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Ecologia

L’ecologia si occupa di studiare l’ambiente e le relazioni che si instaurano con gli esseri viventi che lo
abitano quindi possiamo dire che studia le cause della distribuzione degli organismi viventi nello spazio e
nel tempo”. L'ecologia dedica anche grande attenzione all'influenza che l'uomo esercita sul funzionamento
della natura, si interessa, ad esempio, dell'inquinamento atmosferico in quanto esso può influenzare
meccanismi di funzionamento dei sistemi naturali. I fenomeni ecologici possono essere spiegati con diverse
scale temporali; corte (giorni): ad es. la comprensione della fisiologia e del comportamento degli individui
medie (mesi): ad es. lo studio del ciclo vitale (crescita, sopravvivenza, riproduzione)
lunghe (anni): studio della demografia dell'intera popolazione

La Terra è un corpo solido avvolto da un’atmosfera, un involucro tenue di gas dello spessore di alcune
centinaia di kilometri, costituita da azoto, ossigeno, biossido di carbonio, vapor d’acqua, e altre sostanze in
quantità minima. Sulla superficie sono presenti grandi quantità di acqua allo stato liquido, solido e
aeriforme. L’insieme delle acque prende il nome di idrosfera. La biosfera è la parte più esterna della sfera
terrestre, essa include la parte inferiore dell’atmosfera, gli oceani, il suolo e la litosfera fino a circa 2 Km di
profondità. Essa rappresenta il massimo sistema biologico che include tutti gli organismi viventi sulla terra,
interagenti con l’ambiente fisico in modo da formare un unico sistema. La biosfera è attraversata da un
continuo flusso di energia che proviene dal sole. Di tutta l’energia solare che giunge sulla Terra, solo una
piccola quantità è disponibile per finalità biologiche: la luce solare assorbita dalle piante è circa l’1%; il 60%
viene riflessa e la maggior parte di quella restante viene assorbita dagli oceani, dall’atmosfera e dalle terre
emerse per essere subito irradiata nello spazio come calore. La struttura interna della Terra non è
omogenea; si distinguono tre involucri concentrici caratterizzati da diversa composizione chimica e densità:
• la crosta, esterna, solida, sottile, di spessore variabile (massimo sotto le catene montuose), formata da
materiali eterogenei, ma poco densi;
• il mantello, è compreso fra le due discontinuità (mohorovicic e gutenberg ) e ha uno spessore notevole. Si
possono individuare due mantelli: uno superiore in cui si distinguono vari strati con proprietà differenti, e
uno inferiore più omogeneo. Il superiore è formato da una parte detta mantello litosferico è piu denso
della crosta e con essa forma la litosfera, questa parte si estende fino a 100km, l’Astenosfera è uno strato
plastico che si trova sotto la litosfera e si estende fino a 250 km e probabilmente presenta materiali fusi e
solidi insieme. Astenosfera e mantello litosferico sono facilmente distinguibili dal punto di vista fisico:
infatti la litosfera è una zona rigida, mentre l’astenosfera è una zona in cui le rocce possono rompersi
facilmente. la Mesosfera zona che si trova sotto l’astenosfera si estende dal limite dell’astenosfera, fino a
700 km. Dopo i 700 km troviamo il mantello inferiore fino al confine col nucleo.
• il nucleo, composto prevalentemente da ferro e nichel, è in parte fluido (nucleo esterno) e in parte solido
(nucleo interno). la temperatura cresce fino a raggiungere valori di poco inferiori ai 6000 K. La litosfera è
soggetta a continui cambiamenti. Si riconoscono processi endogeni, manifestazione di dinamica interna, e
processi esogeni, in cui intervengono fattori che agiscono sulla superficie. Sono processi endogeni i
fenomeni vulcanici, i terremoti e i movimenti che coinvolgono regioni limitate o estese della litosfera. Sono
processi esogeni i processi di modellamento operati dall'azione di idrosfera, atmosfera e organismi viventi.
Il suolo può essere definito come luogo di transizione e interazione dinamica tra idrosfera, atmosfera e
litosfera. Tutti i suoli o terreni sono costituiti dagli stessi componenti principali: particelle minerali e
sostanze organiche in vari stadi di decomposizione, le differenti percentuali di questi componenti creano
diversi tipi di suolo. In un suolo sviluppato, le particelle di sabbia, silt (limo) e argilla sono miscelate con gli
apporti provenienti dall’ambiente biotico. La formazione del terreno dipende da numerosi fattori, e il più
importante è costituito dal clima. L’acqua piovana, scorrendo sopra e attraverso la roccia madre, la
frantuma, e l’alternarsi di gelo e scioglimento riduce la roccia in frammenti di minori dimensioni. La
presenza in questi detriti di sostanze organiche, come foglie e resti di organismi animali, permette ai batteri
e ai funghi di agire. Nella miscela che ne risulta germogliano i semi, e le piante contribuiranno a fornire al
terreno sostanze organiche e lo metteranno in grado di mantenere altra vita. Quelli sabbiosi
sono terreni permeabili all'aria e all'acqua, che si riscaldano facilmente ma che altrettanto rapidamente si
raffreddano. Questi terreni contengono generalmente scarse sostanze nutritive
I terreni limosi sono ricchi di humus, capaci di immagazzinare al meglio calore, acqua, aria e sostanze
nutritive, oltre a contenere anche calcio. Quelli argillosi sono terreni per natura pesanti, impermeabili
all'aria e all'acqua, che si riscaldano lentamente, in caso di siccità tendono a indurire fino ad andare in pezzi
come i mattoni, mentre, se la stagione è umida, si trasformano in masse appiccicose. I terreni torbosi sono
originati da sedimenti organici, la terra è acida, povera di sostanze nutritive, in grado di trattenere molta
acqua. I suoli sono aridi quando l'evaporazione è maggiore delle precipitazioni, invece se l'evaporazione è
uguale alle precipitazioni il suolo è equilibrato infine sono suoli umidi se l'evaporazione è minore delle
precipitazioni.
I cicli biogeochimici: sono percorsi chiusi attraverso cui nell'ecosistema avviene la circolazione di elementi
chimici tra ambiente fisico e organismi viventi.
