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CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNOLOGIE AGRARIE




IDRAULICA AGRARIA, IRRIGAZIONE E DRENAGGIO


APPUNTI DEL CORSO AD USO DEGLI STUDENTI
DELLA FACOLTA DI AGRARIA

( PRIMA BOZZA )






ANNO 1997








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INTRODUZIONE

Assieme all'aria, l'acqua elemento connaturato alla nostra esistenza: la vita nata nell'acqua e con
essa si perpetua.
L'acqua il minerale pi diffuso, occupa i 3/5 della superficie terrestre, e costituisce la componente
principale ed essenziale della biomassa.
Dal punto di vista chimico, l'acqua un polimero, cio costituito da catene di molecole (H
2
O) ciascuna
delle quali viene comunemente rappresentata come un dipolo. Il legame tra le molecole (ponte ad
idrogeno) caratterizzato da un basso livello energetico, notevolmente inferiore, per esempio,
rispetto sia a quello di tipo ionico sia a quello di tipo covalente: questo fatto influenza le propriet
fisiche dell'acqua.
Pur essendo, tutto sommato, un elemento semplice dal punto di vista chimico, cosa ha indotto l'uomo
fin dall'antichita studiarne le caratteristiche?
Innanzitutto l'acqua uno degli elementi responsabili della modellazione della superficie del pianeta:
l'attuale assetto del territorio, profilato a seguito di azioni endogene e tettoniche, viene continuamente
modellato dall'azione dell'acqua. Questo processo tuttora in atto.
Qualsiasi attivitantropica dipende pressoch totalmente dall'acqua. Sin dalla nascita delle maggiori
civilt antiche fiorite in zone ad elevata disponibilit idrica (civilt dell'acqua), sulle rive dei fiumi Tigri
ed Eufrate, Nilo, Indo, Fiume Giallo, l'acqua ha rappresentato alimento, difesa, trasporto, igiene, forza
motrice. I problemi della derivazione, dell'adduzione sulle lunghe distanze, della regolazione, inclusa
la costruzione di grandi invasi, e della distribuzione di acqua hanno trovato la loro soluzione "ab
antiquo" seppur con tecnologie primitive.
Quanto sopra esposto non deve essere inteso come un'estrapolazione di carattere meramente
culturale: conoscere l'acqua ed i suoi rapporti con l'uomo consente di studiare meglio l'uomo e le sue
interazioni con l'ambiente. Se anche in facolt umanistiche vengono studiate discipline conoscitive,
quali Geografia Fisica e Biogeografia, pare superfluo sottolineare l'importanza dello studio delle
caratteristiche e delle possibilitdi sfruttamento dell'acqua in facoltTecnico-Scientifiche.

Disponibilit idrica a scala planetaria

A questo punto emergono due importanti quesiti:
su quale volume di risorsa idrica l'umanitpu contare?
questo volume di risorsa compatibile con le sue esigenze?
La seguente Tab.1, ove sono indicati i volumi idrici complessivi (espressi in milioni di km
3
) presenti sul
nostro pianeta e i valori percentuali sul totale distribuito, fornisce una parziale risposta alla prima
domanda:

Tab.1
Oceani 1320 97.2000%
Neve e ghiacci 30 2.1500%
Acque sotterranee
(profondit<800 m)

4

0.3100%
Acque sotterranee
(profondit>800 m)

4

0.3100%
Zona non satura 0.070 0.0050%
Laghi acqua dolce 0.120 0.0090%
Laghi acqua salmastra 0.100 0.0080%
Fiumi 0.001 0.0001%
Atmosfera 0.013 0.0010%

Il totale dei volumi idrici assomma pertanto a circa 1.4 10
9
km
3
, di cui il 2.6% (36 10
6
km
3
) costituito
da acque dolci; solo 2.9 10
6
km
3

(lo 0.24% sul totale) sono, per, potenzialmente utilizzabili. Questi
valori, seppur significativi, fotografano una situazione statica, cio indicano i quantitativi globali, senza
alcuna indicazione sulla loro distribuzione spazio-temporale.
Pi utilmente, effettuando un bilancio idrologico nell'anno medio, cio analizzando la dinamica del
processo a scala annuale, la disponibilitidrica stata caratterizzata nello spazio e nel tempo.
Vengono pertanto distinti i volumi idrici:
evaporati dagli specchi liquidi o traspirati dalle piante che alimentano l'atmosfera,
ricaduti sugli oceani e sulle terre emerse per effetto delle precipitazioni,
alimentanti gli acquiferi sotterranei,
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3
dalle terre emerse vengono restituiti agli oceani per deflusso superficiale o
sotterraneo
L'elemento motore di questo gigantesco processo di distillazione costituito dall'energia solare che,
in un anno, ammonta mediamente a 3.5 10
15
kWh.

I volumi idrici sopra elencati sono rappresentati in
Fig.1, ove evidenziata la dinamica del fenomeno: la risorsa d'acqua dolce ritenuta utilizzabile
contenuta nell'aliquota di bilancio che, per deflusso superficiale o sotterraneo, torna agli oceani dalle
terre emerse (complessivamente 40000 km
3
). Naturalmente, questi valori sono da intendersi come
indicativi alla scala planetaria.

SCHEMA DI BILANCIO IDROLOGICO ANNUALE ( Km
3
)
520.000
PRECIPITAZIONI
P P
450.000 70.000
410.000 110.000
EV EVT
OCEANO DEFLUSSI TERRA EMERSA
40.000
- B -
PREVISIONE NECESSITA IDRICHE 2015
(POPOLAZIONE 8 MILIARDI)
USO CIVILE 900 Km
3
USO INDUSTRIALE 3.800 (riciclo 4050%)
USO AGRICOLO 5.300
TOTALE 10.000


Fig.1

Nella stessa figura sono riportate le previsioni delle esigenze idriche all'anno 2015: l'acqua impiegata
nell'agricoltura, assomma a 5300 km
3
, che costituisce pi del 50% del totale (10000 km
3
). E' utile
ricordare che, a tutt'oggi, nei paesi in via di sviluppo l'agricoltura utilizza circa l'80% della risorsa
disponibile, con punte, nella stagione siccitosa, del 90%.
Purtroppo la risorsa naturale mal distribuita nel tempo e nello spazio: questa la principale difficolt
alla quale l'uomo deve far fronte con la propria intelligenza e operosit. Lo studio delle risorse idriche
pertanto si promuove da fattore culturale a fattore professionale interessante direttamente le facolt
scientifiche quale la facoltdi Agraria.

Rapporti acqua-agricoltura

L'agricoltura gestisce la gran parte del territorio: esclusi i centri urbani ed industriali, le principali
infrastrutture di trasporto (strade, autostrade, linee ferroviarie, ecc.), il restante territorio agrario-
forestale.
L'agricoltura svolge inoltre un ruolo primario nel controllo dell'acqua proveniente da apporti naturali e
nella distribuzione di quella artificiale per climatizzazione e produzione di biomassa.
Infine qualunque operazione colturale - lavorazione del terreno, fertilizzazione, trattamenti fitosanitari -
risulta efficace solo in presenza di un adeguato contenuto idrico nel suolo.
L'acqua, oltre a fornire direttamente l'apporto alimentare alle piante ed essere vettore di soluti
alimentari (e purtroppo anche di sostanze inquinanti), risulta determinante per il condizionamento
climatico dei processi biochimici.
Un discorso a parte merita il problema della tutela ambientale: infatti improponibile, ora e nel futuro,
parlare di produzione indipendentemente dalla conservazione e dalla tutela dell'ambiente. Lo studio
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della dispersione di inquinanti nell'ambiente, ossia dei rapporti chimici tra varie sostanze, del
decadimento radioattivo, dell'assorbimento di radionuclidi, deve essere supportato da un'adeguata
conoscenza della fluidodinamica ed in particolare dell'idrodinamica. L'acqua, unitamente all'aria,
infatti l'elemento che mobilita le sostanze inquinanti in quantit e su distanze significative: la
valutazione delle loro quantit e delle modalit di trasporto, dei tempi di contatto, delle condizioni
ambientali per lo sviluppo dei processi fisico-chimici e biochimici, richiede la conoscenza del moto
dell'acqua.
In conclusione il ruolo fondamentale dell'acqua nelle questioni ambientali pu essere sintetizzato in
tre punti:
l'ambiente, costituito in gran parte di acqua, un crogiolo di processi fisici, chimici e biochimici
per il quale il contenuto di umidit o l'effetto della massa d'acqua agisce come indispensabile
regolatore, anche solo termodinamico;
ad esclusione delle azioni endogene, alle scale meso e macro, alle quali si pu identificare il
dominio elementare rappresentativo di un territorio o di un ambiente, la generale, se non
esclusiva, azione di trasporto naturale delle sostanze avviene attraverso la dinamica dell'aria e
dell'acqua, provocata dall'energia solare;
la difesa del territorio dalle acque, e la conservazione del suolo, sono aspetti importanti della
tutela ambientale ed avvengono prevalentemente attraverso la regolazione dei deflussi sui
versanti ed in alveo.
In parole povere, una volta approfonditi scientificamente e controllati i complessi processi fisici,
chimici e biochimici, che immobilizzano o rendono mobili le sostanze alla piccola scala e chiariscono
gli effetti sulla salubrit dell'ambiente, il controllo dell'umidit e quello delle dinamiche dell'aria e
dell'acqua sono fondamento della pi efficace e razionale (vale a dire quantitativamente definibile)
azione di tutela ambientale.
L'acqua infine condiziona la produzione come elemento macroeconomico chiave, costituendo lo
strumento decisivo per rendere a minor rischio la produzione agricola, consentendo di controllarne
quantit e qualit a fronte di altre produzioni a reddito pi elevato. Ne consegue un diretto ed
autonomo controllo della bilancia alimentare: questo fatto di grande importanza strategica sulle
importazioni ed esportazioni di alimentari, materie prime e conoscenze.
L'acqua inoltre uno strumento decisivo per una un'efficace politica di tutela territoriale ed ambientale
che abbia come obiettivo la conservazione del territorio, del patrimonio forestale e della fertilit del
suolo.

Definizione della disciplina

Messa in luce l'importanza e la complessitdei rapporti acqua-ambiente, potrebbe sorgere il dubbio
di come mai questi rapporti vengano studiati a livello universitario.
Un'approfondita conoscenza dei problemi, allo scopo di gestirli e controllarli, richiede conoscenze
scientifiche di un certo livello in quanto i sistemi in gioco sono complessi e gli strumenti piuttosto
sofisticati.
Queste dispense sono finalizzate a fornire mezzi propedeutici e professionali per conoscere e gestire
correttamente (e quindi razionalizzare) i mezzi di produzione e i mezzi di difesa del territorio,
conservazione e tutela ambientale.
Da quanto sopra esposto appare evidente la vastit della materia che investe problematiche di
carattere idrologico ed idraulico: si ritiene non superfluo per un miglior inquadramento del problema,
cercare di chiarire, senza la pretesa di completezza e di rigorosit, la sostanziale differenza tra gli
obiettivi o gli strumenti dei due settori disciplinari.
L'idrologia si occupa in genere del ciclo naturale dell'acqua e delle interazioni di quest'ultima con
l'ambiente, gli insediamenti e le attivit. Ha come obiettivo, molto sommariamente, la valutazione
quali-quantitativa:
del regime degli afflussi e dei deflussi, degli eventi estremi e della loro prevedibilit;
delle disponibilitidriche e della domanda d'acqua per i diversi usi.
Dato il carattere aleatorio del ciclo afflussi-deflussi, lo studio e l'elaborazione su base scientifica
dell'informazione si avvale degli strumenti dell'analisi statistica e dei modelli stocastici.
L'idraulica studia, con gli strumenti della meccanica dei fluidi, la condizione di quiete di una massa
fluida e l'assetto dinamico di una corrente fluida allo scopo di identificare e descrivere quantivamente
le interazioni fisiche, interne e al contorno, tra contenitore, contenuto e sostanze trasportate.
A puro titolo di "boutade" si potrebbe dire che l'idrologia definisce, quantifica e razionalizza i
"desideri", l'idraulica consente di realizzarli in modo economico.
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Per dare un'idea della vastit del campo di applicazione di queste discipline, viene riportato l'elenco
dei raggruppamenti di argomenti che secondo l'A.G.U. (American Geophisycal Union) ricadono nel
settore dell'Idrologia.

1) Effetti antropogenici 16) Reti idrauliche
2) Chimica delle acque dolci 17) Condizioni ambientali
3) Desertificazione 18) Precipitazioni
4) Siccit 19) Invasi naturali e artificiali
5) Erosione e sedimentazione 20) Afflussi e deflussi
6) Evapotraspirazione 21) Neve e ghiaccio
7) Correnti liquide 22) Umiditdel suolo
8) Geomorfologia 23) Idrologia stocastica
9) Glaciologia 24) Trasporto dei soluti
10) Acque sotterranee 25) Bilancio idrico
11) Idroclimatologia 26) Interazioni energetiche con l'acqua
12) Bilancio Idrologico 27) Qualitdell'acqua
13) Infiltrazione 28) Gestioni degli impianti idrici
14) Irrigazione 29) Strumentazioni e apparecchiature
15) Fisica e biochimica delle acque 30) Miscellanea


L'idraulica

La parola idraulica, di origine greca, viene anticamente adoperata per indicare una raccolta di
cognizioni empiriche atte a governare e a impiegare utilmente l'acqua. Successivamente con questo
termine si indica una disciplina in parte sperimentale ed in parte teorica, attinente allo studio
dell'acqua. Solo in tempi recenti l'idraulica assume il suo attuale carattere di studio dello stato di
quiete e di moto dei liquidi.
Per un certo periodo, in rapporto allo sviluppo della fisica moderna, prevale la tendenza a valorizzare
gli strumenti dell'indagine teorica, con l'effetto di astrarre eccessivamente dall'elemento naturale e di
giungere ad interpretazioni dei fenomeni che poco si confanno con l'utilizzazione pratica dei risultati,
pur contribuendo a definire le basi fondamentali dell'idraulica teorica. Di contro le nozioni pratiche
vengono relegate in un insieme di norme empiriche senza alcun fondamento rigoroso e perci prive
del necessario potere di generalizzazione dei risultati dell'indagine teorica.
L'idraulica moderna si presenta come il giusto punto di contatto tra i due diversi orientamenti e
attribuisce alle leggi generali dell'idraulica teorica il compito di interpretare ed inquadrare in modo
generale i fenomeni e ricerca d'altra parte, col metodo sperimentale, certi coefficienti di correzione atti
all'uso pratico delle formule rigorosamente dedotte.
Molto estesa la gamma degli strumenti per razionalizzare e sviluppare le tecnologie per luso delle
risorse idriche: il breve elenco di seguito riportato ricorda solo alcuni settori professionali e di ricerca
strettamente connessi all'idraulica e all'idrologia.
a) Sistemazione idraulica e idraulica forestale: studio e sistemazione dei bacini idrografici naturali
(versanti ed alveo) e conservazione del suolo.
b) Bonifica e utilizzazione irrigua con acquedotti rurali: alimentazione idrica delle colture e
allontanamento dell'eccesso di acqua dai terreni.
c) Opere marittime e trasporto: installazioni portuali, difese dei litorali, navigazione.
d) Utilizzazione a scopo potabile, industriale e idraulica sanitaria: acquedotti, impianti idroelettrici,
fognature, impianti di trattamento
e) Meccanica dei fluidi e idraulica industriale: refrigerazione, lubrificazione, trasporto in soluzione
o trasporto di solidi galleggianti in condotta (ingegneria mineraria).









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PARTE I

MODULO DI IDRAULICA AGRARIA





1. CARATTERI FISICI DELLACQUA

1.1 Sistemi e unit di misura

Per poter analizzare (cio osservare e studiare) un qualsiasi fenomeno e generalizzare le leggi che lo
regolano, occorre poterlo misurare, cio individuare un insieme di grandezze che lo definiscono. La
misura di un fenomeno si riduce pertanto alla misura di queste grandezze.
Il concetto di misura strettamente legato a quello di confronto: per ciascuna grandezza si dovr
definire una quantit base (unit di misura) in modo tale che tutte le altre quantit siano esprimibili
come un numero, multiplo o sottomultiplo dell'unit di misura, che costituisce il modulo della
grandezza.
In generale tutte le grandezze sono legate da relazioni di carattere geometrico o fisico: da ci nasce
la possibilit, fissate alcune grandezze fondamentali, di ricavare tutte le altre in funzione di esse. Un
sistema di misura viene definito una volta fissate le sue grandezze fondamentali.
I sistemi di misura possono essere:
assoluti: le grandezze fondamentali sono immutabili nello spazio fisico e in confronto a
fenomeni con carattere di periodicit,
pratici: non tutte le grandezza fondamentali sono rigorosamente invarianti, pur essendolo per
particolari condizioni di interesse pratico.
I sistemi pratici, seppur non rigorosi, risultano spesso di pi agevole impiego rispetto a quelli assoluti.
Esempi di sistema assoluto sono il "sistema Giorgi" e il "sistema internazionale" (SI), di cui si parler
pi diffusamente. Il "sistema Giorgi o CGS", ha come grandezze fondamentali la lunghezza, misurata
in centimetri (cm), la massa, misurata in grammi-massa (g) e il tempo, misurato in secondi (s).
Esempio di sistema pratico il "sistema tecnico degli ingegneri" (MKS) le cui grandezze fondamentali
sono la lunghezza, la forza e il tempo: l'adozione della forza come grandezza fondamentale, consente
di ovviare alla difficoltdi misurare la massa.

1.1.2 Il "sistema internazionale"

Le basi per la definizione dell'attuale SI vennero poste nel 1948 con la raccomandazione della
Conferenza Generale dei Pesi e Misure (CGPM) di arrivare a un sistema omogeneo di pesi e misure.
Nel 1960 la CGPM caratterizz il SI con tre propriet:
coerenza: ciascuna grandezza inequivocabilmente determinabile tramite le altre;
numerazione decimale;
non completezza: il sistema in continuo aggiornamento in funzione dei progressi della
conoscenza scientifica.
Le grandezze fondamentali del SI sono 7: lunghezza, massa, tempo, intensit di corrente,
temperatura, quantitdi materia, luminosit, pi 2 "supplementari": angolo piano e angolo solido.
Queste grandezze risultano dimensionalmente indipendenti, tranne le ultime due, relative a
grandezze geometriche, che si preferito lasciare come fondamentali, tralasciando complicate
formulazioni per correlarle alla lunghezza.
Per queste grandezze sono presenti campioni o metodi di misura standard che assicurano la
massima precisione, data dalla tecnologia del momento.
Le grandezze fondamentali, con le relative unitdi misura, sono riassunte nella tabella seguente:

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Grandezza Unit Simbolo
Lunghezza [L] metro m
Massa [M] chilogrammo massa kg
Tempo [T] secondo s
Intensitdi corrente [I] ampere A
Temperatura kelvin K
Quantitdi materia mole mol
Intensitluminosa candela cd
Angolo piano radiante rad
Angolo solido steradiante sr


1.1.2.1 Confronto col "sistema tecnico"

Ritenendo inutile soffermarsi sulle grandezze lunghezza e tempo, qualche considerazione merita la
terza grandezza: la massa.
Con riferimento alla II legge di Newton:

F = ma (1.1.1)

un corpo di massa m accelera o decelera, cio cambia il proprio stato di quiete o di moto, sotto
l'azione di una forza esterna F; l'accelerazione viene indicata con a.
Come gi ricordato, nel "sistema tecnico" viene considerata come grandezza fondamentale la forza:
questo sistema non pu essere considerato assoluto. Si consideri infatti un corpo di massa m posta
sulla superficie della terra, caratterizzata a sua volta da una massa m supposta concentrata al suo
centro. Il campo gravitazionale varia, attraverso una costante di proporzionalit f dipendente dalle
unitdi misura, secondo la nota legge di attrazione di due corpi distanti d tra loro:

F f
mM
d

2


Questa forza coincide con il peso del corpo, pari al prodotto della massa per l'accelerazione di gravit
g. Risulta quindi che:

mg f
mM
d
g f
M
d
= =
2 2
e cio (1.1.2)

Ne consegue che l'accelerazione di gravit in una localit varia in funzione della sua distanza d dal
centro della terra: considerando che il raggio medio terrestre pari a 6,37 10
6
m e che l'escursione
massima di circa 19 10
3
m (dal monte Everest alla fossa delle Marianne), l'accelerazione di gravit
varia di circa il 6.
Nel seguito si farcomunque sempre riferimento al valore costante di g =9,8069.81 m/s
2
, il che non
porta inconvenienti nelle applicazioni di interesse.


1.1.2.2 Unit di misura

I. Unit di lunghezza

Il metro (m) stato definito nella richiamata CGPM del 1960 pari a 1650763,73 volte la lunghezza
d'onda nel vuoto della radiazione emessa dall'atomo di kripton 86, nella transizione dal livello 2 p
10
al
livello 5 d
5
,
alla temperatura del punto triplo dell'azoto (63.15 K). Con lo sviluppo della tecnologia del
laser, nel 1983 stata introdotta una nuova definizione di metro, cio il tragitto percorso dalla luce nel
tempo di 1/299792458 s.

II. Unit di tempo

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Il secondo (s) stato definito nella XIII CGPM del 1967 come la durata di 9192631770 periodi di
oscillazione della radiazione emessa dall'atomo di cesio 133 nello stato fondamentale 2 S
1/2
nella
transizione dal livello iperfine F=4 M=0 al livello iperfine F=3 M=0

III. Unitdi massa

Il chilogrammo-massa (kg) stato definito nel corso della III CGPM del 1901 come la massa del
campione di platino-iridio depositato presso il Bureau International des Poids et Mesures a Sevres.
Ne consegue che il chilogrammo-peso il peso di un chilogrammo-massa, assumendo
l'accelerazione di gravitg pari a 9.806 m/s
2
.
Nel "sistema tecnico" si definisce chilogrammo-peso kg
P
il peso di 1 dm
3
di acqua distillata al livello
del mare ad una temperatura di 4 C.

1.1.3 Principali grandezze di interesse

In funzione delle grandezze fondamentali sopra definite, sono di seguito riportate alcune tra le
principali grandezze alle quali si far riferimento nelle applicazioni di interesse e che sono
ampiamente trattate nei corsi di fisica elementare.
Per ciascuna grandezza verrfornito il simbolo con la quale verridentificata nel seguito del testo (tra
parentesi tonda), la dimensione [tra parentesi quadra] e le unitdi misura nel SI, colonna di sinistra, e
nel "sistema tecnico", colonna di destra.

sistema
internazionale
Grandezza fisica sistema
tecnico

[L
2
] m
2

Superficie (A,)
Dimensioni di una lunghezza al quadrato

[L
2
] m
2


[L
3
] m
3

Volume (V)
Dimensioni di una lunghezza al cubo

[L
3
] m
2


[LT
-1
] ms
-1

Velocit(v)
Modalitcon la quale un corpo cambia posizione
Rapporto tra lo spazio e il tempo, ovvero spazio percorso nell'unitdi
tempo

[LT
-1
] ms
-1



[LT
-2
] ms
-2

Accelerazione (a)
Modalitcon la quale un corpo cambia velocit
Rapporto tra cambiamento di velocite tempo impiegato, ovvero
variazione della velocitnell'unitdi tempo



[LT
-2
] ms
-2




[M] kg
Massa (m)
Proprietdi ciascuna particella che ne determina il comportamento
quando interagisce con altre e determina l'entitdelle sue interazioni in
un campo gravitazionale
Dalla legge fondamentale della dinamica (1.1)





[F L
-1
T
2
]
kg
P
m
-1
s
2

[M L T
-2
]
N (Newton)
Forza (F)
Dalla legge fondamentale della dinamica (1.1)


[F] kg
P

[M L
-2
T
-2
]
N m
-3

Peso specifico ()
Peso dell'unitdi volume

[F L
-3
]
kg
P
m
-3

[M L
-3
] kg m
-3
Densit()
Massa dell'unitdi volume
[F L
-4
T
2
]
kg
P
m
-4
s
2




Queste ultime due grandezze sono legate dalla pi volte richiamata legge di Newton analogamente
alla forza (peso) e massa, cio attraverso l'accelerazione di gravit,

= g (1.1.3)

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Nel caso dell'acqua, per la definizione stessa di peso specifico e di densit, possibile determinarne i
valori nel sistema tecnico: se 1 dm
3
pesa 1 Kg
P
, 1 m
3
peser1000 kg
P
perci
W
102 kg
P
m
-4
s
2
.
La densit, e quindi il peso specifico dell'acqua, variano in funzione del contenuto di sali disciolti, della
presenza di particelle in sospensione (sabbia, argilla, limo) e della temperatura. Nello studio dei
fenomeni di interesse, le variazioni di densit del liquido sono talmente piccole da poter essere
trascurate, ritenendo pertanto costante la densitdell'acqua.

sistema
internazionale
Grandezza fisica sistema
tecnico

[M L
2
T
-2
]
N m = J
(Joule)
Lavoro (L) o Energia (E)
Prodotto dello spostamento per la componente della forza lungo lo
spostamento. Non si insistersull'equivalenza tra lavoro ed energia
dando per acquisiti sia questo concetto che la biunivoca trasformazione
di una grandezza nell'altra.



[F L] kg
P
m

[M L
2
T
-3
] J s
-1

Potenza (W)
Lavoro compiuto nell'unitdi tempo



[F LT
-1
]
kg
P
m s
-1





[M L
2
T
-2
] J
Energia cinetica (E mv =
1
2
2
)
Questa forma di energia, detta anche forza viva, posseduta da ogni
corpo che si trovi in stato di moto, dipendendo esclusivamente dalla sua
velocite dalla sua massa. E' definita come prodotto della massa per
metdel quadrato della velocit





[F L] kg
P
m
[M L
-1
T
-2
]
N m
-2
= Pa
(Pascal)
Pressione (p)
Rapporto tra la forza e la superficie sulla quale essa si esercita
Forza per unitdi superficie


[F L
-2
]
kg
P
m
-2



[L
3
T
-1
] m
3
s
-1

Portata (Q)
Considerata una sezione normale ad una corrente, cio perpendicolare
alla traiettoria media delle sue particelle liquide, il volume transitato
attraverso la sezione nell'unitdi tempo


[L
3
T
-1
]
m
3
s
-1



Il sistema pratico, come gi detto, si rivela solitamente pi efficace rispetto al SI nella misura delle
grandezze che si incontrano nelle applicazioni di interesse. Esistono tuttavia alcune eccezioni. Per
esempio l'unit di misura di portata, m
3
/s, risulta eccessiva per misurare la portata nei comuni
problemi di distribuzione irrigua, analogamente all'unit di misura della velocit, m/s, nella
determinazione del moto di filtrazione dell'acqua attraverso materiali permeabili. Sar talvolta
necessario, quindi, ricorrere ad unitdi misura sottomultipli di quelle precedenti.

1.2 Principio dell'omogeneit dimensionale

Ogni fenomeno fisico viene rappresentato mediante relazioni tra le grandezze da cui esso dipende.
Queste relazioni si traducono in equazioni che consentono di ricavare, quando siano noti i valori di
alcune grandezze, i valori di tutte le altre.
Quando un fenomeno fisico viene rappresentato mediante una relazione tra grandezze, occorre
verificare la correttezza della rappresentazione adottata. Uno dei controlli pi immediati quello della
verifica dell'omogeneitdimensionale tra i termini che compaiono nella relazione.
Posto, per esempio, che la legge che regola un fenomeno possa essere definita dalla seguente
relazione fra le grandezze A,B,C,D,E:

A BC
D
E
BD E + , (1.2.1)

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10
occorre che i vari termini di questa uguaglianza abbiano le stesse dimensioni (tutte velocit, tutte
forze, tutte energie).
Un semplice esempio dovrebbe chiarire meglio questo concetto: comunemente si sente dire che una
azienda agricola equivale alla somma del terreno, pi il bestiame, pi gli impianti. Questa
affermazione, presa alla lettera, non ha alcun significato. Se per per terreno, bestiame e impianti si
intende il valore economico di questi elementi, ecco che la somma di quei termini, questa volta
omogenei tra loro, viene a rappresentare proprio il valore economico dell'azienda. Tutti i termini,
infatti, hanno per dimensione un valore monetario.



1.2.1 Analisi dimensionale

L'omogeneit dimensionale, oltre che un importante strumento di verifica, un valido supporto alla
ricerca sperimentale.
Riprendendo in considerazione la relazione (1.1.3), possibile ricavare una grandezza in funzione
delle altre, cio A= f(B,C,D,E). Tra le varie possibili, la relazioni corretta dovr essere tale che
f(B,C,D,E) abbia le stesse dimensioni di A. Dovrcio essere:

BD - E - BC +
D
E
omogeneo con A.

I due esempi seguenti chiariscono meglio quanto esposto.

1.2.1.1 Velocit di caduta libera di un grave inizialmente fermo

Sperimentalmente si osserva che la velocit dipende da due sole grandezze: l'accelerazione di
gravitg e l'altezza h di caduta.
La legge che descrive il fenomeno pu pertanto assumere la forma:

v= f(g,h) (1.2.2)

Tra tutte le possibili, l'unica relazione che rispetta l'omogeneitdimensionale :

v c gh , (1.2.3)

ove c viene indicato un coefficiente di proporzionalit(adimensionale).
Il secondo membro dell'equazione ha le dimensioni di una velocit:


L
T
L
T
L

1
]
1

1
]
1
1
2
(1.2.4)

Basta misurare, mediante un solo tipo di esperienza, il valore del coefficiente c per ricavare
l'equazione generale che descrive la caduta di un grave.
Nel caso in esame c 2 , quindi:

v gh 2 , (1.2.5)


1.2.1.2. Moto oscillatorio di un pendolo semplice nel vuoto

Si faccia riferimento alla Fig. 1.1; le oscillazioni del pendolo sono notoriamente isocrone, cio il
pendolo ripassa per la medesima posizione ad intervalli uguali di tempo. Si vuole esplicitare una
legge che definisca, in funzione delle grandezze che regolano il fenomeno, il periodo di tali
oscillazioni.
Sperimentalmente si osserva che le grandezze che influenzano il periodo t sono l'accelerazione di
gravitg e la lunghezza del pendolo l.
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11


Fig. 1.1

La legge che descrive il fenomeno pu pertanto assumere la forma:

t= f(g,l) (1.2.6)

Tra tutte le possibili, l'unica relazione che rispetta l'omogeneitdimensionale :

t c
g

l
, (1.2.7)

Il secondo membro dell'equazione, infatti, ha le dimensioni di un tempo:

[ ] T

1
]
1
1
1
LT
L
2
(1.2.8)

Contrariamente a quanto si sarebbe erroneamente portati a pensare, la massa o il peso del pendolo
non ne influenzano il periodo. Il coefficiente adimensionale c, determinato sperimentalmente, vale
=3,1416.
L'equazione che descrive il periodo di oscillazione di un pendolo semplice nel vuoto pertanto:

t c
g

l
, (1.2.9)


1.3 Richiami di principi e leggi fondamentali della meccanica

1.3.1 Meccanica dei sistemi continui

Posto che oggetto dell'idraulica moderna come oggi la intendiamo lo studio dello stato di quiete e di
moto dei liquidi, gli strumenti di indagine a disposizione si rifanno alla sistematica della fisica e
pertanto ai principi della meccanica dei sistemi continui.
Per sistema continuo intenderemo un mezzo entro cui i legami energetici della materia che lo
costituisce ed i valori delle grandezze che ne definiscono le condizioni meccaniche alla scala
macroscopica siano distribuite o comunque varino in modo graduale. Ad esempio una massa d'acqua
rappresentabile con un sistema continuo mentre non cos per la sabbia.
Il concetto di continuit comunque legato alla scala di rappresentazione del fenomeno: un fluido,
per esempio, costituito da molecole in continuo movimento molto distanti tra loro (rispetto alle loro
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12
dimensioni). Alla scala molecolare, pertanto, non ha senso definire il valore puntuale di una
grandezza poich questo valore varia in maniera discontinua nello spazio e nel tempo in funzione
della presenza o meno di una molecola nel punto in esame. Prendendo in considerazione un volume
di fluido abbastanza grande da contenere un numero sufficiente di molecole, questa discontinuitpu
essere concettualmente superata. Le grandezze di interesse (massa, peso, ecc.) vengono riferite al
centro d'inerzia di questo volume le cui dimensioni debbono essere tali da includere un numero
significativo di molecole ma, nel contempo, inferiori all'ordine di grandezza delle dimensioni di
interesse della meccanica dei fluidi. Si definisce pertanto particella una porzione di fluido di
dimensioni opportune alla quale far corrispondere i valori delle grandezze riferiti, per convenzione al
baricentro della particella.
Si richiamano le definizioni note dalla fisica elementare:
Solido: corpo che possiede forma e volume propri
Fluido: corpo che non possiede forma propria
- Liquido: corpo che possiede volume proprio
- Aeriforme: corpo che non possiede volume proprio
E' utile a questo punto richiamare i principi e le leggi fondamentali che interessano l'idraulica
suddividendo quest'ultima, una volta attribuite ai liquidi le propriet fisiche dei sistemi continui, in
Idrostatica e Idrodinamica.

1.3.1.1 Idrostatica

Riguarda lo studio delle condizioni di equilibrio dei liquidi in un campo di forze (attive e reazioni
vincolari).
Riprendendo concetti ginoti dalla fisica, si dirche un corpo in equilibrio quando la risultante delle
forze e il momento risultante delle stesse rispetto ad un punto qualunque sono nulli, cio:

F M

0 0 , (1.3.1)


1.3.1.2 Idrodinamica

Riguarda lo studio del moto dei liquidi in un campo di forze che ne costituisce la causa. Si faccia
riferimento alla II legge di Newton (1.1.1) ed alla III, secondo la quale, quando due particelle
interagiscono, la forza agente su una particella uguale ed opposta a quella agente sull'altra.
Sfruttando le propriet dei sistemi continui pertanto possibile isolare una particella di liquido
dall'ambiente circostante, senza turbare le condizioni di equilibrio: sufficiente mettere in conto le
azioni che reciprocamente si esercitano sulla superficie di separazione (Fig. 1.2) tra la particella
isolata e il liquido circostante.

Fig. 1.2

1.3.2 Teorema delle forze vive

Attraverso questo teorema si giunge a dimostrare l'equivalenza quantitativa tra lavoro ed energia.
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13
L'enunciato il seguente: "La variazione di energia cinetica di un corpo eguaglia il lavoro compiuto
dalle forze esterne ad esso applicate". Per la dimostrazione si fa ricorso al consueto esempio del
moto di un grave G che cade liberamente per effetto delle forze esterne ad esso applicate, cio la
forza peso p. (Fig. 1.3).

Fig. 1.3

Nell'istante t
1
il corpo transita alla quota z
1
con velocit v
1
e sar in possesso dell'energia cinetica
E mv
1 1
2
1
2
.

Nel successivo istante t
2
transita alla quota z
2
con velocit v
2
sarin possesso dell'energia cinetica
E mv
2 2
2
1
2
.

Nell'intervallo di tempo t = t
2
- t
1
, indicando con v
m
la velocitmedia in questo intervallo, il grave avr
percorso la distanza:

s = v
m
t (1.3.2)

A questo punto opportuno fare alcune osservazioni sul simbolismo adottato: queste considerazioni
valgono per la maggior parte delle rappresentazioni analitiche dei fenomeni che verranno presi in
considerazione nel seguito.
Con viene indicata una variazione piccola, ma non infinitesima, di una generica grandezza, in
relazione alla variazione di una grandezza fondamentale (solitamente spazio e/o tempo) di cui essa
funzione.
In luogo della trattazione rigorosa che prende in esame variazioni infinitesime, indicate con d, e
richiede quindi l'introduzione di limiti, derivate ed integrali, si far ricorso nel seguito alla
schematizzazione alle differenze finite, indicate appunto con .
Per meglio comprendere questa schematizzazione si consideri una generica funzione y= y(x) in cui
andamento rappresentato in (Fig. 1.4a).
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14

Fig. 1.4

Con A indicato l'i ntegrale della funzione nell'intervallo [x
1
-x
2
], ossia l'area sottesa alla curva y(x):

A y x dx
x
x


( )
1
2


Il valore medio della funzione y nell'intervallo :

y
y x dx
x x
A
x
x
x

( )
1
2
2 1

(1.3.3)

Se la funzione lineare (Fig. 1.4b):

y
A
x
y y x x
x x
y y

+

( )( ) ( )
1 2 2 1
2 1
1 2
2
1
2
, (1.3.4)

nel caso contrario (Fig. 1.4a) la (1.3.4) rappresenta una approssimazione del valore medio effettivo
espresso dalla (1.3.3).
Ne consegue che la schematizzazione alle differenze finite esatta solo nel caso in cui la prima
grandezza sia funzione lineare della variabile indipendente; negli altri casi il risultato tanto pi
approssimato quanto pi piccolo l'intervallo della variabile indipendente scelta.
Le variazioni sono sempre considerate convenzionalmente come differenza tra il valore finale e quello
iniziale della grandezza nell'intervallo prescelto; esse avranno quindi un segno e rappresenteranno,
se positive, un incremento, e, se negative, un decremento della grandezza considerata.
Nell'esempio del moto del grave la schematizzazione alle differenze finite risulta esatta: essendo
l'accelerazione costante, l'andamento della velocit funzione lineare del tempo, e quindi:

v
v v
m

+
1 2
2
(1.3.5)

La II legge di Newton pu quindi essere espressa nella forma:

F
v v
m m
t
m
t
g
d
d

(1.3.6)

Moltiplicando per lo spazio s e sostituendo la (1.3.2), si ha:

F
m

s m
v
t
s m v v (1.3.7)
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Semplificando e sostituendo nella (1.3.7) la (1.3.5), si ottiene:

F s m v v
v v
m v v
+
( ) ( )
2 1
1 2
2
2
1
2
2
1
2
(1.3.8)

Il primo termine rappresenta il lavoro delle forze esterne ed il secondo la variazione dell'energia
cinetica

L m v v
1
2
2
2
1
2
( ) (1.3.9)

In forma differenziale, il teorema delle forze vive pu essere dimostrato in maniera del tutto analoga:

F d
d
d
d d
d
d
d s m
v
t
s m v
s
t
mv v ,
e quindi

L F mv mv mv
x
x
x
x


ds dv
1
2
1
2
1
2
1
2
2
2
1
2
(1.3.10)


1.3.3 Principio della conservazione dell'energia

Si riallaccia direttamente alle conclusioni del precedente teorema ed uno dei principi fondamentali
della fisica. Il suo enunciato il seguente: "L'energia non si crea n si distrugge ma si trasforma".
Indicando con E l'energia cinetica, la (1.3.9) si scrive:

L E E
2 1
(1.3.11)

da cui:

E E L
1 2
+ ( ) (1.3.12)

Si consideri un corpo e l'ambiente che lo circonda: con L indicato il lavoro delle forze attive, cio
delle forze che l'ambiente esercita sul corpo in esame. In virt del principio di azione e reazione, -L
potr considerarsi come il lavoro delle forze reagenti, cio delle forze che il corpo esercita
sull'ambiente esterno.
L'energia iniziale E
1
quindi pari all'energia finale E
2
aumentata dell'energia ceduta dal corpo
all'ambiente circostante, cio il lavoro delle forze reagenti pari a -L. Ci equivale a dire che,
considerato l'insieme del corpo e dell'ambiente che lo circonda, il bilancio energetico globale in
costante equilibrio, cio che l'energia pu essere presente in diverse forme le quali si trasformano
l'una nell'altra attraverso il lavoro delle forze attive o delle forze reagenti (reazioni vincolari).

1.3.3.1 Energia potenziale nel campo gravitazionale

E' una forma di energia posseduta da un corpo per il solo fatto di trovarsi in una determinata
posizione nello spazio.
Si pensi a un corpo posto ad una certa quota rispetto alla superficie terrestre: venendo a mancare il
sostegno che lo mantiene in equilibrio, esso si mette in moto verso il basso sotto l'azione della forza
peso. Avviene quindi una trasformazione di energia potenziale in cinetica per effetto del lavoro
compiuto dalla forza peso.
Per quantificare l'energia potenziale necessario pertanto definire sempre un piano di riferimento
rispetto a cui misurare le quote. Il grave G (Fig. 1.5), sottoposto al campo gravitazionale terrestre, si
trova rispetto al piano di riferimento (z = 0) ad una quota Z.
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16

Fig. 1.5

Con riferimento al teorema delle forze vi ve, trascurando le resistenze al moto per attrito, si ha, quando
il grave si mette in moto passando dalla quota z=Z alla quota z=0:

L mgZ E E mv mv mv
Z Z

0 0
2 2
0
2
1
2
1
2
1
2

gZ v
1
2
0
2
(1.3.13)

La (1.3.13) consente di ricavare la velocit torricelliana, ovvero la velocitposseduta da un grave che
cade liberamente da una quota Z rispetto ad un piano orizzontale, quando passa per questo piano:

v gZ
0
2 (1.3.14)
Viceversa un corpo lanciato verticalmente verso l'alto con velocit v
O
a partire dalla quota z=0,
raggiunge la quota z=Z.

1.4 Caratteri fisici dell'acqua

1.4.1 Peso specifico e densit

Nel paragrafo 1.1.3 si ricordato che i valori del peso specifico (g=1000 kg
P
/m
3
) e della densit
dell'acqua distillata (=102 kg
P
s
2
/m
4
) sono rigorosamente esatti a 4C ed alla pressione atmosferica.
Tuttavia, con approssimazione del tutto accettabile, questi valori possono essere impiegati nella quasi
totalit delle applicazioni di interesse, anche in diverse condizioni di temperatura, contenuto salino,
torbidit.
In alcune applicazioni, tipicamente il dimensionamento statico di manufatti per l'irrigazione (vasche di
sedimentazione e di regolazione), occorre determinare correttamente il valore del peso specifico che,
per l'elevata torbidit, pu raggiungere valori pari a 1100 kg
P
/m
3
.

1.4.2 Comprimibilit

La comprimibilitcaratterizza la proprietdi un corpo di variare il proprio volume se sottoposto a una
variazione di pressione; nelle normali condizioni ambientali i solidi e i liquidi, e quindi l'acqua, si
possono generalmente considerare incomprimibili, cio variano in misura trascurabile il proprio
volume anche se sottoposti a notevoli variazioni di pressione.
Il coefficiente di comprimibilit, solitamente indicato con , esprime la variazione dell'unitdi volume
sottoposto a una variazione unitaria di pressione.
Per un corpo di volume V che, sottoposto ad una variazione di pressione p subisca una
corrispondente variazione di volume V, il coefficiente di comprimibilitvale:


1
V
V
p

[ F
-1
L
2
] (1.4.1)
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17

Il segno negativo che compare nella (1.4.1) consente di avere un valore positivo avendo espresso
V e p secondo la convenzione gi indicata (a un incremento di pressione corrisponde un
decremento di volume).
Il valore di varia con la temperatura. Per l'acqua si ha:

T

- 5,0 10
-9
m
2
/kg
P


4

- 4,8 10
-9
m
2
/kg
P


10

- 4,7 10
-9
m
2
/kg
P


20

- 4,6 10
-9
m
2
/kg
P


30

La comprimibilit dell'acqua, nelle usuali applicazioni pratiche, trascurabile. Infatti, la variazione di
un volume unitario a T=4 C sottoposto ad variazione di pressione pari 1 atm, che, come vedremo in
seguito, vale 10
4
kg
P
/m
-2
, :

V = - V p = 5 10
-9
. 1 . 10
4
= 5 10
-5
m
3


Solo in alcuni casi, date le forti variazioni di pressione, la comprimibilit dell'acqua non pu essere
trascurata: tipicamente nei fenomeni di moto vario nelle condotte in pressione (colpo d'ariete) dove le
forti variazioni di pressione sono indotte in generale da brusche variazioni della velocitdella corrente
(ad esempio intercettazione del flusso tramite saracinesche).
Nel seguito l'acqua saressere sempre considerata incomprimibile.
E' utile a questo punto fare alcune precisazioni circa l'unit di misura della pressione. Nel sistema
pratico espressa in kg
P
/m
2
: essa risulta pertanto molto piccola per le comuni applicazioni di
interesse.
Si fa solitamente ricorso, quindi, ad un suo multiplo, l'atmosfera tecnica: 1 kg
P
/cm
2
= 10000 kg
P
/m
2
.
Assai comodo risulta il riferimento come unit di misura alla pressione nelle normali condizioni
ambientali, cio la pressione atmosferica, sia perch quella che cade direttamente sotto la nostra
sensibilit, e quindi facilmente definibile, sia perch, se espressa nel SI, ha un valore pressoch
identico all'atmosfera tecnica.
Per determinarne il valore si ricorre alla notissima esperienza torricelliana (Fig. 1.6).

Fig. 1.6

Al livello del mare e alla temperatura 0 la pressione atmosferica in equilibrio con quella esercitata
al piede di una colonna di mercurio di 760 mm d'altezza. Indicando con la sezione trasversale
della colonna e conoscendo il peso specifico del mercurio

m
= 13600 kg
P
/m
3
, si ha:

p
V
a
2
kg m p /

m m

0 76 13600
10330
,
(1.4.2)

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18
Dato il piccolo divario tra il valore della pressione atmosferica e quello dell'atmosfera tecnica, in
alcune applicazioni, con approssimazione del tutto accettabile, si assumer come unit di misura la
pressione atmosferica attribuendole il valore dell'atmosfera tecnica.
Le pressioni, qualunque sia l'unitdi misura prescelta, possono essere espresse come:
pressioni relative, assumendo come valore origine la pressione ambiente normale (pressione
atmosferica);
pressioni assolute, assumendo come valore origine la pressione ambiente in assenza di
atmosfera (vuoto assoluto).
Ovviamente i due numeri che esprimono una stessa pressione nei due modi differiscono della
pressione atmosferica: p
ass
- p
rel
= p
a


1.4.3 Attrito interno o viscosit

1.4.3.1 Attrito tra solidi

Considerato un solido appoggiato su un piano e gravante su di esso per effetto del proprio peso P
(Fig. 1.7), risulta evidente che per muovere il corpo sul piano necessario imprimere una forza
capace di vincere la resistenza che quest'ultimo offre al moto. Questa resistenza prende il nome di
attrito.

Fig. 1.7

Viene tralasciata in questa sede la trattazione dei tipi d'attrito (radente, volvente, di primo distacco,
ecc.) e delle leggi che lo regolano, essendo questi argomenti giampiamente trattati nei corsi di fisica
elementare. E' comunque necessario ricordare che l'attrito tra due corpi solidi dipende dalla forza che
reciprocamente esercitano l'uno sull'altro normalmente alle superfici di contatto (pressione) e dalla
natura di queste superfici.

1.4.3.2 Attrito nei liquidi

Nel caso dei liquidi occorre distinguere due diverse manifestazioni delle forze d'attrito:
attrito esterno: resistenza che si oppone allo scorrimento del liquido rispetto alle pareti del
recipiente che lo contiene.
attrito interno: mutua resistenza che le particelle di un liquido oppongono al reciproco
scorrimento.
Si consideri un liquido in quiete (Fig. 1.8) e si isoli una particella: in conseguenza del campo
gravitazionale, l'ambiente esterno esercita sforzi diretti normalmente alla superficie di contatto (azioni
di compressione). La pressione all'interno del liquido e sulle pareti del recipiente la risultante di
questi sforzi di compressione.


Fig. 1.8

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In un liquido in quiete non esistono tra le particelle reciproci sforzi tangenziali, cio tangenti alle
superfici di contatto, e pertanto non si ha alcuna tendenza a modificare la forma del volume occupato:
in queste condizioni, i liquidi possono essere assimilati ai solidi.
Gli sforzi tangenziali insorgono allorch il liquido in moto, cio quando il volume occupato cambia
forma e le particelle assumono posizioni via via diverse e, in genere, velocitdiverse l'una dall'altra.
Si constata allora che la particella dotata di maggior velocit, indicata con A in (Fig. 1.9), esercita
un'azione di trascinamento sulla particella meno veloce ad essa adiacente, indicata con B e,
viceversa, quest'ultima induce un'azione frenante sull'altra; per il principio di azione e reazione le due
azioni sono uguali e contrarie.

Fig. 1.9

La presenza di queste mutue azioni tra strati di fluido in moto evidenziata mediante una semplice
esperienza. Si considerino due recipienti cilindrici coassiali di diversa area di base in grado di ruotare
senza attrito indipendentemente l'uno dall'altro: nell'intercapedine contenuta acqua. Mettendo in
rotazione con velocitangolare costante attorno al suo asse il cilindro esterno, si osserva che l'acqua
si mette progressivamente in moto dalla periferia al centro fino a mettere in moto anche il recipiente
interno (Fig. 1.10).

Fig. 1.10

Questo processo pu aver luogo solamente se all'interno del fluido insorgono sforzi in direzione
tangente al moto in grado di trascinare i successivi strati d'acqua e di trasmettere la coppia applicata
al cilindro esterno.
La determinazione di questi sforzi di attrito interni pu essere effettuata solo sperimentalmente:
tuttavia, nell'ipotesi che il moto del liquido sia laminare, rappresentabile cio con lamine che scorrono
parallelamente le une sulle altre, essi possono essere determinati analiticamente. Consideriamo due
di queste lamine (Fig. 1.11) distanti n e aventi differenza di velocit v e superficie . La forza, e
quindi lo sforzo, agente lungo la superficie di contatto valgono:

F
v
n
v
n

(1.4.3)

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20
Il coefficiente , che dipende dalla natura del liquido, prende il nome di coefficiente d'attrito interno o
viscosit; nel sistema tecnico ha dimensioni [FTL
2
] e viene solitamente espresso in kg
P
s/m
2
.

Fig. 1.11

La relazione (1.4.3), intuita da Newton, fu successivamente verifica sperimentalmente da Coulomb.
Proprio per effetto di queste resistenze reciproche, in un liquido che scorre entro pareti solide la
distribuzione delle velocitnon presenta discontinuit.

1.4.3.3 Attrito interno dell'acqua

E' stato sperimentalmente riscontrato che, nelle normali condizioni ambientali, la viscosit
indipendente dalla velocit e, con sufficiente approssimazione, dalle variazioni di velocit e di
pressione. Infatti solo forti variazioni dei valori di velocite pressione inducono significative variazioni
sulla viscosit.
Il valore di m per i liquidi cresce marcatamente con l'inverso dalla temperatura, contrariamente agli
aeriformi in cui la proporzionalit diretta. Per l'acqua a 10 e 20 risulta rispettivamente =0,000133
kg
P
s/m
2
e =0,0001024 kg
P
s/m
2
.
Questi valori, invero molto esigui, potrebbero sembrare trascurabili. Nelle applicazioni si osserva per
che, trascurando la viscositnello studio del moto dell'acqua, si ottengono risultati totalmente discordi
dai rilievi sperimentali.
Tuttavia una trattazione rigorosa del moto dell'acqua che prenda in considerazione, oltre al campo
gravitazionale, anche le forze dovute all'attrito interno estremamente complessa: spesso si fa
ricorso all'astrazione del cosiddetto fluido perfetto, cio un fluido incomprimibile e privo di attrito
interno. I risultati ottenuti grazie a questa astrazione debbono poi essere resi concordi con quelli
derivanti da sistematici rilievi sperimentali.
Inutile sottolineare ancora che tutte le precedenti considerazioni riguardano il liquido in moto. Per il
liquido in quiete l'astrazione a liquido perfetto rappresenta correttamente il comportamento reale. Il
liquido infatti pu considerarsi incomprimibile ed in esso non si manifesta alcun attrito interno,
comportandosi rigorosamente come un liquido perfetto.

1.4.4 Solubilit dei gas in acqua

I liquidi hanno la proprietdi assorbire una determinata quantit di gas (nelle applicazioni di interesse
solitamente aria atmosferica) con cui vengono a contatto attraverso la superficie libera.
La quantit in peso del gas disciolto dipende dalla pressione del gas soprastante, aumentando al
crescere di essa (legge di Henry), mentre il suo volume rimane invariato se la temperatura
sensibilmente costante.
Si consideri la campana pneumatica di (Fig. 1.12): abbassando o rialzando la campana, cio
incrementando o diminuendo la pressione del gas in essa contenuto, si riscontra un aumento o una
riduzione della percentuale in peso del gas disciolto.
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21

Fig. 1.12

Se l'esperienza condotta tenendo sensibilmente costante la temperatura, vale la legge di Boyle-
Mariotte:

pV=cost . (1.4.4)

Considerando il peso G di gas che occupa il volume V
i
alla pressione p
i
, variando la pressione fino al
valore p
f
, si ottiene:


V
p
V
p
G
p
G
p p p
i
f
f
i
i
f
f
i
i
i
f
f


(1.4.5)

Chiamati G
1
e V
1
il peso ed il volume del gas disciolto alla pressione p
1
, G
2
e V
2
le stesse grandezze
alla pressione p
2
, per la legge di Henry si ha:


G
p
G
p
V
p
V
p
1
1
2
2
1 1
1
2 2
2


(1.4.6)

Sostituendo la (1.4.5) nella (1.4.6), si ricava: V
1
=V
2
.
Mediante la legge di Henry sono spiegati gli ingenti quantitativi d'aria che si liberano nei punti pi
elevati delle lunghe condotte in pressione. Si consideri, ad esempio il tracciato di una condotta
riportato in (Fig. 1.13).


Fig. 1.13

Come verr mostrato nello studio dellidrostatica, la pressione in un punto dipende dal suo
affondamento rispetto al piano dei carichi idrostatici. Ne consegue che:

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22
p h p h p p G G
1 1 1 2 2 2 1 2 1 2
< < e , (1.4.7)

Il quantitativo in peso dei gas disciolti minore, quindi, nei punti pi elevati del tracciato, con
conseguente incremento del gas libero: si realizza pertanto un fluido bifase con caratteristiche di moto
completamente differenti da quelle di un fluido monofase.
Ne deriva la necessitdi installazione di opportuni organi di smaltimento dell'aria libera (sfiati).

1.4.5 Capillarit

Si consideri un recipiente molto grande contenente liquido in quiete e vi si immerga un tubo di piccolo
diametro: si osserva un'innalzamento ovvero un abbassamento del liquido lungo il tubo (Figg. 1.14
a,b). Nel primo caso la superficie di separazione liquido-aria (menisco) concava, nel secondo caso
convessa.

Fig. 1.14

Il fenomeno della capillarit , pi diffusamente analizzato in seguito, causato dalle tensioni che
insorgono sulle superfici di separazione liquido-aria. Nel caso in cui il liquido "bagna" le pareti del
tubicino (Fig. 1.14 a), le forze di adesione tra solido e liquido prevalgono su quelle di coesione entro il
liquido; nel caso contrario (Fig. 1.14 b) si dice che il fluido "non bagna" le pareti.
Questo fenomeno regolato dalla legge di Borelli:

h d = cost (1.4.8)

dove h l'altezza in mm dell'innalzamento o dell'abbassamento della colonna liquida e d il diametro
del tubo pure in mm.
Per l'acqua il valore di questa costante, che ovviamente ha le dimensioni di una superficie, 30 mm
2
,
per il mercurio -14 mm
2
.
La relazione (1.4.8) indica inoltre che i fenomeni di capillarit sono trascurabili al crescere del
diametro d; ci impone, per una accurata misura dei livelli idrici mediante tubi piezometrici, di adottare
diametri dei tubi maggiori di 2 cm.
Questo fenomeno particolarmente importante nelle applicazioni di interesse in quanto, come sar
illustrato pi avanti, il moto dell'acqua nel terreno non saturo regolato dalle forze capillari.
In particolare, per le falde freatiche, i fenomeni di risalita capillare possono essere consistenti
influenzando fortemente i quantitativi di acqua a disposizione delle colture.













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23
2. FONDAMENTI DI FLUIDODINAMICA

La materia composta da molecole, unite le une alle altre da un legame energetico. Lo stato della
materia nella accezione tradizionale si pu distinguere in: solido, liquido e gassoso. Lo stato solido si
differenzia dagli altri due per la non mobilitdelle molecole tra di loro. Quando le molecole non sono
allo stato solido costituiscono un fluido.

Definizione di Fluido:
Fra le molte definizioni di fluido che possiamo formulare il richiamo di una semplice immagine
intuitiva, come la seguente, penso renda chiaro il concetto:
FLUIDO = Insieme di molecole che possono scorrere le une sulle altre, legate quindi da un legame
energetico minore del legame esistente allo stato solido. La loro energia intrinseca invece maggiore
di quella posseduta allo stato solido.


Fig. 1 - Molecole di un Aeriforme Fig. 2 - Molecole dellAcqua

Le figure 1 e 2 rappresentano le molecole di due fluidi diversi: un aeriforme e un liquido (acqua) ad un
ingrandimento di 10
7
volte, in giallo gli atomi di idrogeno, in rosso quelli di ossigeno e in lilla quelli di
azoto. Le molecole dellaeriforme sono ad una distanza molto maggiore le une dalle altre rispetto al
disegno, se le distanze reali fossero rispettate
nellingrandimento, in unarea di questa dimensione se ne
potrebbe vedere al pi una sola. La molecola di acqua H
2
O ha
una forma molto condensata con gli atomi di idrogeno formanti
un angolo di 105. Le molecole dellacqua allo stato liquido sono
adiacenti le une alle altre e occupano meno spazio di quello
occupato dalla struttura cristallina allo stato solido, come si vede
dalla loro disposizione in Fig. 3. Nel passaggio dallo stato liquido
allo stato solido le molecole di H
2
O aumentano il volume
occupato di un 9.05%, di conseguenza la densit diminuisce di
un 8.3%.

Differenza tra liquido e aeriforme:
Il liquido si differenzia dallaeriforme per un maggiore legame energetico che consente allo stato
liquido una continuit della materia non presente allo stato di aeriforme. Lenergia intrinseca di ogni
molecola molto inferiore allo stato liquido di quella posseduta
allo stato gassoso. La continuit del liquido determina una
superficie di separazione tra lo stesso e gli altri stati sia solido
che aeriforme.

Definizione di liquido:
LIQUIDO = Insieme di molecole (di solito della stessa
sostanza) legate da una energia molto minore dello stato solido
e molto maggiore dello stato gassoso, che possono scorrere le
une sulle altre in un insieme continuo. Si definisce la densit
del liquido la massa di molecole contenuta in una unit di
volume, mentre il peso specifico il peso dellunit di volume.

Nel sistema (mks) la densit ha le dimensioni di un (kg-
massa)/(m
3
) e rappresenta la massa delle molecole di liquido
contenute in un m
3
.
Fig. 3 - Molecole del Ghiaccio


Fig. 4 - Molecole in un m
3

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24
Nel sistema tecnico invece il peso specifico , che rappresenta il peso delle molecole di liquido
contenute in un m
3
, ad avere le dimensioni di un (kg-peso)/(m
3
); mentre le dimensioni di nel sistema
(mks) sono quelle di un (kg-massa)/(m
2
s
2
).


Stato di un fluido:
-Lo stato di quiete di un fluido una condizione particolare
dello stato di moto e in certe condizioni dipende anche dal
sistema di riferimento scelto dallosservatore.
La condizione di mobilit isotropa per tutte le molecole,
ne consegue che lo stato di sforzo interno isotropo e
quindi uguale in tutte le direzioni. Si definisce con il
termine pressione, lo sforzo interno isotropo p, che ha le
dimensioni di un (kg-peso)/(m
2
).
Nello stato di quiete del fluido esiste un equilibrio tra le
forze esterne, che agiscono sullo stesso. Nella ipotesi
quindi di nullit di queste, lunica forza che agisce sul
fluido la forza di gravit. Se ne deduce che in un fluido
indisturbato la pressione su una assegnata superficie lo
sforzo generato dal peso della massa fluida, che gravita
su quella superficie. Ad esempio in un liquido la pressione
su una superficie il peso della massa liquida e aeriforme
sovrastante.
Se lunit di riferimento scelta quella della pressione
relativa, dove si pone per definizione la pressione
atmosferica sul piano di separazione tra liquido e
aeriforme uguale a zero, la pressione in un liquido su una superficie unitaria, giacente su un piano
parallelo al piano di separazione liquido-aria, data dal peso del volume liquido definito dalla
superficie unitaria e di altezza pari al dislivello tra i due piani. Definita con A la superficie unitaria e
con h il dislivello vale la seguente relazione:
pA= Ah p= h (kg-peso)/(m
2
)

-Nello stato di moto il fluido sede di continue interazioni tra le sue stesse molecole, a causa della
loro mobilit interna. La viscosit il parametro che individua il grado di interazione tra le molecole
del fluido, in altri termini rappresenta il valore del
legame energetico interno al fluido. Per meglio
identificarlo si suppone di considerare una
parete solida di superficie A, immersa nel fluido
in moto con giacitura parallela alla direzione del
moto. Si definisce allora la viscosit con il
parametro , che rappresenta il rapporto tra lo
sforzo

F
A
, esercitato dalla forza F
necessaria a contrastare lazione del fluido in
moto sulla superficie A della parete e la
variazione di velocit, che il liquido subisce per
la presenza della parete, lungo la normale alla
parete stessa e quindi trasversale alla
direzione del moto:


dV
dn
(kg-peso s/ m
2
)

Questo parametro varia con lo stato termico del fluido ma per gli aeriformi e per molti liquidi resta
costante al variare della velocit del fluido in moto. I liquidi che possiedono questa caratteristica si
chiamano newtoniani, gli altri invece si denominano, ad esempio: pseudoplastici, dilatanti, Bingham,
tixotropici, reopectici e elastoviscosi, a seconda del loro comportamento nella variazione della
viscositsia nel tempo sia nelle deformazioni.

