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ECOLOGIA APPLICATA; AA 2020/2021; SECONDO SEMESTRE

Valeria Mezzanotte

Per info specifiche usare sito ISPRA

IPOTESI GAIA (Gaia= Terra secondo i greci) di Lovelock e Margulis gli organismi utilizzano i substrati
geologici per l’organizzazione e lo sviluppo dei processi metabolici, modificando l’ambiente in cui vivono.
Co-evoluzione=passaggio da uno stato stazionario all’altro. Selezione naturale degli organismi e delle
condizioni naturali più stabili per la vita degli organismi. L’equilibrio è dinamico. Omeoresi: variazioni del
sistema preesistente. Feedback positivo o negativo.

Diversi cicli. Ciclo del carbonio. Carbonio passa da atmosfera a piante, agli animali e ai decompositori, poi
torna all’atmosfera. Tra uno step e l’altro si ha perdita di energia. Due processi: respirazione: glucosio +
6O2➔ 6CO2 + 6H2O + energia. Fotosintesi: contrario.

Classificazione organismi in base a utilizzo energia e carbonio.


● Autotrofi fotosintetici: piante, alghe, cianobatteri
● Eterotrofi fototrofici: batteri purpurei
● Autotrofi chemiotrofici: solfobatteri, ferrobatteri ecc
● Eterotrofi chemiotrofici: tutti gli animali, protozoi, funghi, batteri

Presenza dell’uomo è una fonte di pressione continua. Aumento popolazione➔ + risorse➔ + impatto
ambientale (rifiuti, CO2, biodiversità…)

MILLENNIUM ECOSYSTEM ASSESSMENT (ONU, 2001-2005)

1. Verifica delle condizioni attuali e delle tendenze evolutive degli ecosistemi e dei servizi correlati.

Previsione dei cambiamenti negli ecosistemi, nella disponibilità e nella domanda di servizi ecosistemici e, di
conseguenza, nella salute, nei mezzi di sussistenza, nella sicurezza e in altre componenti del benessere
dell’umanità. Servizi ecosistemici:

● Risorse: cibo, materie prime, principi attivi farmaci, acqua.


● Regolazione: aria, clima, risorse idriche, erosione, purificazione acqua e rifiuti, gestione
pandemie, impollinazione, gestione eventi esterni.
● Supporto
2. Culturale: valori culturali, spirituali, religiosi, educativi; valutazione del paesaggio dal punto di vista
culturale e artistico.
3. Valutazione delle necessarie azioni di tutela. EPI: Environmental Performance Index. sviluppato da
Yale University e Columbia University in collaborazione con il Forum Economico Mondiale e il JRC di
Ispra. 7 indicatori per 4 categorie individuate per la salute ambientale: Qualità dell'aria (50%),
Condizioni igienico-sanitarie e potabilità dell’acqua (40%), Metalli pesanti 5%, Gestione delle acque
(5%).

NB: alcuni metalli pesanti possono essere tossici e provocare quindi dei danni. Le percentuali indicano
quanto sono pesate queste quattro caratteristiche. Aria ha peso maggiore perché è insostituibile (se
acqua è inquinata in un punto posso andare a prenderla da un’altra parte, aria no).

25 indicatori per altri 7 parametri per la vitalità dell’ecosistema: Biodiversità e habitat (25%), Servizi
ecosistemici (10%), Pesca (10%), Cambiamenti climatici (40%), Emissioni inquinanti (5%), Agricoltura
(5%), Risorse idriche (5%).
4. Analisi delle conoscenze sui servizi ecosistemici e sulla loro applicabilità in ambito politico e
gestionale.
5. Valutazione dell’efficacia degli strumenti e delle metodologie adottate per il MA nel valutare gli
ecosistemi e la loro gestione.

ALTERAZIONI DEGLI ECOSISTEMI

● Fisiche:
⮚ Occupazione del territorio, consumo e impermeabilizzazione del suolo (suolo è risorsa
esauribile) e distruzione degli ecosistemi preesistenti.
Impermeabilizzazione è un problema enorme. Acqua non può permeare. Corrisponde a una
sottrazione di suolo perché esso viene coperto.

Asportazione di suolo per delle costruzioni.

Contaminazione e compattazione del suolo.

Obiettivo comunitario: incremento annuo dell’occupazione netta di terreno pari a zero entro il
2050. Suolo è risorsa da salvaguardare (porta cibo, può essere coltivato)

⮚ Frammentazione degli habitat.

Processo dinamico di origine antropica attraverso il quale un’area naturale subisce una
suddivisione in frammenti (patch), più o meno disgiunti, e progressivamente più piccoli, isolati e
di minor qualità, inseriti in una matrice ambientale trasformata. Più grande è un habitat, meno
è vulnerabile il suo interno. Un habitat frammentato mette quindi a rischio la biodiversità al suo
interno.

⮚ Modifica dei regimi idraulici dei corpi idrici.


⮚ Cementificazione delle sponde marine, fluviali e lacustri. Aumentiamo frammentazione
dell’habitat, potere erosivo dell’acqua a valle (acqua scorre più velocemente➔ aumenta
erosione), sedimentazione e impermeabilizzazione del suolo.
● Chimiche:
⮚ Alterazione dei cicli biogeochimici delle sostanze naturali
⮚ Emissione di inquinanti (naturali o xenobiotici) nell’ambiente

INQUINANTI: dipendono dal tipo di sostanza, ma anche dalla sua quantità.

▪ Sostanze naturalmente presenti nell’ambiente utili o indispensabili in alcuni comparti


ambientali ma che hanno effetti negativi in altri (sostanza organica, azoto, sali diversi)
▪ Sostanze naturalmente presenti nell’ambiente che, in concentrazioni superiori a quelle
naturali, possono essere tossiche per gli organismi (l’azoto in forma nitrica è tossico per i
mammiferi, in forma ammoniacale è tossico per i pesci) e/o interferire con le normali
funzioni degli ecosistemi
▪ Sostanze che nelle acque provocano effetti negativi indiretti (BOD5, COD, fosforo). BOD e
COD sono Biological e Chemical Oxygen Demand. Usati per verificare le sostanze ossidabili
in lab. Determinano la sostanza organica. BOD stima la quantità di sostanza ossidabile dal
punto di vista biologico; COD dal punto di vista chimico.
▪ Xenobiotici

Nei paesi più sviluppati molti problemi sono stati risolti grazie sia a soluzioni tecnologiche sia a diversa
consapevolezza e pressione dell’opinione pubblica. La tecnologia può però portare nuovi problemi per i
quali le soluzioni non sono ancora state messe in atto (es: farmaci, prodotti antincendio…)
PARADOSSO DI EASTERLIN

Ha dimostrato che la crescita economica e di felicità non sono necessariamente legate. C’è un valore di
soglia tale per cui al di sopra di questo stesso valore si ha una diminuzione della felicità.

Le alterazioni chimiche

Si intende per “carico” la quantità (unità di massa) di sostanza potenzialmente contaminante immessa in un
determinato sistema ambientale (ad esempio un lago) o in un determinato territorio, a diversi livelli di scala
(dal bacino idrografico all’intera biosfera) nell’unità di tempo. Perché è importante considerare il carico e
non la concentrazione? Scarico di fosforo nei bacini idrici è 0.5 g. posso usare un tubo di scarico da 1 metro
cubo o 100 metri cubi. Il carico serve a capire per quanto tempo posso scaricare e quindi la concentrazione
finale.

Il “carico ammissibile” è la quantità massima che può essere immessa in un determinato ambiente senza
determinare alterazioni inaccettabili nel sistema in funzione di prefissati criteri di qualità ambienta le o
obiettivi gestionali. Il carico ammissibile non è un valore assoluto. Esso dipende dalle caratteristiche
(ricettività) e dallo stato di qualità che si vuole ottenere o mantenere nel sistema ambientale in oggetto.

La concentrazione è il risultato della diluizione del carico nel volume del ricettore. I limiti normativi sono
riferiti normalmente alle concentrazioni, come le soglie di tossicità. Quando parliamo di qualità, intendiamo
dei valori di concentrazione (la qualità del ricettore dipende dalla concentrazione). Carico = concentrazione
x portata. Portata = volume nell’unità di tempo.

Per migliorare la qualità ambientale gli interventi e le strategie devono agire innanzi tutto sui carichi.

Ho un fiume di una certa portata in cui si immette uno scarico. Concentrazione nel ricettore (fiume) Cr
(g/m3) = carico immesso Li /portata ricettore (Qr) (m3 /giorno). Carico immesso (Li, g/giorno) =
concentrazione (Ci) x portata immessa (Qi) (g/m3 x m3 /giorno).

Storia e cronologia dei problemi ambientali

Alcuni sono stati superati, altri lasciati perdere per occuparsi di problemi più nuovi.

ACQUA

● Tra gli anni 50 e 70: bilancio dell’ossigeno nei laghi e fiumi. Scoperta dell’eutrofizzazione (anni 60).
● Anni 70: metalli pesanti. Ora di poco interesse, ma problema non risolto. Non si degradano.
● Anni 80: microinquinanti organici, affrontati nei primi anni 2000. Non risolto
● Anni 2000: pesticidi, farmaci nelle falde (non risolti)

ARIA
● Anni 50-70: solidi sospesi, SO2.
● Anni 70-90: alchil-aril composti, Pb, Nox, SOx, CO.
● Anni 2000: pesticidi.
● pm10: problema più recente e non risolto.

Problema emergente: microplastiche.


Argomento I: ATMOSFERA

Struttura

● L’atmosfera è composta da più strati differenti per temperatura,


pressione e composizione
● La densità e la pressione variano in funzione delle forze gravitazionali
che spingono le molecole di gas verso la superficie terrestre. Densità
aumenta al diminuire della temperatura.
● L’aria a livello del mare ha densità maggiore che sulle cime delle
montagne
● La pressione atmosferica diminuisce all’aumentare della quota

Troposfera: Il suo spessore è maggiore all’equatore che ai poli. È costituita per


il 99% circa in volume da azoto (78%) e
ossigeno (21%), mentre la restante parte
è composta da vapore acqueo, argon,
anidride carbonica e tracce di altri gas.
Determina il clima sulla Terra a breve e lungo termine.

Stratosfera: Si estende tra 20 e 50 km al di sopra della superficie


terrestre. Ha una concentrazione di ozono molto superiore a quella
della troposfera. L’ozono si produce per la reazione dell’ossigeno con
la radiazione UV (3 O2 + UV 2 O3) e trattiene circa il 95% della
componente dannosa della radiazione UV. Inversione termica tra la
tropopausa e la stratopausa.

Inversione termica: fenomeno che si riscontra nell'atmosfera quando si verifica un aumento della
temperatura con il crescere della quota.

Nelle zone equatoriali avviene la maggiore produzione di ozono perché queste regioni sono più esposte
all'irraggiamento solare. Tuttavia, gran parte delle molecole di ozono prodotte sull'equatore sono
trasportate dai venti stratosferici verso i poli. Quest’anno il buco nell’ozono si è chiuso a livello
dell’Antartide; non è un buon segnale perché si è chiuso per il troppo caldo. COS’È IL BUCO NELL’OZONO? È
la riduzione dello spessore dello strato di ozono nell'atmosfera terrestre, la fascia che ci protegge dai raggi
solari più nocivi. È causato dal rilascio di alcune sostanze inquinanti da parte dell'uomo (Ozone Depleting
Substances, ODS), sia dalle attività produttive che di consumo, che reagiscono con i raggi UV, liberando
atomi di bromo e cloro nell'atmosfera terrestre che ostacolano la formazione dell'ozono atmosferico.
Dipende strettamente dalle nubi stratosferiche polari, che si formano solo a temperature inferiori ai -78
gradi. Per questo la temperatura della stratosfera, ovvero lo strato dell’atmosfera che si trova all’incirca tra
i 10 e i 50 km di altitudine, gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo del buco dell’ozono.

OZONE DEPLETING SUBSTANCES (bandite dal protocollo di


Montreal, 1987)

Quali sono? In generale, le sostanze volatili che causano la


degradazione dell'ozono atmosferico sono quelle che
contengono nella loro struttura chimica degli atomi di cloro,
di bromo o il bromuro di metile:

● Clorofluorocarburi (CFC). Sono utilizzate come


refrigeranti, solventi e propellenti
● Idroclorofluorocarburi (HCFC). Sono composti chimici prodotti per sostituire i CFC dopo il divieto.
Hanno un impatto minore sull'ozono atmosferico rispetto ai CFC. Tuttavia, sono comunque in grado di
deteriorare la fascia di ozono.
● Bromofluorocarburi. Sono composti chimici contenenti atomi di bromo. Ad esempio, il gas Halon usato
per spegnere il fuoco degrada l'ozono atmosferico. Ha un impatto sull'ozono molto più alto rispetto agli
stessi CFC
● Metilcloroformio o Tetracloruro di carbonio

SMOG

Di due tipi:

● Riducente: SO2➔SO3, diminuito recentemente.


● Ossidante: NOx➔O3, prodotti dai motori a scoppio.

Entrambi causano piogge acide.

NOx, a contatto con H2O causano piogge acide, idrocarburi + O2➔ aldeidi (tossici), ossido nitrico, PANs
(Peroxyacyl nitrates). Inquinamento da CO dato da veicoli a benzina, impianti di riscaldamento, industrie…

OZONO TROPOSFERICO: Rischio per la vegetazione valutato in base a AOT 40 (Accumulated Ozone over the
Threshold of 40 ppb) somma della differenza tra le concentrazioni orarie superiori a 50 ppb e 40 ppb
rilevate da maggio a luglio, utilizzando solo i valori orari rilevati ogni giorno fra le 8:00 e le 20:00 (D.Lgs.
155/2010). Soglia per la protezione della vegetazione in Italia 18.000 ppb/ora. Tante volte si assume la
soglia per una condizione particolare quando questa situazione particolare è sufficientemente tutelativa
verso altre condizioni da tutelare.

PARTICOLATO ATMOSFERICO (PTS, PM10, PM2,5 …) Definito per classe dimensionale in base al diametro
aerodinamico. Nelle aree urbane generato principalmente da mezzi di trasporto e da riscaldamento.
Possono veicolare diversi tipi di inquinanti. Pericolosità inversamente proporzionale alle dimensioni.

LA CONVENZIONE DI STOCCOLMA E LA CONTAMINAZIONE GLOBALE DA POP

I contaminanti organici persistenti (POP) sono controllati dalla Convenzione di Stoccolma (2001-2004), che
ha già disposto il bando di molti di essi. Si stima che, per i cuccioli di orso polare, il rischio sia di circa 2000
volte superiore alla soglia di sicurezza tossicologica. Le concentrazioni di questi composti sono in
progressiva diminuzione dagli anni ‘80 del secolo scorso, ma saranno necessari circa 200 anni prima della
scomparsa del rischio.

PCB tra le prime sostanze tossiche scoperte; PFOS tra i microinquinanti emergenti. Si sa troppo poco per
avere dei limiti al loro consumo e produzione.

Altri microinquinanti:

• Composti organici volatili:

● benzene da traffico veicolare (max. nelle benzine 1% in volume), classificato dall’IARC come
cancerogeno di Classe I
● Idrocarburi clorurati (cloroformio, tetracloruro di carbonio, tricloroetilene, tetracloroetilene) di
origine industriale
● Formaldeide, cancerogena, rilasciata da oggetti in resine fenoliche
● Pesticidi clorurati, PCB, associati al particolato
● IPA, inquinanti secondari prodotti dalla combustione, associati al particolato
● Diossine e furani, generati dalla combustione
● Elementi in traccia (As, Cd, Ni, Pb) da attività industriali. Classificati come cancerogeni per l’uomo.
Scenario ambientale: se abbiamo un suolo o un bacino idrico abbiamo delle dimensioni misurabili.
Nell’atmosfera no. Considero altri aspetti. Non stazionarietà delle condizioni dell’ambiente.

⮚ Regime dei venti: Regime anemometrico➔ rose dei venti. Osservo i cambiamenti mensili o
stagionali dei venti. Giallo = velocità di 0.2/1.2 m/sec. Viola = velocità di 11,5 m/sec. La lunghezza
del raggio dei settori dei grafici rappresenta la durata di provenienza del vento in tale settore (1
divisione = 10 ore); il colore l’intensità del vento per settore di provenienza.
⮚ Regime pluviometrico. Deposizione umida di sedimenti. Acidificazione. Sapere quanti mm di
pioggia cadono, qual è la loro intensità, di che tipo è la pioggia…
⮚ Gradienti termici verticali
⮚ Gradienti termici orizzontali
⮚ Stabilità. La turbolenza ha effetti significativi sulla risalita e dispersione degli inquinanti atmosferici.
Essa può essere classificata in incrementi definiti noti come "classi di stabilità". Le categorie più
comunemente utilizzate sono le classi di stabilità di Pasquill, suddivise in A, B, C, D, e F. La classe A
denota le condizioni di maggior turbolenza o maggiore instabilità mentre la classe F definisce le
condizioni di maggior stabilità o minore turbolenza. •Insolazione forte: l’altezza del sole
sull’orizzonte, con cielo sereno, è >60° •Insolazione media: l’altezza del sole sull’oriz zonte, con cielo
sereno, è tra 36° e 59° •Insolazione debole: l’altezza del sole sull’orizzonte, con cielo sereno, è tra
15° e 35°
⮚ Inversione termica. Fenomeno che si riscontra nell'atmosfera quando si verifica un aumento delle
temperature con il crescere della quota ovvero il gradiente adiabatico della temperatura assume
valori negativi. L'altezza degli strati di inversione termica al suolo è generalmente limitata a circa
200 m. In queste condizioni la dispersione degli inquinanti emessi all'interno dello strato di
inversione è fortemente inibita dalle forti condizioni di stabilità.
⮚ Altezza dello strato rimescolato

CARATTERIZZAZIONE PLUVIOMETRICA

• Altezza di pioggia
• Intensità di pioggia per singolo evento
• Altezza di pioggia cumulata
• Tempi di ritorno degli eventi meteorici. In statistica il periodo di ritorno di un evento,
definito anche come tempo di ritorno, è il tempo medio intercorrente tra il verificarsi di
due eventi successivi di entità uguale o superiore ad un valore di assegnata intensità o,
analogamente, è il tempo medio in cui un valore di intensità assegnata viene uguagliato o
superato almeno una volta (= tempo tra due eventi straordinari di pari magnitudo).
• Distribuzione degli eventi per altezza e intensità

ANIDRIDE CARBONICA

400 ppm in volume. CO2 deriva dalla respirazione degli organismi. Diventa inquinante quando la sua
concentrazione è maggiore a quella degli equilibri preesistenti.
Emissioni dirette: emissioni per cui si può identificare una fonte. So da dove arrivano e quindi potrei
abbatterle. INEMAR, SIRENA sono banche dati sulle emissioni. INEMAR (INventario EMissioni ARia) Nato nel
1999-2000 da una collaborazione con la Regione Piemonte, dal 2003 è gestito e sviluppato da ARPA
Lombardia. Dal 2006 utilizzo condiviso per gli inventari delle emissioni di Lombardia, Piemonte, Emilia-
Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Puglia e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano. La regione
Marche ha partecipato a tale convenzione dal 2009 al 2011. Considerate per tipo di attività (es. trasporto su
strada, agricoltura, combustione industriale e non, ecc.) e per vettore (gasolio, gas naturale, energia
elettrica, ecc.). Espresse in CO2 e CO2 equivalenti.
BANCA DATI INEMAR LOMBARDIA Macrosettori:

1- Produzione energia e trasformazione combustibili


2- Combustione non industriale
3- Combustione nell'industria
4- Processi produttivi
5- Estrazione e distribuzione combustibili
6- Uso di solventi
7- Trasporto su strada
8- Altre sorgenti mobili e macchinari
9- Trattamento e smaltimento rifiuti
10- Agricoltura e zootecnia
11- Altre sorgenti e assorbimenti

Da INEMAR ottengo un quadro emissivo con un


dettaglio al comune (posso avere quadro della
regione, della provincia o del comune stesso)

SIRENA invece controlla principalmente l’energia.


Emissioni ombra: Derivanti principalmente da consumi elettrici nel territorio ma che ricadono come
emissioni di CO2 su un’altra area. Legate a produzione e smaltimento dei rifiuti. Es: auto elett rica non
emette CO2➔ niente emissioni dirette, ma c’è una quantità di emissioni emesse per produrre l’energia
elettrica per l’auto.

• Consumi elettrici:

1. Calcolo del consumo comunale (es. media provincia di Sondrio 1,1364 MWh/ab nel 2008)
2. Applicazione di un fattore di emissione pari a 0,531 kg CO2 /KWh, relativo alla produzione di un
KWh a partire dal mix energetico nazionale al consumo di energia elettrica

• Rifiuti: 2,2 kg CO2 /kg di rifiuto secondo la composizione merceologica media italiana dei rifiuti.

ASSORBIMENTI Calcolabili in base all’uso del suolo, ricavabile dalla cartografia regionale (DUSAF in
Lombardia), attribuendo coefficienti specifici ricavabili da letteratura.

STAZIONI ARPA:

• Traffico (T): influenzate prevalentemente da emissioni da traffico, provenienti da strade limitrofe con
intensità di traffico medio alta;

• Fondo (o background, B): non influenzate prevalentemente da specifiche fonti (industrie, traffico,
riscaldamento residenziale, ecc…) ma dal contributo integrato di tutte le fonti poste sopravento alla
stazione rispetto alle direzioni predominanti dei venti nel sito;

• Industriale (I): influenzate prevalentemente da singole fonti industriali o da zone industriali limitrofe.

• Urbana (U): in area edificata in continuo o almeno in modo predominante


• Suburbana (S): in area largamente edificata in cui sono presenti sia zone edificate che zone non
urbanizzate
• Rurale (R): in contesti non urbani e non suburbani. Se a distanza > 50 km dalle fonti di emissioni la
stazione è definita come rurale remota.

PIANI DI TUTELA DELLA QUALITÀ DELL’ARIA Zonizzazione del territorio (D.Lgs 155/2010 Art. 3 e Appendice
I):

• Agglomerati: insiemi di aree urbanizzate contigue, con popolazione > 250.000 ab. o densità > 3.000
ab/km2

• Zone: aree omogene per carico emissivo per gli inquinanti primari o per gli inquinanti secondari (Ozono,
polveri, Ossido di azoto), e per caratteristiche meteoclimatiche e orografiche

Classificazione delle zone (D.Lgs 155/2010 Art. 4 e Allegato II) in funzione del superamento, per ciascun
inquinante, delle soglie di valutazione:
• Superiore (SVS): 60% -80% del valore limite • Inferiore (SVI): 40%-65% del valore limite • CLASSE A
(CRITICA): X > SVS • CLASSE B (RISANAMENTO): SVI ≤ X ≤ SVS • CLASSE C (MANTENIMENTO): X < SVI (*) Si
ha superamento quando le concentrazioni massime sono maggiori della soglia per 3 anni su 5
Per SO2, NO2, NOx, Materiale Particolato (PM), Benzene, O3 e CO il D.Lgs. 155/10 definisce: • Valori limite
• Margine di tolleranza: percentuale ammessa di superamento del valore limite • Livello critico: oltre il
quale possono sussistere effetti negativi diretti sui recettori (alberi, piante, ecosistemi, esseri umani esclusi)
• Soglia di informazione: livello oltre il quale sussiste un rischio per la salute umana in caso di esposizione di
breve durata per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione nel suo complesso ed il cui
raggiungimento impone di assicurare informazioni adeguate e tempestive. Soglia di allarme: oltre la quale
vi è un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata e raggiunte le quali si deve
immediatamente intervenire • Valore obiettivo: limite fissato al fine di evitare, prevenire o ridurre effetti
nocivi per la salute umana o per l’ambiente nel suo complesso, da conseguire, ove possibile, entro una data
prestabilita • Obiettivo a lungo termine: livello da raggiungere nel lungo periodo mediante misure
proporzionate, al fine di assicurare un’efficace protezione della salute umana e dell’ambiente. • Soglia di
valutazione superiore: livello al di sotto del quale le misurazioni in siti fissi possono essere combinate con
misurazioni indicative o tecniche di modellizzazione e, per As, Cd, Ni, e benzo(a)pirene, livello al di sotto del
quale le misurazioni in siti fissi o indicative possono essere combinate con tecniche di modellizzazione; •
Soglia di valutazione inferiore: livello al di sotto del quale e' previsto, anche in via esclusiva, l'utilizzo di
tecniche di modellizzazione o di stima obiettiva • Tempi di mediazione • AOT40: parametro valutato ai fini
degli obiettivi per l’ozono (somma della differenza tra le concentrazioni orarie superiori a 80µg/m³ e
80µg/m³ in un dato periodo di tempo, utilizzando solo i valori orari rilevati ogni giorno tra le ore 08.00 e le
ore 20.00 con riferimento all’ora dell’Europa Centrale (CET).

Zonizzazione (DGR Lombardia 2605/2011) AGGLOMERATI URBANI - Agglomerato di Milano - Agglomerato


di Bergamo - Agglomerato di Brescia ZONA A Pianura ad elevata urbanizzazione ZONA B Zona di pianura
ZONA C Prealpi, Appennino e Montagna ZONA D Fondovalle.

Ulteriori suddivisioni:

● zone critiche. Parte del territorio regionale nel quale i livelli di uno o più inquinanti comportino il
superamento dei valori limite e delle soglie di allarme o i livelli di uno o più inquinanti eccedono il
valore limite aumentato del margine di tolleranza. In queste zone la regione deve definire: i piani
d'azione che contengono le misure da attuare nel breve periodo affinché sia ridotto il rischio di
superamento dei valori limite e delle soglie di allarme e i piani integrati (a lungo termine) per il
raggiungimento dei valori limite entro i termini stabiliti.
● Zone di risanamento. Per zona di risanamento si intende, ai sensi del D.Lgs. 351/99, la parte del
territorio regionale nel quale i livelli di uno o più inquinanti sono compresi tra il valore limite ed il
valore limite aumentato del margine di tolleranza. Le zone di risanamento sono suddivise in: A)
Zona di risanamento per più inquinanti B) Zona di risanamento per inquinamento da ozono. In
queste zone la regione predispone i piani integrati per il raggiungimento dei valori limite entro i
termini stabiliti.
● Zone di mantenimento. Per zona di mantenimento si intende, ai sensi del D.Lgs. 351/99, la parte
del territorio regionale in cui i livelli degli inquinanti sono inferiori ai valori limite e tali da non
comportare il rischio di superamento degli stessi. In queste zone la regione predispone un piano di
mantenimento della qualità dell'aria al fine di conservare i livelli degli inquinanti al di sotto dei
valori limite. Sono compresi in zona di mantenimento tutti i Comuni non facenti parte delle Zone
critiche e delle Zone di risanamento.