Gli elementi indispensabili alla vita (come carbonio, ossigeno, azoto, fosforo), presenti nelle molecole
inorganiche che si trovano nell'ambiente fisico (rocce, suolo, aria, acqua), sono continuamente incorporati
e trasformati in molecole organiche dagli organismi viventi attraverso le catene alimentari; in seguito, nel
corso dei processi metabolici degli organismi in vita e nel corso dei processi di decomposizione dopo la
morte, questi elementi sono di nuovo trasferiti in molecole inorganiche e restituiti all'ambiente.
La fonte principale, di ogni elemento si trova in genere nell'ambiente non vivente. I cicli in cui la fonte è
rappresentata dall'atmosfera (come quelli del carbonio e dell'azoto) sono detti cicli atmosferici; i cicli in cui
la fonte è costituita dai sedimenti (come quello del fosforo) sono detti cicli sedimentari.
Il ciclo del carbonio
Il carbonio è presente in natura sotto diverse forme: si trova nell'anidride carbonica dell'atmosfera, nelle
molecole organiche degli esseri viventi e in alcune molecole inorganiche (i carbonati) presenti nelle rocce e
nell'acqua. Tali composti del carbonio passano continuamente da una forma all'altra grazie all'azione degli
esseri viventi che li riciclano impedendone l'esaurimento. Il ciclo del carbonio è pertanto un ciclo naturale
che coinvolge tutto il mondo dei viventi. I processi di respirazione degli esseri viventi, i processi di
combustione e l'attività vulcanica liberano nell'atmosfera una certa quantità di anidride carbonica. I
vegetali usano la maggior parte di questa anidride carbonica per effettuare la fotosintesi clorofilliana e
produrre così gli zuccheri, molecole organiche necessarie per il loro nutrimento.
Attraverso i diversi passaggi della catena, le sostanze organiche prodotte dai vegetali vengono messe a
disposizione degli animali che le trasformano in energia necessaria per svolgere tutte le loro funzioni vitali.
Tutti gli organismi, sia gli animali sia i vegetali, liberano il carbonio sotto forma di sostanze organiche
presenti nei loro prodotti di rifiuto .Tali sostanze vengono attaccate dai microrganismi decompositori
(batteri,funghi) che, a loro volta, liberano nell'atmosfera anidride carbonica.
Inoltre, il carbonio contento nei rifiuti organici, accumulati in particolari ambienti privi d'aria, è attaccato da
microrganismi che, in tempi molto lunghi, lo trasformano in combustibili fossili come il carbone e il
petrolio. In tal caso, il carbonio viene restituito all'atmosfera dai processi di combustione effettuati
dell'attività umana.
Un eccessivo arricchimento di anidride carbonica nell'atmosfera risulterebbe dannoso per gli esseri viventi,
se non provvedessero le piogge ad impoverirla; il risultato finale di queste trasformazione è un quantitativo
pressoché costante di carbonio.
Il ciclo dell'ossigeno
L'ossigeno è un fattore limitante per gli organismi aerobi. l ciclo dell'ossigeno è strettamente legato al ciclo
del carbonio; entrambi gli elementi, infatti, entrano nei processi della fotosintesi e della respirazione. Oltre
che in atmosfera, di cui costituisce circa il 21%, l'ossigeno è presente in grandi quantità nelle acque marine.
L'ossigeno presente in atmosfera è il prodotto dell'attività fotosintetica di batteri, alghe e piante superiori.
Tra i prodotti della fotosintesi (6CO2+6H2O=C6H12O6+6O2), infatti, accanto agli zuccheri ottenuti c'è
l'ossigeno. Gli organismi fotosintetici, dunque, quando sfruttano la luce solare per procurarsi nutrimento,
cedono ossigeno all'atmosfera, permettendo la vita di altri organismi.
Negli strati alti dell'atmosfera l'ossigeno si trasforma in ozono che, assorbendo determinate lunghezze
d'onda ad alta energia, dalla radiazione solare che arriva alla terra, costituisce uno schermo protettivo per
gli esseri viventi.
L'ossigeno viene continuamente prelevato dai viventi per la respirazione. Il processo consuma ossigeno e
produce anidride carbonica, andando a riequilibrare i livelli dei due gas utilizzati nell'ambito dell'attività
fotosintetica delle piante. L'ossigeno viene consumato anche in attività geologiche, per esempio
l'alterazione superficiale delle rocce affioranti, come l'ossidazione del_ferro e di altri elementi.
Il ciclo dell’azoto
1. fissazione dell'azoto atmosferico (che non può essere utilizzato direttamente dagli organismi) per opera
di batteri azotofissatori, che vivono nel terreno; in questo processo l'azoto è trasformato in composti
inorganici come ammoniaca e ioni ammonio, nitrati o nitriti;
2. utilizzazione dei composti inorganici azotati da parte delle piante per assorbimento e successiva
trasformazione in composti organici, soprattutto proteine, che passano nella catena alimentare;
3. ritorno dei composti azotati all'ambiente per escrezione di urea, acido urico o ammoniaca nelle urine e
di composti semplici negli escrementi degli animali;
4. ritorno di azoto molecolare all'atmosfera per decomposizione di materia organica a opera di batteri
denitrificanti nel terreno.
Il ciclo del fosforo
1. diffusione del fosforo nel terreno e nei corsi d'acqua per erosione a opera della pioggia delle rocce
fosfatiche (in cui è presente come fosfato di calcio);
2. assorbimento da parte delle piante come ione fosfato, trasferimento agli altri organismi attraverso la
catena alimentare; il fosforo viene incorporato in composti organici e nei fosfati inorganici costituenti delle
ossa;
3. ritorno nell'ambiente, dall'escrezione e dai resti degli animali;
4. trasformazione in composti inorganici, per decomposizione a opera di particolari batteri, del fosforo dei
composti organici; il fosforo in forma di fosfati è riutilizzabile dalle piante (una parte di tali composti poco
solubili si accumula nel terreno e nei sedimenti).
Ciclo dell’acqua è un ciclo molto semplice, che presenta una modesta riserva gassosa aerea e una grande
riserva liquida. L’energia proveniente dal sole muove il ciclo tramite l’evaporazione e i venti che
trasportano l’umidità sulle terre emerse le quali ricevono poi, per condensazione dell’umidità, le
precipitazioni. L’evaporazione è inferiore alle precipitazioni sulle terre emerse mentre è superiore sugli
oceani. Dalla terra continuamente si libera vapore acqueo nell’atmosfera sia per evaporazione dalle
superfici come laghi, mari, fiumi, ghiacciai, nevai, terreno, bacini idrici artificiali ecc., sia per la traspirazione
degli organismi viventi; il vapore acqueo, così, si condensa a formare nubi. Attraverso le precipitazioni
l’acqua torna sulla terra e grazie ai corsi d’acqua e ai percorsi sotterranei torna agli organismi e ai bacini.
