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INQUINAMENTO

“Per tutto l’800 l’uomo ha dato battaglia alla sporcizia.


Si faceva un gran parlare di città lavate, si era ossessionati dalla necessità di fogne, di condotti per
le acque nere. Quando l’acqua arrivò nelle case dei cittadini si cominciò a parlare di pulito e
nacque l’amore per il sapone. Ma è curioso che proprio in quel secolo sia cominciato quel
processo che porterà ad una nuova forma di sporco, l’inquinamento.”

Tratto da “Il Profumo”, Süskind P., 1985 – citato nel documentario Oma e Chimica

L’obiettivo di questa scheda di approfondimento è quello di tentare di mettere in luce la complessità


legata alla trattazione della tematica senza avere la pretesa di esaurire l’argomento ma cercando di
offrire una varietà di sguardi e di spunti riflessivi da cui eventualmente partire per sviluppare
percorsi didattici interdisciplinari.
Il testo della scheda generale è suddiviso in due sezioni:
1) Una visione d’insieme, il cui testo va affiancato alla mappa concettuale riportata in fondo. La
mappa presenta colorazioni e forme distinte che stanno ad indicare differenti ma complementari
punti di vista con cui trattare il tema, oltreché possibili collegamenti con altre tematiche. I concetti
variamente colorati indicati schematicamente nella mappa si ritrovano nel testo ad indicare
l’intrecciarsi continuo delle differenti prospettive.
2) Alcuni spunti di riflessione didattica, in cui possono essere offerti stimoli molto diversificati, da
attività più o meno strutturate, a strumenti concettuali particolarmente rilevanti o riferimenti a testi,
ecc., il cui senso è quello di promuovere la progettazione di percorsi interdisciplinari che
valorizzino e integrino le diverse prospettive.

1
Una visione d’insieme

L’inquinamento: come viene definito

L’inquinamento ambientale viene definito come la variazione delle caratteristiche chimiche, fisiche
o biologiche dell’aria, dell’acqua, del suolo e della ecosfera più in generale, a seguito
dell’immissione nell’ambiente di materia e/o energia in quantità tali da provocare effetti negativi
immediati e/o a lungo termine, diretti e/o indiretti, sulla salute umana o la qualità dell’ambiente.
Nel parlare di inquinamento si può correre il rischio di essere riduttivi, poiché non è facile
costruire il significato di un concetto di questa portata: in generale infatti, a seconda del tipo di
sorgente, del tipo di immissione e del mezzo con cui si propaga, possiamo parlare di inquinamento
atmosferico, acustico, luminoso, termico, dell’acqua, del suolo, da radiazioni ionizzanti e non, da
vibrazioni, indoor (inquinamento dell’aria all’interno), genetico, ecc.
Nell’affrontare il tema cercheremo di individuare alcune caratteristiche che rendono questo concetto
così ampio e complesso.

Le mille identità dell’inquinamento

Si parla di inquinamento quando ci si occupa di sostanze microscopiche che disperdiamo in aria,


acqua e suolo e che sfuggono ai nostri sensi, ma è anche inquinamento il versamento di petrolio (si
veda il documentario Nunca Mais – La marea nera e Turron de chapapote) come quello che
proprio di recente (Aprile 2010, piattaforma petrolifera Deepwater Horizon) è avvenuto lungo le
coste degli Stati Uniti e le cui immagini hanno colpito i nostri occhi di fronte a giornali e notiziari.
È inquinamento il bagliore luminoso che di notte nelle moderne città ci sovrasta e ci impedisce di
veder le stelle (inquinamento luminoso), o il getto di aria calda dei condizionatori che lambisce le
nostre gambe mentre camminiamo lungo un marciapiede in estate e che contribuisce a riscaldare
l’aria già rovente (esempio di inquinamento termico).
È una storia di inquinamento (inquinamento genetico) quella del persico del Nilo, introdotto
dall’uomo nel lago Vittoria in Tanzania nel 1954. Questo pesce predatore ha completamente
alterato la ricca fauna lacustre oltre agli equilibri economici e sociali del luogo.

2
Sono studi sull’inquinamento indoor che ci suggeriscono di viaggiare in bicicletta nelle aree
urbane trafficate, poiché i livelli degli inquinanti all’interno delle automobili risultano molto più
elevati rispetto a quelli dell’aria esterna circostante1, o che hanno contribuito, a partire dagli anni
’70, alla formulazione di leggi e norme per prevenire un’eccessiva esposizione alle fibre di amianto
per cittadini e lavoratori delle industrie (si veda il documentario Indistruttibile).
È ancora inquinamento (da radiazioni ionizzanti) ciò che costringe i bambini della Bielorussia a
trascorrere soggiorni in altri paesi dell’Europa occidentale per ridurre la quantità di radioattività
assorbita dall'organismo, grazie alla permanenza in un ambiente meno contaminato e ad una
alimentazione priva di radionuclidi2 (si veda il documentario Noi siamo l’aria non la terra). Ed è
ancora connesso con l’inquinamento (acustico) il disagio dei cittadini che vivendo in prossimità di
un aeroporto, sono costretti a convivere con il rumore generato dal costante passaggio di aerei in
decollo o in atterraggio; o ancora le perplessità di chi invece vive o lavora in prossimità di fonti di
radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti come emittenti radiofoniche, grandi elettrodotti o
antenne per telefonia cellulare, i cui effetti sulla salute umana peraltro non sono ancora chiari.
E per concludere possiamo ancora dire che è una storia di inquinamento (spaziale) anche quella
delle migliaia di rottami orbitanti che viaggiano ad una velocità di circa 28.000 Km/h, dispersi
nell’arco di 45 anni di esplorazioni spaziali3.

La “relatività” dell’inquinamento

La caratteristica di ‘inquinante’ non è assoluta ma piuttosto relativa al contesto e alla quantità. Ad


esempio, l’ozono (formula chimica O3) già in piccole percentuali risulta nocivo se presente nello
strato più interno dell’atmosfera, causando problemi ai sistemi respiratori di uomini e animali.
Risulta invece estremamente utile o meglio indispensabile nel secondo strato atmosferico (la
Stratosfera) dove è 1000 volte maggiore e dove costituisce uno strato che protegge gli esseri viventi
e gli ecosistemi dagli effetti nocivi delle radiazioni UV provenienti dal sole. Le attività umane ne
stanno provocando un aumento di concentrazione laddove dovrebbe essere bassa (componente dello

1
Miller G. T. JR., Scienze ambientali – Lavorare con la terra, EdiSES, Napoli, 2002.
2
Per maggiori informazioni sui soggiorni si veda www.mondoincammino.org, sugli effetti dei contaminanti radioattivi
si veda www.chernobyl-today.org.
3
http://www.asi.it/it/news/detriti_spaziali_che_fare
3
smog fotochimico4) e una diminuzione laddove dovrebbe essere più elevata (fenomeno del buco
dell’ozono).
Un altro esempio molto vicino alla quotidianità è costituito da alcuni nutrienti (composti di azoto e
fosforo) impiegati in agricoltura intensiva per una migliore crescita delle piante (collegamento con
la scheda generale Alimentazione). I nutrienti non assimilati dai vegetali (si stima che solo il 50%
dei nutrienti distribuiti venga assimilato dalle colture5) si disperdono però nell’ambiente e possono
accumularsi in quei bacini in cui il ricambio d’acqua è molto lento. L’aumento dei nutrienti provoca
un’alta crescita degli organismi fotosintetici acquatici, che una volta morti costituiscono
un’abbondante scorta di cibo per gli organismi decompositori il cui lavoro però fa diminuire
l’ossigeno disponibile nell’acqua mettendo a repentaglio la vita di altri organismi come ad esempio
i pesci (fenomeno dell’eutrofizzazione).

