice
 Carlina acaulis (-) Carlina, Cardo di S. Pellegrino
 Centaurea jacea (M) Centaurea
 Centaurea triumfetti (M) Fiordaliso di Trionfetti
 Chrysanthemum leucanthenum (M) Margherita maggiore
 Cirsium acaule (-) Cirsio nano
 Cirsium arvense (-) Stoppione, Cirsio
 Cirsium eriophorum (-) Cardo lanoso
 Cirsium heterophyllum (-) Cirsio
 Cirsium spinosissimum (-) Cirsio spinosissimo, Cardo spinosissimo
 Cirsium vulgare (-) Cirsio
 Crepis aurea (M) Crepide, Radicchiella aranciata
 Hieracium pilosella o villosum (M) Jeracio peloso, Pelosella
 Hypochoeris uniflora (B) Ipocheride a un sol fiore
 Leontodon autumnalis (B) Dente di leone, Leontodo
 Leontodon hispidus (B) Dente di leone ispido, Leontodo ispido
 Leontodon helveticus (B) Leontodo elvetico
 Leontodon pyrenaicus (B) Leontodo dei Pirenei
 Leontopodium alpinum (-) Stella alpina o Edelweiss
 Senecio alpinus o cordatus (-) Senecio alpino
437
 Senecio rupestris (M) Senecio delle rupi
 Senecio uniflorus (-) Senecio ad un sol capolino
 Taraxacum officinale (B) Soffione, Tarassaco, Dente di leone
 Tragopogon pratensis (B) Barba di becco comune
 Tussilago alpina (-) Tussilagine delle Alpi
 Tussilago farfara (-) Tussilagine, Farfaraccio
CRASSULACEE
 Sedum roseum (-) Sedo o Pinocchina rosa
CUPRESSACEE
 Juniperus montana (-) Ginepro nano
DIPSACACEE
 Knautia arvensis (M) Ambretta comune
 Succisa pratensis (M) Morso del diavolo
EMPETRCEE
 Empetrum nigrum (-) Empetro
ERICACEE
 Arctostaphylos uva-ursi (-) Uva orsina
 Azalea procumbens (-) Azalea delle Alpi, Azalea nana
 Calluna vulgaris (-) Brugo
 Erica carnea (-) Erica, Brugo delle nevi, Erica scopina
 Rhododendron ferrugineum (-) Rododendro ferrugineo
 Rhododendron hirsutum (-) Rododendro irsuto o peloso
 Vaccinium myrtillus (-) Mirtillo nero
 Vaccinium uliginosum (-) Mirtillo di palude, Vaccino delle paludi
 Vaccinium vitis-idaea (-) Mirtillo rosso, Vaccino del monte Ida
EUFORBIACEE
 Euphorbia cyparissias (-) Euforbia
GENZIANACEE
 Gentiana acaulis ssp. Clusii (-) genzianella dei calcari o a foglia larga
 Gentiana anisodonta (-) Genziana
 Gentiana asclepiadea (-) Genziana di Asclepiade
 Gentiana kochiana (-) Genzianella di Koch
 Gentiana latifolia (-) Genzianella a foglie larghe
 Gentiana lutea (-) Genziana maggiore o Genziana gialla
 Gentiana nivalis (-) Genzianella delle nevi
 Gentiana nana (-) Genzianella nana
 Gentiana orbicularis (-) Genzianella quattrinella
 Gentiana pannonica (-) Genziana rossigna
 Gentiana tenella (-) Genzianella tenera o gracile
 Gentiana verna (-) Genzianella di primavera o celeste
 Geranium sylvaticum (M) Geranio silvano
 Agrostis alba (B) Capellini bianchi
 Agrostis alpina (B) Capellini d’alpe, Agrostide alpina
 Agrostis vulgaris (B) Capellini
 Agrostis rupestris (M) Agrostide delle rupi
 Alopecurus gerardi (M) Coda di volpe di monte
 Anthoxanthum odoratum (B) Paleino odoroso
 Arrhenatherum elatius (B) Avena altissima
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 Avena scheuchzeri o versicolor (M) Avena di Scheuchzer o bronzina
 Briza media (M) Sonaglini
GRAMINACEE
 Avenella flexuosa (M) avenella flessuosa, migliarino capellino
 Brachypodium pinnatum (M) paleo comune
 Brachypodium silvaticum (M)
 Brachypodium distiachyum (M) paleo annuale
 Brachypodium retusum (M)
 Brachypodium boissieri (M)
 Bromus erectus (M) Forasacco
 Cynosurus cristatus (B) Coda di cane o Covetta
 Dactylis glomerata (B) Erba mazzolina
 Deschampsia caespitosa (M) Panico capellino
 Festuca ovina (M) Festuca ovina
 Festuca Halleri (M) Festuca di Haller
 Festuca pratensis (B) Festuca dei prati
 Festuca pumila (M) Festuca pumila
 Festuca rubra subsp. commutata o Festuca nigrescens (M) Festuca rossa
 Festuca rupicola o Festuca valesiaca (M) Festuca solcata o del Vallese
 Festuca varia (M) Festuca varia
 Festuca violacea (M) Festuca violetta
 Holcus lanatus (M) Erba bambagiona
 Koeleria pyramidals (M) Cheleria piramidata
 Lolium perenne (B) Loietto inglese
 Molinia arundinacea o Molinia coerulea (M) Gramigna liscia
 Nardus stricta (-) Nardo, Cervino
 Oreochloa disthica (M) Oreochloa
 Oreochloa disthica (M) Oreocla
 Phleum alpinum (B) Coda di topo, Fleolo alpino
 Phleum michelii (M) Coda di topo, Fleolo di Micheli
 Phleum pratense (B) Coda di topo o Fleolo
 Poa alpina (B) Fienarola alpina
 Poa pratensis (B) Fienarola dei prati
 Poa violacea (M) Fienarola violetta
 Sesleria caerulea (M) Sesleria calcarea o d’autunno
 Sesleria disticha (M) Sesleria distica o Gramigna nera
 Sesleria varia (M) Sesleria varia
 Sieglingia decumbens (B) Logliarella
 Trisetum flavescens (B) Avena bionda o d’oro
GUTTIFERE
 Hypericum maculatum (-) Iperico macchiato
IRIDACEE
 Crocus albiflorus (-) Zafferano selvatico
GIUNCACEE
 Juncus trifidus (-) Giunco trifido
 Luzula campestris (M) Lucciola
 Luzula multiflora (M) erba lucciola multiflora
 Luzula nivea (M) Lucciola delle nevi
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 Luzula lutea (M) Lucciola
 Luzula spicata (M) Lucciola
LABIATE o LAMIACEE
 Ajuga pyramidalis (-) Brugola piramidale
