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Il buco nell’ozono

L’ozono si forma per l’interazione dei raggi ultravioletti del Sole con le molecole di ossigeno
molecolare (O2): una molecola si rompe in due atomi che, per la maggior parte, si ricombinano
insieme, riformando la molecola di ossigeno, ma in parte reagiscono con un’altra molecola di
ossigeno formando l’ozono (O3).
Tale reazione libera energia, riscaldando la stratosfera, la cui temperatura aumenta con l’altitudine.
La fascia di ozono agisce pertanto come uno schermo protettivo, che assorbe i raggi ultravioletti
impedendo che arrivino sulla Terra e danneggino gli esseri viventi. Già prima degli anni Settanta
del secolo scorso si osservava sopra l’Antartico, nei mesi di settembre e ottobre, un assottigliamento
dello spessore dello strato di ozono. Numerosi rilevamenti successivi, eseguiti con satelliti
meteorologici e palloni aerostatici, confermarono in seguito che il fenomeno, noto come “buco
nell’ozono”, stava assumendo proporzioni sempre più ampie: oggi, la concentrazione dell’ozono
nell’ozonosfera è in costante diminuzione anche in corrispondenza delle regioni artiche. Negli stessi
anni furono individuati come responsabili del fenomeno i clorofluorocarburi (CFC), fino ad allora
ritenuti sostanze inerti e quindi ampiamente usati dall’industria, in particolare come fluidi
refrigeranti nei frigoriferi, come propellenti nelle bombolette spray e come agenti schiumogeni. Fu
dimostrato infatti che essi erano in grado di raggiungere l’ozonosfera e di decomporre le molecole
di ozono. Il problema della riduzione del buco nell’ozono coinvolge l’intero Pianeta e può essere
pertanto affrontato solo su scala globale. A tale scopo vi sono stati numerosi incontri tra
rappresentanti delle comunità scientifica, politica ed economica per stabilire strategie di intervento
comuni: la Conferenza di Vienna si tenne nel 1985; nel 1987 il Protocollo di Montréal ha decretato
la messa al bando dei CFC, con l’obbligo per i Paesi industrializzati di sostituirli in tutte le loro
applicazioni. Il buco nell’ozono è tuttora monitorato con attenzione: nel 1991 è stato lanciato in
orbita dalla NASA un satellite artificiale (Upper Atmosphere Research Satellite) che, da una quota
di 600 km, invia costantemente a terra dati sulle variazioni della concentrazione di ozono alle
differenti altitudini. Gli studi sull’atmosfera non hanno tuttavia ancora fornito risultati definitivi, e
la discussione su come affrontare il problema del buco nell’ozono rimane aperta.

In questa immagine del Polo Sud ottenuta da un satellite, le zone in cui l’ozono è più rarefatto sono
rappresentate in viola. Il “buco” nell’ozono è particolarmente evidente.

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