L’inquinamento incontenibile e ‘trasformista’

La materia o l’energia immesse nell’ambiente e responsabili dell’inquinamento non stanno ferme e


tanto meno rispettano i confini di città, regioni o nazioni.
In alcuni casi sono le sorgenti d’inquinamento stesse ad essere in movimento e/o estremamente
diffuse, pensiamo ad esempio ad automobili ed aerei o ai numerosi impianti industriali, che
consumano combustibili fossili in tutto il mondo liberando anidride carbonica – uno dei gas serra
responsabili del fenomeno globale del caos climatico (collegamento con scheda generale Caos
Climatico). Mentre quando la sorgente è stazionaria è grazie a fenomeni naturali quali i venti, le
correnti marine o il ciclo dell’acqua che tutto si sposta con tempi e modalità differenti. Questi
fenomeni da un lato permettono la dispersione degli inquinanti riportandone quindi le
concentrazioni a livelli non tossici, ma dall’altro, mettendo tutto in connessione, fanno sì che
un’azione inquinante locale possa avere ripercussioni su un territorio più ampio se non addirittura a
livello globale.
Basti pensare ad esempio alla recente eruzione del vulcano islandese (Aprile 2010) che ha
provocato una enorme nube di gas e polveri giunte sino all’Europa settentrionale e occidentale,

4
Lo smog fotochimica è una miscela di agenti inquinanti che si forma sotto l’influenza della luce solare; si può ottenere
un insieme di oltre 100 agenti chimici, dominati dall’ozono. Più le giornate sono calde , maggiore è il livello di ozono e
di altri componenti presenti nello smog fotochimico.
5
Smil V., Global material cycles, Enciclopedia of Earth, www.earthportal.org, 2007

4
bloccando per giorni il traffico aereo, o agli ammassi di plastica scoperti nell’oceano Atlantico,
Pacifico ed Indiano dove per l’effetto di venti e correnti oceaniche vanno ad accumularsi oggetti in
plastica provenienti da tutto il mondo (si veda il documentario Addicted to plastic). Oppure ancora,
alcuni studi hanno messo in evidenza come circa il 10% dello smog presente sulla costa occidentale
degli Stati Uniti sia di origine asiatica6.
Le sostanze chimiche, potenzialmente inquinanti, quando immesse nell’ambiente vengono indicate
come inquinanti primari. Quando alcuni di questi inquinanti primari reagiscono tra loro o con
altre componenti ambientali, o subiscono trasformazioni nel corso della loro “esistenza”, possono
dare origine a nuovi agenti inquinanti detti inquinanti secondari. Un esempio noto è costituito da
alcuni prodotti della combustione dei combustibili fossili, come certi ossidi di azoto o zolfo
(inquinanti primari), che una volta immessi in atmosfera possono ad esempio reagire con piccoli
quantitativi di acqua generando composti acidi che torneranno sul suolo o in bacini d’acqua come
precipitazioni acide (pioggia, neve, ecc.). Spesso nel tentativo di ridurre l’inquinamento
atmosferico generato dalla combustione di grosse quantità di carbone e petrolio nelle centrali
termoelettriche e nelle industrie, sono state impiegate altissime ciminiere: questa strategia riduce
l’inquinamento locale ma non rappresenta una soluzione, aumentando semplicemente
l’inquinamento nelle zone sottovento.
L’inquinamento non solo può compiere distanze più o meno lunghe ma può passare agevolmente
dall’atmosfera, alla litosfera e idrosfera sin anche alla biosfera. I composti tossici possono infatti
superare anche le barriere protettive degli organismi viventi ed accumularsi in organi e tessuti,
grazie anche al processo di bioamplificazione che consiste, come vedremo anche in seguito, nel
trasferimento delle sostanze tossiche lungo la catena alimentare dai produttori o consumatori
primari sino ai super predatori incluso l’essere umano.

6
Miller G. T. JR., Scienze ambientali – Lavorare con la terra, EdiSES, Napoli, 2002.
5
I ‘rivelatori’ dell’inquinamento

Ma come si fa a sapere se l’ambiente in cui viviamo è inquinato? La qualità dell’ambiente viene


monitorata attraverso l’utilizzo di indicatori ambientali, parametri in grado di descrivere e/o
misurare variabili significative in termini di caratteristiche chimico-fisiche e biologiche
dell’ambiente.
Difficilmente un unico indicatore è in grado di descrivere in modo esaustivo lo ‘scenario’
ambientale che si presenta. Per questo motivo solitamente si fa ricorso ad una molteplicità di
indicatori denominata indice ambientale sintetico. Gli indici ambientali sintetici sono aggregazioni
di più indicatori parziali relativi alla qualità di un certo contesto.
La presenza di inquinanti e gli effetti che questi hanno sui diversi ambienti vengono rilevati sia
attraverso analisi chimico-fisiche sia mediante l’osservazione di specifici organismi animali e
vegetali (indicatori biologici).
Nel caso degli indicatori biologici si va ad osservare se in una condizione ambientale diversa dalla
norma specifici organismi variano in termini di presenza, abbondanza o assenza, o se vi è
manifestazione di modificazioni a livello morfologico e strutturale, o ancora se vi è accumulo a
livello metabolico di alcuni inquinanti in concentrazioni superiori rispetto all’ambiente circostante.

Le “responsabilità” dell’inquinamento

Il termine inquinamento è un emblematico esempio del linguaggio scientifico nominale7 in cui i


processi, in questo caso l’inquinare, ‘perdono’ soggetto, verbo, e complemento, e assieme a questi
l’esplicitazione delle responsabilità. Chi provoca l’inquinamento? Come è scritto nei manuali di
ecologia le sostanze chimiche, potenzialmente inquinanti, possono derivare da eventi naturali (come
ad esempio le ceneri e i gas serra emessi dai vulcani) o da attività umane. Parlando di inquinamento
è quindi importante interrogarsi sul proprio personale contributo nel generarlo. In alcuni casi
abbiamo delle responsabilità dirette, come quando siamo alla guida della nostra autovettura; in altri
casi abbiamo delle responsabilità indirette, come quando acquistiamo un bene di consumo il cui
processo produttivo ha emesso sostanze inquinanti nell’ambiente.

7
Camino E. & Dodman M., Language and Science, in Science, Society and sustainability (a cura di) Gray D., Colucci-
Gray L., Camino E., Routledge, New York, 2009

6
È interessante notare come nella classificazione riferita alle sorgenti inquinanti sia contemplata la
possibilità di eventi accidentali. Alla luce di questo in termini di responsabilità e scelte, di cosa si
tratta allora: incidenti o rischi programmati? Come vedremo in seguito, una riflessione specifica
sulla definizione e la gestione degli incidenti è importante per acquisire una maggior
consapevolezza sulla natura e sulle conseguenze del nostro sistema produttivo.
L’incontenibilità e la capacità di trasformarsi di alcuni inquinanti così come l’accidentalità di alcuni
eventi inquinati e il fenomeno di globalizzazione, come verrà approfondito nei paragrafi successivi,
rendono difficile il riconoscimento delle responsabilità specifiche.

L’inquinamento nella storia

La parola “inquinare” deriva dal latino ed è composta da due parti, “in” e “quinare”, quest’ultima
formata sulla stessa radice del volgare “cunire”, che significa evacuare, oppure dalla radice indo-
europea “kun” che significa puzzare. Il fenomeno dell’inquinamento non ha mai avuto una
connotazione positiva e, per molti aspetti, si intreccia con quello dei rifiuti (collegamento con la
scheda generale Rifiuti). Anche se negli ultimi anni è sempre più al centro dell’attenzione sia
pubblica che politica e scientifica, si tratta di un problema che accompagna l’uomo da sempre.
Intanto per via dell’inquinamento naturale, come quello causato dai vulcani che almeno già dal XIV
secolo era stato identificato. Infatti, le “nebbie asciutte” che venivano osservate dai contadini
dell’epoca erano probabilmente degli aerosol acidi di provenienza vulcanica in grado di
danneggiare le colture8.
Oltre all’inquinamento naturale, l’uomo ha da sempre avuto a che fare con forme di inquinamento
generate da egli stesso. In particolare, l’aria che respirava veniva contaminata dalle sostanze
inquinanti prodotte con le reazioni di combustione impiegate per riscaldarsi, per cuocere il cibo e
per “cuocere” i minerali al fine di estrarre i metalli. I centri urbani e quelli metallurgici, sono i
luoghi in cui gli effetti dell’inquinamento dell’aria si sono manifestati, in modo sempre più
evidente, a mano a mano che questi diventavano di dimensioni maggiori. Esistono molte tracce
nella storia e nella letteratura che documentano alcune situazioni critiche generate da queste prime

8
Lorenzini G. & Nali C., Le piante e l’inquinamento dell’aria, Terza Edizione, Springer, Milano, 2005
7
forme di inquinamento. Ad esempio, nel trattato del 1661 Fumifugium, lo scrittore inglese John
Evelin descrive come il cosiddetto “fumo pernicioso” di Londra, quello prodotto dalla combustione
del carbone, “uccide le nostre api e i fiori, non consentendo a nulla di sbocciare nei nostri giardini”.
Lo stesso scrittore fa notare che quando, a causa della guerra civile, a Londra non fu possibile
scaldarsi bruciando il carbone, gli alberi produssero frutti in quantità e qualità “mai viste prima”.
Con l’avvento della rivoluzione industriale, i fenomeni di inquinamento subiscono una notevole
impennata. Aumentano le dimensioni delle città, aumenta il consumo di carbone per uso domestico,
industriale e per la produzione di energia nelle centrali termoelettriche, aumenta la produzione di
sostanze di scarto che vengono riversate nell’aria, nell’acqua e nel suolo.

