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Gli elementi chimici tendono a circolare nella biosfera seguendo percorsi caratteristici
dall’ambiente agli organismi e da questi all’ambiente. Questi percorsi più o meno circolari
sono descritti come cicli biogeochimici. Ogni ciclo di nutrienti è convenzionalmente diviso in
due compartimenti o pool: 1) pool di riserva, molto ampio ma poco attivo e generalmente in
fase non biologica, 2) pool labile o circolante, più piccolo ma attivo ed in rapido movimento
tra organismi e ambiente.
I cicli biogeochimici possono essere suddivisi in 2 gruppi fondamentali:
- tipo gassoso, in cui il pool di riserva è nell’atmosfera o nell’idrosfera
- tipo sedimentario, in cui la riserva è nella crosta terrestre.
CICLO DELL’AZOTO. Il ciclo dell’azoto (Fig. 1) è il più complesso dei cicli gassosi.
per il ciclo globale è di 107 anni mentre il tempo di turnover per il ciclo interno è di centinaia di anni
Fissazione dell’azoto. La fissazione dell’N è quel processo mediante il quale l’azoto molecolare
gassoso (la più inerte delle specie chimiche dell’azoto) viene incorporato in composti organici
e quindi convogliato nel ciclo dell’azoto. Il processo è effettuato soltanto da alcuni batteri e
cianobatteri (Tab. 1).
Il tasso di fissazione biologica dell’azoto è stimato intorno a 170*1012 g per anno (140 per le
terre emerse e 30 per il mare), con variazioni tra i diversi ambienti da 44 a 200*1012 g/anno.
Nel 1914 venne utilizzato un processo industriale per la fissazione dell’azoto atmosferico. La
maggior parte di questo azoto è impiegato in agricoltura come fertilizzante. Sfortunatamente
questo processo richiede un alto costo di energia sottoforma di petrolio.
La fissazione biologica dell’azoto comporta un consumo di energia notevole da parte
dell’organismo che la effettua e tale energia viene ricavata dai carboidrati forniti dall’ospite,
nel caso di associazioni simbiontiche, oppure dall’ambiente, per i batteri liberi. In genere, la
fissazione non simbiontica contribuisce alla fissazione totale nella misura di un terzo circa.
Tabella 1. Azotofissatori
La chiave della biofissazione è l’enzima nitrogenasi che catalizza la scissione della molecola di
N2 in due atomi che per aggiunta di idrogeno si trasformano in due molecole di ammoniaca
(NH3). Condizioni per il funzionamento della nitrogenasi sono:
presenza di tracce di Fe e Mo per la sintesi dell'enzima;
presenza di processi metabolici che liberano elettroni per la riduzione dell'azoto e di
ATP per il fabbisogno energetico;
presenza di ioni magnesio;
assenza di H+ che verrebbero trasformati dalla nitrogenasi in idrogeno gassoso,
danneggiando il riduttore;
temperature compatibili con la crescita di batteri mesofili, poiché l'enzima altrimenti
non è attivo;
assenza di ossigeno che inattiva irreversibilmente l'enzima forse perché la molecola di
azoto e la molecola di ossigeno sono simili fra loro quanto a dimensioni e forma. È per
questo motivo che la fissazione biologica dell’azoto è un processo particolarmente
diffuso in batteri anaerobi obbligati e facoltativi.
I batteri aerobi che possono fissare l'azoto mettono in atto artifici metabolici (ad es.
un'attività respiratoria intensa) così da riuscire a mantenere bassa la concentrazione di
ossigeno nella cellula. In alcuni cianobatteri che vivono in colonie filamentose la fissazione
avviene solo in speciali cellule (eterocisti), rivestite da una spessa parete impermeabile ai gas,
e che posseggono solo il fotosistema I e quindi non producono ossigeno. Lo scambio di
materiali con le cellule vicine è assicurato da connessioni citoplasmatiche.
Un caso particolare di meccanismo atto a mantenere bassa la concentrazione di ossigeno è
quello dei batteri simbionti delle radici di leguminose: nei tubercoli radicali ove sono presenti,
la concentrazione di ossigeno viene mantenuta bassa e controllata da una proteina che lega
l'ossigeno, la leghemoglobina. Si ritiene che la leghemoglobina che possiede una alta affinità
per l'ossigeno, permetta di regolare la velocità con cui l'ossigeno raggiunge i batteri
azotofissatori.