Quando l’acqua giunge al suolo raccoglie alcuni elementi chimici sciolti o erosi al suolo e li distribuisce agli
organismi. In sintesi possiamo dire che l‘acqua in fase gassosa dalla superficie terrestre passa
nell’atmosfera per rientrarvi in fase liquida (pioggia) o in 8 fase solida (neve, grandine). Il ciclo dell’acqua è
un esempio di una delle più importanti leggi della fisica ovvero: nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si
trasforma.
Per ecosistema intendiamo un insieme formato da una parte vivente ( biotica) e una non vivente ( abiotica)
strettamente relazionate tra loro. Gli organismi stessi possono essere ecosistemi, ad esempio la flora
batterica all’interno dell’uomo. Possiamo fare una distinzione tra ecosistema terrestre e acquatico, quest’
ultimo è il più abbondante. La principale differenza tra questi sta nel fatto che il primo è rappresentato
dalla discontinuità mentre il secondo è continuo. Quello acquatico è strutturalmente tridimensionale
mentre il terrestre è bidimensionale. Nell’ecosistema acquatico ritroviamo tutte le risorse (Sali minerali,
acqua, anidride carbonica), presenti anche nell’ecosistema terrestre ma qui non si trovano ovunque come
in quello acquatico e devono essere ricercate. Nell’ecosistema acquatico l’individuo più piccolo è
avvantaggiato mentre in quello terrestre è svantaggioso essere piccoli. La grande maggioranza degli
ecosistemi acquatici consiste in ecosistemi di acqua salata, perché quasi tutta l’acqua presente sulla Terra è
raccolta negli oceani e nei mari. Negli oceani è possibile distinguere diverse zone (ciascuna caratterizzata
da una particolare comunità di organismi): – la zona intercotidale, – la zona pelagica. – la zona bentonica,
1. La zona intercotidale comprende ambienti come le paludi salmastre e spiagge sabbiose o ghiaiose, e
rappresenta un ecosistema «intermedio» tra quelli acquatici e quelli terrestri. La zona intercotidale viene
spesso sommersa dall’acqua durante l’alta marea, ma emerge completamente con la bassa marea.
2. La zona pelagica è rappresentata dall’oceano vero e proprio; in essa vivono comunità di organismi che
galleggiano o nuotano liberamente. Gli organismi che si lasciano trasportare dall’acqua costituiscono il
plancton, che comprende alghe e batteri fotosintetizzanti (fitoplancton) e animali non in grado di nuotare o
troppo piccoli per opporsi alla corrente (zooplancton).
3. La zona bentonica è rappresentata dal fondale oceanico. I fattori abiotici che influenzano le comunità
bentoniche sono soprattutto la profondità, la temperatura dell’acqua e il grado di penetrazione della luce.
Fino a circa 100 m di profondità si parla di zona fotica in cui penetra la luce del Sole, qui vivono alghe e
batteri fotosintetizzanti. Al di sotto della zona fotica si estende un’ampia regione buia, la zona afotica, dove
vivono solo organismi animali e batteri non fotosintetizzanti. Gli ecosistemi di acqua dolce, come fiumi,
laghi e stagni, rappresentano una porzione limitatissima dell’acqua presente sul pianeta. Questi ambienti,
tuttavia, ospitano una grande varietà di organismi: circa il 10% di tutte le specie acquatiche. Nei fiumi e nei
torrenti l’acqua scorre con una velocità variabile a seconda della sua pendenza; nei laghi invece il ricambio
è lento e negli stagni le acque sono ferme. I fattori abiotici e biotici che caratterizzano fiumi e torrenti
subiscono notevoli variazioni passando dalla sorgente alla foce. In prossimità della sorgente l’acqua è
fredda, povera di sostanze nutritive e ricca di ossigeno. Più a valle, dove la velocità della corrente
diminuisce, l’acqua è più calda e più ricca di fitoplancton. Nei laghi e negli stagni, in modo analogo a quanto
avviene negli ecosistemi oceanici, è la luce a influenzare maggiormente la vita degli organismi. La
temperatura è un fattore abiotico importante per le comunità di acqua dolce.
Il termoclino è lo strato di transizione tra lo strato rimescolato di superficie e lo strato di acqua profonda in
corpi idrici profondi come oceani, mari e laghi. Nello strato di termoclino, la temperatura diminuisce
rapidamente passando dal valore dello strato di mescolamento a quello corrispondente dell'acqua
profonda, che è stabile nel corso dell'anno perché non può essere influenzata dalla radiazione solare. Il
termoclino rappresenta quindi la zona di transizione tra lo strato superficiale e quello profondo.
Sotto il termoclino la temperatura rimane costantemente bassa. Quando le acque più calde galleggiano
sopra quelle più fredde si ha come uno sbarramento che non permette la diffusione dei nutrienti verso
l’alto. In inverno accade invece che le acque superficiali possono scendere a temperature inferiori a quelle
dello strato profondo, che sono costanti e comprese tra 10 e 13 °C. Quando ciò accade quelle profonde
tendono a risalire perché meno dense, ed in questa risalita trascinano verso l'alto i nutrienti, di cui sono
ricche. Al contrario, quelle superficiali tendono a scendere portando in profondità l'ossigeno, di cui sono
ricche per effetto del continuo contatto con l'atmosfera. Il termoclino si comporta come una barriera
acustica; infatti il suono prodotto sotto il termoclino rimbalza su di esso come su una superficie riflettente.
Il termoclino può essere osservato anche nei laghi.
In alcuni casi il termoclino è talmente brusco e sottile da essere visibile ai subacquei ad occhio nudo. Si
presenta come uno strato, dello spessore di 2-3 cm, che presenta una forte distorsione nella propagazione
della luce che lo attraversa, assomigliando ad un telo di plastica semitrasparente che galleggia a mezz
acqua. La differenza di temperatura tra il lato caldo e quello freddo può essere anche di una decina di
gradi. Lo strato d'acqua più caldo è chiamato epilimnio e quello più freddo ipolimnio; lo strato di
separazione, cioè il termoclino, è chiamato anche metalimnio.