I primi a provare sulla propria pelle gli effetti collaterali dell’industrializzazione sono stati gli
agricoltori e i proprietari terrieri inglesi che vedevano ridursi le rese dei loro campi. Dalle loro
proteste sono nati i primi provvedimenti legislativi volti a ridurre o controllare l’inquinamento,
come lo Smoke Prohibition Act del 18219, lo Smoke Nuisence Act del 1853, l’Alkali Act del 1862 e
il Public Healt Act del 1872. Quest’ultima legge, in realtà, ha reso inefficaci quelle precedenti che,
in qualche modo, danneggiavano il sempre più forte e influente potere industriale. Bisogna
considerare che già in questa epoca, nell’immaginario collettivo il progresso era un qualcosa che
non poteva essere arrestato e le cui conseguenze negative dovevano essere tollerate. Per certi versi
queste conseguenze non venivano nemmeno percepite come negative e, ad esempio, il fumo che
oscurava l’aria delle città veniva visto di buon occhio perché associato all’occupazione, alla
prosperità economica e al progresso, appunto. Ancora oggi, in seguito a disastri ambientali o alla
pubblicazione di dati scientifici che dimostrano i danni provocati da determinate attività antropiche,
la reazione collettiva si basa sulla retorica del progresso inarrestabile e della paura di tornare
indietro al Medioevo.

Ad ogni modo, il mondo agricolo ha subito le conseguenze negative dell’inquinamento prodotto da


quello industriale e urbano. Con il tempo si è dovuto adattare faticosamente selezionando e
coltivando varietà di piante in grado di sopravvivere alla nuova situazione ambientale, fino a

9
La prima legge sulla qualità dell’aria risale al 1273 in Inghilterra, quando il re Eduardo I proibì l’uso del carbone
perché dannoso alla salute.

8
quando, nel secondo dopoguerra, è stato quasi completamente inglobato dalle logiche industriali,
diventando esso stesso un settore industriale e, come tale, fonte di inquinamento.
Nella seconda metà dell’Ottocento si diffondono i primi studi accurati sulle conseguenze dell’uso
del carbone sulla salute delle piante. Nasce la fitotossicologia che mette in luce la correlazione tra
contenuto di zolfo nel carbone e patologie dei vegetali. Lo zolfo durante la combustione si
trasforma in SO2, anidride solforosa, che viene identificata come il principale inquinante dell’aria
dell’epoca insieme alle polveri sottili. Ed è sempre lo zolfo contenuto nel carbone alla base della
presenza di acido solforico rilevato già molto tempo prima nelle piogge, definite per questa ragione
“piogge acide”, che “bruciavano” la vegetazione. Agli studi in laboratorio si affiancano quelli sul
campo. Nel 1911 in Inghilterra due studiosi, J.B. Cohen e A.G. Ruston, conducono delle prove di
coltura a diverse distanze dal centro della città di Leeds, dimostrando che nel caso della lattuga, ad
esempio, il peso di una pianta fatta crescere lontano dalla città è circa 4 volte maggiore di quello di
una pianta cittadina. Altri studi si sono susseguiti fino ai giorni nostri e tutti dimostrano in modo
inequivocabile le conseguenze negative dell’inquinamento cittadino e industriale sulle piante.

Ovviamente quello che vale per le piante è ragionevole che possa valere anche per altri esseri
viventi, compreso l’uomo. Infatti, nel 1909 giunge la prima chiara evidenza di una correlazione tra
inquinamento e salute umana. A Glasgow un prolungato ristagno dell’aria sulla città provoca la
morte di circa mille persone.
Simile ma ancora più emblematico è il caso di Londra nel 1952, definito come “The Great Smog of
London”. A causa del fenomeno meteorologico dell’inversione termica, dal 5 all’8 dicembre di
quell’anno la città è rimasta completamente ricoperta dallo smog prodotto soprattutto dal
riscaldamento delle case. La quantità di fumo era talmente elevata che i teatri sono stati chiusi
perché il pubblico non riusciva a vedere il palcoscenico e le autorità suggerivano di non uscire con i
bambini perché c’era il rischio di smarrirli. In una settimana sono morte circa 4000 persone a causa
dello smog. I decessi per insufficienza respiratoria, bronchite acuta e polmonite sono cresciuti di 9,3
volte rispetto ai valori normali.
Dopo questo evento eccezionale i provvedimenti volti a misurare e limitare lo smog sono stati più
efficaci. La prima soluzione adottata ha riguardato gli impianti industriali e di produzione
dell’energia (centrali termoelettriche a carbone e a olio combustibile) e prevedeva l’obbligo di
9
ciminiere molto più alte di quelle normalmente in uso. In questo modo gli inquinanti prodotti
venivano dispersi maggiormente evitando di raggiungere elevate concentrazioni al suolo nelle
immediate vicinanze.

Con questo provvedimento il problema non è stato risolto, ma semplicemente spostato. I fenomeni
di acidificazione delle piogge, ad esempio, sono così diventati transfrontalieri, nel senso che le
fabbriche di una nazione potevano essere in grado di provocare le piogge acide in un’altra nazione.
A questo punto, la gestione del problema doveva diventare inevitabilmente di tipo internazionale e
non solo più locale. Il primo esempio di cooperazione internazionale prende le mosse nel 1972,
anno della prima conferenza mondiale sull’ambiente organizzata dall’ONU. In quella occasione è la
Svezia che fa presente la natura del problema e invita gli altri Paesi a collaborare. Da allora e
durante gli anni Settanta, mentre gli effetti delle piogge acide diventavano inequivocabili anche per
i più scettici, si sono susseguiti report e incontri internazionali sulla questione. A novembre del
1979 oltre 30 Paesi più la Comunità Europea siglano a Ginevra la Convenzione sull’inquinamento
atmosferico transfrontaliero a lunga distanza (LRTAP). Nel 1983 la Convenzione di Ginevra
ratificata da 24 paesi entra in vigore e alla prima riunione dell’Organo Esecutivo della Convenzione
i Paesi scandinavi propongono che tutti i Paesi riducano le loro emissioni di ossidi di zolfo di
almeno il 30% entro il 1993.
I protocolli successivi si propongono di affrontare altri problemi transfrontalieri che nel frattempo
erano venuti alla ribalta: lo smog fotochimico, i metalli pesanti e, come vedremo in seguito, gli
inquinanti organici persistenti.10

La gestione dell’inquinamento: dall’emergenza alla qualità

Il processo di gestione dell’inquinamento è, oggi più che mai, estremamente complesso e


controverso. Come vedremo, esso dipende da fattori socio-culturali, politico-economici ed infine
tecno-scientifici, tra loro strettamente intrecciati.
A più di due secoli dall’inizio della rivoluzione industriale, risulta ormai evidente che i beni della
produzione, i cosiddetti goods, sono indissolubilmente associati ai bads, gli effetti nefasti, fra i quali

10
È interessante confrontare come le dinamiche politiche ed economiche internazionali che si sono verificate per la
messa al bando degli ossidi di zolfo, causa delle piogge acide, si siano in parte riproposte nel caso della messa al bando
dei gas serra, causa del caos climatico (vedi scheda generale Caos Climatico)