CAMBIAMENTI CLIMATICI

L’ effetto serra. Senza l’effetto serra naturale, la temperatura media globale della Terra in prossimità del
suolo sarebbe di -18 ° invece dei +15 °C effettivi. Il 25% circa della radiazione solare viene assorbito dal
pulviscolo atmosferico, dal vapore acqueo, dall'ozono e da molti altri gas presenti nell'atmosfera. Il 30%
viene riflesso nello spazio dalle nuvole, dal pulviscolo e dalla superficie terrestre. Il restante 45% della
radiazione solare viene assorbito dalle masse e dagli organismi presenti sulla superficie terrestre. I gas serra
sono capaci di assorbire gran parte della radiazione infrarossa per poi riemetterla in ogni direzione, mentre
lasciano passare la radiazione solare. Parte dell’energia riemessa viene assorbita nuovamente dai gas
atmosferici, parte viene persa nello spazio, ma la quantità maggiore viene reirradiata verso la terra,
riscaldandola. Il riscaldamento è proprio dovuto all’irradiazione verso la Terra. Quando si parla di gas serra
si parla principalmente di CO2 e di equivalenti della CO2 (metano, fluoroclorocarburi…). Questi ultimi sono
magari più dannosi della CO2, ma sono presenti in concentrazione minore. Equivalenti di CO2 quando
sommiamo le concentrazioni di CO2 per le quali si ritiene pari a 1 l’effetto serra e il prodotto della
concentrazione per il fattore di equivalenza rispetto alla CO2 per gli altri gas. La temperatura media annua
globale è aumentata di circa 0,8°C in un secolo
(0,5°C negli ultimi tre decenni).
L'anidride carbonica è il principale gas serra,
considerato responsabile per circa il 60%
dell'aumento dell'effetto serra. È naturalmente
presente sulla terra (oceano, atmosfera, biosfera)
da oltre 4 miliardi di anni, ma la sua
concentrazione è notevolmente cresciuta con la
rivoluzione industriale. In due secoli la
concentrazione di CO2 è aumentata di oltre 100
ppm, mentre nei precedenti 10 mila anni la
massima variazione era stata di appena 20 ppm in
6 mila anni.

Il metano è presente in atmosfera in concentrazioni minori rispetto alla CO2, è considerato responsabile
per il 20% dell'aumento dell'effetto serra. Viene rilasciato naturalmente dai batteri responsabili della
decomposizione della materia organica, dalle discariche e dalla normale attività biologica di molti animali
(es.: i bovini). Le principali attività antropiche responsabili dell'emissione di metano sono la produzione ed il
trasporto di carbone e gas naturale. Il metano è naturalmente sequestrato dall'atmosfera nel processo
naturale di formazione dell'acqua e rimane in atmosfera per 11-12 anni, molto meno degli altri gas serra…
Il protossido di azoto è presente in atmosfera in una minima parte, circa mille volte meno della CO2 ma è
quasi 300 volte più potente di questa nel trattenere il calore. La concentrazione del protossido di azoto è
aumentata moltissimo negli ultimi anni. La sua presenza in atmosfera è dovuta principalmente a processi
microbiologici, quali la nitrificazione e la denitrificazione. Viceversa, il fenomeno dell'assorbimento del
protossido di azoto è attribuibile agli oceani.

I principali alocarburi sono: i clorofluorocarburi CFC, gli idroclorofluorocarburi HCFC, gli idrofluorocarburi
HFC. La loro concentrazione in atmosfera è molto bassa, ma il potenziale di riscaldamento è da 3.000 a
13.000 volte superiore rispetto alla CO2.

L'ozono, è un componente essenziale dell'atmosfera, perché in grado di filtrare i raggi ultravioletti


provenienti dal sole verso la terra. Quando però la sua presenza è negli strati più bassi dell'atmosfera, la
troposfera, è da considerarsi un inquinante. L'ozono è naturalmente creato e distrutto dalle radiazioni UV.

Il Vapore acqueo è il responsabile principale del naturale effetto serra del pianeta. La sua concentrazione in
atmosfera è molto variabile: generalmente bassa nelle regioni polari e alta nelle zone tropicali. Il vapore
acqueo è un elemento importante nei processi di cambiamento climatico. Un aumento delle temperature,
infatti, può portare ad un aumento del vapore acqueo globale, che conduce, a sua volta, ad un
innalzamento dell'effetto serra. Generalmente le attività antropiche hanno un basso impatto sui livelli di
vapore acqueo in atmosfera.

Il principale responsabile globale è la Cina, con circa il 28% delle emissioni totali. Al secondo posto ci sono
gli Stati Uniti, con il 15%, seguiti dall’India con il 6%, dalla Russia con il 5% e dal Giappone con il 4%.
L’Unione Europea a 28 paesi rappresenta il 9%, mentre i suoi 15 paesi più industrializzati arrivano quasi al
7,5%. Discorso parzialmente scorretto: la Cina ha territorio più ampio, maggior densità demografica e
sviluppo industriale.

Emissioni procapite

NB: non è l’immagine che c’è sulle slide,


confronta.

L’Italia ha raggiunto gli obiettivi dell’UE


sui cambiamenti climatici in anticipo,
questo perché ci sono molti fondi
stanziati per le rinnovabili.
ISPRA 2020
Tenendo conto di altri parametri, le stime possono cambiare:
l’Università della California, per esempio, ha fatto una stima globale
che tiene conto delle emissioni dovute alla produzione di cibo che
viene poi sprecato (e che quindi nel grafico precedente rientra un po’
nell’agricoltura, un po’ nel trasporto, eccetera). Questa percentuale
ammonta al 6,7 per cento delle emissioni globali, una parte molto
significativa.

EUROPEAN ENVIRONMENT AGENCY. Secondo le proiezioni,


le emissioni nette di gas serra derivanti dalla gestione dei
rifiuti urbani dovrebbero scendere dal livello massimo di
circa 55 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti l'anno, della
fine degli anni Ottanta, a 10 milioni di tonnellate di CO2
equivalenti entro il 2020. Entro il 2020 il 75 % delle
emissioni evitate totali sarà dovuto al riciclaggio e quasi il
25 % alla termovalorizzazione dei rifiuti.

Una delle conseguenze dei cambiamenti climatici è l’innalzamento dei mari. Esso inoltre stravolge gli
habitat naturali e gli equilibri tra le specie. Ci sono comunque animali resilienti, capaci di adattarsi e altri
che purtroppo non sopravvivono.
Argomento 2: ACQUE

Corpi idrici: acque interne, laghi e corsi d’acqua.

Bacino imbrifero: territorio di acque fluviali delimitate da spartiacque. Territorio terrestre da cui le acque
pluviali che scorrono in superficie passano per la sezione di chiusura. Ogni sezione di un corso ha un bacino
imbrifero. Ogni bacino imbrifero ha una sezione di chiusura. Il bacino imbrifero è fisso e dipende dalla
topografia. Tutti le caratteristiche di un corso d’acqua dipendono dal bacino imbrifero.

● Estensione: maggiore è l’estensione del bacino, maggiore sarà l’influenza sul corso d’acqua.
● Quota. Sarà importante il gradiente, la quota altimetrica e la pendenza.
● Reticolo idrografico
● Caratteristiche del suolo e del sottosuolo (permeabilità, copertura, erosione, destinazione d’uso).
Erosione interessa gran parte dei territori mondiali. Avviene per processi naturali. Effetto dovuto
alle piogge e al vento. È maggiore nei terreni nudi che nei terreni con vegetazione.
● Bilancio idrico. Un corpo idrico è un bilancio tra acque sotterranee, scioglimento dei ghiacciai, dagli
emissari o immissari, dalle piogge.
● Regime idrologico. Distribuzione nel tempo.
● Carichi inquinanti prodotti. Industriali o sostanze naturali ed organiche in grosse quantità.

Bacino idrogeologico: insieme di tutti i punti della superficie terrestre le cui acque sotterranee alimentano il
corpo idrico. Ogni corpo idrico ha un bacino idrogeologico. Non è fisso. Dipende dall’andamento della
superficie piezometrica delle falde.

Se consideriamo un corso d’acqua e il suo bacino, esso ha un’estensione che è delimitata da spartiacque. Il
bacino idrogeologico invece si estende di più.
Parametri bilancio idrico di bacino

● Afflussi: quantità di acqua che arriva.


● Infiltrazione tramite il terreno.
● Evaporazione dal suolo e dai corpi idrici
● Evapotraspirazione
● Deflusso superficiale
● Deflusso sotterraneo
● Deflusso sotterraneo con risorgive Coefficiente di deflusso (a) = Deflusso superficiale /afflusso
totale

Tempi di ritorno delle piene Intervallo di lunghezza proporzionale alla magnitudo dell’evento. Possiamo
considerare i tempi di ritorno delle piene ai fini dell’uso dei suoli.

● Colture intensive 6-7 anni


● Colture estensive 15-20 anni
● Aree poco popolate 100-200 anni
● Zone residenziali densamente popolate e zone industriali 200-1000 anni
● Centri urbani >1000 anni
● Grandi città >10 000 anni

Portata = unità di volume per unità di tempo. A seconda degli afflussi avremo dei deflussi diversi (per
deflussi si intende la portata che scorre nella sezione di chiusura). Avremo variazioni caratteristiche dal
punto di vista climatico.

Caso dell’ex torrente Lura (nel comasco). Riceve gli scarichi di depurazione 24/7. Manca la discontinuità
delle portate tipica dei torrenti. Risvolti sia positivi che negativi.
Portate crescono molto quando piove. Segno di terreno troppo impermeabilizzato.

Curve di portata indicano la portata in funzione dei giorni.

Tipi di regimi idrologici:

● REGIMI GLACIALI. Superficie ghiacciai > 20%. Deflussi da scioglimento neve e ghiaccio.
Condensazione dell’umidità sulle superfici glaciali. Deflusso massimo in estate. Meno importante il
contributo delle piogge. Afflussi principalmente in forma nevosa. Intervallo di flusso nell’ordine di
mesi.
● REGIMI NIVO-PLUVIALI. (Alpino e Appenninico, Isoterma 0°C). Accumulo neve in inverno con
deflussi scarsi. Abbondanti deflussi primaverili (fusione nevi, piogge). In estate e in autunno deflussi
in funzione degli afflussi.
● REGIMI PLUVIALI. Afflussi prevalentemente liquidi. Innevamenti limitatissimi. Scarsi afflussi estivi.
Deflussi massimi fine autunno – inverno Andamenti regolari ma specifici per bacino.
● REGIMI DI RISORGIVA. (Pianure alluvionali). Prevalenza afflussi sotterranei. Zone a regime quasi
costante, con minimi e massimi attenuati.
● BACINI MISTI.
Bilancio afflussi deflussi.

Considero afflusso in termini di pioggia (mm/h), estensione bacino idrografico, deflusso in termini di
portata (m3/s).

TEMPO DI CORRIVAZIONE (o trasferimento). Tempo impiegato da una goccia d’acqua caduta all’estremità
del bacino per raggiungere la sezione di chiusura. Parametro caratteristico del bacino e dipendente dal tipo
di territorio. Velocità in un terreno in pendenza è maggiore. Terreno molto ricco di asperità, velocità
diminuisce. Terreno permeabile➔ massa d’acqua persa per infiltrazione➔ v minore perchè ho meno
acqua. Territorio asfaltato, velocità aumenta.

Prendo sulle x il tempo e sulle y la portata. Tempo 0 inizia a piovre. Tempo tc finisce di piovere. Se misuro
portata in sezione di chiusura, portata aumenta fino a un valore max in un tempo corrispondente al tempo
di corrivazione. Quando finisce di piovere, si torna alla portata 0 nello stesso intervallo di tempo.
Esondazioni. Risoluzione del problema con vasche di laminazione (ridare spazio al fiume). Creare argini non
risolve, ma peggiora la situa. Ristringo lo spazio, aumento energia dell’acqua a valle. Unica soluzione
ragionevole è trovare e realizzare zone dove acqua può divagare ed esondare senza creare danni
all’ambiente e alla popolazione. Vasca di laminazione deve essere costruita in modo che non si accumulino
acque sporche o inquinate.

I bilanci sono difficili da fare. Non ho info precise e puntuali su tutti afflussi e deflussi. Inoltre, devo
considerare territori ampi. Mi servono sistemi di approssimazione. Metodo di Thiessen.

Afflussi Solido di pioggia = prismoide che ha come base inferiore la proiezione orizzontale della superficie
del sottobacino in esame e come base superiore la superficie che si trova in ogni punto a una distanza dalla
base inferiore pari all’altezza di pioggia caduta in quel punto. Volume di pioggia sulla superficie del
sottobacino = volume del solido di pioggia Volume del solido di pioggia/Area di base = Altezza media del
solido di pioggia, o altezza ragguagliata alla superficie.

Dobbiamo capire come le stazioni di misura possono rappresentare il territorio in esame. Devo assumere
che: Topoieta = superficie di influenza di ogni stazione di misura della precipitazione (parte di sottobacino
in cui la precipitazione media possa essere assunta pari all’altezza di pioggia registrata nella corrispondente
stazione) Il topoieta viene costruito tracciando le normali alla congiungente le stazioni vicine nel loro punto
intermedio (ogni topoieta ha la caratteristica di contenere al suo interno una sola stazione). Si assumono i
pesi di ogni stazione tutti uguali tra loro e pari a 1/N, con N numero delle stazioni presenti nel sottobacino:
l’altezza ragguagliata risulta così pari alla media aritmetica delle altezze di pioggia rilevate nelle singole
stazioni, accettabile se le stazioni sono distribuite uniformemente sul territorio.

Contributo nivale. Altezza di pioggia equivalente (S.W.E. = Snow Water Equivalent), calcolata applicando il
metodo di Thiessen a partire dalle misure effettuate nelle stazioni nivometriche presenti nel bacino,
considerando però solo le zone alle quote superiori alla soglia dello zero termico invernale (in prima
approssimazione pari a 1500 m s.l.m).
PN= S.W.E. *S>1500m/Stot

⮚ Pn = Precipitazione media annua areale (mm)


⮚ S.W.E. = Altezza di pioggia equivalente (mm)
⮚ S>1500m = Superficie (interna al sottobacino), in Km2, a quota superiore a 1500 m
⮚ Stot = Superficie del sottobacino (km2), intesa come somma dei topoieti associati alle rispettive
stazioni di misura

S.W.E. = Z *ρs/ ρw

Dove

⮚ Z = spessore della neve (m);


⮚ s = densità media della neve (kg/m3);
⮚ w = densità di massa media dell’acqua, pari a circa 1000 kg/m3

Il vento influenza notevolmente il valore di densità al suolo: la riduzione delle strutture dei grani causata
dai reciproci scontri durante la caduta provocano la diminuzione delle distanze intergranulari.

Oltre alla quantità di acqua si deve considerare la sua qualità.

Carichi inquinanti. Bisogna considerare la quantità di una sostanza perché sia inquinante.
● Diffusi. Valutazione dei carichi attraverso coefficienti riferiti alla destinazione d’uso del suolo
(agricolo, per tipologia di coltura, incolto, rifiuti urbani, ecc.) arriva quindi per piogge o erosione.
Esiste un carico naturale➔ alcune sostanze nutrienti del bacino idrico. Se è troppo diventa
inquinante.
● Puntuali – Civili. Macroinquinanti da alimentazione e detersivi. BOD 54-60 g/abitante giorno. COD 
2 BOD. P 0,8-1 g/abitante giorno. N 12 g/abitante giorno. Q = 0,8 * Dotazione idrica (L/abitante
giorno). Nella dotazione idrica entrano anche acque per lavare le strade e innaffiare parchi pubblici
e simili. Nelle città più grandi la dotazione idrica è maggiore perché ne viene utilizzata di più per
altri motivi. Circa l’80% della dotazione idrica finisce nelle fognature. Questi sono gli inquinanti
prodotti. Ma dove vengono smaltiti? Fossa biologica e pozzo perdente: abbattimento 95%, ma
problemi igienici e possibile contaminazione falda. Fognatura allacciata ad impianto di depurazione:
abbattimento in funzione della tipologia di impianto. Fognatura non allacciata ad impianto di
depurazione: abbattimento nullo.

- Industriali. Reflui da:

1. processo. I processi sono molto diversi a seconda della materia prima, dei prodotti finiti e
del tipo di lavorazione.

2. raffreddamento. La maggior parte di questi impianti ora sono chiusi.

3. servizi
Q = 0,95 * Consumo idrico (m3/giorno)

I reflui industriali a seconda della tipologia e portata possono essere trattati in situ o in impianti
centralizzati dove viene attuata la loro depurazione. Nel secondo caso devono essere ritrattati.

Tutto questo si concretizza nelle reti fognarie.

● Reti fognarie unitarie o miste. Sistema di condotte che raccoglie acque di scarico civili e industriali e
le convoglia in maniera unitaria. Quando piove, dovrebbe raccogliere le acque nella vasca di prima
pioggia (pioggia che cade nei primi 10-15 minuti) e il resto dell’acqua piovana dovrebbe scorrere
liberamente. La prima pioggia è più inquinata. Con la prima pioggia si hanno portate maggiori. Si ha
risospensione dei sedimenti.
● Separate. Acque bianche e nere seguono destini diversi.

La maggior parte delle reti fognarie sono miste. Nelle acque bianche ci sono inquinanti non convenzionali
(fitofarmaci, inquinanti da precipitazioni/ atmosferici) che sono difficili da dividere dalle acque nere.

Abbiamo quindi acque civili e industriali che finiscono nel depuratore insieme ad acque pluviali (dai canali
misti, dove si accumulano anche acque sorgive e drenanti, aumentando quindi la portata). Alcune hanno
vasche di pioggia e sistemi di smaltimento di altre acque. Tra canale misto e vasche di pioggia ci sono
scaricatori di piena. Entra in funzione anche in caso di piogge poco consistenti, che però si sommano alle
portate nere e alle acque parassite. Spesso dal canale misto fuoriesce qualcosa che può andare nelle vasche
di pioggia o nel corpo idrico direttamente. Quest’ultimo causa dei problemi. La prima pioggia è carica di
inquinanti e la turbolenza dovuta alla pioggia risospende il materiale sedimentato.

A circa 14 mila m dalla sorgente


si trova il depuratore. In
condizioni di morbida (portate
regolari), a 15 mila c’è un picco
di COD: è lo scarico
dell’impianto. Poi c’è
autodepurazione, aumento degli
inquinanti e poi a 32 mila circa
c’è un nuovo scarico. Alla fine
(sempre curva azzurra) c’è una
nuova diluizione. In condizioni di
magra c’è un picco maggiore e
l’immissario al depuratore è più
concentrato➔ concentrazione in
uscita più alta. Quando piove (curva blu) il picco è anticipato. Questo perché c’è lo scarico dello scaricatore
di piena.

CARATTERIZZAZIONE CORPI IDRICI

1. Acque sotterranee
2. Acque superficiali
● INTERNE a) Lotiche (fiumi, torrenti, canali) b) Lentiche (laghi, invasi artificiali). Corpi idrici a debole
ricambio (laghi). Grande volume d’acqua. Scambi limitati con l’atmosfera. Regime stazionario.
Corpi idrici a forte ricambio (fiumi, torrenti). Limitato volume d’acqua. Scambi continui con
l’atmosfera. Variabilità di regime.
● MARI, ACQUE DI TRANSIZIONE.

Caratterizzazione corpi d’acqua


● Regime (continuo o torrentizio)
● Lunghezza
● Dislivello monte-valle, pendenze. Effetto solido: effetto dell’acqua sull’erosione e la deposizione
delle particelle/dei sedimenti. Troviamo sia sabbia sia substrato organico.
● Profondità
● Morfologia dell’alveo
● Caratteristiche delle sponde. La maggior parte delle volte sono vegetate. La vegetazione funge da
contenimento e stabilità delle sponde, alimento (quello che cade in acqua diventa nutrimento di
alcuni pesci/organismi), habitat, produzione di ossigeno (ossigenazione dell’acqua).
● Portata
● Velocità
Le ultime due sono correlate tra loro e comportano tutte le altre caratteristiche elencate.

Caratterizzazione dei corsi d’acqua

⮚ Sezioni.
⮚ Perimetro bagnato. È lo specchio d’acqua.
⮚ Pelo libero che avrà una lunghezza trasversale variabile.
⮚ Condizioni di moto variabili in funzione della pendenza e della presenza di prelievi di acqua e
restituzione. Moto uniforme: pelo libero parallelo al moto di fondo. Profilo di chiamata:
pendenza del pelo libero è superiore a quella di fondo. Profilo di rigurgito: pendenza del fondo
è superiore a quella del pelo libero. Succede quando c’è uno sbarramento.
⮚ Prelievi e immissioni
⮚ Sbarramenti e relativa gestione. Blocco del flusso d’acqua. Sbarramenti fatti per i prelievi
(stessa quantità di acqua per la pesca).
⮚ Usi attuali e previsti. Esistono usi di sistema, usi particolari (es: balneazione) o altri vincoli per
l’uso di acque di depurazione.

Definizione della qualità degli ambienti fluviali

❖ Caratteristiche chimico-fisiche. Es: conducibilità elettrica. Strettamente a contatto con salinità


dell’acqua. Altre caratteristiche: pH, temperatura, alcalinità, azoto, fosforo, ossigenazione,
BOD, COD, solidi sospesi, torbidità, colore.
❖ Caratteristiche biologiche. Interazioni tra componente biotica e abiotica. Presenza di organismi
indicatori (Diatomee, piante superiori, macroinvertebrati, pesci). Indici di qualità biologica
(IBE=Indice Biotico Esteso), IBI, IWB, NPI, STAR…)
A. IBE: Ripartizione in 5 Classi in funzione delle caratteristiche della comunità macrobentonica
B. NPI (Nematode Pollution Index), basato sulla percentuale di nematodi del gruppo
Rhabditida, particolarmente resistenti all’inquinamento
C. IBI (Index of Biotic Integrity). Valuta l’abbondanza, la diversità, la struttura e lo stato di
salute della comunità ittica, e la presenza di specie e gruppi ittici indicatori attraverso un
confronto tra il sito di indagine e uno di riferimento
D. IWB Incorpora due valutazioni sulla diversità della comunità ittica e due sull’abbondanza
E. Oggi si usa rapporto di qualità tra i vari parametri tra un corpo idrico di riferimento e quello
da analizzare.
❖ Caratteristiche idrologiche
❖ Caratteristiche morfologiche e ambientali
CARATTERISTICHE IDROLOGICHE E IDRAULICHE

● Portata (minima, massima, media, curva di durata delle portate)


● Prelievi e immissioni (quantità e qualità). Dipendono dall’uso (civile, industriale, agricolo). Ad
esempio, un prelievo d’acqua per uso agricolo, non viene reimmessa mai. Diverso invece il discorso
per le acque ad uso civile.
● Regime /continuità fluviale

DMV (Deflusso Minimo Vitale)

Deflusso che in un corso d’acqua deve essere presente a valle delle captazioni per mantenere vitali la
funzionalità e la qualità degli ecosistemi acquatici, compatibilmente con un utilizzo equilibrato della risorsa
idrica.

Le derivazioni comportano

● Alterazione regime naturale deflussi


● Modifiche nella disponibilità di particolato organico
● Variazioni nella struttura dell’alveo
● Alterazione delle caratteristiche chimiche e termiche

Tutto questo influenza le comunità biologiche

Valutazione della qualità morfologica e ambientale


● IFF (Indice di Funzionalità Fluviale). Messo a punto per corsi d’acqua alpini, poi adeguato per altri
ambiti. Semplice e grossolano. Compilazione di schede per i fiumi: ogni volta che i parametri
cambiano si cambia scheda. 14 domande di 5 aree tematiche.
1. Utilizzo del territorio circostante e stato della fascia perifluviale
2. Regime idrologico
3. Integrità delle sponde
4. Struttura dell’alveo
5. Qualità biologica delle acque

Domande: 1. Stato del territorio circostante 2. Vegetazione nella fascia perifluviale primaria 2 bis.
Vegetazione nella fascia perifluviale secondaria 3. Ampiezza della fascia di vegetazione perifluviale 4.
Continuità della fascia di vegetazione perifluviale 5. Condizioni idriche dell’alveo 6. Stabilità delle rive 7.
Strutture di ritenzione degli apporti trofici 8. Erosione delle rive 9. Naturalità della sezione trasversale
10. Fondo dell’alveo degli ambienti a rapido decorso 11. Raschi, pozze e meandri 12. Vegetazione in
alveo bagnato in acque a flusso turbolento 12 bis Vegetazione in alveo bagnato in acque a flusso
laminare 13. Detrito 14. Comunità macrobentonica. Alle domande viene attribuito un “punteggio”, a
seconda dei punti si ha un giudizio che va da ottimo a pessimo per la qualità delle acque.
● Indice di Qualità Morfologica (IQM) rientra nel metodo IDRAIM dell’ISPRA. M (Sistema di
valutazione IDRomorfologica, AnalisI e Monitoraggio dei corsi d’acqua. Analisi GIS da
telerilevamento (es. Portale Cartografico Nazionale). Analisi e misure sul terreno. Ha dei vantaggi
rispetto al CARAVAGGIO. Fornisce un IQM (Indice di Qualità Morfologica). Analisi GIS suddivide i
corsi in: DIMENSIONI:
(1) corsi d’acqua piccoli (P), con larghezze inferiori a 20 m circa;
(2) corsi d’acqua medi (M), con larghezze dell’ordine dei 20÷30 m;
(3) corsi d’acqua grandi (G), con larghezze superiori a 30 m.

ASPETTI IDROMORFOLOGICI

(a) caratteri del letto e delle sponde;


(b) forma planimetrica e profilo del fondo;
(c) connettività e libertà di movimento laterali;
(d) continuità longitudinale del flusso liquido e di sedimenti; si ritiene che dal punto di vista
longitudinale non
devono esserci
interruzioni.
Succede il contrario
in alcuni fiumi (per
condizioni naturali).
(e) vegetazione nella zona riparia

● CARAVAGGIO. (Core Assessment of River hAbitat VAlue and hydro-morpholoGIcal cOndition). Unità
di campionamento lunga 500 m. Transetti per rilevamenti ogni 50 m. Registrazione di: tipo di
flusso, tipo di substrato, modificazioni dell’alveo e delle rive, uso del territorio, tipo di vegetazione
in alveo. Misurazione del flusso e rilievi a livello visivo (caratteristiche morfologiche dell’alveo).

HABITAT ASSESMENT: Valutazione della qualità dell’habitat di corsi d’acqua montani e pedemontani in base
al punteggio attribuito a specifici parametri, per confronto percentuale con i valori ottenuti per tratti fluviali
di riferimento. PARAMETRI HABITAT ASSESSMENT

• PRIMARI, che caratterizzano il microhabitat (caratteristiche del substrato di fondo, velocità,


presenza di rifugi, ecc.)
• SECONDARI, relativi agli aspetti macroscopici dell’habitat (morfologia dell’alveo, sinuosità
del corso d’acqua)
• TERZIARI, riferiti all’habitat ripario (erosione delle sponde, copertura vegetale, ecc.)

VALUTAZIONE DELLO STATO MORFOLOGICO IN BASE A TRE COMPONENTI:


● Funzionalità geomorfologica (confronto con le forme e i processi attesi per la tipologia fluviale
presente nel tratto in esame). I suoi indicatori sono: Continuità, Morfologia e Vegetazione
perifluviale.
● Artificialità (presenza di opere o interventi artificiali). Indicatori di artificialità: Opere di alterazione
della continuità longitudinale a monte, Opere di alterazione della continuità longitudinale NEL
TRATTO, Opere di alterazione della continuità Laterale, Opere di alterazione della morfologia
dell’alveo e/o del substrato, Interventi di manutenzione e prelievo.
● Variazioni morfologiche rispetto alla situazione degli ultimi 50-60 anni). Indicatori di variazioni
morfologiche: Variazione della configurazione morfologica, Variazioni di larghezza, Variazioni
altimetriche.

DECRETI LEGISLATIVI

D. Lgs. 152/2006

“Norme in Materia Ambientale” (Aumentano le pagine, diminuisce la chiarezza). Recepimento WFD


2000/60 ma rimandi a integrazioni e decreti attuativi per attuazione del contes to operativo nell’ambito
delle acque 2010: D.M. che definisce i “Criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici
superficiali in attuazione del D.Lgs. 152/06”, 260/2010 D.Lgs.219/2010 relativo agli SQA delle sostanze
pericolose (recepimento Direttiva UE 105/2008).