Per specie intendiamo un gruppo di individui interfecondi simili tra loro che originano prole feconda
La popolazione è un insieme di organismi appartenenti alla stessa specie che coesistono in uno stesso
spazio e tempo, condividono una medesima nicchia ecologica e reagiscono in modo simile allo stimolo dei
fattori ambientali. In ecologia il termine biocenosi (o comunità) indica un insieme di diverse popolazioni
che vive in un determinato ambiente, o meglio, in un determinato biotopo cioè un'area in cui le condizioni
fisico-chimiche ed ambientali sono costanti. Ogni animale ha una home range: l’area usualmente utilizzata
da un animale per le attività quotidiane, quali il riposo o la ricerca di cibo. Gli animali grandi hanno home
range grandi. Non tutte le specie si manifestano in un habitus individuale, esistono specie infatti che si
riuniscono in colonie. Le specie più abbondanti sono chiamate dominanti, quelle non abbondanti ma che
incidono nel metabolismo delle altre specie sono dette influenti. Quando delle specie specializzate
vengono meno a causa di un fattore di disturbo, alcune specie occasionali possono diventare dominanti. La
popolazione è un’entità dinamica in continuo divenire. Il suo numero varia in base al tasso di natalità e
mortalità. Questi tassi sono determinati sia dalla specie che dalle condizioni ambientali e rappresentano
rispettivamente la quantità di individui che nascono per unità di tempo e la quantità che muore. Possiamo
fare una distinzione tra natalità massima ed ecologica. La prima indica il numero massimo di individui che
possono essere prodotti in condizioni ideali ed è una costante, mentre quella ecologica indica il numero di
individui che possono essere prodotti considerando i fattori ambientali quindi non è costante. Lo stesso
discorso vale per la mortalità. Da questi valori dipende anche un altro concetto, quello di densità di
popolazione che rappresenta la quantità di individui coesistenti per unità di superficie, un fattore che
indica anche la disponibilità delle risorse. È bene fare distinzione tra densità aspecifica e densità specifica.
La prima indica il numero di individui calcolato rispetto all’ area totale, mentre la densità specifica o
ecologica indica il numero di individui calcolato rispetto all’unità di habitat, ovvero l’area disponibile per la
colonizzazione. La presenza di distinte condizioni ambientali determina una configurazione spaziale
eterogenea dove troviamo aree di popolazioni più dense in luoghi ad alta disponibilità di risorse e meno
dense in zone più isolate. Poiché la popolazione è dinamica, la sua composizione è definita anche
dall’emigrazione e immigrazione di individui. Ciò che determina questo flusso tra una popolazione e
un'altra è la ricerca di risorse alimentari, la specie è programmata per riprodurre sé stessa ma affinché ciò
possa avvenire è necessario soddisfare il fabbisogno alimentare. Con il termine migrazione intendiamo un
processo ciclico come quello degli uccelli mentre per l’immigrazione e l’emigrazione il ritorno non è
previsto. La natalità e l’immigrazione, tendono ad aumentare il valore della densità, gli altri due, la
mortalità e l’emigrazione, tendono a diminuirlo. A loro volta, questi fattori dipendono da fenomeni detti
fattori limitanti. Qualsiasi fattore abiotico presente in quantità troppo piccole o troppo abbondanti può
limitare o arrestare la crescita della popolazione anche se tutti gli altri sono in un valore ottimale. Secondo
Liebig La crescita di un individuo (o di una popolazione) in un ecosistema è determinata dal fattore
ecologico che è presente in quantità minore rispetto alle necessità”. La legge di Liebig, è conosciuta anche
come “Teoria del Minimo”. Alla legge di Liebig fece seguito la legge di Shelford o “Legge della Tolleranza”
“ogni organismo di fronte ai fattori ambientali ha un intervallo di tolleranza compresi tra un minimo e un
massimo che determina quello che è il suo optimum ecologico."
La legge di Shelford dice che:
1)Ogni specie, per ogni fattore ambientale ha un intervallo ottimale di crescita in cui riesce a prosperare.
2) Quando uno o più fattori sono limitanti le specie hanno un intervallo di tolleranza entro il quale riescono
a sopravvivere in attesa di condizioni migliori.
3)Oltre questo limite la specie non può esistere in un certo ambiente.
I fattori limitanti sono di due tipi: fattori densità-dipendenti e fattori densità-indipendenti. I primi agiscono
quando il numero della popolazione cresce, un esempio è la quantità di cibo che è causa di competizione
quando gli individui sono numerosi con l’effetto finale di una riduzione della densità.
I fattori densità-indipendenti sono quelli che determinano variazioni della natalità o della mortalità in una
popolazione indipendentemente dalle sue dimensioni o dalla sua densità; tra questi vi sono fattori abiotici
come le condizioni meteorologiche, gli incendi o altri eventi che causano danni ad un habitat. A lungo
termine le popolazioni vengono regolate da entrambi i tipi di fattori. Ovviamente un fattore può essere
limitante per un organismo ma non per un altro. La presenza di luce, ad esempio, è fondamentale per la
vita delle piante tramite la fotosintesi clorofilliana mentre non lo è per un organismo che vive al buio.
La lontananza tra popolazioni è uno dei motivi del rischio di estinzione della specie, poiché avviene poco
scambio genico. Gli organismi viventi tendono a colonizzare tutto lo spazio disponibile al fine di sfruttare al
meglio tutte le risorse (soprattutto quelle nutritizie) disponibili nell'ambiente. Ciò significa che, in caso di un
aumento delle popolazioni, si possono osservare spostamenti più o meno estesi di individui che si
disperdono alla ricerca di nuove aree da colonizzare. Con il termine area ci riferiamo allo spazio fisico e alle
caratteristiche ecologiche. Non possiamo definire come area gli oceani in quanto si tratta di uno spazio
tridimensionale, invece l’area è una grandezza bidimensionale.