10
l’inquinamento spicca per pervasività ed incisività nella nostra vita. L’inevitabilità del “rovescio
della medaglia” è gestibile – e, di fatto, gestita – secondo due strategie essenzialmente distinte: la
prima, fermamente ancorata al cosiddetto “mito del progresso” che associa allo sviluppo
tecnoscientifico-industriale nel suo insieme un maggior benessere sociale, si fonda su un’enfasi
sulla necessità dei “beni” di produzione rispetto all’eventualità e al controllo dei “mali”. In questo
approccio, la modalità di gestione degli eventi nefasti, fra i quali l’inquinamento, è di tipo
“emergenziale”, ovvero fondata sulla fiducia nella capacità della scienza e tecnologia ad alta
potenza di produrre benefici (assunti come) prioritari da un lato, e di prevedere, contenere e riparare
i danni a posteriori dall’altro. Una diversa possibile modalità è invece incentrata sulla discussione
pubblica e democratica circa le scelte produttive e distributive. In tale visione, si privilegia la
qualità rispetto alla quantità dei processi di produzione, e si considerano la scienza e la tecnologia
come strumenti soggetti all’agire politico e non come soluzioni (si veda a tal proposito la scheda
Sviluppo sostenibile).
In altre parole, da un lato si punta sulla potenza della scienza e della tecnologia di creare benessere
e di controllare gli (eventuali) effetti nefasti, dall’altro ci si basa sulla creazione e valutazione
partecipata di alternative politiche, economiche e sociali che includano nell’idea di benessere la
riduzione delle conseguenze negative alla radice.
In quanto segue, descriveremo attraverso alcuni esempi rappresentativi l’approccio dominante
“emergenziale”, e lasceremo ad alcune riflessioni ed auspici finali l’articolazione di una possibile
gestione partecipata.
Gestire l’inquinamento significa essenzialmente individuare le possibili fonti, misurare, prevenire e
limitare gli effetti, ed infine stabilire delle norme di risarcimento e responsabilità giuridica in caso
di danni. Ciascuna di queste fasi determina le altre e ne è determinata.

11
Individuazione e misurazione: emergenza e soluzioni uniche

L’individuazione di un agente inquinante è un processo complesso e per lo più, come abbiamo già
accennato, anche controverso. La relazione causale tra fonte e danno è spesso non lineare, dunque
elusiva, e si può manifestare in tempi lunghi rispetto all’esposizione. Inoltre, in molti casi, il danno
può insorgere come effetto combinato di diverse fonti, oppure come conseguenza di concatenazioni
causali multiple, ovvero per interazione sistemica. In una tale complessità, naturalmente,
l’identificazione di un agente inquinante è spesso soggetta a vicende alterne e accesi dibattiti, nei
quali si mescolano interessi, rischi e benefici. Per far luce sulla questione ricostruiamo qui, in breve,
il caso emblematico e dibattuto di un celebre composto chimico: il DDT.
La storia del dicloro-difenil-tricloroetano, poi battezzato per evidente comodità come DDT, ha
inizio durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel giro di pochi anni il chimico svizzero Paul Muller,
vince il Premio Nobel nel 1948 per l’invenzione di questo composto chimico dalle straordinarie
proprietà insetticide, relativamente facile ed economico da realizzare. L’alta potenza ed il basso
costo ne fanno in breve tempo l’insetticida più utilizzato negli Stati Uniti e in Europa: per
proteggere le truppe americane dislocate in zone malariche durante la guerra, per uso agricolo
subito dopo. In entrambi i contesti, il prodotto di sintesi funziona meravigliosamente e
l’Organizzazione mondiale per la sanità (OMS) ne approva ed incoraggia la diffusione nella più
grande campagna antimalarica del secolo, negli anni cinquanta. I risultati si vedono, malgrado
alcune difficoltà non indifferenti, prima fra tutte lo sviluppo in pochi anni di specie di zanzare
resistenti al prodotto.
Il secondo capitolo della narrazione sul DDT ha inizio nel luglio del 1962, quando il settimanale
americano The New Yorker pubblica a episodi il testo di una biologa americana, Rachel Carson,
sugli effetti ecosistemici devastanti dei pesticidi, con particolare enfasi sul DDT, vera e propria star
del momento. Durante e poco dopo il termine della serie settimanale, con la pubblicazione ampliata
in un volume dal titolo di Silent spring, ovvero “Primavera silenziosa”, le parole di Carson
suscitano un dibattito nazionale sempre più acceso11. Con uno stile asciutto, ma energicamente
suggestivo e ricco di metafore, l’Autrice è in grado di creare in pochi anni un immaginario
dell’emergenza silenziosa.

11
Si veda Carson R., Primavera Silenziosa, Feltrinelli Milano 1999.

12
Nelle prime pagine, in forma di fiaba, si descrive l’idillio di una cittadina di campagna americana,
nella quale improvvisamente uno “strano flagello” si diffonde.

Un misterioso maleficio si è insediato nella comunità. […] I


pochi uccelli che si potevano ancora incontrare erano
moribondi; in preda a violenti tremori non potevano più volare.
Era una primavera senza voci (Carson 1962).

Letale per il sistema nervoso degli insetti, il composto organico è in grado di depositarsi negli
organismi complessi attraverso la catena alimentare, di accumularsi in quantità attraverso il
fenomeno della ‘bio-amplificazione’, e di rimanervi per lungo tempo, interferendo con il sistema
endocrino e riproduttivo e favorendo alcuni tipi di cancro. Elemento fortemente evocativo della
narrazione dell’autrice, è l’effetto nefasto dell’insetticida sulla specie cosiddetta bald eagle,
letteralmente “aquila calva”, nota come aquila dalla testa bianca, simbolo degli Stati Uniti
d’America. L’inquinante altera il sistema endocrino e ormonale delle femmine di aquila, le quali si
trovano così a produrre uova troppo fragili per reggere il peso della cova, pregiudicando così la
sopravvivenza della specie12. Lo spettro dell’inquinamento chimico diventa così il fondamento del
movimento ambientalista americano.
Il fatto quanto mai interessante ed emblematico nell’intera vicenda del DDT, è che non sono i dati
scientifici, preoccupanti ma estremamente complessi da rilevare, a spostare l’ago della bilancia
politica e normativa a sfavore del pesticida, bensì la sollecitazione accorata dell’opinione pubblica e
del nascente movimento ambientalista13. Il governo americano si trova così costretto a bandire
l’utilizzo agricolo del DDT, nel 1972. Fra gli anni settanta e gli anni ottanta il bando si estende a
tutti i paesi europei: iniziano Norvegia e Svezia nel 1970 e termina il Regno Unito nel 1984. In
Italia il bando sull’utilizzo è introdotto nel 1978, ma lo si continua a produrre sino al 1997.

12
Il DDT è, in effetti, classificato fra i cosiddetti “inquinanti endocrini”, composti chimici strutturalmente così simili
agli estrogeni naturali da poter indurre una risposta ormonale negli organismi esposti.
13
O’ Saughnessy P. T., Parachuting cats and crushed eggs: the controversy over DDT to control malaria. American
Journal of Public Health, 98,11, 2008, pp. 1940-1948.
13
Infine, nel 2001, la Convenzione di Stoccolma14, ratificata da 149 paesi ed entrata in vigore nel
2004, proibisce l’uso dei cosiddetti “inquinanti organici persistenti” (i dodici Persistant Organic
Pollutants ovvero POP), fra i quali spicca per celebrità il DDT.
Nel 2006, il caso DDT si riapre di nuovo. È l’anno in cui, a seguito di un cambio nella dirigenza di
un settore di ricerca, l’OMS decide di reintrodurre il pesticida come strumento di contenimento
della malaria nei paesi nei quali la malattia è endemica, primo fra tutti l’Africa sub-sahariana.
L’argomentazione del responsabile di ricerca, si fonda su due elementi: da un lato, le correlazioni
tra l’utilizzo controllato come repellente per le zanzare sui muri domestici interni (il cosiddetto
Indoor Residual Spraying) e il danno endocrino o cancerogeno non sono sufficientemente probanti,
e d’altro lato, l’emergenza malarica giustifica anzi impone una ‘soluzione forte’, che impegni le
armi chimiche più efficaci, ad alta potenza15.
Si fa leva dunque sulla mancanza di certezza insita in un tipo di correlazione di natura sistemica,
tipico non solo del DDT ma di tutti i cosiddetti distruttori endocrini16 e sulla retorica
dell’emergenza, la quale implica l’utilizzo di soluzioni uniche ad alta potenza17, fondate su una
decisione gestita dai grandi organismi internazionali e applicabili in modo uniforme e indipendente
dai contesti locali18. Il potenziale o effettivo inquinamento chimico strutturale diventa così
accettabile, sulla base di tre pilastri retorico-argomentativi fondanti: l’incertezza non probante,
l’emergenza e il male minore.
La logica di questi tre elementi è applicabile nella gran parte delle controversie sull’identificazione
degli agenti inquinanti e sulla misurazione dei danni prodotti. Altro esempio chiave della nostra
epoca è quello dell’inquinamento genetico, ad opera degli organismi geneticamente modificati in

