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SCIENZA E RICERCA
16 GENNAIO 2023

Il buco dell'ozono si richiuderà entro metà secolo


di Marco Boscolo

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Il buco dell'ozono sopra l'Artico nel 1987 (Immagine: UNEP)

Si intitola Scientific Assessment of Ozone Depletion: 2022, che in italiano suona “Valutazione scientifica dell'esaurimento
dell'ozono per il 2022”, pubblicato all’inizio dell’anno dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Contiene la notizia che è
rimbalzata sui media di tutto il mondo: il “buco dell’ozono” si chiuderà a metà di questo secolo. Una notizia che ha
fatto dire a molti - attivisti, scienziati e osservatori - che gli accordi internazionali sui temi ambientali funzionano. Se
applicati.

Che cosa c’è di nuovo nel rapporto 2022


“Dal mio punto di vista di scienziata, non si tratta di una notizia sensazionale”, spiega in collegamento Skype
dall’Argentina, dove si trova in questi giorni, Michela Maione, docente di chimica dell’ambiente e dei beni culturali
all’Università Carlo Bo di Urbino. La notizia non l’ha sorpresa, ci spiega, perché la comunità scientifica che si occupa
dell’argomento era già da anni consapevole di questa tendenza. La differenza, espressa in termini scientifici dal rapporto
dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, è che le analisi più recenti e approfondite mostrano una solidità senza
precedenti.

Le fa eco Birgitt Hassler, ricercatrice all’Institute of Atmospheric Physics vicino a Monaco di Baviera, in Germania,
sottolineando che “alcune metriche hanno mostrato l'inizio del recupero dell'ozono da diversi anni”. Ma lo si poteva
affermare con grande sicurezza solo per alcune metriche e regioni specifiche. “La novità del rapporto è che questo fatto è
rilevabile in un intervallo di altitudine di circa 40 chilometri tra 60 gradi di latitudine nord e 60 gradi di latitudine sud”. In
poche parole, lo strato di ozono è in via di recupero praticamente ovunque nell’atmosfera terrestre. E, sottolinea
Hassler, lo si vede analizzando diverse fonti di dati, rafforzando le dichiarazioni del rapporto.

“La novità del rapporto è che questo fatto è rilevabile in un intervallo di altitudine di
circa 40 chilometri tra 60 gradi di latitudine nord e 60 gradi di latitudine sud”
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Birgitt Hassler, Institute of Atmospheric Physics - Germania

Emissioni di gas che riducono lo strato di ozono


Dati in tonnellate

Naturali Causati dall'attività umana

1,4mil

1,2mil

1987:
1mil
Protocollo di
Montreal
800mila

600mila

400mila

200mila

1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010

Fonte: Our World in Data • Scaricare i dati • Creato con Datawrapper

Il “buco dell’ozono” e il protocollo di Montreal


Quello che comunemente chiamiamo “buco dell’ozono” è la riduzione dello strato di ozono presente nell’atmosfera
terrestre. A causarlo è stato il rilascio soprattutto dei clorofluorocarburi (CFC) presenti, per esempio, nelle prime
bombolette spray e negli impianti di refrigerazione. Ma alcuni CFC possono anche essere il risultato di procedimenti
industriali. L’ozono è una molecola formata da tre atomi di ossigeno presente soprattutto in alcuni strati dell’atmosfera (la
cosiddetta “ozonosfera”). Una riduzione della sua concentrazione permette a una quantità maggiore di raggi ultravioletti
(UV) provenienti dal sole di raggiungere la superficie terrestre, contribuendo al suo riscaldamento. Inoltre, esiste una
relazione nota tra raggi UV e il melanoma della pelle.


La congiuntura che portò alla firma del protocollo di Montreal fu unica, aiutata dal
fatto che si parlava di sostanze di sintesi che era più facile limitare
Michela Maione, docente di Chimica per l'Ambiente - Università di Urbino

Alla fine degli anni Settanta le misurazioni dell’ozono in atmosfera mostrarono un assottigliamento dello strato di ozono
stimabile intorno al 5%. Per una serie di ragioni legate alla circolazione globale dei venti, questo assottigliamento era
particolarmente pronunciato sopra i due poli. Ecco quindi spiegato l’origine del termine “buco dell’ozono” o “buco
nell’ozono”, anche se sarebbe stato meglio parlare di almeno due buchi. Individuata la causa e lanciato l’allarme, nel 1987
venne firmato il protocollo di Montreal, un’intesa internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite, che bandiva la produzione
e l’utilizzo dei gas che causano l’assottigliamento dello strato di ozono dell’atmosfera. Quello che viene celebrato oggi
sulla base dei dati scientifici è il successo di quell’accordo, sottoscritto praticamente da tutti i paesi del mondo.
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Un protocollo oggi più difficile da firmare