Fig. 5 - Elemento di liquido compreso
tra il pelo libero e la superficie A


Fig. 6 - F/A= dV/dn

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25
Lacqua un fluido newtoniano e ha una viscosit poco variabile nel dominio di temperature del suo
stato di liquido, assumendo valori prossimi a0.0001 (kg-peso s/ m
2
) alla temperatura di 20 C, con
valori crescenti al limite di 0.00018 per temperature prossime a 0C e decrescenti verso 0.00003
intorno a 100C.
Nel moto del liquido la viscositdetermina il trasferimento delleffetto dellattrito tra il liquido e le pareti
solide periferiche, che lo contengono, allinterno dello stesso liquido. Si noti che la viscosit
dimensionalmente si pu interpretare come un rapporto tra lenergia (resistiva), dovuta al legame
intermolecolare interno, sulla portata della stessa massa liquida in moto.
Il moto dellacqua laminare quando lenergia impressa alle molecole del liquido per il loro moto
inferiore allenergia richiesta per rompere il legame esistente tra le molecole stesse altrimenti il moto
diventa turbolento e le molecole nel moto si miscelano.
Nel moto ogni molecola segue un percorso, chiamato traiettoria, che costituisce linsieme delle
posizioni assunte dalla stessa molecola in tempi successivi. Si possono poi individuare nel moto di un
liquido quelle linee immaginarie lungo le quali non si ha attraversamento di molecole, che hanno
come proprietdi avere in ogni loro punto tangente il vettore velocit. Queste linee vengono chiamate
linee di corrente. Linsieme di molecole che passano da un punto, a priori fissato, formano nel tempo
successivo una linea di fumo.
La traiettoria coincide con la linea di fumo solo quando la condizione del moto stazionaria.
Linsieme delle linee di corrente passanti per una linea chiusa, giacente su un piano normale alla
direzione del moto, definisce un tubo di flusso.
Il moto dei fluidi in genere tridimensionale; la velocite tutti i parametri connessi con il moto variano
secondo un riferimento cartesiano lungo le tre direzioni ortogonali V(x,y,z,t), in alcune condizioni per
le varazioni principali avvengono lungo due sole direzioni V(x,y,t) e in altre lungo una sola direzione
V(x,t), riducendo il problema a bidi o mono-dimensionale.
- Una corrente liquida stazionaria e uniforme quando le condizioni del moto non cambiano con la
posizione e nel tempo.
i,n V(x
i
,y
i
,z
i
,t
n
) = V(x
i+1
,y
i+1
,z
i+1
,t
n+1
)
- Una corrente liquida stazionaria non uniforme, quando le condizioni del moto cambiano con la
posizione ma non nel tempo.
i,n V(x
i
,y
i
,z
i
,t
n
) V(x
i+1
,y
i+1
,z
i+1
,t
n
), V(x
i
,y
i
,z
i
,t
n
) = V(x
i
,y
i
,z
i
,t
n+1
)
- Una corrente liquida uniforme non stazionaria quando ad un dato istante la velocit la stessa
in ogni punto ma cambia con il tempo.
i,n V(x
i
,y
i
,z
i
,t
n
) = V(x
i+1
,y
i+1
,z
i+1
,t
n
), V(x
i
,y
i
,z
i
,t
n
) V(x
i
,y
i
,z
i
,t
n+1
)
- Una corrente liquida non uniforme e non stazionaria quando varia la velocitda punto a punto e
nel tempo.
i,n V(x
i
,y
i
,z
i
,t
n
) V(x
i+1
,y
i+1
,z
i+1
,t
n+1
).

Moto di un liquido

Per lo studio di un liquido in moto si solitamente di fronte a una corrente liquida infinita. Si deve
quindi decidere se studiare il comportamento di un elemento specifico di liquido di massa fissata, che
costituisca un sistema chiuso dove il contorno varia nel tempo ma la massa non cambia e dove si
conoscano le forze che agiscono sul contorno, oppure se si vuole fissare una regione dello spazio
fissa rispetto un sistema di riferimento, entro la quale si studia il moto della corrente liquida. Il
contorno della regione non cambia nel tempo e di solito lo si sceglie coincidente con un tubo di flusso.
Il moto di un liquido si pu studiare utilizzando le leggi della dinamica classica. Per descrivere il moto
di una massa di liquido (ossia un insieme di molecole) si pu scrivere che la variazione dello stato
energetico della massa nella direzione del suo spostamento uguale alla somma delle forze che
determinano questa variazione:
dE
dl
F

dove E l'energia cinetica della massa, dl la coordinata spaziale lungo la direzione del moto e F
rappresenta la somma delle forze esterne sulla massa.
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26

Fig. 7 - Le forze sullelemento di liquido in moto.

Nella ipotesi di studiare il moto del liquido rispetto un riferimento fisso la velocitvaria in un moto non
uniforme e non stazionario da punto a punto e nel tempo; la variazione di velocit totale nel
passaggio da un punto generico A a un punto generico B si pu allora scrivere come dV = differenza
di velocit tra A e B ad un dato istante + differenza di velocit in B nella variazione temporale
dt. Si ha quindi:
dV
V
l
dl
V
t
dt +


dove dl e dt sono rispettivamente: la variazione di spazio tra A e B (dl) e la variazione nel tempo (dt).
La variazione di velocit nel tempo
laccelerazione
a
dV
dt

:
a
V
l
dl
dt
V
t
+


tenendo presente che V
dl
dt
, si ottiene per
laccelerazione:
a
V
l
V
V
t
+


In un riferimento cartesiano nei tre assi x,y,z e in una rappresentazione Euleriana (descrizione
spaziale del campo di moto rispetto un riferimento fermo con losservatore) il vettore velocit V in un
punto generico (x,y,z) si scompone nelle tre componenti u,v,w lungo gli assi rispettivamente x,y,z.
Ogni componente quindi variabile con la
posizione e con il tempo e si pu scrivere:
u(x,y,z,t), v(x,y,z,t), w(x,y,z,t). Valgono per le
componenti le seguenti relazioni: u=dx/dt,
v=dy/dt, w=dz/dt. Lincremento di velocit dV si
pu scomporre negli incrementi delle singole
componenti (du,dv,dw). Ogni incremento di una
componente della velocit esprimibile come
somma della variazione nello spazio e nel
tempo, come visto in precedenza per
lincremento del vettore velocit dV. Ad esempio
per lincremento du della componente di velocit
u(x,y,z,t), lungo lasse x, si ottiene la seguente
espressione:
dt
t
u
dz
z
u
dy
y
u
dx
x
u
du








+ + +


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Nelle ipotesi di riferirci ad un volumetto ideale di liquido dalla relazione sul bilancio tra il liquido che
entra e quello che esce dal volumetto nelle tre direzioni cartesiane (x,y,z) del sistema di riferimento,
vedi figura, si ottiene la seguente nota equazione di conservazione della massa:








t
u
x
v
y
w
z
+ + + 0

Infatti nella direzione dellasse x la
massa di liquido, che entra, durante il
tempo dt, nel volume di riferimento di
dimensione dx,dy,dz orientato
secondo gli assi cartesiani, data da:
udydzdt, mentre nello stesso tempo
esce la massa:
(
( )
)


u
u
x
dx dydzdt + . Se ne
deduce che la variazione di massa
allinterno del volume di riferimento,
dovuta alla componente del moto nella
direzione dellasse x data dalla
differenza tra la massa che esce e la
massa che entra:


( ) u
x
dxdydzdt .
In modo analogo si procede per le
altre direzioni, e sommando i contributi
si ottiene la variazione di massa totale,
dovuta al moto del liquido:






u
x
v
y
w
z
dxdydzdt + + + +






.
Se il liquido comprimibile la variazione di massa totale deve uguagliare la variazione di densit
allinterno del volume considerato che avviene nel tempo dt:

t
dxdydzdt. Si ottiene quindi con
semplici passaggi la precedente equazione di conservazione della massa. Questa equazione per un
liquido come lacqua, che si pu ritenere incomprimibile di densitcostante sia nello spazio che nel
tempo, si riduce alla seguente:






u
x
v
y
w
z
+ + 0


Passando ad esplicitare la relazione:
dE
dl
F

, si osserva che la variazione dello stato energetico
cinetico nello spazio si pu scrivere come variazione della quantit di moto del volumetto dxdydz
nellincremento temporale dt necessario per percorrere dl con velocitV (II legge della dinamica):
dE
dl
d Vdxdydz
dt

( )

per un liquido incomprimibile ( =costante) la precedente nelle tre direzioni cartesiane diventa:









u
t
u
u
x
v
u
y
w
u
z
dxdydz + + +

_
,



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v
t
u
v
x
v
v
y
w
v
z
dxdydz + + +

_
,











w
t
u
w
x
v
w
y
w
w
z
dxdydz + + +

_
,


Mentre la F la somma delle seguenti forze esterne al volumetto:
1) forza vettoriale che esprime la forza di gravit con g accelerazione di gravit scomposta nelle
tre direzioni cartesiane:
F g dxdydz
x x 1

F g dxdydz
y y 1


F g dxdydz
z z 1

2) forza vettoriale che rappresenta in forma operatoriale la forza di resistenza viscosa delle masse
liquide adiacenti al volumetto liquido considerato, scomposta nelle tre direzioni cartesiane:
F
u
x
u
y
u
z
dxdydz
x 2
2
2
2
2
2
2
+ +






( )

F
v
x
v
y
v
z
dxdydz
y 2
2
2
2
2
2
2
+ +






( )
F
w
x
w
y
w
z
dxdydz
z 2
2
2
2
2
2
2
+ +






( )

Queste relazioni sono state calcolate come risultante delle tensioni superficiali di attrito viscoso del
liquido adiacente sulle pareti del volumetto fluido considerato. Ad esempio la F
2x
componente nella
direzione dellasse delle x si pu scrivere, per un liquido considerato
incomprimibile, come somma delle variazioni delle tensioni
superficiali viscose, che costituiscono le risultanti degli sforzi viscosi
in quella direzione:

F
x y z
x
x
y
z
+ +







dove
x
lo sforzo, dovuto al legame viscoso, che agisce
perpendicolarmente alle pareti del volumetto normali allasse x, e
y

e
z
sono gli sforzi viscosi tangenti alle pareti del volumetto parallele
allasse x e rispettivamente normali allasse y e allasse z, vedi
figura. Il valore di questi sforzi dato dalle relazioni:



x
u
x
= = 2





y
u
y
v
x
+

_
,






z
u
z
w
x
+

_
,

ogni sforzo viscoso causato dalle variazioni di velocit, determinate dalla viscosit, che danno
componenti di forze nella direzione dellasse x. Nella ipotesi di liquido a viscositcostante si ottiene:

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F
u
x
v
y
w
z x
u
x
v
y
w
z
x
+ + + + +

_
,

_
,















2
2
2
2
2
2

Il termine tra parentesi somma di derivate prime per lequazione di continuit nullo e quindi la
precedente coincide con la F
2x
.

3) forza di pressione, causata dalla differenza di pressione lungo lo spostamento infinitesimo nella
direzione del moto, che nelle tre direzioni cartesiane diventa:
F
p
x
dxdydz
x 3




F
p
y
dxdydz
y 3




F
p
z
dxdydz
z 3




Introducendo queste espressioni nella relazione
dE
dl
F

scritta per ogni direzione cartesiana e


dopo aver diviso tutti i termini per dxdydz e sostituito / con , viscosit cinematica, si ottiene il
seguente sistema:


















u
t
u
u
x
v
u
y
w
u
z
u
x
u
y
u
z
g
p
x
x
+ + + + + ( )
2
2
2
2
2
2



















v
t
u
v
x
v
v
y
w
v
z
v
x
v
y
v
z
g
p
y
y
+ + + + + ( )
2
2
2
2
2
2



















w
t
u
w
x
v
w
y
w
w
z
w
x
w
y
w
z
g
p
z
z
+ + + + + ( )
2
2
2
2
2
2


inoltre, se il sistema di riferimento cartesiano ha l'asse delle z diretto secondo la verticale, le
componenti dell'accelerazione gravitazionale g
x
e g
y
sono nulle e g
z
=g.
Le precedenti relazioni costituiscono un sistema di quattro equazioni per le quattro variabili u,v,w e p,
che consente di determinare il campo di moto del liquido incomprimibile nello spazio-tempo (x,y,z,t).
Nelle equazioni precedenti compaiono termini inerziali e termini viscosi. La forza inerziale si pu
scrivere come proporzionale ai parametri dimensionali l V
2 2
, la forza viscosa invece
proporzionale a Vl ; il loro rapporto il numero adimensionale di Reynolds:
Forza inerziale
Forza viscosa





l V
Vl
lV
2 2

Se si ricorda la prima definizione di liquido sopra data (un liquido linsieme di molecole aventi
unenergia propria maggiore di quella allo stato solido, ma minore di quella allo stato gassoso,
e un legame energetico maggiore del legame allo stato gassoso, ma minore di quello allo stato
solido) si conclude che lenergia cinetica delle molecole introdotta dalla forza inerziale pu cambiare
il comportamento delle molecole del liquido nel loro moto se questa supera la soglia del legame
interno del liquido che rappresenta la forza viscosa resistente. Al superamento di tale soglia il moto
del liquido diventa turbolento, mentre al di sotto laminare. Il numero di Reynolds Re prima definito
quindi un possibile indice di questo cambiamento di stato del moto, per Re>2000 in genere il moto
diventa turbolento.

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30
5. IDROSTATICA

5.1 Pressione all'interno di un liquido

Faremo sempre riferimento, come abbiamo pi volte accennato ad un liquido perfetto. Una delle
conseguenze dell'assoluta mancanza di azioni tangenziali fra le particelle di un liquido in quiete il
disporsi della sua superficie libera secondo un piano sensibilmente orizzontale (in realtparallelo alla
curvatura terrestre). Infatti se la superficie libera non orizzontale (Fig. 5.1), esiste sempre una
componente della forza di gravit, tangenziale alla superficie delle particelle liquide, che porta queste
a scorrere le une sulle altre.













Fig. 5.1

Non essendoci per quanto detto, alcuna azione resistente, tali particelle raggiungono l'equilibrio solo
nella posizione in cui la forza di gravit; non ha alcuna componente tangenziale ed quindi tutta
contrastata dalle reciproche azioni normali alla loro superficie. Tale posizione di equilibrio risulta
essere pertanto quella normale alla forza di gravit; che in questa posizione il moto totalmente
impedito ce lo assicura l'incomprimibilitdel liquido.
Consideriamo ora la pressione esistente su una superficie orizzontale qualunque all'interno del liquido
(Fig. 5.2).


Fig. 5.2

Sia questa la superficie AB e sia un elemento di questa, sufficientemente piccolo per cui la
pressione su ogni punto di esso possa essere considerata costante. La pressione relativa elemento
dovuta esclusivamente al peso della colonna liquida sovrastante:

p

h
h

G
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31
Come si nota, essa non dipende dalla sezione ma esclusivamente dal peso specifico e dalla
profondith sotto la superficie libera. Analogamente per la pressione su tutti gli altri elementi della
superficie AB, per cui si pu affermare che sull'intera superficie orizzontale grava la stessa pressione
funzione di e h. Per di pi, considerando al limite un elemento di superficie talmente piccolo da poter
essere assimilato al punto P, anche su esso la pressione dipende esclusivamente dal peso specifico
e dalla profondit h
P
. Per ora il punto P si pu considerare appartenente ad una qualunque delle
infinite superfici passanti per esso e perci la pressione su esso risulta indipendente dalla direzione.
Ci si esprime pi esattamente dicendo che la pressione una grandezza prettamente scalare,
individuata cio solo dalla sua intensit. Tutte queste considerazioni esprimono il noto principio di
Pascal valevole appunto per un liquido in quiete. La pressione in un punto della massa liquida si
trasmette in ogni direzione con uguale intensit.
L'ipotesi precedentemente fatta sulla mancanza di totale di azioni tangenziali tra le particelle liquide,
serve anche a chiarire concettualmente il perch un liquido perfetto non pu avere alcuna resistenza
e trazione. Infatti esaminando lo stato di tensione per trazione in un cubetto solido (Fig. 5.3), ci
accorgiamo che la resistenza alla trazione offerta da questo, dovuta esclusivamente alla resistenza
d'attrito per scorrimento delle superfici di minima coesione (che saranno poi quelle di rottura pi
probabile) AB o A' B'.


Fig. 5.3

Mancando, come premesso ogni attrito interno nel liquido perfetto, questo non pu resistere a
trazione. Perch il liquido mantenga la sua continuit fisica occorre che sia sempre in stato di
compressione. Pertanto la sua pressione assoluta deve essere sempre maggiore di zero ovvero la
sua pressione relativa non deve raggiungere mai il valore -1 atm. Per questa ragione le condotte
aspiranti delle pompe, perch queste ultime si possano adescare, non devono essere di lunghezza
eccessiva e la pompa non deve raggiungere la quota teorica di 10,33 m sopra quella della superficie
libera. In pratica questa lunghezza e questa quota devono essere notevolmente minori per tenere
anche conto che l'aria che si libera alle basse pressioni, pu interrompere la continuitdella massa
liquida ed impedire l'adescamento.

5.2 Equazione fondamentale dell'idrostatica

Considerato un elemento della massa liquida indefinita, cerchiamo di esprimere, mediante
un'equazione tra le varie azioni esercitate su di esso, il suo stato di equilibrio. Immaginiamo tale
elemento concretizzato in un cilindretto di liquido, avente la superficie superiore ed inferiore
rispettivamente ad una quota z
1
e z
2
, rispetto ad un piano di riferimento (z = 0) , e sia la sua
sezione trasversale (Fig. 5.4a). Le azioni esercitate su tale elemento, saranno:

- le forze di massa dovute alla gravitcio il peso del volume liquido V:

G = V

G = (z
1
- z
2
) (5.2.1)
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32

- le forze di superficie, dovute alle pressioni esercitate sulle superfici del cilindretto: chiamate p
1
e p
2

le pressioni esercitate rispettivamente sulla superficie superiore ed inferiore, le forze corrispondenti
saranno:

F
1
= p
1
; F
2
= p
2
; (5.2.2)

essendo le due forze dirette chiaramente in senso contrario e F
2
diretta nello stesso verso di G.
L'insieme delle forze esercitate sulla superficie laterale del cilindretto risulternullo e ci in forza del
fatto che esse, tutte dirette radialmente (Fig. 5.4b) risultano uguali ed opposte su ogni singolo piano
orizzontale. Per l'equilibrio dovrrisultare nulla la risultante delle forze (1) e (2) e cio:

G + F
1
+ F
2
= 0 da cui:

(z
1
- z
2
) + p
1
- p
2
= 0 e infine:

z
p
z
p
1
1
2
2
+ +

(5.2.3)

Non essendo stata fatta alcuna ipotesi sull'orientamento e sulla posizione del cilindretto in esame, le
considerazioni fatte hanno un valore del tutto generale per cui la (5.2.3) pu essere scritta:

z
p
+

cost (5.2.4)

La (5.2.4) rappresenta l'equazione fondamentale dell'idrostatica. Cerchiamo il valore della costante
che interviene nell'espressione (Fig. 5.4).


Fig. 5.4

Pensando di riferirci nelle considerazioni precedenti alle pressioni relative e prendendo in esame la
superficie libera della massa liquida precedente, anche per quest'ultima vale la relazione:

z
p
*
*
+

cost (5.2.5)

ma p* = 0 per cui z* = cost

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33
La costante pertanto rappresenta la quota della superficie libera della massa liquida in esame. Si pu
allora scrivere:

z
p
z +

*

che ci permette, una volta nota la quota di una qualunque superficie in una massa liquida in quiete e
quella della sua superficie libera, di calcolarne la relativa pressione. Infatti dette z
O
e p
O
la quota e la
pressione di una superficie orizzontale qualunque (Fig. 5.5) si potrscrivere:

z
p
z
0
0
+

* ovvero :

p
0
= (z* - z
O
) , dove al secondo membro compaiono tutti elementi noti.

Posto: z* - z
O
= h (affondamento) si avr:

p = h (5.2.6)

Fig. 5.5

La (5.2.6) ci dice che la pressione su una superficie orizzontale di una massa liquida indefinita
misurata dal prodotto dell'affondamento sotto la superficie libera per il peso specifico del liquido
stesso. In tutte le considerazioni precedentemente fatte trova giustificazione il noto principio dei vasi
comunicanti (Fig. 5.6). Infatti trattandosi della stessa massa liquida, la superficie libera dei due
recipienti, superficie per quanto detto isobarica, dovrtrovarsi sullo stesso piano orizzontale.

Fig. 5.6


5.3 Superficie libera e piano dei carichi idrostatici
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34

Ai termini dell'equazione fondamentale dell'idrostatica si attribuiscono denominazioni particolari:

- z prende il nome di quota geometrica, riferita ad un piano di riferimento.

-
p

prende il nome di altezza piezometrica.



Che si tratta di un'altezza appare immediatamente dall'analisi dimensionale

p F L
F L

1
]
1

1
]
1

/
/
2
3
L [ ]

Di fatto rappresenta l'altezza di colonna liquida alla base della quale c' la pressione p
p
h

_
,
.
La somma dei termini z
p
+

1
]
1

cost viene chiamata quota piezometrica, e dalle considerazioni


precedentemente fatte sul valore della costante z* , rappresenta la quota della superficie libera della
massa liquida indefinita. Si pu perci affermare che, se da un piano alla quota z rispetto ad un piano
di riferimento innalziamo tanti segmenti di lunghezza pari a
p

, gli estremi superiori di questi


individuano la superficie libera del liquido in quiete, ovvero il piano dei carichi idrostatici, se la
superficie del liquido non si trova a pressione atmosferica. Esaminiamo in particolare quest'ultimo
caso. Si consideri il recipiente in pressione della (Fig. 5.7) e il piano AB a quota z.

Fig. 5.7

Posta sempre valida l'equazione fondamentale z +
p

cost , il nuovo valore della costante non


coincider questa volta con la quota della superficie libera. Infatti in questo caso p* (pressione
relativa) della (5.2.5) non sar pi nulla ma avrun valore definito, positivo o negativo a seconda che
la superficie libera si trovi a pressione maggiore o minore di quella atmosferica.
Si avrallora (Fig. 5.7)

z
p
Z
p
+ t

*
*
e quindi:
p p

t ( Z* - z )
*


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Il piano individuato dalla quota piezometrica quindi non coincider pi con la superficie libera ma si
trover ad una quota maggiore o minore di quest'ultima a seconda che la pressione assoluta sulla
superficie libera sia maggiore o minore di quella atmosferica. Coincidercon quella solo nel caso che
la pressione sia uguale a quella atmosferica. Il nuovo piano individuato appunto il piano dei carichi
idrostatici. Anche in questo caso la pressione su un piano qualunque entro la massa liquida indefinita
viene misurata dall'espressione: p = (Z* - z) dove per Z*- z in questo caso rappresenta
l'affondamento sotto il piano dei carichi idrostatici. Di conseguenza il piano dei carichi idrostatici,
quando nel recipiente il liquido si trovi a pressione minore di quella atmosferica taglierla massa
liquida e tutte le particelle al disopra di quel piano avranno pressioni relative negative.
Unica condizione, perch il liquido mantenga le sue caratteristiche fisiche, per quanto detto in
precedenza, che l'affondamento di tale piano sotto la superficie superiore del liquido non superi m.
10,33, che corrispondono all'altezza della colonna liquida facente equilibrio alla pressione
atmosferica. A pressione assoluta nulla la massa liquida perde infatti la sua continuit fisica e le
particelle liquide si comportano indipendentemente l'una dall'altra.
In definitiva si potr concludere che ogni massa liquida ha un suo piano di carichi idrostatici, che la
pressione su un qualunque piano orizzontale di detta massa viene misurata dal prodotto
dell'affondamento sotto quel piano per il peso specifico del liquido. In particolare se la superficie
superiore della massa liquida ha pressione relativa nulla, essa prende il nome di superficie libera
della massa liquida ed il piano dei carichi idrostatici in questo caso coincide con essa.

5.4 Diagramma delle pressioni

Riferendoci alla nota espressione (5.2.6) , che esprime le pressioni in funzione dell'affondamento,
spesso utile rappresentarne graficamente l'andamento. Normalmente si riportano le pressioni
sull'asse delle ascisse, scelte come retta orizzontale appartenente al piano dei carichi idrostatici ed
orientata verso l'esterno della massa liquida, e gli affondamenti sull'asse delle ordinate orientato verso
il basso. Spesso quest'ultimo si fa coincidere con la traccia della parete laterale del recipiente di
contenimento, in ragione dell'interesse che riveste la conoscenza dell'andamento delle pressioni sulle
pareti stesse ai fini del loro dimensionamento statico. L'andamento delle pressioni, come si rileva
dall'espressione (5.2.6) lineare, il che significa poterlo rappresentare graficamente mediante una
retta. Questa retta in particolare passa per l'origine degli assi (h = 0; p = 0) . Data l'assoluta libertdi
scelta della scala grafica per la rappresentazione, generalmente si adotta quella per la quale l'angolo
formato dalla retta con gli assi sia di 45 .In relazione all'esistenza o meno della superficie libera
oppure al fatto che il piano dei carichi idrostatici tagli o non tagli la massa liquida, si possono avere i
seguenti casi rappresentativi. Scelta come abbiamo detto precedentemente, una scala opportuna, per
es. affondamenti 1 cm = 1 m, pressioni 1 cm = 1000 kg/m
2
l'andamento grafico sarrappresentato in
ogni caso da una retta a 45 sugli assi.

1) Esiste una superficie libera (Fig. 5.8).
Per ogni affondamento h si ha una pressione p misurata dall'ascissa corrispondente della retta r.



Fig. 5.8

2) Non esiste una superficie libera (Fig. 5.9).
Si vede chiaramente dalla figura una successiva distinzione in due casi:
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36
a) piani dei carichi idrostatici, superiori alla massa liquida (retta r).
b) piano dei carichi idrostatici interno alla massa liquida (retta r').



Fig. 5.9

Nel primo caso si avrun tratto di diagramma fittizio AB, partendo il diagramma effettivo dal punto B
in corrispondenza della superficie superiore del liquido.
Nel secondo caso, tenendo sempre presente che la pressione in esame quella relativa, si avr: un
primo tratto A' B' di pressioni negative, un punto B' in corrispondenza del piano dei carichi idrostatici
dove la pressione nulla e quindi, a partire da B', il diagramma positivo delle pressioni.

3) Esiste sopra la superficie del liquido un gas in pressione (Fig. 5.10).

Fig. 5.10

Anche in questo caso esiste un tratto AB di diagramma fittizio per le pressioni della massa liquida. Il
valore DB, rappresentativo della pressione sulla superficie superiore della massa liquida,
rappresenter anche la pressione del miscuglio gas-vapori del liquido, essendo la superficie in
questione superficie di separazione dei due elementi in equilibrio. Essendo poi, come noto, costante
la pressione in ogni punto di un elemento gassoso in equilibrio, CB rappresenteril diagramma delle
pressioni nella massa gassosa. Si pu qui osservare che se la parete del recipiente risulta inclinata
valgono le identiche considerazioni precedenti.
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Solo per comodit di rappresentazione spesso si usa portare le pressioni normalmente alla traccia
della parete ottenendo il diagramma inclinato della figura 5.11. Si intende per che normalmente al
punto generico p verr sempre portato un segmento pari al prodotto di per l'affondamento h di p
sotto la superficie libera.



Fig. 5.11


4) Diagramma delle pressioni in una massa composta da liquidi di diversa natura non miscibili.
Qualche volta in pratica pu essere necessario valutare l'andamento delle pressioni all'interno di una
massa composta da liquidi non miscibili di peso specifico differente (p. es. acqua ed oli), oppure dallo
stesso liquido che varia il proprio peso specifico con l'aumentare della torbidit (laghi naturali o
artificiali con peso specifico diverso a diversa profondit).
Esaminiamo per esempio il caso di un miscuglio di 3 liquidi (Fig. 5.12):

olio
O
= 800 kg/m3
acqua
A
= 1000 kg/m3
mercurio
M
= 13600 kg/m3

Salvo che per una situazione di equilibrio instabile i liquidi si dispongono in tre strati a seconda del
peso specifico.

Fig. 5.12

Anche in questo caso la superficie libera, per le considerazioni fatte a suo tempo, si disporrsecondo
una superficie sensibilmente orizzontale. Di conseguenza, per la validitdell'equazione fondamentale
dell'idrostatica: p = h, anche le superfici di separazione (essendo isobariche) saranno parallele alla
superficie libera e quindi sensibilmente orizzontali. Il diagramma delle pressioni non sarpi una retta
partente per l'origine ma una spezzata e i punti di vertice risulteranno in corrispondenza delle superfici
di separazione. La giustificazione ovvia dal punto di vista della rappresentazione analitica, se si
pensa che nell'espressione lineare p = h varia il coefficiente di proporzionalit (coefficiente
angolare della retta) e quindi l'inclinazione del diagramma sugli assi (Fig. 5.13). Anche intuitivamente
poi si pu osservare che con un peso specifico maggiore a parit di affondamento si avr una
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38
pressione maggiore, e perci l'angolo formato dalla retta rappresentativa del diagramma con l'asse
degli affondamenti aumenta. In conclusione si avril diagramma indicativo di figura 5.13.

Fig. 5.13

Anche senza tracciare il diagramma pu essere utile conoscere la pressione in ogni punto della
miscela. Per questo scopo si pu procedere analiticamente, ricorrendo alla legge fondamentale
dell'idrostatica nella forma p = h . Sarsufficiente, per tutte le considerazioni fatte in precedenza,
individuare la posizione del piano dei carichi idrostatici dei 3 liquidi. La pressione in seno all'olio non
sar influenzata dalla presenza degli altri liquidi, per cui il suo piano dei carichi idrostatici coincider
con la superficie libera. Per l'acqua e il mercurio, essendo questi liquidi sovrastati da quello a peso
specifico minore, il piano dei carichi idrostatici risulter a quota inferiore della superficie libera. Per
individuare l a quota di questi piani si procede calcolando la pressione in un punto generico delle
masse liquide corrispondenti.
Sia A un punto generico della massa d'acqua (Fig. 5.13):

p
A
= h
1

O
+ h
A

A
; ma poich: H
p
A
A
A

si ha:

H
h h
h h
A
O
A
A A
A
O
A
A
=
1
1

_
,
+ ed essendo

O
A
< 1

si ricava quanto intuitivamente previsto e cio che il piano dei carichi idrostatici dell'acqua taglia la
massa liquida del miscuglio. Per il punto generico M del mercurio si procede analogamente:

P
M
= h
1

O
+ h
2

A
+ h
M

M
e poich: H
P
M
M
M

si ha:

H h h h
M
O
M
A
M
M

_
,
+

_
,
+

1 2


Si vede chiaramente che, essendo

A
M
< 1 e

O
M
<

O
A


il piano dei carichi idrostatici del mercurio sara quota inferiore di quella dell'acqua.
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In conclusione si pu affermare che in seno ad un miscuglio di pi liquidi di natura diversa ciascuno di
questi ha un proprio piano di carichi idrostatici. Tale piano quello dal quale bisogna misurare
l'affondamento per il calcolo della pressione all'interno della massa del liquido a cui si riferisce.

5.5 Apparecchi di misura della pressione

Servono a calcolare la pressione in un punto (o in un piano) generico di un liquido in quiete o in moto.
Questo significa, per le considerazioni fatte in precedenza, individuando il piano dei carichi idrostatici
di un liquido in quiete, conoscere la pressione in ogni punto della sua massa. La conoscenza della
pressione in seno a un liquido permetter, come vedremo in seguito, di determinarne lo stato di
quiete o di moto, nonch di determinare certe grandezze relative al moto stesso.

5.5.1 Manometri

Gli apparecchi atti alla misura della pressione si chiamano manometri. Il tipo pi semplice di
manometro quello a superficie libera, che si basa sul noto principio dei vasi comunicanti. In ragione
di questo principio le superfici libere di uno stesso liquido in quiete si dispongono sullo stesso piano
orizzontale. Per questo, inserendo un tubo con un tronco verticale di opportuna lunghezza nella
parete di un recipiente contenente un determinato liquido in quiete, tale liquido riempiril tubo sino a
che la superficie libera in esso raggiungerla quota della superficie libera nel recipiente o il piano dei
carichi idrostatici, se la superficie del liquido si trova nel recipiente a pressione diversa da quella
atmosferica. Occorre naturalmente che il tubo, in funzione del tipo di liquido contenuto nel recipiente,
sia di diametro sufficiente affinch non intervengono effetti secondari di capillarit. A questo scopo
per l'acqua si usano tubi del diametro almeno di un paio di cm. Nel caso dell'acqua (Fig. 5.14), per
quanto precedentemente detto, p
0
=
a
. Onde evitare, in presenza di notevoli pressioni, una
eccessiva escursione del menisco nel tubo del manometro e quindi installazioni ingombranti o
viceversa per piccole pressioni, escursioni valutabili con difficolt, si ricorre a liquidi manometrici
rispettivamente di peso specifico maggiore o minore di quello del liquido in esame.


Fig. 5.14

Nelle misure comuni per l'acqua si usa il manometro a mercurio. Esso costituito da un tubo ad U
contenente nella sua parte a gomito un quantitativo opportuno di mercurio (Fig. 5.15).

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40

Fig. 5.15

Quando il manometro non connesso, i due menischi si trovano nelle due posizioni A e B sullo
stesso piano. Se esso viene inserito, essendoci nel primo tronco una pressione maggiore che nel
secondo, il menisco A si deprime e passa in A' e B si innalza e passa in B'. La pressione si misura
dalla differenza di quota tra i due menischi, proprio considerando che in seno al mercurio la superficie
orizzontale passata per A' e B" risulta isobarica. Chiamate con p
1
e p
2
le pressioni in corrispondenza
di due punti A' e B" e con p
0
quella in corrispondenza del baricentro 0 della sezione di attacco si ha:
p
1
= p
2
. Ma essendo p
2
=
m
, dato che non altro che l'affondamento sotto il piano dei carichi
idrostatici e
m
il peso specifico del mercurio, si ricava: p
2
=
m
. Considerando che il tronco al di
sopra del menisco del mercurio della posizione A' riempito dall'acqua e nella sezione a contatto dei
due liquidi si ha la stessa pressione, si ricava:

p
1
=
a
H
a
= p
2


La determinazione del piano dei carichi idrostatici, onde conoscere la pressione in ogni punto del
liquido, essendo noto p
1
, risulta immediata.
Con riferimento alla (Fig. 5.15):

H
p p
a
a a
m
a

1 2



I manometri a superficie libera danno misure esatte ma di contro sono ingombranti e di difficile
impiego.
Molto pi usati nella pratica, quando non si voglia una notevole approssimazione nelle misure, sono i
manometri metallici. Nel tipo Bourdon l'apparecchio connesso al recipiente mediante un tubo che
trasporta il liquido sin dentro un piccolo condotto ad arco di spirale. In esso, ad una determinata
pressione, essendo lo sviluppo della superficie laterale esterna maggiore di quella interna,
corrisponde una determinata forza risultante che tende a svolgere la spirale. Infatti (Fig. 5.16),
chiamate S
e
ed S
i
le superfici laterali esterna ed interna del tubo della spirale, a paritdi pressione p
su di esse, si ha:

F
S
p
F
S
e
e
i
i
ed essendo S
e
> S
i
per la differenza dei raggi di curvatura r
e
> r
i
, sar:

F
e
> F
i


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41

Fig. 5.16

Tarando opportunamente l'apparecchio per confronto con un manometro a mercurio, si potr avere,
attraverso una scala graduata, direttamente la misura della pressione. E' importante notare per che il
manometro metallico misura le pressioni in funzione della posizione del suo baricentro. Vale a dire
misura la pressione sul piano della massa liquida passante per il suo baricentro. E non poteva essere
diversamente, se si tiene conto della colonna liquida esistente nel tubo di connessione. Consideriamo
le due posizioni 0' e 0" del baricentro dello stesso manometro metallico (Fig. 5.17).

Fig. 5.17

La pressione che misureril manometro sarquella della sezione terminale del tubo di connessione,
vale a dire del piano passante per 0' o per 0". Considerati gli abbassamenti H' e H" del baricentro
sotto il piano dei carichi idrostatici, le due pressioni misurate saranno p' = H' e p"= H".
Per ricondurci nei due casi alla pressione del piano passante per il punto di connessione A, occorrer
aggiungere o togliere la pressione dovuta alla colonna liquida sottostante o sovrastante il piano
passante per il baricentro dello strumento.

p = H' + h' = H
A


p = H" - h" = H
A


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Analoghe considerazioni valgono per recipienti in pressione, se si tiene presente il significato di piano
dei carichi idrostatici.
Altri manometri impiegati sono quelli a gas, che servono in genere per misurare pressioni elevate.
Sono dei comuni manometri a mercurio, nei quali l'estremitdel tubo ad U, anzich comunicare con
l'atmosfera, viene chiusa superiormente e riempita da un gas opportuno. In questo modo il menisco
del mercurio, innalzandosi, comprime il gas. Da questa compressione, riferendoci alla nota legge di
Boyle e Mariotte, mediante preliminare taratura, si determina direttamente la misura della pressione.

5.5.2 Manometro differenziale

Un particolare tipo di manometro quello differenziale. Cos chiamato perch non misura
direttamente la pressione ma la differenza di quota piezometrica tra liquidi in recipienti diversi oppure
tra due punti di una stessa massa liquida. Particolarmente importante la valutazione della differenza
di quota piezometrica tra due punti di un liquido in moto, come pi avanti vedremo, per la
determinazione in certe condizioni delle grandezze caratteristiche del moto.
Date due masse liquide, aventi piani dei carichi idrostatici a diverse quote, riferendoci al dislivello tra i
menischi di un manometro che connetta le due masse, si potr risalire alla differenza di quota tra i
due piani menzionati e quindi alla differenza di quota piezometrica tra due punti qualunque delle
masse stesse. Con riferimento alla figura 5.18, posto in = Z
1
- Z
2
la differenza di quota tra le
superfici libere o i piani dei carichi idrostatici, riconoscendo in A B una superficie isobarica per cui p
1
=
p
2
si ha:

p
1
=
a
h
1
(5.5.2.1);

p
2
=
a
h
2
+
m
(5.5.2.2)

essendo ovvio il significato dei simboli. Sempre con riferimento alla figura 5.18, si ha anche:

h
1
= + h
2
+ per cui p
1
=
a
(+ h
2
+ )

e dalle (5.5.2.1) e (5.5.2.2)


a
(+ h
2
+ ) =
a
h
2
+
m
per cui risulta:
a
= (
m
-
a
) . In definitiva:

m
(5.5.2.3)
che rappresenta la formula del manometro differenziale.


Fig. 5.18

Per due liquidi in quiete, essendo per la considerazione fatta in precedenza il piano dei carichi
idrostatici comune a tutti i punti di una stessa massa, la differenza di quota tra i menischi di un
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43
manometro non dipenderdai punti di connessione. Lo stesso non si pu dire per i liquidi in moto, in
cui come si vedr, la quota piezometrica varia in funzione dei punti della massa considerata. Nel caso
dell'acqua e del mercurio, quest'ultimo preso come liquido manometrico, l'espressione

m


assume il valore numerico costante 12,6 per cui la formula del manometro differenziale diventa:

= 12,6 (5.5.2.4)

Dalla (5.5.2.4) si rileva l'utilit, gi richiamata precedentemente, di usare il mercurio come liquido
manometrico al posto dell'acqua. Si possono rilevare differenze di pressione sensibili con escursioni
dei menischi 12,6 volte minori.

5.6 Spinta di un liquido sulle pareti di un recipiente

Uno degli aspetti pratici pi interessanti della idrostatica la determinazione delle spinte sul fondo e
sulle pareti di un recipiente contenente un liquido di determinato peso specifico. Si tratta di risalire, dal
calcolo delle forze che si esercitano tra le particelle di un liquido e tra particelle del liquido e particelle
solide del recipiente (pressione), alla forza complessiva esercitata dall'intera massa liquida su una
determinata superficie. La spinta ha di fatto la dimensione di una forza e si calcola facendo il prodotto
della pressione per la superficie su cui si esercita:

S = p ; [ p ] = [ F L
-2
]; [ ] = [ L
2
];

[ S ] = [ F L
-2
L
2
] = [ F ]
si misurerpertanto in kg.

5.6.1 Spinta sul fondo

Dato il recipiente cilindrico della figura 5.19, per calcolare la spinta sul fondo orizzontale, partiremo
dalla misura della pressione costante su ogni punto di detta superficie.

Fig. 5.19

Tale pressione sarmisurata come al solito dal prodotto dell'affondamento h sotto il piano dei carichi
idrostatici per il peso specifico .

p = h
0


Chiamata con la superficie del fondo, la spinta su di essa verr: S = p e quindi:

S = h
0
(5.6.1.1)

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44
Considerando la massa d'acqua che insiste su detta superficie e la sua forma cilindrica, avente
come area di base e h
0
come altezza, si riconosce immediatamente che l'espressione (5.6.1.1)
rappresenta il peso dell'acqua sovrastante la superficie considerata. In genere per spinta e peso
d'acqua sovrastante non coincidono. Basta considerare un recipiente come quello della figura 5.20
per rendersene conto.

Fig. 5.20

Infatti in questo caso, pur essendo ancora la misura della superficie orizzontale del fondo e
S = h
0
il valore della spinta (dato che la pressione vale ancora h
0
), questa evidentemente non
coincider col peso dell'acqua sovrastante, chiaramente maggiore. Coinciderinvece con il peso del
cilindro verticale del liquido avente altezza h
0
e base pari alla superficie considerata.

5.6.2 Spinta su pareti piane

Pi in generale il valore della spinta su una parete piana qualunque misurato dal prodotto dell'area
della superficie considerata per l'affondamento del suo baricentro sotto il piano dei carichi idrostatici e
per il peso specifico del liquido considerato. Considerato in particolare il recipiente prismatico della
figura 5.21, essendo
h
2
l'affondamento del baricentro B della parete e la superficie totale , sar:

S
h

2
.

Detta pertanto b la larghezza della parete sar: = h b e quindi la spinta:

S b
1
2
2
h [ kg ] (5.6.2.1)

Fig. 5.21

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45
Se poi la figura considerata rappresenta la sezione corrente di un canale di lunghezza indefinita, non
ha pi senso parlare di spinta totale sulle pareti. In questo caso assai indicativa ai fini del
dimensionamento statico della parete stessa la spinta per metro di lunghezza del canale.
Posto quindi nella (5.6.2.1) b = 1 l'espressione della spinta diviene:

S
1
2
2
h [ kg / m ] (5.6.2.2)

Riferendoci inoltre al diagramma delle pressioni riportate in figura, si pu dedurre graficamente il
valore della spinta totale sulla parete. Essa infatti rappresentata dall'area del diagramma
triangolare:

S
1
2
h h ( ) . Chiamata allora con b la larghezza della parete, si ritrova la (5.6.2.1).

Si deve aggiungere a questo punto che la determinazione del valore numerico della spinta non
esaurisce la sua completa individuazione. Occorre ancora conoscere la sua direzione, il suo verso ed
il suo punto di applicazione. La spinta infatti, alla stregua di tutte le forze, una grandezza vettoriale.
Per quanto concerne la direzione essa sempre normale alla superficie su cui viene esercitata la
spinta. Il verso va dalla massa liquida alla parete. Il punto di applicazione, essendo la spinta totale
risultante dalle spinte parziali esercitate sulle aree elementari delle strisce orizzontali in cui pu
considerarsi divisa la parete, si avviciner alle zone di maggior pressione. Pertanto si trover al
disotto del baricentro della superficie. Ricorrendo alla rappresentazione grafica della pressione e
ricavando la spinta come forza-area del diagramma triangolare dedotto (Fig. 5.21), potremo affermare
che il centro di spinta, passando la linea d'azione di quest'ultima per il baricentro di detto diagramma,
avrun affondamento pari a
2
3
h .

5.6.3 Spinta su superfici piane inclinate

Allorch ci troviamo in presenza delle pareti inclinate del recipiente in figura 5.22 il procedimento
generale per il calcolo della spinta resta sostanzialmente lo stesso, salvo che, nella espressione della
superficie, l'affondamento massimo h della parete non coincide pi con la lunghezza a della stessa.
Con le indicazioni della figura dato che l'affondamento del baricentro B vale ancora
h
2
, se
l'inclinazione della parete sulla verticale e b la sua larghezza, la spinta assumerl'espressione:

S
1
2
h a b e poich a
h

cos
:

S
h

1
2
2
b
cos
(5.6.3.1)

Anche in questo caso la spinta avr direzioni ortogonali alla parete, verso dalla massa liquida alla
parete, e punto di applicazione a
2
3
h
dal piano dei carichi idrostatici. Analogamente a quanto detto in
precedenza se la figura rappresenta la sezione corrente di un canale, l'espressione della spinta per
metro di lunghezza assume l'espressione:

S
h

1
2
2

cos
(5.6.3.2)

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46

Fig. 5.22


5.6.4 Componenti della spinta

Qualche volta pu essere utile conoscere le componenti orizzontali e verticali della spinta, anche
perch in presenza di superfici di forma qualunque, risulta oltremodo difficile conoscere direttamente
la spinta: Assai pi semplice risalire a quest'ultima conoscendo le due componenti orizzontali e
verticali, il cui calcolo risulta pi immediato.
Riferendoci alla parete precedentemente considerata e partendo dalla spinta si ha per la componente
orizzontale (Fig. 5.23): S
0
= S cos e per la (5.6.3.1)


Fig. 5.23

S
h
0
2
2
1
2
1
2


cos
cos b h b (5.6.4.1)

Analoga all'espressione della spinta sulle pareti verticali. Nel caso pi generale, se h0
l'affondamento del baricentro di una superficie di area , la spinta sappiamo vale:

S = h
0
e la sua componente orizzontale varr:

S
0
= S cos= h
0
cos (5.6.4.2)

In definitiva la componente orizzontale della spinta su una data parete piana inclinata viene misurata
dal prodotto della pressione relativa al suo baricentro per la proiezione verticale della sua superficie o,
ci che lo stesso, dalla spinta sulla sua proiezione verticale.
Per la componente verticale si ha:

S
v
= S sen= h
0
sen

Dato che h h
0
1
2
e = a b saranche:

S
v

1
2
h a b sen (5.6.4.3)

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Analizzando questa espressione si pu riconoscere in a sen la proiezione della traccia della parete
sulla superficie libera, in
1
2
h a b ( sen ) il volume del prisma retto racchiuso tra la parete e la
superficie libera (o il piano dei carichi idrostatici), in
1
2
h a bsen il peso di quest'ultimo. Il senso
della componente determinata sarverso il basso o verso l'alto a seconda che detto volume sia reale
o ideale come nella figura 5.24.

Fig. 5.24

In definitiva la componente verticale della spinta su una parete piana inclinata sarmisurata dal peso
del prisma liquido retto racchiuso tra la parete stessa e il piano dei carichi idrostatici; sar diretta
verso il basso se detto volume reale, verso l'alto se ideale.

5.6.5 Spinta su superfici qualunque

Da quanto detto in precedenza si in grado di calcolare la spinta su qualunque superficie, una volta
che si riesca a calcolare il volume reale o ideale compreso tra il piano dei carichi idrostatici, la
superficie considerata e la sua proiezione verticale. Il tutto si riduce infatti a calcolare una spinta su
una parete verticale (componente orizzontale della spinta) ed il peso del volume del liquido
precedentemente indicato.
Prendendo in esame, per esempio, il recipiente particolare della figura 5.25 e volendo determinare la
spinta sulla parete A B C D, si vede subito che le due superfici simmetriche D C e B C sono soggette
a spinte orizzontali uguali e contrarie per cui, ai fini della determinazione della componente
orizzontale della spinta, sar sufficiente conoscere quella sulla parete A B. Per la componente
verticale basterconoscere il peso del volume d'acqua A B C D E tutto virtuale.


Fig. 5.25

Se facciamo riferimento, invece, ad un tipo di parete come quello della figura 5.26, per la componente
orizzontale della spinta si procede normalmente, per quella verticale occorrer distinguere il tratto di
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48
parete A B, su cui grava un volume di liquido virtuale, dal tratto B C su cui grava un volume di liquido
reale che comprende anche il precedente.


Fig. 5.26

Basterquindi conteggiare separatamente i due pesi, che per la parte in comune, dando luogo a due
componenti verticali di segno opposto, si elideranno. Una volta conosciute le componenti,
procedendo con l'usuale metodo grafico in opportuna scala, si potrricavare la spinta risultante (Fig.
5.27).



Fig. 5.27

Dalle considerazioni generali esposte per la determinazione delle spinte, si pu ricavare anche una
giustificazione semplice del noto principio di Archimede "un corpo immerso in un liquido riceve
una spinta verticale verso l'alto pari al peso del volume liquido spostato" . Considerata infatti
una superficie aperta come quella della figura 5.28, si constata che, se lo spessore sufficientemente
sottile da potersi ritenere perfettamente uguali gli affondamenti delle due facce della superficie,
questa risulta perfettamente in equilibrio.

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49


Fig. 5.28

Se per si salda ad involucro tale superficie e la si vuota dell'acqua contenuta (per esempio con
immissione di aria), essa non pi in equilibrio e risulta spinta verso l'alto da una forza pari al peso
dell'acqua precedentemente contenuta. Si riconosce rapidamente dalla figura 5.28:

Spinta nella parete A B C: S
B
= peso-volume E A B C F (diretta verso l'alto).

Spinta sulla parete A D C: S
D
= peso-volume E A D C F (diretta verso il basso).

Spinta risultante: S
B
- S
D
= peso-volume ABCD (diretta verso l'alto perch. S
B
>S
D
).

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50
6. IDRODINAMICA

6.1 Regime del moto nei fluidi

L'idrodinamica, come gi detto nella parte generale, si occupa dello studio del moto dei fluidi e,
relativamente al nostro corso, del moto dell'acqua. Allo scopo di rendere pi agevole tale studio
necessario attribuire all'elemento reale in esame una schematizzazione fisica che permetta di operare
con linguaggio matematico rigoroso, anche se poi i risultati, come gi accennato in precedenza,
verranno resi pi rispondenti a quelli sperimentali ricorrendo a coefficienti correttivi.
Abitualmente si usa mettere in evidenza due aspetti del moto di una massa liquida:
- lo spostamento di una particella elementare, il luogo delle posizioni successive della quale viene
chiamato traiettoria;
- quello dell'insieme della massa liquida che allora viene chiamata corrente.
Se si prende in esame il primo aspetto del moto di una massa liquida e cio l'insieme del moto delle
sue particelle elementari, si possono distinguere due regimi caratteristici del moto di traslazione
complessivo della massa considerata.
- Un regime cos detto regolare, che si verifica a basse velocit di traslazione (in relazione alle
dimensioni trasversali della massa), ed caratterizzato da traiettorie delle singole particelle che
presentano lievi curvature e nessuna interferenza con le traiettorie delle particelle vicine. La figura 6.1
schematizza il moto delle particelle A, B e C in regime regolare.


Fig. 6.1
- Un regime cos detto turbolento, che si verifica (in relazione alle dimensioni trasversali della massa)
a velocit di traslazione pi elevate, ed caratterizzato da traiettorie delle singole particelle che
presentano curvature notevoli e interferenze con le traiettorie delle particelle vicine. In queste
circostanze si suscitano un insieme di particolari moti, detti di agitazione e ricircolazione, che non
danno alcun contributo al complessivo moto di trasporto.
La figura 6.2 schematizza il moto delle particelle A, B e C in regime turbolento.


Fig. 6.2

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51
Speciali esperienze con opportuni liquidi colorati mettono in chiara evidenza l'esistenza dei due regimi
a diverse velocit. Filetti fluidi colorati, infatti, si presentano distinti entro una massa liquida incolore
sino a determinate velocit, oltre le quali il colore si diffonde in tutta la massa circostante. All'interno di
una corrente, poi, la turbolenza viene messa in evidenza dalle pulsazioni intorno a valori medi delle
caratteristiche velocit e pressione. In regime turbolento non si pu pi parlare di traiettoria come
luogo delle posizioni successive che una particella elementare occupa in ogni istante. In effetti
estremamente difficile valutare le caratteristiche istantanee del moto di una particella liquida in seno
ad una massa in moto turbolento. Di fatto si considerano i valori medi di tutte le caratteristiche
geometriche e fisiche di tale massa liquida. Si parler pertanto di traiettoria della particella,
intendendo quella media percorsa cio dalla particella nel puro moto di traslazione, trascurando i moti
di agitazione e ricircolazione della stessa. Analogamente si parler di velocit intendendo quella
media di trasporto, trascurando quella relativa al moto di agitazione e ricircolazione.

6.2 Numero di Reynolds

La sistematica distinzione tra i due regimi di moto, regolare o turbolento, si deve al fisico inglese
Reynolds. A questi si deve anche la individuazione di un numero R indice, funzione delle grandezze e
delle caratteristiche fisiche di un fluido, nonch la determinazione del particolare valore Rc di tale
numero che rappresenta il limite di coesistenza tra i due regimi. Indicate in la densit, in V la
velocitmedia, in D la dimensione trasversale media della corrente e in la viscositdi un liquido, il
numero indice caratteristico del tipo di moto di tale liquido o numero di Reynolds, rappresentato
dall'espressione:

R

V D
(6.2.1)

Da un'analisi dimensionale questo risulta un numero puro infatti:

[ ] [ ] F T L

1
]
1
1
1
1

F
L T
L
2
3
2 4


[ ] [ ]
L T
F T L

1
]
1

F L
L
2 1
2
ricordando che: F
V
n



[ ] R
L L T L

1
]
1

1
]
1

F T
F T L
2 4 1
2
1
1


Le esperienze di Reynolds attribuiscono al numero limite o critico Rc il valore 2000. Pertanto un fluido
si considera in regime turbolento o regolare, a seconda che R sia rispettivamente maggiore o minore
di 2000. Successive esperienze hanno trovato pi rispondente per Rc il valore di 2500. Essendo tale
valore limite indice del punto di passaggio tra i due regimi, risulta oltremodo difficile determinarlo con
esattezza, anche perch spesso tali regimi possono sussistere in equilibrio instabile, anche per valori
notevolmente inferiori o superiori al valore limite. Dalla (6.2.1) si pu inoltre ricavare in funzione di D
espresso in cm, la velocitlimite o velocitcritica. Tale velocit quella al di sotto della quale tende a
cessare la turbolenza. Per l'acqua a 10C dato che risultano:

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52
Rc = 2500 ; = 102 (kg s
2
m
-4
) ; = 0,000133 (kg s m
-2
)

si ha:

Vc
D
m s

2500
133 10
102 10
0 33
6
2
D
,
/ dove D in cm.

In considerazione delle usuali dimensioni trasversali delle correnti, si vede che solo per velocitassai
limitate si ha il moto regolare in equilibrio stabile. Nella pratica, escluso che per liquidi molto viscosi, ci
troviamo normalmente in presenza di moti con valori di R molto maggiori di 2000. Nelle nostre
trattazioni faremo sempre riferimento al moto turbolento, salvo poi a non considerare i moti trasversali
alle traiettorie medie o moti di agitazione e ricircolazione. Le caratteristiche di questi ultimi infatti si
riproducono statisticamente con valori sensibilmente uguali e contrari. Pertanto risulta trascurabile
l'influenza di essi nelle caratteristiche cinematiche medie del moto di trasporto. Potremo perci
sempre ricondurre il regime turbolento di cui ci occupiamo a regime mediamente regolare. Va da se
che comunque linfluenza sul contenuto energetico delle componenti trascurate elevatissimo.

6.3 Tipi di moto

In ciascuno dei due regimi descritti, in rapporto alla variabilit o meno delle caratteristiche velocite
pressione al mutare dei valori delle variabili spazio e tempo, si possono avere diversi tipi di moto. Il
tipo di moto pi generale quello "vario". In esso le caratteristiche velocite pressione cambiano di
valore al cambiare dei valori delle variabili spazio e tempo. Vale a dire che il moto vario
caratterizzato da valori della velocite della pressione diversi in ogni istante da punto a punto di una
traiettoria (variabilitrispetto allo spazio) e, inoltre, diversi in ogni punto della traiettoria da istante ad
istante (variabilitrispetto al tempo). Nella figura 6.3 sono schematizzati i due tipi di variabilit:


Fig. 6.3


- nella fig. 6.3a, variabilitrispetto allo spazio:

Per t = t
n
: v
A
v
B
.....v
E
oppure p
A
p
B
......p
E


- nella fig. 6.3b, variabilitrispetto al tempo: per N, punto generico:

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53
v ( t
1
) v ( t
2
) ....v ( t
n
) oppure p ( t
1
) p ( t
2
) ....p ( t
n
)

Allorch si verifichi esclusivamente la variabilitdelle caratteristiche menzionate rispetto allo spazio e
invece in ogni istante in un generico punto N si abbia:

v ( t
1
) =v ( t
2
) = v ( t
n
) oppure p ( t
1
) = p ( t
2
) = p ( t
n
)

si riscontri cio la permanenza dei valori delle caratteristiche in un punto qualunque della traiettoria
rispetto al tempo, allora il moto si dice "permanente o stazionario".
Se oltre alla costanza dei valori delle caratteristiche rispetto al tempo, come sopra, si verifica anche
quella rispetto allo spazio, e cio in ogni istante risulta

v
A
= v
B
......v
N
oppure p
A
= p
B
= .... p
N


il moto si dice "uniforme". Prendendo per esempio in considerazione il moto trasversale di agitazione
o ricircolazione che produce la turbolenza, un moto turbolento sempre "vario". Se invece si trascura.
come abbiamo precedentemente detto, il moto di agitazione e si fa riferimento esclusivamente alle
caratteristiche medie del moto di traslazione, si possono avere per il moto turbolento anche in
condizioni di moto permanente o uniforme. Nelle trattazioni relative al nostro corso trascureremo
sempre i fenomeni di moto vario e considereremo esclusivamente condizioni di moto permanente o
uniforme.

6.4 Linee e tubi di flusso

Un altro elemento importante, per una schematizzazione sufficientemente rappresentativa delle
modalitdi movimento dei fluidi, la cos detta linea di flusso. Essa viene definita come quella linea,
appartenente alla massa liquida, tangente in ogni punto alla retta di azione della velocitrelativa alla
particella passante in quell'istante per quel punto. Nelle condizioni di moto permanente o uniforme,
abituali del nostro corso, la linea di flusso, relativa ad un dato istante, e la traiettoria, riferita ad una
data particella coincidono. Ci si deve al fatto che la prima rappresenta l'inviluppo del vettore velocit,
assunta da punti diversi della massa liquida nello stesso istante, la seconda invece rappresenta
l'inviluppo del settore velocit, che anima una determinata particella durante il suo percorso. Se
pertanto, come avviene nel moto permanente, le velocit risultano costanti rispetto alla variabile
tempo, allora necessariamente le due linee devono coincidere.
Se si considera una qualsiasi linea chiusa all'interno di una corrente, per ogni suo punto passa
necessariamente una linea di flusso che, nelle nostre condizioni abituali, coincide con la traiettoria del
punto stesso. L'insieme delle linee di flusso individuano una superficie continua tubolare chiamata
tubo di flusso. Tale superficie ha la propriet che in ogni suo punto la velocit risulta tangente ad
essa. Questo ci assicura che non vi pu essere alcun passaggio di liquido attraverso le pareti di un
tubo di flusso. In particolare, se si prende in considerazione una condotta, la superficie della massa
liquida che lambisce la superficie interna di quella risulta un tubo di flusso, proprio perch le velocit
risultano necessariamente tangenti ad essa.


6.5 Principio di continuit

Da questo principio si ricava la prima equazione fondamentale dell'idrodinamica alla quale, come
vedremo, si ricorrerspesso per risolvere problemi di determinazione delle caratteristiche incognite di
una massa liquida in movimento. Esso esprime il concetto di continuit della massa nei liquidi
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54
incomprimibili. Infatti, facendo riferimento ad un liquido incomprimibile in moto permanente e
ricorrendo alla rappresentazione del suo movimento tramite un tubo di flusso, si ha necessariamente
(Fig. 6.4) che tutta l'acqua compresa tra le due sezioni trasversali (1) e (2) deve passare attraverso di
esse e solo attraverso di esse, per la menzionata proprietdel tubo di flusso.