14
Per accedere al testo della convenzione si veda il sito:
http://www.salute.gov.it/sicurezzaChimica/documenti/ConvenzioneStoccolma.pdf
15
Dugger C. W.,WHO supports wider use of DDT vs. malaria, The New York Times, September 16, 2006.
16
Si pensi ad esempio, al dibattito in corso su alcuni componenti delle plastiche più comuni, quali il bisfenolo-A o
BFA, straordinariamente utili e diffusi, ed oggi di dubbia tossicità. Si vedano a tal proposito il rapporto della società di
endocrinologia americana del 2009 sui composti chimici endocrino-distruttivi:
http://www.endo-society.org/journals/scientificstatements/upload/edc_scientific_statement.pdf
e l’articolo: Grady D, In Feast of Data on BPA Plastic, No Final Answer, The New York Times September 6, 2010.
http://www.nytimes.com/2010/09/07/science/07bpa.html?_r=1&emc=eta1
17
Le soluzioni uniche di questo tipo sono definite come silver bullet, ovvero le pallottole d’argento: La metafora della
pallottola d’argento ha il significato nella tradizione anglosassone dell’unica arma in grado di distruggere la potenza del
male, sia esso incarnato dal lupo mannaro, dal vampiro o dalla strega malvagia.
18
La recrudescenza della malaria, a partire dagli anni novanta, è ascrivibile a molteplici fattori tra i quali il
cambiamento climatico (si veda la scheda Caos Climatico), la gestione intensiva delle acque ad uso agricolo (si vedano
le schede Acqua e Alimentazione), le condizioni igienico-sanitarie. I programmi di gestione sistemica della malaria
tengono conto complessivamente di tutti i fattori in gioco e vanno sotto il nome di gestione bio-ambientale.

14
agricoltura, in grado di propagare modificazioni geniche che mettono a rischio la biodiversità. La
questione è trattata in modo del tutto analogo: l’incertezza non probante sulla possibile diffusione
genica e sugli effetti sulle specie ‘selvatiche’, l’emergenza alimentare, la fame nel mondo, che
richiede soluzioni uniche ad alta potenza, fra le quali le biotecnologie agricole, e la conseguente
retorica del male minore (si veda a tal proposito la scheda generale Alimentazione). In tale processo
di identificazione e misurazione, si intrecciano dunque, come abbiamo visto, elementi di natura
scientifica, politica, economica e culturale.
La strategia della soluzione unica ad alta potenza, il “bene maggiore”, che riduce l’inquinamento o
il rischio di inquinamento a “male minore”, tollerabile nella scala delle priorità delle emergenze, è il
primo fondamento di quella che abbiamo chiamato gestione emergenziale. Vediamo ora il secondo
pilastro.

Prevenzione e responsabilità: gli incidenti normali e le conseguenze non intenzionali

Come possiamo facilmente dedurre dai due esempi precedenti, prevenire l’inquinamento implica
per lo più il decidere in una situazione di incertezza. Tale condizione non è specifica ai casi
considerati, bensì è connaturata al nostro sistema di produzione e di esistenza. Con l’aumentare
della capacità, e più specificamente della potenza, della nostra specie di modificare materia ed
energia sul pianeta, abbiamo iniziato ad attuare esperimenti non reversibili, al di fuori dei confini
controllati e ripetibili dei laboratori, direttamente sul mondo che ci sostiene e che ci definisce.
Proprio perché sperimentiamo sui nostri sistemi socio-ambientali, intrinsecamente complessi e
correlati tra loro, la nostra capacità di prevedere le conseguenze del nostro agire è drasticamente
diminuita. Ci troviamo così a dover procedere in mancanza di una piena e certa conoscenza del
futuro. Tra prevenzione e previsione si crea così un varco nel quale la dimensione normativa,
ovvero etica, politica e giuridica, assume una rilevanza senza precedenti: il miglior corso d’azioni
non ha più una base di certezza scientifica sul quale fondarsi (si veda a tal proposito la scheda
Sviluppo sostenibile).
Nel caso del DDT, così come in quello dell’inquinamento genico delle biotecnologie agricole,
l’argomento principale che giustifica l’adozione di un prodotto potenzialmente dannoso è
un’incertezza sui possibili effetti nefasti, considerata come non probante, rispetto ad una (presunta)
15
certezza e necessità, nell’emergenza, dei benefici. Ma che cosa si intende qui per “probante”? Ecco
il secondo pilastro dell’approccio emergenziale: la possibilità di un danno è tenuta in
considerazione, e può dunque diventare probante, soltanto se è possibile associarvi un peso
quantitativo, ovvero se è traducibile in una distribuzione di probabilità nota. In altre parole, in tale
contesto, l’incertezza sui possibili effetti nefasti assume un significato soltanto quando è traducibile
nella forma di un rischio quantificabile, e come tale può essere pesata rispetto ai benefici. Ciò
significa applicare all’inquinamento ambientale la logica della valutazione costi (rischi)-benefici,
tipica dell’economia industriale19.
Il problema principale di tale approccio, al di là delle possibili considerazioni di ordine etico e
politico, risiede nel fatto che in gran parte dei casi, la nostra “mancanza di conoscenza” sulle
conseguenze del nostro agire tecno-scientifico non è traducibile in forma statistico-quantitativa,
poiché, per lo più, le nostre sperimentazioni dirette sull’ambiente e sulle società sono talmente
complesse che noi non sappiamo di non sapere, ovvero ci troviamo in condizioni di ignoranza20.
Inoltre, poiché gli ‘esperimenti’ avvengono nel mondo reale, la conoscenza e le informazioni
rilevanti nel decidere provengono da ambiti disciplinari diversi i quali forniscono prospettive valide
spesso tra loro in contraddizione. La coesistenza di una tale molteplicità di punti di vista, e dunque
l’assenza di una singola visione esaustiva dei problemi, è definita comunemente come
indeterminatezza.
Poichè nella gestione emergenziale dell’inquinamento tutto ciò che non è traducibile nei termini
statistico-quantitativi della valutazione dei rischi non è contemplato, l’ignoranza e
l’indeterminatezza risultano assenti. Ciò implica che, quando accade una conseguenza non
prevedibile tra gli scenari di rischio, insita nelle variabili trascurate, tale accadimento è considerato
come accidentale, in termini più specifici come “conseguenza non intenzionale”. In questa logica,
l’evento imprevisto, può non mettere, e, di fatto, difficilmente mette in discussione l’intero sistema
produttivo-industriale nel quale si è manifestato. In questo modo, la responsabilità dell’accaduto è

19
Tipico esempio di sistema fondato sull’analisi dei rischi è il sistema assicurativo.
20
Un esempio tipico di una situazione di ignoranza è quella relativa ai gravi danni alla salute derivanti
dall’amianto, sostanza altamente cancerogena, scoperta molto dopo la sua introduzione ed utilizzo massiccio
a livello industriale. Si veda a tal proposito il capitolo 5 del rapporto della Commissione europea Late
lessons from early warnings (Lezioni tardive da avvertimenti precoci),
http://www.eea.europa.eu/publications/environmental_issue_report_2001_22. Altro esempio chiave di
dinamica socio-ambientale nella quale regna la complessità è la sperimentazione in agricoltura di organismi
geneticamente modificati (si veda a tal proposito la scheda Alimentazione).
16
limitata alle persone fisiche colpevoli di eventuali negligenze e difficilmente intacca la struttura
decisionale politica ed economica nella quale l’incidente si manifesta. In tale approccio,
l’inquinamento strutturale, ovvero intrinseco in una data modalità di produzione, viene dunque
definito e gestito come inquinamento accidentale.
Gli esempi di incidenti nei quali è prevalsa una definizione e gestione emergenziale sono molteplici.
Si pensi, negli anni ottanta, al disastro nucleare di Chernobyl, rispetto al quale ancora oggi si dibatte
sugli effetti, sulle responsabilità, persino sul numero effettivo di vittime21. O ancora, alla catastrofe
chimica avvenuta nel 1984 in uno stabilimento del colosso americano Union Carbide nella località
di Bhopal in India, nel quale si produceva il Sevin, un pesticida ‘miracoloso’ in grado di sostituire il
DDT: le vittime immediate, la notte stessa nella quale si diffuse la nube tossica, furono tra le 8000 e
le 10.000, mentre si stima che un numero di persone dell’ordine di 500.000 furono affette da
patologie di varia gravità nei decenni successivi, a causa dell’inquinamento di aria, acqua e terra.
Nel 2009, a venticinque anni di distanza, il tribunale distrettuale di Bhopal ha condannato 8
persone, all’epoca dipendenti della fabbrica, per omicidio colposo, dovuto a negligenza. Gli
imputati rischiano un massimo di 2 anni e 2000 dollari di multa. Warren Anderson, ai tempi
presidente della Union Carbide, oggi incorporata nella Dow Chemical, è tutt’ora latitante negli Stati
Uniti. La procedura di risarcimento alle vittime è stata lenta, molto difficoltosa, con risultati al
limite del paradossale22.
Infine, si pensi all’esempio più recente, il già citato incidente petrolifero alla piattaforma Deepwater
Horizon della British Petroleum (BP), nel golfo del Messico, oggi definito come il più grande
disastro ambientale della storia degli Stati Uniti. Di nuovo, l’attribuzione della responsabilità è
altamente controversa, così come l’entità del risarcimento a carico della BP e la necessità della
trivellazione ad alta profondità23.