 Prunella grandiflora (M) Morella, Brunella delle Alpi
 Salvia pratensis (M) Salvia dei prati
 Satureja alpina (-) Santoregia alpina, Melissa alpina
 Teucrium chamaedris (-) Camaedrio
 Thymus serpyllum (-) Pepolino
 Thymus pulegioides (-) Timo pulegioide
LEGUMINOSE
 Anthyllis vulneraria (B) Trifoglio giallo delle sabbie
 Anthyllis vulneraria ssp. alpestris (B) Antillide alpina
 Astragalus alpinus (M) Astragalo
 Coronilla vaginalis (-) Coronilla guainata
 Hedysarum obscurum (B) Sulla di monte
 Hippocrepis comosa (B) Ippocrepide
 Lathyrus luteus (M) Latiro
 Lathyrus pratensis (M) Cicerchia dei prati
 Lotus corniculatus var. alpinus (B) Ginestrino di monte
 Lotus uliginosus (B) Ginestrino delle paludi
 Medicago lupulina (B) Medica lupolina
 Onobrychis montana (B) Lupinella d’alpe
 Oxytropis campestris (B) Astragalina gialla
 Oxytropis montana (M) Astragalina montana
 Phaca frigida (B) Astralago frigido
 Trifolium alpestre (B) Trifoglio alpestre
 Trifolium alpinum (B) Trifoglio delle Alpi
 Trifolium badium (B) Trifoglio giallo-bruno
 Trifolium montanum (B) Trifoglio montano
 Trifolium pratense (B) Trifoglio violetto
 Trifolium pratense var. nivale (B) Trifoglio delle nevi
 Trifolium repens (B) Trifoglio bianco
LILIACEE
 Asphodelus albus o Asphodelus macrocarpus (-) Asfodelo montano
 Colchicum autumnale (V) Colchico
 Lilium bulbiferum (-) Giglio rosso
 Veratrum album (V) Elabro bianco, Veratro
OMBRELLIFERE o APIACEE
 Carum carvi (M) Cumino dei prati, Anice dei Vosgi
 Daucus carota (-) Carota selvatica
 Eryngium alpinum (-) Regina delle Alpi, Cardo azzurro
 Heracleum sphondylium (-) Sfondilio o Panace o Sedano dei prati
 Meum mutellina (B) Erba mutellina
 Peucedanum oreoselinum (M) Apio montano
ORCHIDACEE
 Cypripedium calceolus (-) Pantofola di Venere
 Nigritella rubra (-) Nigritella rossa
440
 Nigritella nigra (-) Nigritella, Vaniglia d’alpe
 Ophris apifera (-) Orchidea delle api
 Orchis globosus (-) Orchidea globosa
 Orchis maculatus (-) Orchidea macchiata
 Orchis morio (-) Giglio caprino
PINACEE
 Pinus montana var. mugo (-) pino montano o mugo
PLANTAGINACEE
 Plantago alpina o Plantago serpentina (B) Piantaggine delle Alpi o Piantaggine
serpentina o Piantaggine strisciante
 Plantago media (B) Piantaggine pelosa
 Plantago montana (B) Piantaggine
POLIPODICEE
 Pteridium aquilinum (-) Felce aquilina
POLYGALACEE
 Polygala chamaebuxus (-) Poligala falso bosso
 Poligonum bistorta (M) Bistorta o Serpentina
 Polygonum viviparum (M) Poligonio
 Rumex alpinus (-) Romice o Rabarbaro alpino
PRIMULACEE
 Androsace alpina (-) Androsace
 Primula auricola (M) Orecchia d’orso
 Primula elatior (M) Primula grande
 Primula daonensis (M)
 Primula farinosa (-) Primula farinosa
 Primula glutinosa (M)
 Primula integrifolia (M)
 Primula minima (M) Primula piccola
 Soldanella alpina (M) Soldanella
 Soldanella pusilla (M) Soldanella campanella
RANUNCOLACEE
 Aconitum napellus (V) Aconito napello
 Aconitum lycoctonum (V) Aconito giallo
 Anemone alpina o Pulsatilla alpina (V) Anemone delle Alpi
 Aquilegia atrata (-) Aquilegia atro-violacea
 Aquilegia vulgaris (V) Aquilegia
 Caltha palustris (-) Calta delle paludi
 Clematis alpina (-) Vitalba alpina
 Helleborus niger (V) Rosa di natale, Erba nocca, Ellobro
 Pulsatilla vernalis (V) Anemone primaverile
 Ranunculus acer (V) Ranuncolo acre
 Ranunculus bulbosus (V) Ranuncolo bulboso
 Ranunculus glacialis (V) Ranuncolo dei ghiacciai
 Ranunculus montanus (-) Ranuncolo a foglie di geranio
 Ranunculus nemorosus (-) Ranuncolo di bosco
 Ranunculus pyrenaicus (-) Ranuncolo dei Pirenei
 Ranunculus thora (V) Erba tora
 Ranunculus velutinus (V) Ranuncolo vellutato
441
 Trollius europaeus (-) Botton d’oro
ROSACEE
 Alchemilla pentaphyllea (M) Ventaglina
 Alchemilla vulgaris (B) Ventaglina, Erba stella
 Dryas octopetala (-) Camedrio alpino o Driade
 Geum montanum (Sieversia montana) (M) Cariofillata , Geo montano
 Geum reptans (M) Cariofillata strisciante
 Potentilla aurea (M) Potentilla dorata
 Potentilla crantzii (M) Cinquefoglia di Crantz
 Potentilla grandiflora (M) Potentilla a fiori grandi
 Potentilla erecta o tormentilla (M) Tormentilla
 Potentilla alba (M) Cinquefoglia bianca
 Potentilla aurea (M) Cinquefoglia fior d’oro
 Rosa canina (-) Rosa canina
RUBIACEE
 Gallium verum (B), Erba da caglio, Caglio zolfino, Erba zolfina, Ingrassabue, Presola.
SALICACEE
 Salix reticulata (-) Salice nano, Salice reticolato
 Salix retusa (-) Salice nano, Sermolino
SAXIFRAGACEE
 Saxifraga moschata (-) Sassifraga muschiata
SCROFULARIACEE
 Euphrasia minima (M) Eufrasia
 Pedicularis kerkeri (M) Pediculare
 Rhinanthus crista-galli (-) Creste di gallo
 Veronica officinalis (M) Veronica comune
 Veronica bellidioides (M) Veronica con foglie di margherita
 Viola biflora (M) Violetta gialla
THYMELAEACEE o IMELEACEE
 Daphne striata (V) Dafne di montagna
 Daphne mezereum (V) Mezereo
URTICACEE
 Urtica dioica (-) Ortica
VIOLACEE
 Viola calcarata (M) Violetta dei calcari
LICHENI
 Cetraria islandica (-) Lichene artico