Solo il 12 % circa dell’azoto necessario alle piante deriva da questa fonte. Tutto il resto
proviene dal riciclo attraverso la decomposizione e la mineralizzazione della materia organica
morta.
Ammonificazione. Gran parte dell’azoto presente nel suolo si trova sotto forma di composti
organici complessi. Questi vengono più o meno rapidamente scissi in composti più semplici
dagli organismi che vivono nel suolo. In particolare, i batteri saprofiti e varie specie di funghi
sono tra i principali responsabili della degradazione delle sostanze organiche morte. Questi
utilizzano le proteine e gli aminoacidi come substrati nutritivi e liberano l’eccesso di N sotto
forma di NH3 (ammonificazione). L’ammoniaca prodotta per ammonificazione si scioglie
nell’acqua del suolo dove si combina con i protoni per formare lo ione ammonio. Il destino di
questo ione può essere vario: volatilizzazione (come NH3), assorbimento, accumulo,
trasformazione in ione nitrato. Infatti, questo ultimo processo noto con il termine di
Nitrificazione è operato da alcune specie di batteri (autotrofi chemiosintetici) del suolo che
sono capaci, alcune, di ossidare l’ammoniaca a nitrito (nitrosanti)
2NH3 + 3O2 2NO2- + 2H+ +2H2O + energia
e, altre, il nitrito a nitrato (nitrificanti)
2NO2- + O2 2NO3- + energia
Anche il destino del nitrato è quanto mai vario (assorbimento, immobilizzazione, lisciviazione,
accumulo, denitrificazione, riduzione dissimilativa). Le piante assorbono dalle radici
preferenzialmente azoto sotto forma di nitrati. Una volta che il nitrato è penetrato nella
cellula vegetale fotosintetica, esso viene ridotto ad ammonio, processo che richiede energia.
Gli ioni ammonio vengono trasferiti a composti carboniosi per produrre amminoacidi ed altri
composti organici azotati (aminazione e transaminazione).
Denitrificazione. In condizioni anaerobiche, il nitrato è spesso ridotto da alcune specie di
batteri a forme volatili di N (N2 e N2O) (denitrificazione) che così ritornano nell’atmosfera
oppure a NH3 o NH4+ (riduzione dissimilativa).
Fi
g. 2
La Fig. 3 fornisce delle stime della quantità di zolfo presente nei pool di riserva nonché dei
flussi in entrata ed uscita.
Fig. 3
CICLO DEL FOSFORO. Il ciclo del P (Fig. 4), tipico ciclo sedimentario, è molto semplice ed
ha inizio quando i composti del P sono ceduti dalle rocce nel corso di lunghi periodi di tempo.
Poiché il P non ha forme atmosferiche, è di solito trasportato in soluzione. Il Pinorg è assorbito
dagli organismi produttori, incorporato in molecole organiche e poi trasferito ai consumatori.
Esso ritorna nell' ambiente tramite la decomposizione.
Fig. 4
L'uomo ha effetti diretti sul ciclo del P estraendo questo elemento da rocce ricche di fosfati
per produrre fertilizzanti e poi utilizzando questi fertilizzanti in agricoltura. Buona parte del
P così aggiunto ai sistemi naturali va a finire nei laghi, nei fiumi e negli oceani. Su scala
mondiale l'estrazione dei fosfati ha più che raddoppiato la quantità di P nei mari costieri
rispetto alla situazione del periodo preindustriale.
Nei sistemi acquatici la quantità di P spesso limita la produttività primaria. Per esempio, un
tipico lago d'acqua dolce ha concentrazioni di P disponibile pari a 0,0001 volte quella delle
cellule in vita. Pertanto, l'aumento dei livelli di P conseguente alle attività dell'uomo può
provocare un aumento della produttività dei sistemi acquatici e terrestri, e può anche causare
l'eutrofizzazione dei sistemi marini e di acque interne. Se la produttività degli ecosistemi
aumenta in presenza di fosforo supplementare, perché l'immissione di questo elemento e
l'eutrofizzazione costituiscono un problema? La risposta risiede nel fatto che l'aumento della
produttività è un fenomeno di breve durata mentre i cambiamenti ecosistemici e l'impatto
sulla biodiversità dei sistemi acquatici persistono su lungo periodo. L'eutrofizzazione è
accompagnata dalla spesso crescita di alghe nocive, seguita da intense morie e dalla
decomposizione degli organismi morti. La decomposizione avviene consumando grandi
quantità di ossigeno, con il risultato che la colonna d'acqua si impoverisce di questo
importantissimo gas; le specie più sensibili alla scarsa ossigenazione sono proprio le specie
ittiche di interesse per l'uomo e altre specie al vertice delle piramidi trofiche.