21
Si veda a tal proposito www.chernobyl-today.org
22
Per una panoramica sull’argomento si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Bhopal , e
http://lanostrastoria.corriere.it/2010/06/bhopal-due-anni-di-carcere-per.html.
23
La trivellazione marina ad alta profondità, come quella dell’incidente nel Golfo del Messico, è per sua natura
estremamente rischiosa, e se ne giustifica l’utilizzo in nome dell’appetito energetico sempre in crescita del nostro
sistema di produzione e consumo e della crescente scarsità di nuovi giacimenti facilmente accessibili (si veda a tal
proposito la scheda Energia). Anche in questo caso, l’enfasi emergenziale è sulla necessità di continuare la pratica
rischiosa contenendo i rischi mediante nuove tecnologie, in nome di una necessità energetica imprescindibile.
17
Il sociologo Charles Perrow definisce questo tipo di eventi imprevisti, tipici della nostra epoca di
tecnologia ad alta potenza e ad alto rischio, come “incidenti normali”, nel senso che seppur rari,
accadono in sistemi che sono intrinsecamente vulnerabili24.

Gli incidenti normali come opportunità di cambiamento “post-normale”

Prendere atto sino in fondo della mancanza di conoscenza intrinseca nella quale operiamo e viviamo
(sia essa incertezza, rischio, ignoranza, o indeterminatezza) implica una necessaria apertura
democratica nelle decisioni nelle quali la posta in gioco è elevata. È questo lo scenario della
cosiddetta “scienza post-normale”, elaborato in Gran Bretagna negli anni novanta da due filosofi
della scienza, Silvio Funtowicz e Jerome Ravetz, per far fronte alle sempre maggiori difficoltà
politiche e cognitive nel gestire le decisioni in condizioni di rischio. In tale prospettiva, la
conoscenza scientifica è necessaria, ma non più sufficiente per decidere con saggezza, ed è
necessario affiancare ad essa altre forme di “saperi esperti”, provenienti dalla società civile
direttamente coinvolta nelle decisioni e nelle relative conseguenze (per maggiori dettagli si veda la
scheda Sviluppo Sostenibile).
Si tratta dunque di applicare un modello decisionale che privilegi l’auto-determinazione delle
comunità direttamente coinvolte nella produzione industriale, attraverso una loro partecipazione
attiva nella valutazione della qualità dei processi produttivi. Accanto e oltre alla valutazione
quantitativa dei rischi, è necessario introdurre dei criteri di creazione e condivisione di conoscenza
che comprendano ad esempio, la vulnerabilità dell’intero sistema socio-ambientale coinvolto, dai
lavoratori direttamente immersi nelle fabbriche, alle popolazioni insediate nei territori attigui, agli
ecosistemi implicati nel loro complesso25.
Il primo passo verso una valutazione qualitativa, locale e democratica della qualità dei processi
produttivi è il cosiddetto “diritto di sapere”, il right to know nella letteratura anglosassone, inteso
come la necessità che le popolazioni coinvolte in un processo produttivo siano innanzitutto a
conoscenza dell’esistenza di materiali o processi potenzialmente dannosi all’interno della loro
comunità. In tale direzione si muove la direttiva Europea 96/82/CE, comunemente nota come
“direttiva Seveso” poiché fu elaborata a seguito del tristemente noto incidente chimico nel comune

24
Si veda Perrow C., Normal Accidents: living with high-risk technologies, New York, Basic Books, 1984.
25
Per una definizione specifica di “vulnerabilità” si veda la scheda Sviluppo sostenibile.

18
di Seveso, avvenuto nel 197826. In tale direttiva, si prende atto della necessità di censire e
regolamentare i processi produttivi che includono sostanze pericolose. Ciò presuppone naturalmente
che la pericolosità delle sostanze chimiche sia un dato noto, certo e non controverso e, come
abbiamo ampiamente discusso, non è così. Inoltre, la regolamentazione normativa nazionale o in tal
caso Europea può essere elusa attraverso la cosiddetta delocalizzazione, ovvero il trasferimento in
paesi meno regolamentati o non regolamentati del tutto, delle filiere produttive più a rischio27. È il
caso ad esempio di Bhopal che ospitava uno stabilimento del colosso americano della chimica
Union Carbide, nel quale le più comuni norme di sicurezza erano eluse. Si tratta dunque, da un lato,
di stabilire degli standard globali per la tutela dei diritti umani e ecosistemici da parte delle
imprese, e dall’altro di implementare tali standard a livello locale, attraverso la discussione aperta e
democratica sulle scelte e sulle modalità produttive.
Infine, come abbiamo visto, uno dei problemi maggiori nell’attribuzione della responsabilità per
danni da inquinamento, e dunque nella regolamentazione delle procedure potenzialmente
dannose, è la natura sistemica degli agenti inquinanti, molto difficile da rilevare e da provare. Una
prima pesa d’atto di tale difficoltà è la direttiva europea REACH, nella quale si impone la cosiddetta
inversione dell’onere della prova. Ciò significa che spetta all’azienda produttrice provare
l’innocuità del processo produttivo prima di introdurlo e non più al decisore provarne la tossicità
per poterlo bloccare a posteriori28. La direttiva consiste in un’applicazione del cosiddetto Principio
di Precauzione, enunciato nel 1992 alla Conferenza di Rio, nel quale per la prima volta si
introduce l’idea che, in condizioni di incertezza, è più responsabile rinunciare ad un possibile
sviluppo tecnologico che si possa rivelare dannoso piuttosto che accettarlo per poi eventualmente
occuparsi dei danni a posteriori (per maggiori dettagli si veda la scheda Sviluppo Sostenibile).
Tali principi e direttive sono importanti passi avanti poiché aprono “dall’alto”, ovvero a livello
nazionale e sovranazionale, una discussione più approfondita sulla natura dei “mali” del complesso
tecnologico-industriale, ma non sono risolutivi, poiché non presuppongono una discussione

26
Si veda a tal proposito il documento: Seveso: dalla tragedia alle direttive UE di Fabio Andreolli
http://www.superofficina.net/Direttiva%20Seveso.pdf
27
Il medesimo problema si manifesta nel caso della gestione dei rifiuti tossici (si veda la scheda Rifiuti per ulteriori
dettagli).
28
Nel caso in cui l’innocuità si riveli falsa a posteriori l’attribuzione di responsabilità all’azienda è naturalmente molto
più immediata.
19
democratica su ciò che è da intendersi come “bene”, inteso sia come prodotto di consumo, sia come
beneficio sociale e culturale.

Alcuni spunti di riflessione didattica

Come illustrato sin qui, il tema dell’inquinamento è un tema molto ampio, interdisciplinare, che
include fenomeni anche molto differenti fra loro e che val la pena affrontare in modo articolato e
riflessivo. La tematica inquinamento è fortemente intrecciata al tema rifiuti, tanto che spesso risulta
difficile delineare il confine tra l’una e l’altra: quando, infatti, la materia e l’energia immesse
nell’ambiente assumono la connotazione di rifiuto e quando invece quella di inquinante? Forse in
realtà, è solo un problema di confine concettuale, perché in fondo, guardando il sistema nel suo
insieme, i rifiuti nella maggioranza dei casi diventano inquinanti, e gli inquinanti nella maggioranza
dei casi, altro non sono che i rifiuti di qualche processo produttivo.
Così come per il tema dei rifiuti è quindi importante cercare di non trattare tale tematica
focalizzandosi esclusivamente su quanto sta a valle del problema, ossia un’accurata rassegna di ciò
che inquina e dei conseguenti danni sugli organismi viventi, ma di porre attenzione anche a quanto
sta a monte, ossia le attività antropiche che producono inquinamento e come queste interagiscono
con i sistemi naturali, con tutte le annesse considerazioni culturali, sociali, normative ed
economiche.
Qui di seguito vi proponiamo alcuni spunti organizzati in aspetti di percezione dell’inquinamento e
in aspetti di gestione.