442
Principali associazioni vegetali naturali degli Appennini.
Le associazioni naturali vegetali di interesse zootecnico-faunistico appenniniche si
estendono da circa 800 ad oltre circa 2.000 m s.l.m. di quota, intercalati o meno, nelle aree
più basse, con formazioni arbustive e forestali come schematizzato nella seguente figura.

Firmeto

Seslerieto
Seslerieto-Cariceto

Seslerieto-Sempervireto
Nardeto

Oltre circa 2.000 m s.l.m.


Circa 2.000 m s.l.m.

Associazioni vegetali varie e complesse Xerobrometo, Brachipodieto, Crisopogoneto

Lolieto-cinosureto Circa 1.000 m s.l.m.

Triseteto
Arrenatereto

Brachipodieto
Xerobrometo

Circa 800 m s.l.m.

La vegetazione naturale degli Appennini, che spostandosi da Nord verso Sud si raggruppa
in modo sempre più frammentario, forma le associazioni vegetali sub-montane, montane e
di altitudine.
Associazioni sub-montane
Le associazioni vegetali dei prati, prati-pascoli e pascoli sub-montani appenninici che si
riscontrano salendo da circa da 800 s.l.m. di quota a circa 1000 m s.l.m sono le seguenti:
Xerobrometo, s.c. Bromus erectus (Graminacee): associazione vegetale di media qualità
foraggera.