CICLO DEL CARBONIO. Il carbonio è il più abbondante componente della materia vivente.
E’ prevalentemente un ciclo gassoso e l'anidride carbonica costituisce il veicolo principale di
flusso tra i vari comparti.
In Fig. 5 è riportato il ciclo globale del carbonio. I valori sono espressi in 1015 g di C per anno.
La riserva atmosferica di carbonio è quantitativamente più piccola di qualsiasi altra riserva,
ma da essa dipende la biosfera per il processo di fissazione fotosintetica della CO2. Il tempo di
residenza della CO2 nell’atmosfera è di circa 3 anni.
Fig. 5
Le riserve più abbondanti di carbonio si trovano nella litosfera, come depositi inorganici
(quantità dell'ordine di 20*1015 t di carbonio) prevalentemente nella forma di carbonati e
come depositi organici fossili quali scisti bituminosi, carbone e petrolio, che si sono accumulati
in centinaia di milioni di anni.
La litosfera, tuttavia, fino all'intervento dell’uomo negli ultimi secoli, ha avuto un ruolo
minore in quanto i combustibili fossili, ora largamente utilizzati, costituivano delle riserve
«dormienti» di carbonio. Con la rivoluzione industriale, bruciando i combustibili fossili
l'uomo ha innescato un flusso che prima non esisteva, restituendo all'atmosfera il carbonio
che era stato fissato per fotosintesi milioni di anni addietro. Ciò ha causato, insieme al
disboscamento delle foreste che ha fortemente diminuito i produttori, lasciando meno
vegetazione ad assorbire la CO2, l'incremento della concentrazione di CO2 nell’aria con
conseguente effetto serra.
L'incremento di CO2 registrato nell'aria corrisponde ad un apporto pari alla metà della CO2
immessa nell'aria per questa via. Si pensa che i restanti 3 miliardi di tonnellate di CO2 siano
assorbiti dagli oceani (che svolgono un'importante funzione tampone) e dagli ecosistemi
terrestri.
Riserve di carbonio importanti sono anche: a) le biomasse terrestri e marine; b) i detriti
organici del suolo e la materia organica disciolta e particellata nei corpi idrici.
Il tempo di residenza del carbonio è:
- nella biomassa terrestre, di circa 9 anni;
- nei detriti organici del suolo, 25 anni;
- nelle acque oceaniche superficiali, giorni-mesi;
- nelle acque più profonde, centinaia di anni.
La concentrazione di CO2 nell'aria presenta variazioni stagionali in funzione dell'attività
fotosintetica e dello scambio di CO2 con l'oceano (Fig. 6).
Fig. 6. Il «respiro della Terra»; Variazioni stagionali della concentrazione di CO2 nell'aria
nell'emisfero boreale e nell'emisfero australe. Notare che i massimi dell'emisfero australe
corrispondono ai minimi dell’emisfero boreale.
Ai tropici l’evaporazione dagli oceani è quattro volte maggiore che alle latitudini polari.
Le precipitazioni ai tropici, pur essendo più abbondanti che altrove, non uguagliano dal punto
di vista quantitativo l’acqua persa per evapotraspirazione e pertanto si verifica uno
spostamento del vapor acqueo dai tropici verso i poli.
Circa un terzo dell’acqua che cade al suolo si infiltra nel sottosuolo. Tuttavia, la quantità è
molto variabile dipendendo dalla piovosità, dalla temperatura, dalla costituzione del suolo e
dalle rocce. Le più grandi riserve di acqua sotterranea sono nelle falde acquifere, strati
sotterranei porosi, spesso calcarei, sabbiosi o ghiaiosi, delimitati da rocce impermeabili o da
argilla.