Fig. 6.4

Per esprimere ci in forma analitica indichiamo con un elemento sufficientemente piccolo della
sezione
1
trasversale, normale cio alle linee di flusso, tale che la velocitdi tutti i suoi punti possa
essere considerata costante in un intervallo di tempo. Il volume di liquido passato attraverso detta
superficie elementare nell'intervallo indicato sar V
1
=
1
v
1
t, dato che lo spazio percorso dalle
particelle della superficie elementare s
1
= v
1
t. (Tenendo presente che il simbolo di non indica
una variazione di grandezza ma viene assunto per esprimere una grandezza, sufficientemente
piccola ma finita). Il volume complessivo passato per la sezione
1
risulta:

v
1
= t
1
v
1
(6.5.1)

Analogamente nello stesso intervallo di tempo per (2) passeril volume di liquido:

v
2
= t
2
v
2
(6.5.2)

Ricorrendo alle ipotesi iniziali, e cio che
1
e
2
sono due sezioni trasversali di un tubo di flusso di un
liquido incomprimibile in moto permanente, si ha l'eguaglianza:

1
v
1
=
2
v
2
(6.5.3)


Dato che i due membri dell'eguaglianza rappresentano le portate che attraversano le due sezioni, si
pu anche scrivere: q
1
= q
2
e poich le due sezioni sono state prese in maniera qualunque, infine:

q = cost (6.5.4)

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55
La portata che percorre un tubo di flusso di un liquido incomprimibile in moto permanente risulta
costante in ciascuna sezione. La portata risulta quindi una grandezza caratteristica del tubo di flusso.
Con riferimento alla costanza della portata, considerando una sezione del tubo di flusso, potremo
introdurre un'altra caratteristica molto indicativa: la velocit media. Questa viene definita come quella
grandezza che moltiplicata per l'area della sezione considerata misura la portata del tubo di flusso. In
espressione analitica sar:

v
q
m

(6.5.5)

Valevole nel moto permanente per ciascuna sezione. Se il moto uniforme questa nuova
caratteristica assume un valore costante nel tempo e valevole per tutte le sezioni del tubo di flusso.
Pertanto:

v
m
= cost (6.5.6)

In effetti lungo ciascuna traiettoria, per le ipotesi fatte, se la velocitrisulta costante nel tempo e nello
spazio, costante dovr essere necessariamente anche la velocit media V
m
del tubo di flusso,
considerato come superficie racchiudente l'insieme delle traiettorie delle particelle elementari che lo
percorrono. Dalla (6.5.4) e dalla (6.5.6) si ricava anche: = cost. Ci era anche deducibile con
considerazioni esclusivamente geometriche. Nel moto uniforme, infatti le linee di flusso, data la
costanza nel tempo e nello spazio della velocit, risultano necessariamente rettilinee e parallele.
Conseguentemente il tubo di flusso assume forma cilindrica e quindi = cost.

6.6 Teorema di Bernoulli

Per un tubo di flusso il teorema di Bernoulli pu considerarsi una delle tante forme che assume il
principio di conservazione dell'energia. Costituisce, nella sua espressione analitica, la seconda
equazione fondamentale della idrodinamica ed strumento estremamente valido nella
determinazione delle caratteristiche incognite in un fenomeno di moto di un liquido. In sostanza, come
vedremo, il teorema di Bernoulli esprime il gioco di trasformazione, che avviene per una massa di
liquido in moto, tra energia potenziale ed energia cinetica. Tale processo di trasformazione risulta poi
perfettamente reversibile nel moto di un liquido perfetto (in un fenomeno cio non dissipativo), non
reversibile nel caso di liquido reale. Ricaviamo l'espressione analitica di questo teorema nel caso di
un liquido perfetto in moto permanente.
Prendiamo in esame il tubo di flusso della figura 6.5 e applichiamo alla massa di liquido, compreso tra
le due sezioni trasversali (1) e (2), il noto teorema delle forze vive.
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56

Fig. 6.5

Con riferimento alla figura 6.5, le forze di superficie che compiono lavoro sono esclusivamente quelle
di pressione sulle due superfici (1) e (2). Infatti quelle relative alla pressione sulla superficie laterale
del tubo di flusso compiono lavoro nullo, essendo dirette normalmente allo spostamento. In un
intervallo di tempo t le superfici (1) e (2) considerate passeranno nella posizione (1') e (2'). Se si
considera il tubo di flusso di sezione sufficientemente piccola affinch le caratteristiche velocito
pressione non variano da punto a punto di essa, allora lo spazio percorso e la forza agente sulla
superficie (1) saranno espressi rispettivamente da:

s
1
= v
1
t

F
1
= p
1

1


Il lavoro compiuto da detta forza sar:

L
1
= F
1
s
1
= p
1

1
v
1
t (6.6.1)

Analogamente per la sezione (2), tenendo presente che le forze di pressione compiono un lavoro
resistente:

L
2
= - F
2
s
2
= - p
2

2
v
2
t (6.6.2)

Le forze di massa inoltre avranno compiuto il lavoro relativo al passaggio del volumetto liquido della
posizione (1-1') a quella (2-2') . Se prendiamo il solito piano orizzontale z = 0 e riferiamo ad esso le
quote dei baricentri dei due volumetti considerati, si ricava che il lavoro compiuto dalle forze peso
risulta quello relativo alla differenza di quota: (z
1
- z
2
) tra i due baricentri. Indicato in
1
s
1
il
volume e in
1
s
1
la forza peso relativa, il lavoro compiuto sar:

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57
L
3
=
1
v
1
t (z
1
- z
2
) (6.6.3)

Il lavoro complessivo compiuto dalle forze esterne risulta, ponendo:

1
v
1
= q =
2
v
2
per l'ipotesi di moto permanente:

L = L
1
+ L
2
+ L
3
= p
1
q t - p
2
q t - q t (z
1
- z
2
) (6.6.4)

Riguardo alla variazione di energia cinetica, si deve tenere presente nella considerazione della massa
effettivamente interessata alla variazione di velocit, esclusivamente quella relativa al volumetto nella
posizione compreso tra le sezioni (1) e (1') (dove dotato di velocit v
1
) che trasla nella posizione
compresa tra le sezioni (2) e (2'), dove dotato di velocit v
2
. In effetti in tutta la rimanente massa in
esame, e cio quella compresa tra le sezioni (1') e (2), non si ha alcun cambiamento di valore delle
caratteristiche, essendo rimasta nella identica posizione. Pertanto, indicato in
1
v
1
t il volumetto in
causa e in
1
v
1
t la corrispondente massa, la variazione di energia cinetica risulta:


1
2
2
2
1
2
q t v v ( ) (6.6.5)

Si potrin definitiva scrivere:

L
1
+ L
2
+ L
3
= (6.6.6)

Vale a dire:

p t p t t z t v
1 2 1 2 2
2
1
2 1
2
q q q z q v + ( ) ( ) (6.6.7)

Dividendo tutto per , raccogliendo i termini dello stesso indice e semplificando opportunamente:

p
z
p
z
1
1
2
2
1
2
1
2

+ + + + v v
1
2
2
2


Dato che, come visto in precedenza, = g sar:


1
g
e quindi:

z
p v
g
z
p v
g
1
1
2
1
2
2
2
2
2 2
+ + + +

(6.6.8)

Non essendosi fatta alcuna ipotesi sulla scelta delle sezioni 1 e 2 all'interno del tubo di flusso,
essendo cio tali sezioni del tutto generiche, si potr infine scrivere il teorema di Bernoulli nella
formula usuale:
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58

z
p v
g
+ +

2
2
cost (6.6.9)

Il teorema di Bernoulli, in prima analisi, esprime quindi la costanza, lungo un tubo di flusso di
dimensioni sufficientemente piccole, del trinomio composto da una quota geometrica, dal rapporto tra
la pressione e il peso specifico e dal rapporto tra il quadrato della velocit e il doppio
dell'accelerazione di gravit. Vedremo pi avanti che i termini di questo trinomio hanno un ben
preciso significato geometrico e fisico.

6.6.1 Teorema di Bernoulli per una traiettoria.

Il teorema di Bernoulli nella forma che abbiamo ricavato per un tubo di flusso applicabile
perfettamente ad una traiettoria. Basta pensare quest'ultima come un tubo di flusso avente sezioni
trasversali di dimensioni infinitesime. Considerata la massa liquida della figura 6.6 e la traiettoria AB
in seno ad essa, se z, p e v sono le caratteristiche del generico punto 0 si ha:


Fig. 6.6

z
p v
g
+ +

2
2
cost (6.6.1.1)

Anche lungo la traiettoria di una particella di un liquido perfetto in moto permanente costante la
somma dell'altezza geometrica, del rapporto tra la pressione e il peso specifico e del rapporto tra il
quadrato della velocite il doppio dell'accelerazione di gravit. Se si applica il teorema di Bernoulli ad
un liquido in quiete si ricava, con riferimento a tutta la massa, l'equazione fondamentale
dell'idrostatica

z
p
+

cost (6.6.1.2)

Dato che nel liquido reale in quiete si possono senz'altro considerare verificate le ipotesi di liquido
perfetto e di moto permanente (v = o in ogni istante), si pu considerare l'equazione fondamentale
dell'idrostatica come la condizione limite dell'equazione di Bernoulli. Mentre per la costante del
binomio costituente l'equazione fondamentale dell'idrostatica ha, come sappiamo, il valore della quota
del piano dei carichi idrostatici ed valevole per tutta la massa liquida, il trinomio di Bernoulli ha un
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59
valore costante solamente per ogni traiettoria, il valore della costante varia cio da traiettoria a
traiettoria.

6.6.2 Dimensioni e nomenclatura.

I termini che si ripetono dall'equazione fondamentale dell'idrostatica mantengono nel trinomio di
Bernoulli la stessa nomenclatura:

z quota geometrica


p

altezza piezometrica

z
p
+

quota piezometrica

Il termine
v
g
2
2
, che prende il nome di altezza cinetica, deve avere necessariamente, per il principio di
omogeneitdimensionale, le dimensioni di una lunghezza. Da un'analisi dimensionale infatti:

[ ] [ ]
[ ] [ ]
v L
L T
2 2 2
2

T
g

v
g
L
L T
L
2 2 2
2

1
]
1

1
]
1

T
[ ]

Tale termine prende il nome di altezza cinetica.

6.6.3 Interpretazione geometrica del teorema di Bernoulli

Lungo la traiettoria di un liquido perfetto in moto permanente costante la somma delle tre altezze.

z
p

quota geometrica
altezza piezometrica

quota piezometrica

v
g
2
2
altezza cinetica

La costante, che ovviamente un'altezza, viene indicata con H (carico totale) e quindi spesso il
trinomio di Bernoulli viene scritto nella forma:

z
p v
g
H + +

2
2
(6.6.3.1)
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60


6.6.4 Interpretazione fisica del teorema di Bernoulli.

Dal punto di vista fisico il teorema di Bernoulli, come abbiamo gi accennato in precedenza, pu
considerarsi come una forma particolare del principio di conservazione dell'energia. Se si considera
che 1/g il valore della massa di un kg (ricordando che m =F/g in un campo gravitazionale e
che per F = 1 risulta m = 1/g ) , il termine v
2
/2g assume l'espressione analitica ed il significato
dell'energia cinetica posseduta dalla massa del peso di 1 kg che si muove con velocit v. Tenendo
presente inoltre che l'energia ha le dimensioni di un lavoro, si pu giustificare anche
dimensionalmente il fatto che il termine v
2
/2g avente notoriamente le dimensioni di un'altezza, possa
assimilarsi ad un'energia. Infatti: [E] = [F L] e considerando l'unit di forza, che lo stesso che
dividere dimensionalmente per una forza, si ha:

[ ] [ ] E L

1
]
1

F L
F


Passando ora ad esaminare il termine altezza piezometrica p/ , si vede facilmente che pu
anch'esso assumere il significato di energia di "pressione", che in definitiva non altro che una forma
di energia potenziale dato che produce gli effetti di incrementare l'energia potenziale. Difatti, immerso
un tubo piezometrico entro una massa liquida, l'unit di peso di questa sale entro il tubo per
un'altezza pari proprio a p/ , sfruttando tutta l'energia relativa alla pressione locale p . Infine
dall'espressione analitica dell'energia potenziale in possesso di un dato corpo di peso P = m g e di
quota z rispetto ad un piano di riferimento, vale a dire E = m g z , si ricava immediatamente che
per un elemento di peso unitario E = z , dato che m g = P = 1 ; pertanto anche il temine z pu
essere inteso espressione dell'energia potenziale posseduta dall'unitdi peso del liquido.
Da quanto visto si pu in definitiva affermare che, nelle solite ipotesi di liquido perfetto in moto
permanente, risulta costante la somma dell'energia potenziale, data dalla somma di un'energia di
posizione z e da una energia di pressione p/ , e dall'energia cinetica v
2
/2g possedute da un
kg di liquido.

6.6.5 Rappresentazione grafica del teorema di Bernoulli

Tutto quanto detto in precedenza trova una espressione grafica estremamente utile nelle applicazioni
pratiche. Preso infatti un piano orizzontale di riferimento, possiamo riportare di seguito in opportuna
scala, per ogni punto di una data traiettoria, la somma dei tre segmenti rappresentativi delle altezze
che esprimano i termini del trinomio di Bernoulli. Gli estremi superiori dei segmenti somma giacciono,
data la costanza del valore complessivo del trinomio, su una linea orizzontale (fig. 6.7).

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61

Fig. 6.7

In relazione al nome usuale di carico totale, dato per indicare la somma dei tre termini del trinomio,
detta linea prende il nome di linea dei carichi totali. Congiungendo inoltre gli estremi dei segmenti
rappresentativi della quota piezometrica z + p/ si otterr un'altra linea, non necessariamente
orizzontale, chiamata linea piezometrica (fig. 6.7). Va da s che ciascuna di queste linee riferita ad
una particolare traiettoria. Data perci l'infinit di traiettorie in seno ad una massa liquida in
movimento, si avranno in corrispondenza un'infinit di linee dei carichi totali ed un'infinit di linee
piezometriche. La stessa rappresentazione grafica del trinomio di Bernoulli valevole anche per un
tubo di flusso. Dato infatti un tubo di flusso di sezioni trasversali sufficientemente piccole, tali cio da
poter considerare le caratteristiche velocit e pressione costanti in tutti i punti di esse, si potr
assimilare il tubo alla propria traiettoria mediana (traiettoria del baricentro delle sue sezioni
trasversali). In analogia a quanto precedentemente fatto si potranno ricavare la linea dei carichi totali
e la linea piezometrica relative al tubo di flusso (fig. 6.8).


Fig. 6.8

La linea dei carichi totali sar ovviamente orizzontale. Della linea piezometrica, non conoscendo le
dimensioni della sezione, potremo solo determinare un andamento qualitativo, che comunque molto
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62
significativo nelle applicazioni. Sapendo infatti che v =q/ e che per il moto permanente q = cost. ,
se ne deduce immediatamente che diminuendo la sezione, deve necessariamente aumentare V e
quindi anche v
2
/2g . Pertanto, con riferimento alla figura 6.8, si ricava che la linea piezometrica
scende tra le due sezioni 1 e 2, poich il tubo si restringe. Per la ragione contraria la linea
piezometrica sale tra le sezioni 2 e 3. Riprende a scendere tra le sezioni 3 e 4 e si mantiene parallela
alla linea dei carichi totali (quindi orizzontale) nel tratto successivo alla sezione 4, dove il tubo ha
sezione costante. Si pu dedurre da tutto questo, in base alle considerazioni energetiche
precedentemente fatte, che nel moto permanente di un liquido perfetto in un tubo di flusso si hanno
reciproche trasformazioni delle tre energie considerate. Tali trasformazioni risultano anche reversibili,
non essendoci ovviamente alcuna dissipazione di carico, dato che le perdite per attrito sono nulle.
Nel caso di un tubo di flusso a sezione costante, possono invece avvenire solo trasformazioni delle
due energie potenziali l'una nell'altra. Infatti dato che = cost anche v = cost e perci v
2
/2g = cost .
Questo ci dice che la linea piezometrica risulta parallela alla linea dei carichi totali e quindi
orizzontale. Il tubo di flusso a sezione costante della figura 6.9, col suo andamento altimetricamente
accidentato, ce ne da una chiara visione.


Fig. 6.9

Come evidentemente si rileva si hanno solo trasformazioni di energia di posizione in energia di
pressione e viceversa.

6.7 Applicazioni del teorema di Bernoulli

6.7.1 Generalit

Con le due equazioni esprimenti il principio di continuite il teorema di Bernoulli si ora in grado di
risolvere molteplici problemi di moto di un liquido, a condizione che siano verificate le solite ipotesi di
liquido perfetto in moto permanente e che sia possibile schematizzare il moto con opportuno tubo di
flusso. Scrivendo infatti il sistema delle due equazioni:

v= q = cost

z
p v
g
+ +

2
2
cost

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63
ovvero con riferimento a determinate sezioni:

v
1

1
= v
2

2

z
p v
g
p v
g
1
1 1
2
2
2 2
2
2 2
+ + + +

z (6.7.1.1)

si vede che esse costituiscono relazioni tra le caratteristiche geometriche e fisiche della massa liquida
in moto (quota, pressione, velocito portata). Per tale sistema, riferito a un tubo di flusso, possibile,
conoscendo le caratteristiche in una sezione qualunque, ricavare almeno due caratteristiche in
un'altra generica sezione. Vale a dire che, noto il carico totale in una sezione e due caratteristiche
nella sezione presa in esame, si in grado, sempre nelle ipotesi di moto permanente, di liquido
perfetto e di tubo di flusso di sezioni sufficientemente piccole, di conoscere le altre due caratteristiche
incognite in tale sezione.

6.8 Schemi applicativi

6.8.1 Efflusso da una luce di fondo di un recipiente

Si vuole determinare la portata effluente da un foro circolare, aperto nel recipiente della figura 6.10.


Fig. 6.10

Alle solite ipotesi occorre aggiungere quella che il recipiente sia di dimensioni tali per cui l'efflusso dal
fondo non faccia variare di quota la superficie libera. Esaminando sperimentalmente il processo di
efflusso, si nota che la vena si contrae in corrispondenza della luce di efflusso, fino a raggiungere una
sezione minima ad una certa distanza dalla luce stessa. Tale sezione minima viene chiamata sezione
contratta. Il fenomeno della contrazione dovuto al fatto che tutte le traiettorie delle particelle
subiscono presso la sezione di efflusso un brusco mutamento di direzione. Da convergenti verso il
baricentro della luce devono prendere, in corrispondenza della sezione contratta, un andamento
parallelo all'asse della luce stessa. L'inerzia di cui sono dotate le particelle in uscita fa si che esse
mantengono la direzione della propria traiettoria per un breve tratto oltre la luce. La sezione in cui
cessa quest'azione, dovuta all'inerzia e le particelle prendono a scendere in caduta libera con
traiettorie parallele, appunto la sezione contratta. Nella sezione contratta si ripristina inoltre di nuovo
la pressione atmosferica. Uno degli accorgimenti da impiegare nell'applicare il sistema di equazioni
(6.7.1.1), precedentemente introdotto, quello di riferirlo a sezioni particolari del tubo di flusso, nelle
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64
quali per condizioni locali si conosca il valore di qualche caratteristica. Nel nostro caso sar utile
applicare il teorema di Bernoulli ad un tubo di flusso di sezione infinitesima, o ci che lo stesso, ad
una traiettoria, tra le sezioni in corrispondenza della superficie libera e in corrispondenza della
sezione contratta. Chiamate z
1
la quota della superficie libera al piano di riferimento (z = 0) , z
2

la quota del fondo del recipiente, z
c
quello della sezione contratta, si osserva che:
- data la distanza minima della sezione contratta dalla luce di efflusso pari circa a metdel diametro
della luce) si pu sostituire z
c
con z
2

- in corrispondenza della superficie libera la pressione relativa e la velocitsono nulle:

v
1
= 0 e p
1
= 0

- in corrispondenza della sezione contratta la pressione relativa risulta nulla: p
c
= 0.
Dai termini del trinomio di Bernoulli scritto per la superficie libera rimarril termine z
1
.
I termini non nulli relativi alla sezione contratta saranno invece z
2
e
v
g
c
2
2
.
L'equazione si scriverallora:

z z
v
g
c
1 2
2
2
+

Risolvendo, si pu ricavare dal valore delle quote geometriche la velocit in corrispondenza della
sezione contratta:

( ) v g z z
c
2
1 2
(6.8.1.1)

Quest'ultima espressione, tenendo presente che z
1
- z
2
= h , ancora quella della velocit
torricelliana. Non poteva essere diversamente perch, data l'ipotesi di liquido perfetto, le particelle si
comportano come se cadessero liberamente, indipendentemente le une dalle altre, sotto l'azione
della gravit.
Introducendo l'equazione di continuit, q = v x
c
dove
c
rappresenta l'area della sezione
contratta, che si ottiene moltiplicando per un opportuno coefficiente, ricavato sperimentalmente, l'area
della luce, si ricava la portata cercata:

q
c
g h 2 (6.8.1.2)




6.8.2 Traiettoria influenzate da un corpo solido fermo all'interno della massa liquida .

6.8.2.1 Punto di ristagno.

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Ogni ostacolo all'interno di una massa liquida in moto turba l'andamento regolare delle traiettorie,
come si rileva dalla figura 6.11.


Fig. 6.11

Esaminando pi dettagliatamente il fenomeno si osserva che alcune traiettorie, a sufficiente distanza
dall'ostacolo, non sono influenzate, mentre altre, pi vicine, deviano sempre pi sensibilmente man
mano che diminuisce la distanza dall'ostacolo. In corrispondenza di una traiettoria particolare poi si
determina un punto di ristagno e le particelle che percorrono detta traiettoria si arrestano a monte
dell'ostacolo, incrementando la propria pressione in funzione della trasformazione dell'energia cinetica
posseduta. Applichiamo il teorema di Bernoulli a questa traiettoria tra le sezioni 1, a distanza
sufficiente per non essere ancora influenzata dall'ostacolo, e la sezione 2 di impatto. Consideriamo,
per comodit, la traiettoria orizzontale (z
1
= z
2
) .
In corrispondenza dell'impatto sar: v
2
= 0 . L'equazione diviene allora:

z
p v
g
z
p
1
1 1
2
2
2
2
+ + +

e quindi:

p p V
g
2 1
2
2
+ (6.8.2.1)

Questo ci dice che tutta l'energia cinetica v
1
2
/2g , in possesso della particella nella posizione 1, si
trasformata in energia di pressione. Il fenomeno esaminato interessa moltissimi problemi di
aerodinamica.


6.8.2.2 Tubo di Pitot

Sulla presenza dei punti di ristagno, in corrispondenza di ostacoli immersi nella massa liquida in moto,
si basa la misura della velocit in un punto della massa liquida stessa mediante il tubo di Pitot.
Questo apparecchio composto da due tubi, uno inserito nell'altro. Il pi esterno, rettilineo, funziona
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66
come un comune tubo piezometrico, quello interno, ricurvo a L, viene inserito con l'apertura dalla
parte ricurva affacciata al moto del fluido. (Fig. 6.12).


Fig. 6.12

Nel tubo piezometrico l'acqua risale di un'altezza pari a p/ , in quello di Pitot l'acqua salir
dell'altezza p/ + v
2
/2g ci perch, considerate p e v pressioni e velocitrelative alla traiettoria del
punto di ristagno P , la pressione in tale punto espressa dalla somma dei due termini scritti.
Dalla differenza tra le due quote si ricava il valore
v
g
2
2
e quindi la velocit v.
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67

6.9. IDRODINAMICA DELLE CORRENTI

6.9.1 Potenza di un tubo di flusso

Allo scopo di estendere l'applicabilit del teorema di Bernoulli (trasformandolo opportunamente in
modo da poterlo impiegare nelle applicazioni pratiche), occorre definire la potenza di un tubo di flusso
rispetto a un piano di riferimento.
Dato il tubo di flusso della figura 6.13, se ne consideri l'energia in corrispondenza della sezione (a).


Fig. 6.13

Dal teorema di Bernoulli si ricava che l'energia posseduta dall'unit di peso del liquido nella sezione
(a) risulta:

H z
p v
g
+ +

2
2


Poich il tubo di flusso di sezione sufficientemente piccola sarin (a). v = cost.
Considerato che il volume, che passa nellunit di tempo per (a), v (portate), essendo v la
velocite la sezione, il peso corrispondente risulta:

v = q

Ricordando che la potenza si definisce come energia disponibile nell'unit di tempo, la potenza del
tubo di flusso nella sezione (a) sar:

W q z
p v
g
+ +

_
,

2
2
(6.9.1.1)

Questa espressione rappresenta il prodotto del trinomio di Bernoulli per l'equazione di continuit e
perci, essendo i due fattori costanti, sar costante anche il prodotto. ( costante per
l'incomprimibilitdel liquido).
In definitiva si potr affermare che, nell'ipotesi di liquido perfetto in moto permanente, costante la
potenza lungo un tubo di flusso di sezione sufficientemente piccola da essere assimilato alla
traiettoria baricentrica.

W q z
p v
g
+ +

_
,

2
2
cost (6.9.1.2)
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68


6.9.2 Estensione del teorema di bernoulli ad una corrente

Qualora si immagini una corrente come composta da un insieme di tubi di flusso di sezioni trasversali
sufficientemente piccole, si potrestendere l'espressione della potenza di un tubo di flusso a tutta la
corrente.
Per potenza di una corrente in una sezione si intenderallora la sommatoria delle potenze dei tubi di
flusso elementari, relativi alle sezioni infinitesime in cui potressere suddivisa la sezione considerata.
L'espressione del tubo teorica che si ricava:

W W v z
p v
g
+ +

_
,

2
2
cost (6.9.2.1)

rappresenta la potenza, rispetto ad un piano di riferimento, in una sezione di una corrente.
Tale espressione difficilmente applicabile nel caso generale di correnti in moto permanente, perch
implica la conoscenza delle caratteristiche p e v in ogni punto della sezione.
Nel caso di particolari correnti in moto permanente, la (6.9.2.1) assume una forma pi semplice e di
pi immediata applicabilit. Infatti, come vedremo, in questi casi specifici l'andamento di una
caratteristica della corrente, e precisamente della pressione, risulta lineare (comportamento
idrostatico).
In ogni sezione di queste particolari correnti la quota piezometrica z +
p

risulta infatti costante e


quindi raccoglibile a fattore comune nella sommatoria indicata nella (6.9.2.1), ci che comporta una
semplificazione notevole della formula stessa. Esaminiamo questi casi particolari di moto e vediamo
come si realizzano in pratica.
Una corrente permanente in un tubo cilindrico risulta senz'altro uniforme. Infatti essendo verificate le
condizioni q = cost e = cost saranche
q

= v = cost. Si ha pertanto
l'assoluta invarianza rispetto al tempo ed allo spazio della caratteristica velocit media. Questo ci
assicura la costanza anche della quota piezometrica in ogni sezione ed in ogni istante, garantendoci
l'uniformitdel moto.
In un condotto in cui, invece, vari la sezione, il moto non potr essere uniforme, potendosi verificare
solo l'invarianza q = cost.
Qualora per la sezione del condotto vari molto gradualmente, vale a dire gli angoli di divergenza o di
convergenza delle traiettorie risultino molto piccoli (Fig. 6.14), le condizioni di moto si avvicinano
sensibilmente a quelli delle correnti uniformi.


Fig. 6.14

Queste correnti assumono l'attributo di gradualmente variate ed hanno in comune con quelle uniformi
la propriet di mantenere le sezioni sensibilmente piane. Ci in relazione alla posizione di queste
ultime disposte sempre normalmente alla direzione delle traiettorie che sono pressoch rettilinee e
parallele.
L'importanza che la sezione risulti piana dovuta al fatto, precedentemente accennato, che la
distribuzione della pressione risulta in questo caso idrostatica e cio, per ogni sezione in ogni punto:

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69
z
p
+

cost

Da tutto quanto esposto in precedenza si deduce che per le correnti gradualmente variate (ed a
maggior ragione per quelle uniformi) l'espressione della potenza assume la forma molto pi semplice.

W W z
p
v
v
g
v +

_
,
+

2
2
cost

che si potranche scrivere, dato che: v= q,

W z
p
q
v
g
+

_
,
+


3
2
cost (6.9.2.2)

L'espressione risulta notevolmente semplificata ma rimane ancora la necessit di conoscere la
velocitin tutti i punti della sezione.
Allo scopo di semplificarla ulteriormente occorre trasformare il termine
v
g
3
2
in modo che sia di pi
immediata applicazione.
Si ricorre perci alla caratteristica, "velocitmedia", definita in precedenza come v
q
m

.
Sostituendo alla somma dei prodotti dei cubi delle singole velocitper le sezioni elementari alle quali
sono riferite il prodotto del cubo della velocitmedia per l'intera sezione, l'espressione diventa:

W z
p
q
v
g
m
+

_
,
+


3
2
cost (6.9.2.3)

Ponendo


v
g
v
g
m
3 3
2 2


si commesso un errore apparentemente sensibile, dato che la somma dei cubi degli n valori di una
variabile risulta maggiore di n volte il cubo del valore medio.
In modo rigoroso si sarebbe dovuto scrivere:


v
g
v
g
m
3 3
2 2


Il valore di > 1 risulta comunque molto prossimo ad 1 (praticamente = 1,1 1,15). Dato inoltre
che l'approssimazione raggiunta nell'impiego delle formule empiriche non supera alcune volte il 20
30%, il trascurare nell'espressione (6.9.2.3) rientra con sicurezza nell'ordine delle approssimazioni
ammesse in pratica. Il coefficiente viene chiamato coefficiente di Coriolis.
La rappresentazione grafica della portata valutata in funzione della velocit nei suoi valori locali e
medio chiaramente riportata dalla figura 6.15.

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70

Fig. 6.15

In questa sono messi in evidenza l'andamento parabolico della velocit in una sezione, nonch la
velocitmedia nella stessa.
Se nel paraboloide, che ha per base la sezione della corrente di traccia AC, rappresentiamo il volume
passato nell'unit di tempo (portata) per tale sezione, nel cilindro equivalente di proiezione A E F C
potremo rappresentare, in funzione della velocit media v
m
, la stessa grandezza. Ci pu esprimersi
analiticamente nell'uguaglianza:

v= v
m
= v
m
= q

Con chiaro significato per i simboli che sono riportati in figura 7.3.
Indicando d'ora in poi v
m
con v la (7.2.3) diviene:

W z
p
q
v
g
q +

_
,
+


2
2
cost

e quindi:

W q z
p v
g
+ +

_
,

2
2
cost (6.9.2.4)

In sostanza la potenza complessiva della corrente, essendo somma di quella costante relativa alla
infinitdei tubi di flusso che la compongono, non potrnon essere costante lungo la corrente stessa.

W q z
p v
g
+ +

_
,

2
cost

Poich inoltre, per le particolari condizioni delle correnti in esame, risulta:

= cost e q = cost ; si potrinfine scrivere :

z
p v
g
+ +

2
2
cost (6.9.2.5)

La (6.9.2.5), formalmente analoga alla (6.6.9), rappresenta l'estensione del teorema di Bernoulli nel
caso di correnti gradualmente variate, qualora si trascuri il coefficiente di Coriolis e si indichi in v la
velocitmedia v
m
.






6.10 Linea dei carichi totali e linea piezometrica per le correnti
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71

Le correnti gradualmente variate possono rappresentare con sufficiente approssimazione una gamma
vastissima di correnti nel moto dei liquidi reali.
Il nostro corso si occuperquasi esclusivamente di correnti gradualmente variate.
Dalle considerazioni precedenti e dall'estensione del teorema di Bernoulli discende la possibilit e
l'utilit di una rappresentazione grafica di quest'ultimo anche per le correnti. A questo scopo, per
convenzione, riporteremo sempre i segmenti rappresentativi dei termini del trinomio di Bernoulli sulla
verticale del baricentro della sezione considerata. Data, per esempio, la corrente uniforme che si
realizza nel moto di un liquido all'interno della condotta cilindrica della figura 7.4, per le
considerazioni sopra esposte la linea piezometrica e quella dei carichi totali dovranno risultare
orizzontali.


Fig. 6.16

Con riferimento all'andamento idrostatico delle pressioni per ciascuna sezione risulter:

z
p
A +

cost

In particolare per la sezione (a) risulta: z
p
A
a
a
+

quindi:

p
a
= ( A - z
a
)

Espressione questa perfettamente analoga a quella dell'idrostatica.
In questo caso per il valore A, che avevamo visto essere valido, con riferimento ad un liquido in
quiete, per ogni punto della massa e con riferimento ad un liquido in moto permanente
esclusivamente per un punto di una traiettoria, sar valido per ogni punto della sezione di una
corrente in moto gradualmente variato.
Anche nel caso delle correnti gradualmente variate si misurer la pressione relativa ad un punto di
una sezione, misurandone l'affondamento sotto la quota piezometrica relativa al baricentro e
moltiplicandolo per il peso specifico. Cos nel caso della condotta ad asse inclinato della figura. 6.17.

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72

Fig. 6.17

Le pressioni nei punti A e B della sezione sono misurate dal prodotto degli affondamenti h
A
e h
B
sotto
la linea piezometrica per il peso specifico.
Nel caso di una condotta leggermente convergente e divergente della (Fig. 6.18) gli affondamenti
vanno presi con riferimento all'orizzontale portata per il punto della piezometrica relativo al baricentro
O.

Fig. 6.18




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73

6.11 Le macchine idrauliche

Per la stessa proprietdelle correnti liquide di possedere una determinata potenza e dalla possibilit
di fare variare con intervento esterno tale potenza, sorta l'opportunitdi applicare alla corrente certi
organi meccanici (macchine) atti a trasformare la potenza della corrente in potenza meccanica o
viceversa la loro potenza meccanica in potenza idraulica della corrente.
Tali macchine, a seconda che siano impiegate in una o nell'altra delle funzioni sopra accennate,
assumono il nome di macchine motrici o di macchine operatrici. Le prime, che non interessano
direttamente il nostro corso, servono a sfruttare la potenza della corrente per la produzione di un
lavoro meccanico o, pi comunemente, per la produzione di energia cos detta elettromotrice. Come
tali prendono pi specificatamente il nome di turbine.
Le seconde, di cui tratteremo pi dettagliatamente quando avremo definito le condizioni di moto dei
liquidi reali, sono impiegate per trasmettere una determinata potenza alla corrente o meglio per
incrementare il suo carico totale.
I due processi di trasformazione e trasmissione della energia nell'unit di tempo (potenza) tra i
meccanismi e la corrente sono perfettamente analoghi e di senso contrario nei due tipi di macchine.
In quelle motrici, a parit di energia di posizione e approssimativamente di velocit di corrente nelle
sezioni immediatamente a monte ed a valle della turbina, si ha la trasformazione di energia di
pressione (energia potenziale) in energia cinetica, o completamente nel distributore (turbine ad
azione) o in parte nel distributore e in parte nella girante (turbine a reazione).
Tale energia cinetica viene resa disponibile in energia meccanica sull'asse della girante.
In quelle operatrici, dette anche pompe, invece l'energia meccanica, posseduta da una girante, che
si trasforma dapprima in energia cinetica della corrente e in seguito ad opportune svasature dei
condotti in energia di pressione.
E' ovvio che i due processi perfettamente analoghi e contrari, se il liquido potesse considerarsi
perfetto e il movimento degli organi meccanici avvenisse senza attrito, sarebbero anche
perfettamente reversibili.
In realt ci non avviene e pertanto, a causa delle dissipazioni in seno alla corrente e agli organi
meccanici della macchina, l'energia resa disponibile dalla corrente o impressa alla corrente stessa
non risulta uguale alla energia meccanica in possesso della girante. Il rapporto tra l'energia o la
potenza ricevuta o ceduta dalla corrente e quella impressa o resa disponibile dalla macchina
pertanto un numero minore dell'unite prende il nome di rendimento della macchina.
Per rappresentare graficamente la cessione o l'acquisto di energia da parte della corrente ad opera
delle macchine idrauliche si fa ricorso alla rappresentazione del carico posseduto dalla corrente a
monte e a valle della macchina.
Data la scala del disegno e la trascurabilit dell'ingombro della installazione rispetto allo sviluppo
longitudinale della corrente, la macchina figura normalmente localizzata in un'unica sezione della
corrente e quindi il carico, a monte ed a valle di quest'ultima, viene rappresentato per i due tipi di
macchina, a paritdi quota e di altezza cinetica, nei grafici a) e b) della figura 6.19.

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74

Fig. 6.19

Allo scopo di poter analizzare quantitativamente i due processi di trasformazione, definiamo in un
caso e nell'altro la potenza scambiata tra macchina e corrente.
Tale potenza risulta ovviamente dalla differenza tra i valori della potenza in possesso della corrente
immediatamente a valle ed a monte della macchina.
Indicata con W tale potenza, riferendoci alle annotazioni della figura 6.19, sar: W = W
2
- W
1
e
quindi per la (6.9.2.4)

W q z
p v
g
q z
p v
g
+ +

_
,

+ +

_
,

2
2 2
2
1
1 1
2
2 2
(6.11.1)

Indicando in H
2
e H
1
il carico totale della corrente, rispettivamente a valle ed a monte della macchina,
si avrin definitiva:

W = qH
2
- qH
1
= q (H
2
- H
1
) (6.11.2)

Ovviamente la differenza (H
2
- H
1
) della (6.11.2), sempre con riferimento alla corrente, sar negativa
nel caso della turbina (potenza ceduta) e positiva nel caso della pompa (potenza acquisita).
Per tener conto delle dissipazioni idrauliche e meccaniche di cui abbiamo accennato in precedenza,
occorre introdurre il coefficiente di rendimento < 1. Attraverso di questo si in grado di conoscere,
a parit di potenza della corrente, quale la potenza meccanica disponibile nella turbina oppure
quale deve essere la potenza della pompa per poter fornire alla corrente la potenza richiesta.
Risulta quindi, dato che per definizione con riferimento alla turbina
t
t
t t
W
W
W W : [ ] , dove W
t

la potenza disponibile nella turbina per una potenza W della corrente, e per la pompa, dato che per
definizione

p
p
p
p
W
W
W
W

1
]
1
1
: , dove W
p
la potenza che deve erogare la pompa per fornire
all'acqua una potenza W.
Il rendimento delle turbine in genere pi elevato di quello delle pompe.
Mediamente possiamo considerare, per impianti in esercizio corrente, un valore del coefficiente di
rendimento variabile tra 0,75 e 0,85 per le turbine e tra 0,5 e 0,6 per le pompe, man mano che si
passi da piccole a grosse installazioni.
Sar opportuno a questo punto soffermarsi a considerare le unitdi misura impiegate per esprimere
la potenza.
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75
Ricordiamo che l'unitdi potenza, ricavata a suo tempo nel sistema pratico, il kgm/s.
Tale unit di misura risulta per applicazioni pratiche troppo piccola. Al suo posto invalso l'impiego
dell'unitdi misura denominata cavallo, cav.

Il suo valore viene definito dalla relazione: 1 cav = 75 kgm/s

Molto spesso si usa un'altra unitdi misura, che deriva dall'unitdi lavoro nel sistema assoluto Giorgi,
il watt: [watt = joule/s].

Dato che 1 joule =
1
9 81 ,
kgm, saranche: 1 watt =
1
9 81 ,
kgm/s.

In pratica al posto del watt si usa un suo multiplo in kw (Kilowatt) 1 kw = 1000 watt.

Tenendo presenti i rapporti tra le varie unitdi misura risulta:

1 kw = 1000 watt =
1000
9 81 ,
kgm/s = 102 kgm/s

1 cav = 75 kgm/s = 75 9,81 joule/s =
75 9 81
1000
,
kw = 0,735 kw

1 kw = 1000 watt = 102 kgm/s =
102
75
cav = 1,36 cav

Dalla (7.4.2), ponendo H = H
2
- H
1
e misurando le potenza nelle varie unitintrodotte, dato che =
1000 kg/m
3
, si ha:

w = q H = 1000 q H kgm/s

w q H q H H
1000
75
13 3 , q cav

w q H q H H


1000 9 81
1000
9 81 q
,
, kw

Delle unit pratiche della potenza, test introdotte, discendono unit di energia pi consone alle
applicazioni tecniche. In genere, mentre la potenza una caratteristica tecnica della macchina ed
un fattore del suo costo di impianto, l'energia che essa assorbe o eroga un fattore del suo costo di
esercizio.
L'unit di energia, per definizione, si ottiene dall'unit di potenza moltiplicandola per unit di tempo
opportuno. Normalmente in pratica si usa l'ora.
L'energia totale si ottiene allora moltiplicando l'intero tempo di esercizio per la potenza acquisita od
erogata.
L'unit di misura pi comunemente usata il kwh (kilowattora), cio l'energia erogata da una
macchina della potenza di 1 kw che funzioni per 1 ora.
In unit del sistema pratico questa unitequivale a 367000 kgm. Infatti, tenendo presente che un kw
equivale a 102 kgm/s e che in un'ora ci sono 3600 secondi,:

1 kw = 102 3600 = 367000 kgm





6.12 Venturimetro

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76
Utile applicazione del teorema di Bernoulli quella relativa all'impiego del misuratore Venturi, detto
comunemente venturimetro. Tale apparecchio, che viene applicato per misure di portata alle condotte
in pressione di non piccolo diametro, deve la sua grande diffusione, oltre che alla notevole sensibilit
e precisione nelle misure, anche alla limitata dissipazione di energia che comporta il suo inserimento
nella corrente. Quest'ultima propriet dovuta alla sua forma, come si rileva dalla figura 6.20.



Fig. 6.20

In essa si pu rilevare una rapida strozzatura della sezione corrente della tubazione nel tratto S
1
S'
2
,
seguita da un opportuno tratto cilindrico S'
2
S"
2
e, di contro un graduale allargamento della stessa nel
successivo tratto S"
2
S
3
sino a riprendere il primitivo valore.
Per il meccanismo della dissipazione del carico idraulico di una corrente, di cui diremo
dettagliatamente pi avanti, nel tratto S
1
S
2
, diminuendo la sezione, si ha nella corrente una
trasformazione di energia potenziale in cinetica e tale trasformazione, che avviene con aumento di
velocit, comporta trascurabili dissipazioni di carico. Nel tratto cilindrico S'
2
S"
2
, dove installata la
seconda presa del manometro differenziale, si possono considerare ripristinate le condizioni di moto
uniforme. Tale tratto viene appunto inserito perch la corrente non risenta del brusco passaggio tra il
tratto convergente e il tratto divergente. Tale brusco passaggio farebbe sensibilmente allontanare
dalle condizioni di applicabilitdel teorema di Bernoulli.
Notevoli dissipazioni avvengono invece per la trasformazione inversa che comporta diminuzione di
velocit nella corrente. Tale trasformazione, che avviene tra le sezioni S
2
e S
3
, per attuata
attraverso cambiamenti di sezione cos graduali che le dissipazioni risultano assai limitate.
In definitiva quindi la perdita di carico che comporta il misuratore tra le sezioni S
1
e S
3
risulta molto
contenuta. Trascurando pertanto la perdita tra le sezioni S
1
e S
2
(indicata con y nella Fig. 6.20) e
considerando che le caratteristiche della corrente non sono soggette a bruschi cambiamenti di valore,
potremo ritenere che nel tubo Venturi siano sensibilmente verificate le ipotesi di corrente
gradualmente variata di un liquido perfetto.
Si potr cos applicare opportunamente il teorema di Bernoulli e, attraverso la misura della (caduta)
variazione di quota piezometrica tra le sezioni S
1
e S
2
col manometro differenziale segnato in figura,
risalire alla portata della corrente.
Infatti, con le notazioni di figura, applicando il teorema di Bernoulli tra le sezioni S
1
e S
2
(sezione
centrale del tratto cilindrico) e prendendo come piano di riferimento quello passante per il menisco di
sinistra del manometro differenziale, si avr:

z
p v
g
z
p v
g
1
1 1
2
2
2 2
2
2 2
+ + + +



Per il principio di continuitnelle due sezioni saranche:
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77

v
q
1
1

e v
q
2
2



essendo
1

2
le aree delle due sezioni S
1
e S
2
.

Sostituendo:

z
p q
g
z
p q
g
1
1
2
1
2 2
2
2
2
2
2 2
+ + + +



da cui

z
p
z
p q
g
1
1
2
2
2
2
2
1
2
2
1 1
+

_
,
+

_
,

_
,





Al primo membro compare la differenza di quota piezometrica tra le due sezioni i n esame. Tale
differenza in figura stata indicata con . Sostituendo e facendo opportuni passaggi, risulta:

_
,

q
g
2
1
2
2
2
1
2
1
2
2


da cui infine

q g

_
,

2
1
2
2
2
1
2
2
2


(6.12.1)

Osservando che il fattore 2
1
2
2
2
1
2
2
2
g


_
,

dipende esclusivamente dalle caratteristiche


dimensionali del venturimetro, potremo scrivere

q = K (6.12.2)

dove K coefficiente noto, dipendente dalle caratteristiche del misuratore.
Basterallora conoscere , attraverso la lettura del manometro differenziale, per ricavare subito q.
Ricordiamo a questo punto che rappresenta la differenza della quota piezometrica dei baricentri
delle due sezioni S
1
e S
2
. Esaminiamo pertanto come sia possibile risalire alla misura di attraverso
il manometro differenziale.
Chiamate con p
s
e p
d
le due pressioni nel tubo manometrico rispettivamente nel tronco di sinistra e in
quello di destra, in corrispondenza del piano di riferimento (Fig. 6.20), essendo le due superfici
manometriche equipotenziali, sarp
s
= p
d
.
Ricaviamo, seguendo le notazioni di figura, le due pressioni.

p
s
= p
1
+ z
1
; p
d
= p
2 +
(z
2
- ) +
m


essendo p
1
e p
2
le pressioni nei baricentri delle sezioni S
1
e S
2
, il peso specifico dell'acqua e
m

quello del mercurio.
Ponendo l'eguaglianza tra le due pressioni, sar:

p
1
+ z
1
= p
2
+ z
2
+ (
m
- )

da cui, dividendo per :

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78
z
p
z
p
m
1
1
2
2
+

_
,
+

_
,





vale a dire:


m
(6.12.3)

Ricordando infine che il valore del rapporto

m

si avr:

12 6 , (6.12.4)

Con opportuna taratura l'apparecchio anche in grado di dare direttamente i valori della portata.
Collegando inoltre l'apparecchio con opportuno meccanismo di registrazione, esso permette di
misurare con continuitla portata e quindi di segnalarne le variazioni istantanee.
Nella taratura sono tenute anche in conto le lievi dissipazioni di carico, indicate con y' in figura 6.20,
raggiungendo il massimo dell'approssimazione nelle misure.
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79
7. LIQUIDI REALI

7.1 Perdite di carico

Si givista una applicazione del teorema Bernoulli alla corrente di un liquido perfetto vale a dire la
ricerca della portata che scaturisce da un serbatoio a livello costante attraverso una tubazione.
Vediamo ora un altro esempio pi generale che ci permetta di mettere in luce l'impossibilit
dell'applicazione pratica dell'equazione di Bernoulli nella forma sino a qui acquisita.
Immaginiamo di avere due serbatoi A e B (Fig. 7 1) tali che il livello di B sia maggiore del livello in
A (z
2
> z
1
).


Fig. 7.1

I due serbatoi sono mantenuti artificialmente a livello costante (per esempio con immissione della
portata in A e prelevamento della stessa da B). Si voglia convogliare una portata q da A a B e si
desidera sapere la potenza della pompa da installare in C. Analizziamo la linea dei carichi totali:
questa costantemente a livello di z
1
nel tratto compreso tra il serbatoio e la pompa, mentre nel tratto
successivo costantemente a livello z
2
. La pompa ovviamente dovr trasmettere potenza alla
corrente in modo tale che la massa di liquido passi dal livello energetico

z
p v
g
H
1
1 1
2
1
2
+ +

a quello: z
p v
g
H
2
2 2
2
2
2
+ +



La potenza da trasmettere deve essere: W = W
2
- W
1
= q (H
2
- H
1
). Considerando le dissipazioni
insite nel passaggio da un'energia meccanica nelle giranti della pompa ad un'energia idraulica nella
corrente, la pompa dovravere una potenza

( )
( ) W
q H H
p


<


2 1
1 ;

Come si pu constatare, nella valutazione della potenza della pompa non sono mai comparse ne le
variabili geometriche della condotta (diametro, lunghezza) ne quelle fisiche (scabrezza, viscosit del
liquido, densit) e ci in netto contrasto con la realt. In effetti si constata, ed intuibile, che con un
liquido reale il diametro della tubazione e la sua lunghezza influiscono sulle caratteristiche del moto
ed inoltre si rileva sperimentalmente che liquidi di viscosit diverse, in tubazioni di materiale diverso,
hanno un differente comportamento idraulico.
Questo ci conferma l'insufficienza nelle applicazioni pratiche della ipotesi di liquido perfetto. Anzi,
come abbiamo pi volte accennato, mentre l'ipotesi di incomprimibilit pu essere conservata con
sufficiente approssimazione, salvo che per particolarissimi tipi di moto, l'ipotesi di assenza di viscosit
o di attrito interno conduce a risultati completamente difformi dalla realt. Il moto reale in effetti
dissipativo e quindi il livello energetico della massa di peso unitario non si mantiene costante. La
ragione sta proprio nelle azioni tangenziali e nelle resistenze dovute alla viscosit. Tali azioni
tangenziali sono dovute, come abbiamo visto, alle differenze di velocitche sussistono all'interno del
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80
liquido tra le particelle in movimento. Basta osservare una distribuzione di velocitin una sezione di
una corrente cilindrica in moto uniforme (Fig. 7.2).


Fig. 7.2

L'andamento della velocit lungo un diametro all'incirca parabolico. Esiste quindi una velocit
massima al centro ed una velocitnulla ai bordi. Tale paraboloide della velocit( tridimensionale ) ha
forme differenti a secondo della scabrezza della parete. E' pi allungato nel caso della parete scabra
e pi appiattito nel caso della liscia. In ogni modo, ciascuna corona circolare elementare del liquido in
movimento sar dotata di velocit diverse e la corona pi esterna eserciter una azione frenante
rispetto a quella pi interna e viceversa quella pi interna eserciter un'azione di trascinamento su
quella esterna. Queste azioni reciproche, e soprattutto quelle sull'involucro esterno vincolato,
producono dissipazione di energia.
Se inoltre la condotta non conserva le sue caratteristiche di uniformit ma varia bruscamente la
sezione (Fig. 7.3a) o la direzione del suo asse (Fig. 7.3b) allora l'esperienza rileva delle sacche di
liquido che non partecipano al moto di trasporto. In esse si accentua la turbolenza e tutta l'energia
viene dissipata da moto di agitazione che in parte viene attivato dalla corrente in moto. Quest'ultima
trasmette un'energia che non viene ritrasformata e risulta quindi perduta.


Fig. 7.3a Fig. 7.3b


7.2 Teorema di Bernoulli generalizzato

Per le considerazioni energetiche esposte al paragrafo precedente, preso in esame un tronco di
corrente uniforme (Fig. 7.4), nelle due sezioni (a) e (b) non sarH
(a)
= H
(b)
= cost, ma sar:
H
(a)
= H
(b)
+ H = H
(b)
+ H' + H". Le perdite di energia H = H' + H" sono distribuite ovvero
localizzate. Le prime H' sono provocate dal moto del fluido in condotta e sono costanti per metro
lineare di condotta di caratteristiche uniformi (stesso diametro, stesso materiale, ecc.). Le perdite
ripartite H" sono provocate da punti singolari di discontinuitdella condotta (bruschi cambiamenti di
sezione, o di direzione, ovvero sensibili ostacoli nella condotta).
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81

Fig. 7.4

Se indichiamo con
i
la dissipazione di energia per unit di lunghezza dei tronchi uniformi della
tubazione e con L
i
le lunghezze dei singoli tronchi di caratteristiche uniformi, le perdite ripartite per
tronco sono
i
L
i
e la somma delle perdite tra le due sezioni considerate sar
i
L
i
. Chiamate P
i
le
singole perdite localizzate, la somma di esse tra le due sezioni considerate potrindicarsi con P
i
. In
tal modo il teorema di Bernoulli generalizzato per i liquidi reali potrscriversi nel seguente modo. Se 1
o 2 sono gli indici delle grandezze delle due sezioni considerate in una corrente costituita da pi
tronchi con caratteristiche di moto uniforme:

z
p v
g
z
p v
g
L P
i i i 1
1 1
2
2
2 2
2
2 2
+ + + + + +

(7.2.1)

Questa una semplice espressione qualitativa che non pu avere nessuna applicazione pratica.
Occorre infatti, per poterla impiegare, esprimere i due termini che riguardano le perdite in funzione
delle grandezze fondamentali delle correnti (pressioni, velocit, portata, ecc.).

7.2.1 Perdite ripartite

Da un'analisi sperimentale delle grandezze da cui dipendono le resistenze interne che provocano
l'uniforme dissipazione di energia si vede che:

= f (v, D, S, , ) (7.2.2)

dove v e D sono la velocit media e il diametro della corrente, S una grandezza chiamata
scabrezza che congloba tutte le azioni che l'accidentalit del contorno provocano sul moto della
corrente, e sono rispettivamente la viscosit e la densit del liquido. Nel caso che le
caratteristiche fisiche del liquido sono costanti, come le consideriamo per l'acqua nelle normali
condizioni ambientali, le resistenze diventano dipendenti solo dalla velocit, dal diametro e dalla
scabrezza:

= f (v, D, S) (7.2.3)

Osserviamo che proprio la presenza della scabrezza, grandezza che racchiude un'infinit di
caratteristiche difficilmente concentrabili analiticamente (natura delle parete, tipo di lavorazione, stato
di conservazione delle pareti e cos via, tutti elementi che sfuggono ad una definizione rigorosa
attraverso le grandezze del moto), ci preclude la possibilitdi procedere teoricamente. La via seguita,
infatti, quella sperimentale statistica; vale a dire la sperimentazione copiosa e la classificazione dei
risultati per classi di materiale, stato di conservazione e grandezza delle condotte. Osserviamo ancora
che la considerazione di D (dimensione della corrente) implica l'identificazione della corrente come
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82
cilindrica: e tali erano sempre state le correnti oggetto di indagine da parte dei primi sperimentatori. Al
fine di generalizzare i risultati, si constatato in epoca successiva che poteva tranquillamente essere
trascurata la forma, ma bastava definire una dimensione trasversale caratteristica della corrente,
raggio idraulico R. definito come rapporto tra la sezione e il contorno bagnato.

Per sezione circolare (Fig. 7.5a) risulta

R
A
C
D
D
D

2
4
4


Per sezione rettangolare (Fig. 7.5b) risulta

R
A
C
b h
b h

+ 2



Fig. 7.5

Introducendo il raggio idraulico, la (7.2.3) risulta: = f (v, R, S).

Un'altra delle osservazioni, molto utile agli sperimentatori, stata la relazione esistente nelle correnti
uniformi, e con buona approssimazione nelle correnti gradualmente variate, tra le perdite di carico
ripartite e la cadente piezometrica o perdita di quota piezometrica per unitdi lunghezza, misurabile
direttamente tramite manometri. Infatti in una corrente di caratteristiche uniformi risulta (Fig. 7.6):


Fig. 7.6

v cost ;
v
g
2
2
cost

La linea dei carichi totali risulta quindi parallela alla linea piezometrica

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83

_
,

H
L
J
z
P
L


Si pu, pertanto, sostituire alla cadente del carico totale, la cadente piezometrica

J
z
P
z
P
L

+

_
,
+

_
,

2
2
1
1



Il segno negativo serve per avere valori positivi e salvare la convenzione sulle variazioni di una
grandezza. E opportuno osservare che la cadente piezometrica non una grandezza geometrica ma
ha significato idraulico. Non va quindi confusa con la tangente trigonometrica dell'angolo (Fig. 7.7)
che la linea piezometrica forma con l'orizzontale. Coincide con essa solo nel caso di una condotta ad
asse orizzontale. Infatti:

J
L L



tg
'


e quindi

J = tg

solo se l'asse della condotta orizzontale, ossia L = L'.


Fig. 7.7

A questo punto si pu scrivere:

= J = f (v, R, S) (7.2.4)

Procedendo quindi con criterio sistematico ad una indagine sperimentale si sono potute dedurre una
serie di formule empiriche. Esse, come tali, sono valide solo per la stretta gamma dei valori
sperimentati e con l'adozione rigorosa delle unit di misura che rendono validi i coefficienti che in
esse compaiono.






7.3 Equazione del moto uniforme

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84
Il primo passo verso la normalizzazione delle diverse relazioni ricavate dai vari sperimentatori stato
quello di sintetizzare con una struttura analoga le relazioni tra J e le grandezze caratteristiche del
moto. In questo modo si cercato di evitare la disparit di risultati provenienti da formule differenti
utilizzate per ricavare la cadente in condizioni analoghe. Ciononostante notevoli disparit spesso
esistono tra i risultati derivanti dall'applicazione di formule diverse a casi analoghi. Possiamo
comunque affermare che nella generalit dei casi stata adottata la proporzionalit diretta della
cadente al quadrato della velocit e quella inversa col diametro. Tale legame prende il nome di
equazione del moto uniforme. In formula:

JD
v
b
2
cost (7.2.4)

Dapprima si ritenuto b costante, dipendente esclusivamente dalla scabrezza (quindi dal materiale,
dalla lavorazione, dallo stato di conservazione, ecc.). Pi tardi, e in special modo per merito di Darcy
che ha effettuato prove sistematiche su condotte di piccolo diametro di ghisa, si visto che l'influenza
della scabrezza variava in funzione delle dimensioni della corrente cio del diametro. Sempre per
opera di Darcy si ha una delle prime e ancora valide (soprattutto perch ampiamente sperimentata)
relazioni per ricavare la cadente piezometrica. Posto che
JD
v
a
b
D
2
+ , per tubi nuovi si ottiene,
esprimendo la velocitin funzione della portata e della sezione

J
D
q
D
q
D
+

_
,

0 00164
0000042
2
5
2
5
,
,


valevole con le unit di misura del sistema pratico (J in m/m). Tale espressione ottenuta dalla
precedente, assegnando ai parametri a e b valori dipendenti dalla scabrezza e moltiplicandoli per il
coefficiente costante
16
2

che deriva dallavere espresso v


2
in funzione del quadrato della portata q:

v
q
D
q
D
2
2
2 4 2
2
4
16
16




Per tubi vecchi lo stesso Darcy ha suggerito di raddoppiare il coefficiente . Per tubi usati, a seconda
dell'invecchiamento delle condotte, il coefficiente pu essere moltiplicato per 1,25, 1,50 e 2,00.
Molto spesso per comodit di calcolo, e per i tubi in esercizio corrente, si usa trascurare il secondo
termine del coefficiente
0 000042 ,
D

_
,

, evidentemente come ordine di grandezza pari circa a qualche


unitpercento del primo, ottenendo cos una forma monomia di impiego diretto J
q
D
0 003301
2
5
, (nel

raddoppiare il coefficiente a si leggermente maggiorato il valore per tenere conto anche di b).

L'estensione della relazione tra J, v e D alle correnti di forma non cilindrica si avuta, come abbiamo
in precedenza accennato, con l'introduzione del raggio idraulico R=
A
C
. L'equazione del moto
uniforme assume allora la forma data da Chezy:

RJ
v
2 2
1

(7.3.2) essendo in questo caso b


1
2

.

Pi comunemente essa viene scritta: V RJ

Esprimendo v in funzione di q : q RJ

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85
dove la sezione della corrente.

Analogamente a , , assume diversi valori in dipendenza della scabrezza e della dimensione
trasversale della corrente. Tali valori sono valevoli per la gamma dei casi sperimentati e per le unitdi
misura adottate nelle espressioni empiriche ricavate dalle prove sperimentali. Elenchiamo qui di
seguito le espressioni empiriche pi usate per la determinazione di .

7.3.1 Formule binomie

La pi antica in ordine di tempo quella di Bazin:

+
87
1
R
(7.3.3)

Come si vede, nella sua struttura mantiene la dipendenza, che avevano visto per , dalla scabrezza
(attraverso ) e dalle dimensioni trasversali delle correnti (attraverso R). Evidentemente il termine ,
dipendente dalla scabrezza, deve comparire al denominatore, dato che crescente con la scabrezza
e direttamente proporzionale alla velocit. I valori di sono stati rilevati per un gran numero di
materiali e in diverse condizioni di esercizio. Per questa ragione l'uso di questa espressione empirica
si molto diffuso anche rispetto ad altre espressioni pi moderne e meglio rispondenti alle modalit
effettive del moto. Va subito osservato, come accennato in precedenza, che i coefficienti adottati sono
validi esclusivamente adottando le unitdi misura del sistema pratico. Con queste unit, espresso
in m
1/2
/s. I pi utilizzati valori di sono riportati in tabella 7.1 con l'indicazione del loro campo di
validit:



Tab. 7.1
Natura delle pareti
Canali con pareti in cemento (cemento lisciato con molta cura, e mantenuto
liscio) di non grandi dimensioni. Canali con pareti di legno: tavole piallate e senza
fessure, disposte con la maggior dimensione secondo la direzione della corrente;
ottima costruzione. Canali con pareti metalliche o rivestite di lamiera: superficie
lisciata, senza ruggine; chiodatura a testa cieca; nessun risalto nelle giunture
delle lamiere; tubazioni di eternit, nuove. L'andamento del canale deve essere a
lunghi tratti rettilinei, con ampie curve di raccordo; acqua limpida.






0.06
Canali con pareti di cemento e canali con pareti di legno, come nella classe
precedente, ma curve non molto ampie per quanto bene eseguite e acqua non
perfettamente limpida. Tubazioni in, acciaio trafilato (Mannesmann) nuove.