La nostra percezione dell’inquinamento


• Un brainstorming sul tema “inquinamento”
Un’attività di questo tipo, in cui gli studenti sono tenuti ad esprimere sinteticamente che cosa la
parola inquinamento evoca in loro, potrebbe essere un buon inizio per cogliere differenti aspetti
come ad esempio il livello di conoscenza circa la varietà di inquinanti - da quelli microscopici a
quelli macroscopici, dalla materia all’energia - o ancora il grado di consapevolezza sulla nostra
produzione indiretta di inquinanti. Attraverso il brainstorming emerge anche il tipo di
sensazioni/aggettivi associate al concetto: aggettivi che esprimono fastidio, repulsione o paura,
qualcosa da allontanare, qualcosa di pericoloso, qualcosa di estraneo a loro ecc.

20
• I processi naturali e l’inquinamento incontenibile e ‘trasformista’
Come sottolineato all’inizio di questa scheda generale l’inquinamento non scompare nel nulla
ma si sposta e si trasforma interagendo con i composti e i processi naturali. Il ciclo
biogeochimico dell’acqua e del carbonio posso rappresentare un’efficace esemplificazione di
come tutto sia in costante trasformazione e movimento.

Es.: Gioco di simulazione – immagina di essere una molecola d’acqua: quali strade percorrerai a
seconda delle circostanze? In quali e quanti processi potrai essere coinvolta? Quante e quali
identità puoi assumere? Con quali e quante sostanze ti mescolerai?
Es.: Gioco di simulazione – Il Ciclo del Carbonio. Immagina di essere un atomo di Carbonio:
quali strade percorrerai a seconda delle circostanze? In quali e quanti processi potrai essere
coinvolto? Quante e quali identità puoi assumere?
→ Suggerimento bibliografico: “Il sistema periodico” Levi P., Einaudi, 2005.
→ Suggerimento bibliografico: “Metamorfosi di bios. Le molecole raccontano” Pallante M.,
Editori Riuniti, 2003.
• Il ciclo di vita di un prodotto e l’inquinamento nascosto
Si può proseguire la riflessione in merito alla nostra percezione dell’inquinamento utilizzando il
concetto di ciclo di vita del prodotto. Un qualsiasi prodotto di consumo ha infatti a monte, un
processo di estrazione di risorse, un processo di lavorazione, di trasporto e, a valle dell’utilizzo,
un processo di smaltimento. Tutte queste fasi di vita del prodotto implicano flussi di energia e
materia il cui impatto ambientale non dovrebbe essere trascurato. Questo concetto può essere
utilizzato per arricchire e ampliare la visione della portata degli impatti, in termini di emissioni
di inquinanti.

Es. Scegliere un oggetto di uso quotidiano (ad esempio una bottiglia di passata di pomodoro) e
cercare di individuare le diverse fasi del suo ciclo: individuare il processo produttivo che ha
permesso di avere quel prodotto, individuare e definire il processo di trattamento del prodotto
dopo l’uso. Questi due processi, che tipo di scambi implicano con l’ambiente? Questo mi
permette di ampliare i confini spaziali e temporali del prodotto che ho davanti e mi aiuta a
guardarlo in modo nuovo/diverso.

• Ossigeno: da scarto a risorsa


Un interessante collegamento fra la tematica “inquinamento” e le scienze naturali potrebbe
consistere nel porre attenzione all’effetto della comparsa dei primi organismi fotosintetici che
hanno portato l’accumulo di ossigeno in atmosfera cambiando l’equilibrio ecologico esistente
sino ad allora.
L’accumulo di scarti metabolici infatti modifica l’ambiente e rappresenta una grande
opportunità per gli organismi che evolvono nuove vie metaboliche capaci di rompere
l’equilibrio ecologico imposto dalle specie dominanti.

21
Questo può rappresentare una nuova chiave di lettura sia nel momento in cui si affronta il tema
della massiccia combustione di combustibili fossili ad opera dell’uomo - che sta portando ad un
aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera (microinquinanti), sia nel
momento in cui ragioniamo in termini di effetti che possono derivare dall’immissione
nell’ambiente di sostanze di sintesi (plastica).
Facendo il parallelismo tra gli effetti derivati dalla comparsa dei fotosintetizzatori e gli effetti
imprevedibili che seguiranno l’aumento di concentrazione di CO2 e l’immissione di sostanze di
sintesi, è importante tenere in considerazione la variabile temporale. Dalla comparsa dei primi
organismi produttori di O2, al raggiungimento dell’equilibrio dinamico che caratterizza la
nostra atmosfera (21% di O2) sono trascorsi miliardi di anni, mentre l’aumento di CO2 in
atmosfera e la dispersione/diffusione di particelle di sintesi nell’ambiente sono fenomeni
emersi negli ultimi 300 anni.
→ Documentari stimolo: Addicted to plastic

La gestione dell’inquinamento
• Come rilevare l’inquinamento – gli indicatori chimico/fisici e biologici: l’esempio dell’acqua
“ …l’acqua, pronta ad accogliere altre molecole con fin troppa facilità, spesso perde purezza e
qualità …”. Le attività umane spesso portano ad immettere nell’ambiente sostanze così dette
inquinanti e anche se solitamente l’azione è locale gli effetti possono interessare spazi più estesi
o luoghi anche molto distanti dalla fonte di inquinamento. Atmosfera, idrosfera, litosfera e
biosfera sono comparti interconnessi ed ecco che l’inquinamento “non sta fermo”: come si
muove l’inquinamento? Che cosa sono le piogge acide? Come si contaminano le falde
acquifere sotterranee? …
Quello che noi riusciamo a mettere in evidenza è l’inquinamento nelle differenti “tappe” del
suo peregrinare attraverso degli indicatori che possono essere chimico-fisici quando rivelano la
concentrazione di una determinata sostanza inquinante o biologici quando lo stato di una
determinata comunità biologica ne rivela l’effetto.
Es: IBE (Indice Biotico Esteso). Mentre alcuni organismi viventi mostrano una ampia capacità
di tollerare variazioni ambientali, altri, più "sensibili", inevitabilmente sono destinati a
scomparire. Sono proprio questi ultimi i più significativi "indicatori biologici" di una
determinata situazione ambientale. Nel caso dell’IBE si tratta di macroinvertebrati acquatici la
cui abbondante o scarsa presenza ci può dare un valore indicativo dello stato di salute di un
corso d’acqua. Il calcolo di tale indice può rappresentare una significativa attività didattica.
→ Documentario stimolo da proporre prima dell’attività: “The Aral sea”

• Come contenere l’inquinamento


Le strategie messe in atto per contenere l’inquinamento possono essere molto diverse fra loro e
di conseguenza anche gli effetti a lungo, medio o breve termine.
Potrebbe allora essere interessante portare gli studenti a riflettere su quali possano essere le
motivazioni, gli interessi, le scale di valori, ecc. che portano alla scelta di una soluzione
piuttosto che di un’altra. Un’attività di apertura in questi termini potrebbe consistere nella

22
lettura di alcuni piccoli brani, con seguente confronto e dibattito, in cui sono riportati alcuni
esempi di strategie messe in atto per contrastare la diffusione dell’inquinamento.