Relazioni nella popolazione: All’ interno di una popolazione, tra individui appartenenti alla stessa specie si
instaurano delle relazioni dette intraspecifiche. Possiamo avere due diversi comportamenti da parte degli
individui: questi come nel caso delle formiche o delle api convivono effettuando attività differenti per il
bene della popolazione e dipendono gli uni dagli altri. In altri casi invece la convivenza crea competizione,
la quale si accentua quando lo spazio e il cibo sono limitati , portando a volte a comportamenti estremi,
come il cannibalismo. Questa situazione agisce come uno dei processi selettivi nei quali sopravvivono gli
organismi meglio adattati. Bisogna distinguere una competizione indiretta da una diretta. La competizione
diretta avviene per un contatto o inibizione tra due o più specie, quella indiretta invece per mezzo di un
intermediario abiotico o biotico. Si ha una competizione asimmetrica se il danno non è omogeneamente
ripartito tra le specie, una competizione simmetrica invece comporta un danno omogeneo.
La relazione intraspecifica non va confusa con quella interspecifica, che è quella nella quale gli organismi
che interagiscono appartengono a specie differenti. Si hanno diverse relazioni interspecifiche : abbiamo il
commensalismo quando una specie trae vantaggio dall’ altra senza che quest’ ultima venga danneggiata o
aiutata. Si ha un rapporto mutualistico quando le due specie traggono reciproco aiuto. Infine si ha il
parassitismo quando una specie trae vantaggio dall’altra che risulta danneggiata. Tutte e tre le relazioni
sono diversi tipi di simbiosi.
Gause formulò il principio d'esclusione competitiva. Tale principio afferma che se due specie coesistono in
una stessa nicchia ecologica allora una delle due specie prenderà il sopravvento sull'altra fino ad eliminarla.
Tale principio, comunque, può risultare difficilmente applicativo in quanto in natura si possono trovare
specie simili che coesistono. Spesso la coesistenza è garantita dalla presenza di nicchie ecologiche non
completamente uguali (le specie in questione possono presentare, infatti, differenze lievi a livello di dieta o
di habitat). La mutua esclusione è un tipo di relazione interspecifica che ha luogo tra due specie
incompatibili tali che sia completamente impossibile per queste vivere insieme. All'apparire di una specie,
l'altra è assente e viceversa. In natura questo fenomeno si verifica generalmente quando una delle due
specie altera l'habitat in modo tale da rendere impossibile la vita all'altra.
La nicchia ecologica è il ruolo funzionale di un dato organismo in un ecosistema, comprende l’insieme di
tutte le interazioni di un organismo con l’ambiente in cui vive. Per definizione una nicchia ecologica esiste
solo se esiste una popolazione che la occupa. il termine veniva utilizzato come sinonimo di habitat, cioè lo
spazio fisico occupato da una popolazione in un ecosistema. Negli anni cinquanta venne poi coniato il
termine di nicchia pluridimensionale, la quale è: uno spazio delineato da tutte le interazioni (biotiche ed
abiotiche) che influenzano l'esistenza di una specie in un ecosistema. Possiamo fare una distinzione tra:
Nicchia fondamentale, Nicchia realizzata
La nicchia fondamentale è la nicchia massima teorica occupata da una popolazione in condizioni ideali, cioè
in assenza di competizione e con risorse non limitanti.
La nicchia realizzata è invece quella realmente occupata da una popolazione e la cui ampiezza è minore a
causa della competizione interspecifica.
L’ampiezza della nicchia dipende dalla disponibilità delle risorse, questa si allarga se la quantità di risorse
diminuisce, viceversa la nicchia si restringe se la quantità di cibo aumenta. La sovrapposizione di nicchie
porta le specie ad entrare in competizione. L’intensità di questa competizione è proporzionale alla
sovrapposizione.
La crescita di una popolazione è distinta in due diverse strategie: la strategia K e la strategia R. La scelta
della strategia R significa preferire la “quantità”: la specie impegna le proprie “energie” per mantenere alto
il tasso riproduttivo con molti nati che si sviluppano rapidamente: il ciclo vitale dell’individuo si esaurisce
nel tempo necessario per raggiungere la maturità sessuale e riprodursi. Chi sceglie la strategia K opta per
la “qualità”. I Primati sono caratterizzati da un basso tasso riproduttivo. Danno vita ad un individuo che
viene allattato e protetto per un lungo periodo di tempo che consente al cucciolo di raggiungere la
maturità nelle migliori condizioni per riprodursi a sua volta. In definitiva le popolazioni a strategia R basano
la propria sopravvivenza sul potenziale biotico. Si riferisce alla massima capacità che possiedono gli
individui di una popolazione di riprodursi in condizioni ottimali. Queste popolazione hanno: alta capacità
riproduttiva, ma elevata mortalità postnatale, bassa resistenza, breve vita. Le popolazioni a strategia K
basano la loro sopravvivenza sulla capacità portante e hanno bassa capacità riproduttiva, ridotta mortalità
postnatale, alta resistenza, lunga vita.
In generale una popolazione K è costituita da individui che si trovano in una popolazione prossima al
massimo numero consentito, in un ambiente costante. La popolazione R è composta da un individuo
piccoli, con grande capacità di adattamento ai cambiamenti molto frequenti e imprevedibili. Nel caso di
specie che attuano una strategia K, all’inizio si ha un piccolo numero di individui il quale si riproduce
lentamente perché deve ancora integrarsi nell’ambiente, dopo di che la crescita della popolazione avviene
con una velocità maggiore. Questo aumento può avvenire finchè non si raggiunge il limite che l’ecosistema
può sostenere, a quel punto il numero della popolazione si mantiene quasi costante presentando piccole
oscillazioni in base alla natalità e alla mortalità. Usiamo un modello sigmoidale per rappresentare la curva
di crescita della popolazione quando viene usata la strategia k. Possiamo quindi dire che per ogni specie
esiste una determinata densità di popolazione dopo la quale si oltrepassa il limite massimo
dell’ecosistema. Se si supera questo il limite, per la mancanza di risorse si ha un calo rapido della
popolazione che può portare anche all’estinzione. La popolazione si puo salvare e tornare nuovamente a
riprodursi quindi portando ad un nuovo aumento di individui ma questa volta il limite sopportato
dall’ecosistema sarà inferiore rispetto a prima. Nel caso in cui la specie attua una strategia r, la crescita non
viene controllata dalla capacità portante dell’ecosistema quindi possiamo dire di avere una crescita infinita.