0.10
Canali con pareti di cemento: intonaco bene eseguito ma non, perfettamente
lisciato; leggeri risalti ai giunti. Canali con pareti di legno: tavole piallate, ma con
qualche fessura tra tavola e tavola. Canali con Pareti metalliche o rivestite di
lamiera: chiodatura ordinaria (cio con teste di chiodi sporgenti), ma senza risalti
nelle giunture delle lamiere. Canali con pareti di muratura: muratura regolare di
mattoni o pietre squadrate. Tubazioni in ghisa nuove, messe in opera con cura: in
acciaio trafilato, in servizio corrente: in lamiera chiodata, chiodatura longitudinale
doppia; giunti conici.







0.16
Tubazioni in cemento: ben lisciato e in buone condizioni, con diametro minore di
0,40 m, acqua limpida; condotte in lamiera con chiodature longitudinale triple,
trasversali doppie.


0.18
Tubazioni in cemento: con intonaco ben lisciato, ma curve strette, acqua non
limpida, diametro maggiore di 0,40 m. Tubazioni, in ghisa, in servizio corrente, di
qualunque diametro.


0.23
Canali con parete in cemento: pareti non bene lisciate, con qualche irregolarit
lasciata dalle forme. Canali con pareti di legno: tavole grezze e squadrate con
poca cura; fessure fra tavola e tavola. Canali in terra: costruzione molto regolare
e ottime condizioni di manutenzione. Pareti e fondo senza vegetazione: Canali




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86
con pareti di muratura: muratura ordinaria con costruzione accurata. Tubazioni in
ghisa, in servizio da molti anni, fortemente incrostate o tubercolizzate. N.B. (per i
canali). Curve piuttosto ampie, acqua non molto limpida e qualche deposito di
limo al fondo.



0.36
Canali con pareti di cemento: con superficie solo in parte intonacata e risalti
marcati ai giunti; acque torbide e qualche deposito sulle pareti e sul fondo,
vegetazione di muschio. Andamento piuttosto tortuoso. Canali con pareti di
muratura: di pietrame ordinario non profilato.



0.46
Grandi canali in calcestruzzo originariamente grezzo, o tale divenuto dopo lungo
esercizio.

0.58
Canali in terra: con sezione assai regolare, eventualmente rivestita di ciottoli.
Lievi depositi di melma, che attenuino la scabrezza delle sponde e del fondo;
mancanza di vegetazione e curve assai ampie. Canali con pareti di muratura:
muratura irregolare, fondo abbastanza liscio per deposito di limo, rivestimento
deteriorato o coperto da vegetazione.




0.85
Canali con pareti metalliche o rivestite di lamiera: chiodatura ordinaria (teste
sporgenti), e risalti alle giunture delle lamiere. Canali in terra: costruzione
abbastanza accurata, lievi depositi di sabbia o altro materiale minuto sul fondo, e
sponde lisce; oppure fondo senza depositi ed erbe basse sulle sponde. Canali
con pareti di muratura: muratura vecchia, in cattive condizioni di manutenzione,
fondo fangoso.





1.00
Canali in terra: sezione regolare, erbe basse sul fondo; sulle sponde anche
qualche cespuglio: lo sviluppo della vegetazione limitato da periodici
diserbamenti. Corsi d'acqua naturali, con, andamento piuttosto regolare, senza
vegetazione, ne sensibili depositi sul fondo.



1.30
Canali in terra: in cattive condizioni di manutenzione: grovigli di vegetazione al
fondo e sulle sponde, oppure depositi irregolari di massi e ghiaia, o profonde
irregolari erosioni. Anche canali in terra eseguiti con escavatori meccanici, e
manutenzione trascurata.



1.75
Canali: scavati nel terreno, in pieno abbandono, con rive sconnesse; oppure con
la sezione in gran parte ostruita dalla vegetazione. Corsi naturali, con alveo in
ghiaia e movimento di materiale sul fondo.


2.30

Occorre infine osservare che l'espressione di Bazin stata particolarmente sperimentata per correnti
di limitate dimensioni e quindi va preferibilmente usata per quelle correnti.
Per correnti di dimensioni qualunque, indifferentemente in pressione o a pelo libero, si presta
particolarmente, sempre nella gamma di valori sperimentati, l'espressione di Kutter:

+
100
1
m
R
(7.3.4)

Riguardo alla struttura valgono le considerazioni generali gifatte per l'espressione del tutto analoga
di Bazin. Si pu aggiungere che nelle stesse condizioni i valori di m dovranno essere leggermente
maggiori dei corrispondenti valori di , per mantenere gli stessi valori di . Tale espressione inoltre ha
un campo di impiego pi esteso di quella di Bazin ed leggermente pi selettiva in quanto, a paritdi
R, in uno stesso intervallo di scabrezza, potresprimere un maggior numero di valori di . I valori di
elevati possono corrispondere alle condizioni dei condotti molto lisci. Alcuni valori di m sono riportati
in tabella 7.2:

Tab. 7.2
Natura delle pareti m
Canali con pareti di cemento: cemento lisciato con molta cura e mantenuto liscio;
sezione semicircolare.

0,12
Canali con pareti di cemento: cemento come sopra; sez. rettangolare. 0,15
Tubazioni in ghisa, nuove; id. di cemento, ben lisciate, diametro almeno di
qualche decimetro

0,175
Canali con pareti di legno: formato con tavole piallate, sezione rettangolare.
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87
Tubazione di lamiere a semplice chiodatura trasversale, giunti conici. 0,20
Canali con pareti di legno: formati da tavole grezze, sez. rettangolare o trapezia.
Canali con pareti di muratura: muratura regolare con mattoni e pietre squadrate.
Tubazioni di grs, o di ghisa, nuove.


0,25
Tubazioni di ghisa, in servizio corrente (fino a due anni dal l'entrata in servizio),
acqua limpida e non dura. Id. di lamiera, chiodatura longitudinale doppia,
trasversale semplice. Giunto cilindrico.


0,275
Canali con pareti in muratura: muratura ordinaria, costruzione accurata (curve
piuttosto ampie, acqua non molto limpida, depositi di limo). Tubazioni di grs, in
servizio da anni, con acque luride (fognature nere).


0,35
Tubazioni in ghisa, in servizio da diversi anni, acqua torbida, Id. di lamiera:
chiodatura longitudinale tripla o quadrupla trasversale doppia.

0,375
Tubazioni in ghisa, in servizio da molti anni, e assai incrostate oppure con acque
luride. Canali con pareti di cemento: muratura di pietrame ordinario con intonaco.

0,45
Canali con pareti di muratura: pietrame ordinario, in cattive condizioni di
manutenzione.

0,55
Canali con pareti di muratura: costruzione poco accurata e manutenzione
deficiente; fondo coperto da limo.

0,75
Canali con pareti di muratura: muratura in abbandono; fango sul fondo. 1,00
Canali: scavati in roccia grossolanamente spianata, con dimensioni limitate.
Canali in terra: con sezione assai regolare curve ampie senza vegetazione.

1,25
Canali in terra: in cattive condizioni di manutenzione, con vegetazione, oppure
con ghiaia grossa sul fondo. Corsi d'acqua naturali, con alveo in terra.

1,75
Canali in terra: in pieno abbandono. Corsi naturali con alveo in grossa ghiaia. 2,50


7.3.2 Formule monomie

Molta importanza hanno assunto per le applicazioni, in funzione del loro pi agevole impiego nei
calcoli, le formule monomie.
In ordine di importanza e diffusione di impiego segnaliamo dapprima la formula di Gauckler-Manning,
ampiamente sperimentata dallo Strickler per cui spesso si indica col nome di quest'ultimo idraulico.
Essa esprime il valore del coefficiente di Chezy in forma monomia:

= c R
1/6
(7.3.5)

Nel sistema pratico c = m
1/3
/s.

Per confermare il pi agevole impiego di questa formula nei calcoli, vediamo di ricavare, se
possibile, R (ovvero D), note le altre grandezze. Cerchiamo cio di risolvere un problema di progetto o
dimensionamento con la formula di Bazin. Sostituendo l'espressione di nell'equazione del moto
uniforme

v RJ
R
RJ
+

87
1
;

v
v
R
RJ +

87 ; 87 J R - v R = v

Si vede chiaramente l'assoluta impossibilitdi esplicitare rispetto ad R l'equazione.

Sostituendo invece l'espressione monomia:

v RJ cR R J cR J R
v
cJ
v
c J

1 6 1 2 1 2 2 3 1 2 2 3
1 2
3
3 3 2
/ / / / / /
/ /
; ; R

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88
Segnaliamo alcuni valori indicativi tra quelli rilevati sperimentalmente per c in tabella 7.3:

Tab. 7.3
Natura delle pareti c
Canali con intonaco cementizio accuratamente lisciato. 100
Canali con intonaco cementizio liscio; tubi di ghisa nuovi. 90
Canali con rivestimento in muratura di mattoni accuratamente costruita. 80
Condotte e gallerie con intonaco di materiale cementizio lisciato senza particolare
cura.

7285
Tubi in lamiera chiodata con coprigiunti, o ghisa con moderate incrostazioni. 6570
Canali in calcestruzzo ben costruito, ma non intonacato o in esercizio da lungo
tempo.

60
Grandi canali rivestiti in calcestruzzo originariamente grezzo o tale diventato
dopo lungo esercizio.

56
Canali in muratura di pietrame non intonacato; o alvei in ghiaia mista a molta
sabbia.

50
Canali in ghiaia e sabbia di varie dimensioni. 3545
Canali in roccia non rivestiti, con sporgenze. 1530

Che l'indice di scabrezza dovesse diminuire con l'aumento della stessa, in contrasto con quanto
avviene per e m, evidente dato che in questo caso c' direttamente proporzionale a , il quale
come sappiamo direttamente proporzionale a v.

7.3.3 Altre formule sperimentali per il calcolo della cadente piezometrica.

L'utilitdi usare formule monomie e il numero rilevante di dati delle vecchie formule binomie ha spinto
gli sperimentatori a trasformare in forma monomia le vecchie relazioni empiriche binomie.
Si come al solito partiti dall'equazione del moto uniforme espresso mediante la portata q = RJ .
Utilizzando per esempio l'espressione del Kutter, ampiamente sperimentata:

q
m
R
RJ
+

100
1


Considerando correnti a sezione circolare:


D D
2
4 4
; , R si ricava:

q
D
m
D
D

2
4
100
1
4
4
J

e da cui:

q
D
m
D
D
J
m
D
D J
2
2
2
2
5
4
100
1
4
4
1
4
100
4 1
4

_
,

_
,

1
]
1
1
1
1
1

/
/


Si arriva cos ad una espressione della struttura:

J K
q
D
Kq D
n
n


2
2


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89
I due indici k ed n dipendono dalla scabrezza. Ricavando tutti i valori corrispondenti a quelli della
serie sperimentata da kutter (attraverso i diversi valori dell'indice m) si pu sostituire con questa forma
monomia la relazione di kutter. Diamo a titolo indicativo la serie dei valori n e k validi per le tubazioni
metalliche corrispondenti ai valori m precedentemente visti.

Tubi metallici nuovi: m = 0,175 k = 0,0012 n = 5,26
Tubi metallici in esercizio corrente: m = 0,275 k = 0,0016 n = 5,36
Tubi metallici in esercizio da diversi anni: m = 0,375 k = 0.0020 n = 5,44

In definitiva possiamo dire che dal punto di vista teorico tutte le espressioni sperimentali si
equivalgono. Qualche indicazione pratica per l'uso preferenziale di una formula o dell'altra ci viene
dalle seguenti considerazioni:

Bazin: correnti di dimensioni limitate D < 0,50 m correnti in
Kutter ;pressione o
Chezy '(binomia o monomia): correnti di dimensioni qualunque a pelo libero
Strickler: correnti di grandi dimensioni a pelo libero (D < 0,50 m)

Darcy: tubazioni metalliche circolari in pressione e solo per valori del
diametro D < 0,400 m

Qualunque sia l'espressione scelta per il calcolo di J l'ordine di grandezza dell'errore potr anche
arrivare al 20 25%.

7.4 Perdite localizzate

Riprendiamo il teorema di Bernoulli generalizzato (7.2.1):

H
1
= H
2
+ L
i
J
i
+ P
i


In analogia con questo fatto per le perdite ripartite necessario, per poter applicare il principio di
conservazione dellenergia come equazione risolutrice dei problemi tecnici relativi al moto dell'acqua,
poter esprimere anche le partite localizzate in funzione delle grandezze fondamentali (velocit,
pressione, ecc.). Meglio ancora se possibile esprimerle con le stesse grandezze precedentemente
usate per le perdite ripartite in modo da non introdurre nuove incognite. Analizziamo il fenomeno della
dissipazione (Fig. 7.8).

Fig. 7.8

Si vede che si pu legare la perdita localizzata, come le perdite ripartite, alla cadente piezometrica tra
due sezioni in cui non si risente dell'ostacolo:

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90
z
p
z
p
LJ H
1
1
2
2
+

_
,
+

_
,
+



J gi legato alle grandezze che abbiano visto attraverso l'equazione del moto uniforme. H per
omogeneit dimensionale potr essere espresso con quelle grandezze. Consideriamo un caso
pratico fra quelli accennati, per esempio il caso di un brusco allargamento (Fig. 7.9).


Fig. 7.9

Le modalit del fenomeno sono gi state descritte, con linsorgenza di turbolenze accentuate nelle
sacche isolate che non partecipano al moto di trasporto. Possiamo considerare le perdite che
avvengono nel tratto AB come composte da un aliquota di perdite ripartite nei due tratti L
1
e L
2
pi
una perdita localizzata che potr con artificio - di calcolo intendersi prodotta da un equivalente
lunghezza di condotta di determinate caratteristiche e quindi di determinate perdite di carico ripartite.
La perdita di carico tra A e B (H) potrintendersi composta di tre perdite:

H = H + H + H = L
1
J
1
+ L
2
J
2
+ L J
1
= L
1
J
1
+ L
2
J
2
+ L J
2


dove L' e L" vengono chiamate lunghezze equivalenti, cio queste ultime esprimono una lunghezza di
un condotto di determinate caratteristiche che provoca una perdita pari ad una determinata perdita
localizzata.
Le due osservazioni fatte ci confermano almeno formalmente che le perdite localizzate si possono
esprimere pi o meno con le stesse grandezze con le quali abbiamo espresso quelle ripartite. Si deve
infine aggiungere che la rilevazione sperimentale ha attribuito l'insorgere delle perdite localizzate
soprattutto al meccanismo di brusco allargamento della sezione della corrente, cio ad un processo
energetico che trasforma l'energia cinetica in energia di pressione. Si dimostra infatti che il processo
inverso, che contempla il passaggio brusco da una sezione maggiore ad un minore incremento della
velocite di energia cinetica, poco dissipativo.

7.4.1 Brusco allargamento

Compito degli idraulici quindi stato quello di analizzare e comprendere in formula sintetica,
attraverso le grandezze del moto, il processo di dissipazione che avviene in un brusco passaggio da
una sezione piccola ad una pi grande. Ovviamente tutto quanto affermiamo valevole
esclusivamente nel campo delle correnti in pressione, essendo sostanzialmente differente il
meccanismo di dissipazione nel caso delle correnti a pelo libero. La soluzione pi semplice, e come
tale pi pratica, la si deve a Borda che ha studiato a fondo il fenomeno della dissipazione e perci
spesso le perdite localizzate vengono anche indicate come perdite Borda.
Consideriamo un brusco allargamento di sezione di una condotta in pressione (Fig. 7.10) da un
diametro D
1
ad uno D
2
. Prendiamo in esame due sezioni (1) e (2) in cui non si risenta la discontinuit
del condotto. In particolare applichiamo il teorema della quantit di moto alla massa contenuta nel
cilindro A B C D.

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91

Fig. 7.10

Le forze di massa agiscono normalmente alla direzione del moto e non influenzano, essendo il
condotto scelto, per comodit, con asse orizzontale. Le forze di pressione sull'involucro, normali alla
direzione del moto, sono in equilibrio. L'impulso delle altre forze dovreguagliare la quantitdi moto:

( ) ( )
1 2 2 2 1 2 1 1

v v
g
dt q
dt p p p +

] [ (7.4.1)

essendo p
1
le espressioni esercitate sulla sezione
1
, p
2
quella esercitata
2
, p le reazioni alla
pressione liquido esercitate dalla parete verticale in corrispondenza dell'allargamento. Borda ha
osservato che si poteva con sufficiente approssimazione considerare p p
1
, quindi:

( ) ( )
1 2
2 2
2 2 1

v v
g
v
p p



g
v
g
v
g
v v
g
v p p
2 2 2
2
2
2
2
1
2
1 2 1
2
2 2 1
+



da cui:

( )
g
v
g
v
g
v v p p
2 2 2
2
1
2
2
2
2 1 2 1
+





( ) p v
g
p v
g
v v
g
1 1 2 2
1 2
2
2 2 2
+

_
,
+

_
,


H (7.4.2)

Quest'ultima espressione ci dice che la perdita localizzata in un brusco allargamento di un condotto in
pressione eguaglia l'energia cinetica della velocit perduta. Un procedimento pi rigoroso in effetti
dovrebbe tenere conto del fatto che p leggermente diverso da p
1
. L'espressione pi esatta dovrebbe
essere:

( )
( )
H
v v
g
p p

+

_
,

1 2
2
1
1
2
1

,

essendo il secondo addendo positivo. Tenendo conto di valori sperimentali relativi ad un condotto
mediamente scabro, si ha:

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92
( )
H
v v
g


11
2
1 2
2
, per
2
4
1
(7.4.3)

7.4.2 Sbocco in un serbatoio

Un esempio particolare di brusco allargamento di sezione quello che si verifica allo sbocco di una
condotta in un serbatoio (Fig. 7.11).


Fig. 7.11

In questo caso l'espressione diventa:

( )
H
v v
g


1 2
2
2



Essendo praticamente nulla v
2
, si ha:

H
v
g

1
2
2
(7.4.4)


7.4.3 Brusco restringimento

Esaminiamo ora il processo di dissipazione che avviene in un brusco restringimento di sezione
(Fig. 7.12).


Fig. 7.12
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93

L'espressione dimostra che l'aliquota maggiore di dissipazione si verifica tra le sezioni 3 e 2 dove si
ha il brusco allargamento dalla sezione contratta
c
alla sezione
2
. Possiamo applicare lequazione
di Borda tra la sezione 3 e 2:

( )
H
v v
g
c
32
2
2
2




chiamata q la portata

H
q
g
c
32
2
2
2
2
1 1

_
,




Ancora sperimentalmente si ricava che in genere
c
= 0,6
2
, per cui:

H
q
g
q
g
v
g
32
2
2
2 2
2
2
2
2
2
1
0 6
1
0 4
0 6 2
0 4
2

_
,

_
,


,
,
,
,

La parte di dissipazione che avviene nel tronco 1-3 di entitmolto minore e prudenzialmente si pu
porre:

H
v
g
13
2
2
01
2
,
In definitiva risulta:

H
v
g
12
2
2
0 5
2
, (7.4.4)


7.4.4 Imbocco di una condotta che deriva da un serbatoio

Un esempio pratico molto comune di brusco restringimento quello che si verifica all'imbocco di una
condotta che parte da un serbatoio (Fig. 7.13).


Fig. 7.13

La perdita di carico all'imbocco si valuta proprio in:

0 5
2
2
,
v
g


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94
L'andamento della curva dei carichi totali e della piezometrica sono quelli di figura 7.13.

7.4.5 Lunghezze equivalenti

Abbiamo gi accennato ad un semplificativo espediente di calcolo che permette di equiparare le
perdite localizzate a perdite ripartite su opportune lunghezze fittizie di condotta.
Si notano sperimentalmente (Fig. 7.14) che le lunghezze equivalenti delle perdite dimbocco e di
sbocco di una condotta che collega due serbatoi sono pari a 20 e 40 diametri.


Fig. 7.14

Con riferimento alla medesima figura 7.14 si potr imporre lequazione che esprime le perdite totali
lungo la condotta di collegamento.

Essa risulta:

Z Z
1 2
0 5 20 40 60 + L J +
v
2g
v
2g
L J + D J + D J = L + D J
2 2
, ( )

In base a questa approssimazione di calcolo, in una rete di distribuzione tubata per irrigazioni a
pioggia, dove esistono molti punti di discontinuit (curve, saracinesche di regolazione, attacco degli
idranti, cambiamenti di diametro, ecc.) che provocano perdite localizzate difficilmente valutabili una
per una, queste vengono valutate, in prima approssimazione, globalmente pari al 10% 15% delle
perdite distribuite.

7.5 Applicazione delle formule del moto uniforme

La ricerca delle caratteristiche del moto delle correnti in moto uniforme pu riguardare una serie di
problemi che si possono raggruppare in tre categorie principali:
Problemi di verifica sono tali quelli che riguardano la ricerca del funzionamento di una condotta, cio
la determinazione della portata, una volta note le caratteristiche geometriche e fisiche della corrente
cio dimensioni e perdite di carico.
Problemi di dimensionamento (o progetto) quelli che riguardano la ricerca delle caratteristiche
geometriche (dimensioni) che deve avere un condotto per portare una data portata con date perdite di
carico.
Problemi sperimentali sono tali quelli che si occupano della ricerca della scabrezza di un condotto
che, con date dimensioni, faccia defluire una data portata con determinate perdite di carico. Tutte
queste categorie di problemi si risolvono con l'applicazione delle formule sperimentali
precedentemente introdotte.
Sia data la condotta della figura 7.15 e si immagini che non esistano le perdite localizzate nel tratto in
esame tra le sezioni (1) e (2) , cio P
i
.= 0

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95

Fig. 7.15

L'espressione del teorema di Bernoulli generalizzato, essendo costanti gli elementi geometrici e fisici
della sezione e quindi L
i
J
i
= L J , diventer: H
1
= H
2
+ L J , da cui, con riferimento alla figura 7.15:

H
1
- H
2
=H = L J

Introducendo l'equazione di Chezy q = RJ si ha:

H L
q
R

2
2 2

,

e nel caso delle condotte circolari in pressione, poich

R
C
D
D
D

2
4
4


risulta, impiegando l'espressione di Kutter:

H L
q
D
m
D
D
q
D
D

_
,

_
,

_
,

2
2
2
2
2
2
5
2
4
100
1
4
4 64
100
1
100
4

/ /
(7.5.1)

A questo punto, se si vuole risolvere un problema di verifica, cio noto il diametro D e l'indice di
scabrezza m, trovare in funzione della cadente J la portata defluente q , si potrebbe, per esempio,
procedere nel modo di seguito indicato.
Si determina mediante due manometri metallici o mediante manometro differenziale o, pi
semplicemente con due piezometri, la differenza di quote piezometriche. Dalle notazioni della figura
7.14 risulta, per esempio nel caso del manometro differenziale:
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96



m
12 6 , (per il mercurio)

Dato che la corrente uniforme e perci risulta H = , si divide per la lunghezza L e si ricava:
H
L L


vale a dire = J.
Introducendo nella (7.5.1) i dati del problema e i valori ricavati, si pu risolvere direttamente trovando
il valore di q :

q
D
m
D
J
2 2
5
2
64
100
1
4

_
,

/


Se si vuole risolvere un problema di dimensionamento si procede in modo del tutto analogo. Soltanto
opportuno ricorrere per il calcolo della cadente J alle formule monomie:

H = LJ = L K q
2
D
-n


Introdotti in questa i valori noti di H, L, q, si pu ricavare direttamente con l'ausilio dei logaritmi, e per
valori opportuni degli indici K ed n, il valore D:

( ) D
L
Y
Kq
n
L Y q
n

_
,

+
2
1
1
2 ; D log log log log

Qualora si volesse usare la formula di Strickler in problemi di progetto, occorrer trasformare
opportunamente l'equazione di Chezy:

H L J L
q
c R

2
2 2 4 3

/
; e per condotti circolari:

H L
q
D
c
D
L
q
c
D

_
,

2
2
4
2
4 3
2
2 2
16 3
16 4
101


/
/
,6


e quindi D
L
Y c
q

_
,

1016
2
2
3 16
,
,
/

risolvibile direttamente mediante i logaritmi.



Se poi non si volesse ricorrere alle formule in forma monomia, si potrebbe procedere normalmente
con metodo di calcolo per approssimazioni successive, introducendo nella (7.5.1) opportuni valori di
D e ricavando i valori corrispondenti di H. Rappresentando graficamente i valori ottenuti e
procedendo per interpolazione, il compito risulta molto facilitato.
Il valore cercato D
0
relativo a H
0
si ricava una volta costruita per punti la curva di figura 7.16. Sono
sufficienti , se opportunamente scelti, i tre punti p
1
(D
1
, H
1
) ; p
2
(D
2
, H
2
) e p
3
(D
3
, H
3
).

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97


Fig. 7.16

Per procedere alla risoluzione del problema sperimentale, che si propone la ricerca della scabrezza,
si opera direttamente con l'uso della formula pi opportuna, essendo sempre possibile esplicitare le
espressioni rispetto all'indice di scabrezza.

7.5.1 Condotta con sollevamento

Allo scopo di fissare meglio e chiarire l'impostazione delle risoluzioni e i processi numerici connessi
con riferimento ai vari problemi precedentemente indicati, apportiamo a titolo esemplificativo qualche
schema d'impianto che la pratica con pi frequenza ci propone.
Molto spesso, com' noto, necessario inserire una macchina operatrice (pompa) in una condotta
che, per ragioni di esercizio, ha la necessitdi un determinato incremento di carico. Il caso gistato
trattato sotto l'aspetto non dissipativo (liquidi perfetti); si tratta ora di estendere la trattazione ai liquidi
reali.
La funzione della macchina operatrice quella di incrementare la potenza della corrente e quindi,
come detto, a parit di portata, il carico. Il meccanismo quello di una girante che imprime un
incremento di velocit alla corrente, e quindi di energia cinetica, che attraverso una svasatura del
condotto, con conseguente aumento graduale di sezione, si muta in incremento di energia potenziale.
Come schema possiamo riferirci a quello della figura 7.17.


Fig. 7.17

Nel caso di moto dissipativo non detto che i due serbatoi debbono essere nella posizione di figura
7.17: se i livelli fossero gli stessi o z
2
fosse inferiore di poco a z
1
in modo che il carico motore non
fosse sufficientemente a promuovere il moto da A verso B occorrerebbe comunque, per conservare la
corrente, inserire una pompa. Dato che la condotta ha uno sviluppo longitudinale decisamente molto
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pi elevato del gruppo di sollevamento, nello schema si immagina che l'ingombro della pompa possa
essere assimilato ad un'unica sezione del condotto. In definitiva le flange d'attacco di monte e di valle
del gruppo coincidono.
Per risolvere i problemi di moto abbiamo a disposizione, come al solito, il teorema di Bernoulli
generalizzato e l'equazione di continuit. Scriviamo il teorema di Bernoulli fra le due sezioni terminali:

z z
V
g
L J H L J
V
g
1 2
1
2
1 1 2 2
2
2
0 5
2 2
+ + + + ,

z z
q
g
L K q D H L K q D
q
g
n
n
1 2
2
1
2 1 1
2
1 2 2
2 2
2
2
2
0 5
2 2
+ + + +


,



Vediamo di ricavare H in funzione della potenza installata. Indichiamo con W
c
la potenza impressa
alla corrente e con W
p
quella erogata dalla pompa. Sar W
c
= W
p
, essendo il coefficiente di
rendimento del gruppo, variabile, da piccoli a grossi impianti, entro i valori 0,5 0,65.

W
c
= q (H
2
- H
1
); q (H
2
- H
1
) = W
p

da cui: H
W
q
p

(7.5.2)

Sostituendo:

z z
q
g
L K q D
W
q
L K q D
q
g
n p n
1 2
2
1
2 1 1
2
1 2 2
2
2
2
2
2
0 5
2 2
+ + + +

,




Nei riguardi dellequazione scritta si possono fare subito alcune semplificazioni dettate dalla
considerazione che normalmente le caratteristiche della condotta di aspirazione (dal serbatoio di
monte alla pompa) e quella della condotta di mandata (dalla pompa al serbatoio di valle) sono le
stesse.
Saranno pertanto uguali i diametri, le scabrezze e le velocit.
L'equazione diventa allora:

( ) z z L L D
q
g
W
q
n p
1 2 1 2
2
2
2
15
2
+ + +

Kq ,

(7.5.3)

Le variabili del problema sono: q, K, n, D, W
p
.

Problema di verifica: la soluzione immediata in quanto l'equazione direttamente esplicabile
rispetto a q.

Problema di dimensionamento: idraulicamente indeterminato, in quanto con un'unica equazione, noti
che siano q, K, n, rimangono incogniti W
p
e D. La serie delle risoluzioni compatibili contempla piccoli
diametri con elevate perdite di carico e quindi elevate W
p
ovvero grossi diametri, piccole perdite di
carico con limitata W
P
. In definitiva una qualunque potenza installata va bene purch si modifichi di
concerto il diametro della condotta.
A questo punto evidente che debbano intervenire condizioni economiche che tengano conto delle
spese di installazione della pompa e della condotta nonch le spese di manutenzione ed esercizio di
entrambe. Si esprime infatti, in funzione delle grandezze gi intervenute nel problema, la spesa di
installazione dell'impianto in annualit, tenendo conto in genere che le condotte e le opere murarie
hanno un periodo di ammortamento di 30 40 anni, i macchinari di 10 15 anni, ed a questa si
assommano le spese di manutenzione e di esercizio.
O si impone che questa funzione costo sia minima, uguagliando quindi a zero la sua derivata prima e
ricavando il relativo diametro, ovvero si procede ad una risoluzione per tentativi che consiste nel
fissare vari diametri, nel porre in grafico i valori delle annualit relative e nel ricavarne il valore
minimo.
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99
Questo il procedimento rigoroso. In pratica, per aver indicazioni di massima sugli impianti
menzionati, si procede con criterio statistico confrontando le condizioni con quelle dei numerosi
impianti gi in funzione. Da tale confronto si nota per tutti gli impianti ben proporzionati un valore
ricorrente di una grandezza. Si verifica infatti che la velocit nelle condotte si mantengono su valori
che variano da 1 a 2 m/s.
Imponendo quindi un valore della velocitentro i suddetti limiti, si ricava un valore del diametro:



q
v
D q
v
; ,
2
4
da cui si ricava D. Ponendo D nell'espressione ricavata si ottiene W
p
.

Problema sperimentale: uno dei casi pratici pi frequenti quello del collaudo dell'impianto, vale a
dire note tutte le grandezze geometriche, fisiche e idrauliche dell'impianto, si misura la potenza
impressa alla corrente W
c
e si ricava il rendimento effettivo e lo si confronta con quello assicurato
dalla casa fornitrice:
W
W
c
p


Un altro problema che si pone negli schemi pratici di sollevamento quello dei limiti di
disadescamento della pompa. Riferiamoci per concretezza ad uno schema abbastanza frequente in
pratica (sollevamento da corso d'acqua, figura. 7.18).

Fig. 7.18

L'equazione risolutrice la solita in cui si ponga v = 1 2 m/s:

z z
q
g
LJ
W
q
p
1 2
2
2
15
2
+ + ,



Vediamo quale il limite di h
a
(dislivello tra la pompa e la superficie libera nel canale) consentito in
pratica perch non si disadeschi la pompa. Teoricamente sappiamo che il limite di depressione
massimo quello pari ad una pressione relativa di - 1 atm (pressione assoluta nulla), cio una
pressione relativa, in unitdi misure tecniche, pari a -10 m di acqua. In pratica questo limite assai
inferiore in quanto gi ad una pressione relativa pari a -7 8 m d'acqua si liberano bolle d'aria
all'interno della condotta che tolgono continuit alla colonna liquida aspirata. Poich la depressione
massima si ha allimbocco della pompa (Fig. 7.18) allora dovremo imporre che questa depressione (h)
sia inferiore a 7 8 m. Con le grandezze in figura. 7.18, abbiamo:

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100
h z z
v
g
L
v
g
p
+ + +

_
,

1
2
1
2
0 5
2 2
7 8 , J m

Ponendo prudenzialmente l'insieme delle perdite di carico nella condotta di aspirazione pari a 2 m, si
ha che:

h
a
= z
p
- z
1
5 6 m

Pertanto la quota della pompa non pu essere superiore di 5 6 m a quella della superficie libera nel
canale.
Nei riguardi degli impianti di sollevamento invalso l'uso della seguente terminologia:

Prevalenza totale: corrisponde alla differenza di carico tra la flangia di monte e quella di valle della

pompa H = H
2
- H
1


Prevalenza manometrica: corrisponde alla differenza tra le quote piezometriche in corrispondenza
delle flange di monte e di valle della pompa

z
p
H
v
g
H
v
g
+

_
,

_
,

_
,

2
2
1
2
2 2


Prevalenza geodetica: corrisponde alla differenza tra le quote geometrica dei livelli d'acqua
rispettivamente a valle ed a monte della condotta di sollevamento. z z z
2 1

Occorre osservare che la prevalenza totale si ottiene dalla prevalenza geodetica sommando tutte le
perdite di carico

H z
v
g
L
1 1
2
1
0 5
2
, J

H z
v
g
L
2 2
2
2
2
+ + J

da cui:

( ) ( ) H H z z
v
g
L
v
g
2 1 2 1
2
1
2
0 5
2 2
+ + + , J


7.5.2 Condotta a sifone

Un altro caso di una condotta che funziona in depressione quella a sifone come indicato nella
figura. 7.19.

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101

Fig. 7.19

L'equazione risolutrice si ottiene, come al solito, applicando il teorema di Bernoulli ed il principio di
continuittra le sezioni d'imbocco e di sbocco del sifone.

Considerando lo sbocco in atmosfera si ottiene:

( ) z z
v
g
v
g
L J
v
g
1 2
2 2
1 2
2
2
0 5
2 2
+ + + + + ,

essendo
1
ed
2
due coefficienti < 1 che tengono conto all'aliquota di perdita di carico localizzata nei
due gomiti della condotta.

In definitiva risulta:

z z
g
q LKq D
n
1 2
1 2
2
2 2
15
2
+
+ +
+

,



I due problemi idraulici che si devono risolvere sono in genere la massima portata compatibile col
funzionamento in depressione una volta assegnato il diametro D e la quota di sbocco necessaria per
convogliare una determinata portata inferiore a quella limite. Si tratta evidentemente di due problemi
di verifica.
Impostando l'equazione relativa al primo problema e con le indicazioni di figura 7.19, si ha:

h h
v
g
v
g
L Kq D
a a
n
+ + +

0 5
2 2
2
1
2
2
,

avendo indicato con L
a
la distanza dall'imbocco della sezione pi lontana - ed a quota pi elevata
sull'argine. Imponendo la condizione gi ricavata per h (h 5 m) , una volta fissato D si pu
ricavare la portata massima (qmax) .
Per il secondo problema, vale a dire quello che richiede la conoscenza della quota di sbocco
necessaria per derivare una determinata portata q < qmax, si fa ricorso all'equazione generale gi
scritta:

z z
g
q LKq D
n
1 2
1 2
2
2 2
15
2
+
+ +
+

,



dove L = L
a
+ L'. In questo caso L' incognito ed infatti funzione della quota incognita z
2
.

Dalle notazioni in figura risulta:

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102
L
z h z
a
'
cos

+
1 2



essendo l'angolo di inclinazione sulla verticale del tratto discendente del sifone.

Per terminare occorre segnalare qualche problema tecnico relativo alla sezione di sbocco del sifone.
Con riferimento alla figura. 7.19 si osserva che una parte della sezione di sbocco si trova a pressione
minore di quella atmosferica; ci pu provocare un richiamo d'aria all'interno del sifone con grossi
inconvenienti che possono arrivare sino al disadescamento. Uno degli accorgimenti utilizzati quello
di piegare ad u lo sbocco del sifone in modo da creare una chiusura idraulica (Fig. 7.20).


Fig. 7.20

7.6 Lunghe condotte

Un altro problema che occorre risolvere frequentemente in pratica quello del trasporto, mediante
condotta, di una determinata portata per lunghe distanze, cio il problema delle lunghe condotte.
Immaginiamo di riferirci allo schema di figura. 7.21 che comprende una condotta che allaccia due
serbatoi e non ha alcuna erogazione lungo il percorso. E' questo il caso delle condotte esterne
d'acquedotto o delle adduttrici per irrigazione.



Fig. 7.21

Vediamo quali semplificazioni si possono fare rispetto alla trattazione rigorosa. Si trascurano anzitutto
le perdite di carico localizzate (imbocco, sbocco, cambiamento di diametro, curva ecc.) che risultano,
almeno per le condotte con tracciato economico, e quindi poco accidentato, molto piccole rispetto a
quelle ripartite. Se si considerano esclusivamente le due pi cospicue, che sono quelle d'imbocco e di
sbocco, e che sappiamo equivalere alle perdite ripartite su una lunghezza equivalente di condotta pari
a 60 D e se si suppone che il complesso delle rimanenti perdite localizzate risulti equivalente a queste
ultime, possiamo ritenere che la lunghezza totale equivalente di condotta, corrispondente a tutte le
perdite localizzate, sia pari a 120 D. Basta che tali perdite siano inferiori al 10% delle ripartite perch,
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103
con l'approssimazione consentita dalle note formule empiriche, esse possono essere trascurate. In
definitiva una condotta di lunghezza pari a 1500 2000 D potrsenz'altro essere considerata lunga
condotta e quindi si potranno trascurare le perdite localizzate.
Inoltre, se si considera la limitata velocitdella corrente, compresa, in generale per questi impianti, tra
0,3 e 2 m/s, anche la relativa altezza cinetica potr essere trascurata rispetto al complesso delle
perdite ripartite che si hanno lungo il percorso. Con riferimento alla velocitmassima, infatti, si ha:

v
g
2
2
4
19 62
0 2 =
,
, m

Per questo si pu fare coincidere la linea piezometrica con quella dei carichi totali.
Infine, le distanze tra le sezioni non sono pi misurate lungo l'asse della condotta ma sulla proiezione
planimetrica della stessa. Si ha cos il vantaggio notevole di poter misurare le distanze (ai fini del
calcolo) sulle planimetrie dei tracciati (carte al 25.000 per i progetti di massima e al 10.000 per i
progetti esecutivi). Si visto infatti che anche nei tracciati pi accidentati la differenza tra l'effettiva
lunghezza e la proiezione poteva arrivare al 5% trascurabile ai fini del calcolo, anche se, ovviamente,
non ai fini della esecuzione dell'opera.
Prima conseguenza della valutazione della lunghezza sulla proiezione orizzontale dell'asse che la
cadente del carico, la cadente piezometrica e la tangente geometrica della linea piezometrica
coincidono (Fig. 7.21):

J tg (7.6.1)

Ci evidente. Se infatti la cadente piezometrica il rapporto tra l'abbassamento della linea
piezometrica tra due sezioni e la loro distanza, dato che tale distanza viene presa sull'orizzontale,
allora tale rapporto rappresenta l'inclinazione della linea piezometrica, vale a dire la tangente
geometrica dell'angolo che essa forma con l'orizzontale.
Per questioni di buon funzionamento, infine, non va trascurato il fatto che la linea piezometrica deve
risultare sempre sensibilmente superiore all'asse della condotta.
Tutte le considerazioni fatte in precedenza servono a semplificare il problema del moto di una
corrente in un condotta adduttrice.

L'equazione risolutrice diventa infatti (Fig. 7.21):

z z L J
z z
L
J
1 2
1 2
+

;

e, adottando la formula di Kutter:

z z
L
q
D
m
D
D
1 2
2
2
2
4
100
1
4
4

_
,

/


Il problema di verifica immediato mentre il problema di progetto risolvibile con procedimento per
tentativi. Proprio in questo caso si vede l'utilit dell'impiego delle formule monomie che permettono
una risoluzione immediata. Per esempio, adottando la Kutter monomia:

H
L
Kq D
L
H
Kq
n
n

_
,

2 2
1
; D

ed infine:

( ) log log log log log D
n
L H K q + +
1
2
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104

Allorch abbiamo ricavato il valore teorico del dimensionamento D, occorre poter sostituire a questo
quello commerciale.
Una volta rilevati dai cataloghi i diametri commerciali, si opera nel modo indicato qui di seguito,
facendo riferimento alla figura. 7.22.



Fig. 7.22

Siano D
1
e D
2
i diametri commerciali immediatamente inferiori e superiori a - quello teorico. si
adotta, in genere, per un tratto il diametro superiore (D
2
) e per il successivo quello inferiore (D
1
), o
viceversa, in modo da avere l'esatto compenso tra le minori e le maggiori perdite nei due tratti. Il
problema consiste nel trovare le lunghezze L
1
e L
2
in modo che le due piezometriche siano congruenti
con i due livelli di partenza e di arrivo nei serbatoi. Fissati pertanto i diametri, le incognite sono L
1
e L
2
.
Occorre trovare due relazioni per la risoluzione del problema.
Queste sono:

L
1
+ L
2
= L

L
1
J
1
+ L
2
J
2
= L J

risolvendo il sistema si ha:

L
2
= L - L
1


L
1
J
1
+ L J
2
- L
1
J
2
= L J

L
2
= L - L
1


L
1
(J
1
- J
2
) = L (J - J
2
)

L
2
= L - L
1


L
1
= L
J J
J J

2
1 2


Una volta note le cadenti J si risale ai valori di L
1
e L
2
. Salvo che problemi di tracciato non lo
impongano, indifferente la successione dei diametri.
Per regolarit di esercizio necessario prevedere una regolazione dell'impianto a tubi nuovi. Infatti
l'indice di scabrezza che noi introduciamo nel calcolo quello relativo alle condotte in esercizio da
molto tempo, al limite per il tempo considerato per l'ammortamento dell'impianto (durata necessaria
per ripristinare il capitale e rinnovare gli impianti). Durante l'esercizio e soprattutto quando le condotte
sono nuove si perde molto tempo meno carico di quello considerato nel calcolo e ci pu dar luogo
all'inconveniente messo in evidenza nella figura. 7.23.

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105

Fig. 7.23

In essa si vede come, rispetto alla linea piezometrica del corretto esercizio, quella a condotte nuove
vada ad incontrare la condotta nel punto C (minore pendenza) per cui si verifica un funzionamento in
pressione da C a B mentre nel tratto AC la corrente diviene a pelo libero o, come si dice, il
funzionamento risulta a canaletta. Di conseguenza la vena liquida non riempie interamente il tubo e
viene trasportata dell'aria con conseguente turbamento dell'equilibrio del moto. Per ovviare a questo
inconveniente occorre introdurre delle valvole di regolazione, vale a dire delle saracinesche, che
parzializzando la sezione del tubo provochino perdite localizzate variabili a seconda della necessit.
La successione dell'assetto delle linee piezometriche durante l'esercizio indicato nella figura. 7.24.


Fig. 7.24

All'inizio dell'esercizio la valvola avr la chiusura massima e, con l'andare degli anni, si aprir
gradualmente in funzione dell'aumento della cadente.

H
1
> H
2
> H
3


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106
8. CORRENTI A SUPERFICIE LIBERA

8.1 Introduzione

Si definiscono in tal modo le correnti che non hanno il loro perimetro totalmente a contatto con
l'involucro esterno. Inoltre la parte superiore del perimetro della corrente a pressione atmosferica
(Fig. 8.1).


Fig. 8.1

Dato che le sezioni geometriche non sono costrette e vincolate da quelle dell'involucro, pi facilmente
che nel caso delle correnti in pressione si hanno variazioni della sezione liquida. Per questa ragione
la variabilit rispetto allo spazio produce pi frequentemente condizioni di moto permanente in luogo
di moto uniforme.
Per in questo caso, siccome il moto avviene con un grado maggiore di libert e in condizioni pi
naturali, e noi sappiamo che la natura sempre portata verso condizioni di equilibrio e di
attenuazione graduale della discontinuit, possiamo subito premettere che nei corsi d'acqua artificiali
e naturali che interessano la pratica potremo racchiudere pressoch l'intera gamma dei casi di moto
in quella categoria pi ristretta delle correnti permanenti che va sotto il nome di correnti lineari o
gradualmente variate. Ricorderemo che in questa categoria di correnti le traiettorie si possono
considerare sensibilmente parallele.
Definiamo profilo della corrente il luogo dei punti di intersezione, operata con un piano verticale
parallelo ai filetti fluidi e passante per il punto pi depresso della sezione, con la superficie libera
(Fig. 8.2).


Fig. 8.2

Vediamo cosa avviene del profilo della corrente quando ci sia un ostacolo in alveo (Fig. 8.3).


Fig. 8.3

Vedremo pi avanti che il profilo della corrente in queste condizioni si congiunge con quello in
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107
assenza dell'ostacolo o, che lo stesso, il profilo si avvicina asintoticamente a quello della corrente
che preesisteva e che aveva le traiettorie rigorosamente parallele (moto uniforme).
Il fatto che le correnti siano lineari ci permette di trattare le sezioni come piane e di conseguenza la
distribuzione delle pressioni nelle sezioni pu considerarsi idrostatica.

z
p
+

cost

Nella figura 8.4 la sezione che deve essere normale alle traiettorie, essendo molto piccolo, si pu
assimilare con quella piana che ha per traccia la corda AB.




Fig. 8.4


Le sezioni oltre che piane si possono considerare verticali. Questo avviene perch, in pratica, le
pendenze di fondo degli alvei sono molto piccole. Per le applicazioni che interessano il nostro corso
sono dell'ordine di qualche unit per mille. Con riferimento alla figura 8.5 le sezioni piane, che
andrebbero considerate normali al fondo, data la limitatezza dell'angolo si possono assimilare alla
loro proiezione verticale.




Fig. 8.5


Ci comporta che, essendo idrostatica la distribuzione delle pressioni, gli affondamenti per il calcolo
di queste ultime si possono misurare sulla sezione stessa.








8.2 Correnti rigorosamente uniformi

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108
In queste correnti le traiettorie sono rigorosamente parallele per cui la superficie libera risulta
rigorosamente parallela al fondo.
Prendiamo ora in considerazione una sezione della corrente (Fig. 8.6).


Fig. 8.6

Dato che le sezioni come abbiamo detto sono piane e verticali e la distribuzione della pressione
idrostatica, la superficie libera non pu che essere orizzontale e la traccia A e B pertanto
orizzontale. Da essa vengono misurati gli affondamenti per il calcolo delle pressioni nella sezione. La
quota individuata dal profilo liquido quindi quota piezometrica per la sezione. Questa comporta che
la linea piezometrica e profilo liquido coincidono (Fig. 8.7).


Fig. 8.7

Il punto rappresentativo della quota piezometrica dovrebbe essere rigorosamente l'intersezione della
superficie libera con la verticale passante per il baricentro ma essendo la sezione piana e verticale e
la superficie libera orizzontale, i punti del profilo e della piezometrica in proiezione coincidono.
La pressione nel punto 0 e in tutti i punti alla stessa quota di 0 nella sezione, si misurano col prodotto
p
0
= h
0
. Se il moto uniforme, la velocit media costante per cui costante anche l'altezza
cinetica
v
g
2
2
.
La linea dei carichi totali pertanto parallela alla linea piezometrica, o al profilo, a distanza
v
g
2
2

Vediamo come, nel caso della correnti a superficie libera in moto uniforme, viene rappresentata la
cadente piezometrica (Fig. 8.8):
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109

Fig. 8.8


J

h
s
sen

La pendenza del fondo i

h
s

'
'
tg . Dato che l'angolo molto piccolo, tg sen ; in definitiva
si ha:

J= tg = i cio J i (8.2.1).

Pertanto, nel caso delle correnti uniformi la cadente piezometrica, grandezza idraulica, coincide con
la pendenza di fondo, grandezza geometrica.
Ma poich anche J (cadente del carico coincidente con la cadente piezometrica) allora anche:

i (8.2.2)

ossia la perdita di carico per unitdi lunghezza coincide con la pendenza di fondo.

Ritorneremo pi avanti su questa importante questione. Intanto osserviamo che queste uguaglianze
ricavate geometricamente J i potevano ricavarsi anche tramite l'applicazione del
teorema di Bernoulli (Fig. 8.9):
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110


Fig. 8.9


z h
v
g
z h
v
g
1
2
2
2
2 2
+ + + + + S

ma: z z
1 2
S S S S i sen tg

quindi: i S = S

e pertanto i . (8.2.3)

Questa si pu intendere come l'espressione del teorema di Bernoulli per le correnti a pelo libero in
moto uniforme. Tale espressione significa che il carico rispetto al fondo rimane costante e,
considerato il parallelismo tra linea piezometrica e linea dei carichi totali, che l'altezza cinetica
v
g
2
2

rimane costante. Da ci si deduce che v = cost, vale a dire che l'accelerazione nulla
dv
dt

_
,

0 . Ci
appare in evidente contrasto con quello che succede nel caso di un grave che si muove in un campo
di velocitcomparabili su un piano inclinato (Fig. 8.10).
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111

Fig. 8.10

Per effetto della forza F il grave G accelera, aumenta cio la velocit e quindi la sua aliquota di
energia cinetica. Nel caso dell'acqua, invece, quando quest'ultima ha raggiunto l'equilibrio e si muove
di moto uniforme, ci non avviene. Infatti l'accelerazione indotta (con conseguente aumento di
energia cinetica) provoca l'insorgenza, per viscosit, di fenomeni di attrito che dissipano
completamente l'incremento di energia cinetica. Vale a dire che, in condizione di equilibrio,
l'incremento di energia cinetica per unitdi percorso perfettamente equivalente all'energia dissipata
per attrito nello stesso spazio. Ci di fatto espresso dalla relazione i.
Osserviamo inoltre che l'altra relazione J i, che esprime il parallelismo tra il profilo della corrente e il
fondo, ci assicura della costanza dell'altezza d'acqua rispetto al fondo medesimo.
A questo punto occorre introdurre una grandezza che risulter molto utile nelle considerazioni che
faremo pi avanti.
Questa grandezza il carico della corrente nella sezione rispetto al fondo (Fig. 8.11):


Fig. 8.11


e h
v
g
+
2
2
(8.2.4)

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112
con h z
p
+



Per non essere indotti in errate interpretazioni opportuno sottolineare che costante il carico
rispetto al fondo e non il carico il quale sempre riferito ad un piano orizzontale.

e
1
= e
2
, ma H
1
> H
2


Passiamo adesso a considerare le equazioni risolutrici del moto delle correnti a pelo libero. Esse
sono ancora derivate dal teorema di Bernoulli: = J e dal principio di continuit: q = v = cost.
L'equazione del moto uniforme o di Chezy valida, come sappiamo, anche per le correnti a superficie
libera: v RJ che, in questo caso, si scriver: v c Ri e, introducendo l'equazione di
continuit, indicando con A la sezione della corrente:

q Av A Ri (8.2.5)

Tale espressione del tutto analoga a quella usata per le correnti in pressione. In quel caso, essendo
fissa la sezione del tronco di tubazione, ad un mutamento di portata corrisponde una variazione della
cadente piezometrica.
Nel caso delle correnti a pelo libero, una variazione di portata, essendo fissato dalla giacitura del
terreno il valore i comporta una variazione di sezione e di raggio idraulico. In particolare, il pi delle
volte fissata la larghezza di fondo della sezione per ragioni economiche e statiche (espropri
ampiezza della sezione in funzione della natura del terreno). Ancora fissate, per ragioni statiche, sono
le pendenze delle sponde (le sponde possono essere infatti naturali o rivestite; nel secondo caso il
rivestimento le rende compatte e in grado di reggere inclinazioni notevoli; nel primo caso, invece a
seconda della natura del terreno questo sopporta senza scoscendere determinate inclinazioni naturali
relative alla sua compattezza, al suo contenuto in legame argilloso e cos via). In funzione della
giacitura naturale del terreno, infine, viene determinata la pendenza di fondo; infatti, essa si deve
scostare di poco dalla pendenza naturale.
Fissate tutte le grandezze precedentemente indicate, le variabili del problema si riducono, in genere,
alla portata q ed all'altezza h.
Nel caso, per esempio, della sezione trapezia (Fig. 8.12), per le ragioni sopra indicate, sono in genere
note , l, i e, dalla natura del terreno o del rivestimento, la scabrezza e quindi l'indice relativo.



Fig. 8.12

Ne consegue che l'equazione di Chezy si riduce alla funzione q = f (h) . Tale legame si indica spesso
come scala dei deflussi o scala delle portate e si rappresenta graficamente per ogni sezione di canale
o corso d'acqua. Essa risulta in genere, per le sezioni aperte, del tipo di figura 8.13.
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113

Fig. 8.13

Vedremo pi avanti quale utilitessa avrper la risoluzione dei vari problemi di moto.
Tali problemi si sintetizzano, come nel caso delle correnti in pressione, nelle tre grandi categorie:
verifica, dimensionamento e sperimentali.

8.2.1 Problemi di verifica

Sono sempre di soluzione diretta. Quando sono date tutte le caratteristiche geometriche e fisiche
delle sezioni, il calcolo della portata risulta sempre immediato.

8.2.2 Problemi di dimensionamento

Risultano molto pi complessi di quelli affrontati nel caso delle correnti uniformi in pressione dentro
condotte cilindriche. Nel caso delle correnti in pressione, non variando la forma, la sezione pu
essere rappresentata con un'unica grandezza: il diametro D. Ci non avviene nel caso delle correnti a
superficie libera, per le quali la forma e la sezione dipendono da diversi parametri, variabili, come si
vede in figura 8.14, anche a paritdi area liquida.


Fig. 8.14

Tali parametri della grandezza e della forma compaiono nell'equazione di Chezy e nelle espressioni di
, che sono valide anche nel caso delle correnti a superfi cie libera, nelle tre forme:

Bazin:

+
87
1
R
(8.2.6)

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per correnti di dimensioni limitate,

Kutter:
+
100
1
m
R
(8.2.7)

per correnti di qualunque dimensione,

Strickler: = c R
1/6
(8.2.8)

per correnti di grandi dimensioni.

Ci, evidentemente, nel caso vengano assegnati ad R (rapporto tra l'area liquida e il contorno
bagnato R
A
C
), le relative espressioni, come vedremo pi avanti per le sezioni delle forme usate
con maggiore frequenza.
Un elemento di notevole incertezza nel dimensionamento idraulico di una sezione il coefficiente di
scabrezza che, come sappiamo, dipende dalla natura del contorno solido e viene espresso mediante i
coefficienti , m, c scritti in precedenza.
Mentre i materiali usati per le condotte sono stati sperimentati in tutta la gamma delle loro utilizzazioni
e nelle diverse condizioni di esercizio e, come sappiamo, la natura delle pareti dipende dal materiale
e da ben precisi processi di lavorazione industriale e rifinitura, per cui possibile tabellare valori del
coefficiente di scabrezza per la quasi totalitdei casi che si presentano in pratica, per i canali artificiali
e soprattutto per i corsi d'acqua naturali, data l'infinita gamma di materiali, di condizioni locali, di
cause di invecchiamento, ci non stato possibile. Pertanto i valori sperimentali trovati ricoprono solo
una limitata parte dei casi pratici e anche con un notevole grado di incertezza.
Minore incertezza esiste, naturalmente, per i rivestimenti pi sperimentati (calcestruzzo, calcestruzzo
lisciato, calcestruzzo intonacato, pietra da taglio, mattoni, calcestruzzo bituminoso, ecc.). Nel caso
delle pareti naturali dei canali artificiali e di quelle dei corsi d'acqua naturali, soprattutto riguardo alla
variet delle condizioni di esercizio e dello stato di manutenzione, risulta pertanto impossibile
prevedere con esattezza il coefficiente di scabrezza, in modo particolare quando hanno un lungo
esercizio. Basta immaginare le variet del grado di inerbimento delle sponde e i piccoli, inevitabili
scoscendimenti dovuti all'escursione dei livelli dell'acqua nei canali in terra.
Rimandiamo per i principali valori dei coefficienti di scabrezza alle tabelle giviste nel capitolo 7.
Altro elemento non facilmente valutabile l'effetto dell'altezza d'acqua e della forma della sezione
sull'influenza della scabrezza di un condotto. La scabrezza ha un influenza che si pu ritenere
uniforme nel caso delle correnti che si muovano in condotti circolari ma ovviamente diversa in
condotti di forma qualunque, a seconda di quale parte dei contorni sia bagnata. Ci significa, in un
certo senso, un influenza dell'altezza d'acqua sul valore complessivo della scabrezza del condotto.
Tutto ci esaltato in quei canali in cui lo stato delle pareti non sia omogeneo.
Per tenere conto di questo grado di incertezza nel dimensionamento, i canali non si costruiscono
delle esatte dimensioni di calcolo (altezza). Si realizzano prudenzialmente con un'opportuno franco
che pu variare, a seconda dell'importanza dell'opera e del grado di incertezza impiegato nei criteri di
calcoli, da una diecina di centimetri a qualche metro.
Se h l'altezza massima di esercizio risultante dal calcolo, h = f (q
max
) , l'altezza costruttiva del
canale, Y, si deve porre pari a:

Y = h + f (8.2.9)

dove f il franco (Fig. 8.15)
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Fig. 8.15

Vediamo ora quale espressione assume il raggio idraulico R in due delle forme pi usate per i canali.

Sezione rettangolare (Fig. 8.16)


Fig. 8.16


R
A
C
l h
h l

+ 2


Come si vede l'espressione certo pi complessa di quella relativa alle sezioni circolari della
condotta in pressione:

R
D

4


Il raggio idraulico, in questo caso, dipende da due grandezze che per giunta compaiono in forma
binomia. Da questo sorge la complicazione della risoluzione dei problemi di progetto.
Per le sezioni rettangolari molto larghe, intendendo per questo quelle sezioni in cui
l >> h, (alvei naturali, canali di bonifica in cui la larghezza preponderante rispetto alla profondit
dell'acqua), l'espressione del raggio idraulico si semplifica notevolmente:

R
l h
h l
h
h
l

+

+
2
2
1


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116
Quando la larghezza tale per cui, trascurando il valore del rapporto molto piccolo
2h
l
si commette
un errore dell'ordine di grandezza delle - approssimazioni solitamente ammesse per le formule
empiriche, R h: allora, nei canali molto larghi e poco profondi, il raggio idraulico si identifica con
l'altezza d'acqua. In questo caso la soluzione del problema di progetto con l'uso delle formule
monomie immediato.

Sezione trapezia (Fig. 8.17)


Fig. 8.17

L'espressione del raggio idraulico, gi abbastanza complessa ai fini dell'impiego nel calcolo per le
sezioni rettangolari, lo diviene maggiormente. I parametri di forma in questo caso sono maggiori:
infatti, chiamata tg l'inclinazione della sponda e tg la scarpa della medesima, risulta:

d h
d
h
n tg tg
tg


;
1


Sezione della corrente: ( ) ( ) A
l d
h l d lh nh l nh
+
+ + +
2 2
2
2
h h

Contorno bagnato: C l h d l h n h l h n + + + + + + 2 2 2 1
2 2 2 2 2 2


Raggio idraulico:
( )
R
A
C
l nh
l h n

+
+ +
h
2 1
2


Spesso la scarpa viene data, indicando i valori di h e di d nel loro rapporto: 1:1; 3:2; 2:1
Dalla complessit di queste relazioni appare evidente che qualunque sia la formula che noi usiamo
per esprimere la cadente J = i , per risolvere un problema di progetto occorre procedere per tentativi.
Per esempio, per la sezione trapezia, dall'equazione di Chezy scritta nella forma q A Ri si
ricava:

( )
( )
( )
q l nh
l nh
l h n
i
l nh
l h n
+
+
+
+ +
+
+ +
h
h
h
87
1
2 1
2 1
2
2
(8.2.10)

Per quanto abbiamo precedentemente detto, i, n, l, sono in genere fissati coi criteri che abbiamo
precedentemente esposti e che vedremo pi avanti in dettaglio, in relazione alle condizioni di
giacitura e compattezza del terreno, a considerazioni economiche e alla natura delle pareti. Come
variabili rimangono esclusivamente q e h.
La risoluzione si imposta quindi per tentativi, organizzati opportunamente nel grafico gi visto e
riportato in figura 8.18.
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Fig. 8.18

Si ipotizza un valore di tentativo h
1
e con lequazione (8.2.10) viene calcolato il valore di q
1
. La
conoscenza dellandamento qualitativo della scala delle portate consente di scegliere
opportunamente il valore di h
2
del successivo tentativo. Il calcolo si arresta quando il valore q
n
al
tentativo n-simo sufficientemente prossimo a q :
q q
q
n

ove la cifra di convergenza che,


data limprecisione insita nelle equazioni di moto uniforme pu essere assunta pari a 0.05.
Se occorre valutare l'intero funzionamento di una sezione di data forma e larghezza di fondo n e l, di
data pendenza i (simile a quella naturale del terreno) e di data scabrezza (natura del rivestimento o
del materiale di costruzione del canale) e per l'intera gamma delle portate di esercizio, allora utile
costruire tutta la curva delle portate. Per questo risulta molto utile ordinare il calcolo mediante una
tabella. Con riferimento alla sezione trapezia ed alle relazioni gi scritte, risultano, come detto,
determinati i, n, l e, . Pertanto, nella espressione scritta, risultano noti anche i e 1
2
+ n .