Indice LIM/LIM ECO, forniva una classificazione da macrodescrittori cui si accompagnava una
classificazione basata sull’IBE e con cui si
stabiliva il SECA (Stato Ecologico Corsi
d’Acqua), che risultava dal valore
peggiore dei due indici. Esiste anche una
classificazione basata su inquinanti
chimici. Poteva essere buona o non
buona: anche se tutte le altre
classificazioni sono buone, ma ci sono
inquinanti, allora la classificazione sarà
non buona.

Classificazione di elementi biologici,


classificazione di elementi chimico fisici
e classificazione degli elementi
idromorfologici di sostegno.
Dopo si passa all’individuazione dei microhabitat

Indicazione dimensionale, la suddivisione parte dalle più piccole fino alle più grandi.

In base a questo si definisce il numero di campioni che vanno prelevati.


A questo punto si passa ad analizzare la componente biotica del fondo.
Alghe, macrofite, parti vive di piante, particelle del legno, particolato (alimento per la componente
biotica), diviso in fine e grossolano, film batterici e funghi (presenti sulle pietre sul fondo).
La classe di qualità si determina in funzione del Rapporto di Qualità Ecologica (RQE) tra sito campionato ed
ecosistema di riferimento (valori disponibili su apposite tabelle, che differiscono in funzione delle tipologie
dei corpi idrici). Possiamo definire una classe buona quando il valore è quasi approssimabile al 100%. Se il
valore è circa uguale o inferiore a 24%, la valutazione è scarsa.
Focus valutazioni acque superficiali: comunità biologiche, influenzate dalle acque in cui vivono. Tre aspetti
da tenere in considerazione per la valutazione de corpo idrico: Qualità dell’Acqua (1) + Regime Idraulico (2)
+ Morfologia (3). Influenzati dalla pressione antropica: ALTERAZIONI: 1. CARICHI INQUINANTI 2. MODIFICA
DEI DEFLUSSI 3. MODIFICA DELLA DISPONIBILITA’ di HABITAT.

Un grosso problema dello studio dei corpi idrici è che questi tre parametri sono tra loro legati in modo
stretto. Gli habitat vengono modificati in funzione della portata. Gli inquinanti dipendono da quanto
vengono diluiti nel corpo idrico (deflusso). Portate transitanti hanno peso importante sulla diluizione degli
inquinanti. Gli altri due aspetti sono più complicati soprattutto da modellizzare.

Regime idraulico: Fattori perturbativi: Impermeabilizzazione del territorio (urbanizzazione). Effetti derivati
da ciò:

⮚ Diminuzione dell’acqua drenata dal terreno.


⮚ Aumento del drenaggio artificiale, scorrimento in fognatura. Tempo con cui acqua raggiunge il
fiume aumenta. Ci porta al punto successivo.
⮚ Pulsioni nella portata: piene improvvise e repentine seguite da lunghi periodi di secca. Acqua non
drenata🡺 tempo di rilascio di acqua dal terreno è più basso.
⮚ Sovraccarico delle reti fognarie con azione degli scolmatori.
Altro fattore perturbativo: Prelievi d’acqua e modifiche del regime idrico naturale (sbarramenti, dighe,
abbassamento della falda ecc…)

Effetti:

⮚ Diminuzione del fattore di diluizione degli scarichi.


⮚ Riduzione della diversità idraulica nei microhabitat.
⮚ Riduzione delle zone rifugio per stati vitali particolarmente sensibili. Stadi giovanili sfruttano zone
dove la corrente è più bassa (appunto zone rifugio).
⮚ Nei casi estremi, periodica distruzione completa (secca) dell’ecosistema fluviale.

Altro aspetto: morfologia. Effetto perturbativo: modifica della morfologia, quindi della sezione. Effetti:

⮚ Diminuzione della stabilità del substrato e degli argini a causa di erosione e sedimentazione
⮚ Riduzione dell’eterogeneità degli habitat
⮚ Diminuzione della sinuosità dell’alveo
⮚ Riduzione dell’area e della qualità dell’habitat
⮚ Diminuzione dei ripari nel fiume e della vegetazione riparia

Alterazioni idrologiche

Derivazioni ad acqua fluente. Derivazioni di


acque che non prevedono la formazione di un
bacino d’acqua (dimensioni non sufficienti o
trascurabili per poter formare un bacino). Non
c’è quindi un bacino di accumulo. La riga rossa
è più bassa, quindi queste derivazioni
influenzano le portate di magra. I picchi sono
comunque simili alla linea nera.
Deflussi funzionali chiave che supportano specifici processi ecologici e morfologici. Picchi di deflusso
durante le piogge e lo scioglimento delle nevi. Poco in estate a meno che non ci siano abbondanti piogge.
Il Deflusso Minimo Vitale (DMV) è la portata istantanea da determinare in ogni tratto omogeneo del corso
d'acqua, che deve garantire la salvaguardia delle caratteristiche fisiche del corso d’acqua, chimico-fisiche
delle acque nonché il mantenimento delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali.

Due metodologie:

1. Metodologie basate su modelli teorici,


normalmente ad ampia scala (es:
formula Autorità di Bacino del Po).
Parametri Correttivi • M = parametro
morfologico (0.7 ÷ 1.3), esprime
l’attitudine dell’alveo a mantenere le
portate di deflusso minimo in condizioni
compatibili con gli obiettivi di habitat e di
fruizione • A = tiene conto delle
interazioni acque superficiali/acque
sotterranee e descrive le esigenze di
maggiore o minore rilascio dovute al contributo delle acque sotterranee nella formazione
dei deflussi in alveo. Da considerare soprattutto per alvei con elevata permeabilità di
substrato (0.5 ÷ 1.5) • T = descrive le esigenze di variazione, nell’arco dell’anno, dei rilasci in
funzione degli obiettivi di tutela per i tratti di corso d’acqua sottesi alla derivazione
(esigenze per l’ittiofauna, diluizione degli inquinanti...)  Z = valore massimo tra quelli dei
parametri N, F, Q, calcolati distintamente:  N = esprime le esigenze di maggiore tutela
per ambienti fluviali con elevato grado di naturalità o che presentivo un rilevante interesse
scientifico o ambientale ( N≥1). Applicato a tutti i corpi idrici all’interno di aree protette o
siti appartenenti alla rete ecologica “Natura 2000”  F = esprime le esigenze di maggiore
tutela per ambienti fluviali oggetto di particolare fruizione turistico-sociale, compresa la
balneazione (F≥1)  Q = esprime le esigenze di diluizione di carichi inquinanti provenienti
da sorgenti puntiformi e diffuse (Q≥1).
2. Metodologie sito-specifiche calibrate sulle sezioni fluviali di interesse e sulle comunità
biologiche presenti

Deflusso Ecologico: «Il Deflusso Ecologico (DE) è il regime idrologico che, in un tratto idraulicamente
omogeneo di un corso d’acqua, appartenente ad un corpo idrico è conforme col raggiungimento degli
obiettivi ambientali definiti ai sensi dell'art. 4 della Direttiva Quadro sulle Acque»

Il DE si compone di:

- una componente idrologica, stimata in base alla peculiarità del regime idrologico di un tratto
idraulicamente omogeneo di un corso d’acqua, appartenente ad un corpo idrico;
- una componente ambientale stimata attraverso i fattori correttivi che tengono conto delle
caratteristiche morfologiche dell’alveo, dei fenomeni di scambio idrico con la falda, della naturalità
e dei pregi naturalistici e delle esigenze di modulazione della portata residua a valle dei prelievi per
mantenere il regime naturale del corpo idrico e per raggiungere gli obiettivi ambientali definiti ai
sensi degli artt. 4 e 13 della DQA, nel rispetto di quanto disciplinato dal D.Lgs. 152/06

Ha la stessa identica formula del deflusso minimo vitale. Ma aggiunge un’applicazione reale e correttiva dei
parametri correttivi del dmv. Introduzione obbligatoria del parametro T. Secondo il “paradigma delle
portate naturali”, il parametro T descrive le esigenze di variazione nell'arco dell'anno dei rilasci per
garantire la integrità del regime del deflusso naturale del corpo idrico interessato e per contribuire al
raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati e di tutela della vita acquatica. Tenuto conto della
variabilità dei regimi idrologici che caratterizzano i corpi idrici del distretto idrografico del fiume Po, per il
fattore T occorre prevedere una modulazione del DE almeno a livello stagionale - per distinguere i regimi di
magra da quelli di morbida - con la possibilità di declinazione a livello mensile.

Modellistica per lo studio della qualità idromorfologica

Modelli idraulici, idrologici, di idoneità degli habitat…

Tutti questi metodi seguono gli stessi passaggi.

Modello di simulazione PHABSIM (Physical HABitat SImulation Model), sviluppato dall’USGS (United States
Geological Survey) basandosi sulla metodologia IFIM. IFIM (Instream Flow Incremental Methodology): stima
quantitativa dell’idoneità complessiva degli habitat in rapporto alle diverse portate possibili. PHABSIM è
sostanzialmente composto:

- da una simulazione idraulica; definisce le diverse portate. Rilevamento di più sezioni trasversali
significative nei siti di monitoraggio individuati (criterio di rappresentatività): – Larghezza –
Profondità – Velocità della corrente – Substrato. Questi passaggi devono essere fatti nello stesso
sito per diversi valori di portata.

- da curve di preferenza degli organismi target. Definisce le condizioni dell’habitat per i vari
organismi. Descrizione del mesocosmo per ogni organismo e definizione delle preferenze in base
alle presenze di organismi. Analisi delle densità di individui di specie selezionate in funzione delle
variabili ambientali. Definizione delle preferenze per ciascuna specie (anche in diversi stadi vitali).
Es: gli stadi giovanili si possono proteggere riparandosi sotto a piccole rocce e sedimenti. Più
l’organismo è grande più servirà un nascondiglio grande.
Su queste basi è possibile definire una relazione tra
le diverse portate potenzialmente transitanti nel
corso d’acqua e la disponibilità di habitat per gli
organismi acquatici.

Elaborazione: si va a determinare l’idoneità


ambientale ad un dato sito e con una data portata.
Nel grafico elaborato ho delle celle di idoneità che
vanno da 0 a 1, 1 è idonea, 0 non viene utilizzata.
Colori: rosso = idoneo, blu = non idoneo. Sommando
i prodotti del coefficiente di idoneità combinato di
ognuna delle celle della figura per l’area della cella stessa, otteniamo il valore dell’Area Disponibile
Ponderata per l’intera stazione ad una determinata portata.

Curva ADP di portata, ci dice come varia la portata. Definisce il DMV. Scelta di un deflusso ottimale
(rapporto costi/efficacia) con analisi dell’area disponibile ponderata. Es: criterio del “breakpoint” (cambio di
pendenza della curva).

Scelta del DMV: Portata minima ottimale: portata per cui è disponibile almeno il 75% dell’habitat che
sarebbe disponibile in condizioni di portata “naturale”. La soglia del 75% è ampiamente utilizzata in
letteratura e viene ritenuto un compromesso efficiente tra salvaguardia ecosistemica e necessità
produttive.

Problema del fiume serio: Conflittualità per usi multipli delle acque, in particolare produzione di energia
idroelettrica, pesca e fruizione. Risolto grazie al modello PHABSIM. Dopo aver applicato i modelli si devono
analizzare i dati e le applicazioni reali.

ECOIDOROLOGIA

Monitoraggi per controllo a feedback. Sviluppare modelli concettuali e quantitativi da poter utilizzare come
strumento di gestione della risorsa idrica. Valutazione delle comunità invertebrate e di alcuni attributi
ecosistemici in funzione dell’idrologia e della stagionalità.

Qsd = variabilità della portata. 10 = 10 giorni. 90 = numero giorni. All’aumentare della portata, le condizioni
della comunità diminuiscono.

Qmax = portata max degli ultimi giorni. Se è alta le comunità sono minori per lo stesso motivo di prima.
Esempio: gestione idrica nel bacino di Wessex Valutazione degli effetti a lungo termine (1995-2016) delle
comunità invertebrate alle modalità di gestione delle acque superficiali e sotterranee.

Taxa aumentano o diminuiscono in base alla portata a seconda del loro rapporto con le acque. Più è alta la
% di plecotteri e tricotteri, più la qualità dell’acqua è buona. Riduzioni della portata del circa 10%
favoriscono questi taxa più sensibili. Le specie native sono poco influenzate dalle portate. Quando le
portate minime cadono in estate, le specie subiscono effetti negativi; le specie aliene invece sono
maggiormente influenzate. Le specie aliene opportunistiche sfruttano bene le portate basse (approfittando
del fatto che le specie native sono in difficoltà).

LAGHI

Detti acque lentiche. Differenze con acque lotiche. Sono più grandi quindi ho maggior scambio con
l’atmosfera. Anche il lago va inserito nel suo bacino imbrifero, per cui valgono le stesse leggi del bacino
imbrifero dei fiumi.
Caratteristiche:

Superficie

• Perimetro e relativa sinuosità

• Volume
• Rapporto superficie bacino imbrifero/specchio lacustre

• Profondità media, minima, massima (batimetria)

• Portata e regime immissari ed emissari

• Presenza di opere di sbarramento

Regime termico: il lago non ha una conformazione morfologica e batimetrica regolare. Anche l’acqua non è
distribuita in modo omogeneo, ma è stratificata. Penetrazione di luce e calore non interessa tutto il volume
del lago. La superficie ha temperatura maggiore del fondo. Questo comporta diversi fenomeni biologici e
non. I pesci preferiscono acqua fredda (fondo del lago).

In inverno l’acqua non viene praticamente


riscaldata. Variazione di T tra i 2 e i 4 gradi.
C’è più concentrazione di O2 (inversamente
proporzionale a T). In primavera T
omogenea lungo la colonna d’acqua così
come la densità. Si ha rimescolamento di
acqua (per venti o simili). In estate la
superficie è molto calda, il fondo no. Strato
termoclino in cui cambia drasticamente la T
(più di un grado per ogni m di profondità). È
come se avessi due laghi separati. Il
rimescolamento a causa del vento avviene solo sopra. La parte più fredda ha maggior densità di ossigeno
che non si rimescola e quindi resta stagnante. In autunno sparisce il termoclinio e si omogenizza come in
primavera. Quando c’è eutrofizazione c’è produzione di sostanze ridotte in profondità che sono tossiche
per i pesci. Quando c’è ricircolazione di acqua si ha meno densità di ossigeno.

Caratteristiche chimico-fisiche

• pH
• Alcalinità

• Colore

• Trasparenza

• Concentrazioni di nutrienti

• Concentrazione e gradiente dell’ossigeno disciolto

• Presenza e concentrazioni di inquinanti specifici

Caratteristiche biologiche
• Fitoplancton (specie, abbondanza, distribuzione stagionale). Fotosintesi, produzione primaria. Si sviluppa
in funzione di luce e nutrienti. Predato da pesci in fase larvale e dallo zooplancton. Equilibrio tra questi due
è fondamentale.

• Zooplancton (specie, abbondanza, distribuzione stagionale)

• Fauna ittica (specie, abbondanza, distribuzione stagionale). Consumatori secondari (principalmente di


zooplancton).

• Struttura della catena trofica

Tabella di riferimento per chi studia i laghi.


Suddivisione dei laghi in classi in base alla
comunità algale.

Degli studiosi avevano messo in relazione la


disponibilità di nutrienti con la pescosità dei laghi. 🡺

Se il lago è per sua natura mesotrofico possiamo


rimuovere l’apporto sntropico, ma non raggiungerà
comunque l’oligotrofia.

Su questi indici si erano basati degli obiettivi per la


Regione Lombardia per depurazioni ecc.

Eutrofizzazione e cianobatteri

Cianobatteri = procarioti fotosintetici. Varie forme e dimensioni. Hanno anche diversi pigmenti. Possono
stoccare alproprio interno nutrienti, crescono velocemente. Resistono a pH molto alti. Possono usare
carboanti e possono fissare l’azoto dall’atmosfera. Possono formare colonie molto estese e dense. È un
problema perché emettono tossine pericolose. Citotossine, endotossine lipopolisaccaridiche, tossine
gastrointestinali.
LD50 è la tossicità per il 50% degli organismi.
ELEMENTI CHIMICI A SOSTEGNO DEGLI ELEMENTI BIOLOGICI

Inquinanti specifici non appartenenti all’elenco di priorità. Per ciascun inquinante specifico è stabilito uno
standard di qualità ambientale espresso come valore medio annuo (SQA‐MA).

STATO CHIMICO

La presenza delle sostanze appartenenti all’elenco di priorità definisce lo stato chimico dei corpi idrici. Per
ciascuna sostanza sono stabiliti uno standard di qualità ambientale espresso come valore medio annuo
(SQA-MA) e uno standard di qualità ambientale espresso come concentrazione massima ammissibile (SQA‐
CMA).

Argomento 3: IMPIANTI DI DEPURAZIONE

⮚ Ricevono i reflui mediante collettori


⮚ Sono concepiti in modo diverso in funzione del refluo che devono trattare
⮚ Scaricano l’effluente trattato in corpi idrici ricettori (preferenzialmente in corsi d’acqua). Oltre a
eutrofizzazione ci sarebbe un ulteriore accumulo di sostanze tossiche, quindi sarebbe meglio
evitare di scaricare nei laghi anche perché il corso d’acqua ha una autodepurazione più
efficiente.
⮚ Possono trattare i reflui fino al livello richiesto per il loro riuso
▪ Comprendono una sequenza di trattamenti meccanici, biologici e chimico-fisici finalizzati a
rimuovere sostanza organica e nutrienti. Azoto presente nelle acque reflue in forma ridotta🡺
tossico per i pesci. Nitrato invece è tossico per i mammiferi. Rimozione di azoto è quindi
importante come quella del fosforo. Trattamenti più grossolani sono fatti inizialmente per poi
attuare sistemi più raffinati (quindi prima trattamenti meccanici, poi biologici e chimici).
▪ Prevedono una disinfezione finale, basata sul dosaggio di composti chimici (ipoclorito di sodio,
ozono, acido peracetico…) o fisici (radiazioni UV) per eliminare la componente batterica
potenzialmente patogena. Si fa determinazione di Escherichia coli, buon indicatore della
componente fecale. Comunque, manca una buona componente di batteri ed elementi patogeni
(non ci sono solo batteri legati alla componente fecale). Se E. coli viene eliminato però
possiamo credere di aver eliminato anche gli altri.
▪ Non rimuovono microinquinanti emergenti. MIE: sostanze che potrebbero essere oggetto di
regolamentazione futura in base ai dati di monitoraggio della loro presenza e persistenza nei
diversi comparti ambientali, alla loro ecotossicità e ai potenziali effetti sulla salute umana.
Ancora poco conosciuti per essere regolamentati.

Qualche esempio:

• Residui o prodotti di degradazione di farmaci. Es: tamoxifene: escreto così com’è. È un


farmaco antitumorale. In caso di dose eccessiva viene espulso dal pz e ha conseguenze
tossiche per l’ambiente. Ci sono anche problemi di racemi. Differenze tra farmaci umani
o per animali domestici e farmaci di uso per l’allevamento (utilizzo massiccio). Problemi
legati all’escrezione e agli scarti (farmaci scaduti non sempre finiscono in inceneritori,
ma anche nei rifiuti solidi delle discariche, dove poi contaminano le acque sotterranee.
Se questo non accade comunque finiscono nelle acque superficiali). L’escrezione degli
animali da allevamento va dal suolo alle acque sotterranee, mentre gli scarti anche qui
finiscono in discarica. Scarti delle case farmaceutiche finiscono alla depurazione, anche
qui si può finire alle acque sotterranee.
• Pesticidi. Vanno in agricoltura, ma le piogge li portano nei sistemi di drenaggio.
• Ritardanti di fiamma
• Fragranze
• Impermeabilizzanti, antimacchia, antiaderenti (composti fluorurati (pifas, pifoas))
• Microplastiche
Persistenza nell’ambiente, difficoltà e variabilità di rimozione dalle acque reflue mediante trattamenti
convenzionali e immissione concomitante da diverse fonti fanno sì che le concentrazioni nei diversi
comparti possano costituire fonte di rischio per l’ambiente e per la salute.

I MIE possono essere:

● Tossici. Aventi effetti nocivi più o meno estesi sugli organismi


● Mutageni. Sostanze che inducono mutazioni genetiche, ovvero che alterano l'informazione
genetica all'interno di una cellula causando mutazioni ed inducendo modificazioni all'interno
della sequenza nucleotidica o della struttura a doppia elica del DNA di un organismo vivente
● Cancerogeni. Sostanze che determinano o favoriscono l’insorgere di un carcinoma e di un
qualsiasi tumore maligno
● Teratogeni. Agenti ecc. che possono causare alterazioni mostruose nello sviluppo di un
embrione
● Bioaccumulabili. Sostanze che possono accumularsi nei tessuti degli organismi viventi
● Interferenti endocrini. Sostanze chimiche in grado di interferire con il sistema endocrino sia in
senso antagonista che agonista.

In ambito industriale, per i MIE, oltre ai problemi potenziali sulla salute umana, si presenta un problema di
mercato. Per esempio, nel tessile la problematica ha dei risvolti concreti perché già ora alcuni buyer
richiedono la presenza entro limiti restrittivi di alcune sostanze non solo sul prodotto, ma anche negli
scarichi idrici. Diventa quindi strategico per lo sviluppo economico lombardo accettare ed affrontare da
oggi questa sfida sui microinquinanti.

PRINCIPALI NORME: La Direttiva 2008/105/EC ha definito standard di qualità ambientale per 33 sostanze
prioritarie, 15 delle quali classificate come prioritarie pericolose.

La Direttiva 2013/39/EU ha stilato una prima Watch List comprendente 3 composti (diclofenac, 17- beta-
estradiolo (e2) e 17-alpha-ethinylestradiol (ee2)) sui quali approfondire indagini mirate alla definizione di
limiti specifici e strategie.

Nel 2018 nuova Watch List (eliminato il diclofenac, aggiunte altre 6 categorie di composti)

Dal 2015 esiste una legge per gli ecoreati. Articolo 452 bis del Codice Penale – Compromissione o
deterioramento. “È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000
chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: delle
acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; di un ecosistema, della
biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Quando l'inquinamento è prodotto in un'area naturale
protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico,
ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.”
Sostanze per la quali in Lombardia vengono superate le soglie di rischio

• TCEP e TMCP (entrambi ritardanti di fiamma) superano i limiti di 16 volte per il primo nei fiumi
e di più di 3 volte il secondo nelle acque sotterranee, ma non presentano superamenti nei laghi;
• terbutilazina, erbicida che ha sostituito l’atrazina nelle maggior parte delle applicazioni agricole,
con i più elevati valori di superamento (>120 volte il limite SQAMA) nei fiumi. Nelle acque
sotterranee i superamenti del relativo limite sono meno elevati, mentre non si rilevano
superamenti nei laghi;
• benzo(g,h,i)perilene, IPA tipico della combustione di combustibili fossili per riscaldamento e per
autotrazione, supera il limite di più di 3 volte nelle acque sotterranee, mentre è sotto il limite
nei laghi e fiumi.
• microcistine, tossine prodotte dai cianobatteri, che arrivano a superare di 16 volte il limite
legale nei laghi;

Situazione impianti in Italia: esistono circa 15.000 impianti. Su un campione di 12.500 impianti, la capacità
depurativa complessiva è pari a 64 milioni di A.E. La maggior parte degli impianti è di piccole dimensioni (
100.000 A.E.). La maggior parte degli impianti è stata realizzata prima del 1990. In diversi casi gli impianti
sono sovraccaricati idraulicamente e utilizzati per il carico organico. La rimozione dei parametri
“convenzionali” (BOD, COD, SS, N e P) è in genere soddisfacente, ma si verificano in specifici casi situazioni
anche gravi di malfunzionamento. La destinazione finale più comune per i fanghi è la discarica, seguita
dall’utilizzo agricolo.

Fango = residuo della depurazione. Fango primario e secondario; fango misto. Smaltimento dei fanghi è uno
dei principali problemi ambientali ed economici.
Ingresso: abbiamo scarti domestici,
metalli, residui di tubature (leghe,
piombo, zinco rilasciati nelle acque).
Azoto ridotto 🡺 le tubature sono in
condizioni anossiche.

Pretrattamenti: atti a rimuovere le


componenti più grossolane. Processi
meno costosi. Eliminano oli, grassi,
sabbie e grigliato. Al collettore
arrivano anche acque di dilavamento:
arrivano sabbie, oli da dilavamento
delle strade e tutto ciò che viene
buttato negli scarichi. Smaltiti in
separata sede. Oli, grassi e sabbie
cercano di essere riciclati (biomasse
ecc). Grigliato no.

Solitamente il primo pretrattamento consiste nel far passare l’acqua tra due griglie che trattengono i rifiuti
più grandi. Dopodichè si va alla rimozione di oli, grassi e sabbie. Vasca divisa in due parti. In una viene
sparata aria da sotto, i grassi salgono in superficie e un carroponte con un raschiatore raccoglie le schiume
formatesi con i grassi residuati. Nell’altra vasca si fa sedimentare la sabbia per gravità. Poi viene estratta e
smaltita.
Sedimentazione primaria: sedimentatori circolari o rettangolari. Si fa sedimentare la componente che è
passata tra le griglie, quindi è più fine. Qui sedimenta il fango primario🡺 COD, N, P. il surnatante che esce
dal sedimentatore va al trattamento biologico. Sedimentatori devono essere abbastanza grandi da
permettere che il tempo di sedimentazione sia sufficiente. All’impianto arriva una portata aumentata.

Sedimentazione secondaria: fanghi secondari. Vanno alla linea fanghi insieme ai fanghi primari.
Trattamento biologico: ossidazione biologica. Batteri che usano i liquami per crescere.

Fango di supero va alla linea fanghi. Invece una parte di fango secondario va in una vasca biologica dove si
separa dalla componente liquida. Parte viene ricircolato. Essendo biologico è costituito da batteri. Garantire
il giusto numero di batteri con il ricircolo.

Se ci sono trattamenti chimici ottengo anche fanghi chimici. Trattamenti chimici servono a facilita re la
disinfezione. Ci sono anche trattamenti terziari, ma non sempre sono attuati.

Processi di depurazione biologici: aerobici, anaerobici. Processi anaerobici usati soprattutto per
smaltimento fanghi o comunque per quei processi di smaltimento di componente organica.

Processi anossici: importanti per la denitrificazione.

Processi a Biomassa sospesa: biomassa mantenuta in sospensione con, ad esempio, insufflazione di aria che
tiene la componente organica in superficie.

Processi a Biomassa adesa: biofilm cresce su strutture rugose, aumenta la superficie su cui può essere la
biomassa. Ci sono anche dei supporti fissi, ma sono meno utilizzati.

PROCESSO A FANGHI ATTIVI (biomassa sospesa). Devo cerare condizioni più ottimali possibili affinché si
sviluppino i batteri che poi si nutrono di questi fanghi.

• Sviluppo di biomassa saprofita a spese delle varie componenti del liquame.


• Bioflocculazione🡺 i batteri si accumulano e aggregano. Far aggregare e precipitare dei fiocchi è
più facile rispetto a far precipitare batteri singoli.
• Degradazione biologica di composti organici.
• Adsorbimento di molecole recalcitranti e di inquinanti inorganici (metalli).