443
Lo Xerobrometo, che nelle aree più calde e siccitose su suoli neutri o con alcalinità
costituzionale forma delle cotiche discontinue, ha una notevole diffusione altitudinale
potendo giungere fino ai crinali appenninici.
Brachipodieto, s.c. Brachypodium spp. (Graminacee): associazione vegetale di bassa
qualità
foraggera con piante alte fino a circa 1 m.
Il Brachipodieto, tipico di aree in passato soggette al disboscamento, sui suoli acidi e
siccitosi, è spesso infestato dal Pteridium aquilinum che non raramente prede il
sopravvento o trasformandolo in Felceto.
Questa associazione, come la precedente, ha una notevole diffusione altitudinale, specie nel
meridione, ed oggi, per la forte riduzione della pastorizia, si sta diffondendo anche a quote
più basse.
Arrenatereto, s.c. Arrhenatherun elatius (Graminacee): presente nelle aree appenniniche
dove l’ambiente diventa un po’ più “fresco”. L’associazione è simile a quella presente sulle
Alpi come s.p. e qualità foraggera
Triseteto, s.c. Trisetum flavescens (Graminacee): questa associazione, andando verso Sud
lungo la catena appenninica, non si trova oltre l’Appennino abruzzese. Il Triseteto
appenninico è da considerare un relitto del Triseteto alpino e presenta, come
quest’ultimo, le stesse s.p. di base e fondamentalmente la stessa qualità foraggera della sua
biomassa.
Lolieto-Cinosureto, s.c. Lolium perenne e Cynosurus cristatus (Graminacee):
l’associazione, che si può ritrovare anche fino alla quota di circa 1.200 m s.l.m. come alla
quota di circa 800 m s.l.m. , ha una buona qualità foraggera. Tra le s.p. di questa
associazione è da evidenziare la Poa trivialis (Graminacee).
Xerobrometo, s.c. Bromus erectus (Graminacee): associazione vegetale di media qualità
foraggera.
Brachipodieto, s.c. Brachypodium sylvaticum, Brachypodium pinnatum, Brachypodium
retusum, ecc.. (Graminacee): associazione di scarsa o scarsissima qualità foraggera.
Con il Brachypodium spp. si trova nell’Appennino lucano la specie preferente Festuca
spadicea o paniculata (Graminacee) e negli ambienti migliori nell’Appennino calabro
l’Arrhenatherum elatius (Graminacee) e la Dactylis glomerata (Graminacee).
Crisopogoneto, s.c. Chrysopogon gryllus (Graminacee): associazione discreta qualità
foraggera.
Associazioni vegetali complesse. Sui suoli alcalino costituzionali e umidi dell’Appennino
centro-meridionale esistono delle associazioni vegetali spesso di discreto valore foraggero,
in cui predominano l’Agrostis castellana var. alba (Graminacee), il Cynosurus cristatus
(Graminacee), la Poa trivialis, la Dactylis glomerata (Graminacee) e, talvolta, il
Brachypodium spp. (Graminacee). Sui suoli degli ambienti più asciutti le specie che danno
la fisionomia al manto vegetale sono la Koeleria splendens (Graminacee), il Cynosurus
cristatus (Graminacee) e il Cerastium tomentosum (Cariofillacee).
Quando in questi ambienti pedologici predomina l’acidità, al brachipodio e alla felce si
unisce spesso l’Asphodelus albus o asfodelo bianco (Liliacee).
A livello del piano altitudinale delle faggete dove in passato è stato praticato il
disboscamento si trova:
- in aree umide, fresche e poco soleggiate su suoli medio impasto/argillosi, la felce aquilina,
il brachipodio, la Koeleria splendens, ecc..

444
- in aree più asciutte, oltre all’ Asphodelus albus, si trova la Festuca gigantea
(Graminacee), la Poa bulbosa (Graminacee) e il Leontodon o Aster cichoriaceus
(Composite o Asteracee).
Nell’alto piano silano come nell’Appennino lucano, nelle zone altitudinali del pino laricio,
si risconta
 nelle aree più aride, le associazioni ad Astragalus calabrus (Leguminose) spesso con
Koeleria cristata (Graminacee), Koeleria splendens (Graminacee); Anthoxanthum odoratum
(Graminacee), Festuca ovina (Graminacee), Anthemis montana (Composite o Asteracee)
 nelle aree con suolo più profondo, le associazioni a Chamaecytisus spinescens o Cytisus
subspinescens
 nelle aree con suoli più umidi, le associazioni con Festuca rubra, Agrostis alba, Molinea
coerulea (Graminacee) e la specie invadente Genista anglica detta cizzarella (Leguminose).
Nardeto, s.c. Nardus stricta (Graminacee): associazione vegetale di scarsa o scarsissima
qualità foraggera.
Il Nardeto si trova fino a circa 2.200 m s.l.m. di altitudine, in particolare dove
l’inacidimento del suolo e il sovraccarico animale è sensibile.
Al nardo si associano talvolta le s.p. Festuca rubra (Graminacea) e Poa alpina
(Graminacea).
Il Seslerieto-Sempervireto, s.c. Sesleria tenuifolia (Graminacea) e Carex sempervirens
(Ciperacee): associazione vegetale di scarsa o scarsissima qualità foraggera.
Il Seslerieto-Cariceto, s.c. Sesleria tenuifolia (Graminacea) e Carex kitaibeliana o laevis
(Ciperacee): associazione vegetale di scarsa o scarsissima qualità foraggera. Nelle aree
montane oromediterranee dell’Appennino centro meridionale e delle arre montane
siciliane su pendii asciutti questa associazione vegetale, spesso in forme a gradinata, è
caratterizzata dalle s.p. Trinia dalechampii (Ombrellifere), Drypis spinosa (Composite o
Asteracee), Armeria majellensis (Plumbaginacee ), ecc… .
Nelle arre calcaree dell’Italia Centrale, spesso Sono molto diffuse le associazioni erbacee
aperte che colonizzano i detriti. Non mancano comunque esempi di associazioni simili a
quelle alpine. Andando verso Sud (Lucania, Calabria), compare
il Seslerieto s.c. Sesleria nitida (Graminacee): associazione vegetale di scarsa qualità
foraggera. Nel Seslerieto si trovano le s.p. Avenula o Avena praetutiana o versicolor o
Helictotrichon versicolor (Graminacee), Astragalus sirinicus (Leguminose), Ranunculus
mospeliacus o Ranunculus illyricus subsp. tenorii o Ranunculus dalmaticus o Ranunculus
scythicus o Ranunculus tenorei (Ranuncolacee)
Firmeto, s.c. Carex firma (Ciperacee): associazione vegetale di scarsissima qualità
foraggera
In particolare nelle piccole depressioni più umide delle zone più alte, dato il permanere e il
lento scioglimento della neve, di questa associazione si trovano le s.p. Trifolium thalii
(Leguminose) che con la Plantago montana e Plantago alpina (Plantaginacee), ecc...
innalzano un po’ il valore foraggero dell’associazione.
Il Firmeto può proseguire verso l’alto fino a terminare con stadi pionieri con Drias
octopetala (Rosacee) che però non è presente dopo l’Appennino Centrale.
Nei pendii più detritici e degradati, del tratto appenninico meridionale la specie pioniera è
la Festuca dimorpha (Graminacee) che forma zolle discontinue con cespi solitamente in
direzione del vento dominante con foglie rigide e sottili con scarsissimo o nullo valore
foraggero con specie preferenziali Cerastium tomentosum (Cariofillacee ), Drypis spinosa
(Composite o Asteracee), Astragalus sirinicus, Astragalus depressus e Astragalus
sempervirens (Leguminose).
445
Principali associazioni naturali delle isole e delle aree costiere con clima mediterraneo.
Interessanti per in pascolo degli animali selvatici e domestici sono, nelle aree costiere e
nelle Isole, le associazioni vegetali che caratterizzano i vari tipi di Macchia mediterranea
derivate dalla degradazione delle foreste e/o boschi, le Garighe, derivate dalla
degradazione dei vari tipi di Macchia mediterranea e le Steppe derivate, a loro volta, dalla
degradazione di vari tipi di Garighe.