La tabella potrebbe, perci, essere ordinata nel modo seguente:

h nh 1+nh A 2h
2h 1+ n
2

C R
R R 1+ R

Ri
V q
-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-

-



8.3 Scala delle portate

Avendo visto che, in generale, i problemi di dimensionamento e di verifica relativi ai canali a superficie
libera si riducono alla costruzione di una scala delle portate, sar opportuno, almeno da un punto di
vista qualitativo, avere un'idea sulla forma di questo diagramma in funzione del tipo di sezione che si
preso in esame.
Per le sezioni a larghezza costante (rettangolari), l'incremento di area, a pari incremento di altezza,
lo stesso a qualunque quota d'acqua ci si trovi (Fig. 8.19):
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Fig. 8.19


A h A h A A
1 2 1 2
l l ; ;

Con l'incremento dell'altezza si incrementa, invece, la velocit, per cui in definitiva si ha un
incremento di portata maggiore alle quote maggiori. Ci spiega il diagramma di figura 8.18.
Nel caso della sezione trapezia, al maggiore incremento di portata dovuto all'incremento di velocit
alle quote d'acqua maggiori, fa riscontro anche un maggior incremento di sezione liquida in
corrispondenza delle medesime quote, come si vede dalla (Fig. 8.20):


Fig. 8.20


A h A h A A
1 1 2 2 1 2
< l l ; ; .

Il diagramma rappresentativo della scala delle portate risulta, in questo secondo caso, tanto pi
appiattito, rispetto a quello della sezione rettangolare, quanto maggiore l'inclinazione delle sponde
(Fig. 8.21).
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119

Fig. 8.21

Nei condotti chiusi (Fig. 8.22), entro certi limiti di quota della superficie libera, incrementando le
altezze si ha sempre un maggiore incremento di sezione liquida. Una volta raggiunta una determinata
altezza massima, questo andamento si inverte, per cui, a parit di incremento d'altezza,
corrispondono minori incrementi di sezione liquida. Ci provoca il raggiungimento di un massimo di
portata convogliata in corrispondenza di un'altezza d'acqua leggermente inferiore all'altezza massima
della sezione.



Fig. 8.22


8.4 Criteri di scelta dei parametri nei problemi di progetto

Per quanto riguarda la pendenza di fondo, essa dipende principalmente dalla pendenza naturale del
terreno ma, influendo sulla velocit di trasporto dell'acqua - che, come vedremo, non potrsuperare
certi limiti - in qualche caso potrscostarsi da questa. In questo caso, ovviamente, a pendenze minori
di quelle naturali corrisponderanno canali pensili mentre, a pendenze superiori, canali incassati (Fig.
8.23).

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Fig. 8.23

Questo secondo caso per non tecnicamente frequente in quanto, sia per canali d'irrigazione che
per canali di bonifica, i problemi della distribuzione e della circolare idrica di superficie fanno s che il
fondo del canale non si approfondisca troppo rispetto al piano di campagna.
Ragioni economiche di stabilit si aggiungono nello sconsigliare canali troppo profondi. Qualora non
se ne possa fare a meno in zone assolutamente pianeggianti, si dovrricorrere a sollevamenti.
Pu capitare, invece, molto spesso che per non avere velocit eccessive si debbano adottare
pendenze minori di quella del terreno. In questo caso il canale potrebbe raggiungere pensilit
eccessive. La soluzione tecnica a cui si ricorre quella della realizzazione di discontinuit nella
pendenza del canale con perdite di quota localizzate chiamate salti di fondo (Fig. 8.23). Per ragioni di
economia si adotta anche in questo caso il compenso longitudinale tra scavo e riporto.
Per quanto concerne la pendenza delle sponde, occorre ovviamente distinguere i canali rivestiti dai
canali in terra. Ricordiamo, per inciso, che le canalizzazioni di bonifica sono, in genere, non rivestite.
I canali rivestiti possono avere una qualunque pendenza in funzione delle opere di sostegno del
terreno che sono effettuate in rapporto al rivestimento. Il canale rivestito consente di realizzare anche
la verticalit della sponda; si pu senz'altro affermare che la sezione rettangolare in genere
presuppone sempre il rivestimento.
Per i canali non rivestiti, la pendenza della sponda, o la sua scarpa, dipendono essenzialmente dalla
natura del terreno nel quale sono scavati. Riportiamo di seguito le scarpe pi comunemente usate
con l'indicazione dei tipi di terreno nei quali sono consentite. E' chiaro che il limite della pendenza
ovviamente imposto dal cosiddetto angolo di attrito interno delle terre e della coesione.
Ricordando che, con riferimento alla figura 8.17, per scarpa si intende tg = n, come orientamento
possono essere impiegabili i valori di tabella 8.1:

Tab. 8.1
scarpa tipo di terreno
1 : 2 conglomerato di tipo quasi roccioso
1 : 1 terreni con sabbia e ghiaia ad elementi grossolani con elevato legante
argilloso
3 : 2 terreni meno compatti con granulometria pi fine
2 : 1 elementi fini con poco legante

La scelta della larghezza di fondo, o meglio il rapporto tra quest'ultima e l'altezza della sezione, sono
pi strettamente legati a criteri di economia. Una larghezza di fondo limitata corrisponde ad un
elevato scavo mentre una maggiore larghezza di fondo corrisponde ad uno scavo minore ma in
corrispondenza si ha una maggiore fascia di terreno da espropriare per l'esecuzione delle opere ad
un corrispondente aumento delle superfici improduttive. Un criterio idraulico quello di ricorrere alle
cosiddette sezioni di minima resistenza. Ci significa che, a parit di area, si va alla ricerca della
sezione col minimo contorno bagnato cio col massimo raggio idraulico. A questa corrisponde la
massima velocitdi convogliamento della portata. Un altro criterio utilizzato quello del minimo scavo
o meglio del minimo costo di scavo in quanto quest'ultimo dipende dalla profondit, essendo gli stessi
i metri cubi scavati per metro lineare. Un criterio empirico utile, legato al minimo costo, impone dei
limiti al rapporto tra l'altezza h e la larghezza media l
m
della sezione.
Per canali di piccola dimensione dev'essere:

h
l
m

2

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Mentre, per grossi canali:

h
l
m

4


Con riferimento alla figura 8.24 si vede subito che le relazioni sopra scritte si possono tradurre
immediatamente in relazioni tra la larghezza di fondo l e l'altezza d'acqua h .



Fig. 8.24


Infatti:

l
l l
m

+
max
2
(8.4.1)

l l h l hn
max
+ + 2 2 tg

l
hn
l hn
m

+
+
2 2
2
l


In definitiva, per piccoli canali:

h
l hn

+
2


2h l + hn

h (2 - n) l

h
l
n

2
(8.4.2)

e, per grossi canali:

h
l hn

+
4
(8.4.3)

4h l + hn

h (4 - n) l
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122

h
l
n

4
(8.4.4)

Nel dimensionamento di un canale va poi sempre tenuto presente che le velocit di esercizio si
mantengono entro determinati limiti. Velociteccessive comportano erosione delle sponde del canale
mentre velocit basse possono consentire un'eccessiva sedimentazione del materiale trasportato
portando al progressivo interrimento del canale. Inoltre la larghezza di fondo l non dovrmai essere
troppo piccola, specie per i canali di distribuzione a portata variabile ed ovviamente, per quelli di
bonifica, in quanto l'escursione dei livelli pu provocare lo scoscendimento delle sponde ed una
parzializzazione della sezione utile che comporta una cattiva utilizzazione dei canali alle basse
portate. La velocitche interessa in questi casi ovviamente quella che viene indicata come velocit
al fondo v
f
cio la velocitdella corrente in prossimitdelle pareti.
Ricordiamo infatti il diagramma di distribuzione delle velocitche ci indica in genere un filone centrale
della corrente pi veloce ed una diminuzione graduale della velocit verso il contorno della sezione
medesima. Una relazione sperimentale, di larga approssimazione, fornisce per i filetti fluidi in
prossimit del fondo e delle pareti, un valore di v
f
pari a 0,75 v
m
, avendo indicato con la velocit
media della corrente nella sezione. Fissate, a titolo puramente indicativo, delle velocitlimiti inferiori
per evitare eccessiva sedimentazione, in 0,20 0,30 m/s, dal progetto seguente si ricavano, per i vari
tipi di terreno e di rivestimento, un ordine di grandezza delle velocitlimiti superiori, riportati in tabella
8.2.

Tab. 8.2
v
f
,velocitlimite (m/s) tipo di terreno
0,30 0,80 terreni da sabbioso finissimo a sabbioso grossolano, a sabbioso
argilloso, sino ad argilloso piuttosto compatto
0,80 0,81 terreno da argillo-ghiaioso, a ghiaioso grossolano, a detriti
1,40 1,80 conglomerati e rocce tenere
2,00 3,50 rocce dure
3,50 4,50 calcestruzzo

Abbiamo gi accennato al fatto che esiste grande incertezza nella valutazione di alcune grandezze
che compaiono nei problemi di dimensionamento dei canali a superficie libera, prima tra tutte il valore
dell'indice di scabrezza. Per aumentare il grado di sicurezza, abbiamo detto che si costruisce la
sezione calcolata con un certo franco f . Questo franco, cio questa altezza ulteriore disponibile per
un'escursione del livello d'acqua, molto variabile in funzione del tipo di canale e, soprattutto, del suo
impiego. Piccole canalette di distribuzione, di materiali di qualitnota (p. es. prefabbricate), possono
essere costituite con franchi minimi, cio f = 0,10 0,20 m; per piccoli canali non rivestiti occorre
prevedere un franco maggiore, che pu variare da 0,25 a 0,50 m. Grossi canali di adduzione non
consentono franchi inferiori a 0,50 m.
Un discorso a se meritano i canali di bonifica: in questi ultimi, oltre alle incertezze di calcolo che
abbiamo precedentemente illustrate, esiste, ed sostanziale, una grossa incertezza sulle portate
massime che effettivamente transitano nei canali. Queste ultime dipendono infatti dalla valutazione
delle precipitazioni e da quella parte di queste ultime che destinata a pervenire alla rete nonch
dallo stato di riempimento dei canali preesistente all'evento meteorico. Per i canali di bonifica, che per
la gran parte non sono rivestiti, si devono allora adottare franchi sempre maggiori di 0,50 m che
possono arrivare a superare il metro. In certi casi il livello d'acqua massimo nel canale, in condizioni
normali d'esercizio, imposto dalla necessit di un ottimale stato di umidit del terreno agrario. Si
deve cio provocare un contenimento dei livelli di falda in modo tale che venga osservato, nelle zone
di massima escursione dei livelli di falda, il cosiddetto franco di buona coltivazione che dipende dallo
sviluppo dell'apparato radicale delle colture insediate. Questo franco si aggira da un minimo di 0,50 m
ad un massimo di 0,8 1,20 m. Per consentire un naturale deflusso delle acque di falda verso i canali
occorrer che i livelli in questi ultimi siano mantenuti entro i limiti imposti dal franco di buona
coltivazione (fig. 8.25).

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Fig. 8.25


8.5 Moto non uniforme nei canali

Abbiamo sin qui trattato il moto uniforme nelle correnti a pelo libero. Necessit tecnico-applicative ci
costringono nel caso delle correnti a pelo libero ad occuparci anche di condizioni di moto non
uniforme che proprio per il maggior grado di libert che hanno le correnti a pelo libero si verificano
molto pi spesso che nel caso delle correnti in pressione. Una qualunque variazione di pendenza, di
sezione, di forma, un qualunque ostacolo in alveo, l'inserimento di qualche organo di regolazione o
l'esistenza di un manufatto di misura provocano nella corrente l'allontanamento dalle condizioni di
moto uniforme. Per nostra buona fortuna in pratica i tratti interessati dal mutamento delle condizioni di
moto sono praticamente limitati, vale a dire che, a sufficiente distanza dal punto singolare, se le
condizioni dell'alveo naturale o del canale sono quelle correnti, si ripristina il moto uniforme.
Noi ci occuperemo solo del moto permanente, anzi esclusivamente di un particolare moto
permanente quello che abbiamo pi volte definito come moto gradualmente variato o lineare.
Questa limitazione , di fatto, pi teorica che pratica, in quanto quasi tutte le correnti di pratica utilit
rientrano nel campo studiato. Si ricorda che le correnti gradualmente variate sono caratterizzate da
traiettorie poco divergenti, da sezioni pressoch piane e verticali e quindi da una distribuzione
idrostatica delle pressioni nelle singole sezioni.
Nel caso del moto permanente pressoch impossibile stabilire relazioni di generale validitper la
risoluzione dei tre problemi di verifica, dimensionamento e sperimentali, come abbiamo visto essere
possibile nel caso del moto uniforme. Ci si dovr quindi limitare a impiegare le formule del moto
uniforme anche nei tronchi di corrente permanente, salvo poi verificare che, sezione per sezione,
queste siano idonee anche per le nuove condizioni di moto.
Si tratta praticamente di rilevare il profilo della corrente permanente, vale a dire l'altezza sezione per
sezione, e verificare che tale altezza non risulti pi elevata da paralizzare il franco o addirittura
provocare lesondazione, oppure cos limitata da determinare il coinvolgimento della portata con
velocit eccessiva e con pericolo di asportazione del materiale di cui sono costituite le sponde del
canale, o come si dice, con pericolo di erosione.
Pertanto si dimensioneranno i canali sempre in condizioni di moto uniforme e si verificheranno i tratti
in cui presumibilmente la corrente sar gradualmente variata. Esaminiamo qualitativamente i tipi di
profili che possono verificarsi. Procederemo sempre in base a valutazioni energetiche. Nel moto
uniforme sappiamo che l'acquisto di energia dovuto al fatto che la massa d'acqua scorre su un piano
inclinato perfettamente compensato dalla dissipazione del carico dovuto alla viscosit. In questo
caso (Fig. 8.26a):

tg = tg = tg = i (8.5.1)

o, che lo stesso:

= J = i (8.5.2)

Nel caso delle correnti gradualmente variate, risulter(Fig. 8.26b), sezione per sezione:

tg tg tg = i (8.5.3)

In queste condizioni risulta naturalmente:

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124

i
J
i
i (8.5.4)

essendo l'indice i riferito alla generica sezione.


Fig. 8.26

Ricordando che la posizione di equilibrio quella del moto uniforme, se non intervengono ulteriori
ostacoli, il profilo tende a riavvicinarsi a quello del moto uniforme, per cui tende ad i. Ci significa
che questi profili non hanno andamento lineare, il che confermato anche analiticamente dal fatto
che la velocit varia almeno linearmente con il mutare delle caratteristiche della sezione con la
distanza da una generica sezione. Di conseguenza anche le perdite di carico non hanno un
andamento lineare; ci si traduce in un andamento non lineare della linea dei carichi totali.
A questo punto occorre precisare che il profilo liquido non tagliermai il profilo di moto uniforme e ci
perch le condizioni di equilibrio si ripristinano asintoticamente. ci significa che, a differenza di
quanto avviene per esempio per il pendolo che passa dalla posizione di equilibrio stabile
allontanandosene e smorzando le elongazioni per l'attrito, per l'acqua si tende alla posizione di
equilibrio sempre con scarti decrescenti ma dello stesso segno.
Per affrontare lo studio analitico dei profili occorre riferirsi al contenuto energetico della corrente. In
pratica ci si riferisce all'andamento dei carichi totali o meglio a quello del carico riferito, sezione per
sezione, al fondo del canale. quest'ultimo carico risulta costante nel caso delle correnti uniformi. Per
richiamare questo concetto, immaginiamo una corrente uniforme (Fig. 8.27).

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Fig. 8.27

Dato che ci troviamo in presenza di un liquido reale, se ci riferiamo al carico totale prendendo come
piano di riferimento un piano orizzontale, il carico totale ovviamente diminuisce dato che il moto
dissipativo.
Ma se si muta, sezione per sezione, il piano di riferimento e lo si innalza proprio della quota persa dal
fondo o, che lo stesso, del carico dissipativo, (vale a dire, in ultima analisi, se incliniamo il piano di
riferimento e lo rendiamo coincidente col fondo), allora il carico rispetto al nuovo piano di riferimento
(fondo) nel caso delle correnti in moto uniforme, costante (Fig. 8.27):

e h
v
g
+
2
2


in cui:

h z
p
+



Attraverso l'equazione di continuitrisulta in definitiva:

e h
q
g A
+
2
2
2


in cui A la sezione della corrente.

Con riferimento a quest'ultima espressione, si pu ricavare, fissa la portata e la forma della sezione,
la variazione del carico in funzione dell'altezza d'acqua che consente il coinvolgimento di quella data
portata (Fig. 8.28).
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Fig. 8.28

Si nota, anzitutto, che l'espressione del carico formata da due addendi che esprimono l'altezza
d'acqua e l'altezza cinetica. La curva del carico risulta, pertanto, somma, punto per punto delle
ordinate rappresentate dalle curve e = h ed e
q
g A

1
2
2
2
.
Nella figura 8.28 sono rappresentate le due curve in questione che risultano, la prima, bisettrice
dell'angolo tra i due assi cartesiani e la seconda, in funzione di h, un'iperbole. Si deve considerare
ancora che per q
1
0, quando h tende a 0, A tende a 0 e quindi e tende a + ; per h che tende a
+ ,
q
g A
1
2
2
2
tende a 0, quindi e tende a + . Ci significa analiticamente che la curva rappresentative
del carico rispetto al fondo come asintoti le curve e
q
g A

2
2
2
ed e = h; essa presenta quindi un
minimo che esprime il minimo compatibile in quella sezione con il coinvolgimento della portata
assegnata.
Se la portata decresce il carico minimo diminuisce, mentre se q aumenta, e
min
aumenta di concerto.
Ad ogni q corrisponde una determinata curva del carico rispetto al fondo, come indicato nella figura
8.28.
Quando si verifica in una sezione la condizione e
min
si dice che la corrente in quella sezione allo
stato critico e la corrispondente altezza d'acqua si chiama altezza critica K.
Come si rileva dall'espressione, questo carico non dipende dalla pendenza ma esclusivamente dalla
portata. La pendenza interviene solo allorch si voglia controllare se l'altezza che convoglia la portata
assegnata consente il moto uniforme, e se altezza di moto uniforme:

i
v

2
2
R


Per chiarire meglio l'importanza pratica della grandezza in questione, possiamo riferirci all'esempio di
Fig. 8.29.
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Fig. 8.29

Se e
2
- a > e
min
la corrente non risente dell'ostacolo e il moto permanente si esaurisce sopra
l'ostacolo, mentre a monte e a valle si mantiene il moto uniforme. Qualora e
2
- a = e
min
, sopra
l'ostacolo si verifica l'altezza critica ed a monte e a valle dell'ostacolo la corrente si mantiene in moto
uniforme. Qualora, invece, risulti e
2
- a <e
min
, la corrente non ha il carico sufficiente per convogliare la
portata assegnata sopra l'ostacolo ed allora cerca di acquisirlo, modificando le proprie caratteristiche.
Infatti aumenta la propria altezza d'acqua a monte, il che significa, con la pendenza assegnata,
muoversi con velocit minore di quella uniforme e quindi dissipare meno carico di quello reso
disponibile dall'abbassamento del fondo. Significa, che la corrente acquista carico e, se la sezione a
monte in grado di contenere la nuova altezza d'acqua, la portata assegnata in grado di superare
l'ostacolo. Ci sinteticamente riassunto nella figura 8.30, con riferimento alla curva del carico
rispetto al fondo.


Fig. 8.30
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In assenza di ostacolo la corrente convoglia la portata assegnata q
1
con un'altezza d'acqua di moto
uniforme h
0
. Se l'altezza della soglia risulta di valore limitato a', la corrente supera l'ostacolo
possedendo su di esso un carico e'
1
> e
1min
. Se invece l'ostacolo risulta di altezza a", la corrente
possiede sulla soglia un carico e"
1
< e
1min
. La corrente aumenta allora il proprio carico sino ad un
valore tale e"
1
che, decurtato dall'altezza della soglia, realizzi il carico minimo e"
1min
. Ci in pratica
avviene con un aumento dell'altezza d'acqua a monte, oltre a quella di moto uniforme, che dev'essere
contenuta da un sufficiente franco. Se questo franco non sufficiente allora la corrente esonda e si
ha una riduzione della portata nel canale, q
2
< q
1
. La curva dei carichi rispetto al fondo corrispondente
alla nuova portata q
2
si modifica in quella tratteggiata in figura 8.30. A questa corrisponde un valore di
e
2min
inferiore a quello precedente, compatibile con l'altezza di soglia a. Ovviamente sardiversa
laltezza critica K
2
. Sopra l'ostacolo la corrente si trova al secondo stato critico (secondo per non
confonderlo con il primo stato critico relativo al numero di Reynolds che separa il regime regolare da
quello turbolento). Tale stato critico caratterizzato da valori h = K, e = e
min
, v= v
c
(velocitcritica).
Come visto in precedenza, la pendenza non interviene a serve solo per analizzare se il canale
conduce la corrente in stato critico con moto uniforme. Se immagini di avere un canale che trasporti,
con una determinata pendenza i, una data portata q. Facendo variare i, per ogni suo valore ci sar
un'altezza d'acqua di moto uniforme h
0
per cui verificata l'uguaglianza i
q
R A

2
2 2

.
Ci sarallora, per ogni portata, una pendenza particolare per cui si verifica l'uguaglianza h
0
= K, che
corrisponde ad una condizione per cui lungo il tronco considerato la portata convogliata col minimo
di energia possibile. Tale pendenza viene chiamata "pendenza critica".
Per riassumere, fissata una portata q, esiste una ed una sola pendenza per la quale si verifica
un'altezza di moto uniforme pari all'altezza critica. Da tutto quanto precedentemente esposto, si rileva
che le condizioni critiche possono riguardare una sola sezione quando la pendenza qualunque,
mentre quando la pendenza critica, riguardano un intero tronco di corrente.
La definizione di altezza critica permette di suddividere le correnti in due grandi categorie: quelle che
hanno altezza di moto uniforme minore dell'altezza critica h
0
< K che vengono indicate come correnti
veloci, e quelle h
0
> K indicate come correnti lente (Fig. 8.31).


Fig. 8.31

Questa distinzione tra correnti lente e veloci ha trovato una conferma importante da un gruppo di
studiosi che l'ha dedotta da considerazioni semplicemente fisiche, ricavandole dallo studio del
propagarsi delle piccole perturbazioni nelle correnti a superficie libera. Si ricavato
sperimentalmente, e confermato rigorosamente, che la velocit di trasmissione delle piccole
perturbazioni, quali per esempio quelle provocate dalla caduta di un solido in uno specchio d'acqua,
pari proprio alla velocit critica di una corrente la cui altezza sia quella della corrente nella quale si
trasmettono le perturbazioni. Si inoltre constatato che solo le correnti lente sono risalite verso monte
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129
dalle piccole perturbazioni. Questo un rilievo fondamentale perch ci indica chiaramente che le
correnti veloci possono essere regolate solo da monte mentre le correnti lente anche da valle. Ci
garantisce, d'altra parte, che nessuna perturbazione provocata da manovre a valle pu passare a
monte di una sezione in cui sia verificata l'altezza critica ovvero risalire un piccolo tratto di corrente
veloce. Su queste importanti constatazioni si basa la regolazione ed il controllo delle correnti.

8.6 Grandezze dello stato critico

Vediamo di ricavare analiticamente le grandezze fondamentali dello stato critico in funzione delle
solite variabili del moto. Intendiamo ricavare K, v
c
, i
c
una volta note la sezione dei canali e la portata.
E' sufficiente imporre la condizione di minimo per il carico cio, dato che il carico rispetto al fondo e
risulta:

e h
q
g A
+
2
2
2


de
dh
0

Da questo, poich :

de
dh
q
g
A
dA
dh


1 2
2
2
3


e dalla fig. 8.32


Fig. 8.32

risulta, posto in A l'area della sezione della corrente di altezza h ed in l la larghezza della corrente alla
superficie libera, dA = ldh e quindi
dA
dh
= l, si ha:

1 0
2
3

q
gA
l

In definitiva si ricava q
g A
l
2
3
e quindi:

q A g
A
l
(8.6.1)

Da questa equazione si definiscono gli elementi caratteristici dello stato critico. Infatti, per quanto
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130
riguarda K, assegnata una portata q, facendo variare l'altezza avremo tanti valori
d h A h
g A h
l h
( ) ( )
( )
( )
. Quel valore di h per cui d(h) = q l'altezza critica. Ovviamente per le sezioni di
forma qualunque, come per. esempio quella figura 8.32, si procede per tentativi.
Per trovare v
c
facciamo qualche semplificazione nell'espressione trovata, con riferimento alla (Fig.
8.33).


Fig. 8.33

Se h l'altezza massima l la larghezza massima, l'area si pu ottenere o moltiplicando la larghezza
massima per un'altezza media h
m
o viceversa moltiplicando l'altezza massima per una larghezza
media. Per quanto detto
A
l
h
m
(h) . Nelle condizioni critiche h = K e A = A
c
, avendo indicato con h e
K rispettivamente l'altezza massima e la corrispondente altezza critica massima.

Perci:

A
l
K K
c
c
m
( )

Sarsenz'altro, in corrispondenza delle condizioni critiche:

h
m
= K
m


Riferendoci all'equazione sopra scritta:

q A g
A
l
c
c
c
(8.6.2)

risulta q A
c
g . K
m
. Dal momento che v
q
A
c
c
si ha in definitiva:

v
c
g K
m
(8.6.3)

Tale espressione conferma quella ricavata da Lagrange con riferimento alla velocit di propagazione
delle piccole perturbazioni:

v
m c
g h = v

dove con h
m
si indica l'altezza d'acqua della massa liquida nella quale viaggiano le piccole
perturbazioni. Nel nostro caso h
m
K
m
Con le semplificazioni fatte l'espressione dell'energia minima
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131
di una corrente di data portata diviene:

e K
q
g A
m
c
min
+
2
2
2
(8.6.4)

Dato che q A
A
l
c
c
c
g e che, quindi, q A
g
l
c
c
2 3
, essendo A
c
= l
c
K
m
risulta:

e K
A l
g A
K
A
K
K
m
c c
c
m
c
c
m
m
m min
/
+ + +
3
2
2 2 2
3
2
g

l
K (8.6.5)

L'altezza critica, che nel caso di sezione qualunque va calcolata per tentativi verificando l'uguaglianza
q A
g A
l
, nel caso della sezione rettangolare (Fig. 8.34) si pu calcolare direttamente.


Fig. 8.34


Dato che K
m
= K e l
c
= l, si ha: A
c
=l K, per cui:

q l K
l K
l
l K g g K (8.6.6)

e quindi q
2
= l
2
K
3
g ; K
q
l
3
2
2
=
g
e, in definitiva:

K
q
l

2
2
3
g
(8.6.7)

Indicando, come si usa fare, la portata specifica come p
q
l
(portata per unitdi larghezza della
corrente), si ha:

K
p
g

2
3

Nel caso della sezione rettangolare, con le precedenti considerazioni, le altre grandezze critiche
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132
risultano:

e
min

3
2
K (8.6.8)

v g K
c
(8.6.9)

Un'altra delle caratteristiche fondamentali della corrente la pendenza critica, che interessa per
stabilire se, assegnata una portata ed una sezione, la corrente in moto uniforme lenta o veloce.
Per calcolare la pendenza critica immaginiamo che la corrente sia uniforme e che valgano le relazioni:

= J = i e quindi v = R i .

Se la corrente in una sezione rettangolare di un canale con pendenza critica in condizioni critiche,
allora:

v
c c c
R i g K

da cui,

c c c
g K
2
R i

ed infine:

i
g K
c
c c

2
R
(8.6.10)

Ovviamente in R
c
e
c
figura l'altezza critica K.

Una volta trovata, attraverso K, la pendenza critica, si potr stabilire per confronto tra la pendenza
effettiva i del canale in esame e quella critica se la corrente uniforme veloce o lenta. Infatti se i < i
c

tale corrente lenta, mentre se i > i
c
essa veloce. Ci, in definitiva, perch:

Se i < i
c
, allora h
0
> K e quindi v
0
< v
c
= g K ; se, viceversa, risulta i
> i
c
, allora h
0
< K e quindi v
0
> v
c
= g K

Abbiamo visto a suo tempo che con pendenza critica, cio con i = i
c
, la corrente viene convogliata in
moto uniforme esclusivamente con h
0
= K.

8.7 Analisi dei profili di corrente

Una volta note le grandezze fondamentali dello stato critico, si pu cercare di studiare i contenuti
energetici delle correnti in moto non uniforme. Ci consente di ricavare, come vedremo, delle
indicazioni sulla tendenza dei profili della corrente cio sulla possibilit che ha quest'ultima di
procedere per altezza crescenti o decrescenti indirizzando i valori limiti delle quote d'acqua e delle
velocit, una volta che siano note le portate convogliate e le dimensioni dell'alveo.
Si tratta, in definitiva, di ricavare una relazione analitica che consenta, almeno nelle ipotesi di alveo
prismatico o cilindrico e di portata costante (corrente gradualmente variata), di determinare il carico
rispetto al fondo punto per punto ed infine l'altezza d'acqua sezione per sezione. Prendiamo in esame
il tratto di corrente della figura 8.35 e due sezioni ad una distanza (ragionando in termini finiti) S
sufficientemente piccola per cui gli andamenti della linea dei carichi totali e del profilo di fondo tra
esse possano essere considerati lineari.

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133


Fig. 8.35

Da semplici considerazioni geometriche che non esprimono altro che l'applicazione del teorema di
Bernoulli tra le sezioni 1 e 2 si ha:

h
v
g
i h
v
g
1
1
2
2
2
2
2 2
+ + + + S S

Raccogliendo opportunamente:

( ) i h
v
g
h
v
g
+

_
,
+

_
,
S
2
2
2
1
1
2
2 2


in cui le quantittra parentesi nel secondo membro dell'equazione non sono altro che i carichi rispetto
al fondo delle due sezioni indicate

Si ha allora:

(i - ) S = e
2
- e
1
= e

ed infine:

i

e
S
(8.7.1)

Questo significa che la variazione del carico rispetto al fondo nelle due sezioni eguaglia la differenza
tra la cadente del fondo e quella dei carichi totali.
Attraverso un piccolo accorgimento (cambiamento della variabile) si pu ricavare, sempre con
procedimento alle differenze finite, l'andamento dell'altezza d'acqua nelle sezioni rispetto a quello
relativo dei carichi. Infatti:

i

e
S
h
h


o, che lo stesso :

i

e
h
h
S

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134

da cui in definitiva:

h
S e
h

i
(8.7.2)

Quest'ultima equazione alle differenze finite rappresenta l'equazione del profilo. Con procedimento
rigoroso, conoscendo l'andamento del carico rispetto al fondo, si potrebbe ricavare per via analitica
punto per punto il valore dell'altezza d'acqua. Ai nostri fini, che sono in definitiva quelli di una verifica
delle sezioni calcolate in condizioni di moto uniforme, qualora si presentino condizioni di moto non
uniforme, baster rilevare l'andamento qualitativo del profilo. Si trattercio, sulla base di un'altezza
d'acqua non di moto uniforme constatata in una sezione, di stabilire la tendenza del profilo verso
altezze crescenti o decrescenti e di verificare che, in condizioni di esercizio, risulti:

h < h
max
(pericolo di esortazione o di sedimentazione eccessiva)
h > h
min
(pericolo di erosione)

Per lo studio qualitativo del profilo, prendiamo in esame, limitatamente al campo delle correnti lente
che sono quelle che interessano il nostro corso, l'espressione del profilo scritta alle differenze finite:

h
S e
h

i
(8.7.3)

Se i = e non siano in condizioni critiche, in cui

e
h
0 , allora si ha che

h
S
0 ci che esprime il
parallelismo tra il profilo di fondo e quello della corrente cio la condizione di moto uniforme. Negli altri
casi, i , l'andamento del profilo (vale a dire h crescente o decrescente) dipenderdal segno del
rapporto

h
S
, cio dal segno del rapporto
i

e
h
.

Il segno di quest'ultimo dipender ovviamente dalla concordanza o discordanza dei segni del
numeratore e del denominatore.

Per quanto si riferisce al numeratore:

i - > 0, cio < i quando h > h
0


i - < 0, cio > i quando h < h
0


Per il denominatore occorre riferirci alla rappresentazione del carico rispetto al fondo di figura 8.31. In
essa:

e
h
> 0 (funzione crescente), per h > K;

e
h
< 0 (funzione decrescente ), per h < K.

Per quanto riguarda la pendenza, inoltre, sappiamo che:

i < i
c
, h
0
> K, debole pendenza

i > i
c
, h
0
< K, forte pendenza

i = i
c
, h
0
= K, pendenza critica
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135

Limitiamoci, come detto, agli alvei a debole pendenza, cio quelli con i < i
c
, v
0
< v
c
, h
0
> K si possono
verificare le uniche tre seguenti possibilit:

I) h > h
0
da cui
i >
>

'

0
0

e
h
e quindi

h
S
> 0 (h crescenti, correnti ritardate)

II) K < h < h
0
da cui
i <
>

'

0
0

e
h
e quindi

h
S
< 0 (h decrescenti, correnti accelerate.)

III) h < K da cui
i <
<

'

0
0

e
h
e quindi

h
S
> 0 (h crescenti, correnti ritardate)

Rappresentando graficamente la relazione analitica che esprime l'andamento delle altezza d'acqua
nei tre casi, si ottengono i profili teorici della (Fig. 8.36).


Fig. 8.36

I profili I e II tendono verso monte all'altezza di moto uniforme che raggiungono teoricamente solo
all'infinito ed hanno rispettivamente concavitverso l'alto e verso il basso. Il profilo I verso valle tende
ad un asintoto orizzontale; lo stesso dicasi per il profilo III (che la concavit rivolta in alto) verso
monte: I profili II e III tendono con tangente verticale verso valle a raggiungere l'altezza critica.
Sempre in linea teorica i profili II e III non sono validi a valle dei punti A e B in quanto, accentuandosi
le curvature, ci si stacca dalle ipotesi di corrente gradualmente variata che si erano prese a
fondamento dell'equazione dei profili. Inoltre l'altezza critica non pu essere mai raggiunta, rimanendo
costanti la pendenza e la sezione, in quanto ci significherebbe, a parit di portata, raggiungere il
valore minimo del carico, il che corrisponde a

e
h
0 , condizione compatibile solamente per una
corrente che proceda con altezza di moto uniforme in condizioni critiche h
0
= K.

8.8 Reali profili di correnti in alveo a debole pendenza

Analizziamo i casi pratici in cui si realizzano solitamente i profili di rigurgito precedentemente indicati.

a) Luce sotto una paratoia

Supponiamo di avere inserito in alveo un organo di parzializzazione della sezione liquida secondo lo
schema di (Fig. 8.37).

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136

Fig. 8.37

Allorch l'organo di intercettazione (paratoia) scende lasciando una luce libera di altezza minore di
quella critica, la corrente reagisce in modo non localizzato realizzando a monte ed a valle due profili
di corrente in moto non uniforme.
A causa della maggior resistenza al moto in corrispondenza della paratoia, le altezza d'acqua si
innalzano a monte decisamente al di sopra di quelle di moto uniforme e si realizza i < i
c
il profilo I
(rigurgito di arresto) della figura 8.36. Ci assicurato dal precedente studio analitico dei profili, dal
momento che noi verifichiamo che almeno in una sezione (es. subito a monte della paratoia), si
stabilisce a regime un'altezza superiore a quella di moto uniforme.
Oltre la paratoia, per le stesse ragioni, constatata la realizzazione di un'altezza minore di quella
critica, a valle dell'effetto locale (sezione contratta) si deve realizzare necessariamente il profilo III
della figura 8.36. In linea teorica noi sappiamo che questo profilo non pu raggiungere l'altezza critica
e, in pratica, ci si riscontra effettivamente in quanto, in prossimitdell'altezza critica, si realizza una
discontinuitnel profilo che ha come effetto locale il passaggio repentino da altezza d'acqua inferiori a
quella critica all'altezza di moto uniforme.


Fig. 8.38

Questo fenomeno (Fig. 8.38) viene indicato come risalto idraulico (ovvero salto di bidone) e si realizza
in pratica con un tratto di corrente in moto fortemente turbolento che provoca una fase mista aerea e
liquida. In tale tratto si verifica anche una forte dissipazione di carico H, (Fig. 8.37).
Come ci possa avvenire dal punto di vista energetico, lo si vede dal diagramma del carico rispetto al
fondo, indicato in figura 8.39.

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137

Fig. 8.39

A valle della sezione contratta il profilo procede per altezze crescenti e con carichi rispetto al fondo
decrescenti. Giunto all'altezza h, corrispondente al punto A del diagramma di figura 8.39, il risalto
idraulico realizza la discontinuitindicata nel tratto AB cio, senza passare per valori di h prossimi a
K, il profilo salta a valori prossimi ad h
0
attraverso un moto molto dissipato che provoca la perdita di
carico e indicata col segmento CB.

b) Ostacolo in alveo

Un profilo tipo I si realizza anche in rapporto all'inserzione di un organo fisso di controllo e misura
(stramazzo) tipo quello della figura 8.40.


Fig. 8.40


c) Salto di fondo

Il profilo II di figura 8.36 si realizza in pratica allorch si verifica, per ragioni costruttive connesse
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138
all'esecuzione del canale o per un dislivello naturale, una discontinuit nel profilo di fondo (salto di
fondo, Fig. 8.41).


Fig. 8.41

Il profilo non tocca, come gi detto, L'altezza critica ma, di fatto, ad opera dell'effetto locale di
chiamata e grazie al recupero di carico proprio del salto di fondo, la corrente raggiunge l'altezza
critica in corrispondenza del ciglio del salto di fondo.
La conoscenza dell'andamento dei profili provocati da effetti locali in alveo, molto utile, come
accennato, ai fini della verifica delle sezioni al realizzarsi delle condizioni di moto non uniforme.
Teoricamente le condizioni di equilibrio (moto uniforme) si ripristinano solo a distanza infinita della
sezione in cui situato l'ostacolo. In pratica, per, gi ad una distanza finita; e relativamente
prossima all'ostacolo, le altezze d'acqua del profilo risultano poco discoste da quelle di moto
uniforme. Ci consente di approssimare con sufficiente esattezza i profili reali a curve teoriche note,
permettendo cos di conoscere pi rapidamente le altezze d'acqua approssimate ed inoltre di limitare
ad un tratto di ampiezza nota l'alveo da sottoporre a verifica nei riguardi delle altezza e delle velocit.
Nel caso del profilo I, il Poire ha riscontrato che esso poteva assimilarsi a un tronco di parabola
tangente all'orizzontale in corrispondenza dell'ostacolo e tangente, verso monte, al profilo di moto
uniforme ad una distanza l dall'ostacolo pari al doppio dell'ampiezza idrostatica l
i
. Quest'ultima viene
definita (Fig. 8.42) con rapporto tra il sopralzo massimo della corrente, che si realizza in
corrispondenza dell'ostacolo, rispetto all'altezza di moto uniforme, e la pendenza di fondo.

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139

Fig. 8.42

In pratica rappresenta il tratto della tangente orizzontale al profilo in corrispondenza dell'ostacolo
compreso tra quest'ultimo ed il profilo di moto uniforme, L
i
i

tg
, e L = 2 L
i
.
Marchetti, constatato che il coefficiente 2, che lega l'ampiezza di rigurgito all'ampiezza idrostatica, non
una costante ma una variabile che dipende dal rapporto tra l'altezza massima h e l'altezza di
moto uniforme h
0
, ha fornito dei valori empirici di questo coefficiente in funzione di una gamma
sufficientemente estesa di valori di tale rapporto, in tabella 8.3:

Tab. 8.3
h/h
0
1,1 1,2 1,5 2,0 3,0 5,00
6,5 4,5 2,7 1,9 1,5 1,25


L
i

con

_
,
f
h
h
0


Come si vede, il valore del coefficiente indicato dal Poire corrisponde approssimativamente al
rapporto
h
h
0
2 0 , .

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140
9. FORONOMIA

9.1 Introduzione

Affrontiamo un argomento particolare dell'idraulica che va sotto il nome di foronomia.
La foronomia studia l'efflusso di una vena liquida attraverso una apertura (denominata bocca o luce) in
una parete.
L'efflusso stato studiato sino dagli albori dell'Idraulica in quanto le luci di efflusso sono sempre
servite come sezioni di controllo e misura delle portate. Basta immaginare le antichissime bocche
modulari, usate in canali di irrigazione per erogare agli utenti la portata costante di competenza.
Comunque, abbastanza recente lo studio sistematico dell'efflusso e quindi la classificazione
precisa delle luci e le relative formule approssimate per il calcolo delle portate.
Come misuratori, le luci si distinguono in modulari (quando erogano una portata costante indipendente
dai livelli d'acqua di monte e di valle) e in semimodulari (quando le portate erogate dipendono solo dai
livelli di monte). Se tali bocche sono influenzate dai livelli di valle, allora chiaro che non possono
essere pi usate come misuratori o sezioni di controllo, in quanto l'utente a valle pu fare variare a
piacimento la portata.
Enunciamo un po di nomenclatura relativa alle luci di efflusso.
Esse si distinguono, a seconda del livello d'acqua in rapporto ai contorni della luce (Fig. 9.1), in:
a) luci a battente: quando il livello d'acqua a monte sovrastante il contorno superiore della luce;
b) luci a stramazzo: quando il livello a monte risulta inferiore al contorno superiore della luce;
c) luci libere: quando il livello a valle non influenza la luce;
d) luci rigurgitate: (parzialmente o totalmente): quando il livello a valle influenza parzialmente o
totalmente la luce.


Fig. 9.1

Ancora, esse si distinguono, a seconda dello spessore della parete in relazione alle dimensioni della
luce, in:

a) luci in parete sottile: quando lo spessore risulta trascurabile (sagoma a tagliente verso monte), (Fig.
2a);

b) luci in parete grossa: quando la vena aderisce parzialmente o totalmente ai contorni della luce,
(Fig. 2b).

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141

Fig. 9.2

Infine, si distinguono anche, nei riguardi dell'ampiezza, vale a dire della trascurabili o meno di
quest'ultima rispetto al dislivello di esercizio esistente tra la quota d'acqua a monte ed il baricentro
della luce, in:

a) luci di piccole dimensioni;
b) luci di grandi dimensioni.

Le caratteristiche principali di una luce di efflusso sono: l'area (la forma e le dimensioni); il battente
definito come dislivello tra la superficie libera a monte ed il bordo superiore della luce; il carico che,
nel caso delle luci a battente, rappresenta il dislivello tra il pelo libero a monte ed il baricentro della
sezione di efflusso e, nel caso delle luci a stramazzo, il dislivello tra il pelo libero a monte ed il
contorno inferiore della luce; il coefficiente di efflusso, inteso come un coefficiente correttivo che tiene
in conto, ai fini del calcolo della portata, l'influenza della contrazione della vena e la leggera
dissipazione di carico.
Per la definizione delle leggi dell'efflusso occorre preliminarmente fare alcune ipotesi fondamentali che
comunque, come si vedrpi avanti, non limitano affatto la pratica applicabilitdelle formule ricavate
purch corrette con l'uso di qualche coefficiente.
Anzitutto, occorre osservare che l'efflusso, nei riguardi dell'intero sviluppo di una corrente, un
fenomeno localizzato. In genere esso avviene con brusco restringimento della vena e quindi con una
aliquota di perdite per viscosit molto limitata. Inoltre gli eventuali vortici o punti di forte turbolenza,
dovuti alla deviazione dei filetti fluidi, vengono in genere trasportati dalla forte velocit di efflusso
nell'atmosfera.
Si pu pertanto, date le dimensioni ridotte del fenomeno, trascurare la viscosite considerare almeno
in prima approssimazione il liquido come perfetto.
L'efflusso dovrpoi avvenire con le caratteristiche del moto permanente: ci significa che, raggiunto il
regime, la portata dovrrimanere costante. Poich la portata dipende principalmente dal livello d'acqua
a monte, il recipiente a monte dovrconsiderarsi a livello costante: il che tecnicamente pensabile o
con la reintegrazione della portata erogata, o con la trascurabilit della portata erogata rispetto al
volume del recipiente (luci a piccole dimensioni).
Affrontiamo quindi lo studio singolarmente per ogni tipo di luce di efflusso, ripromettendoci di
calcolare, in funzione dei livelli d'acqua, la portata di efflusso.

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142
9.2 Luci a battente

9.2.1 Luci a battente di piccole dimensioni in parete sottile

9.2.1.1 Sul fondo (Fig. 9.3a):

Con riferimento alla figura 9.3a, ricordando le ipotesi fondamentali e tenendo conto che i filetti fluidi in
corrispondenza della sezione contratta possono considerarsi paralleli, si applica il teorema di
Bernoulli tra due punti di una traiettoria, giacenti rispettivamente sulla superficie libera nel recipiente e
sulla sezione contratta: H
1
= H
c
, trascurando le perdite di carico, essendo H
1
e H
c
il carico
rispettivamente in corrispondenza del pelo libero nel serbatoio e della sezione contratta. Da questo si
deduce:

z
p v
g
z
p v
g
c
c c
1
1 1
2 2
2 2
+ + + +

(9.2.1)

Dal momento che in corrispondenza della superficie libera nel recipiente e della sezione contratta
risultano nulli i termini:

p v
g
p
c 1 1
2
2
; ; (9.2.2)

identificando la quota della sezione contratta con la quota effettiva z
2
della luce, in considerazione
della distanza limitata tra le due sezioni, si ricava:

z z
v
g
c
1 2
2
2
+ (9.2.3)

La velocitdi efflusso, considerando un moto assolutamente non dissipativo, risulta:

( ) v g z z
c
2
1 2
(9.2.4)

ed essendo z
1
- z
2
= h si ha

v g h
c
2 (velocittorricelliana) (9.2.5)

Per l'applicazione pratica di questa espressione occorre mettere in conto una leggera dissipazione di
carico che, in effetti, si riscontra sperimentalmente. La velocit effettiva risulta allora leggermente
inferiore di quella calcolata. Il coefficiente correttivo c
v
(coefficiente di velocit), ricavato
sperimentalmente, vale 0,96 0,98. Per questo la velociteffettiva dovrintendersi come:

v'
c
= C
v
v
c
= 0,96 0,98 v
c
(9.2.6)

Ricorrendo al principio di continuitsi potrrisalire alla portata:

q = a
c
v'
c
(9.2.7)

avendo indicato con a
c
la sezione contratta. In tutti i fenomeni di efflusso da piccole luci, si rileva che:

a
a
C
c
c
cost (9.2.8)

Il valore di C
c
si aggira attorno a 0,61. In base a questa considerazione sperimentale, con riferimento
all'espressione sopra scritta, si ricava:
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143

q = C
v
a
c
v
c
= C
v
C
c
a v
c
= a v
c
(9.2.9)

Il coefficiente = C
c
C
v
viene indicato come coefficiente di efflusso. In base ai valori precedentemente
indicati ed all'espressione di v
c
, si ricava in definitiva:

q g h 0 6 2 , a (9.2.10)


9.2.1.2 Sulla parete (Fig. 9.3b):

Con riferimento alla figura 9.3b e con procedimento del tutto analogo a quello visto in precedenza, si
ricava:

z z
v
g
c
1 2
2
2
+ (9.2.11)

in questo caso z
c
coincide esattamente con z
2
. Rimanendo perfettamente identici i valori dei
coefficienti, l'espressione della portata del tutto identica alla precedente:

v g h
c
2 ; q C C a g h
c v
2 ; = a 2g h; = 0 6 2 , a g h (9.2.12)


Fig. 9.3


9.2.2 Luci a battente di piccole dimensioni in parete grossa (Fig. 9.4)

Immaginiamo che, rispetto alle dimensioni della luce, lo spessore della parete non si possa pi
considerare trascurabile. si potranno verificare due casi:

9.2.2.1 Lo spessore della parete limitato (Fig. 9.4a).

In questo caso la vena non aderisce alla parete e si comporta come se la parete fosse sottile.
Valgono le formule gi viste per la parete sottile con una leggera diminuzione del coefficiente di
efflusso;

9.2.2.2 Lo spessore della parete non limitato (Fig. 9.4b).

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144
In questo caso la vena aderisce alla parete e riempie, prima dello sbocco nell'atmosfera, tutta la luce.
Poich ci avvenga, sperimentalmente si visto che lo spessore l deve raggiungere il valore di 1,5 2
volte la dimensione trasversale della luce D :

l = 1,5 2 D (9.2.13)

Contrariamente a quanto direttamente intuibile, in queste condizioni si ha, come vedremo, un
incremento della portata rispetto a quella relativa ad una parete sottile.
La parete grossa pu essere realizzata anche secondo lo schema di figura 9.4c.
Infatti basta l'inserimento di un tronco di tubo della lunghezza limite l sopra indicata perch le
caratteristiche dell'efflusso siano quelle della parete grossa. Dedurremo quindi l'espressione della
portata di efflusso riferendoci alla parete sottile con tubo addizionale.

9.2.2.3 Parete sottile con tubo addizionale (Fig. 9.4c).

L'aumento della portata dovuto al fatto che durante l'efflusso nella sezione contratta si forma una
depressione.
Tale depressione dovuta al fatto che il formarsi della sezione contratta isola, come givisto allorch
si trattato delle perdite localizzate, sacche di liquido in moto fortemente turbolento che non
partecipano al moto di trasporto. Le particelle liquide per, in questo caso, essendo il tubo di non
lunghe dimensioni, vengono gradatamente trasportate nell'atmosfera. Perci nelle sacche si stabilisce
un certo grado di vuoto e quindi una pressione inferiore a quella atmosferica. Questa depressione,
come stato dimostrato sperimentalmente dal Venturi, ha un valore che si aggira sui 3/4 del carico,
almeno fino ad un valore limite di quest'ultimo.



Fig. 9.4 Fig. 9.4c

Sempre ricorrendo al teorema di Bernoulli e facendo passare, per comodit, il piano di riferimento per il
baricentro della sezione contratta, con riferimento alla figura 9.4c si ha:

z
p v
g
c
1
2
2
+

; (9.2.14)

o che lo stesso:

h
p v
g
c
+

2
2
(9.2.15)

Da ci si deduce:
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145

v g h
p
c
+

_
,
2

(9.2.16)

Entro un valore limite del carico h, come sopra accennato, si ha:
p
h


3
4
, quindi:

v g h g h
c

_
,

2
7
4
7
4
2 (9.2.17)

La portata risulter, pertanto:

q a g h g h g h
7
4
2 0 6
7
4
2 0 816 2 a a , , (9.2.18)

Il coefficiente di efflusso, rispetto ai valori in parete sottile, viene incrementato di circa il 30%. Tale
ovviamente anche l'incremento della portata. Per quanto riguarda il carico limite, quest'ultimo si ricava
dalla considerazione, pi volte fatta, che una depressione non pu raggiungere un valore pari a 1
atm(10,33 m d'acqua). Si ricaveril valore limite h
1
del carico ponendo la condizione:

3
4
10 33
1
h
p

, (9.2.19)

da cui:

h
1
4
3
10 33 14 , m (9.2.20)

Ci significa, in definitiva, che l'espressione della portata precedentemente indicata valevole finche il
carico si mantiene inferiore od uguale a 14 m. Per valori superiori l'espressione da utilizzare la
seguente:

( ) q g h + 0 6 2 10 33 , , a (9.2.21)

Facciamo un cenno ora alle luci a battente con funzionamento non semimodulare, vale a dire
influenzato da valle.

9.2.3 Luci a battente di piccole dimensioni in parete sottile e totalmente, rigurgitate

Nella figura 9.5 sono indicati due assetti in cui, in un caso, possono essere trascurate le velocitdella
corrente a monte ed a valle della luce e, nell'altro, no.

9.2.3.1 Velocit d'arrivo e di partenza trascurabili (Fig. 9.5a).

Si applica sempre il teorema di Bernoulli tra la superficie libera a monte della luce e la sezione
contratta a valle:

h
1
= h
c
(9.2.22)

che si riduce, per tutte le ragioni indicate negli esempi precedenti e tenendo conto che:

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146

p
h h
c
c c

, (9.2.23)
a:
h h
v
g
c
c
1
2
2
+ (9.2.24)

da cui si deduce:

( ) v g h h
c c
2
1
(9.2.25)

L'espressione risulta del tutto analoga alle precedenti viste, con la condizione che, per carico, si
assuma la differenza dei carichi a monte ed a valle:

h
1
- h
c
= h (9.2.26)

Vero che in questo caso le condizioni di efflusso, dato che la vena non sbocca in atmosfera, sono
leggermente diverse e quindi leggermente diverso il valore del coefficiente di velocit.
Ci si traduce in un valore leggermente diverso del coefficiente di efflusso: = 0,98 .
L'espressione della portata diventerpertanto:

( ) q a g h h
c
' 2
1
(9.2.27)


9.2.3.2 Velocit di arrivo e di partenza non trascurabili (Fig. 9.5b).

In questo caso, tenendo conto delle velocite della perdita di carico connessa con lo sviamento della
vena dalla sezione contratta alla sezione dalla corrente a valle della luce, ed applicando il teorema di
Bernoulli tra due sezioni della corrente, rispettivamente a monte ed a valle della luce, si ha:

( )
h
v
g
h
v
g
v v
g
c
1
1
2
2
2
2
2
2
2 2 2
+ + +

(9.2.28)

dato che, potendo assumere per il calcolo della quota piezometrica nelle sezioni a monte ed a valle
della luce, punti a uguale quota geometrica, si pu porre z
1
= z
2
. Allora h
1
e h
2
rappresentano le
altezze piezometriche dei due punti precedenti, presi a rappresentare le sezioni. Raccogliendo
opportunamente si ha:

h h
g
v v
c 1 2 2
2
2 1
2
1
2
+ v [ (v ) ]
2
(9.2.29)

Ricorrendo al principio di continuit , si possono ricavare le velocit v
1
e v
2
in funzione della velocit
della corrente nella sezione contratta v
c
.

Infatti:

v a v a
c c 1 1
da cui v
v a
a
c c
1
1
(9.2.30)

v a v a
c c 2 2
da cui v
v a
a
c c
2
2
(9.2.31)

essendo a
1
ed a
2
le sezioni della corrente a monte ed a valle della luce. L'espressione sopra scritta si
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147
trasforma nella:

( ) 2 1
1 2
2
2
2
2
2
2
2
1
2
g h h
a
a
v
a
a
v
a
a
c
c
c
c
c
c

_
,
+

_
,

_
,
v (9.2.32)

Si ricava allora:

( )
v
g h h
a
a
a
a
a
a
c
c c c

_
,
+

_
,

_
,

2
1
1 2
2
2
2
2
1
2

(9.2.33)

Ci significa, in definitiva, che il coefficiente di efflusso viene modificato, in questo caso, secondo il
coefficiente:
1
a
, avendo indicato con a i tre termini che compaiono al denominatore dell'espressione
precedente sotto radice. Il coefficiente a dipende pertanto dai valori delle sezioni della corrente a
monte ed a valle della luce

' ' '
1
a
(9.2.34)

Quest'espressione della portata risulta, analogamente ai casi precedenti:

( ) q a g h h ' ' 2
1 2
(9.2.35)


Fig. 9.5a Fig. 9.5b

9.2.4 Luci a battente parzialmente rigurgitate

Qualora il livello di valle non sovrasti completamente il contorno superiore della luce, allora si in
presenza, come precedentemente indicato, di una luce parzialmente rigurgitata (Fig. 9.6).

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148

Fig. 9.6

E' chiaro che un caso del genere potressere realmente verificato a regime che con una luce di grandi
dimensioni. Con riferimento alla figura 9.6 ed in linea puramente teorica, si procede rappresentando la
luce parzialmente rigurgitata attraverso due schemi che la riducono a due casi giprecedentemente
visti. Si considerer infatti, come relativa ad una luce libera, la parte di vena soggiacente al livello di
valle e, come relativa ad una luce totalmente rigurgitata, la parte di vena soggiacente. Si deve per, in
questo caso, tenere presente che le formule adottate danno un valore di larghissima approssimazione
della portata. Per avere un valore pi esatto occorre ricavare sperimentalmente, caso per caso, il
nuovo valore del coefficiente di efflusso.

9.2.5 Luci battente di grandi dimensioni

9.2.5.1 Velocit d'arrivo trascurabile

Immaginiamo ora che l'apertura operata nel recipiente di monte non possa considerarsi piccola
rispetto al carico, vale a dire che quest'ultimo non possa considerarsi invariabile con riferimento ai
diversi punti della luce. Lo schema pi generale di luce di grandi dimensioni quello rappresentato in
sezione e prospetto nella figura 9.7.


Fig. 9.7

In essa, oltre al carico, varia punto per punto anche la larghezza della luce. Si dovrquindi individuare
una relazione esplicita che leghi la larghezza al carico:
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149

l = l (h) (9.2.36)

Si procede, in genere, suddividendo la luce in tante strisce o luci elementari di altezza dh e larghezza
l (h). Per tali luci elementari il carico potressere considerato invariante e pari a quello corrispondente
al baricentro della luce.
Potremo applicare quindi per queste luci elementari l'espressione della portata valida per le luci
piccole in parete sottile. Dalla portata elementare si potr risalire a quella totale effettuando la
sommatoria di tutte le portate

q = q
i
(9.2.37)

In termini analiticamente pi corretti potremo scrivere:

( ) ( ) dq h h g h l dh 2 (9.2.38)

ed infine:

q dq
q
q

1
2
(9.2.39)

dove q
1
e q
2
sono le portate corrispondenti ai valori limiti del carico h
1
e h
2
. Ci posto, risulter
l'espressione generale:

( ) ( ) q g h h
h
h


2
1
2
1 2
l h dh
/
(9.2.40)

Per le luci quadrate o rettangolari di pi pratico interesse l'integrale, che normalmente di risoluzione
molto complessa perch occorre conoscere analiticamente le espressioni di e l in funzione di h,
di immediata risoluzione data la costanza di l e (Fig. 9.8).

L'espressione generale si semplifica allora nella seguente:

q l g
h
h


2
1 2
1
2
h dh
/
(9.2.41)

facilmente integrabile. In definitiva si otterr:

q
2
3
l 2g h
3/ 2
h1
h2
[ ]

e quindi

q l g
2
3
2
1
3 2
h - h
2
3/ 2
( )
/
(9.2.42)

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150

Fig. 9.8


9.2.5.2 Velocit di arrivo non trascurabile

Nel caso la luce fosse aperta in una parete posta di traverso ad un canale, occorre mettere in conto
una velocitdi arrivo v e quindi il carico sulle singole luci elementari andrebbe incrementato di una
quantitcostante pari all'altezza cinetica corrispondente. Posto

K
v
g

2
2
(9.2.43)

l'espressione precedentemente ricavata della portata cambia proprio nella misura in cui cambiano i
carichi limiti:

h
2

= h
2
+ K; h
1

= h
1
+ K (9.2.44)

Ci significa che la portata, in questo caso, diventer:

( ) ( ) q K h K + +
2
3
3 2
1
3 2
l 2g h
2
[
/ /
] (9.2.45)

Il valore di si aggira sempre intorno a 0,6. Va precisato per che, nel caso delle grosse luci,
indispensabile la loro taratura. Quest'ultima avviene facendo variare in modo noto le portate effluenti,
misurando i corrispondenti carichi, e ricavando infine i valori di . In genere tali valori variano con la
forma della luce e sperimentalmente si trovato che dipendono dal rapporto
a
A
, dove a l'area della
luce ed A quella della parete nella quale essa aperta. In pratica il valore di

_
,

f
a
A
dipende dalla
distanza della luce dal fondo e dal contorno delle pareti. Intuitivamente questo evidente; infatti dagli
elementi sopra indicati dipende il grado di deviazione dei filetti fluidi.






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151

9.3 Luci a stramazzo

Passiamo ora ad un argomento molto importante nelle applicazioni pratiche che fanno riferimento ai
sistemi di misura delle portate dei canali.
Le bocche a battente e quelle a stramazzo sono state in passato, e lo sono tuttora, molto usate
come misuratori di portata. Le caratteristiche che deve possedere un buon misuratore di portata per
canali sono le seguenti:

a) robustezza e semplicitdi uso; non si deve ricorrere per la misura ad organi automatici e mobili e
quindi facili all'usura;

b) comportamento semimodulare; deve cio essere dipendente esclusivamente dalle condizioni di
monte;

c) limitata perdita di quota del pelo libero in corrispondenza della sezione di misura;

d) formazione di rigurgiti non eccessivi di arresto o di chiamata.

Riguardo all'insieme delle qualitelencate e in particolare riguardo al comportamento semimodulare e
alle perdite di quota, i misuratori a stramazzo presentano dei vantaggi rispetto alle luci a battente.
Per definizione di luce a stramazzo, la vena effluente non , come nel caso delle bocche a battente,
tutta a contatto col contorno della luce e risulta a pressione atmosferica nella parte superiore.
La forma della vena effluente negli stramazzi viene rappresentata nella figura 9.9.