Un esempio è quello delle zanzare. In questo caso non saranno le risorse dell’ecosistema ad ostacolare la
crescita ma le condizioni ambientali causando un collasso della popolazione. Non esiste nessuna risorsa
illimitata ma la possiamo considerare illimitata in base alle necessità di una popolazione.

6 grafico mortalità
5
4
3
2
1
0
nascita pre riproduttivo riproduttivo post riproduttivo

strategia k strategia r

Nel grafico della mortalità detto anche di sopravvivenza abbiamo nell’ asse orizzontale il periodo della vita
di un individuo mentre nell’ asse verticale il numero di individui.
Una qualsiasi popolazione non può essere composta da individui della stessa età ma in essa devono esserci
elementi in fase giovanile, alcuni in fase riproduttiva e altri in fase post riproduttiva. la composizione della
popolazione riguardo le classi di età è importante perché ci permette di valutare se una popolazione è in
fase di espansione, in fase di equilibrio oppure in fase di declino.

La storia di un ecosistema, dalla nascita alla maturità, si chiama successione ecologica. In pratica, è una
sequenza continua di modificazioni delle componenti biotiche e abiotiche di un'area; si arriva così ad un
ecosistema stabile (quello che viene definito "climax") caratterizzato da un equilibrio tra le sue diverse
componenti, ovvero, dove nessuna prevale sulle altre. Si ha la massima omeostasi la capacità del sistema di
assorbire le perturbazioni esterne (naturali o indotte dall'uomo) mantenendo integra la propria struttura.
La sequenza delle comunità che via via si sostituiscono nell'ecosistema è costituita da diverse fasi di
transizione, dette stadi serali. In alcuni casi, le popolazioni modificano l'ambiente in cui vivono causando
però la loro stessa estinzione a vantaggio di altre specie di organismi. Secondo l'ambiente di partenza, si
possono distinguere successioni primarie e secondarie.
La successione primaria ha luogo in aree mai abitate (per esempio, isole vulcaniche di recente formazione,
dune sabbiose, colate laviche, superfici rocciose ecc.). La formazione di ogni nuovo ambiente determina
inizialmente la diffusione di organismi definiti "pionieri", cioè che sono in grado di crescere nonostante le
difficili condizioni della zona (scarsa presenza di nutrienti). L'attività vitale di questi primi organismi
modifica l'ambiente, creando nuove condizioni che sono favorevoli per altri organismi più esigenti (specie
opportuniste). Questi ultimi si sviluppano causando spesso l’eliminazione degli stessi organismi pionieri. Ad
esempio, muschi, licheni ed erba sono spesso specie pioniere su lava solidificata o substrati rocciosi. Tali
organismi sono infatti in grado di frantumare i substrati rocciosi per estrarne i minerali necessari alla loro
sopravvivenza. Inoltre, una volta morti, essi forniscono quel materiale organico che, decomponendosi,
diviene "suolo" utilizzato da specie vegetali che si insediano in un momento successivo per alimentarsi e
per accrescersi. Le interazioni di questi ultimi con l'ambiente producono ulteriori variazioni che consentono
l'insediamento di altri organismi (specie specialiste) portando al raggiungimento della comunità climax.
Allo stadio di climax il sistema raggiunge il massimo della biomassa e le interazioni tra le varie specie della
comunità sono esclusivamente di tipo positivo; inoltre non c’è accumulo netto di materia organica perché
la produzione è perfettamente bilanciata dal consumo. La successione secondaria si instaura in aree già
abitate e successivamente distrutte (per esempio, aree incendiate o sepolte da frane). Fin dagli stadi iniziali
si possono insediare comunità più complesse, poiché generalmente l'evento che ha causato la distruzione
dell'ambiente precedente non ha comunque impedito la conservazione di alcuni elementi, come semi o
spore. Non sempre la successione secondaria porta all'insediamento della comunità climax caratteristica
della zona: spesso intervengono incendi, inondazioni o altri fattori di disturbo che portano alla situazione di
massima stabilità consentita in quel caso (climax edafico). Dove ci sono comunità mantenute stabili

dall'azione dell'uomo parliamo di climax antropogenetico. Lo pseudoclimax è invece uno stadio della
successione ecologica che si stabilizza grazie all’intervento, periodico o costante, di fattori che non
permettono l’evoluzione verso il climax. Esempio di pseudoclimax è la macchia mediterranea, che non
evolve verso il bosco a causa dell’azione costante dei venti salmastri
La stabilità ecologica è il risultato di due parametri che in ecologia prendono il nome di resistenza e
resilienza. Supponendo che avvenga un incendio in un determinato ecosistema. La capacità di resistere ai
danni del fuoco sarà la resistenza dell’ecosistema.
La capacità di tornare allo stato iniziale (pre-incendio) sarà la resilienza di un ecosistema.
Si parla di stabilità locale, se si fa riferimento alla tendenza di una comunità di organismi di tornare
all’equilibrio dopo un cambiamento dovuto a una piccola perturbazione, e di stabilità globale se questa
tendenza si sviluppa dopo una grande perturbazione.
Man mano che l’ecosistema si evolve da un stadio serale all’altro vi è una variazione degli indici di
biodiversità. All’inizio della successione ecologica, le specie in grado di adattarsi all’ambiente sono poche
ed avranno a disposizione un ambiente grande senza competitori. Con l’ingresso di specie più evolute si ha
da un lato l’aumento del numero di specie ma dall’altro un’esclusione di quelle meno evolute. Così facendo
resteranno nell’ecosistema solo le specie che sfruttano al meglio le risorse. La velocità con cui cresce la
biodiversità presenta sempre un aumento fino a giungere ad un punto di massimo che si trova poco prima
dello stadio climax, detto stadio preclimax.
I cambiamenti delle condizioni ambientali, possono essere distinti in due gruppi: autogeni - allogeni
Un cambiamento autogeno è il risultato della presenza e quindi, dell’attività degli organismi all’interno di
una comunità. Possiamo, dire che si definiscono autogene quelle successioni il cui motore principale dei
cambiamenti nell’ecosistema è l’evoluzione degli stessi componenti, che avviene in modo continuo e
graduale nel tempo, con un’influenza dell’ambiente esterno molto ridotta o quasi nulla.