Macchia alta
MACCHIA GARIGA STEPPA
Macchia bassa

Spostandosi verso ambienti più degradati, cadi e siccitosi

La Macchia mediterranea si divide in alta e bassa.


La Macchia mediterranea alta è una associazione vegetale rappresentata da vegetazione
arbustiva o arborea alta anche oltre i circa 4-5 m.
Schematizzando questa è costituita dai seguenti tipi di macchie alte: a Quercus ilex
(Fagaceae); a Quercus suber (Fagaceae); a Arbutus unedo (Ericaceae ); a Erica arborea
(Ericaceae); a Pistacia lentiscus (Acardiacee).
Quando il leccio o la sughera sono in formazioni rade e sparse, si hanno pascoli arborati,
tipici della Sardegna, che danno luogo a interessanti sistemi multiuso di alto valore
paesaggistico e ambientale: attività silvopastorale, faunistica, venatoria e ricreativa. In
questi casi la vegetazione erbacea è spesso costituita da specie annuali autoriseminanti
graminacee e/o leguminose.
La macchia mediterranea bassa è una associazione vegetale con complessi arbustivi alti, in
media, cira 1,5-2 m.
Schematizzando questa è costituita dai seguenti tipi di macchie basse: a Olea europaea var.
oleaster (Oleacee); Cistus monspeliensis (Cistaceae) indice di sovraccarico e
incendio;Cistus salvifolius (Cistaceae) indice di sovraccarico e incendio; Juniperus
oxycedrus var. macrocarpa (Cupressacee); Juniperus phoenicica (Cupressacee); Euphorbia
dendroides (Euforbiacee); Chamaerops umilis (Palme); Spartium junceum (Leguminose);
Laurus nobilis (Lauracee); Nerium oleander (Apocynaceae); Ulex europaeus (Leguminose)
Le radure dei precedenti tipi macchia sono caratterizzate dalle seguenti associazioni
erbacee come di seguito brevemente riportato.
Nelle aree più secche e con substrato roccioso: l’associazione a Psolarea bituminosa
(Leguminose) pianta di odore sgradevole o a Trifolium angustifolium (Leguminose) o a
Convolvulus elegantissimus (Convolvolacee) o a Urospermum dalechampii (Composite o
Asteracee) o a Chrisanthemum myconis (Composite o Asteracee)o a Lupsia galactites o
Galactites tomentosa (Composite).
Sui suoli più sabbiosi, a contatto con quelli salsi litoranei l’associazione a Hippomarathrum
libanotis var. siculum o Cachrys sicula (Ombrellifere)