Per acque civili Y = 0,65 kg MLVSS/kg BOD5

Il coefficiente di produzione di biomassa reale deve essere distinto da quello teorico tenendo conto del
metabolismo endogeno (tasso di scomparsa).
𝜇𝑚𝑎𝑥
Non abbiamo solo la crescita dei batteri, ma anche la lisi dei batteri morti. Cinetica di Monod. 𝜇 = 𝑆
𝐾𝑠

Per una concentrazione batterica x costante, se S>> KS e quindi μ=μmax. Reazione di ordine 0 rispetto ad S:
la velocità di rimozione è indipendente dalla concentrazione del substrato. Se invece S<<KS la velocità di
rimozione è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato (reazione di primo ordine
rispetto a S).
Diverse specie batteriche che raggiungono un loro equilibrio. Strategia r: determina elevati valori di crescita
specifica (mmax) e di tasso di consumo del substrato (vmax) per elevate concentrazioni di substrato
Strategia K: consiste nella capacità di sfruttare al massimo basse concentrazioni di substrato.
Principali reattori biologici: Reattore discontinuo (batch, impianti SBBR). Il refluo viene introdotto nel
reattore e vi permane per tutta la durata della reazione, senza nessuna nuova alimentaz ione. Il tempo di
permanenza è quindi uguale per tutte le componenti del refluo e del fango. Utilizzato in casi particolari
caratterizzati da portate di scarico piccole o fortemente discontinue (scarichi da lavorazioni stagionali).

Reattore continuo con flusso a pistone (plugflow), con dimensione longitudinale più sviluppata rispetto alle
altre. Il refluo viene alimentato e scaricato in continuo. T = V/Q

La concentrazione degli inquinanti diminuisce gradualmente dall’inizio alla fine della vasca.
Reattore continuo a miscelazione completa. La concentrazione di inquinanti è omogenea in tutto il reattore
che viene alimentato e scaricato in continuo. La velocità di rimozione dipende dalla concentrazione del
substrato (cinetica di 1° ordine) ed è inferiore a quella conseguibile in altre condizioni, in presenza di
concentrazioni più elevate.

Batteri filamentosi (scheletro): si moltiplicano


per divisione ma le loro cellule, rimanendo
vicine, formano un filamento.
Batteri fiocco-formatori: convertono
substrato organico in materiale extracellulare
chiamato glicocalice, responsabile della
bioflocculazione.

Caratteristiche dei fiocchi di fango: carica


negativa. Ricchi di acqua: acqua libera
assorbita sulla superficie: acqua libera
all’interno dei fiocchi: acqua legata dalle
micelle colloidali = 20:2:2,5. Infatti, per prima
cosa i fiocchi vengono disidratati.

Vasca a fanghi attivi è il processo che più si avvicina al processo naturale di autodepurazione.
Parametri per la caratterizzazione • Densità, parliamo di concentrazione del fango nella vasca,
concentrazione dei batteri attivi, si
procede per ampie
approssimazioni, determinare
quelli attivi ed inattivi è molto
complicato, ci si riferisce solo alla
quantità di solidi sospesi o volatili
totali • Dimensioni, sospensione
con effluente trattato e fango,
maggiore è la separazione tra le
due componenti migliore sarà la
depurazione, fiocchi piccoli difficile
da separare, fiocchi grandi
superficie specifica troppo piccola •
Idrofobicità, fattore importante per
separazione e per capire l’entità
dell’adsorbimento • Numero e
lunghezza dei filamenti, nel caso di problemi di schiume biologiche e non sedimentazione • Biopolimeri
esocellulari • Resistenza meccanica, se sistemi di agitazioni sono spinti e possono comportare rottura dei
fiocchi • Superficie specifica.
Caratteristiche di sedimentabilità dei fanghi attivi, separare prodotto della depurazione dal risultato, fango
concentrato e acqua depurata.

• Velocità di sedimentazione (per fango a 3 g MLSS/L v ≥ 3 m/h), in condizioni ottimali dovrebbe essere
superiore ai 3 metri per ora ipotizzando concentrazione del fango in vasca di 3 grammi per litro.
• Indice di Volume dei Fanghi (SVI = Sludge Volume Index) ≤ 100

Sludge Volume Index (SVI)

SVI = Volume del fango sedimentato (mL/L)/ Solidi Sospesi Totali(mg/L)

Il volume del fango sedimentato corrisponde ai Solidi Sedimentabili determinati dopo un tempo
corrispondente al tempo di permanenza nel sedimentatore secondario

Cono Imov o cilindro, miscela aerata posta in quiete a sedimentare per un tempo standard di almeno 30
minuti. Generalmente lo lascio sedimentare per lo stesso tempo in cui sedimenterebbe nel sedimentatore
secondario. Si ha una misura di quanto si sedimenta rispetto a quanto è presente.

Fattori condizionanti i processi biologici

Temperatura: V maxT = Vmax 20 alfa^(T-20)

Valori di a per i principali processi biologici di depurazione


Batteri nitrificanti molto delicati e sensibili alla temperatura, poi processo anossico quindi richiede
maggiore energia quindi più sensibile.

Elementi nutritivi

BOD5:N:P =100:5:1. Proporzione ottimale per lo sviluppo dei batteri


All’aumentare del tempo di residenza cellulare diminuiscono i fabbisogni. Compresenza di parte attiva
biologica e liquame da trattare, dopo separazione possiamo dare due tempi di residenza diversa per
ottenere prestazioni superiori. Necessita un pompaggio con consumo energetico inversamente
proporzionale alla densità del refluo, maggiore è la separazione minore è il consumo. Tempo di
permanenza del fango molto lungo, forte decadimento batterico e cellule muoiono andando incontro a lisi
e rilasciando sostanza organica e nutrienti, in questo caso rientra un aspetto importante ovvero il
metabolismo endogeno, contributo ai nutrienti necessari alla crescita dei batteri fornito dai batteri che
muoiono stessi. Scelta del tempo di ritenzione dipende dal tipo di impianto, refluo e obbiettivo che voglio
ottenere.

Disponibilità di ossigeno. Per lo svolgimento ottimale dei processi aerobici O.D.≥ 1,5-2,0 mg/L. Influenza
determinante su nitrificazione (ossidazione azoto) e squilibrio tra fiocco formatori e filamentosi.

X = Concentrazione di biomassa (mg SS/L), S0 = Concentrazione iniziale di substrato, St = Concentrazione di


substrato al tempo t, V = Volume, Q = Portata (m3 /h)

Il rendimento di depurazione è: η(eta) = 100 x (S0 – St) / S0

Espresso in percentuale, efficienza percentuale di depurazione calcolato sul bod ma calcolabile su qualsiasi
altro parametro.

Il Carico del Fango è il carico volumetrico Cv (kg BOD/m3 /d) per unità di biomassa presente (Kg SS/m3),
detto anche rapporto F/M (food/microorganisms): Cf = kg BOD5 /kg SS/d

Quindi:

Cf x X = Cv = S0 /t

V = Q x S0 / Cv

Mettendo in relazione tutte le grandezze più importanti. Carico del fango dipende dal carico in ingresso e
anche le dimensioni dell’impianto non dipendono dai noi, noi possiamo operare solo sulla concentrazione
di biomassa in vasca andando ad agire sul ricircolo. Rendimento diverso in termini di rimozione di bod e
azoto, e produzione di fango di supero ovvero da smaltire.
H = Efficienza% di rimozione del bod

Liquame chiarificato arriva da sedimentazione primaria, grezzo invece no. Alla diminuzione del carico di
fango aumenta l’efficienza di depurazione e minimizzo la produzione di fango di supero. Carico del fango
bassa significa altra concentrazione del fango in vasca. Maggiore quantità di biomassa disponibile per
degradare il bod.

Altro parametro importante e ricavabile, quanto il fango rimane nella vasca, età del fango bassa in
corrispondenza di bassi carichi di fango.

Fabbisogno di ossigeno, direttamente proporzionale al bod, ovvero la sostanza che si deve ossidare.

ΔO2 = a (S0 – St) Q + b V x

a = coefficiente di respirazione attiva (in assenza di determinazioni sperimentali = 0,5 giorni –1 a 20°C)

b = coefficiente di respirazione endogena (in assenza di determinazioni sperimentali = 0,1 giorni –1 a 20°C)

Coefficienti correttivi, rimozione del bod mai totale, ma ossigeno usato in diversi modi.

Consumo di O2 in processi a fanghi attivi per liquami domestici a 20°C (a=0,5 e b=0,1 giorni-1)
Oltre alla rimozione della sostanza organica deve esserci una rimozione dei nutrienti.

Rimozione dell’azoto

Ossidazione di azoto con nitrificazione e riduzione azoto attraverso denitrificazione formando azoto
molecolare.

2 processi con esigenze opposti e risultati opposti, nitrificanti usano azoto come fonte di energia,
denitrificanti lo utilizzano solo come accettore di elettroni.

Nitrificazione, ossidazione dell’ammonio e ossidazione del nitrito, con forte consumo di ossigeno e
alcalinità, deve avvenire in soluzione tampone per non permettere abbassamento del ph, nitrificazione
subisce arresti a ph acidi o a temperature molto basse.

Lago d’Orta veniva sversato azoto in forma ammoniacale, subiva il processo di nitrificazione permesso dai
sedimenti, variazioni cicliche di ph avviavano ed arrestavano questo processo.
I batteri nitrificanti sono molto pochi e fragili, costituiscono circa il 5-6% della biomassa, sono molto lenti
nella crescita essendo autotrofi. Altissimo consumo di ossigeno e di alcalinità come bicarbonato.

TKN (total kjeldahl N), somma dell’azoto ammoniacale e organico, metodo di stima dell’azoto all’interno dei
reflui e quindi dei batteri nitrificanti.

Cinetica di monod dei nitrificanti, fattori correttivi per temperatura, presenza di ossigeno e forma
molecolare.

Per operare con nitrificazione si deve operare con bassi carichi di fango, riducendo presenza batteri
eterotrofi che in numero molto maggiore competono per l’ossigeno con i nitrificanti, inoltre sono richieste
elevate concentrazioni di ossigeno e un elevata età del fango.
Rapporto azoto fosforo è sbilanciato verso l’azoto,
perché ora a livello legislativo ci sono più limiti
sull’uso del fosforo. I batteri nitrificanti sono una
frazione bassa. Nitrificanti e eterotrofi competono
per ossigeno, c’è da tenere conto dell’ossigeno per
la nitrificazione. Si deve operare a bassi carichi del
fango perché ci sia poco BOD disponibile, a elevate
età del fango perché i nitrifcanti sono lenti a
crescere e dobbiamo tenere conto del fabbisogno
di ossigeno. Consumo di O2 per la nitrificazione =
4,6 kg O2 /kg TKN.
Denitrificazione

Quasi tutti i batteri eterotrofi sono denitrificanti. Se non c’è O2 usano N come accettore finale. In generale
il metabolismo anossico è più efficiente. Se anche la
nitrificazione non è completa e ci sono molti nitriti,
comunque può avvenire la denitrificazione.

Metanolo è un composto modello per la


denitrificazione perché è una molecola piccola e
facilmente assimilabile dai batteri. La sostanza
organica si ossida.

Cinetica di ordine 0.

Y0=yeld= produzione. È confrontabile con


quella della nitrificazione. I batteri
denitrificanti sono più veloci, ma hanno
bisogno di condizioni diverse. Si è pensato di
suddividere le vasche in due parti per poter
far avvenire entrambe le reazioni nella stessa
vasca.

Il carbonio interno è il BOD del liquame.

Metanolo solitamente nei liquami non c’è. Se


dovessi usare il carbonio endogeno dovrei
avere le condizioni della nitrificazione. Se
invece usassimo il metanolo dovremmo aggiungerlo. Solitamente la modalità più praticata è quella del
carbonio interno. Più economica, anche se un po’ più lenta (a meno che ci siano condizioni critiche). In
generale non c’è sedimentazione primaria. La sedimentazione primaria dovrebbe rimuovere il materiale
sedimentabile (abbatte il 30% della sostanza organica). Se non la faccio, avrò carbonio interno sufficiente
per la denitrificazione. Prima metterò i nitrificanti che ossidano e poi quelli che riducono.
Prima abbiamo due reattori aerobici: nel primo si spinge per la rimozione dell’ organico; nel secondo per la
nitrificazione (basso carico, alta età del fango, alto rapporto BOD azoto). Ogni fase ha il suo ricircolo e la sua
sedimentazione. L’ultimo è un reattore anossico che riceve nitrati, ma non sostanza organica 🡺 serve
l’aggiunta di metanolo (sottoprodotto industriale che costa poco). Il problema è che ho 3 vasche da gestire
e ho un costo più elevato, ma è il metodo più efficace.

Nella generalità dei casi abbiamo ingresso con azoto in forma ridotta. Denitrificazione come prima fase.
Seconda fase: ox e nitrificazione. Inizialmente non funziona, abbiamo una reazione iniziale. Nei primi giri
azoto ridotto non viene trasformato. A processo avviato rimescoliamo la miscela aerata in testa alla pre
denitrificazione. La denitrificazione riceve tutto ciò che serve e si libera azoto gassoso che se ne va, esce
azoto in forma liquida. C’è un parziale ricircolo del fango. La concentrazione solida in vasca avviene poi
regolando il ricircolo del fango dal reattore secondario.
Tutto ciò che abbiamo visto finora occupa molto spazio (almeno due vasche). Ossidazione dell’Ammonio da
parte dei nitriti con organismi specifici (ANAMMOX). Abbiamo doppia eliminazione del nitrito e
dell’ammonio.
Gli organismi Anammox:

⮚ Sono autotrofi e crescono in condizioni strettamente prive di ossigeno


⮚ Ossidano NH4 + a N2 (NO2 - è l’accettore di elettroni): NH4 + + NO2 - 🡺 N2 + 2H2O (reazione
semplificata)
⮚ Sono stati classificati come appartenenti all’ordine dei Planctomycetales divisione dei
Verrucomicrobia; almeno tre generi sono stati identificati (“Brocadia”, “Kuenenia” and
“Scalindua”
⮚ Crescono molto lentamente  = 0,069 d-1 at 37oC (un ordine di grandezza meno dei nitrificanti
“convenzionali”)
⮚ pH: 6,4 - 8,3; ottimo pH = 8,0
⮚ T: 20 - 43oC; ottima T = 37 gradi C
⮚ Molto sensibili a: •Ossigeno: < 0,5% della saturazione

•Nitrito: inibizione totale (anche se reversibile) è stata osservata dopo 12 h


di esposizione a 70-180 mgNO2 -N/L
•Fosfati: tossici a C > 60 mgP/L (possibili problemi con i surnatanti di
digestati; OK per il percolato di discarica).

Altri processi:

Strategia (1): temperatura SHARON® Process


Single reactor High-activity Ammonium Removal
Over Nitrite. A T > 20 gradi C la crescita netta dei
batteri AOB è maggiore di quella degli NOB. A
25-30 gradi C e in un reattore senza ricircolo
(HRT=SRT), si può operare con età del fango così
bassa da dilavare gli NOB e trattenere solo gli
AOB. Generalmente età del fango = 1 - 2 giorni.

Strategia (2): oltre all’alta temperatura (> 25°C),


altre condizioni operative favoriscono gli AOB
rispetto agli NOB: • pH > 7 gli AOB crescono più
in fretta degli NOB in condizioni alcaline;
aumentando il pH anche la frazione di
ammoniaca libera aumenta ed essa è più tossica
per gli NOB che per gli AOB. • Ossigeno disciolto:
a basse concentrazioni (0,3 <OD< 1 mg/L) gli NOB faticano a crescere. L’OPTIMUM è una combinazione di
tutte queste condizioni. Il punto cruciale è la stabilità del sistema a lungo termine, che deve essere
garantita da un efficiente controllo di processo.

Ci sono processi combinati. Cambia la ripartizione tra la nitrificazione e la denitrificazione.

Primo stadio: SHARON® converte circa metà del carico ammonico a nitrito (ottenibile anche con altri
processi di nitrificazione parziale). Secondo stadio: ANAMMOX converte l’ammonio e il nitrito in N2 e
acqua. Efficienza del 95% con un residuo del 5%.

PRO rispetto ai processi convenzionali:

• Alte efficienze di rimozione


• Nessun fabbisogno di Carbonio organico;
• Non produce CO2
• Ulteriori risparmi di ossigeno anche rispetto al processo di nitrificazione parziale (solo il 50%
dell’ammonio deve essere convertito a nitrito) da 2molO2/molN-NH3 a 0,75molO2/molN-NH3
(risparmio 62%)
• Produzione di fanghi minore di un ordine di grandezza (ca. 0,08 gVSS/gN)
Contro:

• Lunghi tempi di avviamento (da sei mesi a un anno se si usano fanghi attivi convenzionali come
inoculo)
• Minore stabilità del processo, poiché le condizioni ottimali non sono ancora completamente
note
• Poche esperienze a piena scala

Rimozione del fosforo

FOSFORO NEI LIQUAMI: 1 g P/abitante giorno, principalmente di origine metabolica, 10% organico, 90%
inorganico (da orto e polifosfati), carico diffuso da dilavamento suoli. EUTROFIZZAZIONE.

Rimozione del fosforo:

• Precipitazione chimica: simultanea (co-precipitazione)


post-precipitazione. Avviene con Sali di alluminio e
fero. Formazione di fosfati insolubili che quindi
sedimentano. Il processo costa di più per il costo dei
reagenti e un controllo più elevato: serve precisione
di reazione; uno scarto di alluminio è inquinante. Il
fango sarà ricco di Sali di metalli e quindi va gestito e
smaltito per non rimanere nell’affluente. Il vantaggio
è la rimozione di tuti i solidi sospesi. Generiamo un
fango più ricco di fosforo. È un vantaggio se questo
fango viene smaltito in agricoltura, ma uno svantaggio
se viene smaltito in altri processi. L’alluminio è più
utilizzato perché non acidifica molto, si trova in
commercio in altri composti a prezzo non troppo elevato ed è facile da gestire. In termini di
massa servono 0.86 g per ogni g di fosforo da rimuovere. (cfr. tabella). Poi c’è il ferro. Può
essere usato in forma ferrica o ferrosa, ma abbiamo un pH di reazione ottimale pari a 4.5-5, ma
questo non è compatibile con le condizioni dello scarico. Acidifica meno l’acqua, ma non è
sufficiente e quindi è più complesso da gestire. Due modi: Coprecipitazione: dosaggio di
coagulanti direttamente nella vasca di ossidazione o in testa al ricircolo. La rimozione del
fosforo passa dal 10-20% all’80-95%, in funzione della qualità e quantità dei fanghi prodotti e
del pH. Bassi dosaggi, semplici modalità operative, buona qualità dei fanghi prodotti  Basso
costo. MA: • Possibili alterazioni del pH e tossicità da metalli • aumento di produzione di fango
di supero pari al 35-45% in peso • aumento complessivo della produzione di fango (sull’intero
impianto) in genere tra il 5 e il 25% • Concentrazioni in uscita in funzione di quelle in entrata
che determinano il dosaggio di sali metallici. Post-precipitazione; fase terziaria (quindi post
sedimentazione secondaria). Flash-mixing  Miscelazione lenta  Sedimentazione lamellare (o
filtrazione). Si preferiscono sali di alluminio con pH poco superiori a 6. Il flash mixing dura
qualche minuto e serve per favore il contatto tra coagulante e fosforo. La miscelazione lenta
dura qualche minuto in più e serve a ingrossare i fiocchi che quindi possono essere separati più

facilmente.
• Rimozione biologica. Il fosforo è componente fondamentale della parete e della membrana
cellulare dei batteri e degli acidi nucleici. In Italia abbiamo delle normative sull’uso di fosforo
nei detersivi, ma in altri Paesi c’è anche questo problema. Svolge un ruolo metabolico
fondamentale come costituente dell’ATP. Viene rimosso in misura dell’1% del BOD5 per
assimilazione in condizioni ordinarie. Alcuni batteri
strettamente aerobi, in condizioni di stress,
accumulano fosforo in quantità superiori alle loro
esigenze. Tra questi: Acinetobacter Pseudomonas
Aeromonas Enterobacter, ecc. Prediligono come
fonte di carbonio intermedi metabolici a basso peso
molecolare come etanolo, succinato, acetato, che
vengono prevalentemente prodotti dal
metabolismo anaerobico. Si è pensato di mettere
questi batteri in condizioni di stress in modo da
poter smaltire il fosforo. DEFOSFATAZIONE
BIOLOGICA IN CONDIZIONI DI STRESS. Alternanza di condizioni aerobiche ed anaerobiche. In
aerobiosi i batteri (Acinetobacter e simili) dispongono di O2 ma non di composti facilmente
assimilabili. In anaerobiosi i batteri accumulano substrato senza metabolizzarlo. Quando un
lago è eutrofizzato per tanto tempo e quindi ha condizioni anaerobiche sul fondo (riducenti), il
fosforo dei sedimenti viene rilasciato. Questo è un carico interno ed è un problema perché gli
impianti mirano ad eliminare il fosforo esterno.
Il fosforo si lega ai gruppi carbossilici in combinazione con il CoA🡺 il fosforo si libera nuovamente.

PROCESSI DI DEFOSFATAZIONE BIOLOGICA: •


Processi ad alimentazione discontinua (SBR): in un unico reattore vengono realizzate le fasi
aerobiche ed anaerobiche e la separazione dell’effluente trattato. • Processi in linea (Full Stream):
l’intera portata passa in sequenza attraverso le diverse fasi. • Processi in parallelo (Side Stream): la
defosfatazione avviene solo su un’aliquota di fanghi di ricircolo.

Sono processi molto interessanti; la defosfatazione si è pressoché risolta. Solitamente si opera a


carichi di fango intermedi. Ci sono dei tetti prestabiliti per cui il liquame passa da condizione di
aerobiosi a una di anaerobiosi, poi ho sedimentazione e scarto. Impianti piccoli o ad alta
stagionalità (zone turistiche solo in alcuni periodi dell’anno o in aziende/ industrie più attive in
alcuni mesi).

Diversi processi:

Tempi piuttosto lunghi; solo vasca dei fanghi attivi ha tempi di 3-4 ore.
Ricircoli interni di miscela aerata, quindi denitrificazione e nitrificazione e rimozione del fosforo.

• Processi misti chimico-biologici,


metodo PHOSTRIP. La linea biologica
aerobica segue i normali criteri di
dimensionamento • Alla fase
anaerobica (Stripper) passa una portata
di fango pari al 20-30% di quella del
liquame da alimentare • HRT Stripper =
5-20 ore (in genere <10%).
Precipitazione chimica dei fosfati a pH
9- 9,5 (dosaggi di calce di centinaia di
mg/L).

TRATTAMENTI TERZIARI: filtrazione

Fanno parte dei trattamenti terziari anche l’adsorbimento su carbone attivo e l’ossidazione chimica.
L’adsorbimento viene usato anche a valle della disinfezione. Processi chimico fisici, in alcuni casi nei
processi industriali (industrie piccole) vengono usati come metodi unici di smaltimento.

FILTRAZIONE: processo di separazione fisica. Materiale sospeso viene separato. Due metodi.
Filtrazione di volume: Si misura con dei manometri in uscita la pressione e oltre una certa soglia si deve
effettuare un lavaggio (troppa pressione🡺 letto intasato). Nel tempo a mano a mano che il filtro si sporca
non abbiamo solo un aumento del carico, ma anche della perforazione: il refluo passa con bassa efficienza
della rimozione dei solidi. L’acqua passa rapidamente e senza essere filtrata dai canalicoli che si formano tra
il carico.

Controlavaggio: L’acqua viene spinta in controcorrente attraverso il filtro ad una velocità sufficiente a
rimuovere i solidi accumulati nel letto filtrante. In alcuni casi viene insufflata anche aria per favorire
l’espansione del letto. Il mezzo filtrante può avere diverse granulometrie e in tal caso viene distribuito in
strati (a granulometria maggiore in superficie e minore sul fondo). L’espansione deve essere del 20-30%
dell’altezza del letto. L’acqua sporca viene rimandata in testa all’impianto per essere depurata.

Più è poroso il mezzo filtrante più è efficiente per la filtrazione. NB: pori adatti a separare le sostanze, ma
non troppo piccoli o si intaseranno facilmente.

La filtrazione può essere: • Lenta su sabbia (SSF), con valori tipici dei tassi di filtrazione = 30-60 L/m2d (0,03-
0,06 m3 /m2d). Un filtro rapido a mezzo granulare di tipo convenzionale è costituito normalmente da un
letto di sabbia che poggia su uno strato granulare (tipicamente ghiaia).• Rapida su sabbia (RSF), con valori
tipici dei tassi di filtrazione = 80-200 L/m2d (115-288 m3 /m2d).

PRINCIPALI MECCANISMI DI RIMOZIONE DELLE PARTICELLE:

• Stacciatura
• Sedimentazione
• Impaccamento
• Intercettazione
• Adesione
• Flocculazione

Filtrazione di superficie: Discfilter. Serie di dischi composti da due dischi paralleli montati verticalmente che
fungono da supporto per il telo filtrante. Ciascun disco è collegato al tubo centrale di alimentazione.
Durante il funzionamento il 60- 70% della superficie del filtro è sommersa. I dischi si autopuliscono
ruotando. È più difficile da gestire e occupa molto spazio.

DISINFEZIONE

Rimozione degli organismi potenzialmente patogeni.

Fino al 99 era richiesta solo in alcuni casi, ora è di legge per tutti gli impianti di depurazione. Può avvenire
per mezzo di trattamenti chimici (cloro, acido peracetico, ozono) o per mezzo di trattamenti fisici (UV).

MECCANISMI DI DISINFEZIONE

• Danneggiamento o distruzione della parete cellulare: provoca la rottura della cellula e la sua
morte (es. penicillina).
• Alterazione della permeabilità cellulare: meccanismo associato a fenoli e detergenti che
alterano la permeabilità del citoplasma permettendo la fuoriuscita dei nutrienti essenziali (N,
P).
• Alterazione della natura colloidale del protoplasma: calore e radiazioni coagulano le proteine
delle cellule, acidi e alcali denaturano queste proteine.
• Inibizione dell’attività enzimatica: agenti ossidanti che alterano e deattivano gli enzimi (ex.
Cloro)
• Alterazione del DNA (radiazioni UV). Citometria di flusso permette di contare le cellule e
individua subito quelle vive o morte senza passare per una piastra. Quando ho effluente
trattato con UV ho lo stesso numero di cellule circa, ma non ho il DNA quindi non potranno
riprodursi, in piastra lo noto, non lo vedo invece nella citometria di flusso.

Il tipo di contaminanti è direttamente proporzionale all’incidenza delle malattie patogene infettive della
zona.

Indicatori: E. coli, salmonella. Fanno parte dei Coliformi Fecali (sottogruppo dei coliformi totali); Gram -. A
volte si contano anche gli Streptococchi fecali: Gram+, di forma sferica, immobili e asporigeni. Più resistenti
di Escherichia coli alla clorazione. Indici di inquinamento pregresso e/o di origine animale.

Escherichia coli. Comune simbionte dell'intestino, comprende ceppi che, in alcuni casi, possono provocare
malattie nell'uomo e negli animali (malattie intestinali ed extra-intestinali, come infezioni del tratto
urinario, meningite, peritonite, setticemia e polmonite). La sua sensibilità ai disinfettanti è simile a quella di
altri potenziali patogeni, quindi è usato come discriminante per la disinfezione.
Problematiche emergenti: inadeguatezza delle tecniche microbiologiche (sia tradizionali che emergenti).
Molti microrganismi non sono in grado di crescere. Se abbiamo batteri danneggiati, ma ancora in grado di
riprodursi, questi non riescono a essere contati in piastra e quindi abbiamo una sottostima. Importanza dei
parassiti.