Un cambiamento allogeno è una caratteristica dell’ambiente fisico: è regolato prevalentemente da processi
fisici e non biologici. Ad esempio la diminuzione di temperatura media con l’altitudine nelle regioni
montuose, la diminuzione della temperatura con l’aumentare della profondità di un sistema acquatico. Per
cui possiamo affermare che le successioni allogene si originano per azione di agenti esterni e indipendenti
dalla componente biologica e che intervengono periodicamente nell’ambiente.
Tutte le successioni, sia primarie che secondarie, hanno una caratteristica comune che è il cambiamento
autogeno dell’ambiente.

Catena trofica
Le componenti biotiche e abiotiche instaurano tra loro un insieme di relazioni che caratterizzano
l'ecosistema stesso e lo portano in una situazione di "equilibrio" temporaneo. Sulla base della loro funzione
all'interno di un ecosistema, le componenti biotiche (gli organismi viventi), si possono suddividere in: •
produttori (piante, alghe e alcuni batteri): sono gli organismi "autotrofi" che producono da sé la sostanza
organica per vivere e accrescersi, utilizzando semplici molecole inorganiche come l'acqua, l'anidride
carbonica (CO2) e i nitrati • consumatori: sono organismi "eterotrofi", poiché non sono in grado di
produrre il proprio nutrimento, e si cibano quindi di produttori (ad esempio i consumatori erbivori, come le
mucche e le pecore, che si cibano dell'erba dei prati) o di altri consumatori (i consumatori carnivori come il
leone o l'uomo stesso) • decompositori: sono funghi e batteri che si cibano decomponendo i tessuti degli
organismi morti . Il ruolo dei consumatori può anche essere tralasciato in quanto un ecosistema può
funzionare solo con i produttori e i decompositori. La decomposizione non è solo il risultato di processi
biotici ma anche abiotici, ad esempio gli incendi liberano grandi quantità di anidride carbonica, altri gas e
minerali nel suolo. La decomposizione è una funzione vitale, perché se non avvenisse rapidamente, tutti i
nutrienti resterebbero immobilizzati negli organismi morti e nessuna forma di vita potrebbe essere
prodotta. Le relazioni tra le diverse componenti biotiche e abiotiche di un ecosistema sono così strette che,
se una di esse viene danneggiata, l'intero ecosistema risulta turbato. Le principali relazioni sono quelle
costituite dai flussi di energia e dai flussi di nutrienti. L'ecosistema è un sistema aperto rispetto all'energia,
ovvero questa entra ed esce continuamente. L'energia entra nell'ecosistema principalmente dal sole,
attraversa la comunità biotica e la sua catena alimentare, e fuoriesce sotto forma di calore, materia
organica. La catena trofica di un ecosistema è composta da una successione di diversi livelli. Ogni livello
raggruppa gli organismi con una posizione simile all’interno di questa struttura. Possiamo dire che una
catena trofica è un modello che descrive le relazioni tra chi mangia e chi viene mangiato, ricordando che un
predatore può essere esso stesso la preda per un'altra specie. I due livelli trofici principali sono
gli autotrofi, detti anche produttori, e gli eterotrofi, detti consumatori. La maggior parte degli autotrofi è
composta dai fotoautotrofi, che sintetizzano molecole organiche basandosi sulla reazione di fotosintesi
clorofilliana, mentre i chemio autotrofi possono sfruttare l’energia chimica liberata dai processi di
ossidazione della materia. Tra i consumatori si distinguono più livelli trofici: i consumatori primari erbivori
si cibano direttamente dei produttori; i consumatori secondari carnivori si cibano di erbivori; i consumatori
terziari carnivori si cibano di carnivori. Tutti gli organismi, sia produttori sia consumatori, vengono dopo la
morte utilizzati dai decompositori (vari microrganismi, alcuni vermi e insetti) che, trasformano la materia
organica in sostanze più semplici utilizzabili dalle piante. Quindi la catena trofica può essere rappresentata
da un ciclo. In condizioni particolari, può mancare un determinato livello trofico: per es. negli abissi
oceanici mancano i produttori (non arriva luce solare) e gli organismi consumatori dipendono da vegetali e
animali morti che si depositano sul fondo. Una specie può occupare più livelli trofici, a seconda della fonte
di energia alimentare di cui si nutre. Gli onnivori, come gli orsi, non occupano un livello fisso, ma lo variano
a seconda di cosa si cibano. Siccome un individuo può appartenere a più di una catena alimentare, si crea
una vera e propria rete alimentare ovvero una rete di flussi di materia ed energia tra i componenti di
un ecosistema. È composta da nodi, che corrispondono ai componenti dell'ecosistema, collegati tra loro da
relazioni trofiche (ad esempio, una preda e un predatore sono nodi collegati da un rapporto di predazione).
Le relazioni tra un nodo e l'altro sono orientate secondo il flusso di materia ed energia (ad esempio,
materia ed energia fluiscono generalmente dalla preda al predatore, e non viceversa).
Ogni ecosistema ha una sua catena alimentare, spesso descritta come piramide, per il ridursi della
biomassa dei consumatori via via successivi, (la biomassa di un livello sarà 1/10 rispetto a quella del livello
sottostante). La biomassa è la massa della sostanza vivente (espressa come peso secco per unità di volume
o superficie) prodotta in un determinato periodo di tempo da una popolazione.
Le piramidi ecologiche mostrano graficamente le relazioni tra numeri, biomassa e flussi di energia
(metabolismo) a livello di comunità biotica. Ci sono tre tipi di piramidi ecologiche:
– di numero = numero di organismi viventi presenti su ciascun livello trofico di un ecosistema; tendono
ad essere invertite quando i produttori a livello individuale sono in media molto più grandi dei
consumatori, come nelle foreste temperate decidue
– di biomassa = quantità di biomassa stabile presente in ciascun livello trofico di un ecosistema;
tendono ad essere invertite quando a livello individuale i produttori sono in media più piccoli dei
consumatori, come nelle comunità acquatiche dominate dalle alghe planctoniche
– di energia = indicano il flusso di energia attraverso diversi livelli trofici di un ecosistema; queste non
possono essere invertite.

L'assunzione della biomassa di organismi da parte di altri organismi, comporta una dispersione di energia:
per ogni passaggio della catena, circa 80-90% dell'energia potenziale viene dissipata sotto forma di calore.