Fig. 9.9

In essa appare evidente la misura del carico ad una certa distanza a monte della soglia (qualche volta
il carico) onde evitare l'effetto localizzato di chiamata che ha come conseguenza un rapido incremento
di energia cinetica dovuto al restringimento della sezione della corrente.
Gli stramazzi si distinguono, in funzione dello spessore della soglia, in stramazzi in parete sottile
quando il fondo della vena si distacca dalla soglia ed in stramazzi in parete grossa quando il fondo
della vena aderisce perfettamente alla soglia.






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152


9.3.1 Stramazzi in parete sottile

Caratteristica di questi stramazzi, come peraltro abbiamo visto per le luci a battente, il fenomeno di
contrazione della vena effluente. Nello stramazzo rappresentato in figura 9.9 la contrazione si dice
totale, in quanto i filetti fluidi deviano totalmente dalla loro traiettoria sia sulla parete che sul fondo.
Ci possono essere anche stramazzi con la sola contrazione sul fondo. E' questo il caso della luce
che occupi tutta la larghezza del canale, in modo che le traiettorie sui fianchi della vena non debbano
deviare dalla loro naturale direzione.
Sperimentalmente si trovato che la contrazione completa sui fianchi si ha con luce centrale quando,
chiamata l la larghezza dello stramazzo, quest'ultima inferiore al massimo uguale ad
1
3
della
larghezza L del canale alla sommit:

l
L

3
(9.3.1)

Se l
L
>
3
la contrazione comincia ad essere parzialmente soppressa, sino alla sua totale
soppressione per l= L .

Per quanto riguarda la vena di uno stramazzo, essa pu essere libera o rigurgitata; vedremo pi avanti
il limite affinch una vena possa essere considerata libera. Essa pu ancora essere aerata e non
aerata: ci dipende dal fatto che esista, o meno, al di sotto di essa, a valle della soglia, la pressione
atmosferica. Per quanto si riferisce al fenomeno, cui si gifatto cenno, della chiamata allo sbocco,
essa non altro che la depressione della vena rispetto alla quota di moto uniforme della corrente
causato dall'aumento della velocit.
L'espressione generale della portata si deduce immediatamente da quella relativa alle luci a battente
di grandi dimensioni in parete sottile di forma rettangolare. Infatti, con riferimento alla figura. 9.10, la
luce a battente in cui si sia gradatamente elevato il contorno superiore della medesima fino a renderlo
sovrastante il pelo libero a monte o, ci che lo stesso, fino a che il limite inferiore del carico h
1
sia
diventato nullo e quello superiore h
2
sia posto proprio uguale al carico h dello stramazzo.



Fig. 9.10

Nellespressione generale

q h
2
3
1
3 2
2g l h
2
3/ 2
( )
/
(9.3.2)

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153
ponendo h
1
= 0 e h
2
= h, si ottiene:

q g
2
3
2
3 2
l h
/
(9.3.3)

Ricordando che vale approssimativamente 0,6 si ottiene:

q g g
2
3
0 6 2 0 4 2 180
3 2 3 2 3 2
, , ,
/ / /
l h l h l h (9.3.4)

Questa espressione rappresenta la portata di uno stramazzo rettangolare con contrazione completa.
Se si dovesse mettere in conto la velocit di arrivo, allora, chiamata, come al solito, con K l'altezza
cinetica corrispondente
v
g
2
2
, si potrebbe scrivere, ricordando l'espressione delle luci a battente di
grandi dimensioni in parete sottile con velocitdi arrivo:

( ) q K
2
3
3 2
3 2
/ 2g h+ K [ ]
/
/
(9.3.5)

Considerando trascurabile K rispetto ad h + K e tenendo in conto nel coefficiente di efflusso della
piccola influenza di K, si ha:

( ) q g h K +
2
3
2
3 2
'
/
l (9.3.6)

Purtroppo nel caso degli stramazzi, per diverse condizioni di deflusso a monte, contrazione non
perfetta e variazioni del carico si hanno variazioni non trascurabili del coefficiente di efflusso. Pertanto
occorre sempre precedentemente tarare la luce, provandola per vari valori noti della portate.

9.3.1.1 Stramazzo Bazin

Lo stramazzo in parete sottile pi largamente sperimentato senza dubbio quello Bazin dal nome del
suo maggior sperimentatore. E' costituito da una soglia in muratura su cui infisso un tagliente
metallico per realizzare sicuramente le condizioni di parete sottile. La configurazione della vena
quella di figura 9.11.


Fig. 9.11

Notiamo che:

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154
- la depressione a dovuta alla chiamata in corrispondenza della soglia 0,14 h;

- l'altezza della vena b in corrispondenza della sezione contratta 0,65 h;

- il sopralzo massimo c del fondo della vena sulla soglia 0,11 h;

- la gittata, intesa come la distanza alla quale il contorno inferiore della vena ripassa per la quota della
soglia, d = b 0,65 h.

Caratteristica dello stramazzo Bazin quella di avere contrazione soppressa sui lati L = l e
contrazione completa sul fondo. La vena aerata mediante due prese d'aria che ripristinano la
pressione atmosferica sotto il suo contorno inferiore. Se ci non avvenisse, si genererebbe una
miscela di aria ad acqua in depressione che farebbe flettere la vena verso la parete provocando un
efflusso irregolare ed instabile. Come conseguenza risulterebbe continuamente variato il valore del
coefficiente di deflusso. Al limite, se avvenisse il trasporto completo dell'aria provocando il vuoto, la
vena si adagerebbe completamente sulla soglia.
Con vena aerata il Cipolletti, uno dei primi sperimentatori, ha trovato un coefficiente di efflusso, , pari
a 0,415 che un po maggiore di quello relativo alla vena totalmente contratta = 0,40 . In
conseguenza la formula della portata diviene:

q g 0 415 2 186
3 2 3 2
, ,
/ /
l h l h (9.3.7)

Se la velocitdi arrivo non fosse trascurabile:

( ) q h K + 186
3 2
,
/
l (9.3.8)

dove, come al solito, K
v
g

2
2


Coefficienti di efflusso molto pi esatti e formule molto pi approssimate sono state dedotte
sperimentalmente prima dal Bazin e poi dal Rehmbock. Queste mettono in conto la dipendenza delle
condizioni di efflusso dal valore del carico e dal valore del petto dello stramazzo, avendo indicato con
quest'ultima grandezza l'altezza della soglia sul fondo del canale. Forniamo, con riferimento alla figura
9.11, l'espressione del coefficiente secondo Bazin anche se attualmente ad essa viene preferita quella
del Rehmbock:

+

_
,
+

_
,
0 405
0 003
1 0 55
2
2
,
,
,
h
h
H
(9.3.9)

dove con H si intende l'altezza d'acqua a monte con riferimento al fondo del canale. Questa formula
applicabile solo per valori del carico h compresi tra 0,10 e 0,60 m. Molto pi generale la formula del
Rehmbock:

+

_
,

2
3
0 605
1
1050 3
0 08 , ,
h

h
p
(9.3.10)

dove p il petto dello stramazzo.

Ancora pi recente e di frequente uso l'espressione ricavata dalla societdegli ingegneri ed architetti
svizzeri (SIA):

+
+

_
,

_
,

1
]
1
1
0 615 1
1
1000 16
1 0 5
2
,
,
,
h

h
H
(9.3.11)
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155

Nelle tre espressioni indicate l'unitdi misura di h, p, H il metro.

Lo stramazzo Bazin ha un limite di semimodularit, vale a dire pu essere considerato libero e quindi
capace di far effluire una portata relativa al coefficiente di efflusso valutato con le espressioni
precedenti, sino a che il pelo libero della corrente a valle si trova al di sotto della soglia di una
determinata quota oltre la quale lo stramazzo si comporta come parzialmente rigurgitato. Tale
dislivello limite vale 0,1 h la luce si comporta come libera sino a che il livello di valle si trova a 1/10
del carico al di sotto della soglia. Pertanto il minimo carico perso dallo stramazzo Bazin per suo
funzionamento semimodulare risulta pari a 1,1 h (Fig. 9.11).
Abbiamo visto che lo stramazzo Bazin fa effluire una portata maggiore di quello a contrazione
completa e questo perch la deviazione delle traiettorie fa si che la sezione utile sia minore di quella
effettiva dello stramazzo (effetto di contrazione). Ci posto, l'idraulico francese, dato che l'espressione
dello stramazzo Bazin quella pi controllata sperimentalmente, ha cercato di estenderne il valore
anche agli stramazzi a contrazione completa sui fianchi. Il francese ha infatti osservato che, a paritdi
carico, uno stramazzo a contrazione completa lascia effluire la medesima portata di uno stramazzo
Bazin che abbia una larghezza di soglia inferiore di
1
5
del carico e quindi che, per gli stramazzi a
contrazione completa, vale l'espressione:

q = 1,86 (l - 0,20 h)h
3/2
(9.3.12)

Da questa osservazione scaturito un altro tipo di stramazzo in parete sottile a contrazione completa
sui fianchi, ampiamente sperimentato, per il quale valevole perfettamente l'espressione dello
stramazzo Bazin. Questo stramazzo va sotto il nome di stramazzo Cipolletti (Fig. 9.12).


Fig. 9.12
Come si rileva dalla figura, si praticamente ovviato all'inconveniente della riduzione della sezione utile
ad opera della contrazione laterale, mediante aumento della luce attraverso un'inclinazione delle
sponde. Si dimostrato sperimentalmente che una scarpa della sponda di 1/4 poteva permettere
l'applicazione pressoch esatta, allo stramazzo Bazin di uguale larghezza:

q = 1,86 l h
3/2


Si fa infine cenno ad uno stramazzo a forma triangolare in parte sottile, molto usato in laboratorio per
la sua elevata sensibilit. Tale stramazzo, rappresentato in figura 9.13, con angolo al vertice di 90 va
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156
sotto il nome di stramazzo Thomson.


Fig. 9.13

Lespressione della portata si riduce a:

q = 1,46 h
5/2
(9.3.13)

dove il coefficiente di efflusso vale:

'
8
15
2 g (9.3.14)

In uno stramazzo di questo tipo, a piccole variazioni del carico corrispondono sensibili variazioni della
portata. Ci perch la portata dipende dalla potenza 5/2 del carico anzich 3/2 come in tutti gli altri
stramazzi.

9.3.2 Stramazzi in parete grossa o a larga soglia

Passiamo ora a considerare gli stramazzi a larga soglia che, come vedremo, si prestano meglio come
misuratori. Essi, infatti, presentano una perdita di carico, al limite del funzionamento semimodulare,
molto ridotta rispetto a quelli in parete sottile ed inoltre lasciano effluire la portata maggiore proprio in
condizioni di semimodularit.
Con riferimento alle caratteristiche geometriche della vena effluente in uno stramazzo Bazin, si
possono ricavare i limiti di spessore della soglia al di sopra dei quali la vena vi si adagia
completamente e di conseguenza, si verificano condizioni di efflusso in parete grossa. Con le
indicazioni della figura 9.14:

b = 0,65 h (9.3.15)

Se inoltre lo spigolo verso monte risulta anche arrotondato, il che ovviamente facilita l'adagiarsi della
vena, allora lo spessore pu ridursi a valori: b = 0,5 h. In ogni modo, lo spessore minimo della soglia
per cui la vena possa considerarsi in parete grossa funzione del carico.

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157

Fig. 9.14

Esaminiamo ora le condizioni di efflusso della vena su una larga soglia (Fig. 9.15).


Fig. 9.15

Immaginiamo, per comodit, che sia nulla la velocitdi arrivo, che le perdite di carico tra monte e valle
siano nulle ed infine che la soglia abbia lunghezza pari alla larghezza del canale (l = L contrazione
soppressa sui fianchi). Il moto avvenga, in definitiva, solo per differenza dei livelli d'acqua tra monte e
valle. Con le notazioni di figura 9.15, avendo indicato con h
1
il livello d'acqua sulla soglia, con h il livello
d'acqua a monte della soglia rispetto alla quota di quest'ultima (carico) e con h
2
il livello a valle sempre
rispetto alla soglia, applicando il teorema di Bernoulli tra una sezione a monte della chiamata ed una
sulla soglia, si ottiene:

( ) q Lh g h h
1 1
2 (9.3.16)

L'altezza d'acqua h
1
sulla soglia sarsempre funzione di h
2
a valle h
1
= f (h
2
) almeno sino a certi valori
limiti inferiori di h
2
.
Supponiamo ora di abbassare h
2
in modo da fare aumentare la velocitsullo stramazzo. La vena si
abbasser e quindi si ridurr il valore di h
1
. I valori di h
1
potranno diminuire fino al punto in cui si
raggiungerl'altezza critica o, ci che lo stesso, il carico minimo e
min
compatibile con la portata. Al
di sotto di questo valore di h
1
, qualunque abbassamento di h
2
al di sotto di h
2 lim
non si risente sulla
soglia.
Dall'espressione della portata si ricava immediatamente che essa aumenta al diminuire di h
1
.
Esaminiamo ora la forma assunta dall'espressione nel caso sia raggiunta sulla soglia l'altezza critica.
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158
Il carico minimo, data la validitdel teorema di Bernoulli e l'assenza di perdite, proprio uguale ad h
e
min
= h . L'espressione di e
min
, nel caso della sezione rettangolare in cui ci troviamo, sappiamo risulta:

e K
K
K
min
+
2
3
2
(9.3.17)

da cui:

K h
2
3
(9.3.18)

Sostituendo, nell'espressione della portata, si ricava:

( ) q LK g h K L h g h h g h

_
,

2
2
3
2
2
3
2
3 3
2
3 2
L
/
(9.3.19)

Per uniformitcon l'usuale espressione della portata effluente sugli stramazzi, si scriver

q g h 0 385 2
3 2
,
/
L (9.3.20)

Occorre, a questo punto, mettere in evidenza che, mentre per lo stramazzo in parete sottile il limite di
semimodularitimplicava una perdita di carico minima pari a 1,1 h, per lo stramazzo a larga soglia, il
funzionamento semimodulare avviene ancora per livelli a valle sovrastanti la soglia e quindi con perdite
di carico sensibilmente minori. Inoltre la portata massima si realizza proprio in condizioni di
semimodularit, vale a dire proprio quando sulla soglia si realizza l'altezza critica.
Lo stramazzo a larga soglia ha trovato la sua pi frequente applicazione nel cosiddetto misuratore a
risalto. Quest'ultimo altro non che un particolare stramazzo a larga soglia in corrispondenza del
quale, per le portate convogliate dal canale a debole pendenza, si realizza la formazione di un tratto di
corrente veloce e quindi la certezza del raggiungimento di una sezione critica h = K che non pu
essere, come sappiamo, risalita dalle perturbazioni di valle.
Il manufatto si attua, in pratica, mediante un restringimento della larghezza del canale ovvero
mediante una soglia di fondo oppure attuando entrambi gli accorgimenti in un piccolo tronco del
canale (Fig. 9.16).

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159

Fig. 9.16

Le condizioni solitamente poste per ottenere una buona approssimazione nelle misure della portata
sono, con riferimento alle notazioni della figura 9.16:

l K; D 1,5 2 l (9.3.21)

Qualora si conoscesse con precisione l'altezza critica K, se fosse possibile localizzarla
perfettamente e misurarla, risulterebbe immediatamente:

K
q
g l
g l
2
2
3
2 2 3
; q K (9.3.22)

ed infine:

q l K g K (9.3.23)

Quest'ultima rappresenterebbe, allora, l'espressione della portata del misuratore. Purtroppo la
formazione di un tratto di corrente veloce, con successivo risalto idraulico, rende estremamente
instabile l'efflusso. La sezione critica varia di posizione sulla soglia e le altezze d'acqua sono rilevabili
con scarsa esattezza per l'increspamento della vena in superficie. Per questo occorre misurare le
altezze in zone indisturbate a monte del misuratore, occorre legare l'altezza di monte h
m
con la
portata. A tal fine si trascurano le perdite di carico tra la sezione di monte e la sezione critica
(l'esperienza dimostra che sono esigue) e si applica il teorema di Bernoulli tra di esse. Si ha allora:

h
v
g
e
m
m
+
2
2
min
(9.3.24)

avendo indicato con v
m
la velocitnella sezione di monte. Risulterpertanto, essendo

( )
v
q
L h a
m
m

+
: (9.3.25)
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160
( )
h
q
g L h a
K
m
m
+
+

2
2
2
2
3
2
(9.3.26)

Esplicitando la portata in funzione dell'altezza critica:

K q gl
2 2
3
/ (9.3.27)

e quindi

q
2
= g l
2
K
3
, (9.3.28)

si ha:

( )
h
g l K h
g L h a h
K
m
m
m m
+
+

2 3 2
2
2
2
2
3
2
(9.3.29)

e, con le opportune semplificazioni:

( )
h
l h
L h a
K
K
m
m
m m
+

1
]
1
1

2
3
2
2
3
2 h
(9.3.30)

Quest'ultima espressione si pu assumere come equazione nell'incognita z
K
h
m
ponendo allora
( )
l h
L h a A
m
m
+

1
]
1
1

2
1
(quadrato del rapporto di strozzamento), risulta:

1
1
2
3
2
3
+
A
z
z (9.3.31)

da cui, in definitiva:

y z Az A +
3
3 2 0 (9.3.32)

Questa equazione di 3 grado ammette ovviamente tre radici, di cui due solamente positive ed una
sola z
1
con significato fisico accettabile (Fig. 9.17)

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161

Fig. 9.17

Infatti solo per z
1
risulta
K
h
m
<1, come in pratica deve essere. Dall'equazione risulta anche:.

z
A
1
1

_
,
f (9.3.33)

o, che lo stesso:

( )
z
l h
L h A
m
m
1


+

1
]
1
1
f (9.3.34)

dove A , rapporto di strozzamento, dipende esclusivamente dalle condizioni geometriche e di
funzionamento del canale e del misuratore. Se z
K
h
m
1
la radice accettabile, risulta:

z
K
h
m
1
3
3
3
(9.3.35)

ed ancora

z
1
3
h
m
3
= K
3
= q
2
/g l
2
. (9.3.36)

Da ci scaturisce l'espressione della portata del misuratore:

q
2
= g z
1
3
l
2
h
m
3
(9.3.37)

Per riportare l'espressione alla forma usuale adottata per tutti gli stramazzi sinora visti, si scrive:

q
z
l g h
m
2 1
3
2 3
2
2 (9.3.38)

ed infine:

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162
q
z
l g
m

1
3 2
3 2
2
2
/
/
h (9.3.39)

In quest'ultima espressione si vede chiaramente la forma tipica dell'espressione della portata di uno
stramazzo, in cui

z
1
3 2
2
/
(9.3.40)

rappresenta il coefficiente di efflusso. quest'ultimo risulta funzione di
1
A
:


_
,

1
A
(9.3.41)

Il Gherardelli ha trovato, per il del misuratore a risalto, un'espressione analoga a quella ricavata dal
Bazin, dal Rehmbock e dalla S.I.A. per il coefficiente di efflusso dello stramazzo Bazin:

( )
+
+

1
]
1
1
3 385 0108
2
, ,
l h
L h a
m
m
(9.3.42)

che valevole per un rapporto di strozzamento inferiore a 0,86:

( )
l h
L h a
m
m
+
< 0 86 , (9.3.43)

L'esperienza ha confermato perfettamente l'espressione della portata di efflusso calcolata
teoricamente, qualora si effettui una piccolissima correzione che tenga in conto le limitatissime
perdite di carico tra la sezione di monte e la sezione critica. Il coefficiente di correzione vale circa 0,98
(c = 0,98). Risulterallora in definitiva:

q c g
m
l h 2
3 2 /
(9.3.44)

Tutto quanto esposto valevole nel caso di funzionamento semimodulare dello stramazzo sino a
che l'altezza di valle non influisca sul comportamento del misuratore e quindi sulla portata del
medesimo. In effetto l'altezza di valle cresce con l'aumentare della portata e, in corrispondenza,
diminuisce il tratto di corrente veloce che si realizza sulla soglia. Di conseguenza il risalto si avvicina
alla sezione critica sino a che, per una determinata portata (fisse le condizioni geometriche del
misuratore), si forma il risalto subito a ridosso della sezione critica. Tale condizione quella limite per
il funzionamento semimodulare e l'altezza di valle per cui ci si realizza si chiama altezza limite di
sommergenza h
vl
.
In corrispondenza di essa si realizza, per una certa portata, la minima perdita di quota d'acqua
compatibile con l'utilizzo del misuratore d
l
< d; d
l
= h
m
- h
vl
.
Per conoscere il funzionamento del misuratore importante determinare la scala di deflusso in
condizioni limiti di sommergenza. Ci possibile solo sperimentalmente.
Si riscontrato infatti che, nelle condizioni poste, che la larghezza della soglia risulti maggiore od
uguale all'altezza critica l K , quando si raggiunge a valle l'altezza limite di sommergenza la perdita
di carico tra monte e valle del misuratore risulta pari 0,30 K. Ci posto, essendo il carico di monte

H K
K
m
+
2
15 , K (9.3.45)

avendo trascurato le esigue perdite di carico tra monte e la sezione critica, il carico a valle in
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163
condizioni limiti di sommergenza risulta H
vl
= 1,2 K. Sarallora,

( )
H h
q
g L h a
vl vl
vl
+
+

2
2
2
2
12 , K (9.3.46)

Trasformando opportunamente:

( ) ( ) q g L h a h
vl vl
2 2
2
2 12 + K , (9.3.47)

ed infine:

( ) ( ) q L h a g h
vl vl
+ K 2 12 , (9.3.48)
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164
10.1 Moto delle acque filtranti

Abbiamo visto in quali rapporti fisici stiano l'acqua ed il terreno nello strato non saturo che interessa
l'apparato radicale delle colture.
Diamo ora uno sguardo in profonditnel sottosuolo per vedere dove vada a finire l'acqua gravitazionale,
cio l'acqua che scende per percolazione. L'acqua, percolando attraverso un materasso di terreno
incoerente, dotato di meati pi o meno grossi, finisce con l'incontrare uno strato di terreno di
permeabilit molto ridotta - tale da poter essere considerato pressoch impermeabile rispetto allo
strato superiore - che ne interrompe la percolazione e ne favorisce l'accumulo. Se ci prendiamo la
briga di esaminare, in profondit, una sezione del sottosuolo, incontreremo dapprima un terreno non
saturo, in cui l'acqua si trova a pressione inferiore a quella atmosferica ed sorretta per forza
capillare, ed infine una vena liquida pi o meno profonda in cui si ripristina pressappoco la
distribuzione idrostatica della pressione. Questa vena, insieme con l'intero materasso permeabile che
la contiene, si chiama falda. Essa, a causa della pendenza del substrato impermeabile o della
differenza di pressione che si originano dalle alternanze degli strati permeabili o semipermeabili, si
presenta in lento movimento.
Le falde, a seconda delle condizioni idrogeologiche in cui si trovano, si distinguono, grosso modo, in
freatiche e artesiane. Sono freatiche le falde in cui esiste una superficie libera, quelle cio in cui, al
piede della frangia capillare, si verifica la pressione atmosferica (Figg. 10.1 a, b). Con riferimento alla
figura 10.1 b, in cui la sezione della corrente non pu pi considerarsi piana e verticale, il pozzo, man
mano che si approfondisce, va ad incontrare punti a quota piezometrica decrescente. Se in
comunicazione con la sezione a, si livella alla quota superiore; se lo con la sezione b, senza
entrare in contatto con quella a monte, si livella alla quota inferiore.


Fig. 10.1a Fig. 10.1b

Sono invece artesiane quelle che presentano, in corrispondenza del contorno superiore, una pressione
maggiore di quella atmosferica (Fig. 10.2).


Fig. 10.2

Per quanto si riferisce alle leggi del moto, risulta impossibile applicare quelle relative alle correnti in
pressione od a pelo libero perch non si conoscono con esattezza n la forma, n la dimensione, n
lo sviluppo dei meati che costituiscono gli involucri delle correnti effettive. Considerata la granulometria
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165
variabile degli elementi solidi del materasso filtrante e la loro irregolare disposizione, risulta pressoch
impossibile precostituire un modello fisico della falda. Una schematizzazione che ha consentito di
ottenere notevoli risultati pratici quella che scaturita dalle note esperienze di Darcy. Queste ultime
si basano non sulla velociteffettiva dell'acqua nei meati ma su una velocitmedia fittizia di filtrazione
che considera l'intera superficie della sezione del materasso filtrante saturo normale alla direzione del
moto come sezione della corrente. Lo schema delle classiche esperienze di Darcy viene
rappresentato nella figura 10.3.


Fig. 10.3

In quest'ultima figurano due serbatoi, mantenuti a livello costante, collegati da una condotta riempita
da materiale permeabile. Con riferimento a questo schema. Darcy ha verificato che la cadente
piezometrica direttamente legata alla velocitdi filtrazione v :

v
q
D
z z
L

2
1 2
4
f (10.1.1)

dove
z z
L
1 2

rappresenta la cadente piezometrica J; f rappresenta un coefficiente di proporzionalit,


chiaramente delle dimensioni di una velocit, che viene indicato come coefficiente di permeabilito pi
semplicemente permeabilit. L'equazione sopra scritta, nota come legge di Darcy, rappresenta una
relazione lineare tra la cadente e la velocit, in contrasto, ricordiamo, con la legge del moto uniforme
turbolento in cui direttamente proporzionale a v
2
. Quest'ultimo risultato ci dice che la relazione tra
cadente piezometrica e la velocit fittizia sopra definita propria delle cosiddette correnti in regime
regolare (moto laminare). Ci valido, naturalmente, entro determinati limiti di velocit . Si trovato
sperimentalmente che tale legame lineare non pi verificato per filtri artificiali con materiale solido di
pezzatura media pari a 1 mm quando la velocitdi filtrazione superiore alla velocitlimite di 4 10
cm/s.
Vale la pena di ribadire ancora una volta che questa velocit non ha niente a che vedere con quella
effettiva che i filetti fluidi possiedono nel percorrere i tortuosi meati effettivi ma una velocit media
fittizia all'intera sezione del filtro (pieni + vuoti).
Per conoscere una velocit media effettiva, sarebbe necessario misurare quella grandezza che si
chiama porosit di superficie, vale a dire il rapporto
a
A
avendo indicato con a le superfici dei vuoti
normali ai filetti fluidi e con A la sezione vuoti + pieni.
Un altro elemento che invece pi facilmente determinabile la cosiddetta porosit efficace o di
volume, ottenuta saturando i vuoti e valutando il volume d'acqua necessario:


v
v
v
t
(10.1.2)

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166
avendo indicato con v
v
il volume dei vuoti e con v
t
il volume totale (vuoti + pieni).
Il coefficiente f della legge di Darcy, ripetiamo dimensionale e, precisamente, ha le dimensioni di
una velocit(infatti J dimensionale). La permeabilitviene anche definita come la velocitdi filtrazione
per unitdi cadente piezometrica.

Infatti se:
J = 1, v = f (cm/s o m/giorno)

Esiste una serie di formule teorico-sperimetali per il calcolo del coefficiente di permeabilit o
permeabilit, ottenute riducendo, attraverso un modello fisico pi semplice, l'estrema complessitdelle
variabili reali da cui essa dipende: prime fra tutte la granulometria e la distribuzione fisico-geometrica
degli elementi solidi che compongono il materasso filtrante. E' necessario comunque puntualizzare il
fatto che queste espressioni hanno un ben scarso valore e che sempre necessario rilevare con
un'elevata densitdi stazioni e attraverso campioni indisturbati di terreno, o addirittura in sito attraverso
prove di emungimento, i valori della permeabilitper risalire a risultati tecnico-pratici. Per avere un'idea
dell'ordine di grandezza di questo coefficiente, basta fornire alcuni valori in situazioni note. Per il
materasso filtrante del sottosuolo milanese (sabbioso e ghiaioso) si va da 0,25 a 1,50 cm/s. Per il
sottosuolo emiliano, pi ricco d'argilla e pi compatto, ci si aggira sui 0,30 cm/s. Per terreni
fortemente argillosi si raggiungono valori sensibilmente pi bassi che hanno come limite inferiore il
valore dell'argilla pura, 10
-7
cm/s. Anche i materiali che normalmente si ritengono rigorosamente
impermeabili presentano una certa relativa permeabilit . Per esempio il calcestruzzo ha una
permeabilitche, a seconda della composizione, varia da 10
-9
a 10
-13
cm/s.

10.2 Applicazioni tecniche: pozzi e dreni

Si studiano i moti di filtrazione soprattutto per avere elementi pi o meno esatti per lo sfruttamento
delle risorse idriche sotterranee e per i problemi tecnici relativi alla necessitdi abbassare, coi dreni, i
livelli di falda troppo prossimi al piano campagna.
Ci occuperemo esclusivamente dei problemi di attingimento d'acqua dalle falde attraverso pozzi
verticali, lasciando il problema del drenaggio al corso di tecnica della bonifica. Immagineremo, per
comodit, che la falda si trovi sempre pressoch in quiete, dato che, in caso di moto, le
considerazioni saranno da ritenere poco diverse, almeno entro certi limiti.
Qualunque sia il tipo di pozzo (in muratura o con camicia metallica; ottenuto per percussione o per
trivellazione), esso si rif sempre ai due seguenti schemi di alimentazione a seconda che si tratti di
una falda freatica o artesiana:

a) falda freatica (Fig. 10.4)



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167
Fig. 10.4

Con riferimento alla figura 10.4, si definisce abbassamento dinamico la differenza tra il livello della
falda indisturbata H ed il livello d'acqua all'interno del pozzo h
0
quando la pompata giunta a regime.
Le caratteristiche del moto presentano:
- sezione della corrente verso il pozzo di forma cilindrica, di raggio r ed altezza h;
- superficie piezometrica convessa verso l'alto con curvatura che si accentua con l'avvicinarsi all'asse
del pozzo. Questa seconda caratteristica indotta dalle seguenti cause principali: diminuzione della
sezione della corrente, con l'avvicinarsi all'asse del pozzo, a seguito della diminuzione del raggio r ;
aumento della velocitin relazione alla diminuzione della sezione; aumento della cadente piezometrica
in ragione dell'aumento della velocit e, quindi, ulteriore decremento della sezione dovuta ad un
abbassamento dell'altezza d'acqua verso il pozzo.
Si definisce raggio d'influenza R la distanza, rispetto all'asse del pozzo, della prima sezione della
falda indisturbata. Si tratta, in definitiva, del punto di tangenza della superficie libera, relativa al moto di
filtrazione verso il pozzo, con quella che spetta al moto generale della falda. Il raggio di influenza R
molto variabile in funzione delle condizioni locali: in pratica si pu ritenere che esso vari in funzione del
diametro D del pozzo. Il suo valore, teoricamente infinito, in pratica si pu assumere dell'ordine di 100
D.
Con riferimento sempre alla figura 10.4 si nota che l'altezza d'acqua in corrispondenza della parete
esterna del pozzo h'
0
risulta sensibilmente maggiore dell'altezza d'acqua h
0
nel pozzo. Tale fenomeno
viene chiamato della sorgente sospesa e costituisce un punto di discontinuit nella superficie
piezometrica in corrispondenza della parete del pozzo. La piezometrica, infatti, non si equilibra col
livello d'acqua all'interno del pozzo ma, all'interno della parete, si nota una vena che scorre
verticalmente sino a raggiungere il livello d'acqua nel pozzo.

b) falda artesiana (Fig. 10.5)


Fig. 10.5

La differenza sostanziale, rispetto allo schema della falda freatica, sta nel fatto che la superficie
piezometrica, in questo caso, non rappresenta il pelo libero della corrente filtrante ma semplicemente
il livello del suo contenuto energetico. considerata l'estrema limitatezza delle velocit, chiaro che nel
caso delle falde l'altezza cinetica trascurabile.
Le caratteristiche del moto presentano:
- sezione della corrente verso il pozzo in forma cilindrica, di raggio r e di altezza costante pari ad e,
avendo indicato con quest'ultimo simbolo la distanza tra i due strati semipermeabili che racchiudono
la falda artesiana;
- superficie piezometrica convessa verso l'alto e con curvatura meno accentuata rispetto a quella delle
falde freatiche in quanto, all'aumento della velocit verso il pozzo, contribuisce esclusivamente la
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168
diminuzione del raggio.
Non esiste in questo caso il fenomeno della sorgente sospesa, salvo nel caso in cui l'abbassamento
dinamico (Fig. 10.5) sia tale da interessare lo spessore e della falda.


10.3 Curva caratteristica

Si definisce curva caratteristica di un pozzo quella che rappresentata analiticamente dalla relazione
che lega la portata con l'abbassamento dinamico del pozzo. Quest'ultimo si determina in pratica
misurando il dislivello tra le quote d'acqua nel pozzo, rispettivamente prima e durante l'emungimento a
regime:

q = q ()

Questa curva caratteristica ha due andamenti diversi a seconda che ci si trovi in presenza di falde
freatiche o artesiane. Per le falde artesiane la relazione lineare (Fig. 10.6).



Fig. 10.6

Ci significa che, qualunque sia , a pari incremento di corrisponde un uguale incremento di q. Il
coefficiente angolare, rappresentato dal rapporto
q

, vale a dire la portata che si verifica per unitdi


abbassamento dinamico , si definisce portata unitaria o specifica del pozzo. Essa ovviamente
costante nel caso delle falde artesiane.
Nel caso delle falde freatiche o comuni, la suddetta relazione meno che lineare (Fig. 10.6). Infatti,
l'incremento di portata che si pu emungere a parit di incremento di minore man mano che
aumenta. Mentre quindi il rapporto
q

costante nel caso delle falde freatiche e diminuisce


all'aumentare di . Da quanto detto scaturisce immediatamente la conseguenza pratica che, in una
falda artesiana, si pu incrementare la portata emunta dal pozzo aumentando , almeno sino a che la
piezometrica non interessa il materasso filtrante, mentre per le falde freatiche oltre un certo limite non
conviene andare e, per incrementare la portata, meglio ricorrere all'apertura di un nuovo pozzo.
Ovviamente questa apertura dovravvenire fuori dal raggio di influenza del pozzo esistente.

10.4 Equazioni caratteristiche di pozzi valide per alcuni schemi semplici di alimentazione

Occorre precisare che la curva caratteristica d'un pozzo va, volta per volta, ricavata direttamente in via
sperimentale misurando, cio, portate ed abbassamenti relativi nelle singole opere di emungimento.
Per alcuni schemi di alimentazione molto semplici, di cui formiamo tre esempi a titolo puramente
indicativo, le relazioni possono essere ricavate per via teorica:

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169
a) falda artesiana con pozzo che raggiunge lo strato impermeabile di fondo (Fig. 10.7).


Fig. 10.7

La curva caratteristica rappresentata analiticamente dall'equazione:

q
R

20
2
e
D

ln ln
f (l/s) (10.4.1)

in cui le grandezze sono quelle indicate in figura 10.7 e le dimensioni sono le seguenti:

- e; R; D; in metri

- f in cm/s.

Si nota la relazione lineare tra portata ed abbassamento dinamico.

b) falda artesiana con pozzo che raggiunge lo strato impermeabile superiore (Fig. 10.8).



Fig. 10.8

La curva caratteristica rappresentata analiticamente dall'equazione:

q
R D

20
2
R D

f (l/s) (10.4.2)

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170
Le dimensioni sono le stesse dell'espressione precedente. Allorch il rapporto
D
R 2
diventa talmente
piccolo da potersi trascurare (elevato raggio di influenza), l'espressione si pu semplificare nella
seguente:

q 10 D f (l/s) (10.4.3)

Anche in questo caso ribadita la linearittra q e .

c) falda freatica con pozzo che raggiunge lo strato impermeabile di sostegno (Fig. 10.9).



Fig. 10.9

La curva caratteristica rappresentata analiticamente dall'equazione:

( ) q
R
H


10
2
2


ln ln D
f (l/s) (10.4.4)

Le dimensioni sono le stesse dell'espressione precedente. Allorch si verifichi un raggio d'influenza
elevato (es. 2R 100 D), l'espressione si pu semplificare nella seguente:

( ) q H 5 2 f (l/s) (10.4.5)

Si nota, in quest'ultimo caso, l'accennata relazione non lineare tra q e .

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171
PARTE II

MODULO DI IRRIGAZIONE E DRENAGGIO




2. L'ACQUA IN AGRICOLTURA

2.1 Rapporti tra acqua e terreno nello strato interessato dalle colture

L'acqua che in qualunque modo raggiunge la superficie del terreno, percola attraverso gli strati porosi
e, allorch incontra un substrato relativamente impermeabile, d luogo alla saturazione totale del
terreno ed alla formazione della falda acquifera.
Al di sopra della falda, a seconda dell'ampiezza dei meati, si costituisce una zona in cui l'acqua risale
per capillaritseguendo, in qualche modo, l'accennata legge di Borelli. Il terreno di tale zona (frangia
capillare) non risulta stabilmente saturo (Fig. 2.1).





Fig. 2.1


La pressione diventa atmosferica in corrispondenza della superficie di separazione tra il mezzo
totalmente saturo e la frangia capillare (superficie libera della falda freatica).
Nello strato superiore alla frangia capillare, anche in periodi di massimo essiccamento, esiste
dell'umidit sotto forma di acqua di adesione (pellicola intorno ai piccoli corpi solidi) e di acqua
igroscopica (parte di umidit che viene assorbita direttamente dall'aria e che esiste anche quando
stata consumata interamente l'acqua di adesione).Tutta questacqua non segue ovviamente le leggi
dell'idraulica ma condizionata dalle forze di attrazione molecolare.
Il fenomeno di ricarica del tenore di umiditavviene in maniera continua a passa dagli strati superiori
agli inferiori. I diversi stadi attraverso i quali il terreno giunge a saturazione totale possono essere
riassunti sostanzialmente nei seguenti:
- acqua igroscopica (sempre presente);
- acqua di adesione (tra cui l'acqua capillare);
- saturazione totale (acqua gravitazionale).
Allorch cessa l'apporto esterno, per essiccamento si procede in senso inverso.
Questi stati dell'acqua nel terreno sono caratterizzati da numeri indici che rappresentano il passaggio
da processi di desaturazione a processi di successiva ricarica.
Lo stato di saturazione capillare viene indicato, nelle condizioni di pieno campo, come capacit di
campo (o capacitdi trattenuta del terreno). Ci corrisponde allo stato in cui si trova il terreno allorch
stato liberato dall'acqua sottoposta a gravit; il contenuto idrico si misura, mediante essiccamento
del campione di terreno, in percentuale del peso del terreno secco.
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172
In laboratorio la capacit di campo stata anche misurata con riferimento ad un indice, umidit
equivalente, determinato sottoponendo il campione di terreno a centrifugazione (1000 g) , attraverso
l'espressione

C
c
= 0,865 U
e
+ 2,62 (2.1.1)

Un altro indice importante il coefficiente di appassimento P
a
ossia quel contenuto di umidit
ancora trattenuta dal terreno allorch non esiste pi possibilitdi vegetazione. Anche esso pu essere
espresso in percentuale del peso secco. In laboratorio questo indice viene legato all'umiditancora
presente in un campione sottoposto ad espulsione del contenuto idrico, tramite una espressione di 15
atmosfere U
15
. L'espressione utilizzata :

P
a
= 0,97 U
15
+ 0,99 (2.1.2)

Il coefficiente igroscopico C
i
che esprime il quantitativo di acqua residua al limite di igroscopicit, si
ottiene mantenendo il terreno secco in contatto con l'atmosfera con un certo tenore di umidite per un
certo tempo.
Il coefficiente di appassimento stato anche legato ai due indici di laboratorio precedentemente
indicati, U
e
e C
i
, attraverso le seguenti espressioni:

P
U C
a
e i

184 0 68 , ,
(2.1.3)

Noti questi coefficienti possiamo introdurre delle grandezze importanti al fine di definire il quantitativo
di acqua che pu essere utilizzato dalla vegetazione U
u
: dipendente dalla differenza tra l'umidit
corrispondente alla capacitdi campo e quella corrispondente al punto di appassimento. Dai concetti
espressi la variazione risulta immediatamente la seguente:

U
u
t
a

( ) C - P A h

c a

100
[m
3
] (2.1.4)

in cui A la superficie del terreno considerato
t
, il peso specifico del terreno secco, h lo spessore
del terreno interessato
a
, il peso specifico dell'acqua.
Per unitdi superficie, risulta:

U
u
t
a

( ) C - P h

c a

100
(2.1.5)

che ha le dimensioni di h (in genere millimetri).
Non c' dubbio che i coefficienti indicati dipendono dalla natura del terreno, p. es. in percentuale del
peso secco, il coefficiente igroscopico varia approssimativamente nel seguente modo:

-terreni sabbiosi 7%, -terreni limo argillosi 12%, -terreni argillosi 18%.

Per svincolare tutti i suddetti indici dalle condizioni fisiche del terreno si introdotta una grandezza
che esprime la forza con cui il terreno trattiene l'umidit, in corrispondenza di un valore residuo della
medesima, ovvero la forza con la quale bisogna operare sul terreno per sottrarre umiditsino a ridurla
dalla saturazione ad un certo indice. Tale forza poi quella che deve esercitare la pianta per sottrarre
umidit al terreno nelle varie condizioni di umidit residua. La grandezza in questione (pF) viene
indicata come potenziale capillare ed esprime la pressione che dev'essere esercitata sul terreno per
sottrarre umiditin diverse condizioni di umiditresidua, come logaritmo della corrispondente altezza
di colonna d'acqua misurata in centimetri.
E' chiaro che, per diverse strutture di terreno, le percentuali di acqua residua in volume, in
corrispondenza delle pressioni stabilite per i diversi indici, sono diverse come indicato nella (Fig. 2.2).
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173
I valori del pF per l'intera gamma dei terreni variano da 0 a 7, avendo indicato con 0 il pF in
corrispondenza della saturazione totale (10
-3
atm) e con 7 quello in corrispondenza essiccamento
totale (10.000 atm) .


Fig. 2.2


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174
3. BILANCIO IDRICO DEL TERRENO AGRARIO

Avendo stimato il quantitativo di acqua che pu essere reso disponibile per la pianta nel terreno
agrario, occorre chiedersi quale pu essere il consumo stagionale delle singole colture in pieno
campo. Per questo scopo ci si propone di dare, almeno qualitativamente, l'indicazione di un bilancio
idrologico del terreno agrario nei successivi passaggi dell'acqua nel suolo, nella pianta e nell'atmosfera
durante il ciclo vegetativo.
Un'espressione sintetica pu essere la seguente:

Airr + An = T + E + P
v
(3.1)

dove:

- Airr (acqua di apporto artificiale);
- An (acqua di apporto naturale: precipitazioni, risalita capillare della falda, condensa, riserve
idriche della pianta);
- T (acqua di traspirazione, cio acqua assorbita dalla pianta nel ciclo vegetativo);
- E (acqua evaporata direttamente dal suolo);
- P
v
(acqua persa per percolazione, ruscellamento, evaporazione, ecc)

Isolando ciascuna delle grandezze indicate, se ne ha direttamente il significato in funzione degli altri
parametri:

T = Airr + An - E - P
v
(consumo idrico),
T + E = Airr + An - P
v
(consumo idrico totale per evaporazione
diretta e traspirazione ovvero , evapotraspirazione),
T + E - An = Airr - P
v
(fabbisogno idrico netto),
Airr = T + E + P
v
- An (dotazione irrigua),

Attraverso determinazioni sperimentali od espressioni empiriche di determinata validit si possono
quantificare tutte le grandezze che servono per ricavare la dotazione irrigua.
Degli apporti naturali An, dovuti alle precipitazioni o alla falda, devono essere considerati quelli che
hanno una influenza sensibile sul tenore di umiditdel suolo. Falde troppo profonde non danno alcun
apporto. La profondit della falda deve essere naturalmente messa in rapporto con la profondit
dell'apparato radicale e con l'entitdella risalita capillare. In certi climi occorre mettere in conto anche
l'apporto delle condense (forti umiditdell'aria).
Ci posto, An pu essere ricavata con sufficiente approssimazione mediante una rete di pluviometri
rilevata durante la stagione irrigua e tenendo conto del tenore di umiditpreesistente nel terreno.
Per quanto concerne le varie perdite P
v
, esse sono legate all'evaporazione nei canali, al
disperdimento del getto degli irrigatori a pioggia, alle evaporazioni della superficie fogliare, ecc. Per
ridurre queste perdite, di cui sempre le pi cospicue sono quelle per percolazione e ruscellamento
nell'irrigazione a scorrimento e quelle per intensit sproporzionata di pioggia nell'irrigazione per
aspersione, occorre effettuare un accorto esercizio ed un adeguamento delle opere.
L'evaporazione E (evaporazione diretta dal suolo) dipende da moltissime cause pedologiche,
agronomiche e climatiche. La sua determinazione esclusivamente sperimentale, anche se non
mancano parecchie formule empiriche sulla cui applicabilitnelle diversissime condizioni possibili non
si pu fare molto conto.
Sulla determinazione del parametro traspirazione T sono state condotte un'infinitdi esperienze. Il fine
di esse stato quello di determinare la quantitd'acqua necessaria per assicurare il ricambio idrico
dei vegetali. In genere si misura in percentuale della sostanza secca prodotta.
Sul processo di utilizzazione dell'umidit disponibile intervengono svariatissimi fattori di carattere
agronomico, biologico e climatico. In rapporto ai fattori climatici l'influenza risulta diretta per quanto
riguarda la temperatura e l'intensit di radiazione solare; pi indiretta per quanto riguarda l'umidit
dell'aria e il vento.
Per quanto riguarda poi i due primi elementi (temperatura e intensitdi radiazione solare) nelle zone
temperate prevale la seconda e nelle zone aride la prima.
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175
Per quanto riguarda i consumi idrici per traspirazione, occorre segnalare per i nostri ambienti la
copiosa esperienza del Manzoni e Pupo a Conegliano. I valori ricavati, tuttora validi, sono riportati dalla
letteratura corrente.
Occorre osservare, a questo punto, che ai fini della determinazione del consumo diretto da parte della
pianta, spesso l'evaporazione e la traspirazione (evapotraspirazione) sono state, per esigenze
sperimentali, conteggiate insieme. Ci dovuto al fatto che i fattori che determinano i due consumi
interferiscono in maniera diversa durante la fase vegetativa.
Sulla base delle diverse incidenze dei fattori pedologici, agronomici e climatici introdotti, molte formule
sperimentali sono state dedotte con criterio statistico al fine di ricavare il consumo idrico complessivo
per evapotraspirazione. Ovviamente ciascuna formula ha valore per gli ambienti e le condizioni
sperimentate. Tali formule sono adatte ai diversi ambienti attraverso opportuni coefficienti correttivi. Si
accenna, a puro titolo di esempio, solo a due tra le pi diffuse. La formula di Blaney-Criddle (1950):

U = K F = k f (in unitdi misura anglosassoni) (3.2)

dove:

- U = evapotraspirazione potenziale in pollici;
- K = coefficiente empirico colturale valevole per il periodo irriguo, variabile per ambiente e coltura.

L'autore ddei coefficienti valevoli per le zone aride e semiaride nei periodi caldi, riduzioni del 15% -
20% vanno apportate per zone temperate umide e nei mesi meno caldi.

- F = somma dei fattori mensili di evapotraspirazione (f) ottenuti effettuando il prodotto tra la
temperatura media mensile (in gradi Fahrenheit) e la percentuale mensile (p) delle ore diurne
(alba tramonto) sulle complessive f =
t p
100
(p, eliofania)
- K = coefficiente colturale mensile.

Traducendola nel sistema metrico decimale (correzione FAO):

ET c
P
[ (0 )] (mm/ g) p , T + 46 8 (3.3)

in cui:

- ET
P
= evapotraspirazione potenziale;
- c = fattore correttivo dipendente dallumiditrelativa, dalleliofania e dalla velocitdel vento;
- T = temperatura media mensile in C;
- p = percentuale mensile delle ore diurne su quelle complessive (eliofania).

Un'altra formula molto usata quella del Thornthwaite:

e
I
a

_
,

16
10
,
t
[cm] (3.4)

in cui:

- e = evapotraspirazione potenziale mensile in cm;
- t = temperatura media mensile in C;
-I = indice annuo di calore, dedotto facendo la somma dei 12 indici mensili i =
t
5
1514

_
,

,


-a = parametro caratteristico ambientale che varia, in funzione dell'indice calorico annuo I secondo
l'espressione:

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176
a = 0,675 10
-6
I
3
- 0,771 10
-4
I
2
+ 0,1792 10
-1
I + 0,49239 (3.5)

Attraverso questa espressione si ricava che l'esponente varia da 0,5 a 4,25 in corrispondenza di
variazioni dell'indice calorico annuo da 0 a 160.
La formula del Thornthwaite va ancora corretta moltiplicandola per il rapporto tra le ore diurne e la met
delle ore giornaliere mensili (coefficiente di eliofania). Esistono poi delle tabelle e dei diagrammi che
facilitano il calcolo dell'evapotraspirazione attraverso le formule precedentemente indicate.

ET
P
= k e [cm] (3.6)

Pi valido di tutti ovviamente il metodo sperimentale diretto attraverso vasche lisimetriche le quali
consentono un rilevamento diretto di tutte le variabili da cui dipende il consumo per
evapotraspirazione.

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177
4. LESERCIZIO IRRIGUO

4.1 Volume di adacquamento

Questo volume d'acqua quello necessario, in rapporto alle caratteristiche idrologiche del terreno ed
all'apparato radicale, per ripristinare l'umidit ottimale del terreno per lo sviluppo e il mantenimento
della vita vegetale.
Nel campo della determinazione del volume di adacquamento sono stati proposti un'infinitdi metodi,
tutti basati sulle caratteristiche idrologiche del terreno e sullo spessore dell'apparato radicale delle
piante attraverso il quale avviene per processo osmotico l'alimentazione idrica.
Il volume di adacquamento viene commisurato al quantitativo di acqua necessario per ripristinare
l'optimum di umidito come si dice il "punto massimo ottimale". In genere in una buona conduzione
irrigua il terreno dovrebbe oscillare tra un punto massimo di umidit ottimale (che in genere alcuni
autori fanno coincidere con una precisa percentuale del limite di ritenuta capillare e altri con la
capacitdi campo, ottenuta sulla base della determinazione sperimentale dell'umiditequivalente) e il
punto critico colturale che un tasso di umidit superiore al limite di appassimento che abbiamo
introdotto in precedenza. In effetti la pianta mesofita (tipo pianta a conduzione irrigua) comincia a
soffrire e a presentare carenze di sviluppo e di rendimento prima di quel limite di appassimento.
Un tipo di diagramma che ci dun'idea dell'oscillazione del tenore di umiditdi un terreno sottoposto
ad irrigazione qualitativamente quello rappresentato nella (Fig. 4.1)

Fig. 4.1

A seconda che ci si basi su il punto massimo ottimale, ottenuto una volta sulla base del limite di
ritenuta capillare ed un'altra sulla capacit di campo, si hanno due tipi di relazioni sperimentali che
hanno il volume di adacquamento al netto delle perdite.
Al primo tipo appartiene quella nota del Draghetti:

Q = 0,40 0,50 C - u (4.1.1)

in cui:

Q = volume di adacquamento in m
3
/ha;
C = capacit di trattenuta capillare definita dal Draghetti come "capacit idrica massima al termine
della percolazione e dello sgocciolamento";
u = volume d'acqua in m
3
/ha presente nel terreno al momento dell'adacquamento.

Al secondo tipo di espressioni fanno capo altre formule pi moderne che tengono conto della totale
aliquota d'acqua che dev'essere fornita al terreno per raggiungere affettivamente lo stato di saturazione
capillare in pieno campo:

H
t
a e

( ) ( ) C P h 1- z
I
c cc

100
(4.1.2)
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178

dove:

C
c
= umiditalla capacitdi campo, espressa in percento del peso del terreno secco;
P
cc
= umidital punto critico colturale, espressa in percento del peso del terreno secco.

Tale valore viene ottenuto sperimentalmente oppure moltiplicando il valore dell'umidit al punto di
appassimento per un coefficiente sperimentale K pari, mediamente, a 1,2:

P
cc
= P
a
K ; (4.1.3)

t
= peso specifico (Kg/m
3
) del terreno secco;
h = spessore del terreno interessato dall'apparato radicale, fissato sperimentalmente, per alcuni tra
i principali tipi di coltura, 200 300 mm (ortive), 300 400 mm (sarchiate), 400 600 mm
(medica), variabili (arboree)
z = percentuale del volume dello scheletro presente, rispetto al volume del terreno secco (terra fine
+ scheletro). Lo scheletro (pezzatura maggiore di 2 mm) infatti risulta inerte ai fini della
trattenuta capillare, in quanto provoca meati di diametro mediamente maggiori a quelli capillari;

a
= peso specifico dell'acqua;
I
e
= indice di efficienza dell'irrigazione, alla bocchetta del campo od all'irrigatore, definito dalla
relazione seguente:

I
H
H
e
i
c
(4.1.4)

dove:

H
i
= volume d'acqua immagazzinato utilmente dal terreno e in grado di portare il tenore di umidital
punto massimo ottimale, partendo dal punto critico colturale;
H
c
= quantitativo di acqua somministrato, al lordo delle perdite.

Esperienze fatte per buone sistemazioni e buoni dimensionamenti dell'intensit di pioggia, relative a
varie condizioni pedologiche, danno, per alcuni tipi di irrigazione, i seguenti valori:


Terreni sciolti Terreni pesanti

aspersione 0,90 0,90
infiltrazione 0,60 0,80
scorrimento su spianata 0,40 0,60


4.2 Turno agrario. Fabbisogno stagionale. Dotazione specifica.

Il diagramma della (Fig. 4.1), esteso all'intera stagione vegetativa (Fig. 4.2), mostra la variabilitdegli
intervalli tra una richiesta del volume di adacquamento e la successiva. Essi risultano pi brevi,
ovviamente, nei mesi pi siccitosi della stagione (giugno, luglio, agosto).
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179

Fig. 4.2

Al fine di definire, per necessit organizzative, un unico turno agrario (in giorni) durante tutta la
stagione, necessario fare ricorso al cospicuo margine di elasticitfisiologica della pianta e fissare il
turno agrario come media semplice dei suddetti intervalli di richiesta idrica del sistema terreno-pianta.
Definito il turno agrario, passiamo a definire un'ulteriore grandezza molto indicativa nella pratica irrigua,
cio il fabbisogno stagionale. Per fabbisogno per unitdi superficie monocolturale si intende la somma
dei volumi di adacquamento dell'intera stagione irrigua (aprile settembre) D = n V
a
(m
3
/ha) , essendo
n il numero dei volumi di adacquamento della stagione.
La dotazione specifica, che viene definita come portata fittizia erogata all'unit di superficie
monocolturale in modo continuo per tutta la stagione, si ricava direttamente dal fabbisogno stagionale:

D
N
1000
24 3600
[ l / s ha ] (4.2.1)

dove N la durata in giorni della stagione irrigua.
Si vede chiaramente come la dotazione specifica pu essere ricavata dal volume di adacquamento e
dal turno agrario


D
N
n V
n T
V
T
a
a
a
a
86 4 86 4 86 4 , , ,
[ l / s ha ] (4.2.2)





4.3 Sistemi e metodi di irrigazione

Prima di introdurre le ulteriori grandezze caratteristiche che riguardano l'organizzazione irrigua dei
comprensori, accenniamo brevissimamente ai sistemi e metodi irrigui pi comunemente utilizzati. Per
metodo di irrigazione si intende la modalit di erogazione del volume di adacquamento mentre, per
sistema ladattamento degli appezzamenti in funzione delle colture insediate ovvero gli impianti.
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180

Metodo Sistema

per sommersione scomparti (riso)
conche (colture arboree)

per scorrimento spianata (prato)
campoletto (prato)
alla semplice (marcite e prato stab.)
alla doppia

per infiltrazione solchi o canali

ad aspersione (o a pioggia) con tubi forati o irrigatori.

Esaminiamo ora, dal particolare punto di vista della distribuzione dell'acqua irrigua, alcuni metodi tra
quelli sopra elencati:

4.3.1 Irrigazione per sommersione:

- Sistemazione a scomparti: consiste nella suddivisione del terreno in scomparti quadrati o
rettangolari, ampi fino a 2 3 ha, delimitati da piccoli arginelli di terra. L'acqua proveniente dalla
adacquatrice passa di scomparto attraverso le bocchette aperte negli arginelli, permanendo sul
terreno con una lama di acqua dello spessore di 10 30 cm
(Fig. 4.3);


Fig. 4.3

- Sistemazione a conche (Fig. 4.4): utilizzata per l'irrigazione degli arboreti.
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181

Fig. 4.4


4.3.2 Irrigazione per scorrimento:

- Sistemazione a spianata (Fig. 4.5): il terreno suddiviso in particelle di dimensioni molto varie, in
genere di 40 50 m per 60 70 m, con fronte di avanzamento dell'acqua normale al lato maggiore
dell'appezzamento.


Fig. 4.5

L'acqua invade le parcelle provenendo da una o pi bocchette aperte sulla testata a monte, mentre gli
eventuali eccessi idrici vengono fatti scolare tramite un colatore aperto sulla testata a valle. La
separazione tra spianate contigue realizzata con piccoli arginelli in terra.
E' questo uno schema sistematorio assai semplice e particolarmente usato per l'irrigazione delle
colture prative: esso consente inoltre la compensazione degli eventuali dislivelli tra i vari appezzamenti
e non presenta ostacoli all'apertura di solchi per una irrigazione ad infiltrazione laterale;
- Sistemazione campoleto (Fig. 4.6): analoga alla precedente, dalla quale differisce per forma pi
allungata delle parcelle e per essere queste delimitate longitudinalmente da adacquatrici laterali. I
singoli appezzamenti irrigui presentano inoltre una caratteristica concavitlongitudinale;
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182


Fig. 4.6

- Sistemazione ad ala semplice: consiste nella suddivisione del terreno in appezzamenti rettangolari
larghi 10 15 m e lunghi 50 60 m, con una pendenza trasversale dell 1 4%.
L'acqua tracima lungo il ciglio adacquatrice posta sul colmo dell'ala, mentre il supero si raccoglie nella
scolina laterale.
Una variante di tale metodo quella detta per fossatelli orizzontali, in cui le ali sono ricavate nelle
stesse pendici da irrigare (Fig. 4.7). In tal caso la scolina di valle dell'ala funge da adacquatrice di
colmo dell'ala sottostante;


Fig. 4.7

- Sistemazione ad ala doppia (Fig: 4.8): la tipica sistemazione della marcita lombarda. Adacquatrice
di colmo serve in questo caso contemporaneamente due ali a pendenze contrapposte, mentre le
scoline ricevono gli sgrondi di ali contigue. Pendenze e dimensioni sono analoghe a quelle dell'ala
semplice.
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183


Fig. 4.8


4.3.3 Irrigazione per infiltrazione:

- Sistemazione a solchi (Fig. 4.9): con questo metodo il terreno suddiviso in strisce (porche) larghe
da poche decine di centimetri ad alcuni metri. Esse ricevono l'acqua per infiltrazione dai solchi
adacquatori laterali la cui lunghezza assume talvolta notevoli valori (150 200 m): Tali strisce possono
essere tracciate sia su un terreno in piano che baulato.


Fig. 4.9

Dal punto di vista idrologico, il meccanismo di infiltrazione e di diffusione dell'acqua all'interno dello
strato attivo pu per venire, in ogni caso, riportato ad un unico schema (Fig. 4.10).
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184


Fig. 4.10

In esso appare il profilo del terreno da irrigare, con l'indicazione dello strato da inumidire sino al punto
massimo ottimale ed il profilo di penetrazione dell'acqua.
E' chiaro come - affinch il campo possa ricevere in ogni suo punto la giusta quantitdi acqua, senza
dar luogo a percolazione - sia necessario non solo l'esatto dosaggio delle adacquate (volume di
adacquamento), ma anche una distribuzione uniforme dell'acqua che solo l'aspersione pu dare.
Nella distribuzione secondo i metodi per espansione superficiale (scorrimento ed infiltrazione), per
quanto accurata possa essere la sistemazione della superficie del suolo, si avrsempre un maggior
assorbimento nei settori a monte rispetto a quelli pi lontani dall'adacquatrice, che si traduce in una
percolazione oltre lo strato utile di terreno e cio in un vero e proprio spreco di acqua.
A paritdi coltura e di tipo di sistemazione, la differenza quantitativa dell'acqua assorbita a monte ed a
valle delle parcelle funzione della struttura del terreno (permeabilit), e della velocit di afflusso
dell'acqua (entit del corpo d'acqua parcellare). E' pertanto da tali fattori che dipende l'uniformit di
diffusione dell'acqua nel terreno e di conseguenza l'ammontare delle perdite.
Nella (Fig. 4.11) sono indicati dei tipici esempi di perdite nell'irrigazione per espansione superficiale in
terreno di bassa (a) e di alta permeabilit(b).
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185

Fig. 4.11

La migliore utilizzazione dell'acqua distribuita va ricercata nel pi razionale dimensionamento della
parcella irrigua (o del solco) e del corpo d'acqua parcellare, salvo, in casi estremi, adottare altri metodi
irrigui che consentano un pi aderente dosaggio dell'acqua distribuita, quale l'aspersione, che
favorisce una uniforme distribuzione dell'acqua irrigua.
Infine, per la scelta di un metodo e del relativo sistema occorre mettere in conto:
- la disponibilitdi acqua;
- le caratteristiche pedologiche e agronomiche del terreno e la sua giacitura:
- il tipo di coltura;
- i costi d'impianto e di esercizio delle opere.