I due protagonisti dell’accordo del 1987 furono il presidente americano Ronald Reagan e la premier del Regno Unito
Margaret Thatcher. Due politici conservatori espressi da aree politiche che oggi non sono altrettanto in prima linea per
contrastare la crisi climatica. “La congiuntura di allora”, racconta Maione, “fu abbastanza unica, aiutata dal fatto che si
parlava di sostanze di sintesi, per quanto importanti per l’industria, che era più facile limitare”. Inoltre, ci fu una grande
risposta da parte della cittadinanza all’allarme lanciato dalla comunità scientifica, “con la domanda di prodotti che
contenevano CFC che è crollata”, facilitandone la messa al bando. Per quanto riguarda la situazione attuale, sottolinea
Maione, “è più complessa e coinvolge interessi economici più vasti”.

Variazione del consumo di sostanze che riducono lo strato di ozono a livello


globale
Fato 100 il consumo del 1986, il grafico mostra la diminuzione

120

100

80

60

40

20

1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016 2018

Fonte: Our World in Data • Scaricare i dati • Creato con Datawrapper

Il risultato di quella congiuntura rara è che si sono evitati alcuni disastri. “Senza il Protocollo di Montreal”, spiega Hassler,
“vaste aree del pianeta sarebbero diventate praticamente inabitabili, soprattutto ai tropici e alle medie latitudini”. Questo
per via dell’effetto riscaldante di una maggior quantità di raggi UV, a cui si sarebbero sommati “anche cambiamenti
climatici regionali con l’aumento delle temperature superficiali”. In più, racconta Maione, gli scienziati hanno stimato che
senza intervento sui CFC nel 2060 “cinque minuti all’esterno sotto il sole avrebbe avuto gravi effetti sulla pelle”, con
una maggior incidenza di tumori. Il protocollo di Montreal ha quindi salvato anche molto vite sotto questo punto di vista.

Non bisogna abbassare la guardia


Il successo del protocollo di Montreal fa dire anche a una parte della comunità scientifica che continuare a misurare con
tanta attenzione le concentrazioni in atmosfera dei gas che hanno provocato il “buco dell’ozono” sia ormai inutile. In realtà
continua ad avere senso perché permette di individuare emissioni illegali. Lo hanno dimostrato delle misurazioni rilevate in
anni recenti da alcune stazioni della rete mondiale: nel 2018  in Cina sono state scoperte emissioni di freon-11, uno dei
gas proibiti dal protocollo di Montreal.

 
Countries subscribed to the Montreal Protocol, 2013  
Subscriptions to the Montreal Protocol (adopted in 1987) on substances that deplete the ozone layer. The Protocol
aims to reduce and eventually eliminate the emissions of man-made ozone depleting substances.

World

No data Not joined Joined Montreal Protocol

Source: United Nations Environment Programme (UNEP) CC BY

1985 2013

MAP TABLE SOURCES DOWNLOAD

L’indagine innescata dai dati raccolti da alcune stazioni sottovento rispetto alla Cina, sono proseguite con “l’infiltrazione di
alcuni investigatori direttamente in alcune aree industriali del paese”, racconta Maione, “permettendo di scoprire che i gas
illegali erano stati reintrodotti perché più economici”. La Conferenza delle Parti del protocollo ha immediatamente
sanzionato la Cina e “l’emissione illegale è terminata”. Un’altra situazione analoga è stata rilevata dalla stazione di
raccolta dati che si trova sul monte Cimone, nell’Appennino Tosco-Emiliano in provincia di Modena. La stazione, che fa
parte della rete dell’Advanced Global Atmospheric Gas Experiment (AGAGE), “si trova in una posizione favorevole per
intercettare le masse d’aria che arrivano dal sud della Francia”, spiega Maione. Sul Cimone è stata recentemente rilevata
una concentrazione anomala di metilcloroformio, un altro dei gas illegali, “proveniente dall’area di Marsiglia, che sembra
persistere”. In zona è presente, infatti, un'importante area industriale, dove il metilcloroformio potrebbe essere il risultato
secondario di alcuni procedimenti chimici.

Esistono, infatti, emissioni secondarie che non sono da annoverare direttamente tra quelle fraudolente; derivano da
procedimenti come per esempio la produzione del teflon. “Sono emissioni non intenzionali”, spiega Maione, “che mostrano
la necessità, accanto alla possibilità di individuare violazioni del protocollo di Montreal, di continuare a misurare le
concentrazioni di questi gas in atmosfera”. Oltre a ricordarci del successo, congiuntura rara o meno, della messa al bando
dei CFC dovuta a un accordo internazionale. 

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