Sottoprodotti della disinfezione:


• sostanze chimiche, organiche o inorganiche, che si possono formare durante la reaz ione di un
disinfettante, quale il cloro, con materiale organico naturalmente presente nell’acqua.

• Le sostanze organiche presenti nelle acque possono derivare dalla decomposizione di organismi vegetali.

1971: presenza di cloroformio nell’ acqua del fiume Ohio a valle dello scarico di effluenti clorati ma non a
monte

FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA FORMAZIONE DI SOTTOPRODOTTI

• Tipo di disinfettante
• Dose di disinfettante
• Residuo di disinfezione
• Tempo di reazione: a tempi brevi si ha maggior produzione di THM e HAA
• Temperatura: maggior formazione di DBP a T elevate
• pH: maggior formazione di THM a pH alti e di HAA a pH bassi
• Concentrazione e proprietà della sostanza organica presente nell’acqua
I sottoprodotti del cloro sono noti. Qualunque ossidante se si combina con sostanza organica può produrre
sostanze nocive.
Cloro: ipoclorito di sodio. Forma attiva è acido ipocloroso. A seconda
di pH e temperatura, la % di acido può diminuire o aumentare. A pH
neutri è la componente dominante. La % diminuisce all’aumentare
del pH. SOTTOPRODOTTI DELLA CLORAZIONE • Trialometani (THM):
cloroformio, bromodiclorometano, dibromoclorometano,
bromoformio • Acidi aloacetici: a. monocloroacetico, a.
dicloroacetico, a. tricloroacetico, a. monobromoacetico • Alogenuri di
cianogeno: cloruro di cianogeno, bromuro di cianogeno •
Aloacetonitrili: dicloroacetonitrile, tricloroacetonitrile,
bromocloroacetonitrile • Alopicrine: cloropicrine, bromopicrine •
Alochetoni, aloaldeidi, alofenoli.

Biossido di cloro: problema operativo. È efficace a basse


concentrazioni, ma ha bassi tempi di contatto, quindi genera
pochi sottoprodotti.

Ad oggi uno dei più


usati è acido
peracetico. Simile ad
acido performico, che
non è molto usato.
Acido peracetico in
commercio si trova in
miscela: ha un suo
BOD, quindi se dosato
male può avere un
carico di BOD in uscita.
Un altro problema è che è corrosivo e quindi gli impianti necessitano
di più manutenzione.

Meccanismo di clorazione varia a seconda della componente ammoniacale.


Dovremmo trovarci solo nitrati: processo
aerobico. Se troviamo azoto ammoniacale,
il cloro lo ossida e forma cloroammmine. Le
cloroammine hanno un effetto sui batteri,
nche se non è l’effetto massimo. Se ho
residui di ammoniaca devo considerare che
la dose di cloro deve aumentare perché
finchè non consumo l’azoto ammoniacale, il
cloro forma cloroammine e non avrò effetto
massimo sui batteri. Aumento cloro 🡺
cloroammine distrutte, liberazione del
cloro. Ho composti cloro organici che
rimangono lì senza essere distrutti, quindi in presenza di ammoniaca, le dosi devono essere maggiori.
Sistema fognario🡺 problema degli scaricatori di piena: ciò che fuoriesce dalla rete quando piove. In alcuni
casi viene predisposto solo il pretrattamento e in altri la disinfezione.

Il cloro, tra i suoi vantaggi, ha una durata abbastanza lunga. Solitamente sarebbe un problema (inquina per
più tempo), ma se ha un utilizzo a livello ambientale è una buona cosa. Può esserci ricrescita batterica: con
il cloro posso eliminare questi batteri.
Problema
dell’ozono: è un
ossidante forte che ha come sottoprodotti una vasta gamma, tra cui le aldeidi. Vantaggio: si può avere una
parallela rimozione di inquinanti recalcitranti e aumento della biodegradabilità del COD residuo.

Aumento dell’abbattimento all’aumentare della dose (???)

Batteri hanno due sistemi di riparazione del DNA, al buio o alla luce. In ogni caso ho ricrescita importante.
Se le dosi di UV sono basse ho disinfezione efficace, ma rischio una grande ricrescita.
Dosi di Cloro, acido peracetico e ozono per la
disinfezione a confronto.
Tempo di contatto: Poco rilevante per la
clorazione e l’ozonazione. Importante per
l’acido peracetico a basse dosi. Minimo per gli
UV.

PIU’ IMPORTANTE A BASSE DOSI ECCEZION


FATTA PER GLI UV, EFFICACI IN QUALCHE
SECONDO ANCHE A 10-20 mJ/cm2.

Decadimento dell’acido acetico in acque reflue


è maggiore.

Trattamento dei fanghi

Natura dei fanghi: sospensioni acquose (% di acqua quasi al 100%) di solidi organici (fanghi primari e
biologici di supero) o inorganici (depurazione chimica e/o chimico-fisica). Se c’è pre denitrificazione serve la
materia organica e quindi non c’è sedimentazione primaria (che altrimenti rimuoverebbe la materia
organica), quindi avremo solamente fanghi di supero.

Ragioni per cui si effettua il trattamento:

• Riduzione del costo di trasporto ai siti di smaltimento


• Il fango disidratato si maneggia molto più facilmente
• Incremento del contenuto energetico nel caso di termovalorizzazione
• Riduzione dell’emissione di cattivi odori
• Riduzione del percolato in caso di smaltimento in discarica

Obiettivi essenziali

– riduzione volume (costi smaltimento), raggiungimento di un fango allo stato solido (‘palabile’) che
sia in grado di mantenere una forma propria.
– riduzione putrescibilità 🡺 fanghi ad alto contenuto organico

Trattamento fanghi è tra le fasi più importanti degli impianti di depurazione. Produzione di fango di mezzo
metro cubo per abitante per anno.

Solitamente si elimina l’acqua interparticellare.


Primo trattamento che si attua (è più semplice e meno costoso) è l’ispessimento: Eliminazione parziale
dell’umidità dei fanghi mediante processi che sfruttano le differenze di peso specifico in modo naturale
(ispessitori) oppure artificiale (flottazione). Il più semplice è quello per gravità. Due tipi:

– Pre-ispessitori: minori volumi richiesti per l’eventuale successiva stabilizzazione. Accumulo 


svincolo linea fanghi da linea liquami
– Post-ispessitori (a valle della stabilizzazione) ulteriore riduzione del contenuto d’acqua con basso
consumo di energia.

Lo svantaggio è il cattivo odore. Poi servono impianti di smaltimento dell’acqua, che contiene tanto azoto.
Viene rimandata in testa al depuratore dove viene ricircolata.

NOTA: gli ispessitori a gravità sono simili ai sedimentatori primari. Trattandosi di sospensioni ad elevata
concentrazione di solidi, la velocità di sedimentazione è ridotta. Possono essere statici oppure dinamici
(centrifughe, tavole vibranti).

Secondo trattamento: flottazione. Principio di funzionamento: nella sospensione da flottare viene immessa
aria compressa che si solubilizza. Quando la pressione viene ridotta bruscamente (attraverso una valvola),
l’aria forma bolle che si attaccano ai fiocchi di fango e lo fanno galleggiare (flottare). La separa zione non
avviene più dal fondo, ma dall’alto.
Stabilizzazione biologica. Scopo: diminuzione del contenuto di sostanza organica del fango sino
all’ottenimento di un prodotto stabile; degradazione sostanza organica più facilmente decomponibile;
contenuto organico residuo lentamente biodegradabile (humus). 🡺 Smaltimento finale senza sviluppo
apprezzabile di processi di degradazione biologica non controllabili.

Con la stabilizzazione i solidi biodegradabili


vengono rimossi. Nel fango pretrattato abbiamo
1/3 di ogni componente. Nel fango trattato
abbiamo metà solidi volatili e metà humus.

Confronto aerobico-anaerobico:
– aerobico

• cinetica più rapida perché i batteri aerobi


crescono più velocemente. Quindi avremo
anche un aumento della biomassa.
• reazioni più complete

• consumo di energia

– anaerobico

• cinetica più lenta


• utilizzazione substrato meno
completa

• produzione biogas (energia)

Tipologia impianti

– vasche aerate analoghe a quelle per il


trattamento di reflui (fanghi attivi) • aria
insufflata • turbina sommersa
– piccoli impianti  digestione a flusso
discontinuo (ispessimento per arresto
aerazione)
– impianti medio-grandi  digestione a flusso
continuo (post-ispessimento separato)

In entrambi i casi si effettua il ricircolo dell’acqua


separata (surnatante) in testa all’impianto di
trattamento acque.

Caratteristiche operative

⮚ costi di impianto inferiori rispetto alla Stabilizzazione Anaerobica


⮚ costi di gestione superiori dovuti all’energia per l’aerazione
⮚ sensibilità temperatura: al di sotto di 10 °C poco efficace. Necessità di grandi volumi di vasche
⮚ possibilità di digestione termofila (45 – 60 °C) utilizzando ossigeno puro e coibentazione adeguata.

Stabilizzazione anaerobica

Principi generali

– stabilizzazione condotta in condizioni anaerobiche


– degradazione solidi volatili con produzione di gas biologico (circa 60%-70% CH4)
– biochimica: tre fasi distinte in serie 1. idrolisi SV in organici semplici 2. fermentazione acida 
produzione acidi volatili 3. fermentazione alcalina  produzione metano
Acidi e basi devono compensarsi per avere pH adeguato a tutte le reazioni. Spesso ci sono troppi acidi.
Mantenere un impianto anaerobico è più complesso.
Metabolicamente, si distinguono: • riduttori di composti organici • riduttori di solfati • riduttori di nitriti e
nitrati • produttori di metano (Methanobacterium, Methanosarcina e Methanococcus).

La cinetica dei processi anaerobici dipende dalla temperatura (seT ↑ la velocità ↑). Si opera intorno ai 35
gradi.

Condizioni operative:

pH ottimale fase limitante (metanigena) = 7-7,5

• equilibrio produzione-consumo acidi volatili (evitare sovraccarichi alimentazione)


• tampone alcalinità fanghi Miscelazione - migliora il contatto fanghi-biomassa -mantiene
condizioni uniformi ed omogenee (pH, T, SV). La miscelazione può essere ottenuta mediante
agitatori meccanici oppure mediante riciclo del biogas sul fondo del digestore

Fango si stratifica in base ai processi che


avvengono.

In altri casi ho due stadi: Impianti a due stadi


• 1° stadio di digestione miscelato e
riscaldato •2° stadio di ispessimento non
miscelato.

caratteristiche quantitative di biogas


dipendenti da:
• tipo di fango: produzione di gas maggiore
dai fanghi primari rispetto a quelli di supero
biologico.
• temperatura: la produzione aumenta con T.
• condizioni operative: miscelazione, tempo di permanenza.

caratteristiche qualitative biogas:


• CH4 = 65-70% volume
• CO2 = 25-30% volume
• costituenti in tracce -H2S corrosione in combustione - Composti maleodoranti (ammoniaca,
mercaptani)
• PCI (potere calorifico inferiore) = 5500-6000 kcal/m3

Utilizzo biogas: riscaldamento digestori tramite combustione in caldaia; combustione in motori a gas
(impianti medio-grandi); energia elettrica; energia elettrica e termica 🡺 cogenerazione in gruppi ad energia
totale.

Condizionamento: condizionare i fanghi in modo che possano avvenire al meglio i processi di disidratazione.
I fiocchi di fango hanno la stessa carica e quindi si respingono. I fiocchi di fango devono essere addensati
per poter eliminare l’acqua. Aggiunta di reattivi chimici che riducono la massa dei solidi presenti in forma
colloidale e destabilizzano la carica del fango. Questi reattivi chimici riducono l’elettro-negatività presente
intorno alle singole particelle. Si utilizzano Sali di ferro e di alluminio 🡺 prevalgono forze attrattive rispetto a
repulsive. 🡺 addensamento fiocchi.

Passaggi:
1. La soluzione del sale viene aggiunta al fango in un apposito reattore di condizionamento,
caratterizzato da una violenta agitazione, dove avviene la coagulazione (tempi di 5-15 min.).
2. Al reattore di condizionamento è opportuno far seguire un reattore con agitazione lenta, detto di
‘maturazione’, dove avviene la flocculazione con l’ingrossamento dei fiocchi (tempi di 15-30 min.).

A questo punto il fango è condizionato e posso disidratarlo. Ho due modi.

• Disidratazione naturale: spandimento dei fanghi, dopo stabilizzazione, su letti di essiccamento:


aree drenanti con letto di sabbia supportato da letto di ghiaia. Eliminazione di acqua in parte
per drenaggio e in parte per evaporazione. Vantaggi • Non è richiesto personale specializzato •
Richiedono una scarsa manutenzione • Bassi costi di investimento • Consumo di energia e
reagenti nullo o molto limitato • Bassa sensibilità alla variabilità del fango • Efficienze di
disidratazione molto elevate. Svantaggi • Richiedono vaste aree (0,06-0,08 e di 0,15-0,20 m2
Ab–1) • Richiedono fanghi preventivamente stabilizzati • La progettazione ed i risultati sono
influenzati dal clima locale • La rimozione del fango essiccato è laboriosa • Possibili problemi di
parassiti (insetti) e cattivi odori. Ci sono letti più o meno efficienti. Alcuni sono in movimento,
quindi non statici. Alcuni sono posti su una rete metallica al di sotto di cui c’è l’acqua, la quale
viene eliminata. Alcuni sono posti in condizioni di vuoto. In una giornata si arriva al 10% di
secco, quindi è un metodo molto efficiente.
• Disidratazione meccanica: forza motrice per la separazione solido/liquido. Posso avere
pressione FILTRAZIONE o forze centrifughe. Solitamente seguono i metodi naturali. Uno dei più
usati è quello di centrifugazione. Centrifugazione: processo fisico che sfrutta la forza centrifuga
indotta dalla rotazione del fango in un cilindro ad asse orizzontale. Le centrifughe sono
apparecchiature a funzionamento continuo. Il fango viene portato verso la periferia e raschiato
ed estratto da una coclea che ruota ad una velocità leggermente diversa rispetto al cilindro. Il
liquido (centrato) viene scaricato all’estremità opposta rispetto al fango. Variabili che
influenzano le prestazioni: •velocità del cilindro •velocità differenziale cilindro/coclea •volume
del liquido contenuto nel cilindro •portata fango alimentato •condizionamento chimico del
fango. Vantaggi • Pulizia, limitazione del problema degli odori, facilità di avvio ed interruzione •
Produzione di fanghi ben essiccati • Basso rapporto costi di investimento - capacità Svantaggi •
Richiedono la grigliatura del fango • La manutenzione richiede personale specializzato • La
coclea è soggetta a abrasione per effetto della sabbia e del fango.
Poi ci sono le filtropresse. Filtropressatura a nastro: due teli in fibra sintetica sono tesi tra una
serie di rulli, in parte comuni. Il fango, immesso tra i teli, viene compresso e disidratato dai rulli
e poi scaricato. Sono apparecchiature a funzionamento continuo. In generale un po’ meno
efficaci degli altri metodi; sono comunque molto usate e diffuse. Variabili operative: Velocità e
tensione nastro; portata di fango alimentata; portata e pressione di erogazione dell’acqua di
lavaggio; caratteristiche qualitative del nastro; condizionamento chimico.

Filtro pressatura a camere: il fango viene alimentato all’interno delle tele filtranti e
successivamente portato a pressione elevata. L’acqua passa attraverso le tele. Alla fine del
ciclo, le camere vengono aperte ed i pannelli di fango cadono e vengono rimossi.
Apparecchiatura discontinua. Durata ciclo: 3-5 ore.

Il fango poi viene smaltito. Come? Abbiamo 3 destinazioni:

1. Agricoltura. In Lombardia la quantità di fango smaltita in agricoltura è pari al 62%. 400.000


tonnellate l’anno smaltite in Lombardia provenienti da altre regioni. Nello smaltimento agricolo
sfruttiamo proprietà benefiche per il suolo del fango. La sostanza organica nelle colture non è
sufficiente da sola (allevamenti intensivi, agricoltura su griglia…). Il fango compensa questa
mancanza. Ma il problema è che oltre alla sostanza organica utile, il fango assorbe ed adsorbe
un po’ tutto, anche inquinanti che non vengono degradati come i metalli pesanti. Questo è
stato il problema più semplice, affrontato dall’UE già nell’82, la quale ha stabilito delle dosi
limite di metalli pesanti. Altri problemi: inquinanti emergenti e organici recalcitranti. Da anni
sono in fase di sviluppo normative più stringenti, che penalizzeranno lo smaltimento dei fanghi,
soprattutto quello industriale. Nel 2018 sono state prodotte 771 mila tonnellate di fanghi in
Lombardia. Il 7% era stato escluso dallo smaltimento in agricoltura. Solo il 4% era di origine
industriale.
2. Discarica. Generalmente le discariche non vogliono fanghi; se li prendono devono essere molto
disidratati.
3. Incenerimento o termovalorizzazione. Ad oggi va una frazione importante dopo l’agricoltura.

Fonti di inquinamento dei microinquinanti


Molteplici, diversificate e onnipresenti. Problema dello scarico, discariche di rifiuti che producono un
percolato, dilavamento superficiale delle aree urbane e agricole. Fonti concomitanti di contaminazione che
contribuiscono al carico all’ingresso degli impianti di depurazione. Depuratori efficaci per inquinanti
tradizionali, non per microinquinanti emergenti. Ci sono reti separate, ma comunque i carichi vengono
immessi nei corpi idrici o vanno a finire negli impianti di depurazione.
Impianti di potabilizzazione e depurazione. Abbiamo approvvigionamento idrico che dipende dalle acque
sotterranee o superficiali. Le acque già in partenza hanno problemi di contaminazione. In un periodo è stata
molto diffusa la contaminazione da nitrati nelle acque sotterranee. Il problema della potabilizzazione è un
problema sanitario universale, la depurazione un problema ambientale. Alcuni trattamenti di depurazione
vanno bene anche per la potabilizzazione. Processi dipendono dall’impianto che li realizza, dalla gestione
dell’impianto stesso e dalla presenza dei composti interferenti. Se trattassimo le acque bianche avremmo
maggior successo sulla rimozione di inquinanti in basse concentrazioni rispetto a trattare miscele di acque
più ricche di sostanze che interferiscono.

Processi che teoricamente possono rimuovere i MIE non sempre sono presenti (trattamenti terziari). Per
quanto riguarda la depurazione, i processi in questione sono i processi secondari (fanghi attivi, MBR…). Per
la potabilizzazione l’adsorbimento su carbone attivo. La presenza di MIE nei fanghi dipende principalmente
dall’assorbimento e dai processi di stabilizzazione. I dati relativi ai fanghi sono meno numerosi e meno
affidabili di quelli relativi alle acque reflue. Gli impianti di depurazione in Lombardia sono per lo più di
piccole dimensioni e non dotati di trattamenti di affinamento avanzati. Rimozione molto variabile in
funzione del tipo di inquinante e di fattori ambientali del sito dell’impianto (es: temperatura). I MIE vanno a
finire nei fanghi per assorbimento, adsorbimento e stabilizzazione (uno dei motivi per cui si stanno
restringendo le norme sui fanghi in agricoltura). MIE richiedono analisi chimiche complesse per essere
determinati, quindi abbiamo pochi dati a riguardo.

Metodi di rimozione dei MIE:

ADSORBIMENTO SU CARBONE ATTIVO. Trasferimento di fase in cui si verifica un accumulo di sostanze


originariamente in fase liquida su una superficie solida porosa chiamata adsorbente. L’efficienza
dell’assorbente dipende dalla sua superficie specifica. Il carbone attivo è il solido adsorbente più utilizzato
nell’ambito del trattamento delle acque reflue e viene prodotto a partire da materiali ricchi di carbonio, di
origine minerale o vegetale. Ha una superficie specifica compresa tra 500 e 1500 m2/g. Il carbone attivo
può essere utilizzato negli impianti di trattamento in due forme: il carbone attivo in polvere (PAC) e il
carbone attivo granulare (GAC).

USO DI PAC. Può essere direttamente immesso in sospensione nel refluo (effluente di sedimentazione
secondaria) e successivamente rimosso in una fase di separazione solido / liquido (sedimentazione o
filtrazione); Può essere dosato in sistemi a fanghi attivi (in dosaggi di 10-50 mg L–1, in casi eccezionali fino
100 mg L–1) come coadiuvante alla biodegradazione e anche per ottenere un appesantimento del fiocco in
condizioni di cattiva sedimentabilità. La sua azione risulta comunque non selettiva e rivolta quindi anche
verso composti facilmente degradabili, più economicamente rimuovibili per via biologica. La sua
permanenza nel sistema coincide con il valore di SRT, determinando accumuli anche rilevanti che possono
notevolmente sovraccaricare in termini di sostanza sospesa i reattori biologici e i sedimentatori. Se usiamo
carbone in polvere lo dosiamo a perdere (è usa e getta). Il GAC lo usiamo nei filtri quindi può essere
recuperato.

FILTRAZIONE SU GAC. Il contatto con il refluo viene ottenuto per filtrazione attraverso uno spessore di
materiale disposto entro contenitori, di norma metallici, o in configurazioni analoghe a quelle in uso per i
filtri a sabbia.

CAPACITA’ DI ADSORBIMENTO. Ho diversi tipi di carbone, in base alla porosità, all’origine e alla
composizione. Devo valutare l’efficacia dei diversi tipi. La capacità massima di adsorbimento è la quantità
massima di liquido che può occupare i pori. Se la capacità di adsorbimento viene messa in relazione alla
concentrazione, a temperatura costante, si ottengono delle curve, dette isoterme. I modelli principali di
isoterme sono quelli di Freundlich, di Langmuir e di Brunauer, Emmett e Teller (isoterma BET). Quella più
utilizzata per l’interpretazione dei dati ricavati sperimentalmente è quella di Freundlich.

All’aumentare della concentrazione, aumenta anche l’adsorbimento.


Un altro sistema di filtrazione (usato raramente) è quello a membrana. Diverso a seconda delle
caratteristiche della membrana. Sono sempre sottopressione.

Ultima famiglia di trattamenti: OSSIDAZIONE CHIMICA MEDIANTE

• Ozono; per la disinfezione è eccessivo il suo costo, ma per rimuovere altri inquinanti è utile.
• Ozono in combinazione con l’acqua ossigenata e/o con radiazione UV; favoriscono la
formazione di radicali OH, che danno risultati più efficaci.
• Acqua ossigenata in combinazione con ferro bivalente (reagente di Fenton, in ambiente acido -
pH < 3,5 -) ed eventualmente con UV (foto-Fenton);
• Ozono o acqua ossigenata in combinazione con catalizzatori metallici

Impianto di ozonizzazione. Produrre ozono a partire da ossigeno o da aria (costi circa equivalenti). Ozono
viene messo in delle vasche dove l’azoto si dissolve. Buona turbolenza e miscelazione fanno entrare ozono
a intimo contatto con l’inquinante da eliminare. Non produce fanghi e residui, ma è ossidante forte quindi
può produrre sottoprodotti tossici.

Utilizzo pratico degli studi sugli MIE sono limitati. Molti dei lavori relativi alle acque, sono condotti su
matrici sintetiche. Molti lavori fatti solo in laboratorio, nella realtà questi lavori sono pochi.

Gli studi disponibili sono spesso non confrontabili per la molteplicità di condizioni al contorno: s pesso
condotti in condizioni non “controllate” o non rappresentative delle effettive condizioni di operatività degli
impianti; se riferiti a campagne di monitoraggio su impianti a piena scala, mancano di contestualizzazione
rispetto all’operatività dell’impianto. Critica è la trasferibilità dei risultati: dalla matrice sintetica alla matrice
reale, come conseguenza delle concentrazioni di MIE studiate e degli interferenti dalla scala di laboratorio
alla scala reale con parametri di processo effettivamente applicabili.
RIMOZIONE DALLE ACQUE REFLUE

• Sedimentazione primaria e filtrazione: rimozioni molto variabili (i MIE non si trovano in forma
sospesa).

• La volatilizzazione contribuisce in misura poco rilevante alla rimozione

RIMOZIONE BIOLOGICA

• Influenzata da: condizioni redox, tempo di residenza idraulica e età del fango.

• Necessaria la compresenza di un substrato primario (co-metabolismo)

• Assorbimento nei fanghi biologici

Efficienza di rimozione in un impianto a fanghi attivi


3 gruppi di sostanze, in base alla biodegradazione (costante di velocita Kbiol) e all’ affinità con la fase (Kd,
coefficiente di ripartizione solido/liquido):

• Kbiol < 0.1 L g SS-1d -1: biodegradazione trascurabile (< 20%), ma possibilita di accumulo nei
fanghi se Kd > 1 L g SS-1d -1;
• 0.1 < Kbiol < 10 L g SS-1d -1: rimozione parziale (20 - 90%);
• Kbiol > 10 L g SS-1d -1: rimozione per degradazione biologica anche > 90%, in funzione delle
condizioni operative.

Beta extradiolo viene rimosso quasi del tutto dai fanghi, altre sostanze non vengono rimosse per niente.
L’assorbimento sui fanghi è stato individuato come il meccanismo di rimozione prevalente per alcuni
farmaci biorefrattari (es.: carbamazepina e solfametizolo), ma… Tra questi vengono elencati: ormoni (es.:
17-α-etinilestradiolo e 17- β-estradiolo) e alcuni interferenti endocrini (es.: nonilfenolo e bisfenolo A).

IL CASO DELLA SVIZZERA

Diversi progetti per individuare gli inquinanti nei corsi d’acqua, seguiti da mappatura di quei bacini d’acqua
dove la fauna ittica è diminuita del 30%. Hanno attribuito all’inquinamento queste perdite.

A questo punto, sono andati a vedere casi nei quali era più o meno rilevante lo scarico degli impianti di
depurazione rispetto alla portata dal ricettore. Blu= situazione ottimale: corsi d’acqua nel quale la portata
degli affluenti depurati corrispondeva al 2%; azzurro tra 2-5%, rosso dal 50% 🡺 diluizione praticamente
nulla. Diverse alternative a partire dagli obiettivi primari: agire dove c’è stata diminuzione della fauna ittica
e dove c’erano problemi negli impianti di depurazione. Qui hanno introdotto ozono e adsorbimento del
carbone.

Argomento 4: RIFIUTI

I RIFIUTI sono tutte le sostanze o gli oggetti che derivano da attività umane o da cicli naturali, di cui il
detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, sono definiti rifiuti. Vengono classificati
secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, e, secondo le caratteristiche in rifiuti pericolosi e non
pericolosi. Fanno parte dei rifiuti urbani:

• Rifiuti domestici anche ingombranti


• Rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade
• Rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche
• Rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali.

RIFIUTI SPECIALI

• rifiuti da lavorazioni industriale


• rifiuti da attività commerciali
• rifiuti derivanti dall’attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti da trattamenti
delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi
• rifiuti derivanti da attività sanitarie
• macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti
• veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti
• altri.