4.4 Organizzazione del servizio irriguo

La necessitdi ricorrere ad un'organizzazione irrigua deriva dall'opportunitdi integrare tutte le opere
irrigue a servizio di vasti comprensori per ragioni di economicite dal fatto che lo stato interviene con
finanziamenti percentualmente elevati nelle opere di una certa entite con una certa organizzazione.
L'organizzazione di un determinato comprensorio irriguo serve poi a ridimere conflitti di interessi tra i
vari utenti e presta l'assistenza tecnica necessaria per la costruzione e l'esercizio degli impianti
principali. Uno schema di rete irrigua molto frequente nella pianura padana quello rappresentato
della (Fig. 4.12). L'opera di presa deve dominare un certo comprensorio irriguo, che in genere risulta
omogeneo per condizioni pedologiche, agronomiche ed economiche dell'attivitagricola (tipi di colture,
mercati, ecc.).
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186


Fig. 4.12

Il canale comiziale porta ad unit territoriali di superficie pressoch equivalenti una portata costante,
chiamata corpo d'acqua o modulo, qualche volta maggiorata da portate che servono ad irrigare
particolari colture fuori turno.
L'estensione del comizio S dev'essere commisurata al corpo d'acqua M ed alla dotazione media
ponderata
m
rispetto alle superfici che le varie colture occupano nel comprensorio.

S
M
m

[ ha ] (4.4.1)


4.4.1 Corpo dacqua o modulo

E' un'altra delle grandezze caratteristiche dell'organizzazione irrigua e rappresenta la portata che
giunge indivisa all'appezzamento o parcella irrigua.
Viene fissata in funzione del sistema e metodo di irrigazione, delle caratteristiche del terreno e delle
colture. Non pu essere molto grande perch allora comporta adacquamenti intensi, di breve durata,
con incremento delle perdite per percolazione e ruscellamento superficiale, nonch possibilit di
asfissia per i terreni (saturazione totale) e pericolo di erosione. D'altra parte non pu essere troppo
piccolo in quanto graverebbero in maniera eccessiva le perdite ed i tempi di adacquamento
risulterebbero non economici. In genere nelle pianure dell'Italia settentrionale si aggira sui 100 l/s:
Aumenta per terreni sciolti e diminuisce per quelli pesanti; nei terreni bibuli dei comprensori di antica
irrigazione si possono raggiungere anche i 300 - 400 l/s; si possono fissare come valori ottimali 100,
150, 200 l/s, passando da terreni di medio impasto a terreni sciolti.
Il canale aziendale porta l'intero modulo, come in genere tutti gli adacquatori. Qualche volta, per
necessitinterne aziendali, il corpo d'acqua viene suddiviso, ma ci in genere si tende ad evitarlo per
non incorrere in opere costose di ripartizione. Altre volte pu capitare che si passi da un'irrigazione
continua ad una turnata. Questo succede, per esempio, durante la messa in acqua delle risaie,
quando, lungo il canale comiziale e lungo tutti i canali aziendali, viene addotta una portata continua.
Se durante la stagione irrigua turnata qualche azienda ha bisogno di acqua continua per l'irrigazione di
qualche coltura, allora, come precedentemente detto, i canali sono dimensionati per trasportare la
portata continua corrispondente ed in pi il modulo dell'irrigazione turnata.

Un'altra grandezza caratteristica dell'organizzazione irrigua l'orario O.

O
p
, orario per parcella,
Si distingue principalmente in: O
a
, orario per l'azienda,
O
c
, orario per il comizio

Orario per la parcella = tempo di assegnazione alla coltura del modulo, per erogare
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187
l'intero volume di adacquamento;

Orario per l'azienda = durata della consegna del modulo per soddisfare alla necessit
delle varie colture che devono essere adacquate nel turno O
a
.

Orario per il comizio = durata del tempo di consegna del modulo al comizio O
c
.

In genere dovrebbe essere, in una situazione ottimale, allorch tutta la superficie servita, e
considerato l'avvicendamento colturale di maggior fabbisogno:

O
c
= O
a
+ p = T
c

dove con p si rappresentano i perditempo nelle canalizzazioni interaziendali e con T
c
l'intervallo di
tempo tra una consegna del modulo al comizio e la successiva. Qualora si verifichi l'uguaglianza, la
consegna del modulo al comizio risulta continua.
Poich non facile prevedere lo sviluppo irriguo del comizio ed i vari ordinamenti futuri, in generale il
progettista si cautela ponendo O
c
< T
c
.

4.4.2 Turno irriguo

L'altra grandezza fondamentale nell'organizzazione irrigua il turno irriguo, che definisce l'intervallo di
tempo tra due successive consegne del modulo all'azienda e si indica con T.
Questa grandezza non si deve confondere col turno agrario, al quale abbiamo accennato in
precedenza. Esso si deduce proprio da questultimo, ricorrendo all'accennata elasticitfisiologica della
coltura.
Supponiamo infatti che l'azienda abbia n colture con turni agrari t
1
, t
2
....., t
n
espressi in giorni. Il
turno irriguo aziendale T si ricava come massimo comune divisore dei t
i
. Infatti, se a
1
,...., a
n
- sono
numeri interi:

t
a
t
a
t
a
T
n
n
1
1
2
2
(Turno irriguo espresso in numero intero di giorni).

Ad ogni turno T si bagner, chiamate A
1
, A
2
..., A
n
le superfici delle singole colture, una frazione:

A
a
A
a
A
a
n
n
1
1
2
2
; ; ;
di ogni singola coltura.

Se T molto grande si pu assumere come turno un sottomultiplo, ricordando che allora le superfici
bagnate per ogni turno si divideranno in proporzione.

Se T troppo piccolo, allora conviene ricorrere ad un multiplo ricordando che, se a
1
fosse pari a 2, in
questo caso si sarebbe costretti a fare saltare qualche turno alla coltura corrispondente.

Tutto questo nell'ipotesi che t
1
,..., t
n
non siano primi tra loro, nel qual caso l'unico valore di T che
soddisfa 1. Il valore del turno irriguo per varie considerazioni di carattere organizzativo, nei nostri
climi e con le colture caratteristiche della nostra agricoltura, in genere deve essere maggiore di 4 5
giorni.
I valori pi usuali sono compresi tra 7 e 15 giorni. Nel caso di turni agrari primi tra loro, necessario
ricorrere ad una serie di valori t
1
..., t
n
, in modo che risulti:

a
1
T = t
1
t
1
,, a
n
T = t
n
t
n

Variando il turno agrario in pi o in meno, una coltura riceve rispettivamente acqua ad intervalli troppo
lunghi per il suo ciclo fisiologico, con possibilit di scendere sotto il suo punto critico colturale, o
troppo brevi, con conseguente incremento delle perdite. Si fa fronte a questi inconvenienti aumentando
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188
o diminuendo il volume di adacquamento entro limiti ragionevoli, in modo che il fabbisogno stagionale
rimanga intatto. Questo l'ultimo sforzo che si chiede all'elasticitfisiologica della coltura.
I valori di adacquamento modificati risultano dalla seguente relazione:

V
V
t'
t
i
i
i
i
'
da cui V
i
'
t'
t
V
i
i
i


Se il nuovo turno maggiore e quindi maggiore l'intervallo di tempo tra due adacquamenti, il rapporto

t'
t
i
i
> 1
e pertanto, come deve essere, V
i
>V
i

Facciamo un esempio per chiarire: siano 3 le colture aziendali di superficie A
1
, A
2
, A
3
e i turni agrari
siano stati valutati in:

t
1
, t
2
, t
3

6 12 18

Assumendo il turno irriguo pari a 6 giorni, sar:

T
t t t

1 2 3
1 2 3
per cui a
i
= 1, 2, 3

Ad ogni turno si bagna tutte la prima coltura, metdella seconda e un terzo della terza.

Se i turni agrari sono primi tra loro:

t
1
t
2
t
3

5 11 17

Assumiamo il turno pari a 6, allora dilatiamo o restringiamo i turni agrari in modo che:

t
1
, t
2
, t
3

6 12 18

Risulterallora:

T
t' t' t'
i

1 2 3
1 2 3
12 3 ; , , a


4.4.3 Calcolo dellorario

Dal turno irriguo e dal modulo si risale all'orario. Basta imporre che il volume richiesto dalle varie
colture dell'azienda sia pari a quello che la rete in grado di erogare.
Determiniamo, per ogni turno, il fabbisogno delle colture per ogni adacquamento, al netto di tutte le
perdite sul terreno V
R
.
Siano
i
, A
i
, t
i
, a
i
rispettivamente dotazione, area, turno agrario effettivo o corretto e a
i
, numero intero
che soddisfa alle relazioni sopra imposte, per ogni coltura:

( ) V
A
a
t
A
a
t A A T
R n
n
n
n n n
+ +

_
,
+ +
1
1
1
1 1 1
24 3600 24 3600 ... ... T [ l ]

e in maniera pi sintetica
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189

V
R =
T
i
i
n

1
A
i
24 3600 (4.4.3.1)

Determiniamo ora il volume messo a disposizione dalla rete nel turno V
D
, essendo M e O il modulo
e l'orario da ricavare:

V
D
= M O 24 3600

I due volumi trovati devono essere uguali, per cui:

T
i
i
n
A
i

1
24 3600 = M O 24 3600 (4.4.3.2)

Questo sarebbe esatto se tutta la portata immessa nei canali arrivasse sul campo; il che non ,
perch una parte si perde per infiltrazione ed evaporazione dalla rete irrigua.
Chiamati con K' e K'' le percentuali di perdite rispettivamente nella rete comiziale ed aziendale, il
modulo effettivamente disponibile

[ ( )] - K'+ K" M 1

dove, all'incirca, per una rete a superficiale libera in buono stato: K' = 0,10; K"= 0,10.

Analogamente, non in tutto l'orario si riesce a portare l'acqua sul campo. All'inizio della consegna i
canali aziendali sono asciutti e, prima di poter erogare il modulo, devono entrare completamente in
carico. Inoltre dentro l'azienda c' il tempo occorrente per le manovre di apertura e chiusura dei
bocchelli. L'orario a disposizione per l'effettivo adacquamento risulta diminuito di una percentuale
variabile e quindi risulta:

(1 - ) O

In una rete con buon esercizio , si aggira, all'incirca, sul valore 0,15.
Si dovrscrivere allora:

T M
i
i
n
A 1- K'+ K" 1- O
i


1
[ ( )] ( )
da cui
O
T
M
i
i
n

A
1- K'+ K" 1-
i
1
[ ( )] ( )
(4.4.3.3)


4.5 Irrigazione per aspersione

Premettiamo alcune delle principali ragioni che hanno determinato la diffusione di questa tecnica
irrigua che si pu giannoverare tra le tradizionali.
Alcuni dei principali vantaggi, rispetto alle irrigazioni per espansione superficiale, si possono indicare
nei seguenti:
- riproduzione delle condizioni pi naturali di adacquamento (pioggia);
- minore necessit di sistemazione degli appezzamenti, che si pu ridurre agli accorgimenti
necessari per una generale protezione del suolo;
- minori dotazioni specifiche, che si possono ridurre da un mezzo ad un terzo di quelle
impiegati per lo scorrimento;
- possibilitdi irrigare terreni collinari con elevati contenuti argillosi;
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190
- possibilitdi adottare irrigazione polivalente (trattamenti, fertirrigazione, concimazione
frazionata, ecc.).,Non bisogna per neanche nascondere alcuni svantaggi, tra i principali dei
quali segnaliamo:
- generale necessit del sollevamento, per consentire l'esercizio degli irrigatori alla pressione
voluta;
- forti perdite per evaporazione al getto, specie in presenza di ventilazione;
- disuniformit di irrigazione al punto di non poter irrigare, ovvero dover sospendere l'esercizio
in certi periodi, in zone eccessivamente ventose.

4.5.1 Intensit limite

La caratteristica fondamentale che regola questo tipo di irrigazione l'intensitdi pioggia I, definita
come altezza d'acqua in millimetri erogata nell'unit di tempo. In genere l'unit di tempo utilizzata in
pratica l'ora.

I
h
t
[ mm/ ora ] (4.5.1.1)

Per la misura di questa grandezza, nel caso specifico dell'irrigazione a pioggia ed in genere anche per
lo studio degli apporti naturali, si deve ricorrere ad un rilevamento puntiforme. Significa, in breve, avere
a disposizione apparecchi (pluviometri) che misurino, in diversi punti, l'altezza d'acqua caduta. Dai
rilevamenti puntiformi si risale, attraverso tecniche di interpolazione pi o meno raffinate, alla
definizione della superficie che passa per gli estremi rappresentativi dell'altezza di pioggia e quindi
all'individuazione del volume del solido di pioggia compreso tra questa superficie e la sua proiezione
sul terreno. Dividendo il volume per la superficie si ottiene l'altezza media di pioggia sulla porzione di
territorio considerata e quindi, attraverso la durata della pioggia, si risale all'intensit.
Vale la pena di richiamare qui l'equivalenza dimensionale tra il volume di adacquamento V (m
3
/ha) e
l'altezza di pioggia H (mm). Il coefficiente numerico di trasformazione della prima unitdi misura nella
seconda 10
-1
infatti:

1
1
10
10
10
10
3
4
3
4
1

m
ha
m mm mm



in definitiva 1 mm di pioggia equivale a 10 m
3
/ha.

Questa grandezza particolarmente importante, perch ogni irrigatore deve erogare la sua portata
senza superare determinati valori di intensit, il che comprometterebbe lo strato superficiale del
terreno agrario.
Evidentemente forti intensit (acquazzoni) dilavano la superficie, mentre piccole intensit subiscono
percentualmente perdite elevate per la ventilazione.
Le intensitlimiti dipendono principalmente dalla natura del terreno (permeabile o impermeabile), dalla
pendenza (debole o forte) e dalla presenza etipo di vegetazione. Nella tabella seguente vengono
riportati, espressi in mm/h, alcuni valori orientativi per le intensitlimiti:
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191
Tab. 4.5.1
Pendenza 0 - 5% 5% - 8% 8 % - 12% 12% e oltre
Terreno coperto nudo coperto nudo coperto nudo coperto nudo
vegetaz. vegetaz. vegetaz. vegetaz.
Sabbia
grossolana
uniforme
spessore s
> 2m
51 51 51 38 38 25 25 13
Sabbia
grossolana
uniforme
spessore s
< 2m
44 38 32 25 25 19 19 10
Sabbia fine
uniforme
s > 2 m
44 25 32 20 25 15 19 10
Sabbia fine
uniforme
s < 2 m
32 19 25 13 19 10 13 8
Limo sottile
uniforme
s > 2m
25 13 20 10 15 8 10 5
Limo sottile
uniforme
s < 2m
15 8 13 6 10 4 8 2
Argille 5 4 4 2 3 2 2 1



4.6 Impianto di irrigazione per aspersione

Definita l'intensit di pioggia sopportabile dal terreno, particolare cura dev'essere dedicata allo studio
della disposizione degli irrigatori in funzione del tipo di coltura, di terreno e di gestione che si vuole
fare della rete.
Due degli schemi utilizzati pi di frequente sono quelli indicati nella (Fig. 4.13 a, b) dove sono
evidenziate le necessarie zone di sovrapposizione. Non c' dubbio che prima di scegliere la
disposizione, occorre prefissare il tipo di irrigatori che meglio si adattano alla natura e giacitura del
terreno ed al tipo di coltura.
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192


Fig. 4.13

Caratteristiche principali di un irrigatore sono la pressione di esercizio (atm) ed il diametro dell'ugello,
oltre ai vari tipi di organi che servono da frangigetto e per la rotazione. Da queste caratteristiche
dipendono la portata l/s e la gittata m dell'irrigatore.
Per gittata R si intende la massima distanza efficace raggiunta dal getto (Fig. 4.13).
In genere gli irrigatori si distinguono a seconda della pressione di esercizio:

- alta: maggiore di cinque atmosfere,
- media: compresa tra tre e cinque atmosfere,
- bassa: minore di tre atmosfere.

In corrispondenza di queste distinzioni, con i normali ugelli si possono avere subito delle idee sulla
gittata e sull'intensitdi pioggia corrispondente:

- alta pressione: R 50 m; I = 20 30 mm/h ed oltre
- media : R = 20 30 m; I = 6 20 mm/h
- bassa : R < 20 m; I = 1,5 5 mm/h

La rete di distribuzione dell'acqua agli irrigatori pu assumere caratteristiche tecniche
sostanzialmente diverse a seconda del tipo di gestione che si vuole effettuare. Nel campo degli
impianti a pioggia, che potremmo ormai definire tradizionali, sussistono due principali orientamenti. La
massima automazione, che si ottiene attraverso le reti fisse; la minima spesa d'impianto che si
raggiunge attraverso le reti semifisse.
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193
La rete fissa riproduce esattamente lo schema delle reti degli acquedotti. Si traduce in pratica
nell'avere un irrigatore per ogni idrante. I principali vantaggi consistono nel massimo risparmio di mano
d'opera, mentre di contro le spese d'impianto, specie per le reti pi automatizzate, possono risultare
elevate.
La rete semifissa contempla una rete fissa interrata a maglie molto ampie, che serve un certo numero
di idranti, ai quali vengono di volta in volta allacciate delle tubazioni, di lega leggera o di plastica, sulle
quali sono inseriti gli irrigatori. Queste ultime tubazioni, indicate come ali mobili, vengono dislocate
successivamente in postazioni diverse in modo che tutta la superficie irrigabile venga in effetti servita.
Ragioni economiche e pratiche inerenti allo spostamento consigliano di non superare per le ali mobili
120 150 m.
Questi sono gli schemi ideali, poi ci sono un'infinitdi altri casi, dettati da circostanze particolari. E il
caso dell'irrigazione che si effettua in Lombardia nei comprensori di bonifica. Si utilizza il trattore con
la motopompa e si attinge dai canali di colo della bonifica, preordinando un certo numero di
spostamenti. Si diffuso di recente l'uso delle cosiddette ali stanziali. Queste altro non sono che la
parte pi capillare di un impianto fisso, che non viene interrata ma disposta nel modo pi opportuno
sul terreno ad ogni inizio di stagione. Anche in questo caso le tubazioni adottate pi frequentemente
sono di materiale plastico.
Rimandiamo ad altro argomento del corso il dimensionamento degli impianti ed i valori pi frequenti
delle caratteristiche principali quali dotazione, volume di adacquamento, ecc. si riferisce qui su quelle
che sono le grandezze principali che devono essere tenute in conto nel dimensionamento e
nell'organizzazione dell'esercizio di un impianto per aspersione. Esse sono:

- l'altezza di adacquamento H espressa in mm;
- la portata degli irrigatori q espressa in l/s;
- il modulo M , espresso in l/s;
- il numero intero di irrigatori n contemporaneamente in funzione nell'azienda;
- l'intensitdi pioggia h , espressa in mm/h;
- il tempo di postazione tp degli irrigatori, espresso in ore;
- il numero intero delle postazioni N per l'adacquamento di tutta la superficie che dev'essere irrigata
nel turno;
- l'orario di adacquamento aziendale O
a
, espresso in giorni.

Fissato il tipo di irrigatore nota la sua portata. Dal modulo, che dev'essere un'altra delle
caratteristiche note, si risale al numero degli irrigatori che dev'essere contemporaneamente in
funzione nell'azienda:

n
M
q


Ovviamente occorrerconsiderare, nella dotazione di materiale mobile dell'azienda, qualche irrigatore
in pi per il normale avvicendamento e per la manutenzione.
Nota la gittata si pu risalire anche all'intensit di pioggia erogata dall'irrigatore e verificare che sia
inferiore a quella consentita dalle caratteristiche del terreno I
max
(Tab. 4.5.1):

I
q q

3600 1000
1000
3600
2 2
R R


[ mm/ ora ] (4.6.1)

e dovressere I I
max
.
Stabilito I si risale al tempo di postazione, definito come quel tempo per il quale dev'essere lasciato
sul posto l'irrigatore funzionante, al fine di erogare l'altezza di adacquamento.

Sarallora:
t
H
I
p
[ore]

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194
Per un dimensionamento spedito di prima approssimazione si pu ancora procedere nel modo
seguente.
In considerazione delle caratteristiche del terreno nota I
max
. Dal tipo di disposizione degli irrigatori si
ricava la gittata ottimale e quindi quella efficace R. Da I
max
e da R si risale alla portata dell'irrigatore:

I
q
max

3600
2
R

da cui
q
I

max
R
2
3600
(4.6.2)

Da R e da q, fissata la pressione di esercizio, si risale al diametro dell'ugello dell'irrigatore.
Il numero degli irrigatori ed il tempo di postazione si ricava ovviamente nel modo precedentemente
indicato.
Note le postazioni che devono essere successivamente coperte nel terreno e valutati, in qualche
modo, i perditempo P , dovuti principalmente allo spostamento delle ali mobili, si deve verificare che
l'orario aziendale sia compatibile col turno. Allora, se N il numero delle postazioni ed A la superficie
da irrigare nel turno irriguo T risulta:

N
A
n

R
2
(4.6.3)

L'orario aziendale sarpertanto:

O
a
= N t
p
+ P (4.6.4)

dovressere O
a
< T.


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Decreto Legislativo del Governo n 152 del 11/05/1999
Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento
delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai
nitrati provenienti da fonti agricole.



Doc. 399B0152.900 di Origine Nazionale
emanato/a da : Presidente della Repubblica
e pubblicato/a su : Gazz. Uff. Suppl. Ordin. n 124 del 29/05/1999


SOMMARIO


NOTE

TESTO

TITOLO I - PRINCIPI GENERALI E COMPETENZE

Art. 1 - Finalit.
Art . 2 - Definizioni.
Art. 3 - Competenze.

TITOLO II - OBIETTIVI DI QUALIT

Capo I - Obiettivo di qualit ambientale e obiettivo di qualit per specifica destinazione.

Art. 4 - Disposizioni generali.
Art. 5 - Individuazione e perseguimento dell'obiettivo di qualit ambientale.
Art. 6 - Obiettivo di qualit per specifica destinazione.

Capo II - Acque a specifica destinazione.

Art. 7 - Acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile.
Art. 8 - Deroghe.
Art. 9 - Acque di balneazione.
Art. 10 - Acque dolci idonee alla vita dei pesci.
Art. 11 - Successive designazioni e revisioni.
Art. 12 - Accertamento della qualit delle acque idonee alla vita dei pesci.
Art . 13 - Deroghe.
Art. 14 - Acque destinate alla vita dei molluschi.
Art. 15 - Accertamento della qualit delle acque destinate alla vita dei molluschi.
Art. 16 - Deroghe.
Art. 17 - Norme sanitarie.

TITOLO III - TUTELA DEI CORPI IDRICI E DISCIPLINA DEGLI SCARICHI.

Capo I - Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di risanamento.

Art. 18 - Aree sensibili.
Art. 19 - Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola.
Art. 20 - Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari e altre zone vulnerabili.
Art. 21 - Disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano

Capo II - Tutela quantitativa della risorsa e risparmio idrico.

Art. 22 - Pianificazione del bilancio idrico.
Art. 23 - Modifiche al Regio Decreto 11 dicembre 1933, n.1775.
Art. 24 - Acque minerali naturali e di sorgenti.
Art. 25 - Risparmio idrico.
Art. 26 - Riutilizzo dell'acqua.

Capo III - Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi.

Art. 27 - Reti fognarie.
Art. 28 - Criteri generali della disciplina degli scarichi.
Art. 29 - Scarichi sul suolo.
Art. 30 - Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee.
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Art. 31 - Scarichi in acque superficiali.
Art. 32 - Scarichi di acque reflue urbane in corpi idrici ricadenti in aree sensibili.
Art. 33 - Scarichi in reti fognarie.
Art. 34 - Scarichi di sostanze pericolose.

Capo IV - Ulteriori misure per la tutela dei corpi idrici.

Art. 35 - Immersione in mare di materiale derivante da attivit di escavo e attivit di posa in mare di cavi e condotte.
Art. 36 - Trattamento di rifiuti presso impianti di trattamento delle acque reflue urbane.
Art. 37 - Impianti di acquacoltura e piscicoltura.
Art. 38 - Utilizzazione agronomica .
Art. 39 - Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia.
Art. 40 - Dighe.
Art. 41 - Tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici.

TITOLO IV - STRUMENTI DI TUTELA.

Capo I - Piani di tutela delle acque.

Art. 42 - Rilevamento delle caratteristiche del bacino idrografico ed analisi dell'impatto esercitato dall'attivit antropica.
Art. 43 - Rilevamento dello stato di qualit dei corpi idrici.
Art. 44 - Piani di tutela delle acque.

Capo II - Autorizzazione agli scarichi.

Art. 45 - Criteri generali.
Art. 46 - Domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali.
Art. 47 - Approvazione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane.
Art. 48 - Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue.

Capo III - Controllo degli scarichi.

Art. 49 - Soggetti tenuti al controllo.
Art. 50 - Accessi ed ispezioni.
Art. 51 - Inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione allo scarico.
Art. 52 - Controllo degli scarichi di sostanze pericolose.
Art. 53 - Interventi sostitutivi.

TITOLO V - SANZIONI

Capo I - Sanzioni amministrative e danno ambientale

Art. 54 - Sanzioni amministrative.
Art. 55 - Sanzioni in materia di aree di salvaguardia e modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236.
Art. 56 - Competenza e giurisdizione.
Art. 57 - Proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie.
Art. 58 - Danno ambientale, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati.

Capo II - Sanzioni penali

Art. 59 - Sanzioni penali.
Art. 60 - Obblighi del condannato.
Art. 61 - Circostanza attenuante.

TITOLO VI - DISPOSIZIONI FINALI

Art. 62 - Norme transitorie e finali.
Art. 63 Abrogazione di norme

ALLEGATO 1 - MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE IN FUNZIONE DEGLI OBIETTIVI DI QUALITA'
AMBIENTALE

ALLEGATO 2 - CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DEI CORPI IDRICI A DESTINAZIONE FUNZIONALE

SEZIONE A: CRITERI GENERALI E METODOLOGIE PER IL RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE QUALITATIVE
E PER LA CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE SUPERFICIALI DESTINATE ALLA PRODUZIONE DI ACQUA POTABILE
SEZIONE B: CRITERI GENERALI E METODOLOGIE PER IL RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE QUALITATIVE,
PER LA CLASSIFICAZIONE ED IL CALCOLO DELLA CONFORMIT DELLE ACQUE DOLCI SUPERFICIALI IDONEE
ALLA VITA DEI PESCI SALMONICOLI E CIPRINICOLI.
SEZIONE C: CRITERI GENERALI E METODOLOGIE PER IL RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE QUALITATIVE
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ED IL CALCOLO DELLA CONFORMIT DELLE ACQUE DESTINATE ALLA VITA DEI MOLLUSCHI



ALLEGATO 3 - RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE DEI BACINI IDROGRAFICI E ANALISI DELL'IMPATTO
ESERCITATO DALL'ATTIVITA' ANTROPICA

ALLEGATO 4 - CONTENUTI DEI PIANI DI TUTELA DELLE ACQUE

Parte A
Parte B

ALLEGATO 5 - LIMITI DI EMISSIONE DEGLI SCARICHI IDRICI

ALLEGATO 6 - CRITERI PER LA INDIVIDUAZIONE DELLE AREE SENSIBILI

ALLEGATO 7

PARTE A - ZONE VULNERABILI DA NITRATI DI ORIGINE AGRICOLA
PARTE B - ZONE VULNERABILI DA PRODOTTI FITOSANITARI


- -

NOTE

Il testo del presente decreto legislativo stato ripubblicato sul S.O. alla G.U. n. 177 del 30 luglio 1999

___________

AVVERTENZA

Per un immediato riscontro delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 258/00 le stesse sono evidenziate in grassetto corsivo

Con le [....] vengono evidenziati i punti in cui il D.Lgs. 258/00 ha soppresso parti di testo.

N.B.: all'interno degli allegati, sostituiti interamente dal D.Lgs. 258/00, sono state evidenziati in grassetto corsivo o indicati
con [....] soltanto i singoli termini che risultano effettivamente modificati, aggiunti o soppressi a seguito della sostituzione.


Art. 2, lettere i) e u): cos rettificate mediante avviso pubblicato sulla G.U. 22 luglio 1999, n. 170
Art. 2, lettere h), i), m): cos sostituite dall'art. 1 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 2, lettere n-bis), o-bis), aa-bis), cc-bis): inserite dall'art. 1 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 3, comma 3: cos sostituito dall'art. 2 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 5, comma 1: cos sostituito dall'art. 3 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 6, comma 3: stato cos rettificato mediante avviso pubblicato sulla G.U. 22 luglio 1999, n. 170

Art. 18: cos sostituito dall'art. 4 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art . 21: da ultimo cos sostituito dall'art. 5 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 22, comma 3: cos sostituito dall'art. 6 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 22, comma 5: cos sostituito dall'art. 6 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 22, comma 6-bis: aggiunto dall'art. 6 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 23, comma 1 e 2: il testo omesso riportato, in modifica, nel Regio Decreto 11 dicembre 1933, n.1775.
Art. 23, comma 3: il testo omesso, cos come modificato dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, riportato, in
sostituzione all'art. 12-bis del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.
Art. 23, comma 4: il testo omesso, cos come modificato dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, riportato, in
sostituzione all'art. 17 del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.
Art. 23, comma 6: cos sostituito dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 23, comma 6-bis: aggiunto dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 23, comma 7: il testo omesso, cos come modificato dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, riportato, in
sostituzione all'art. 21 del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.
Art. 23, comma 8: cos sostituito dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 23, comma 9-bis: aggiunto dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 23, comma 9-ter: aggiunto dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
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Art. 23, comma 9-quater: il testo omesso, cos come aggiunto dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, riportato, in
sostituzione all'art. 25, comma 2 della legge 5 gennaio 1994, n. 36.
Art. 23, comma 9-quinquies: aggiunto dall'art. 7 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 24: la rubrica del presente articolo stata cos sostituita dall'art. 8 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258

Artt. 25 e 26: le parti mancanti del testo sono riportate in modifica nella legge 5 gennaio 1994, n. 36.

Art. 27, comma 4: cos sostituito dall'art. 9 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 28: cos sostituito dall'art. 9 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 29, comma 1, lettera e): lettera aggiunta dall'art. 10 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 29, comma 2: cos sostituito dall'art. 10 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 29, comma 3: cos sostituito dall'art. 10 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 30, comma 4: cos sostituito dall'art. 11 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 31, comma 4: cos sostituito dall'art. 12 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 33: cos sostituito dall'art. 13 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 34: cos sostituito dall'art. 14 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 35, comma 2: cos sostituito dall'art. 15 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 35, comma 5: cos sostituito dall'art. 15 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 36: cos sostituito dall'art. 16 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 38: cos sostituito dall'art. 17 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 39: cos sostituito dall'art. 18 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 45, comma 4: cos sostituito dall'art. 19 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 45, comma 7: cos sostituito dall'art. 19 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 45, comma 11: cos sostituito dall'art. 19 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 46, comma 2: cos sostituito dall'art. 20 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 51: cos sostituito dall'art. 20 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 52: cos sostituito dall'art. 20 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 54, comma 1: cos sostituito dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 54, comma 3: cos sostituito dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 54, comma 4: cos sostituito dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 54, comma 5: comma soppresso dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 54, comma 7: cos sostituito dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 54, comma 9: comma soppresso dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 54, commi 10-bis e 10-ter: commi aggiunti dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 55, comma 1: cos sostituito dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 55, commi 2 e 3: il testo omesso, cos come modificato dall'art. 21 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, riportato, in
sostituzione all'art. 21 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236.

Art. 56, comma 1: cos sostituito dall'art. 22 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 56, comma 1-bis: comma aggiunto dall'art. 22 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 59, comma 4: cos sostituito dall'art. 23 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 59, comma 4-bis: comma aggiunto dall'art. 23 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 59, comma 5: cos sostituito dall'art. 23 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 59, comma 6: cos sostituito dall'art. 23 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 59, commi 6-bis, 6-ter e 6-quater: commi aggiunti dall'art. 23 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 59, comma 10: cos sostituito dall'art. 23 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 59, commi 11-bis, e 11-ter: commi aggiunti dall'art. 23 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Art. 62, commi 5 e 6: soppressi dall'art. 24 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 62, comma 10: cos sostituito dall'art. 24 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 62, comma 11: cos sostituito dall'art. 24 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 62, comma 12: cos sostituito dall'art. 24 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
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Art. 62, comma 14-bis: comma aggiunto dall'art. 24 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.
Art. 62, comma 15-bis: comma aggiunto dall'art. 24 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Allegato 1: cos sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Allegato 2: cos sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Allegato 3: cos sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Allegato 4: cos sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Allegato 5: cos sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Allegato 6: cos sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

Allegato 7: cos sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258.

- -
TESTO

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

VISTI gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

VISTA la direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane;

VISTA la direttiva 91/676/CEE del Consiglio del 12 dicembre 1991 relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato
dai nitrati provenienti da fonti agricole;

VISTA direttiva 98/15/CE recante modifica della direttiva 91/271/CEE per quanto riguarda alcuni requisiti dell'allegato I;

VISTA la legge 22 febbraio 1994, n. 146 ed in particolare gli articoli 36 e 37 che prevedono il recepimento delle direttive 91/271/CEE
e ogni necessaria modifica ed integrazione allo scopo di definire un quadro omogeneo ed organico della normativa vigente:

VISTA la legge 6 febbraio 1996, n. 52 ed in particolare l'articolo 6;

VISTA la legge 24 aprile 1998 n. 128, ed in particolare l'articolo 17 che delega il governo ad appotare "le modificazioni ed
integrazioni necessarie al coordinamento e il riordino della normativa vigente in materia di tutela delle acque dall'inquinamento";

VISTA la legge 5 gennaio 1994, n. 36 e successive modifiche ed integrazioni, concernente disposizioni in materia di risorse idriche;

VISTO il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni, concernente l'attuazione delle direttive
91/156/CE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imbalaggio;

VISTA la legge 15 marzo 1997, n. 59;

VISTO il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;

VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236;

VISTA la legge 18 maggio 1989, n. 183;

VISTO il Regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775;

VISTE le preliminare deliberazioni del Consiglio dei Ministri, adottate nelle riunioni del 3 dicembre 1999;

SENTITA la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome;

ACQUISITI i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 aprile 1999;

SULLA PROPOSTA del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri della sanit,
dell'industria, del commercio e dell'artigianato,per le politiche agrcole, dei lavori pubbllici, dei trasporti e della navigazione, delle
finanze, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per gli affari regionali, di grazia e giustizia, degli affari esteri e
per la funzione pubblica;

E M A N A

il seguente decreto legislativo:
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TITOLO I - PRINCIPI GENERALI E COMPETENZE

Art. 1 - Finalit.
1. Il presente decreto definisce la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee perseguendo gli
obiettivi seguenti:
a) prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati;
b) conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;
c) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorit per quelle potabili;
d) mantenere la capacit naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonch la capacit di sostenere comunit animali e vegetali ampie
e ben diversificate.
2. Il raggiungimento degli obiettivi indicati al comma 1 si realizza attraverso i seguenti strumenti:
a) l'individuazione di obiettivi di qualit ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici;
b) la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell'ambito di ciascun bacino idrografico ed un adeguato sistema di controlli
e di sanzioni.
c) il rispetto dei valori limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonch la definizione di valori limite in relazione agli obiettivi di qualit
del corpo recettore;
d) l'adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici, nell'ambito del servizio idrico integrato di
cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36;
e) l'individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili;
f) l'individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche.
3. Le regioni a statuto ordinario regolano la materia disciplinata dal presente decreto nel rispetto di quelle disposizioni in esso
contenute che, per la loro natura riformatrice costituiscono principi fondamentali della legislazione statale ai sensi dell'articolo 117,
primo comma, della Costituzione. Le regioni a statuto speciale e le provincie autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria
legislazione al presente decreto secondo quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione.

Art. 2 - Definizioni.
Ai fini del presente decreto si intende per:
a) "abitante equivalente": il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60
grammi di ossigeno al giorno;
b) "acque ciprinicole": le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti ai ciprinidi (Cyprinidae) o a specie come i lucci, i
pesci persici e le anguille;
c) "acque costiere": le acque al di fuori della linea di bassa marea o del limite esterno di un estuario;
d) "acque salmonicole": le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti a specie come le trote, i temoli e i coregoni;
e) "estuario": l'area di transizione tra le acque dolci e le acque costiere alla foce di un fiume, i cui limiti esterni verso il mare sono
definiti con decreto del Ministro dell'ambiente; in via transitoria sono fissati a cinquecento metri dalla linea di costa;
f) "acque dolci": le acque che si presentano in natura con una bassa concentrazione di sali e sono considerate appropriate per
l'estrazione e il trattamento al fine di produrre acqua potabile;
g) "acque reflue domestiche": acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal
metabolismo umano e da attivit domestiche;
h) "acque reflue industriali": qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attivit
commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento;
i) "acque reflue urbane": acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero
meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato;
l) "acque sotterranee": le acque che si trovano al di sotto della superficie del terreno, nella zona di saturazione e in diretto contatto con
il suolo e il sottosuolo;
m) "agglomerato": area in cui la popolazione, ovvero le attivit economiche sono sufficientemente concentrate cos da rendere
possibile, e cio tecnicamente ed economicamente realizzabile anche in rapporto ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il
convogliamento delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento di acque reflue urbane o verso un punto di scarico
finale;
n) "applicazione al terreno": l'apporto di materiale al terreno mediante spandimento sulla superficie del terreno, iniezione nel terreno,
interramento, mescolatura con gli strati superficiali del terreno;
n-bis) "utilizzazione agronomica": la gestione di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle
olive ovvero di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari, dalla loro produzione all'applicazione
al terreno di cui alla lettera n), finalizzata all'utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute ovvero al loro
utilizzo irriguo o fertirriguo;
o) "autorit d'ambito": la forma di cooperazione tra comuni e provincie ai sensi dell' art. 9, comma 2, della legge 5 gennaio 1994, n. 36;
o-bis) "gestore del servizio idrico integrato": il soggetto che in base alla convenzione di cui all'articolo 11 della legge 5 gennaio
1994, n. 36, gestisce i servizi idrici integrati e, soltanto fino alla piena operativit del servizio idrico integrato, il gestore esistente del
servizio pubblico;
p) "bestiame": si intendono tutti gli animali allevati per uso o profitto;
q) "composto azotato": qualsiasi sostanza contenente azoto, escluso l'azoto allo stato molecolare gassoso;
r) "concimi chimici": qualsiasi fertilizzante prodotto mediante procedimento industriale;
s) "effluente di allevamento": le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di
prodotto trasformato;
t) "eutrofizzazione": arricchimento delle acque in nutrienti, in particolare modo di composti dell'azoto ovvero del fosforo, che provoca
una proliferazione delle alghe e di forme superiori di vita vegetale, producendo un'indesiderata perturbazione dell'equilibrio degli
organismi presenti nell'acqua e della qualit delle acque interessate;
u) "fertilizzante": fermo restando quanto disposto dalla legge 19 ottobre 1984, n.748, ai fini del presente decreto fertilizzante
qualsiasi sostanza contenente, uno o pi composti azotati, sparsa sul terreno per stimolare la crescita della vegetazione; sono compresi
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gli effluenti di allevamento, i residui degli allevamenti ittici e i fanghi di cui alla lettera v);
v) "fanghi": i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane;
z) "inquinamento": lo scarico effettuato direttamente o indirettamente dall'uomo nell'ambiente idrico di sostanze o di energia le cui
conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere
le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque;
aa) "rete fognaria": il sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane;
aa-bis) "fognature separate": la rete fognaria costituita da due condotte, una che canalizza le sole acque meteoriche di
dilavamento e pu essere dotata di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, l'altra che canalizza le
altre acque reflue unitamente alle eventuali acque di prima pioggia;
bb) "scarico": qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque
superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo
trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'art.40;
cc) "acque di scarico": tutte le acque reflue provenienti da uno scarico;
cc-bis) "scarichi esistenti": gli scarichi di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al
regime autorizzativo previgente ovvero di impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data siano gi state
completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all'assegnazione lavori; gli scarichi di acque reflue domestiche che alla
data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente; gli scarichi di acque reflue industriali che
alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e gi autorizzati;
dd) "trattamento appropriato": il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che
dopo lo scarico garantisca la conformit dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualit ovvero sia conforme alle disposizioni del
presente decreto;
ee) "trattamento primario": il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo fisico ovvero chimico che comporti la
sedimentazione dei solidi sospesi, ovvero mediante altri processi a seguito dei quali il BOD5 delle acque reflue in arrivo sia ridotto
almeno del 20% prima dello scarico e i solidi sospesi totali delle acque reflue in arrivo siano ridotti almeno del 50%;
ff) "trattamento secondario": il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo che in genere comporta il trattamento
biologico con sedimentazioni secondarie, o un altro processo in cui vengano rispettati i requisiti di cui alla tabella 1 dell'allegato 5;
gg) "stabilimento industriale" o, semplicemente, "stabilimento": qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono attivit commerciali o
industriali che comportano la produzione, la trasformazione ovvero l'utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella 3 dell'allegato 5
ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico;
hh) "valore limite di emissione": limite di accettabilit di una sostanza inquinante contenuta in uno scarico, misurata in concentrazione,
ovvero in peso per unit di prodotto o di materia prima lavorata, o in peso per unit di tempo;
ii) "zone vulnerabili": zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica in
acque gi inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi.

Art. 3 - Competenze.
1. Le competenze nelle materie disciplinate dal presente decreto sono stabilite dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dagli
altri provvedimenti statali e regionali adottati ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59.
2. Lo Stato, le regioni, le provincie, i comuni, le autorit di bacino, l'Agenzia nazionale e le Agenzie regionali per la protezione
dell'ambiente assicurano l'esercizio delle competenze gi spettanti alla data di entrata in vigore della legge 15 marzo 1997, n. 59, fino
all'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1.
3. In relazione alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattivit che comporti
inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea o pericolo di grave pregiudizio alla salute o
all'ambiente o inottemperanza agli obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri
competenti, esercita i poteri sostitutivi in conformit all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 fermi restando i
poteri di ordinanza previsti dall'ordinamento in caso di urgente necessit, nonch quanto disposto dall'articolo 53. Gli oneri
economici connessi all'attivit di sostituzione sono posti a carico dell'ente inadempiente.
4. Le prescrizioni tecniche necessarie all'attuazione del presente decreto sono stabilite negli allegati al decreto stesso e con uno o pi
regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa intesa con la Conferenza Stato e
regioni; attraverso i medesimi regolamenti possono altres essere modificati gli allegati al presente decreto per adeguarli a
sopravvenute esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche o tecnologiche.
5. Ai sensi dell'articolo 20 della legge 16 aprile 1987, n. 183, con decreto dei Ministri competenti per materia, si provvede alla
modifica degli allegati al presente decreto per dare attuazione alle direttive che saranno emanate dall'Unione europea, per le parti in cui
queste modifichino modalit esecutive e caratteristiche di ordine tecnico delle direttive dell'Unione europea recepite dal presente
decreto.
6. I consorzi di bonifica e di irrigazione, anche attraverso appositi accordi di programma con le competenti autorit, concorrono alla
realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della
rinaturalizzazione dei corsi d'acqua e della fitodepurazione.
7. Le regioni assicurano la pi ampia divulgazione delle informazioni sullo stato di qualit delle acque e trasmettono all'Agenzia
nazionale per la protezione dell'ambiente i dati conoscitivi e le informazioni relative all'attuazione del presente decreto, nonch quelli
prescritti dalla disciplina comunitaria, secondo le modalit indicate con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri
competenti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano.
L'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente elabora a livello nazionale, nell'ambito del Sistema informativo nazionale
ambientale, le informazioni ricevute e le trasmette ai Ministeri interessati e al Ministero dell'ambiente anche per l'invio alla
Commissione europea. Con lo stesso decreto sono individuati e disciplinati i casi in cui le regioni sono tenute a trasmettere al
Ministero dell'ambiente i provvedimenti adottati ai fini delle comunicazioni all'Unione europea o in ragione degli obblighi
internazionali assunti.
8. Sono fatte salve le competenze spettanti alle regioni a statuto speciale e alle provincie autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dei
rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione.
9. Le regioni favoriscono l'attiva partecipazione di tutte le parti interessate all'attuazione del presente decreto in particolare in sede di
elaborazione, revisione e aggiornamento dei piani di tutela.
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TITOLO II - OBIETTIVI DI QUALIT

Capo I - Obiettivo di qualit ambientale e obiettivo di qualit per specifica destinazione.

Art. 4 - Disposizioni generali.
1. Al fine della tutela e risanamento delle acque superficiali e sotterranee, il presente decreto individua gli obiettivi minimi di qualit
ambientale per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualit per specifica destinazione per i corpi idrici di cui all'articolo 6, da
garantirsi su tutto il territorio nazionale.
2. L'obiettivo di qualit ambientale definito in funzione della capacit dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di
autodepurazione e di supportare comunit animali e vegetali ampie e ben diversificate
3. L'obiettivo di qualit per specifica destinazione individua lo stato dei corpi idrici idoneo ad una particolare utilizzazione da parte
dell'uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi.
4. In attuazione del presente decreto sono adottate, mediante il piano di tutela delle acque di cui all'articolo 44, misure atte a conseguire
gli obiettivi seguenti entro il 31 dicembre 2016:
a) sia mantenuto o raggiunto per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei l'obiettivo di qualit ambientale corrispondente allo
stato di "buono" come definito nell'Allegato 1;
b) sia mantenuto, ove gi esistente, lo stato di qualit ambientale "elevato" come definit o nell'Allegato 1;
c) siano mantenuti o raggiunti altres per i corpi idrici a specifica destinazione di cui all'articolo
6 gli obiettivi di qualit per specifica destinazione di cui all'allegato 2, salvo i termini di adempimento previsti dalla normativa
previgente;
5. Qualora per un corpo idrico siano designati obiettivi di qualit ambientale e per specifica destinazione che prevedono per gli stessi
parametri valori limite diversi, devono essere rispettati quelli pi cautelativi; quando i limiti pi cautelativi si riferiscono al
conseguimento dell'obiettivo di qualit ambientale, il rispetto degli stessi decorre dal 31 dicembre 2016.
6. Il piano di tutela provvede al coordinamento degli obiettivi di qualit ambientale con i diversi obiettivi di qualit per specifica
destinazione
7. Le regioni possono altres definire obiettivi di qualit ambientale pi elevati, nonch individuare ulteriori destinazioni dei corpi
idrici e relativi obiettivi di qualit.

Art. 5 - Individuazione e perseguimento dell'obiettivo di qualit ambientale.
1. Entro il 30 aprile 2003, sulla base dei dati gi acquisiti e dei risultati del primo rilevamento effettuato ai sensi degli articoli. 42 e
43, le regioni identificano per ciascun corpo idrico significativo, o parte di esso, la classe di qualit corrispondente a una di quelle
indicate nell'allegato 1.
2. In relazione alla classificazione di cui al comma 1, le regioni stabiliscono e adottano le misure necessarie al raggiungimento o al
mantenimento degli obiettivi di qualit ambientale di cui all'articolo 4, comma 4, lettere a) e b), tenendo conto del carico massimo
ammissibile ove fissato sulla base delle indicazioni dell'autorit di bacino di rilievo nazionale e interregionale per i corpi idrici
sovraregionali, assicurando in ogni caso per tutti i corpi idrici l'adozione di misure atte ad impedire un ulteriore degrado.
3. Al fine di assicurare entro il 31 dicembre 2016 il raggiungimento dell'obiettivo di qualit ambientale corrispondente allo stato
"buono", entro il 31 dicembre 2008 ogni corpo idrico superficiale classificato o tratto di esso deve conseguire almeno i requisiti dello
stato "sufficiente" di cui all'allegato 1.
4. Le regioni possono motivatamente stabilire termini diversi per i corpi idrici che presentano condizioni tali da non consentire il
raggiungimento dello stato "buono" entro il 31 dicembre 2016.
5. Le regioni possono motivatamente stabilire obiettivi di qualit ambientale meno rigorosi per taluni corpi idrici, qualora ricorra
almeno una delle condizioni seguenti:
a) il corpo idrico ha subito gravi ripercussioni in conseguenza dell'attivit umana che rendono manifestamente impossibile o
economicamente insostenibile un significativo miglioramento dello stato qualitativo;
b) il raggiungimento dell'obiettivo di qualit pre visto non perseguibile a causa della natura litologica ovvero geomorfologica del
bacino di appartenenza;
c) l'esistenza di circostanze impreviste o eccezionali, quali alluvioni e siccit.
6. Quando ricorrono le condizioni di cui al comma 5, la definizione di obiettivi meno rigorosi consentita purch i medesimi non
comportino l'ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico e, fatto salvo il caso di cui al comma 5, lettera b), non sia
pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi fissati dal pres ente decreto in altri corpi idrici all'interno dello stesso bacino idrografico.
7. Nei casi previsti dai commi 4 e 5, i piani di tutela devono comprendere le misure volte alla tutela del corpo idrico, ivi compresi i
provvedimenti integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi ovvero degli usi delle acque. I tempi e gli obiettivi, nonch le
relative misure, sono rivisti almeno ogni sei anni ed ogni eventuale modifica deve essere inserita come aggiornamento del piano.

Art. 6 - Obiettivo di qualit per specifica destinazione.
1. Sono acque a specifica destinazione funzionale:
a) le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;
b) le acque destinate alla balneazione;
c) le acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;
d) le acque destinate alla vita dei molluschi.
2. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 4, commi 4 e 5, per le acque indicate al comma 1, perseguito, per ciascun uso,
l'obiettivo di qualit per specifica des tinazione stabilito nell'allegato 2, fatta eccezione per le acque di balneazione.
3. Le regioni, al fine di un costante miglioramento dell'ambiente idrico, stabiliscono programmi, che vengono recepiti nel piano di
tutela, per mantenere, ovvero adeguare, la qualit delle acque di cui al comma 1 all'obiettivo di qualit per specifica destinazione.
Relativamente alle acque di cui al comma 1. Le regioni predispongono apposito elenco che provvedono ad aggiornare periodicamente

Capo II - Acque a specifica destinazione.
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Art. 7 - Acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile.
1. Le acque dolci superficiali per essere utilizzate o destinate alla produzione di acqua potabile, sono classificate dalle regioni nelle
categorie A1, A2 e A3 secondo le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche di cui alla tabella 1/A dell'allegato 2.
2. A seconda della categoria di appartenenza, le acque dolci superficiali di cui al comma 1 sono sottoposte ai trattamenti seguenti:
a) Categoria A1: trattamento fisico semplice e disinfezione;
b) Categoria A2: trattamento fisico e chimico normale e disinfezione;
c) Categoria A3: trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione.
3. Le regioni inviano i dati relativi al monitoraggio e alla classificazione delle acque di cui ai commi 1 e 2 al Ministero della sanit, che
provvede al successivo inoltro alla Commissione europea.
4. Le acque dolci superficiali che presentano caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche qualitativamente inferiori ai valori
limite imperativi della categoria A3 possono essere utilizzate, in via eccezionale, solo nel caso in cui non sia possibile ricorrere ad altre
fonti di approvvigionamento e a condizione che le acque siano sottoposte ad opportuno trattamento che consenta di rispettare le norme
di qualit delle acque destinate al consumo umano.

Art. 8 - Deroghe.
1. Per le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, le regioni possono derogare ai valori dei parametri di cui alla
tabella 1/A dell'allegato 2:
a) in caso di inondazioni o di catastrofi naturali;
b) limitatamente ai parametri contraddistinti nell'Allegato 2 tabella 1/A dal simbolo (o) in caso di circostanze meteorologiche
eccezionali o condizioni geografiche particolari;
c) quando le acque superficiali si arricchiscono naturalmente di talune sostanze con superamento dei valori fissati per le categorie A1,
A2 e A3;
d) nel caso di laghi poco profondi e con acque quasi stagnanti, per i parametri indicati con un asterisco nell'Allegato 2, tabella 1/ A,
fermo restando che tale deroga applicabile unicamente ai laghi aventi una profondit non superiore ai 20 metri, che per rinnovare le
loro acque impieghino pi di un anno e nel cui specchio non defluiscano acque di scarico.
2. Le deroghe di cui al comma 1 non sono ammesse se ne derivi concreto pericolo per la salute pubblica.

Art. 9 - Acque di balneazione.
1. Le acque destinate alla balneazione devono rispondere ai requisiti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1982, n.
470, e successive modificazioni.
2. Per le acque che risultano ancora non idonee alla balneazione ai sensi del citato decreto Presidente della Repubblica n. 470 del 1982
le regioni, entro l'inizio della stagione balneare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto e, successivamente, prima
dell'inizio della stagione balneare, con periodicit annuale, comunicano al Ministero dell'ambiente, secondo le modalit indicate col
decreto di cui all'articolo 3, comma 7, tutte le informazioni relative alle cause ed alle misure che intendono adottare.

Art. 10 - Acque dolci idonee alla vita dei pesci.
1. Ai fini della designazione delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per esser idonee alla vita dei pesci, sono
privilegiati:
a) i corsi d'acqua che attraversano il territorio di parchi nazionali e riserve naturali dello Stato nonch di parchi e riserve naturali
regionali;
b) i laghi naturali ed artificiali, gli stagni ed altri corpi idrici, situati nei predetti ambiti territoriali;
c) le acque dolci superficiali comprese nelle zone umide dichiarate "di importanza internazionale" ai sensi della convenzione di
Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva col decreto del Presidente della Repubblica del 13 marzo 1976, n. 448, sulla protezione
delle zone umide, nonch quelle comprese nelle "oasi di protezione della fauna", istituite dalle regioni e provincie autonome ai sensi
della legge 11 febbraio 1992, n.157;
d) le acque dolci superficiali che, ancorch non comprese nelle precedenti categorie, presentino un rilevante interesse scientifico,
naturalistico, ambientale e produttivo in quanto costituenti habitat di specie animali o vegetali rare o in via di estinzione, ovvero in
quanto sede di complessi ecosistemi acquatici meritevoli di conservazione o, altres , sede di antiche e tradizionali forme di produzione
ittica, che presentano un elevato grado di sostenibilit ecologica ed economica. 2. Sono escluse dall'applicazione del presente articolo e
degli articoli 11, 12 e 13, le acque dolci superficiali dei bacini naturali o artificiali utilizzati per l'allevamento intensivo delle specie
ittiche nonch i canali artificiali adibiti a uso plurimo, di scolo o irriguo, e quelli appositamente costruiti per l'allontanamento dei
liquami e di acque reflue industriali.
3. Le acque dolci superficiali che presentino valori dei parametri di qualit conformi con quelli imperativi previsti dalla tabella 1/B
dell'allegato 2, sono classificate, entro quindici mesi dalla designazione, come acque dolci "salmonicole" o "ciprinicole".
4. La designazione e la classificazione ai sensi dei commi 1 e 3 sono effettuate dalle regioni, ricorrendone le condizioni, devono essere
gradualmente estese sino a coprire l'intero corpo idrico, ferma restando la possibilit di designare e classificare nell'ambito del
medesimo, tratti come "acqua salmonicola" e tratti come "acqua ciprinicola".
5. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessit di tutela della qualit delle acque, il Presidente della Giunta regionale o il
Presidente della provincia, nell'ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi o restrittivi
degli scarichi ovvero degli usi delle acque.

Art. 11 - Successive designazioni e revisioni.
1. Le regioni sottopongono a revisione la designazione e la classificazione di alcune acque dolci idonee alla vita dei pesci in funzione
di elementi imprevisti o sopravvenuti.

Art. 12 - Accertamento della qualit delle acque idonee alla vita dei pesci.
1. Le acque designate e classificate si considerano idonee alla vita dei pesci se rispondono ai requisiti riportati nella tabella 1/B
dell'allegato 2.
2. Se dai campionamenti risulta che non sono rispettati uno o pi valori dei parametri riportati nella tabella 1/B dell'Allegato 2, le
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autorit competenti al controllo accertano se l'inosservanza sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita, ad apporti inquinanti o a
eccessivi prelievi e propongono all'autorit competente le misure appropriate.
3. Ai fini di una pi completa valutazione delle qualit delle acque, le regioni promuovono la realizzazione di idonei programmi di
analisi biologica delle acque designate e classificate.

Art. 13 - Deroghe.
1. Per le acque dolci superficiali designate o classificate per essere idonee alla vita dei pesci, le regioni possono derogare al rispetto dei
parametri indicati nella tabella 1/B dell'allegato 2, dal simbolo (o), in caso di circostanze meteorologiche eccezionali o speciali
condizioni geografiche e, quanto al rispetto dei parametri riportati nella medes ima tabella, per arricchimento naturale del corpo idrico
da sostanze provenienti dal suolo senza intervento diretto dell'uomo.

Art. 14 - Acque destinate alla vita dei molluschi.
1. Le regioni designano, nell'ambito delle acque marine costiere e salmastre, che sono sede di banchi e di popolazioni naturali di
molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e per
contribuire alla buona qualit dei prodotti della molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo.
2. Le regioni possono procedere a designazioni complementari, oppure alla revisione delle designazioni gi effettuate, in funzione
dell'esistenza di elementi imprevisti al momento della designazione.
3. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessit di tutela della qualit delle acque, il Presidente della Giunta regionale, il
Presidente della provincia e il Sindaco, nell'ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi
o restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque.

Art. 15 - Accertamento della qualit delle acque destinate alla vita dei molluschi.
1. Le acque designate ai sensi dell'articolo 14 devono rispondere ai requisiti di qualit di cui alla tabell a 1/C dell'allegato 2.
2. Qualora le acque designate non risultano conformi ai requisiti di cui alla tabella 1/C dell'allegato 2, le regioni stabiliscono
programmi per ridurre l'inquinamento.
3. Se da un campionamento risulta che uno o pi valori di parametri di cui alla tabella 1/C dell'allegato 2, non sono rispettati, le
autorit competenti al controllo accertano se l'inosservanza sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita o ad altri fattori di
inquinamento. In tali casi le regioni adottano misure appropriate.

Art. 16 - Deroghe.
1. Per le acque destinate alla vita dei molluschi, le regioni possono derogare ai requisiti alla tabella 1/C dell'allegato 2, in caso di
condizioni meteorologiche o geografiche eccezionali.

Art. 17 - Norme sanitarie.
1. Le attivit di cui agli articoli 14, 15 e 16 lasciano impregiudicata l'attuazione delle norme sanitarie relative alla classificazione delle
zone di produzione e di stabulazione dei molluschi bivalvi vivi, effettuata ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 530.


TITOLO III - TUTELA DEI CORPI IDRICI E DISCIPLINA DEGLI SCARICHI.

Capo I - Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di risanamento.

Art. 18 - Aree sensibili.
1. Le aree sensibili sono individuate secondo i criteri dell'allegato 6.
2. Ai fini della prima individuazione sono designate aree sensibili:
a) i laghi di cui all'allegato 6, nonch i corsi d'acqua a esse afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;
b) le aree lagunari di Orbetello, Ravenna e Piallassa-Baiona, le Valli di Comacchio, i laghi salmastri e il delta del Po;
c) le zone umide individuate ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con decreto del presidente
della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;
d) le aree costiere dell'Adriatico-Nord Occidentale dalla foce dell'Adige al confine meridionale del comune di Pesaro e i corsi
d'acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa.
3. Resta fermo quanto disposto dalla legislazione vigente relativamente alla tutela di Venezia.
4. Sulla base dei criteri stabiliti nell'allegato 6 e sentita l'Autorit di bacino, le regioni, entro un anno dalla data di entrata in vigore
del presente decreto, possono designare ulteriori aree sensibili ovvero individuano all'interno delle aree indicate nel comma 2, i
corpi idrici che non costituiscono aree sensibili.
5. Le regioni, sulla base dei criteri previsti dall'allegato 6, delimitano i bacini drenanti nelle aree sensi bili che contribuiscono
all'inquinamento di tali aree.
6. Ogni quattro anni si provvede alla reidentificazione delle aree sensibili e dei rispettivi bacini drenanti che contribuiscono
all'inquinamento delle aree sensibili.
7. Le nuove aree sensibili identificate ai sensi dei commi 4 e 6 devono soddisfare i requisiti dell'articolo 32 entro sette anni
dall'identificazione.