Ciò significa che nel nutrimento dei carnivori sarà disponibile meno energia di quanta è a disposizione degli
erbivori, che a loro volta ricevono dal loro nutrimento meno energia di quanta ne venga utilizzata dalle
piante). Le piramidi ecologiche generalmente sono composte da 3 o 4 livelli trofici, raramente di più: dato
che ad ogni passaggio buona parte dell'energia a disposizione viene dispersa, bastano pochi passaggi
perché non rimanga energia sufficiente a supportare un nuovo livello trofico. Il passaggio di energia può
avvenire anche tra organismi appartenenti allo stesso livello trofico. Catene alimentari lunghe (costituite da
numerosi livelli trofici) dovranno avere alla base un abbondante produttività primaria. La produttività
primaria lorda misura il grado di utilizzazione dell'energia del Sole da parte degli organismi autotrofi.
L'unità di misura utilizzata è la massa di sostanza prodotta per unità di superficie e per unità di tempo.
Oltre che dalla disponibilità di luce, dipende anche dalla temperatura e dalla disponibilità di acqua. Di
questa biomassa prodotta, che verrà trasformata parzialmente in energia, una parte viene subito
consumata dagli autotrofi stessi per la respirazione cellulare, per cui ne resta una certa quantità destinata
alle altre componenti biotiche dell'ecosistema, detta produttività primaria netta. Questa è la quantità
effettiva di energia che giunge ai consumatori. La produttività è una misura fatta rispetto al tempo mentre
la produzione è una misura valida solo nel momento in cui si effettua ed indica la quantità di biomassa
presente in un determinato momento.
L 'efficienza ecologica o efficienza della catena alimentare indica il rapporto espresso in percentuale tra la
produttività di un livello trofico e quella del livello sottostante. In media l’efficienza ecologica è del 10 % per
ciascun livello trofico. Si ha un’efficienza di assimilazione: questa rappresenta la percentuale dell’energia
assunta col cibo che può essere effettivamente utilizzata dall’organismo, essa dipende sia dalla qualità del
cibo che dalla capacita di digerirlo. L’efficienza di produzione rappresenta la percentuale dell’energia
assimilata che viene utilizzata per la produzione di biomassa e dipende dalla quantità di energia persa per
la respirazione. Infine l’efficienza di consumo rappresenta la percentuale di biomassa del livello trofico
precedente che viene usata dagli organismi del livello trofico successivo. Ad esempio essa rappresenta la
percentuale di produzione primaria totale che viene ingerita dagli erbivori.

Biomi sono sistemi ambientali complessi, di ampia estensione geografica, costituiti da un insieme di
ecosistemi, le cui comunità animali e vegetali hanno raggiunto, in una determinata area della superficie
terrestre, una relativa stabilità in relazione alle condizioni ambientali. Procedendo dai poli verso l’Equatore
troviamo: – le zone polari e i ghiacci, – la tundra, – le foreste di conifere, – le foreste decidue delle zone
temperate, – le praterie delle zone temperate, – la macchia mediterranea, – le savane, – i deserti, – le
foreste tropicali. Come si vede, il nome di molti biomi deriva dal tipo di vegetazione predominante.
Ciascuno di essi è caratterizzato anche dalle specie animali adattate a quell’ambiente. Dato che la
distribuzione dei biomi sulla superficie terrestre dipende dal clima, due regioni con clima simile possono
presentare lo stesso bioma; questo non significa che nelle due aree siano presenti le medesime specie o
meglio che gli organismi hanno sviluppato gli stessi adattamenti. Il passaggio da un bioma a un altro è
graduale e i loro confini non sono così «netti» come si vede sulle carte.
1 Le zone polari e d’alta montagna sono occupate quasi esclusivamente dai ghiacci. La vegetazione è
praticamente assente e le molte specie animali presenti (orsi polari, pinguini, foche ecc.) si nutrono
soprattutto di organismi marini.
2 La tundra è caratterizzata da uno strato di suolo permanentemente gelato (chiamato permafrost); solo la
parte più superficiale si scongela durante la breve estate. Questo bioma si trova, oltre che nelle regioni
artiche, alle quote più alte delle regioni montuose a tutte le latitudini. Essa è formata soprattutto da piante
erbacee, bassi cespugli, muschi e licheni in grado di resistere ai forti venti e alle abbondanti precipitazioni
nevose delle regioni artiche
3 Le foreste di conifere sono caratterizzate da alberi sempreverdi le cui foglie sono trasformate in aghi
(aghifoglie), come abeti e pini. L’inverno è spesso lungo e molto freddo, mentre l’estate è breve (anche se
talvolta piuttosto calda).
4 Le foreste decidue delle zone temperate si estendono alle medie latitudini, tra 35° e 50° N e S. Sono
formate da alberi a foglia larga (latifoglie) e decidui, che perdono cioè le foglie durante la stagione fredda.
In questo bioma, le temperature invernali possono essere rigide, mentre in estate raggiungono valori
elevati. Le precipitazioni sono abbondanti e distribuite uniformemente durante l’anno
5 Le praterie delle zone temperate si trovano in regioni accomunate da un clima relativamente secco con
estati calde e inverni freddi. Le praterie sono formate soprattutto da piante erbacee. Oggi, molte praterie
naturali sono scomparse e hanno lasciato il posto ad aree agricole intensamente coltivate.
6 La macchia mediterranea è formata principalmente da arbusti spinosi con foglie coriacee e sempreverdi.
Il clima è caratterizzato da inverni miti e piovosi e da estati calde, lunghe e secche.
7 La savana si trova alle latitudini tropicali. In questo ambiente predominano le piante erbacee e gli alberi
sparsi. La savana ospita molti animali erbivori e i loro predatori.
8 i deserti sono accomunati dalla scarsità di piogge e le elevate escursioni termiche (giornaliere o annuali)
più che le temperature elevate. Le specie vegetali e animali tipiche delle regioni aride presentano
adattamenti per trattenere l’acqua.
9 Le foreste tropicali si trovano nella fascia compresa fra i due tropici. La temperatura è elevata tutto
l’anno e vi sono circa 12 ore di luce al giorno. Le precipitazioni sono variabili e ciò determina il tipo di
vegetazione presente: piante spinose o succulente, dove le precipitazioni sono meno abbondanti, o
latifoglie sempreverdi, dove le precipitazioni sono abbondanti.

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