RIFIUTI URBANI PERICOLOSI (RUP): Sono costituiti da tutta quella serie di rifiuti che, pur avendo un'origine
civile, contengono al loro interno un'elevata dose di sostanze pericolose e che quindi devono essere gestiti
diversamente dal flusso dei rifiuti urbani "normali". Tra i RUP, i principali sono i medicinali scaduti e le pile.
RIFIUTI SPECIALI PERICOLOSI (RSP): Sono quei rifiuti generati dalle attività produttive che contengono al
loro interno un'elevata dose di sostanze inquinanti. Per questo motivo occorre renderli innocui, cioè
trattarli in modo da ridurne drasticamente la pericolosità.

30 mila tonnellate di rifiuti urbani ogni anno in Italia. La maggior parte prodotta al Nord. Rifiuti speciali:
aumento dal 2014 al 2018.

Entrambe le classificazioni sono importante per capire che tipo di smaltimento dobbiamo fare.

Gerarchia dei rifiuti: cosa è più importante smaltire.


L’economia circolare non prevede il recupero energetico, ma solo dei materiali (comunque rilevante).

A livello internazionale: kg/abitante per anno: Romania 261 Danimarca 777, Italia 497 (dato del 2016).
Produzione di rifiuti è direttamente proporzionale all’industrializzazione e al tenore di vita della
popolazione.

Variazione della produzione di rifiuti in funzione della Spesa per Consumi Finali delle Famiglie (SCFF).
Produzione di rifiuti è proporzionale alla SCFF.

Inoltre, la produzione di rifiuti urbani ha una curva con un andamento molto simile al PIL e alla SCFF. Le
norme europee hanno previsto nuove direttive. L’Italia per quanto riguarda rifiuti e energia è avanti
rispetto ad altri paesi europei.
In generale in UE c’è una spinta verso l’economia circolare e il riciclaggio della materia (per i grafici cfr. slide
pp “rifiuti”).
Per quanto riguarda la termovalorizzazione in Italia siamo un po’ indietro.

Raccolta differenziata in Italia, decreto Ronchi del ’97; codice ambientale del 2006.

Differenze tra le varie categorie di rifiuti per la raccolta differenziata.


Differenze tra le varie categorie di rifiuti per la raccolta differenziata.
Differenze tra le varie categorie di rifiuti per la raccolta differenziata.

Coincenerimento = incenerimento di RU e fanghi.

DISCARICA CONTROLLATA: La discarica può essere considerata come un grande reattore in cui si hanno in
ingresso rifiuti e acqua, e in uscita prodotti liquidi (percolato) e gassosi (biogas), che si formano a seguito di
reazioni chimiche e biologiche che si instaurano nei cumuli di rifiuti.

Prodotto dalla decomposizione anaerobica dei rifiuti e composto principalmente da CH4 e CO2. Fino a 250
m3 biogas/t RU.

Liquido che si forma per l’infiltrazione di acqua piovana e per la liberazione di acqua dovuta ai processi di
decomposizione.

Il percolato deve essere eliminato per evitare rischi di contaminazione sotterranea, motivo per cui le
discariche dovrebbero essere su un terreno impermeabile. In alcuni Paesi ricircolano il percolato.
I rifiuti nelle discariche vengono compattati, così abbiamo volumi minori. Più il rifiuto è compattato, meno
acqua verrà assorbita e quindi si formerà meno percolato. L’acqua che scorre sulla superficie dei rifiuti sarà
meno contaminata del percolato e/o dell’acqua che infiltra nel rifiuto. Se i rifiuti sono compatti, al loro
interno ci saranno condizioni anaerobiche🡺 biogas.

La struttura della discarica dipende dalle condizioni geologiche del suolo. Il fondo della discarica deve
essere impermeabilizzato con un sistema multistrato composto, dal basso verso l’alto, da: strato di argilla
compattata; geomembrana (telo in materiale plastico); strato drenante (ghiaia e sabbia) in cui sono
alloggiate le tubazioni per il drenaggio del percolato.

• I rifiuti vengono depositati per settore e compattati


• All’interno dei rifiuti si svolgono processi di degradazione anaerobica
• Il biogas viene captato, depurato e utilizzato in loco o immesso in rete
• Il percolato viene estratto e avviato alla depurazione (in genere in impianti dislocati)
• Il carico inquinante del percolato è molto forte e, in genere, mggiore nei primi stadi di
maturazione del rifiuto, in cui si svolge la fase acida della fermentazione anaerobica
• la chiusura implica la realizzazione di una copertura del cumulo di rifiuti con un sistema
multistrato costituito da:
• Strato impermeabile (geomembrana)
• Strato drenante (ghiaia)
• Strato piantumato (argilla sabbiosa)

LA PRODUZIONE DI BIOGAS E QUELLA DI PERCOLATO PROCEDONO COMUNQUE ANCHE DOPO LA


CHIUSURA DELLA DISCARICA.

Il

compostaggio è esotermico e quindi fornisce igienizzazione alle sostanze: si ha eliminazione quasi totale
degli agenti patogeni. Compost per legge suddiviso in due categorie: prodotto solo dalla frazione vegetale e
uno prodotto da una miscela vegetale e organica di uso domestico.

Il compostaggio comprende due fasi:

1. Bioossidazione accelerata (circa un mese): è la fase attiva in cui si prevede insufflazione forzata di
aria e periodici rivoltamenti del materiale. In questa fase avviene la maggior parte del processo;
2. Maturazione (circa due mesi): si completa l’umificazione della sostanza organica A valle della
maturazione il compost è raffinato tramite vagliatura ed eventuali altri trattamenti, per essere poi
commercializzato. Umificazione è trasformazione per vie biologiche di sostanze organiche
complesse in acidi umici. Hanno caratteristiche colloidali, che permettono al terreno di aggregarsi.
Prima del compostaggio devo avere raccolta differenziata e un primo pretrattamento: separazione di
materiali strani (es: bollini della frutta) e triturazione. I materiali poi devono essere smaltiti nella discarica
stessa.

Digestione anaerobica: Il processo è più complesso e costoso del compostaggio ma può risultare
conveniente grazie alla produzione di energia che ne deriva. Non necessita di insufflazione di aria quindi
risparmio ossigeno. Hanno più interferenti possibili. Anche questo processo richiede la raccolta
differenziata e dei pretrattamenti, tra cui l’aggiunta di acqua. La digestione anaerobica consiste in idrolisi,
acidogenesi, acetogenesi e metanogenesi.

TERMOVALORIZZAZIONE: Relativamente al trattamento termico dei rifiuti urbani, la normativa italiana,


recependo quella europea, impone che sia sempre associato a recupero di energia (elettrica e/o termica).
In funzione dell’efficienza con cui tale recupero avviene, gli impianti di trattamento termico dei rifiuti
urbani possono essere classificati come: impianti di recupero energetico (definito dalla normativa come
operazione di trattamento «R1» in base alla direttiva 2008/98/CE, Direttiva quadro sui rifiuti); impianti di
smaltimento (operazione di trattamento «D10»). Oggi per legge è prevista la temperatura di
incenerimento, processi di trattamento dei fumi in uscita e quota di emissione in funzione della ricettività
dell’aria. Più siamo in alta quota, più quanto viene emesso può diluirsi.

UN IMPIANTO DI TERMOVALORIZZAZIONE COMPRENDE:

• sezione di combustione (griglia, tamburo rotante, letto fluido);


• sezione di recupero energetico tramite ciclo a vapore;
• sezione di produzione di energia elettrica;
• sezione di trattamento dei fumi.

Definizione impianti R1

L’incenerimento dei rifiuti urbani è considerato operazione di recupero energetico (R1) qualora l’indice R1
conseguito dall’unità d’incenerimento (Efficienza energetica) in cui è effettuato raggiunga o superi la soglia
di:

• 0,60 se l’installazione è in funzione e autorizzata prima dell’1.1.2009;


• 0,65 se l’installazione è autorizzata dopo tale data
La massa di effluenti (gassosi, come i gas
combusti, e solidi, come le scorie)
rilasciata dal processo è pari alla massa di
reagenti (solidi, come i rifiuti, e gassosi
come l’aria) consumata. Poiché le reazioni
di ossidazione sono esotermiche, il
processo di combustione rilascia
significative quantità di calore.

TIPOLOGIE DI IMPIANTI: A GRIGLIA, A LETTO FLUIDO, A TAMBURO ROTANTE.

Griglia. La tecnologia di combustore più utilizzata e diffusa è quella a griglia mobile, orizzontale o inclinata,
sulla quale il rifiuto avanza, viene rimescolato e, a contatto con l’aria, subisce la combustione con
produzione di gas combusti e scorie.

Negli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani vengono attualmente trattati quantitativi di rifiuti speciali
(inclusi i pericolosi), mediamente dell’ordine del 15-20 % del totale trattato. L’incenerimento o
termodistruzione garantisce:

• Igienizzazione
• Notevole riduzione di volume (circa 90%)
• Considerevole riduzione in massa (circa 80%)

Tuttavia, richiede:

• Attenta gestione del processo


• Controllo delle emissioni gassose
• Smaltimento dei residui solidi

TRATTAMENTO MECCANICO BIOLOGICO (TMB) è un pretrattamento per il rifiuto prima di entrare in


discarica.

Comprende una stabilizzazione per via biologica della frazione organica e una raffinazione meccanica. È un
trattamento di tipo intermedio: tutti i prodotti in uscita necessitano o di ulteriori trattamenti in altri
impianti o di smaltimento in discarica.
Gli obiettivi possono essere diversi:

• Semplice pretrattamento del rifiuto prima del conferimento in discarica;


• Produzione di Combustibile Solido Secondario (CSS), destinato a recupero energetico
(termovalorizzazione, cementifici);
• Produzione di CSS e recupero di materiali da avviare a riciclo.

Il riciclo è quell’insieme di operazioni che permette di ottenere prodotti, materiali o sostanze riutilizzabili a
partire dai rifiuti, attraverso una prima fase di selezione, in cui si eliminano i materiali estranei. I materiali
derivanti dal processo di riciclo sono definiti Materie Prime Seconde (MPS)

• al 2018 il 55% dei rifiuti urbani è sottoposto a preparazione al riutilizzo e riciclo


• Obiettivi al 2035: Riciclo e preparazione al riutilizzo del 65% in peso di almeno carta, metalli,
plastica, vetro, e tessili dal 1° gennaio 2025.
BENEFICI DERIVANTI DAL RICICLO DEL VETRO:

• Risparmio energetico dovuto alle minori temperature richieste per la fusione, rispetto alle
materie prime: 0,15 tep risparmiate per ogni tonnellata di vetro riciclato.
• Riduzione delle emissioni in atmosfera connesse all’attività produttiva: 0,7 t di CO2eq evitate
per ogni tonnellata di vetro riciclato.

tep: tonnellate equivalenti di petrolio CO2eq: CO2 equivalente

BENEFICI DERIVANTI DAL RICICLO DELLA CARTA:

• Risparmio energetico: 0,19 tep risparmiate per ogni tonnellata di carta riciclata.
• Riduzione delle emissioni in atmosfera connesse all’attività produttiva: 1,1 t di CO2eq evitate
per ogni tonnellata di carta riciclata.

BENEFICI DERIVANTI DAL RICICLO DELLA PLASTICA:

• Risparmio energetico: 0,4 ÷ 0,9 tep risparmiate per ogni tonnellata di plastica riciclata.
• Riduzione delle emissioni in atmosfera connesse all’attività produttiva: 0,4 ÷ 1 t di CO2eq
evitate per ogni tonnellata di plastica riciclata.

Argomento 5: VALUTAZIONE AMBIENTALE

VAS (Valutazione Ambientale Strategica di Piani e Programmi). Processo sistematico inteso a valutare
preventivamente le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte a fini di garantire che tali
conseguenze siano affrontate in modo adeguato, fin dalle prime fasi del processo decisionale, sullo stesso
piano delle considerazioni di ordine economico e sociale. Obbligano a considerare gli effetti ambientali
prima di qualsiasi iniziativa.

VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (SINGOLI PROGETTI). Analisi e Valutazione preventiva (in fase di
approvazione del progetto) degli effetti indotti da un determinato progetto sull’ambiente, cioè sul
complesso dei fattori naturali, sociali, culturali ed economici che caratterizzano l’area circostante il sito
coinvolto nel progetto stesso.

IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control) /AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale)
Provvedimento che autorizza l'esercizio di un impianto o di parte di esso a condizioni tali da evitare oppure,
qualora non sia possibile, ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo e per conseguire un livello
elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso. Un’AIA può valere per uno o più impianti (o parti di
essi) localizzati sullo stesso sito e gestiti dal medesimo gestore e deve essere rinnovata.

Questi tre provvedimenti hanno come peculiarità quella di essere sito specifiche.

Esistono una serie di piani e progetti che vanno sottoposti a queste valutazioni ambientali. Studio di
Impatto Ambientale/Rapporto Ambientale, studiato e analizzato dall’autorità competente con la
partecipazione del pubblico, sancita per legge. Il pubblico deve essere informato e può partecipare ad
assemblee pubbliche.

CARDINI DELLE VALUTAZIONI PREVENTIVE E DELL’AIA

• Analisi degli impatti sito-specifici e definizione delle rispettive condizioni di esercizio


• Valutazione delle possibili alternative
• Comunicazione e partecipazione del pubblico
Il provvedimento può essere positivo, interlocutorio o positivo con prescrizioni. Le valutazioni vengono
fatte ipotizzando che i progetti vengano realizzati al meglio. Condizioni di esercizio analizzate dalle
autorizzazioni integrate ambientali.
La maggior parte dei progetti proposti ora sono infrastrutture necessarie per la popolazione (es: impianti di
smaltimento dei rifiuti). Sono necessarie in quel luogo (restrizione del campo)🡺 condizioni di idoneità o di
non idoneità. Spesso non ci sono alternative.

Schema DPSIR

(Driving forces, Pressures, States, Impacts, Responses)

Struttura di relazioni causali che legano tra loro i seguenti elementi:

• Determinanti (settori economici, attività umane);


• Pressioni (emissioni, rifiuti, ecc.);
• Stato (qualità fisiche, chimiche, biologiche);
• Impatti (su ecosistemi, salute, funzioni, fruizioni, ecc.);
• Risposte (politiche ambientali e settoriali, iniziative legislative, azioni di pianificazione, ecc.).

IMPATTO AMBIENTALE. Effetto sull’ambiente e sul contesto socioculturale e percettivo potenzialmente


interessati, descrivibile in termini qualitativi e quantitativi, dovuto alla realizzazione e all’esercizio
dell’intervento progettato, per:

– consumo di risorse (acqua, aria, suolo, energia,ecc.)


– produzione di emissioni solide, liquide, gassose, elettromagnetiche, sonore, che generino
interferenze anche cumulative con i vari comparti ambientali

IMPATTO CUMULATIVO. Impatto che risulta dall'impatto incrementale dell'azione quando essa si aggiunge
ad altre passate, presenti e ragionevolmente prevedibili azioni future. Gli impatti cumulativi possono
risultare da azioni singolarmente di minore importanza, ma significative nel loro insieme, che hanno luogo
in un determinato periodo di tempo.
Gli impatti possono essere:

• DIRETTI O INDIRETTI. Es: voglio impermeabilizzare del suolo🡺 perdita di suolo diretta. Es: atmosfera.
Impatto diretto è che aumenta la concentrazione di inquinanti, indiretto è che a causa
dell’inquinamento avrò danni all’aria che si respira.
• A BREVE E A LUNGO TERMINE. Se l’impatto a breve termine è irreversibile allora è peggiore.
• REVERSIBILI O IRREVERSIBILI
• POSITIVI O NEGATIVI. Quasi sempre gli eventi proposti nascono da un’esigenza. L’impatto positivo è
rappresentato dal soddisfacimento della domanda.
RISORSE

● COMUNI O RARE
● RINNOVABILI O NON RINNOVABILI
● STRATEGICHE O NON STRATEGICHE

ATTRIBUZIONE DI PESI AGLI IMPATTI IN FUNZIONE DEL TIPO DI IMPATTO E DELLA RISORSA IMPATTATA. Il
procedimento passa attraverso una analisi e una previsione degli impatti, che sono molti, diversi e
riguardano risorse diverse.

METODI DI IDENTIFICAZIONE

• CHECKLISTS. Aveva lo scopo di elencare tutti gli impianti possibili su tutte le risorse su tutti i
procedimenti attuabili. È stato il primo metodo, che ha dato poi origine a tutti gli altri metodi per
rilevare gli impatti ambientali.
• MATRICI. Più usato. Matrici intese come tabelle a doppia entrata. Riportano da una parte fattori di
impatto e dall’altro componenti e fattori ambientali.
• NETWORK. Grafici per evidenziare le relazioni. Fanno discendere graficamente un impatto da una
fonte (impatti anche indiretti). A monte della fonte di impatto vanno considerate le azioni che
determinano l’impatto. Devo entrare nel dettaglio di ogni impatto.
• DELPHI. Sistemi che coinvolgono il pubblico. Distribuzione di questionari ed elaborazione dei dati
che ne risultano. Non molto usato. Può aiutare alla focalizzazione sul procedimento ambientale.
• CARTOGRAFIA. Oggi uno dei più utilizzati. Sistemi informativi territoriali (SIT; in inglese GIS).
Mappatura delle aree inquinate o ricavate da una proiezione/simulazione futura.

Gli impatti si valutano attraverso gli INDICATORI. È importante scegliere un indicatore adatto e
rappresentativo della situazione. INDICATORI: Parametri o specie aventi relazione razionale o empirica con
un fenomeno o una caratteristica ambientale e in grado di riassumerli pur descrivendone solo una parte.
Legati al fenomeno che rappresentano da FUNZIONI UTILITA’.

GLI INDICATORI DEVONO ESSERE:

• Neutrali; scientificamente ineccepibili e possibilmente derivanti da fonti ufficiali. Se sono ufficiali


possono essere anche popolabili e aggiornabili. I dati ARPA sono facilmente accessibili.
• Legati al fenomeno d’interesse da una funzione utilità semplice ed esprimibile; il fenomeno deve
anche essere facilmente riproducibile. Gli esiti devono poter essere spiegati anche al pubblico (non
o poco esperto), quindi devono essere semplici.
• Pertinenti;
• Significativi;
• Popolabili;
• Aggiornabili
DEVONO INOLTRE

• Avere rapporto Costo/Efficacia favorevole;


• Avere adeguato livello di dettaglio;
• Essere comunicabili;
• Essere sensibili e affidabili;
• Avere adeguata impronta temporale;
• Avere adeguata impronta spaziale.
Dopo di che, tutto ciò deve essere elaborato in modo più o meno sintetico🡺 indici

INDICI: Aggregazioni, razionali o empiriche, di più indicatori aventi una stretta relazione con un fenomeno o
una caratteristica ambientale d’interesse. Indici di qualità dell’acqua basata sui macroinvertebrati (rivedi
argomento “acque”).

Questi valori vanno poi ordinati e messi in scala. Possiamo decidere come normalizzare questa scala.

MISURE DI MITIGAZIONE: possibilità di diminuire l’entità degli impatti a seguito degli studi. Modifiche tali
da contenere l’impatto stesso.

Misure di progetto o di esercizio. Possono essere valutate dallo studio di impatto ambientale che può
integrare misure di mitigazione. In generale le misure di mitigazione apportano un miglioramento molto
grande ai progetti dal punto di vista qualitativo. Le misure possono essere già presenti nel progetto o
essere aggiunte in seguito.

MISURE DI COMPENSAZIONE: nonostante le misure di mitigazione, possono esserci impatti inevitabili. Alla
fine, dobbiamo avere impatti negativi il più possibili mitigati o compensati da effetti positivi🡺 misure di
compensazione. Ci sono compensazioni economiche proposte per legge e altre scorrette (tangenti).

Alla fine di tutti questi studi: CRITERI DI COMPATIBILITÀ AMBIENTALE

1. Uso delle migliori tecnologie praticamente disponibili: La verifica dell’uso della migliore tecnologia
praticamente disponibile può diventare criterio dirimente nella valutazione complessiva.
2. Ricettività ambientale del comparto (quindi del sito) interessato: I criteri di carattere
esclusivamente tecnologico non rendono conto della effettiva capacità dell’ambiente di sopportare
nuovi impatti (ad esempio nuovi inquinamenti da ossidi di azoto, o da rumore ecc.). I nuovi apporti
inquinanti vanno pertanto confrontati con i livelli di fondo dell’inquinamento già esistente nei
comparti interessati. Capacità di rigenerazione naturale degli ambienti considerati.
3. Il rispetto dei limiti alle emissioni è necessario ma non sufficiente e soprattutto non è un criterio
sito-specifico. È invece utile e importante il confronto con gli standard di qualità ambientale (che
definiscono il livello di qualità delle componenti ambientali).
4. Valutazione del peggioramento rispetto alla situazione ante operam (perdita di valore): Anche
qualora risultino ancora consistenti margini di ricettività ambientale, non possono di regola essere
considerati accettabili nuovi impatti che si traducono in peggioramenti significativi della situazione
esistente. Il peggioramento va analizzato tenendo conto del valore iniziale della componente
impattata, secondo i criteri adottati per attribuire i pesi agli impatti (rarità, strategicità,
rinnovabilità) e facendo riferimento agli Standard di Qualità Ambientale, ove esistenti.
5. Bilancio globale degli impatti prodotti: Secondo questo criterio le singole valutazioni vanno inserite
in un quadro complessivo che tenga anche conto degli impatti positivi dello stesso tipo prodotti dal
progetto direttamente o indirettamente attraverso azioni di alleggerimento delle pressioni esterne
attualmente esistenti (Riequilibrio Ambientale Compensativo). Si potranno utilizzare in questa
prospettiva metodi che recuperino gli strumenti dell’AMC (Analisi Multi Criteri).
6. Accettazione sociale.

Criteri di verifica preventiva


Efficacia del progetto

1. Impatti indebiti per realizzazioni non necessarie dal punto di vista socio-economico (proporzionale
alle dimensioni dell’opera).
2. Impatti indebiti per inadempienza del progetto rispetto ai suoi obiettivi tecnici.
3. Impatti indebiti per soluzioni progettuali non ottimali o sovradimensionate.

Criteri legati all’inadeguatezza o incompletezza del livello progettuale ai fini della valutazione

1. Livello progettuale troppo avanzato.


2. Rischi connessi a opere connesse non ancora definite e progettate.
3. Mantenimento di opere esistenti non più necessarie.

ANALISI, PREVISIONE E VALUTAZIONE DEGLI IMPATTI SULL’ AMBIENTE

VAS: vanno sottoposti a VAS tutti i piani regolatori o di governo del territorio e tutti i piani regionali,
provinciali, settoriali, nazionali. L’area a cui si riferisce un piano è più ampia di quella a cui si riferisce il
singolo progetto. La VAS si riferisce a piani vasti, valuta la destinazione d’uso di certi territori o la
localizzazione di certi interventi. Quadro di riferimento all’interno del quale possono essere introdott i i vari
progetti. Grado di specificità aumenta con le altre valutazioni (VIA, AIA, Valutazione di Incidenza).
Quest’ultima è una valutazione aggiuntiva per casi specifici come la rete natura 2000.

La rete natura 2000 è una rete costituita da siti diversi per le aree protette. Due livelli di attenzione: aree
protette e siti di rete natura 2000. Le aree protette sono definite a livello nazionale.

AREE NATURALI PROTETTE Legge 394/91

• Parchi nazionali
• Parchi naturali regionali e interregionali
• Riserve naturali
• Zone umide di interesse internazionale
• Altre aree naturali protette
• Aree di reperimento terrestri e marine

Nelle aree protette ci sono restrizioni maggiori.

Parchi nazionali: aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o
anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche,
geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici,
culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le
generazioni presenti e future.

Con la Direttiva Habitat (Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali
e della flora e della fauna selvatiche) è stata istituita la rete ecologica europea "Natura 2000": un
complesso di siti caratterizzati dalla presenza di habitat e specie sia animali e vegetali, di interesse
comunitario. Legislatura superiore di quella nazionale. RECEPIMENTO IN ITALIA Decreto del Presidente
della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 "Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna selvatiche"
e successive modificazioni.

La Rete Natura 2000 è costituita da:

1. Zone a Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva Uccelli (79/409/CEE) al fine di:
⮚ tutelare in modo rigoroso i siti in cui vivono le specie ornitiche contenute nell'allegato 1
della medesima Direttiva.
⮚ Proteggere le specie migratrici non riportate in allegato, con particolare riferimento alle
zone umide di importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar.
2. Siti di Importanza Comunitaria (SIC), successivamente designati quali Zone Speciali di
Conservazione (ZSC), istituiti ai sensi della Direttiva Habitat al fine di contribuire in modo
significativo a mantenere o a ripristinare:
• un habitat naturale (allegato 1 della direttiva 92/43/CEE)
• una specie (allegato 2 della direttiva 92/43/CEE) in uno stato di conservazione
soddisfacente.

Rete Natura 2000 in Europa

• Regione Alpina
• Regione Atlantica
• Regione Continentale
• Regione Boreale
• Regione Mediterranea
• Macronesia (Azzorre, Capo Verde, Canarie, Madera, Isole Selvagge)
• Regione Steppica
• Mar Nero

Stato di conservazione
— per un habitat naturale (art.1, lettera e): «l’effetto della somma dei fattori che influiscono
sull’habitat naturale in causa, nonché sulle specie tipiche che in esso si trovano, che possono
alterare a lunga scadenza la sua ripartizione naturale, la sua struttura e le sue funzioni, nonché la
sopravvivenza delle sue specie tipiche (…)»;
— per una specie (art.1, lettera i): «l’effetto della somma dei fattori che, influendo sulle specie in
causa, possono alterare a lungo termine la ripartizione e l’importanza delle sue popolazioni (…)».

Lo stato di conservazione è soddisfacente per un habitat naturale quando:

• la sua area di ripartizione naturale e le superfici che comprende sono stabili o in estensione;
• la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e
possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile;
• lo stato di conservazione delle specie tipiche è soddisfacente
— per una specie quando:

• i dati relativi all’andamento delle popolazioni della specie in causa indicano che tale specie continua
e può continuare a lungo termine ad essere un elemento vitale degli habitat naturali cui
appartiene;
• l’area di ripartizione naturale di tale specie non è in declino né rischia di declinare in un futuro
prevedibile;
• esiste e continuerà probabilmente ad esistere un habitat sufficiente affinché le sue popolazioni si
mantengano a lungo termine.

Le misure di conservazione devono corrispondere alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali
dell’allegato I e delle specie dell’allegato II presenti sul sito. Le esigenze ecologiche di questi tipi di habitat
naturali e specie comprendono tutti i parametri ecologici necessari per garantire il loro stato di
conservazione soddisfacente e possono essere definite soltanto caso per caso e sulla base di conoscenze
scientifiche.

Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare, nelle zone speciali di conservazione il degrado
(…), nonché la perturbazione (…)»

Tra queste misure c’è la Valutazione di Incidenza. Sono sottoposti a valutazione di incidenza tutti i piani o
progetti non direttamente connessi e necessari alla gestione dei siti di Rete Natura 2000, ma che possono
avere incidenze significative su di essi (art. 6 comma 3 della Dir. 92/43/CEE). Sono sottoposti alla stessa
procedura anche i progetti o i piani esterni ai siti ma la cui realizzazione può interferire su di essi.

(non chiede i dettagli, volendo su e-learning c’è un power point di approfondimento).

A volte viene richiesto anche un documento di valutazione di impatto sanitario. Viene chiesto per raffinerie,
combustibili ecc.