446
Nelle aree più fresche ed con altitudine relativamente più elevata, dove le piogge non
scarseggiano: l’associazione a Triticum villosum (Graminacee) o a Avena barbata
(Graminacee) o a Cymbopogon hirtus o Andropogon hirtus (Graminacee) o a Medicago
sativa (Leguminose) o a trifogli vari (Leguminose).
Su suoli acidi derivanti da roccia madre e/o sub-strato: l’associazione a Aira cupaniana
(Graminacee) o a Plantago bellardii (Plantaginacee)
Sui suoli localizzanti nell’entroterra e a quote più elevate, dove la pioggia raggiunge circa i
600 mm annui: l’associazione a Agrostis pallida o canina (Graminacee) o, sui suoli acidi,
l’associazione a Brachypodium distachyum (Graminacee) che possono evolversi
associazioni tabulari migliori per presenza di Hordeum bulbosum (Graminacee). Lolium
perenne (Graminacee), Phalaris canariensis (Graminacee), Phalaris tuberosa o bulbosa
(Graminacee), Hedysarum coronarium (Leguminose), ecc.. .
Comunque i raggruppamenti vegetali erbacei mediterranei di migliore qualità e
prolungato periodo di utilizzazione per gli animali erbivori sono rappresentati dalle
associazioni con leguminose annuali autoriseminanti che su suoli derivati da roccia madre
e/o sub-strato acido sono caratterizzati da il Trifolium subterraneum o il Trifolium hirtus o
Trifolium nigrescens o il Scorpiurus muricatus o l’Ornithopus compressus mentre sui suoli
derivati da roccia madre e/o sub-strato calcareo, sono caratterizzati dalla Medicago
polymorpha o Medicago orbicularis o la Medicago murex o Medicago truncatula.
Quando le macchie mediterranee vengono degradate per incendio e/o sovraccarico di
animali la Macchia si trasforma in Gariga dove solitamente dominando due associazioni
di piante talvolta molto estese quella a Ferula communis (Ombrellifere), solitamente,
indice d’incendio e quella a Asphodelus microcarpus (Liliacee) solitamente, indice di
sovraccarico.
Oltre a queste associazioni nella Gariga ve ne sono altre come quelle a Rosmarinus
officinalis (Labiate) a Lavandula stoechas (Labiate) a Euphorbia spinosa, dai tipici
cuscinetti erbosi giallastri (Euforbiacee)
Altro risultato della diretta degradazione della Macchia mediterranea, come quella a
Chamaerops umilis e a Euphorbia dendroides o della degradazione della Gariga è la
Steppa mediterranea i cui nome non deriva dalle piante presenti nella vera Steppa
geografica (Russia meridionale) ma dalla presenza di piante appartenenti al genere Stipa.
In relazione a ciò si hanno le seguenti principali tipi di Steppe mediterranee:
 a Stipa tortilis o tenacissima (Graminacee), con s.p. Lagurus ovatus (Graminacee),
Triseraria aurea o Trisetum aureum (Graminacee), Trifolium biasolettianum (Leguminose),
Trifolium stellatum (Leguminose) , ecc..
 a Stipa pennata (Graminacee,)
 a Ampelodesma mauritanica o tenax (Graminacee). Pianta di grande taglia rifiutata
dagli animali domestici.
 a Lygeum spartum (Graminacee). Pianta di grande taglia, comune in Sardegna,
rifiutata dagli animali domestici: steppa che si avvicina alle steppe nord africane.
La qualità foraggera delle specie vegetali delle Steppe è comunque bassissima o nulla per
gli animali domestici.