o La maggior parte delle industrie dei paesi più ricchi economicamente hanno iniziato ad
usare alte ciminiere per emettere i fumi inquinanti al disopra dello strato di inversione
termica. Lo strato di inversione termica consiste in uno strato di aria meno densa e calda
al di sopra di uno strato più denso e freddo che impedisce agli inquinanti dispersi
nell’aria di salire verso l’alto e disperdersi. (Scienze ambientali. Lavorare con la terra,
Miller G. T. JR., Edises, 2002).
Secondo voi questa strategia è efficace nella riduzione dell’inquinamento? E’ una
soluzione che agisce a livello locale, globale o entrambi?
o I colorofluorocarburi sono composti chimici stabili, inodore, non infiammabili, atossici e
non corrosivi impiegati ampiamente come refrigeranti nei frigoriferi, come propellenti
negli spray, ecc. Attorno agli anni ’70 alcune ricerche hanno messo in evidenza come
questi composti stessero distruggendo lo stato di Ozono: i CFC insolubili e non reattivi
chimicamente, invece di disperdersi finivano per accumularsi nella stratosfera dove
grazie all’interazione con i raggi solari riuscivano ad intaccare lo strato di ozono. Una
quindicina di anni dopo29 tali composti sono stati banditi, almeno negli stati più
industrializzati. (Miller G. T. JR., 2002).
A vostro avviso, quali possono essere le condizioni (politiche, sociali, culturali,
economiche) che permettono e influenzano la messa a bando di alcuni composti chimici?
o Il colosso americano della chimica Union Carbide, negli anni 80 spostò uno stabilimento
nella località di Bhopal in India, in tale stabilimento si produceva il Sevin, un pesticida
‘miracoloso’ in grado di sostituire il DDT noto inquinante organico persistente.
A vostro avviso, quali possono essere le motivazioni che hanno fatto sì che l’azienda
americana decidesse di trasferire in India la produzione del Sevin?
→ Documentari stimolo: Oma e Chimica

• Dentro le questioni socio-ambientali


Nelle moderne problematiche socio-ambientali il punto di vista ecologico, sociale, normativo
ed economico si intrecciano in modo complesso, come far cogliere la complessità di una
questione socio-ambientale come quella dell’inquinamento?
Es: Giochi di ruolo – Durante un’attività di questo tipo gli studenti sono coinvolti in una
simulazione di un processo decisionale relativo ad una specifica questione socio-ambientale
complessa e controversa. Gli studenti sono invitati ad assumere i panni di personaggi
diversamente coinvolti nella controversia organizzati in tre gruppi: il gruppo a favore, il gruppo
contro e il gruppo dei decisori. In seguito ad un momento di documentazione da parte dei tre
gruppi viene simulato un dibattito pubblico di fronte ai decisori che dovranno decidere a favore

29
L’industria dei CFC ne ha portato avanti la produzione nonostante le denunce degli scienziati. Quest’ultime vennero
presero in considerazione soltanto nel 1988 quando, le industrie avevano ormai già a disposizione nuove sostanze
chimiche in grado di sostituire i CFC.
23
dei pro o dei contro. La fase successiva può prevedere invece un momento di tavola rotonda in
cui ricercare una soluzione condivisa che vada oltre la contrapposizione vincitori/vinti.
A tal proposito suggeriamo alcuni giochi di ruolo che trattano direttamente e indirettamente la
questione dell’inquinamento:
o Camino E. & Calcagno C., Un livido giorno di pioggia. Edizioni Gruppo Abele, Torino,
1992.
o Calcagna Carla (a cura di), I rifiuti: un problema di tutti, Edizioni Gruppo Abele, Torino,
1993.
o Colucci L. & Camino E., Gamberetti in tavola: un problema globale! Edizioni Gruppo
Abele, Torino, 2001

SCHEDA REALIZZATA DA
IRIS - Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla sostenibilità - www.iris.unito.it
A cura di: Angelotti M., Benessia A., Guarnieri V., Marchetti D.

24
25
Suggerimenti bibliografici

Camino E. & Dodman M., Language and Science, in Science, Society and sustainability (edited by)
Gray D., Colucci-Gray L., Camino E., Routledge, New York, 2009
Carson R., Primavera Silenziosa, Feltrinelli, Milano, 1999.
Floccia M., Gisotti G., Sanna M., Dizionario dell’inquinamento. Cause, effetti, rimedi, normativa,
Carocci editore, Roma, 2003.
Lorenzini G. & Nali C., Le piante e l’inquinamento dell’aria, Terza Edizione, Springer, Milano,
2005
Massara M. & Scarselli S., Licheni e inquinamento atmosferico, distribuito gratuitamente dalla
Regione Piemonte, Romano C.se, 1997.
Miller G. T. JR., Scienze ambientali – Lavorare con la terra, EdiSES, Napoli, 2002.
O’ Saughnessy P. T., Parachuting cats and crushed eggs: the controversy over DDT to control
malaria. American Journal of Public Health, 98,11, 2008, pp. 1940-1948.
Perrow C., Normal Accidents: living with high-risk technologies, New York, Basic Books, 1984

26
Pochettino S., Bugie nucleari, Carlo Spera Editore, Lanciano (Ch), 2010.
Smil V., Global material cycles, Enciclopedia of Earth, www.earthportal.org, 2007
Süskind P., Il Profumo, Longanesi & C., Milano, 1985

Articoli dal New York Times:


Dugger C. W.,WHO supports wider use of DDT vs. malaria, The New York Times, September 16,
2006. http://www.nytimes.com/2006/09/16/world/africa/16malaria.html
Grady D, In Feast of Data on BPA Plastic, No Final Answer, The New York Times September 6,
2010. http://www.nytimes.com/2010/09/07/science/07bpa.html?_r=1&emc=eta1

Sitografia

www.zonanucleare.com/scienza/rifiuti_radioattivi.htm Questo sito cerca di rendere possibile


un’informazione estesa e completa sulla questione del nucleare, raccogliendo e rielaborano notizie
pubblicate in modo sparso in internet.

www.mondoincammino.org Sito dell’Organizzazione di Volontariato per la Solidarietà MONDO


IN CAMMINO (MIC) che ha l’intento di unire in azioni comuni l’esperienza di molti volontari che
da diversi anni si occupavano di interventi di cooperazione internazionale e di solidarietà
nell’Europa Centro Orientale e nello Spazio Post Sovietico. Fra i diversi progetti il “progetto
Humus” è rivolto alla popolazioni della Bielorussia, Russia, Ucraina colpite dalla conseguenze
dell’incidente nucleare di Chernobyl mediante iniziative di accoglienza cooperante e di interventi
locali di radioprotezione in campo didattico, preventivo, sociale, scolastico, sanitario ed agricolo.

www.chernobyl-today.org I principali obiettivi di questo sito creato dal Ecology and Health
Coordinating and Analytical Centre con l’aiuto di “International syndicate of assistance to the
liquidators of the Chernobyl nuclear power plant and to the victims of nuclear effects” e
l’associazione “The friends of Yury Bandajevski” consistono nel:
a) informare la comunità internazionale circa il progressive deterioramento delle condizioni di
salute delle popolazione che vivono nell’area colpita del disastro nucleare di Chernobyl.
b) favorire l’assistenza umanitaria ed elaborare strategie di sostegno efficaci per il miglioramento
delle condizioni di salute delle popolazioni che vivono in zone contaminate da elementi
radioattivi.

www.ambientediritto.it/Giurisprudenza/2010/inquinamento_2010.htm: rivista giuridica che fornisce


riferimenti normativi in merito a numerose tematiche fra le quali quella dell’inquinamento in
generale e più specifico (acustico, atmosferico, elettrosmog, idrico).

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www.ban.org: La Basel Action Network è un’organizzazione mondiale che si occupa
dell’ingiustizia globale ambientale e l’inefficienza economica del traffico di rifiuti tossici e i suoi
devastanti impatti. In questo sito sono disponibili numerosi materiali sull’argomento (in inglese).

www.eea.europa.eu/publications/environmental_issue_report_2001_22: rapporto della


Commissione Europea Late lessons from early warnings ovvero Lezioni tardive da avvertimenti
precoci

www.endo-society.org/journals/scientificstatements/upload/edc_scientific_statement.pdf :
rapporto della società di endocrinologia americana del 2009 sui composti chimici endocrino-
distruttivi.

www.salute.gov.it/sicurezzaChimica/documenti/ConvenzioneStoccolma.pdf : testo della


Convenzione di Stoccolma.

www.lanostrastoria.corriere.it/2010/06/bhopal-due-anni-di-carcere-per.html e il sito
http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Bhopal : sull’incidente di Bhopal

www.superofficina.net/Direttiva%20Seveso.pdf Seveso: dalla tragedia alle direttive UE di Fabio


Andreolli

SCHEDA REALIZZATA DA
IRIS - Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla sostenibilità - www.iris.unito.it
A cura di: Angelotti M., Benessia A., Guarnieri V., Marchetti D.

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