CONTENUTI DELLO SIA (art.22 e all. VII, parte seconda, D.Lgs.104/2017)


1. Descrizione del progetto, comprese in particolare: a) la descrizione dell’ubicazione del progetto,
anche in riferimento alle tutele e ai vincoli presenti; b) una descrizione delle caratteristiche fisiche
dell’insieme del progetto, compresi, ove pertinenti, i lavori di demolizione necessari, nonché le
esigenze di utilizzo del suolo durante le fasi di costruzione e di funzionamento; c) una descrizione
delle principali caratteristiche della fase di funzionamento del progetto e, in particolare,
dell’eventuale processo produttivo, con l’indicazione, a titolo esemplificativo e non esaustivo, del
fabbisogno e del consumo di energia, della natura e delle quantità dei materiali e delle risorse
naturali impiegate (quali acqua, territorio, suolo e biodiversità) Nota: possono essere previsti dei
lavori di demolizione (fase di cantiere) che devono essere distinte dalle fasi di funzionamento ed
esercizio; d) una valutazione del tipo e della quantità dei re-sidui e delle emissioni previsti, quali, a
titolo esemplificativo e non esaustivo, inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e del
sottosuolo, rumore, vibrazione, luce, calore, radiazione, e della quantità e della tipologia di rifiuti
prodotti durante le fasi di costruzione e di funzionamento; e) la descrizione della tecnica prescelta,
con rife-rimento alle migliori tecniche disponibili a costi non eccessivi, e delle altre tecniche
previste per prevenire le emissioni degli impianti e per ridurre l’utilizzo delle risorse naturali,
confrontando le tecniche prescelte con le migliori tecniche disponibili.
2. Una descrizione delle principali alternative ragionevoli del progetto (quali, a titolo esemplificativo e
non esaustivo, quelle relative alla concezione del progetto, alla tecnologia, all’ubicazione, alle
dimensioni e alla portata) prese in esame dal proponente, compresa l’alternativa zero, adeguate al
progetto proposto e alle sue caratteristiche specifiche, con indicazione delle principali ragioni della
scelta, sotto il profilo dell’impatto ambientale, e la motivazione della scelta progettuale, sotto il
profilo dell’impatto ambientale, con una descrizione delle alternative prese in esame e loro
comparazione con il progetto presentato.
3. La descrizione degli aspetti pertinenti dello stato attuale dell’ambiente (scenario di base) e una
descrizione generale della sua probabile evoluzione in caso di mancata attuazione del progetto,
nella misura in cui i cambiamenti naturali rispetto allo scenario di base possano essere valutati con
uno sforzo ragionevole in funzione della disponibilità di informazioni ambientali e conoscenze
scientifiche.
4. Una descrizione dei fattori potenzialmente soggetti a impatti ambientali dal progetto proposto
(popolazione, salute umana, biodiversità (fauna e flora), territorio, suolo acqua, aria, fattori
climatici, beni materiali, patrimonio culturale, patrimonio agroalimentare, paesaggio, interazione
tra questi fattori, come elencati all’art.5.
5. Una descrizione dei probabili impatti ambientali rilevanti del progetto proposto, dovuti, tra l’altro:
a) alla costruzione e all’esercizio del progetto, inclusi, ove pertinenti, i lavori di demolizione; b)
all’utilizzazione delle risorse naturali, in particolare del territorio, del suolo, delle risorse idriche e
della biodiversità, tenendo conto, per quanto possibile, della disponibilità sostenibile di tali risorse;
c) all’emissione di inquinanti, rumori, vibrazioni, luce, calore, radiazioni, alla creazione di sostanze
nocive e allo smaltimento dei rifiuti; d) ai rischi per la salute umana, il patrimonio culturale, il
paesaggio o l’ambiente (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, in caso di incidenti o di
calamità); e) al cumulo con gli effetti derivanti da altri progetti esistenti e/o approvati, tenendo
conto di eventuali criticità ambientali esistenti, relative all’uso delle risorse naturali e/o a d aree di
particolare sensibilità ambientale suscettibili di risentire degli effetti derivanti dal progetto; f)
all’impatto del progetto sul clima (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, natura ed entità
delle emissioni di gas a effetto serra) e alla vulnerabilità del progetto al cambiamento climatico; g)
alle tecnologie e alle sostanze utilizzate. La descrizione dei possibili impatti ambientali include sia
effetti diretti che eventuali effetti indiretti, secondari, cumulativi, transfrontalieri, a breve, medio e
lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi. La descrizione deve tenere conto degli
obiettivi di protezione dell’ambiente stabiliti a livello di Unione o degli Stati membri e pertinenti al
progetto.
6. La descrizione da parte del proponente dei metodi di previsione utilizzati per individuare e valutare
gli impatti ambientali significativi del progetto, incluse informazioni dettagliate sulle difficoltà
incontrate nel raccogliere i dati richiesti (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, carenze
tecniche o mancanza di conoscenze) nonché sulle principali incertezze riscontrate.
7. Una descrizione delle misure di mitigazione e compensazione e, ove pertinenti, delle eventuali
disposizioni di monitoraggio, in fase di costruzione e di funzionamento.
8. La descrizione degli elementi e dei beni culturali e paesaggistici eventualmente presenti, nonché
dell’impatto del progetto su di essi, delle trasformazioni proposte e delle misure di mitigazione e
compensazione eventualmente necessarie.
9. Una descrizione dei previsti impatti ambientali significativi e negativi del progetto, derivanti dalla
vulnerabilità del progetto a rischi di gravi incidenti e/o calamità. Ove opportuno, tale descrizione
dovrebbe comprendere le misure di prevenzione e mitigazione, nonché dettagli riguardanti la
preparazione a tali emergenze e la risposta proposta.
10. Un riassunto non tecnico
11. Un elenco di riferimenti che specifichi le fonti utilizzate per le descrizioni e le valutazioni incluse
nello Studio di Impatto Ambientale.
12. Un sommario delle eventuali difficoltà, quali lacune tecniche o mancanza di conoscenze, incontrate
dal proponente nella raccolta dei dati richiesti e nella previsione degli impatti.

Le norme erano di un DPCM dell’ 88, ora abrogato. Tuttavia, le norme seguite ora fanno ancora riferimento
ad esso. Diviso in tre parti:

• Quadro di Riferimento Programmatico. a) descrizione del progetto in relazione agli stati di


attuazione degli strumenti pianificatori, di settore e territoriali, nei quali è inquadrabile il progetto
stesso; per le opere pubbliche sono precisate le eventuali priorità ivi predeterminate; b) descrizione
dei rapporti di coerenza del progetto con gli obiettivi degli strumenti pianificatori, evidenziando,
con riguardo all'area interessata: 1 - eventuali modificazioni intervenute rispetto alle ipotesi di
sviluppo originariamente assunte; 2 - indicazione degli interventi connessi, complementari o a
servizio rispetto a quello proposto, con eventuali previsioni temporali di realizzazione; c)
indicazione dei tempi di attuazione dell'intervento e delle eventuali infrastrutture a servizio e
complementari. Questo punto non sempre è rispettato. A volte i piani presentano valutazioni e
previsioni contrastanti tra loro. Il quadro di riferimento descrive inoltre: a) l'attualità del progetto e
la motivazione delle eventuali modifiche apportate dopo la sua originaria concezione; b) le
eventuali disarmonie di previsioni contenute in distinti strumenti programmatori.
• Quadro di Riferimento Progettuale. a) natura dei beni e/o servizi offerti; b) grado di copertura della
domanda e livelli di soddisfacimento in funzione delle diverse ipotesi progettuali esaminate,
compresa l’opzione zero; c) prevedibile evoluzione qualitativa e quantitativa del rapporto
domanda-offerta riferita alla presumibile vita tecnica ed economica dell'intervento; d) articolazione
delle attività necessarie alla realizzazione dell'opera in fase di cantiere e alla conduzione della
stessa (fase di esercizio); e) criteri che hanno guidato le scelte del progettista in relazione alle
previsioni delle trasformazioni territoriali di breve e lungo periodo conseguenti alla localizzazione
dell'intervento, delle infrastrutture di servizio e dell'eventuale indotto. Per le opere pubbliche o a
rilevanza pubblica si illustrano i risultati dell'analisi economica di costi e benefici, ove già richiesta
dalla normativa vigente, e si evidenziano in particolare gli elementi considerati, i valori unitari
assunti dall'analisi, il tasso di redditività interna dell'investimento. Nel quadro progettuale si
descrivono inoltre: a) le caratteristiche tecniche e fisiche del progetto e le aree occupate durante la
fase di costruzione e di esercizio; b) l'insieme dei condizionamenti e vincoli di cui si è dovuto tener
conto nella redazione del progetto e in particolare: - le norme tecniche che regolano la
realizzazione dell'opera; - le norme e prescrizioni di strumenti urbanistici, piani paesistici e
territoriali e piani di settore; - i vincoli paesaggistici, naturalistici, architettonici, archeologici,
storico-culturali, demaniali ed idrogeologici, servitù ed altre limitazioni alla proprietà; - i
condizionamenti indotti dalla natura e vocazione dei luoghi e da particolari esigenze di tutela
ambientale; c) le motivazioni tecniche della scelta progettuale e delle principali alternative,
opportunamente descritte, con particolare riferimento a: 1) le scelte di processo per gli impianti
industriali, per la produzione di energia elettrica e per lo smaltimento di rifiuti; 2) le condizioni di
utilizzazione di risorse naturali e di materie prime direttamente ed indirettamente utilizzate o
interessate nelle diverse fasi di realizzazione del progetto e di esercizio dell'opera; 3) le quantità e
le caratteristiche degli scarichi idrici, dei rifiuti, delle emissioni nell'atmosfera, con riferimento alle
diverse fasi di attuazione del progetto e di esercizio dell'opera; 4) le necessità progettuali di livello
esecutivo e le esigenze gestionali imposte o da ritenersi necessarie a seguito dell'analisi
ambientale; d) le eventuali misure non strettamente riferibili al progetto o provvedimenti di
carattere gestionale che si ritiene opportuno adottare per contenere gli impatti sia nel corso della
fase di costruzione, che di esercizio; e) gli interventi di ottimizzazione dell'inserimento nel territorio
e nell'ambiente; f) gli interventi tesi a riequilibrare eventuali scompensi indotti sull'ambiente.
• Quadro di Riferimento Ambientale. 1. Per il quadro di riferimento ambientale lo studio di impatto è
sviluppato secondo criteri descrittivi, analitici e previsionali. 2. Con riferimento alle componenti ed
ai fattori ambientali descritti negli allegati I e II, il quadro di riferimento ambientale: a) definisce
l'ambito territoriale - inteso come sito ed area vasta - e i sistemi ambientali interessati dal progetto,
sia direttamente che indirettamente, entro cui è da presumere che possano manifestarsi effetti
significativi sulla qualità degli stessi; b) descrive i sistemi ambientali interessati, ponendo in
evidenza l'eventuale criticità degli equilibri esistenti; c) individua le aree, le componenti ed i fattori
ambientali e le relazioni tra essi esistenti, che manifestano un carattere di eventuale criticità, al fine
di evidenziare gli approfondimenti di indagine necessari al caso specifico; d) documenta gli usi
plurimi previsti delle risorse, la priorità negli usi delle medesime e gli ulteriori usi potenziali
coinvolti dalla realizzazione del progetto; e) documenta i livelli di qualità preesistenti all'intervento
per ciascuna componente ambientale interessata e gli eventuali fenomeni di degrado delle risorse
in atto. 3. In relazione alle peculiarità dell'ambiente interessato, nonché ai livelli di
approfondimento necessari per la tipologia di intervento proposto (allegato III), il quadro di
riferimento ambientale: a) stima qualitativamente e quantitativamente gli impatti indotti dall'opera
sul sistema ambientale, nonché le interazioni degli impatti con le diverse componenti ed i fattori
ambientali; b) descrive le modificazioni delle condizioni d'uso e della fruizione potenziale del
territorio; c) descrive la prevedibile evoluzione, a seguito dell'intervento, delle componenti e dei
fattori ambientali, delle relative interazioni e del sistema ambientale complessivo; d) descrive e
stima la modifica, sia nel breve che nel lungo periodo, dei livelli di qualità preesistenti; e) definisce
gli strumenti di gestione e di controllo e, ove necessario, le reti di monitoraggio ambientale,
documentando la localizzazione dei punti di misura e i parametri ritenuti opportuni; f) illustra i
sistemi di intervento nell'ipotesi di manifestarsi di emergenze particolari.

Componenti e fattori ambientali da considerare secondo il DPCM dell’88:


a) atmosfera;
b) ambiente idrico
c) suolo e sottosuolo;
d) vegetazione, flora, fauna;
e) ecosistemi;
f) salute pubblica;
g) rumore e vibrazioni;
h) radiazioni ionizzanti e non ionizzanti;
i) paesaggio
Non sempre tutti i fattori vengono considerati. C’è un confronto tra le varie parti per capire quali fattori
sono trascurabili e quali da approfondire. Questo confronto si chiama scoping.

Per ogni componente/fattore

1. Definizione di sito e area vasta


2. Condizioni di funzionamento e fattori di utilizzo (da Quadro di Riferimento Progettuale)
3. Caratterizzazione delle fonti di impatto previste nel progetto e delle azioni elementari che
determinano l’impatto
4. Identificazione dei possibili impatti
5. Possibili misure di mitigazione e/o compensazione

Scenario d’impatto: risultato della valutazione congiunta dello stato dell’ambiente e delle azioni che
determinano l’impatto. A volte l’impatto è molto rilevante, altre volte no. Parlare di condizioni per
l’ambiente è parziale e variabile perché le condizioni ambientali variano.

Costruzione scenari in base a: diverse condizioni di funzionamento dell’opera (progetto definitivo) in


condizioni ordinarie (esclusi gli incidenti); diverse condizioni delle singole componenti ambientali che ne
determinano diversa ricettività ambientale. Frequenza associata allo scenario più frequente e a quello
peggiore. Scenario peggiore è quello in cui è massima la pressione esercitata dall’impatto, e la ricettività
della componente ambientale è minima.

Per quanto riguarda le aree protette, è previsto che le soglie dimensionali al di sopra delle quali va applicata
la VIA sono ridotte del 50%.

Allegati II bis e IV, rispettivamente valgono per progetti statali o speciali come per le provincie autonome di
Bolzano e Trento.

Valutazioni di impatto ambientale

Spesso si valuta l’inquinamento acustico (approfondito più avanti).

Prima componente considerata è L’ATMOSFERA. Non avendo un volume definito, è difficile definire il
volume e lo schema di lavoro. Per individuare l’area vasta considero il meteoclima. Impatto più evidente è
quello sulla qualità dell’aria, quindi osservarla prima del lavoro e prevedere come diventerà ove possibile.
Devo identificare probabili fonti di impatto, per capire cosa potrà avere un effetto. Ci sono tante variabili in
atmosfera perchè è ampia e con volume indefinito, quindi devo avere modelli di simulazione che poi
saranno validati dai dati sperimentali. Uso una banca dati (INEMA). Devo prevedere l’impatt o aggiuntivo
(es: ho altre emissioni di CO2 in un punto dove a causa per esempio del traffico ho già molte emissioni).
Devo considerare i mezzi di trasporto del cantiere e tutte le altre variabili della fase di cantiere. Devo
indicare tutto del cantiere: stagione in cui avviene, macchinari, materiali…

Si cerca di avere una gestione ottimale (es: se ci sono dei sollevamenti di polveri cercare di limitarli ad
esempio bagnando il terreno). L’asfalto viene applicato ad alte temperature perchè si fa in fretta e meno
fatica. Dovrebbero esserci più controlli perché ha un impatto importante.

A questo punto si osservano gli scenari di impatto migliore e peggiore. Attenzione: più dura il cantiere più
prolungati saranno gli impatti. Inoltre, ci sono condizioni atmosferiche che generano una minore ricettività
quindi devo scegliere il momento adatto per fare il cantiere.

Dalla simulazione per gli impatti voglio ottenere la concentrazione e area vasta. La simulazione ci da una
distribuzione areale delle concentrazioni che poi ci permette di ricavare l’area vasta. Le concentrazioni sono
ottenute come curve di isoconcentrazione. è suddiviso in zone; l’impatto sarà maggiore in zone
urbanizzate, industriali o agricole. Importante impatto a livello sanitario. Ultima fase: confronto tra
simulazione (scenario del progetto) e risultati delle previsioni in assenza dell’opera, ma nel momento
attuale e quello ante operam. Devo considerare la temperatura (medie, minime, massime, escursioni
stagionali e gradiente verticale e orizzontale). e le precipitazioni e definire lo stato fisico dell’atmosfera
(albedo, bilancio radiativo, pluviomettrico…)

CARATTERIZZAZIONE METEOCLIMATICA. Dati consultabili dal sito del Sistema nazionale per la raccolta,
elaborazione e diffusione di dati Climatologici di Interesse Ambientale (SCIA) avviato dall’ISPRA in
collaborazione con il Servizio Meteorologico AM, il CRA-CMA (ex UCEA) e varie ARPA, comprendente: • la
rete del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare (UGM: Ufficio Generale per la meteorolog ia
dell’Aeronautica Militare); • le reti ex- UCEA (Ufficio Centrale di Ecologia Agraria); • le reti delle regioni, ex
SIMN e Mareografica; • le reti locali (regionali, provinciali, metropolitane (o approntate da Consorzi
industriali o Enti di ricerca) nell’ambito di programmi per il disinquinamento atmosferico. In linea generale
le serie storiche annuali si possono ottenere: • dai dati misurati su una stazione meteo che si trovi entro un
raggio minore della distanza che definisce, dal punto di vista meteo, il carattere omogeneo dell’area in
esame; • calcolando la serie annuale del sito mediante opportuni processori meteo di tipo diagnostico
associati ai modelli di diffusione (Calmet per CalPuff, Aermet per Aermod, …) a partire dalle stazioni
presenti nell’intorno.
Caratterizzazione chimica

● Gas serra (CO2 , CH4 , CFC)


● Gas reattivi (NOx , SOx ,CFC)
● Aerosol (particolato, black carbon)
● Microinquinanti (Benzene, IPA, COV, metalli, ecc.)
● Bilancio della CO2

Modelli di dispersione atmosferica.

Il processo di modellizzazione della dispersione di inquinanti in atmosfera è molto complesso, sia per il
grande numero di parametri necessari sia per la grande variabilità spaziale e temporale che questi
parametri possono avere. La modellizzazione può avvenire in modo diverso in funzione degli obiettivi e,
naturalmente, dei dati disponibili: Possiamo identificare due grandi categorie di modelli:

● Modelli Euleriani; Si basano sul concetto matematico di campo: le proprietà del flusso sono definite
come funzioni dello spazio e del tempo. L'osservatore è solidale ad un riferimento fisso o inerziale e
"fotografa" l'intero dominio a ciascun istante temporale, senza però avere alcuna informazione
relativa al moto della singola particella. Considerano gli inquinanti come dei corpi cui è associata
una serie di caratteristiche e che si muovono all’interno di un dominio, anch’esso con
caratteristiche ben definite. Le variabili necessarie sono direttamente misurabili in campo e le
reazioni chimiche possono essere integrate nel modello. Il principale svantaggio è legato alla
definizione di domini complessi per topografia e condizioni meteo in quanto non sono quasi mai
utilizzabili direttamente i dati provenienti dalle stazioni meteorologiche. Le concentrazioni degli
inquinanti vengono calcolate in base alle modificazioni che la nuvola di inquinanti subisce durante
lo spostamento. Osservando degli schemi si può notare la suddivisione in celle di un territorio.
Molto complessi.
● Modelli Gaussiani. Rientrano nei modelli Euleriani e sono basati su equazioni che descrivono il
campo tridimensionale delle concentrazioni generate da una sorgente puntiforme in condizioni
meteorologiche e di emissione costanti nel tempo. Assumono che le condizioni meteo siano
omogenee e stazionarie nell’area modellata e non possono lavorare in condizioni di calma.
Assunzioni necessarie: Processo stazionario. Velocità del vento costante nel tempo e nello spazio.
Vento agente solo lungo l’asse X. Turbolenza sugli assi Y e Z, ma non su X. Coefficienti di diffusione
turbolenza costanti. Fonte di emissione localizzata in un punto ben preciso. Emissione indipendente
dal tempo.
● Modelli Lagrangiani. Modelli numerici a base probabilistica, in cui si simula l’emissione degli
inquinanti con la generazione di un certo numero di particelle emesse a ogni nuovo passo
temporale: il campo di concentrazione è, quindi, ricostruito in funzione direttamente proporzionale
al numero di particelle che attraversano un certo volume di spazio. Permettono di stimare in modo
statistico la traiettoria che la particella seguirà in funzione delle caratteristiche del dominio in cui si
muove. In genere possono utilizzare direttamente i dati meteorologici e topografici disponibili. Le
concentrazioni degli inquinanti nei diversi punti sono calcolate in base al numero di particelle che,
partite da una stessa origine, raggiungono la stessa destinazione. Possono essere utilizzati a ritroso,
consentendo di risalire alla sorgente a partire da una data concentrazione in un punto del dominio.
Consentono una simulazione evolutiva nel tempo, accurata sia per tempi brevi che per tempi
lunghi. La nuvola di inquinante, schematizzata come un insieme di particelle rilasciate ad istanti
discreti, si muove seguendo il campo di moto e contemporaneamente si espande (modelli a puff).
Modelli a Puff: Si utilizzano quando le componenti medie della velocità e della direzione del vento e
la turbolenza variano in maniera non trascurabile all'interno del campo considerato (ad esempio a
causa di orografie complesse, circolazioni di brezza, isole di calore) e/o l'emissione dalla sorgente
non è stazionaria. L’emissione è considerata come una sequenza di sbuffi di gas (puff) indipendenti
tra loro che si muovono in funzione sia delle condizioni di emissione che delle condizioni
meteorologiche medie e della turbolenza che incontrano nel loro cammino, come in un modello
gaussiano. La concentrazione totale in corrispondenza di un recettore al generico tempo t si ottiene
allora sommando i contributi dei singoli puff emessi dalla sorgente fino all'istante considerato.

Seconda componente: AMBIENTE IDRICO: Valutazione del progetto:

● Dimensioni, grado di copertura del suolo. La variazione del tipo di copertura del suolo influisce
sull'assorbimento e sulla riflessione della radiazione, quindi influenza l’albedo e le condizioni
climatiche.
● Entità e fonte dei prelievi idrici
● Interferenze transitorie ( Es: in fase di cantiere magari possono essere deviati dei corsi d’acqua che
poi vengono ripristinati) o permanenti con il reticolo idrografico.
● Entità e localizzazione delle restituzioni. Gli impatti sono sitospecifici, quindi devo valutare dove
avviene la restituzione.
● Ciclo produttivo, materie prime utilizzate, prodotti finali, sottoprodotti da scaricare in forma liquida
(valutazione qualitativa).
VALUTAZIONE DEL PROGETTO • Concentrazioni attese nei reflui • Modalità di trattamento e smaltimento
dei reflui • Concentrazioni stimate dopo il trattamento • Carichi immessi nell’ambiente.
Di fatto abbiamo due casi: reflui trattati in situ o previsione del destino finale dei reflui (es: dotto che li
porta a un impianto di depurazione, di cui devo valutare la portata, l’efficienza, qualità ecc).

Effetti su qualità e quantità del ruscellamento (impatti di tipo diffuso)

● Uso del suolo (urbanizzazione, variazioni colturali) quindi a valle del progetto
● Disboscamento. Aumenta ruscellamento ed erosione
● Lavorazioni del terreno
● Uso prodotti chimici
● Aumento traffico
● Realizzazione o manutenzione strade

Se parliamo di corpi idrici a forte ricambio (fiumi, torrenti) abbiamo i seguenti impatti: aumento delle
concentrazioni di inquinanti e di nutrienti. Consumo di ossigeno. Variazioni di portata e di regime.
Erosione/trasporto solido/sedimentazione.

IMMISSIONE DI CARICHI INQUINANTI. Per valutare i carichi inquinanti devo considerare la portata e le
concentrazioni iniziali. • Valutazione delle concentrazioni iniziali •Quantificazione dei carichi derivanti
dall’opera •Distribuzione temporale dell’immissione di carichi inquinanti • Curve di portata del ricettore.

IMPATTI DELLE DERIVAZIONI • Alterazione regime naturale deflussi • Modifiche nella disponibilità di
particolato organico • Variazioni nella struttura dell’alveo • Alterazione delle caratteristiche chimiche e
termiche. Tutto questo impatta e altera le comunità biologica.

Prelievo e restituzione avvengono in posti diversi. Caso 1

Caso 2
Portata maggiore, potrebbero verificarsi casi di eccesso di portata che il fiume non è portato a ricevere,
mentre in altri punti potrei avere una portata minima.
Per i laghi il discorso cambia perché sono a debole ricambio. Impatti: Aumento delle concentrazioni di
inquinanti. Aumento delle concentrazioni di nutrienti (eutrofizzazione). Più aumenta l’eutrofia più aumenta
il consumo di ossigeno negli strati profondi. Variazione nel regime di rimescolamento: ricorda: acqua più
salata è più densa. Se aumenta la densità l’acqua pesa di più e può non avvenire il rimescolamento.
Variazioni di livello.
Per le acque sotterranee abbiamo due problemi principali: impoverimento da prelievo o
impermeabilizzazione suolo che causano abbassamento della falda o aumento infiltrazione che causa
innalzamento della falda. Più la falda è alta più aumentano le problematiche legate all’inquinamento.

La terza componente considerata è suolo e sottosuolo. Aria, acqua e terreno sono le tre componenti
abiotiche. Solitamente la componente biotica viene considerata successivamente. La parte vivente viene
usata per valutare l’impatto, quindi come indicatore. In alcuni ambiti le acque sotterranee vengono
considerate nel suolo.

SUOLO E SOTTOSUOLO

Caratterizzazione dello stato di fatto:

● Definizione dell’ambito di studio


● Caratterizzazione geologica del territorio (geologia, geotecnica, ecc). Obbligo di accompagnare il
progetto con l’analisi geologica del territorio.
● Caratterizzazione geomorfologica dell’area (frane, instabilità pendii, ecc).
● Definizione della sismicità dell’area.
● Caratterizzazione degli aspetti idrogeologici (permeabilità, falde, sorgenti, ecc). Per conformazione,
l’Italia è soggetta a forti rischi idrogeologici.
● Definizione della vulnerabilità delle falde. Il suolo può svolgere un ruolo protettivo nei confronti
delle acque sotterranee o superficiali, ma può favorire il ruscellamento delle acque superficiali. La
vulnerabilità delle acque sotterranee dipende dalla conformazione e dall’uso di quel terreno.
● Caratterizzazione degli aspetti pedologici. Strato più superficiale, dove ci sono le radici delle piante.
Quella parte di suolo interessante per la produttività vegetale (importante sia per l’agricoltura, sia
per l’ambiente).
● Uso del suolo. Aspetto che va considerato nella condizione reale in cui si fa lo studio. Un suolo
industrializzato è impermeabilizzato, un suolo agricolo è sottoposto a vari trattamenti
(fertilizzazioni). Realizzazione di bacini idrici artificiali cambia la conformazione e l’uso del suolo. Ciò
influenza anche microclima e albedo.

Possiamo avere:

•Alterazione caratteri fisici:

• geometria • geotecnia • Acclività. Potenziale di erosione. é maggiore più il terreno è ?

•Alterazione delle caratteristiche chimiche del suolo. Dipende dall’inquinamento. Quando inseriamo una
certa opera in un certo suolo, questo porta a un cambio delle condizioni. Dipende da diversi fattori
(apporto di sostanze esterne)

•Alterazione quantitativa e/o qualitativa delle acque sotterranee. Prelievi di acque da sorgenti, pozzi.