447
PRATI, PRATI-PASCOLI E PASCOLI DEGLI APPENNINI MERIDIONALI, DELLE
AREE COSTIERE E DELLE ISOLE.
N.B. La lettera in maiuscolo o il segno in parentesi, dopo il nome della pianta in latino, si
riferisce alla pabularià e alla qualità foraggera riferita ad erbivori domestici.
(B) = buona
(M) = media/mediocre
(-) = bassa/nessuna
(V) = pianta velenosa
ACARDIACEE
 Pistacia lentiscus (-) Lentisco
APOCYNACEE
 Nerium oleander (-) Oleandro
BORRAGINACEE
 Borrago officinalis (-) Borragine comune o Borrana
 Echium volgare (-) Lingua di bue
CARIOFILLACEE
 Cerastium semidecandrum (M) Cerastio, Erba lattaria
 Cerastium tomentosum (M) Cerastio, Erba lattaria
 Silene inflata (-) Campanella
 Spergularia rubra (M) Spergularia
CIPERACEE
 Carex firma (-) Carice rigida
 Carex kitaibeliana o laevis (-) Carice leggera
 Carex sempervirens (-) Carice cespitosa, Carice sempreverde
CISTACEE
 Cystus incanus (-) Cisto
 Cystus monspeliensis (-) Cisto di Montpellier
 Cystus salvifolius (-) Cisto a foglie di salvia, Cisto femmina
COMPOSITE o ASTERACEE
 Achillea millefolium (B) Millefoglio
 Anthemis montana (-) Camomillaccia
 Bellis perennis (M) Margheritina
 Cardus Spp. (-) Cardo
 Carlina acaulis (-) Carlina, Cardo di S. Pellegrino
 Centaurea jacea (M) Centaurea
 Centaurea solstitialis (-) Cavaocchi
 Chrysanthemum leucanthenum (M) Margherita maggiore
 Chrysanthemum myconis (-) Occhio di bue o Fiorrancio o Margherita gialla
 Cirsium Spp. (-) Cirso
 Crepis vesicaria (M) Crepide, Radicchiella
 Drypis spinosa (-) Cardo paonazzo
 Helichrysum italicum (-) Tignamica
 lnula viscosa (-) Ceppita
 Leontodon cichoriaceus o Aster cichoriaceus (M) Dente di leone meridionale
 Leontodon crispus (M) Dente di leone crespo
 Lupsia galactites o Galactites tomentosa (B) Spina bianca o Scarlina
448
 Taraxacum apenninum (M) Cicorietta
 Taraxacum officinale (B) Soffione, Tarassaco, Dente di leone
 Tragopogon pratensis (M) Barba di becco comune
 Tussilago farfara (-) Tussilagine, Farfaraccio.
 Urospermum Dalechampii (M) Boccione maggiore
CONVOLVOLACEE
 Convolvulus elegantissimus (M) Vilucchio o Convolvolo elegantissimo
CRUCIFERE
 Calepina corvini (-) Calepina
CUPRESSACEE
 Juniperus oxycedrus var. macrocarpa (-) Ginepro coccolone
 Juniperus phoenicea (-) Ginepro liscio, Cedrolicio
DIPSACACEE
 Dipsacus silvester (-) Scardaccione
 Knautia arvensis (M) Ambretta
 Scabiosa columbaria (M) Erba della paura
ERICACEAE
 Calluna vulgaris (-) Brugo
 Erica scoparia (-) Scopa
 Vaccinium myrtillus (-) Mirtillo nero
ERICACEAE
 Arbutus unedo (M) Corbezzolo
 Erica arborea (-) Erica arborea
EUFORBIACEE
 Euphorbia spp. (V) Euforbia
 Euphorbia dendroides (V) Euforbia arborea
 Euphorbia spinosa (V) Euforbia spinosa
FAGACEAE
 Quercus ilex (-) Leccio
 Quercus suber (-) Sughera
GERANIACEE
 Geranium dissectum (-) Geranio selvatico
GLOBULARIACEE
 Globularia vulgaris (-) Globularia, Vedovella
GRAMINACEE o POACEE
 Agropyrum junceum (M) Agropiro
 Agropyrum repens (-) Agropiro strisciante ù
 Agrostis alba (B) Capellini bianchi
 Agrostis castellana (M) Agrostide castellana
 Agrostis pallida o canina (M) Capellini delle torbiere
 Alopecurus myusuroides (M) Coda di volpe
 Alopecurus pratensis (B) Coda di volpe
 Alopecurus utriculatus (M) Coda di volpe
 Ampelodesma mauritanica (-) Tagliamano
 Anthoxanthum odoratum (B) Paleino odoroso
 Andropogon distachyus (M) Barba a due spighe
 Aira cupaniana (M) Aira di Cubani
 Arrhenatherum elatius (B) Avena altissima
449
 Avena barbata o Avena hirsuta (B) Avena barbata
 Avenula praetutiana o Avena praetutiana o Helictotrichon versicolor (M) Avena
abruzzese
 Cymbopogon hirtus o Andropogon hirtus (M) Barba irta, Barboncino mediterraneo
 Chrysopogon gryllus (B) Trebbia maggiore
 Cynosurus cristatus (B) Coda di cane
 Brachypodium distachyum (M) Paleo annuale
 Brachypodium spp. (-) Falasco
 Briza minor (M) Sonaglini
 Bromus erectus (M) Forasacco
 Bromus mollis (M) Bromo molle
 Bromus secalinus (-) Bromo segalino
 Bromus sterilis (-) Bromo sterile
 Dactylis glomerata (B) Erba mazzolina
 Deschampsia flexuosa (M) panico capellino
 Festuca dimorpha (-) Festuca dimorfa
 Festuca gigantea (-) Festuca gigante
 Festuca ovina (M) Festuca ovina
 Festuca rubra subsp. commutata o Festuca nigrescens (B) Festuca rossa
 Festuca spadicea o Festuca paniculata (M) Festuca spadicea
 Festuca rubra subsp. commutata o Festuca nigrescens (B) Festuca rossa
 Holcus lanatus (M) Erba bambagiona
 Hordeum bulbosum (M) Bromo bulboso
 Hordeum secalinum (-) Orzo segalino
 Lagurus ovatus (-) Coda di lepre
 Lolium italicum (B) Loiessa
 Lolium rigidum (M) Loglio rigido
 Lolium perenne (B) Loietto inglese
 Lygeum spartum (-) Sparto
 Koeleria cristata (M) Cheleria crestata
 Koeleria splendens (M) Cheleria splendida
 Milium multiflorum (M) Miglio
 Nardus stricta (-) Cervino o Nardo
 Phalaris canariensis (M) scagliola comune
 Phalaris bulbosa o Phalaris tuberosa (M) Falaride tuberosa, Scagliola
 Phleum pratense (B) Coda di topo
 Poa alpina (B) Fienarola alpina
 Poa bulbosa (M) Fienarola
 Poa nemoralis (B) Fienarola
 Poa pratensis (B) Fienarola dei prati
 Poa trivialis (B) Fienarola
 Sesleria nitida (-) Sesleria nitida
 Sesleria tenuifolia (-) Sesleria
 Sporobulus pungens (-) Agrostide pungente
 Stipa pennata (-) Stipa delle fate
 Stipa tortilis o Stipa tenacissima (-) Lino delle fate
 Trisetaria aurea o Trisetum aureum (M) Gramigna d’orata, Triseto d’orato
 Trisetum flavescens (B) Avena bionda o d'oro
450
 Triticum villosum (M) Frumento villoso
 Vulpia myuros (M) Vulpia, Paleo sottile
LABIATE o LAMIACEE
 Brunella vulgaris (M) Brunella
 Lavandula stoechas (- ) lavandula selvatica
 Salvia pratensis (M) Salvia dei prati
 Rosmarinus officinalis (-) Rosmarino
 Thymus capitatus (-) Timo
 Thymus serpyllum (-) Pepolino
LAURACEAE
 Laurus nobilis (-) Alloro
LEGUMINOSE
 Anthyllis vulneraria (B) Trifoglio giallo delle sabbie
 Astragalus calabrus (-) Astragalo calabrese
 Astragalus sirinicus (-) Astragalo pulvinato
 Calycotome spinosa (-) Ginestra spinosa
 Chamaecytisus spinescens o Cytisus subspinescens (-) Citiso spinescense
 Coronilla vaginalis (-) Coronilla guainata
 Galega officinalis (-) Capraggine
 Genista anglica (-) Cizzarella
 Hedysarum coronarium (B) Sulla
 Lotus corniculatus (B) Ginestrino
 Medicago arabica (B) Trifoglio macchiato
 Medicago lupulina (B) Medica lupolina
 Medicago murex (B) Erba medica pungente
 Medicago orbicularis (B) Erba medica orbicolare
 Medicago polymorpha (B) Erba medica polimorfa
 Medicago truncatula (B) Erba medica troncata
 Onobrychis montana (B) Lupinella d’Alpe
 Onobrychis viciaefolia (B) Lupinella
 Ononis spinosa (-) Arrestabue
 Ornithopus compressus (B) Uccellina comune
 Psoralea bituminosa (M) Trifoglio bituminoso
 Sarothamnus scoparius (-) Ginestra dei carbonai
 Scorpiurus muricatus (B) Trifoglio annerente, Erba lombrica comune
 Scorpiurus vermiculata (B) Coda di scorpione
 Spartium junceum (-) Ginestra odorosa
 Trifolium angustifolium (M) Trifoglio a foglie strette
 Trifolium campestre (B) Trifoglio campestre
 Trifolium incarnatum (B) Trifoglio incarnato, Trifoglio rosso
 Trifolium biasolettianum (M) Trifoglio di Biasoletto
 Trifolium nigrescens (B) Trifoglio annerente o nero
 Trifolium hirtum (B) Trifoglio irto
 Trifolium subterraneum (B) Trifoglio sotterraneo
 Trifolium incarnatum (B) Trifoglio incarnato, Trifoglio rosso
 Trifolium pratense (B) Trifoglio violetto
 Trifolium repens (B) Trifoglio bianco
 Trifolium resupinatum (B) Trifoglio trifoglino
451
 Trifolium subterraneum (B) Trifoglio sotterraneo
 Trifolium stellatum (B) Trifoglio steallato
 Trifolium thalii (B) Trifoglio cespitoso
 Ulex europaeus (-) minestrone
LILIACEE
 Asphodelus albus (-) Asfodelo bianco
 Asphodelus microcarpus (-) Asfodelo, Porraccio
 Colchicum autumnale (V) Colchico
 Veratrum album (V) Elabro bianco, Veratro
MIRTACEE
 Myrtus communis (-) Mirto
OLEACEE
 Olea europaea var. oleaster (-) Oleastro
OMBRELLIFERE o UMBELLIFERE o APIACEE
 Daucus carota (-) Carota selvatica
 Echinophora spinosa (-) Pastinaca spinosa
 Eryngium amethystinum (-) Eringio
 Ferula communis (V) Ferula
 Hippomarathrum libanotis var. siculum o Cachrys sicula (-) Basilisco dentellato
 Trinia dalechampii (-) Trinia
PALME
 Chamaerops humilis (-) palma nana
PLANTAGINACEE
 Aira cupaniana (M) Aira di Cupani
 Plantago alpina o Plantago serpentina (B) Piantaggine delle Alpi, Piantaggine
serpentina, Piantaggine strisciante
 Plantago bellardii (M) Piantaggine di Bellardi
 Plantago lanceolata (M) Orecchio di lepre
 Plantago montana (B) Piantaggine nontana
PLUMBAGINACEE
 Armeria majellensis (M) Armeria della Maiella
POLIGONACEE
 Poligonum aviculare (-) Poligono a piede d’uccello
 Rumex acetosella (M) Acetosella
POLIPODIACEE
 Pteridium aquilinum (-) Felce aquilina
RANUNCOLACEE
 Helleborus viridis (V) Erba nocca
 Ranunculus monspeliensis o Ranunculus illiricus subsp. tenorii o Ranunculus
dalmaticus o Ranunculus scythicus o Ranunculus tenorei (V) Ranuncolo illirico o
Ranuncolo di Montpellier
 Ranunculus spp. (V) Ranuncolo
ROSACEE
 Dryas octopetala (-) Camedrio o Driade
 Poterium sanguisorba (B) Salvastrella
 Potentilla calabra (M) Potentilla calabrese
 Rosa canina (-) Rosa canina
 Rubus spp. (-) Rovo
452
SCROFULARIACEE
 Rhinanthus cristagalli (-) Cresta di gallo
 Verbascum spp. (-) Verbasco
 Veronica arvensis (-) Veronica

Bibliografia (principali fonti cartacee ed Internet consultate)

Agroalimentare dell’Umbria, Regione Umbria. Agroalimentari umbre, 3A-Parco


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