• Degrado del suolo (erosione, diminuzione della sostanza organica, compattazione, salinizzazione,
smottamenti, contaminazione, impermeabilizzazione, tutto questo porta ad un calo della diversità). Due
componenti che regolano gli scambi tra le particelle di suolo e piante. Dipendono dall’acqua. Scambio
cationico: proprietà tipica delle sostanze colloidali. Inquinanti: azoto, fosforo e potassio e microinquinanti.
Alcuni Inquinanti vengono adsorbiti (i colloidi sono elementi adsorbenti). I colloidi sono le argille e la
sostanza organica. Se ho una diminuzione della sostanza organica ho meno nutrimento e meno
trattenimento e adsorbimento degli inquinanti. La sostanza organica diminuisce perché essa proveniva dal
letame e ad oggi non viene più usato in agricoltura. Altro motivo: cambio di destinazione del suolo. Più
l’agricoltura è intensiva, più è intensivo lo sfruttamento del suolo. Il terreno ora viene molto areato⇒ Più i
batteri hanno ossigeno, più degradano in fretta la sostanza organica. Essendo i terreni spesso fertilizzati,i
batteri stessi hanno anche più nutrimento e saranno più attivi nella degradazione. Meno sostanza organica
⇒ più erosione.

Compattazione: effetto opposto.

• Impatti geomorfologici -Variazione velocità processi: – innesco –Accelerazione.

• Consumo di suolo. Qualunque piano territoriale deve essere adeguato all’obiettivo di evitare di
consumare suolo entro il 2050. Non è previsto nulla per quanto riguarda le aree naturali. Ci sono banche
dati di mappatura dell’uso dei terreni.
Tra i vari piani a cambiare è il dettaglio.

Componenti biotiche: FLORA, VEGETAZIONE E FAUNA. é molto difficile la quantificazione della componente
biotica. Si può valutare la componente che viene impattata. Gli altri indicatori derivano dalla componente
abiotica. Partendo dagli impatti sui corpi idrici (abiotici) posso capire qual è l'impatto sulla fauna ittica
(biotica). Valutazione qualità iniziale della componente biotica. Considerare la qualità dell’ambiente.

Componente vegetale: caratterizzazione ante operam

● vegetazione potenziale e reale nell’area vasta e in quella di sito. Ho impatti diretti o indiretti. Per
valutare quelli diretti basta osservare l’area che vedo. Per valutare gli inquinanti indiretti devo
osservare la nuvola inquinante derivante dalla simulazione d’impatto per l’atmosfera. Area Vasta è
la somma dei due impatti. Vegetazione dipende dalle condizioni climatiche e orografiche del
territorio.
● grado di maturità e stato di conservazione delle fitocenosi (stato di conservazione delle piante).
● flora significativa nell’area vasta e in quella di sito (rilievi in situ, condotti in periodi idonei). Flora
significativa è di interesse naturalistico sia di interesse per l’ecologia.
● elenco e localizzazione di popolamenti e specie di interesse conservazionistico (rare, relitte,
protette, endemiche o di interesse biogeografico). Ricadiamo nella rete natura 2000. IUCN:
organismo internazionale per la conservazione della natura. Compila e aggiorna delle specie a
rischio di estinzione. Liste rosse: specie in via di estinzione da confrontare con ciò che troviamo in
una zona.
● situazioni di vulnerabilità in relazione ai fattori di pressione ed allo stato di degrado presenti.
Qualità in funzione degli inquinanti e delle condizioni presenti.

Differenze flora e vegetazione. Flora: elenco di specie; liste qualitative. Così Sappiamo quali specie sono più
sensibili a determinate condizioni.

Vegetazione: stato di aggregazione degli elementi della flora.


COMPONENTE VEGETALE

● Situazione geografica
● Aspetti climatici e fitoclimatici
● Caratteristiche chimiche del suolo. Alcune piante prediligono terreni acidi, altre basici.
● Caratteristiche fisiche del suolo. Aerazione, permeabilità...
● Caratteristiche morfologiche del suolo.
Un aspetto importante è che in ogni zona esistono aree sterili (rocciose ad esempio), che sono inospitali per
la vegetazione.

Discorso simile per la fauna. Lista della fauna vertebrata presumibile (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e
pesci) sulla base degli areali, degli habitat presenti e della documentazione disponibile; lista della fauna
invertebrata significativa potenziale (specie endemiche o comunque di interesse biogeografico) sulla base
della documentazione disponibile; NB: si deve tener conto anche dell’areale di distribuzione.

Complesso di animali il cui ciclo vitale si svolge tutto o in parte sul territorio in esame.
Tipologie di intervento per le quali si richiedano approfondimenti relativi alla componente biotica:
Interventi che prevedano la trasformazione di ampie superfici (10 ettari) che sono o possono costituire
habitat significativi, quali:

● Nuovi bacini idrici.


● Aeroporti.
● Discariche di grandi dimensioni.
● Interventi che prevedano significative interruzioni nella continuità del territorio, quali: Autostrade,
strade di grande comunicazione; Ferrovie;
● Interventi che prevedano lo scarico in acque superficiali con ittiofauna di inquinanti tossici o
bioaccumulabili, quali: impianti industriali di varia natura;
● Interventi che prevedano l’immissione in atmosfera di inquinanti tossici o bioaccumulabili, quali:
Impianti di incenerimento di rifiuti.

Quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti della fauna vertebrata realmente presente, mappa delle aree
di importanza faunistica (siti di riproduzione, di rifugio, di svernamento, di alimentazione, di corridoi di
transito ecc.) anche sulla base di rilevamenti specifici; quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti della
fauna invertebrata presente nel sito direttamente interessato dall'opera e negli ecosistemi acquatici
interessati.

IMPATTI SULLA COMPONENTE BIOTICA


Diretti:

● Sottrazione di suolo.
● Interruzione della continuità dell’habitat.
● Occupazione di habitat.
● Ferimenti o uccisione di animali.

Indiretti:

- Alterazione della qualità dell’ambiente.


- Rumore.
- Illuminazione.

Se vogliamo illuminare una strada, ma illuminiamo anche aree adiacenti e limitrofe, abbiamo un
inquinamento luminoso. Inquinamento luminoso: ho luce dove non mi serve. Per gli animali il problema è
molto serio perché diverse specie vivono in funzione della luce: molti animali sono disorientati.
Per quanto riguarda il rumore: in generale si sta iniziando ora a valutare l’impatto ambientale che ha sulla
fauna. Il rumore può influire sulla vita degli animali anche in modo permanente.

A valle della componente biotica arriva la definizione di ecosistema. Ecosistemi (linee guida dell’88):
Complessi di componenti e fattori fisici, chimici e biologici tra loro interagenti ed interdipendenti, che
formano un sistema unitario e identificabile (quali un lago, un bosco, un fiume, il mare) per propria
struttura, funzionamento ed evoluzione temporale. Obiettivo della caratterizzazione del funzionamento e
della qualità di un sistema ambientale è quello di stabilire gli effetti significativi determinati dall'opera
sull'ecosistema e sulle formazioni ecosistemiche presenti al suo interno.

Si fa una mappatura a livello geografico degli ecosistemi per arrivare a capire cosa succede. Spesso si
considera anche l’ecosistema antropico.

Le analisi concernenti gli ecosistemi sono effettuate attraverso:

a) l'individuazione cartografica delle unità ecosistemiche naturali ed antropiche presenti nel territorio
interessato dall'intervento;
b) la caratterizzazione almeno qualitativa della struttura degli ecosistemi stessi attraverso la
descrizione delle rispettive componenti abiotiche e biotiche e della dinamica di essi, con particolare
riferimento sia al ruolo svolto dalle catene alimentari sul trasporto, sull'eventuale accumulo e sul
trasferimento ad altre specie ed all'uomo di contaminanti, che al grado di autodepurazione di essi;
c) quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti sul grado di maturità degli ecosistemi e sullo stato di
qualità di essi;
d) la stima della diversità biologica tra la situazione attuale e quella potenziale presente nell'habitat in
esame, riferita alle specie più significative (fauna vertebrata, vegetali vascolari e macroinvertebrati
acquatici). In particolare, si confronterà la diversità ecologica presente con quella ottimale
ipotizzabile in situazioni analoghe ad elevata naturalità; la criticità verrà anche esaminata
analizzando le situazioni di alta vulnerabilità riscontrate in relazione ai fattori di pressione esistenti
ed allo stato di degrado presente.

Paesaggio.

Aspetti morfologici e culturali del paesaggio, identità delle comunità umane interessate e relativi beni
culturali. Obiettivo della caratterizzazione della qualità del paesaggio con riferimento sia agli aspetti
storico-testimoniali e culturali, sia agli aspetti legati alla percezione visiva, è quello di definire le azioni di
disturbo esercitate dal progetto e le modifiche introdotte in rapporto alla qualità dell'ambiente. Anche
nella definizione iniziale di area vasta, la componente visiva è già considerata. Nella definizione di paesaggio
si deve considerare cosa c’è di visibile da diverse distanze e punti. Ambiti diversi: architetti, storici, geografi
(definizione complessa). Componente Di sintesi come gli ecosistemi: aspetti naturalistici ed ecologici, ma
anche culturali. In molti casi si valuta la consistenza della popolazione che vedrà l’opera. Aspetti morfologici
(assetto territoriale), aspetti culturali (opere dell’uomo).

Diversi fattori per cui si può valutare il paesaggio:

a) il paesaggio nei suoi dinamismi spontanei, mediante l'esame delle componenti naturali così come
definite alle precedenti componenti;
b) le attività agricole, residenziali, produttive, turistiche, ricreazionali, le presenze infrastrutturali, le
loro stratificazioni e la relativa incidenza sul grado di naturalità presente nel sistema; Si usava
suddividere il territorio in cellette. All’interno di ogni celletta si faceva un inventario delle attività
rilevanti. Ora si usa elencare unità di paesaggio differenti.
c) le condizioni naturali e umane che hanno generato l'evoluzione del paesaggio;
d) lo studio strettamente visivo o culturale-semiologico del rapporto tra soggetto ed ambiente,
nonché delle radici della trasformazione e creazione del paesaggio da parte dell'uomo;
e) i piani paesistici e territoriali; a livello locale esistono piani paesaggistici regionali, riferimenti chiari.
f) i vincoli ambientali, archeologici, architettonici, artistici e storici.

Convenzione Europea sul Paesaggio (giugno 1997). Paesaggio: “Ambito territoriale, così come percepito
dagli esseri umani, il cui aspetto risulta caratterizzato da fattori naturali, da fattori antropici e da loro
interrelazioni”.

Proposta Ispra. Paesaggio: “Sistema di spazi (luoghi), complesso e unitario, il cui carattere deriva dall'azione
di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni, anche come percepito dalle popolazioni.” Uomo va visto
sia come modificatore che come fruitore e conservatore del paesaggio.

Aspetti del paesaggio:

● Geografico
● Naturale
● Urbanizzato o antropizzato
● Storico

Fasi dello studio


1. Definizione del sito e dell’area vasta
2. Caratterizzazione iniziale del territorio interessato
3. Definizione di valore/sensibilità
4. Identificazione delle modalità e dei tipi di impatto
5. Stima degli impatti

CRITERI

● Eterogeneità/monotonia. Un paesaggio del tutto omogeneo risulta monotono e poco gradevole da


vedere. Più belle quanto più contrastano, però in alcuni casi si cerca l’armonia delle forme.
● Unitarietà
● Visibilità/capacità di mascheramento
● Fruibilità. Evitare difficoltà che si introduce all’accesso delle persone ad un pregio paesaggistico.
● Presenza di bellezze individue o di insieme
● Beni storico-architettonici-testimoniali (inventario)

Andando nel dettaglio:

CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI PAESISTICI

● Presenza di emergenze paesistico-ambientali


● Sub-aree particolarmente pregevoli o comunque sensibili
● Presenza di centri urbani o di centri storici a carattere di unicità
● Sovrapposizione di valenze paesaggistico ambientali

Esempi di vincoli ambientali: laghi, corsi d’acqua, montagne, coste, parchi, riserve, boschi, vulcani (...)

EMERGENZE PAESAGGISTICO-TERRITORIALI (SIBA R.LOMBARDIA)= territori da tutelare.

● Centuriazioni (zone agricole e dei campi che ricalcano uno schema usato dagli antichi romani). Sono
elementi mappati e tutelati. Canali irrigui: indicano zone umide e di riproduzione o
approvvigionamento per uccelli e altri animali.
● Percorsi panoramici, morenici e dossi fluviali.
● Rete storica, canali navigabili.
● Riserve naturali.
● Beni naturalistici o paesaggistici.
● Boschi vincolati ex legge 431/85.
● Bellezze d’insieme (ex L. 1497/39)
● Bellezze individue (ex L. 1497/39)
● Beni storico architettonici (residenziali e produttivi)
● Beni storico paesaggistici (agrario, memorie storiche territoriali)
● Infrastrutture storiche (ponti, ecc)
● Urbanizzato
● Centri storici
● Siti contaminati
● Discariche
● Cave
● Fiumi e torrenti
● Laghi
● Vincolo idrogeologico
● Parchi
Impatti che possiamo trovare sono diretti o indiretti. Quelli diretti sono ostruzione e intrusione. Ostruzione:
tra noi e un bene paesaggistico si introduce qualcosa che blocca la vista del bene stesso. Gli impatti indiretti
alterano la qualità dell’ambiente. Possiamo avere impatti positivi: eliminare elementi critici paesaggistici,
realizzazione di elementi di qualità paesistica, introduzione di nuove opportunità per fruire di vedute
paesaggistiche di qualità.

Qualche nota sul rumore: si parla in generale di impatto sull’uomo e non sugli animali. Leggi del 91, 95, 97.
Zonizzazione (prevista dal 91); zone in cui c’è maggior sensibilità all’inquinamento acustico. Oggi esistono
limiti di emissioni di rumore e di immissione. Limiti divisi per zone del territorio: aree protette (scuole,
ospedali, molto residenziali), prevalentemente residenziali, miste, attività umana, prevalentemente ed
esclusivamente industriali. Limiti diversi tra giorno (6-22) e notte (22-6). Decibel (dB) = rapporto tra
pressione misurata e quella di riferimento. Per queste norme si usa il dB A ovvero un decibel calibrato per
la banda di frequenze umana. Fra i 200 e i 2000, l’orecchio umano ha la massima sensibilità. Il limite viene
espresso in limite equivalente: intensità che avrebbe quel rumore se avesse la stessa energia sonora
emessa costantemente per tutto il tempo. La legge prevede anche delle correzioni che tengono conto dei
picchi, dei massimi. Esposizione ai picchi fa più danni di una esposizione generica. Tra valori diurni e
notturni ci sono 10 dB di differenza (NB: i dB sono logaritmici!!).In più c’è un limite differenziale = rumore
ambientale - rumore residuo. Utile per valutare la fase di cantiere e di esercizio: magari la fase di esercizio
non produce rumore, ma il cantiere ne produce molto. Dobbiamo prevedere, quindi serviranno modelli di
simulazione. Possiamo fare dei rilievi di clima acustico preesistente. Barriere antirumore. Posso valutare
l’effettiva efficacia delle misure antirumore.

ULTIMO ARGOMENTO: IMPRONTA ECOLOGICA


1987: primi pilastri della sostenibilità ambientale: Lo sviluppo deve essere sostenibile. Definizione:
“…sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di
soddisfare i propri”
Su tale base comune si considerano i tre pilastri della sostenibilità: - Ambientale -Sociale -Economica

Il calcolo dell’impronta ecologica è un metodo per stimare l’impatto sull’ambiente delle nostre attività e
delle nostre abitudini in termini di consumo di risorse. L’impronta ecologica è l’area totale di ecosistemi
terrestri e acquatici richiesta per produrre le risorse che la popolazione umana consuma e per assimilare i
rifiuti che essa stessa produce (William Rees, 2000). Espressa in ettari globali. nel tempo devo fare delle
approssimazioni, ma il metodo usato è sempre lo stesso, così ho dei confronti validi.

IMPRONTA ECOLOGICA: Quantità di territorio (ettari) ecologicamente produttivo (acquatico e/o terrestre)
necessaria per: fornire le risorse di energia e materia consumata e assorbire gli scarti.

Parliamo di terre produttive ma anche improduttive: ghiacciai, deserti, zone come la tundra.
AREA BIOLOGICAMENTE PRODUTTIVA (BIOCAPACITA’), riferita ad ogni individuo = SOMMA DI:

● superficie di terra coltivata necessaria per produrre gli alimenti; dobbiamo far riferimento alla
produttività: utilizzo, nutrimento, tipo di utilizzo, quantità di biomassa prodotta per unità di
superficie. Utilizzata per le coltivazioni principali quali quelle di cereali, legumi e tuberi. E’ la più
produttiva, in termini di biomassa prodotta per unità di superficie. Si usa molta acqua ed è di tipo
intensivo.
● area di pascolo necessaria per produrre i prodotti animali; la terra per l’allevamento del bestiame è
meno produttiva della terra coltivabile. La conversione biochimica di energia dalle piante agli
animali riduce l’energia disponibile per l’uomo di circa un fattore 10.
● superficie di foresta necessaria per produrre legname e carta; fornisce legname e svolge altre
funzioni quali: stabilizzazione climatica, prevenzione dell’erosione del suolo (Suolo nudo è più
soggetto ad erosione e frane rispetto a uno ricco di vegetazione.), equilibrio idrologico, protezione
della biodiversità (habitat di protezione per gli animali).
● superficie marina necessaria per produrre pesci e frutti di mare; porzione compresa entro i 300 km
dalla linea di costa, dove ha luogo il 90% della pesca complessiva. Rappresenta l’8% della superficie
marina complessiva ed è pari a 2,9 Mld Ha.
● superficie di terra necessaria per ospitare infrastrutture edilizie; coperta da edifici e infrastrutture,
non ha più capacità bioproduttiva, l’analisi degli insediamenti mostra che si costruisce sempre sui
suoli più produttivi, fornisce servizi alla popolazione. L’urbanizzazione era stata realizzata in suoli
produttivi. Suoli soggetti ad allagamento sono poco produttivi, ma anche poco adeguati
all’insediamento, quindi i terreni rimasti fuori dall’urbanizzazione sono poco produttivi.
● superficie forestale necessaria per assorbire le emissioni di CO2 risultanti dal consumo energetico.
Terra che sarebbe necessaria per una produzione sostenibile di energia; la sua estensione e la sua
tipologia variano in funzione delle scelte energetiche: l’energia da biomassa deriva principalmente
da terre coltivabili o da foreste, l’energia da risorse fossili deriva principalmente da aree che, se
forestate, potrebbero assorbire CO2. La destinazione dei terreni limita quindi l’assorbimento.
● terra per la biodiversità: necessaria per la sopravvivenza delle specie (circa 15 milioni). Si ritiene
necessario lasciare alla tutela della biodiversità almeno il 12% della superficie terrestre
complessiva.

Se ci riferiamo a un determinato territorio, possiamo capire la sua bioproduttività con una mappatura dello
stesso. Ci sono banche dati (es sistema tusa in Lombardia).
In Estonia c’è stato un dimezzamento dal 96 al 2006. Altri paesi in cui l’emissione è aumentata.

Concetti di base per il calcolo di impronta ecologica.

Ogni uomo sulla Terra ha a disposizione un’area biologicamente produttiva; ogni uomo sulla Terra ha una
sua impronta ecologica; dalla differenza tra i due valori si ottiene il deficit ecologico pro capite:

Abp – IE = De.
Utilizzo ecologico utile per costruire infrastrutture e analizzare i consumi.

LE TAPPE DEL CALCOLO DELLE IMPRONTE ECOLOGICHE


1997: Pubblicazione dei valori delle IE di 52 paesi (che raccolgono circa l’80% della popolazione mondiale)
calcolati con i dati del 1993. 1999: Rivisitazione di questi con dati del 1995 e comprendendo anche
l’ecosistema marino, con documentazione sui consumi più completa, con dati più corretti sulla produttività
media di pascoli e foreste. Questo metodo di calcolo sempre più utilizzato. Dal 2000: Pubblicazione dei
valori per tutti i paesi del mondo (Living Planet Report 2000, WWF).

Anche i paesi con un indice sotto a 1.7 sono un problema (e sono tra gli indici più bassi), perchè sarebbe 1.7
x la biodiversità. Il valore ottimale sarebbe 1. L’Italia è tra 8 e 5.

Alcuni Paesi sono debitori, altri creditori. Impronta ecologica di un italiano medio è tra 3.8 e 4 ettari l’anno.

Conseguenze: sfruttamento dei popoli sottosviluppati e delle risorse future.

Problema importante: spreco di cibo!

LCA (Life Cycle Assessment)

Pensiero sistemico: valutazione complessiva delle connessioni tra società, economia e ambiente. Es: auto
elettriche: si considera solo l’impatto dell’auto in sé, non della CO2 emessa dalla produzione dell’energia
elettrica (anche se poi a livello di LCA è comunque meno delle auto a diesel e benzina). LCA considera tutte
le emissioni prodotte in tutto il processo, non sono a valle.

Metodo sistematico per analizzare impatti e strategie: quantificare e confrontare.

Punto di partenza: ciclo di vita. Ad esempio: ciclo di vita di un albero. Mi da un’idea del fatto che devo
considerare tutto il ciclo vitale del prodotto.

Informazioni complementari ⇒ tutto ciò che influisce sul prodotto e sul procedimento.
La dimensione ambientale è una condizione, la dimensione economica è la leva e lo sviluppo sociale è il fine
ultimo dello sviluppo sostenibile

Life Cycle Assessment (LCA)

- Ambientale (LCA) (ISO 14040, 2006) => sperimentato e applicato


- Economico (Life Cycle Costing, LCC) => in fase di sviluppo
- Sociale (Social Life Cycle Assessment, SLCA) => in fase di sviluppo
- Sostenibilità (LCSA) => in fase di sviluppo

LCSA = LCA + LCC + SLCA (Kloepffer, 2008) (Zamagni, 2012)

Obiettivo: Life Cycle THINKING

Si risponde a diverse domande. Si applica in maniera diversificata. Discorso comparativo dell'impatto di


qualcosa. Impatto della plastica, dell’alluminio… LCA tiene conto di tutto (produzione, utilizzo,
smaltimento…). In alcuni casi l’utilizzo è vantaggioso e ha un peso rilevante. Ad esempio su Milano l’auto
elettrica ha impatto negativo perché ha un’aria molto inquinata e anche molto inquinamento acustico.

CHE COS’È L’LCA AMBIENTALE? La valutazione degli impatti di prodotti o processi “dalla culla alla tomba”
(oppure, in una più corretta logica di circolarità, "dalla culla alla culla«).

Si parte dalla progettazione e dalle materie prime. L’LCA di un prodotto inizia dalla produzione delle
materie prime e comprende i processi produttivi, il trasporto, la distribuzione, l’uso e lo smaltimento finale
(riciclo, riuso), partendo dal presupposto che gli impatti si estendono ben oltre la sola fase di uso.
L’analisi del ciclo di vita comprende molte fasi. Prima c’è una analisi del prodotto da ottenere e dei goals.
Analisi inventario permette di capire l’impatto delle varie fasi.

1.DEFINIZIONE DELLO SCOPO E DEL CAMPO DI APPLICAZIONE

In questa fase si definiscono:

● L’obiettivo del lavoro


● i confini del sistema (spaziali e temporali). Es:è inutile fare eutrofizzazione se non ho un lago nelle
vicinanze.
● l’unità funzionale rispetto alla quale rapportare i risultati,
● le categorie di impatto ambientale da considerare

Due tipi di studio:


Attribuzionale: studia un prodotto esistente oppure consequenziale: studia gli effetti di modifiche ad un
prodotto o ad un processo. Si fa una valutazione primaria e poi come le modifiche cambiano questa
valutazione. Vedere se modifiche nel prodotto e/o nel processo migliorano l'impatto ambientale.

Attribuzionale (Accounting) risponde a domande quali: Qual è l'impatto potenziale dei prodotti A e B? Il
sistema è determinante nei suoi confini e analizzato mediante inventario? Si possono utilizzare anche dati
medi e stimati. E’ adatto per analizzare processi produttivi?

Applicazioni (a scala industriale/politica/ambientale): Comunicazione di mercato, acquisti, conseguimento


di determinati standard ambientali Strategie politiche Eco-labelling.

Si può ottimizzare l’impatto ambientale andando ad ottimizzare le fasi più critiche.

Consequenziale (Valutazione del cambiamento) risponde a domande quali: Quali sono le potenziali
conseguenze ambientali della scelta del prodotto A invece del prodotto B? I dati e i confini del sistema
devono essere adeguati a descriverne le modifiche?

Applicazioni (a scala industriale/politica/ambientale): Sviluppo di prodotti, ottimizzazione delle scelte,


comunicazione di mercato, progettazione, Sviluppo di politiche ambientali, Valutazione di strategie
ambientali.

ES:

Ci sono costi anche indiretti oltre al costo economico del cantiere. Ci sono residui e materiale di scarto.
All'interno della linea rossa: stato chiuso.

Centrale termoelettrica a biomassa.


Se è necessaria a qualcosa, l’opera viene realizzata, poi si valuta l'impatto ambientale. Vengono
normalizzati input e output. X kg biomass/kWh; Y kg CO2 /kWh; Z kg ash/kWh.
Categorie di impatto:

• Energia

• Energia non rinnovabile

• Emissioni di GHG

• Rifiuti

• Recupero di materiali

• Materiali locali

• Tossicità

• Eutrofizzazione

• Acidificazione

• Consumo dell’ozono stratosferico

• Formazione di ozono troposferico

• Gas serra
• Emissioni di particolato

• Prelievi di acqua

• Emissione di sostanze tossiche

• Consumo di suolo

2. ANALISI DELL’INVENTARIO DEL CICLO DI VITA. Questa fase comprende tutte le attività volte alla raccolta
ed elaborazione dei dati relativi a tutti gli input e output (sia in termini di massa che di energia) e ai processi
del sistema produttivo considerato. Necessario costruire un modello di flusso che comprenda i processi
che legano tra loro gli input e gli output. E’ un processo iterativo che richiede validazione e analisi di
sensitività.

Il fattore di sicurezza deve essere maggiore del rischio di incertezza.


Abbiamo dei dati primari o diretti che ci danno informazioni sui progetti e sui prodotti LCA. Fortunatamente
Abbiamo delle banche dati molto utilizzate.
BANCHE DATI PER LCA - esempi • US NREL LCI Database (ampio, molto utilizzato, gratuito) • Simapro
databases (ampio, molto utilizzato, disponibile su licenza - €€ - comprende ecoinvent) • BEES (materiali per
costruzione, gratuito) • Athena (materiali per costruzione e altro, €€).

3. VALUTAZIONE DEGLI IMPATTI AMBIENTALI. Gli input e gli output del sistema produttivo individuati nella
fase precedente vengono convertiti in potenziali impatti ambientali applicando ai dati di inventario i relativi
fattori di caratterizzazione.

ELABORAZIONE SUCCESSIVA MEDIANTE: normalizzazione (i valori di ogni categoria vengono espressi in


funzione di un valore di riferimento), raggruppamento (smistamento e classificazione delle categorie di
impatto), pesatura (conversione e aggregazione degli indicatori applicando fattori di pesatura economici,
ambientali, politici).

4. INTERPRETAZIONE DEI DATI.

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