Art. 19 - Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola.
1. Le zone vulnerabili sono individuate secondo i criteri di cui all'allegato 7/A-I.
2. Ai fini della prima individuazione sono designate zone vulnerabili le aree elencate nell'allegato 7/A-III.
3. Entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, sulla base dei dati disponibili, e per quanto possibile sulla base delle
indicazioni stabilite nell'allegato 7/A-I, le regioni, sentita l'Autorit di bacino, possono individuare ulteriori zone vulnerabili ovvero,
all'interno delle zone indicate nell'allegato 7/A-III, le parti che non costituiscono zone vulnerabili.
4. Almeno ogni quattro anni le regioni, sentita l'Autorit di bacino, rivedono o completano le designazioni delle zone vulnerabili per
tener conto dei cambiamenti e fattori imprevisti al momento della precedente designazione. A tal fine le regioni predispongono e
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attuano, ogni quattro anni, un programma di controllo per verificare le concentrazioni dei nitrati nelle acque dolci per il periodo di un
anno, secondo le prescrizioni di cui all'allegato 7/A-I, nonch riesaminano lo stato eutrofico causato da azoto delle acque dolci
superficiali, delle acque di transizione e delle acque marine costiere.
5. Nelle zone individuate ai sensi dei commi 2, 3 e 4 devono essere attuati i programmi di azione di cui al comma 6, nonch le
prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Minisro per le politiche agricole in data 19.4.1999,
pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 102 del 4.5.1999.
6. Entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto per le zone designate ai sensi dei commi 2 e 3 ed entro un anno dalla data di
designazione per le ulteriori zone di cui al comma 4, le regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui all'allegato 7/A-IV,
definiscono ovvero rivedono, se gi posti in essere, programmi d'azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque
dall'inquinamento causato da nitrati di origine agricola, e provvedono alla loro attuazione nell'anno successivo per le zone vulnerabili
di cui ai commi 2 e 3 e nei successivi quattro anni per le zone di cui al comma 4.
7. Le regioni provvedono, inoltre, a:
a) integrare, se del caso, in relazione alle esigenze locali, il codice di buona pratica agricola, stabilendone le modalit di applicazione;
b) predisporre ed attuare interventi di formazione e di informazione degli agricoltori sul programma di azione e sul codice di buona
pratica agricola;
c) elaborare ed applicare entro quattro anni a decorrere dalla definizione o revisione dei programmi di cui al comma 6, i necessari
strumenti di controllo e verifica dell'efficacia dei programmi stessi sulla base dei risultati ottenuti; ove necessario, modificare o
integrare tali programmi individuando, tra le ulteriori misure possibili, quelle maggiormente efficaci, tenuto conto dei costi di
attuazione delle misure stesse.
8. Le variazioni apportate alle designazioni, i programmi di azione, i risultati delle verifiche dell'efficacia degli stessi e le revisioni
effettuate devono essere comunicati al Ministero dell'ambiente, secondo le modalit indicate nel decreto di cui all'articolo 3, comma 7.
Al Ministero per le politiche agricole data tempestiva notizia delle integrazioni apportate al codice di buona pratica agricola di cui al
comma 7, lettera a) nonch degli interventi di formazione e informazione.
9. Al fine di garantire un generale livello di protezione delle acque il codice di buona pratica agricola di raccomandata applicazione
al di fuori delle zone vulnerabili.

Art. 20 - Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari e altre zone vulnerabili.
1. Con le modalit previste dall'articolo 19 e sulla base delle indicazioni contenute nell'Allegato 7/B, le regioni identificano le aree di
cui all'articolo 5, comma 21, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, allo scopo di proteggere le risorse idriche o altri comparti
ambientali dall'inquinamento derivante dall'uso di prodotti fitosanitari.
2. Le regioni e le autorit di bacino verificano la presenza nel territorio di competenza di aree soggette o minacciate da fenomeni di
siccit, degrado del suolo e processi di desertificazione e le desig nano quali aree vulnerabili alla desertificazione.
3. Per le aree di cui al comma 2, nell'ambito della pianificazione di bacino e della sua attuazione, sono adottate specifiche misure di
tutela, secondo i criteri previsti nel Piano d'Azione Nazionale di cui alla delibera CIPE del 22 dicembre 1998, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale del 17 febbraio 1999 n.39.

Art. 21 -Disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano.
1. Su proposta delle autorit d'ambito, le regioni per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e
sotterranee destinate al consumo umano erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse,
nonch per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto,
nonch, all'interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda, le zone di protezione.
2. Per gli approvvigionamenti diversi da quelli di cui al comma 1, le autorit competenti impartiscono, caso per caso, le prescrizioni
necessarie per la conservazione, la tutela della risorsa e il controllo delle caratteristiche qualitative delle acque destinate al
consumo umano.
3. Per la gestione delle aree di salvaguardia si applicano le disposizioni dell'articolo 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e le
disposizioni dell'articolo 24 della stessa legge, anche per quanto riguarda eventuali indennizzi per le attivit preesistenti.
4. La zona di tutela assoluta costituita dall'area immediatamente circostante le captazioni o derivazioni: essa deve avere una
estensione in caso di acque sotterranee e, ove possibile per le acque superficiali, di almeno dieci metri di raggio dal punto di
captazione, deve essere adeguatamente protetta e adibita esclusivamente a opere di captazione o presa e ad infrastrutture di
servizio.
5. La zona di rispetto costituita dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli e
destinazioni d'uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata e pu essere suddivisa in zona di
rispetto ristretta e zona di rispetto allargata in relazione alla tipologia dell'opera di presa o captazione e alla situazione locale di
vulnerabilit e rischio della risorsa. In particolare nella zona di rispetto sono vietati l'insediamento dei seguenti centri di pericolo e
lo svolgimento delle seguenti attivit:
a) dispersione di fanghi e acque reflue, anche se depurati;
b) accumulo di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi;
c) spandimento di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi, salvo che l'impiego di tali sostanze sia effettuato sulla base delle
indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche
agronomiche impiegate e della vulnerabilit delle risorse idriche;
d) dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche proveniente da piazzali e strade;
e) aree cimiteriali;
f) apertura di cave che possono essere in connessione con la falda;
g) apertura di pozzi ad eccezione di quelli che estraggono acque destinate al consumo umano e di quelli finalizzati alla variazione
dell'estrazione ed alla protezione delle caratteristiche quali-quantitative della risorsa idrica;
h) gestione di rifiuti;
i) stoccaggio di prodotti ovvero sostanze chimiche pericolose e sostanze radioattive;
l) centri di raccolta, demolizione e rottamazione di autoveicoli;
m) pozzi perdenti;
n) pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli effluenti, al netto delle perdite
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di stoccaggio e distribuzione. comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta.
6. Per gli insediamenti o le attivit di cui al comma 5, preesistenti, ove possibile e comunque ad eccezione delle aree cimiteriali,
sono adottate le misure per il loro allontanamento: in ogni caso deve essere garantita la loro messa in sicurezza. Le regioni e le
province autonome disciplinano, all'interno delle zone di rispetto, le seguenti strutture od attivit:
a) fognature;
b) edilizia residenziale e relative opere di urbanizzazione;
c) opere viarie, ferroviarie e in genere infrastrutture di servizio;
d) le pratiche agronomiche e i contenuti dei piani di utilizzazione di cui alla lettera c) del comma 5.
7. In assenza dell'individuazione da parte della regione della zona di rispetto ai sensi del comma 1, la medesima ha un'estensione di
200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione.
8. Le zone di protezione devono essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni per assicurare la protezione del patrimonio
idrico. In esse si possono adottare misure relative alla destinazione del territorio interessato, limitazioni e prescrizioni per gli
insediamenti civili, produttivi, turistici, agroforestali e zootecnici da inserirsi negli strumenti urbanistici comunali, provinciali,
regionali, sia generali sia di settore.
9. Le regioni, al fine della protezione delle acque sotterranee, anche di quelle non ancora utilizzate per l'uso umano, individuano e
disciplinano, all'interno delle zone di protezione, le seguenti aree:
a) aree di ricarica della falda;
b) emergenze naturali ed artificiali della falda;
c) zone di riserva.

Capo II - Tutela quantitativa della risorsa e risparmio idrico.

Art. 22 - Pianificazione del bilancio idrico.
1. La tutela quantitativa della risorsa concorre al raggiungimento degli obiettivi di qualit attraverso una pianific azione delle
utilizzazioni delle acque volta ad evitare ripercussioni sulla qualit delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile.
2. Nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dall'Autoritdi bacino,
nel rispetto delle priorit della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilit, del minimo deflusso
vitale, della capacit di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa co mpatibili con le relative caratteristiche
qualitative e quantitative.
3. Le regioni definiscono, sulla base delle linee guida di cui al comma 4 e dei criteri adottati dai Comitati istituzionali delle autorit
di bacino, gli obblighi di installazione e manutenzione in regolare stato di funzionamento di idonei dispositivi per la misurazione
delle portate e dei volumi d'acqua pubblica derivati, in corrispondenza dei punti di prelievo e, ove presente, di restituzione, nonch
gli obblighi e le modalit di trasmi ssione dei risultati delle misurazioni all'Autorit concedente per il loro successivo inoltro alla
regione e alle Autorit di bacino competenti. Le Autorit di bacino provvedono a trasmettere i dati in proprio possesso all'Agenzia
nazionale per la protezione dell'ambiente secondo le modalit di cui all'articolo 3, comma 7.
4. Il Ministro dei lavori pubblici provvede entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente decreto a definire, di concerto con gli altri
Ministri competenti e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le regioni e le provincie autonome di Trent
e Bolzano, le linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento delle
utilizzazioni in atto e per la definizione del minimo deflusso vitale.
5. Salvo quanto previsto al comma 6, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore del presente
decreto sono regolate dall'Autorit concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi
idrici come previsto dall'articolo 3, comma 1, lettera i), della legge 18 maggio 1989, n. 183 e dall'articolo 3, comma 3, della legge 5
gennaio 1994, n. 36, senza che ci possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della Pubblica amministrazione, fatta
salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.
6. Per le finalit di cui ai commi 1 e 2 le autorit c oncedenti, a seguito del censimento di tutte le utilizzazioni in atto nel medesimo
corpo idrico provvedono, ove necessario, alla loro revisione, disponendo prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza che
ci possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del
canone demaniale di concessione.
6-bis. Nel provvedimento di concessione preferenziale, rilasciato ai sensi dell'articolo 4 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775,
sono previsti i rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici e le prescrizioni necessarie ad assicurare l'equilibrio
del bilancio idrico.

Art. 23 - Modifiche al Regio Decreto 11 di cembre 1933, n.1775.
1. Il secondo comma dell'articolo 7 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici approvato con regio
decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, introdotto dall'articolo 3 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275 sostituito dal seguente:
[....]
2. Il comma 1 dell'articolo 9 del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n.1775, cos come sostituito dall'articolo 4 del decreto legislativo 12
luglio 1993, n.275, sostituito dal seguente:
[....]
3. L'articolo 12-bis del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, introdotto dall'articolo 5 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n.
275, sostituito dal seguente: [....].
4. L'articolo 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sostituito dal seguente: [....].
5. E' soppresso il secondo comma dell'articolo 54 del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n.1775.
6. Fatta salva la normativa transitoria di attuazione dell'articolo 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, per le derivazioni o
utilizzazioni di acqua pubblica, in tutto o in parte abusivamente in atto, la sanzione di cui all'articolo 17, del regio decreto 11
dicembre 1933, n. 1775, come modificato dal presente articolo, ridotta ad un quinto qualora sia presentata la domanda in
sanatoria entro il 31 dicembre 2000. Non sono soggetti a tale adempimento n al pagamento della sanzione coloro che abbiano
presentato comunque domanda prima della data di entrata in vigore del presente decreto. La concessione in sanatoria rilasciata
nel rispetto della legislazione vigente e delle utenze regolarmente assentite. In pendenza del procedimento istruttorio della
concessione in sanatoria, l'utilizzazione pu proseguire, fermo restando l'obbligo del pagamento del canone per l'uso effettuato e il
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potere dell'autorit concedente di sospendere in qualsiasi momento l'utilizzazione qualora in contrasto con i diritti di terzi o con il
raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualit.
6-bis. I termini previsti dall'articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 18 febbraio 1999, n. 238, per la
presentazione delle domande di riconoscimento o di concessione preferenziale di cui all'articolo 4 del regio decreto 11 dicembre
1933, n. 1775, e dall'articolo 2 della legge 17 agosto 1999, n. 290, per le denunce dei pozzi, sono prorogati al 31 dicembre 2000. In
tali casi i canoni demaniali decorrono dal 10 agosto 1999.
7. Il primo comma dell'articolo 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dal comma 1 dell'articolo 29 della
legge 5 gennaio 1994, n. 36, sostituito dal seguente: [....].
8. Il comma 7 si applica anche alle concessioni di derivazione gi rilasciate. Qualora la scadenza di queste ultime, per effetto dello
stesso comma 7, risulti anticipata rispetto a quella originariamente fissata nel provvedimento di concessione, le relative derivazioni
possono continuare ad essere esercitate sino alla data di scadenza originaria, purch venga presentata domanda entro il 31
dicembre 2000, fatta salva l'applicazione di quanto previsto all'articolo 22, e sempre che alla prosecuzione della derivazione non
osti uno specifico motivo di interesse pubblico. Le piccole derivazioni ad uso idroelettrico di pertinenza dell'ENEL, per le quali
risulti decorso il termine di trenta anni fissato dal comma 7, sono prorogate per ulteriori trenta anni a far data dall'entrata in
vigore del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, previa presentazione della relativa domanda entro il 31 dicembre 2000. Le
regioni, anche su richiesta o parere dell'ente gestore qualora la concessione ricada in area protetta, ove si verifichino la mancanza
di presupposti di cui al comma 1 procedono, senza indennizzo, alla modifica delle condizioni fissate dal relativo disciplinare ai fini
di rendere compatibile il prelievo, ovvero alla revoca.
9. Dopo il terzo comma dell'articolo 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n.1775 inserito il seguente: [....]
9-bis. Fatta salva l'efficacia delle norme pi restrittive tutto il territorio nazionale assoggettato a tutela ai sensi dell'articolo 94 del
regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.
9-ter. Le regioni disciplinano i procedimenti di rilascio delle concessioni di derivazione di acque pubbliche nel rispetto delle
direttive sulla gestione del demanio idrico emanate, entro il 30 settembre 2000, ai sensi dell'articolo 88, comma 1, lettera p) del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 su proposta del Ministro dei lavori pubblici, nelle quali sono indicate anche le possibilit
di libero utilizzo di acque superficiali scolanti su suoli o in fossi di canali di propriet privata. Le regioni, sentite le Autorit di
bacino, disciplinano forme di regolazione dei prelievi delle acque sotterranee per gli usi domestici, come definiti dall'articolo 93 del
regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, laddove sia necessario garantire l'equilibrio del bilancio idrico di cui all'articolo 3 della
legge 5 gennaio 1994, n. 36.
9-quater. Il comma 2 dell'articolo 25 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, come modificato dall'articolo 28, comma 2, della legge 30
aprile 1999, n. 136, sostituito dal seguente: [....].
9-quinquies. Il comma 3 dell'articolo 25 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, abrogato.

Art. 24 - Acque minerali naturalie di sorgenti.
1. Le concessioni di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente sono rilasciate tenuto conto delle esigenze di
approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del piano di tutela.

Art. 25 - Risparmio idrico.
1. Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all'eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei
consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili.
2. Il comma 1 dell'articolo 5 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 sostituito dal seguente:
[....]
3. All'articolo 5 della legge 5 gennaio 1994, n. 36dopo il comma 1, inserito il seguente:
[....]
4. All'articolo 13, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, sono aggiunte, in fine, le parole seguenti:
[....]
5. Le regioni, sentita le autorit di bacino, approvano specifiche norme sul risparmio idrico in agricoltura, bas ato sulla pianificazione
degli usi, sulla corretta individuazione dei fabbisogni nel settore, e sui controlli degli effettivi emungimenti.

Art. 26 - Riutilizzo dell'acqua.
1. All'articolo 14 della legge 5 gennaio 1994, n.36, dopo il comma 4, ,in fine, aggiunto il seguente:
[....]
2. L'articolo 6 della legge 5 gennaio 1994, n.36, sostituito dal seguente:
[....]
3. Il decreto di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, come sostituito dal comma 1 del presente articolo,
emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
4. Con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell'ambiente e dell'industria, del commercio e
dell'artigianato e d'intesa la Conferenza Stato-regioni sono definite le modalit per l'applicazione della riduzione di canone prevista
dall'articolo 18, comma 1, lettere a) e d), della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

Capo III - Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi.

Art. 27 - Reti fognarie.
1. Gli agglomerati devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane:
a) entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000;
b) entro il 31 dicembre 2005 per quelli con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000.
2. Per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate "aree sensibili" gli agglomerati con oltre 10.000 abitanti
equivalenti devono essere provvisti di rete fognaria.
3. La progettazione, la costruzione e la manutenzione delle reti fognarie si effettuano adottando le tecniche migliori che non
comportino costi eccessivi, tenendo conto in particolare:
a) del volume e delle caratteristiche delle acque reflue urbane;
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b) della prevenzione di eventuali fuoriuscite;
c) della limitazione dell'inquinamento delle acque recipienti, dovuto a tracimazioni causate da piogge violente.
4. Per gli insediamenti, installazioni o edifici isolati che scaricano acque reflue domestiche le regioni identificano sistemi
individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati secondo i criteri di cui alla delibera indicata al comma 7 dell'articolo 62, che
raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento.

Art. 28 - Criteri generali della disciplina degli scarichi.
1. Tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualit dei corpi idrici e devono comunque rispettare i
valori limite di emissione previsti nell'allegato 5.
2. Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell'esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili, delle
migliori tecniche disponibili, definiscono i valori -limite di emissione, diversi da quelli di cui all'allegato 5, sia in concentrazione
massima ammissibile sia in quantit massima per unit di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di
sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limiti meno restrittivi di quelli fissati nell'allegato 5:
a) nella tabella 1 relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali;
b) nella tabella 2 relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti in aree sensibili;
c) nella tabella 3/A per i cicli produttivi ivi indicati;
d) nelle tabelle 3 e 4, per quelle sostanze indicate nella tabella 5 del medesimo allegato.
3. Gli scarichi devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell'autorit competente per il controllo nel punto
assunto per la misurazione. La misurazione degli scarichi, salvo quanto previsto al comma 3 dell'articolo 34, si intende effettuata
subito a monte del punto di immissione in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, nonch in fognature, sul suolo
e nel sottosuolo.
4. L'autorit competente per il controllo autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l'accertamento delle
condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa pu richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai
numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell'allegato 5, subiscano un trattamento particolare prima della
loro confluenza nello scarico generale.
5. I valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente
allo scopo. Non comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli
scarichi parziali di cui al comma 4, prima del trattamento degli scarichi parziali stessi per adeguarli ai limiti previsti dal presente
decreto. L'autorit competente, in sede di autorizzazione pu prescrivere che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio,
ovvero impiegate per la produzione di energia, sia separato dallo scarico terminale di ciascun stabilimento.
6. Qualora le acque prelevate da un corpo idrico superficiale presentino parametri con valori superiori ai valori-limite di emissione,
la disciplina dello scarico fissata in base alla natura delle alterazioni e agli obiettivi di qualit del corpo idrico ricettore, fermo
restando che le acque devono essere restituite con caratteristiche qualitative non peggiori di quelle prelevate e senza maggiorazioni
di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate.
7. Salvo quanto previsto dall'articolo 38, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque
reflue domestiche le acque reflue:
a) provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo o alla silvicoltura;
b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo
funzionalmente connesso con le attivit di allevamento e di coltivazione del fondo per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli
effluenti di allevamento prodotti per un anno da computare secondo le modalit di calcolo stabilite alla tabella 6 dell'allegato 5. Per
gli allevamenti esistenti il nuovo criterio di assimilabilit si applica a partire dal 13 giugno 2002;
c) provenienti da imprese dedite alle attivit di cui ai punti a) e b) che esercitano anche attivit di trasformazione o di valorizzazione
della produzione agricola, inserita con carattere di normalit e complementariet funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con
materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi esclusivamente dall'attivit di coltivazione dei fondi di cui si abbia a
qualunque titolo la disponibilit;
d) provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e si caratterizzino per una densit di
allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio d'acqua o in cui venga utilizzata una portata d'acqua pari o
inferiore a 50 litri al minuto secondo;
e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale.
8) Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e successivamente ogni due anni, le regioni trasmettono
all'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente le informazioni relative alla funzionalit dei depuratori, nonch allo
smaltimento dei relativi fanghi, secondo le modalit indicate nel decreto di cui all'articolo 3, comma 7.
9. Al fine di assicurare la pi ampia divulgazione delle informazioni sullo stato dell'ambiente le regioni pubblicano ogni due anni
una relazione sulle attivit di smaltimento delle acque reflue urbane nelle aree di loro competenza, secondo le modalit indicate nel
decreto di cui all'articolo 3, comma 7.
10. Le autorit competenti possono promuovere e stipulare accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati, al
fine di favorire il risparmio idrico, il riutilizzo delle acque di scarico e il recupero come materia prima dei fanghi di depurazione,
con la possibilit di ricorrere a strumenti economici, di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi e di fissare,
per le sostanze ritenute utili, limiti agli scarichi in deroga alla disciplina generale, nel rispetto comunque delle norme comunitarie e
delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualit.

Art. 29 - Scarichi sul suolo.
1. E' vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo fatta eccezione:
a) per i casi previsti dall'articolo 27, comma 4;
b) per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie;
c) per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l'impossibilit tecnica o l'eccessiva onerosit a fronte dei
benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purch gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di
emissione fissati a tal fine dalle regioni ai sensi dell'articolo 28, comma 2. Sino all'emanazione di nuove norme regionali si applicano i
valori limite di emissione della tabella 4 dell'allegato 5.
d) per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonch dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali,
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purch i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde
acquifere o instabilit dei suoli.
e) Per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate.
2. Al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli scarichi sul suolo esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto,
devono, entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, essere convogliati in corpi idrici superficiali, in reti
fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformit alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all'articolo 6, comma 1, della legge
5 gennaio 1994, n. 36, cos come sostituito dell'articolo 26, comma 2. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati,
l'autorizzazione allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata.
3. Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, devono conformarsi ai
limiti della tabella 4 dell'allegato 5 entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Sino a tale data devono essere
rispettati i limiti fissati dalle normative regionali vigenti o, in mancanza di questi, i limiti della tabella 3 dell'allegato 5. Resta
comunque fermo il divieto di scarico sul suolo delle sostanze indicate al punto 2.1 dell'allegato 5.

Art. 30 - Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee.
1. E' vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.
2. In deroga a quanto previsto al comma 1 l'autorit compe tente, dopo indagine preventiva, pu autorizzare gli scarichi nella stessa
falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di
determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico.
3. In deroga a quanto previsto dal comma 1 il ministero dell'ambiente per i giacimenti a mare e le regioni per i giacimenti a terra
possono altres autorizzare lo scarico di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unit geologiche profonde da cui gli stessi
idrocarburi sono stati estratti ovvero in unit dotate delle stesse caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto idrocarburi,
indicando le modalit dello scarico. Lo scarico non deve co ntenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualit
e quantit, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle
precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri
ecosistemi.
4. Per le perforazioni in mare con le quali svolta attivit di prospezione, ricerca e coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi
o gassosi, lo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalit previste dal decreto 28 luglio 1994 del Ministro
dell'ambiente, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 16 agosto 1994, e successive modifiche, purch la concentrazione di oli
minerali sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione in unit
geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non pi produttivi, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto ai
commi 2 e 3.
5. Lo scarico diretto in mare delle acque di cui al comma 4, autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a
verificare l'assenza di pericoli per le acque e per gli ecosistemi acquatici.
6. Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3, 4 e 5, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente
autorizzati alla data di entrata in vigore del presente decreto, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove
possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso
di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l'autorizzazione allo scarico a tutti gli effetti revocata.

Art. 31 - Scarichi in acque superficiali.
1. Gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali devono rispettare i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell'articolo
28, commi 1 e 2 in funzione del perseguimento degli obiettivi di qualit.
2. Gli scarichi di acque reflue urbane che confluiscono nelle reti fognarie, provenienti da agglomerati con meno di 2.000 abitanti
equivalenti e recapitanti in acque dolci ed in acque di transizione e gli scarichi provenienti da agglomerati con meno di 10.000 abitanti
equivalenti, recapitanti in acque marino-costiere, sono sottoposti ad un trattamento appropriato, in conformit con le indicazioni
dell'allegato 5, entro il 31 dicembre 2005.
3. Le acque reflue urbane devono essere sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente
in conformit con le indicazioni dell'allegato 5 e secondo le cadenze temporali seguenti:
a) entro il 31 dicembre 2000 per gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15.000 abitanti equivalenti;
b) entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10.000 e
15.000;
c) entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi in acque dolci ed in acque di transizione, provenienti da agglomerati con un numero di
abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 10.000.
4. Gli scarichi previsti al comma 3 devono rispettare, altres , i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell'articolo 28, commi 1 e 2.
5. Le regioni dettano specifica disciplina per gli scarichi di reti fognarie provenienti da agglomerati a forte fluttuazione stagionale degli
abitanti, tenuto conto di quanto disposto ai commi 2 e 3 e fermo restando il conseguimento degli obiettivi di qualit.
6. Gli scarichi di acque reflue urbane in acque situate in zone d'alta montagna, al di sopra dei 1.500 metri sul livello del mare, dove a
causa delle basse temperature difficile effettuare un trattamento biologico efficace, possono essere sottoposti ad un trattamento meno
spinto di quello previsto al comma 3, purch studi dettagliati comprovino che essi non avranno ripercussioni negative sull'ambiente.

Art. 32 - Scarichi di acque reflue urbane in corpi idrici ricadenti in aree sensibili.
1. Ferme restando le disposizioni dell'articolo 28, commi 1 e 2, le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con oltre 10.000
abitanti equivalenti, che scaricano in acque recipienti individuate quali aree sensibili, devono essere sottoposte ad un trattamento pi
spinto di quello previsto dall'articolo 31 comma 3, secondo i requisiti specifici indicati nell'allegato 5.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nelle aree sensibili in cui pu essere dimostrato che la percentuale minima di
riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane pari almeno al 75% per il
fosforo totale ovvero per almeno il 75% per l'azoto totale.
3. Le regioni individuano, tra gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane situati all'interno dei
bacini drenanti afferenti alle aree sensibili, quelli che, contribuendo all'inquinamento di tali aree, sono da assoggettare al trattamento di
cui ai commi 1 e 2 in funzione del raggiungimento dell'obiettivo di qualit dei corpi idrici ricettori.

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Art. 33 - Scarichi in reti fognarie.
1. Ferma restando l'inderogabilit dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3/A e, limitatamente ai parametri di cui alla nota
2 della tabella 5 dell'allegato 5, alla tabella 3 gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie sono sottoposti
alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e ai valori-limite adottati dal gestore del servizio idrico integrato e approvati
dall'amministrazione pubblica responsabile in base alle caratteristiche dell'impianto e in modo che sia assicurato il rispetto della
disciplina degli scarichi di acque reflue urbane definita ai sensi dell'articolo 28, commi 1 e 2.
2. Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purch osservino i regolamenti
emanati dal gestore del servizio idrico integrato.
3. Non ammesso lo smaltimento dei rifiuti anche se triturati, in fognatura.

Art. 34 - Scarichi di sostanze pericolose.
1. Le disposizioni relative agli scarichi di sostanze pericolose si applicano agli stabilimenti nei quali si svolgono attivit che
comportano la produzione, la trasformazione o l'utilizzazione delle sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell'allegato 5 e nei cui
scarichi se accertata la presenza di tali sostanze in quantit o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilit delle metodiche di
rilevamento in essere all'entrata in vigore del presente decreto o degli aggiornamenti messi a punto ai sensi del punto 4
dell'allegato 5.
2. Tenendo conto della tossicit, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell'ambiente in cui
effettuato lo scarico, l'autorit competente in sede di rilascio dell'autorizzazione pu fissare, in particolari situazioni di accertato
pericolo per l'ambiente anche per la coopresenza di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione pi restrittivi di
quelli fissati ai sensi dell'articolo 28, commi 1 e 2.
3. Per le sostanze di cui alla tabella 3/A dell'allegato 5, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella, le
autorizzazioni stabiliscono altres la quantit massima della sostanza espressa in unit di peso per unit di elemento caratteristico
dell'attivit inquinante e cio per materia prima o per unit di prodotto, in conformit con quanto indicato nella stessa tabella.
4. Per le acque reflue industriali contenenti le sostanze della tabella 5 dell'allegato 5, il punto di misurazione dello scarico si
intende fissato subito dopo l'uscita dallo stabilimento o dall'impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L'autorit
competente pu richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 dell'allegato 5 siano tenuti separati dallo
scarico generale e disciplinati come rifiuti, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche e
integrazioni. Qualora, nel caso di cui all'articolo 45, comma 2, secondo periodo, l'impianto di trattamento di acque reflue
industriali che tratta le sostanze pericolose di cui alla tabella 5 dell'allegato 5, riceva scarichi provenienti da altri stabilimenti o
scarichi di acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad una modifica o riduzione delle sostanze pericolose, in sede
di autorizzazione l'autorit competente dovr ridurre opportunamente i valori limite di emissione indicati nella tabella 3
dell'allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla
miscelazione dei diversi scarichi.
5. L'autorit che rilascia l'autorizzazione per le sostanze di cui alla tabella 3/A dell'allegato 5 derivanti dai cicli produttivi indicati
nella stessa tabella, redige un elenco delle autorizzazioni rilasciate, degli scarichi e dei controlli effettuati, ai fini del successivo
inoltro alla Commissione europea.

Capo IV - Ulteriori misure per la tutela dei corpi idrici.

Art. 35 - Immersione in mare di materiale derivante da attivit di escavo e attivit di posa in mare di cavi e condotte.
1. Al fine della tutela dell'ambiente marino ed in conformit alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia,
consentita l'immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso
contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti:
a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;
b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilit ambientale e
l'innocuit;
c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l'attivit di pesca effettuata in mare o laguna o stagni
salmastri.
2. L'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a), rilasciato dall'autorit competente solo
quando dimostrata, nell'ambito dell'istruttoria, l'impossibilit tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di
recupero ovvero lo smaltimento alternativo in conformit alle modalit stabilite con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto
con i Ministri dei lavori pubblici, dei trasporti e della navigazione, per le politiche agricole e forestali nonch dell'industria, del
commercio e dell'artigianato, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. L'immersione in mare di materiale di cui al comma 1, lettera b), soggetta ad autorizzazione , con esclusione dei nuovi manufatti
soggetti alla valutazione di impatto ambientale. Per le opere di ripristino, che non comportino aumento della cubatura delle opere
preesistenti, dovuta la sola comunicazione all'autorit competente.
4. L'immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera c), non soggetta ad autorizzazione.
5. La movimentazione dei fondali marini derivante dall'attivit di posa in mare di cavi e condotte soggetta ad autorizzazione
regionale rilasciata, in conformit alle modalit tecniche stabilite con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri
dell'industria, del commercio e dell'artigianato e dei lavori pubblici per quanto di competenza, da emanarsi entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Qualora la movimentazione abbia carattere internazionale, l'autorizzazione
rilasciata dal Ministero dell'ambiente sentite le regioni interessate.

Art. 36 -Trattamento di rifiuti presso impianti di trattamento delle acque reflue urbane.
1. Salvo quanto previsto ai commi 2 e 3 vietato l'utilizzo degli impianti di trattamento di acque reflue urbane per lo smaltimento di
rifiuti.
2. In deroga al comma 1, l'autorit competente ai sensi del decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22, in relazione a particolari
esigenze e nei limiti della capacit residua di trattamento pu autorizzare il gestore del servizio idrico integrato a smaltire
nell'impianto di trattamento di acque reflue urbane rifiuti liquidi limitatamente alle tipologie compatibili con il processo di
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depurazione.
3. Il gestore del servizio idrico integrato, previa comunicazione all'autorit competente ai sensi dell'articolo 45 , comunque,
autorizzato ad accettare in impianti con caratteristiche e capacit depurative adeguate che rispettino i valori limite di cui
all'articolo 28, commi 1 e 2 e purch provenienti dal medesimo ambito ottimale di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36:
a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura;
b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche
previsti ai sensi del comma 4 dell'articolo 27;
c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonch quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle
acque reflue urbane, nei quali l'ulteriore trattamento dei medesimi risulti tecnicamente o economicamente irrealizzabile.
4. L'attivit di cui ai commi 2 e 3 pu essere consentita purch non sia compromesso il riutilizzo delle acque reflue e dei fanghi.
5. Nella comunicazione prevista al comma 3 il gestore del servizio idrico integrato deve indicare la capacit residua dell'impianto e
le caratteristiche e quantit dei rifiuti che intende trattare. L'autorit competente pu indicare quantit diverse o vietare il
trattamento di specifiche categorie di rifiuti. L'autorit competente provvede altres all'iscrizione in appositi elenchi dei gestori di
impianti di trattamento che hanno effettuato la comunicazione di cui al comma 3.
6. Allo smaltimento dei rifiuti di cui al comma 3, si applica la tariffa prevista per il servizio di depurazione di cui all'articolo 14
della legge 5 gennaio 1994, n. 36.
7. Il produttore dei rifiuti di cui al comma 2 e 3 ed il trasportatore dei rifiuti sono tenuti al rispetto della normativa in materia di
rifiuti prevista dal decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni, fatta eccezione per il
produttore dei rifiuti di cui al comma 3, lettera b), che tenuto al rispetto dei soli obblighi di cui all'articolo 10 del medesimo
decreto. Il gestore del servizio idrico integrato che, ai sensi dei precedenti commi 3 e 5, tratta rifiuti soggetto ai soli obblighi di cui
all'articolo 12 del decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22.

Art. 37 - Impianti di acquacoltura e piscicoltura.
1. Con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri per le politiche agricole, dei lavori pubblici, dell'industria, del
commercio e dell'artigianato, della sanit e, previa intesa con Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
provincie autonome di Trento e Bolzano, sono individuati i criteri relativi al contenimento dell'impatto sull'ambiente derivante dalle
attivit di acquacoltura e di piscicoltura.

Art. 38 - Utilizzazione agronomica .
1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 19 per le zone vulnerabili e dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372, per gli
impianti di allevamento intensivo di cui al punto 6.6 dell'allegato 1 al predetto decreto, l'utilizzazione agronomica degli effluenti di
allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, sulla base di quanto previsto dalla legge 11 novembre 1996, n. 574,
nonch dalle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all'articolo 28, comma 7, lettere a), b) e c) e da altre piccole aziende
agroalimentari ad esse assimilate, cos come individuate in base al decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali di cui al
comma 2, soggetta a comunicazione all'autorit competente di cui all'articolo 3, commi 1 e 2 del presente decreto, fatti salvi i casi
di esonero di cui al comma 3, lettera b).
2. Le regioni disciplinano le attivit di utilizzazione agronomica di cui al comma 1 sulla base dei criteri e delle norme tecniche
generali adottati con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con i Ministri dell'ambiente, dell'industria,
del commercio e dell'artigianato, della sanit e dei lavori pubblici, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del predetto
decreto ministeriale, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati ed in particolare il
raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualit di cui al presente decreto.
3. Nell'ambito della normativa di cui al comma 2, sono disciplinati in particolare:
a) le modalit di attuazione degli articoli 3, 5, 6 e 9 della legge 11 novembre 1996, n. 574;
b) i tempi e le modalit di effettuazione della comunicazione, prevedendo procedure semplificate, nonch specifici casi di esonero
dall'obbligo di comunicazione per le attivit di minor impatto ambientale;
c) le norme tecniche di effettuazione delle operazioni di utilizzo agronomico;
d) i criteri e le procedure di controllo, ivi compresi quelle inerenti l'imposizione di prescrizioni da parte dell'autorit competente, il
divieto di esercizio ovvero la sospensione a tempo determinato dell'attivit di cui al comma 1 nel caso di mancata comunicazione o
mancato rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni impartite;
e) le sanzioni amministrative pecuniarie, fermo restando quanto disposto dall'articolo 59, comma 11-ter.

Art. 39 -Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia.
1. Ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni disciplinano:
a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;
b) i casi in cui pu essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte
separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione.
2. Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma precedente non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dal
presente decreto.
3. Le regioni disciplinano altres i casi in cui pu essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne
siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolare ipotesi nelle quali, in relazione alle attivit
svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano
pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualit dei corpi idrici.
4. comunque vietato lo scarico o l'immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee.

Art. 40 - Dighe.
1. Le regioni adottano apposita disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi
irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonch delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed
estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualit di cui al Titolo II.
2. Al fine di assicurare il mantenimento della capacit di invaso e la salvaguardia sia della qualit dell'acqua invasata, sia del corpo
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recettore, le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento delle dighe sono effettuate sulla base di un progetto di gestione di
ciascun impianto. Il progetto di gestione finalizzato a definire sia il quadro previsionale di dette operazioni connesse con le attivit di
manutenzione da eseguire sull'impianto sia le misure di prevenzione e tutela del corpo ricettore, dell'ecosistema acquatico, delle attivit
di pesca e delle risorse idriche invasate e rilasciate a valle dello sbarramento durante le operazioni stesse.
3. Il progetto di gestione individua altres eventuali modalit di manovra degli organi di scarico, anche al fine di assicurare la tutela del
corpo ricettore. Restano valide in ogni caso le disposizioni fissate tal decreto del Presidente della Repubblica 1 novembre 1959, n.
1363, volte a garantire la sicurezza di persone e cose.
4. Il progetto di gestione di cui al comma 2, predisposto dal gestore sulla base dei criteri fissati con decreto del Ministro dei lavori
pubblici e del Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri dell'industria del commercio e dell'artigianato e con quello per le
politiche agricole, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e
di Bolzano, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
5. Il progetto di gestione approvato dalle regioni, con eventuali prescrizioni, entro sei mesi dalla sua presentazione, sentiti, ove
necessario, gli enti gestori delle aree protette direttamente interessate; trasmesso al Registro italiano dighe per l'inserimento come
parte integrante del foglio condizioni per l'esercizio e la manutenzione di cui all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica
1 novembre 1959, n.1363, e relative disposizioni di attuazione. Il progetto di gestione si intende approvato e diviene operativo
trascorsi sei mesi dalla data di presentazione senza che sia intervenuta alcuna pronuncia da parte della regione competente, fermo
restando il potere di tali enti di dettare eventuali prescrizioni, anche trascorso tale termine.
6. Con l'approvazione del progetto il gestore autorizzato ad eseguire le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento in
conformit ai limiti indicati nel progetto stesso e alle relative prescrizioni.
7. Nella definizione dei canoni di concessione di inerti ai sensi dell'articolo 89, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo
1998, n.112, le amministrazioni determinano specifiche modalit ed importi per favorire lo sghiaiamento e sfangamento degli invasi
per asport o meccanico.
8. I gestori degli invasi esistenti sono tenuti a presentare il progetto di cui al comma 2 entro sei mesi dall'emanazione del decreto di cui
al comma 4. Fino all'approvazione o alla operativit del progetto di gestione, e comunque non oltre dodici mesi dalla data di entrata in
vigore del decreto di cui al comma 4, le operazioni periodiche di manovre prescritte ai sensi dell'articolo 17 del decreto del Presidente
della Repubblica 1 novembre 1959 n. 1363 volte a controllare la funzionalit degli organi di scarico, sono svolte in conformit ai fogli
di condizione per l'esercizio e la manutenzione.
9. Le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento degli invasi non devono pregiudicare gli usi in atto a valle dell'invaso, n il
rispetto degli obiettivi di qualit ambientale e degli obiettivi di qualit per specifica destinazione.

Art. 41 - Tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici.
1. Ferme restando le disposizioni di cui al Capo VII del Regio Decreto 25 luglio 1904, n. 523, al fine di assicurare il mantenimento o il
ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici, con funzioni di filtro per i solidi sospesi e
gli inquinanti di origine diffusa, di stabilizzazione delle sponde e di conservazione della biodiversit da contemperarsi con le esigenze
di funzionalit dell'alveo, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni disciplinano gli interventi di
trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e
lagune comunque vietando la copertura dei corsi d'acqua, che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumit e la
realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti.
2. Gli interventi di cui al comma 1 sono comunque soggetti all'autorizzazione prevista dal Regio Decreto 25 luglio 1904, n. 523, salvo
quanto previsto per gli interventi a salvaguardia della pubblica incolumit.
3. Per garantire le finalit di cui al comma 1, le aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque possono essere date
in concessione allo scopo di destinarle a riserve naturali, a parchi fluviali o lacuali o comunque a interventi di ripristino e recupero
ambientale. Qualora le aree demaniali siano gi comprese in aree naturali protette statali o regionali inserite nell'elenco ufficiale di cui
all'articolo 3, comma 4, lettera c) della legge 6 dicembre 1991, n. 394, la concessione gratuita.
4. Le aree del demanio fluviale di nuova formazione ai sensi della legge 5 gennaio 1994, n. 37, non possono essere oggetto di
sdemanializzazione.

TITOLO IV - STRUMENTI DI TUTELA.

Capo I - Piani di tutela delle acque.

Art. 42 - Rilevamento delle caratteristiche del bacino idrografico ed analisi dell'impatto esercitato dall'attivit antropica.
1. Al fine di garantire l'acquisizione delle informazioni necessarie alla redazione del piano di tutela, le regioni provvedono ad elaborare
programmi di rilevamento dei dati utili a descrivere le caratteristiche del bacino idrografico e a valutare l'impatto antropico esercitato
sul medesimo.
2. I programmi di cui al comma 1 sono adottati in conformit alle indicazioni di cui all'allegato 3 e sono resi operat ivi entro il 31
dicembre 2000 e sono aggiornati ogni sei anni.
3. Nell'espletamento dell'attivit conoscitiva di cui al comma 1, le amministrazioni sono tenute ad utilizzare i dati e le informazioni gi
acquisite, con particolare riguardo a quelle preordinate alla redazione dei piani di risanamento delle acque di cui alla legge 10 maggio
1976, n. 319 nonch a quelle previste dalla legge 18 maggio 1989, n.183.

Art. 43 - Rilevamento dello stato di qualit dei corpi idrici.
1. Le regioni elaborano programmi per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e
sotterranee all'interno di ciascun bacino idrografico.
2. I programmi di cui al comma 1 sono adottati in conformit alle indicazioni di cui agli allegato 1 e r esi operativi entro il 31 dicembre
2000. Tali programmi devono devono essere integrati con quelli gi esistenti per gli obiettivi a specifica destinazione stabiliti in
conformit all'allegato 2.
3. Al fine di evitare sovrapposizioni e di garantire il flusso delle informazioni raccolte e la loro compatibilit col Sistema informativo
nazionale dell'ambiente, nell'esercizio delle rispettive competenze, le regioni possono promuovere accordi di programma con le
strutture definite ai sensi dell'articolo 92 del decreto legislativo del 31 marzo 1998 n. 112, con l'Agenzia nazionale per la protezione
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dell'ambiente, le agenzie regionali e provinciali dell'ambiente, le provincie, le autorit d'ambito, i consorzi di bonifica e gli altri enti
pubblici interessati. Nei programmi devono essere definite altres le modalit di standardizzazione dei dati e di interscambio delle
informazioni.

Art. 44 - Piani di tutela delle acque.
1. Il piano di tutela delle acque costituisce un piano stralcio di settore del piano di bacino ai sensi dell'articolo 17, comma 6 ter, della
legge 18 maggio 1989, n. 183, ed articolato secondo le specifiche indicate nell'allegato 4.
2. Entro il 31 dicembre 2001 le autorit di bacino di rilievo nazionale ed interregionale, sentite le provincie e le autoritd'ambito,
definiscono gli obiettivi su scala di bacino, cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonch le priorit degli interventi. Entro il
31 dicembre 2003, le regioni, sentite le provincie e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il piano di tutela
delle acque e lo trasmettono alle competenti autorit di bacino.
3. Il piano di tutela contiene, oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui al presente
decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.
4. A tal fine il piano di tutela contiene in particolare:
a) i risultati dell'attivit conoscitiva;
b) l'individuazione degli obiettivi di qualit ambientale e per specifica destinazione;
c) l'elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di
risanamento;
d) le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico;
e) l'indicazione della cadenza temporale degli interventi e delle relative priorit;
f) il programma di verifica dell'efficacia degli interventi previsti;
g) gli interventi di bonifica dei corpi idrici; 5. Entro 60 giorni dalla trasmissione del piano di cui al comma 2 le autorit di bacino
nazionali o interregionali verificano la conformit del piano agli obiettivi e alle priorit del comma 2 esprimendo parere vincolante. Il
piano di tutela approvato dalle regioni entro i successivi sei mesi e comunque non oltre il 31 dicembre 2004.
6. Per i bacini regionali le regioni approvano il piano entro sei mesi dall'adozione e comunque non oltre il 31 dicembre 2004.

Capo II - Autorizzazione agli scarichi.

Art. 45 - Criteri generali.
1. Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati.
2. L'autorizzazione rilasciata al titolare dell'attivit da cui origina lo scarico. Ove tra pi stabilimenti sia costituito un consorzio per
l'effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attivit dei consorziati, l'autorizzazione rilasciata in capo
al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilit dei singoli consorziati e del gestore del relativo impianto di depurazione in
caso di violazione delle disposizioni del pres ente decreto. Si applica l'art.62 comma 11, secondo periodo, del presente decreto.
3. Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle
acque reflue urbane, definito dalle regioni nell'ambito della disciplina di cui all'articolo 28, commi 1 e 2.
4. In deroga al comma 1 gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell'osservanza dei
regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato.
5. Le regioni disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il
tempo necessario al loro avvio.
6. Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione presentata alla provincia ovvero al comune se lo scarico in
pubblica fognatura. L'autorit competente provvede entro novanta giorni dalla recezione della domanda.
7. Salvo quanto previsto dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372, l'autorizzazione valida per quattro anni dal momento del
rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere chiesto il rinnovo. Lo scarico pu essere provvisoriamente mantenuto in
funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento, se
la domanda di rinnovo stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all'articolo 34, il
rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza; trascorso inutilmente tale termine,
lo scarico dovr cessare immediatamente. La disciplina regionale di cui al comma 3 pu prevedere per specifiche tipologie di
scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima.
8. Per gli scarichi in un corso d'acqua che ha portata naturale nulla per oltre 120 giorni ovvero in un corpo idrico non significativo,
l'autorizzazione tiene conto del periodo di portata nulla e della capacit di diluizione del corpo idrico e stabilisce prescrizioni e limiti al
fine di garantire le capacit autodepurative del corpo ricettore e la difesa delle acque sotterranee.
9. In relazione alle caratteristiche tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell'ambiente interessato,
l'autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni tecniche volte a garantire che gli scarichi, ivi comprese le operazioni ad esso
funzionalmente connesse, siano effettuati in conformit alle disposiz ioni del presente decreto e senza pregiudizio per il corpo ricettore,
per la salute pubblica e l'ambiente.
10. Le spese occorrenti per effettuare i rilievi, gli accertamenti, i controlli e i sopralluoghi necessari per l'istruttoria delle domande
d'autorizzazione previste dal presente decreto sono a carico del richiedente. L'autorit competente determina, in via provvisoria, la
somma che il richiedente tenuto a versare, a titolo di deposito, quale condizione di procedibilit della domanda. L'autorit stess a,
completata l'istruttoria, provvede alla liquidazione definitiva delle spese sostenute.
11. Per gli insediamenti, edifici o installazioni la cui attivit sia trasferita in altro luogo ovvero per quelli soggetti a diversa
destinazione, ad ampliamento o a ristrutturazione da cui derivi uno scarico avente caratteristiche qualitativamente o
quantitativamente diverse da quelle dello scarico preesistente deve essere richiesta una nuova autorizzazione allo scarico, ove
prevista. Nelle ipotesi in cui lo scarico non abbia caratteristiche qualitative o quantitative diverse, deve essere data comunicazione
all'Autorit competente, la quale, verificata la compatibilit dello scarico con il corpo recettore, pu adottare i provvedimenti che si
rendessero eventualmente necessari.

Art. 46 - Domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali.
1. La domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali deve essere accompagnata dall'indicazione delle
caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico, della quantit di acqua da prelevare nell'anno solare, del corpo ricettore
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e del punto previsto per il prelievo al fine del controllo, dalla descrizione del sistema complessivo di scarico, ivi comprese le
operazioni ad esso funzionalmente connesse, dall'eventuale sistema di misurazione del flusso degli scarichi, ove richiesto, dalla
indicazione dei mezzi tecnici impiegati nel processo produttivo e nei sistemi di scarico, nonch dall'indicazione dei sistemi di
depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori limite di emissione.
2. Nel caso di scarichi di sostanze di cui alla tabella 3/A dell'allegato 5 derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella
3/A, la domanda di cui al comma 1 deve altres indicare:
a) la capacit di produzione del singolo stabilimento industriale che comporta la produzione ovvero la trasformazione ovvero
l'utilizzazione delle sostanze di cui alla medesima tabella ovvero alla presenza di tali sostanze nello scarico. La capacit di
produzione deve essere indicata con riferimento alla massima capacit oraria moltiplicata per il numero massimo di ore lavorative
giornaliere e per il numero massimo di giorni lavorativi;
b) il fabbisogno orario di acque per ogni specifico processo produttivo.

Art. 47 - Approvazione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane.
1. Salve le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, le regioni disciplinano le modalit di approvazione dei
progetti degli impianti di depurazione di acque reflue urbane che tengono conto dei criteri di cui all'allegato 5 e della
corrispondenza tra la capacit dell'impianto e le esigenze delle aree asservite, nonch delle modalit delle gestioni che devono
assicurare il rispetto dei valori limite degli scarichi, e definiscono le relative fasi di autorizzazione provvisoria necessaria
all'avvio dell'impianto ovvero in caso di realizzazione per lotti funzionali.

Art. 48 - Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue.
1. Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 e successive modifiche, i fanghi derivanti dal
trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ci
risulti appropriato.
2. E' comunque vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.
3. Lo smaltimento dei fanghi nelle acque marine mediante immersione da nave, scarico attraverso condotte ovvero altri mezzi
autorizzato ai sensi dell'articolo 18, comma 2, lettera p-bis) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e deve comunque
cessare entro il 2003. Fino a tale data le quantit totali di materie tossiche, persistenti ovvero bioaccumulabili, devono essere
progressivamente ridotte. In ogni caso le modalit di smaltimento devono rendere minimo l'impatto negativo sull'ambiente.

Capo III - Controllo degli scarichi.

Art. 49 - Soggetti tenuti al controllo.
1. L'autorit competente effettua il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso,
effettivo ed imparziale sistema di controlli preventivi e successivi.
2. Fermo restando quanto stabilito al comma 1, per gli scarichi in pubblica fognatura l'ente gestore, ai sensi dell'articolo 26
della legge 5 gennaio 1994, n. 36, organizza un adeguato servizio di controllo secondo le modalit previste nella convenzione di
gestione.

Art. 50 - Accessi ed ispezioni.
1. Il soggetto incaricato del controllo autorizzato a effettuare le ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all'accertamento del
rispetto dei valori limite di emissione, delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e delle
condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Il titolare dello scarico tenuto a fornire le informazioni richieste e a
consentire l'accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico.

Art. 51 - Inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione allo scarico.
1. Ferma restando l'applicazione delle norme sanzionatorie di cui al Titolo V, in caso di inosservanza delle prescrizioni
dell'autorizzazione allo scarico, l'autorit competente procede, secondo la gravit dell'infrazione:
a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarit;
b) alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestano situazioni di pericolo per
la salute pubblica e per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate
violazioni che determinano situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente.

Art. 52 - Controllo degli scarichi di sostanze pericolose.
1. Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alla tabella 5 dell'allegato 5 l'autorit competente nel rilasciare l'autorizzazione pu
prescrivere, a carico del titolare, l'installazione di strumenti di controllo in automatico, nonch le modalit di gestione degli stessi e
di conservazione dei relativi risultati, che devono rimanere a disposizione dell'autorit competente al controllo per un periodo non
inferiore a tre anni dalla data di effettuazione dei singoli controlli.

Art. 53 - Interventi sostitutivi.
1. Nel caso in cui non vengano effettuati i controlli ambientali previsti dal presente decreto, il Ministro dell'ambiente diffida la
regione a provvedere nel termine di sei mesi ovvero nel termine imposto dalle esigenze di tutela sanitaria e ambientale. In caso
di persistente i nadempienza provvede il Ministro dell'ambiente, previa delibera del Consiglio dei ministri, in via sostitutiva,
con oneri a carico dell'Ente inadempiente.
2. Nell'esercizio dei poteri sostitutivi, il Ministro dell'ambiente nomina un commissario ad acta che pone in essere gli atti
necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente a carico delle regioni al fine dell'organizzazione del sistema dei
controlli.


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TITOLO V - SANZIONI

Capo I - Sanzioni amministrative e danno ambientale

Art. 54 - Sanzioni amministrative.
1. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell'effettuazione di uno scarico supera i valori limite di emissione fissati nelle
tabelle di cui all'allegato 5, ovvero i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell'articolo 28, comma 2, ovvero quelli
fissati dall'autorit competente a norma dell'articolo 33, comma 1 o dell'articolo 34, comma 1, punito con la sanzione
amministrativa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se l'inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle
aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all'articolo 21 ovvero in corpi idrici posti nelle aree
protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a lire trenta milioni.
2. Chiunque apre o comunque effettua scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti
pubblici di depurazione, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 45, ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi
dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, punito con la sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento
milioni. Nell'ipotesi di scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo la sanzione da uno a cinque milioni.
3. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato e al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1, effettua o mantiene uno scarico senza
osservare le prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione ovvero fissate ai sensi dell'articolo 33, comma 1, punito con
la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire venticinque milioni.
4. Si applica la sanzione prevista al comma 3 a chi effettuando al momento dell'entrata in vigore del presente decreto scarichi di
acque reflue esistenti, non ottempera alle disposizioni di cui all'articolo 62, comma 12.
5. [....]
6. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, effettua l'immersione in mare dei materiali indicati all'articolo 35, comma 1,
lettere a) e b), ovvero svolge l'attivit di posa in mare cui al comma 5 dello stesso articolo, senza autorizzazione, punito con la
sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire venti milioni.
7. Salvo che il fatto non costituisca reato, fino all'emanazione della disciplina regionale di cui all'articolo 38, comma 2, chiunque
non osserva le disposizioni di cui all'articolo 62, comma 10, punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione
a lire dieci milioni.
8. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato non osserva il divieto di smaltimento dei fanghi previsto dall'articolo 48, comma
2, punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire dieci milioni a lire cento milioni.
9. [....]
10. Salvo che i l fatto non costituisca reato, punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinque milioni a lire
cinquanta milioni, chiunque:
a) nell'effettuazione delle operazioni di svaso, sghiaiamento o sfangamento delle dighe, supera i limiti o non osserva le altre
prescrizioni contenute nello specifico progetto di gestione dell'impianto di cui all'articolo 40, comma 2;
b) effettua le medesime operazioni prima dell'approvazione del progetto di gestione.
10-bis. Chiunque viola le prescrizioni concernenti l'installazione e la manutenzione dei dispositivi per la misurazione delle portate e
dei volumi ovvero l'obbligo di trasmissione dei risultati delle misurazioni di cui al comma 3 dell'articolo 22 punito con la sanzione
amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire dieci milioni. Nei casi di particolare tenuit la sanzione ridotta ad un quinto.
10-ter. Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'articolo 39, comma 1, lettera b), punito con la
sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire venticinque milioni.

Art. 55 -Sanzioni in materia di aree di salvaguardia e modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n.
236.
1. L'inosservanza delle disposizioni relative alle attivit e destinazioni vietate nelle aree di salvaguardia di cui all'articolo 21
punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire dieci milioni.
2. Il comma 3 dell'articolo 21, del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236, sostituito dal seguente: [....].
3. Il comma 4 dell'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236, cos modificato: [....].

Art. 56 - Competenza e giurisdizione.
1. In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, salvo
diversa disposizione delle regioni o delle province autonome, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio stata commessa
la violazione, a eccezione delle sanzioni previste dall'articolo 54, commi 8 e 9, per le quali competente il comune, salve le
attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorit.
1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, alla sorveglianza e all'accertamento degli illeciti in
violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e del relativo danno ambientale concorre il Corpo
forestale dello Stato, in qualit di Forza di polizia specializzata in materia ambientale.
2. Avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni amministrative di cui al comma 1 esperibile il giudizio di
opposizione di cui all'articolo 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
3. Per i procedimenti penali pendenti alla entrata in vigore del presente decreto l'autorit giudiziaria, se non deve pronunziare
decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 ai fini
dell'applicazione delle sanzioni amministrative.
4. Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente decreto non si applica il pagamento in misura ridotta di cui
all'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Art. 57 - Proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie.
1. Le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto, sono versate all'entrata del
bilancio regionale per essere riassegnate ai capitoli di spesa destinati alle opere di risanamento e di riduzione
dell'inquinamento dei corpi idrici. Le regioni provvedono alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di
prevenzione e di risanamento.
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Art. 58 - Danno ambientale, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati.
1. Chi con il proprio comportamento omissivo o commissivo in violazione delle disposizioni del presente decreto provoca un
danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di
inquinamento ambientale, tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino
ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi
e secondo il procedimento di cui all'art. 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
2. Ai sensi dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, fatto salvo il diri tto ad ottenere il risarcimento del danno non
eliminabile con la bonifica ed il ripristino ambientale di cui al comma 1.
3. Nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione del danno di cui al comma 2, lo stesso si presume, salvo prova
contraria, di ammontare non inferiore alla somma corrispondente alla sanzione pecuniaria amministrativa, ovvero alla
sanzione penale, in concreto applicata. Nel caso in cui sia stata irrogata una pena detentiva, solo al fine della quantificazione
del danno di cui al presente comma, il ragguaglio fra la stessa e la pena pecuniaria, ha luogo calcolando quattrocentomila lire,
per un giorno di pena detentiva. In caso di sentenza di condanna in sede penale o di emanazione del provvedimento di cui
all'art. 444 del codice di procedura penale, la cancelleria del giudice che ha emanato il provvedimento trasmette copia dello
stesso al Ministero dell'ambiente. Gli enti di cui al comma 1 dell'art. 56 danno prontamente notizia dell'avvenuta erogazione
delle sanzioni amministrative al Ministero dell'ambiente al fine del recupero del danno ambientale.
4. Chi non ottempera alle prescrizioni di cui al comma 1, punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da lire
cinque milioni a lire cinquanta milioni.

Capo II - Sanzioni penali

Art. 59 - Sanzioni penali.
1. Chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, ovvero continua ad
effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, punito con l'arresto da due mesi a
due anni o con l'ammenda da lire due milioni a lire quindici milioni.
2. Alla stessa pena stabilita al comma 1, soggiace chi - effettuando al momento di entrata in vigore del presente decreto scarichi
di acque reflue industriali autorizzati in base alla normativa previgente - non ottempera alle disposizioni di cui all'art. 62,
comma 12.
3. Quando le condotte descritte ai commi 1 e 2 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze
pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3A dell'allegato 5, la pena dell'arresto da
tre mesi a tre anni.
4. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettua uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze
pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'allegato 5, senza osservare le
prescrizioni dell'autorizzazione, ovvero le altre prescrizioni dell'autorit competente a norma degli articoli 33, comma 1 e 34
comma 3, punito con l'arresto fino a due anni.
4-bis. Chiunque viola le prescrizioni concernenti l'installazione e la gestione dei controlli in automatico o l'obbligo di
conservazione dei risultati degli stessi di cui all'articolo 52 punito con la pena di cui al precedente comma 4.
5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, supera i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di
scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5 ovvero i limiti pi restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o
dall'autorit competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5,
punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se sono superati anche i
valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda
da lire dieci milioni a lire duecento milioni.
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altres al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che
nell'effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.
6-bis. Al gestore del servizio idrico integrato che non ottempera all'obbligo di comunicazione di cui all'articolo 36, comma 3, o non
osserva le prescrizioni o i divieti di cui all'articolo 36, comma 5, si applica la pena di cui all'articolo 51, comma 1, del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
6-ter. Il titolare di uno scarico che non consente l'accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di
cui all'articolo 28, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca pi grave reato, punito con la pena dell'arresto fino a due anni.
Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 689 del
1981 e degli articoli 55 e 354 del codice di procedura penale.
6-quater. Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'articolo 39, comma 3, punito con le sanzioni
di cui all'articolo 59, comma 1.
7. Chiunque non ottempera al provvedimento adottato dall'autorit competente ai sensi dell'articolo 10, comma 5, ovvero
dell'articolo 12, comma 2, punito con l'ammenda da lire due milioni a lire venti milioni.
8. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 29 e 30, punito con l'arresto sino a tre anni.
9. Chiunque non osserva le prescrizioni regionali assunte a norma dell'articolo 15, commi 2 e 3, dirette ad assicurare il
raggiungimento ovvero il ripristino degli obiettivi di qualit delle acque designate ai sensi dell'articolo 14, ovvero non
ottempera ai provvedimenti adottati dall'autorit competente ai sensi dell'articolo 14, comma 3, punito con l'arresto sino a
due anni o con l'ammenda da lire sette milioni a lire settanta milioni.
10. Nei casi previsti dal comma 9, il Ministro della sanit e dell'ambiente, nonch la regione e la provincia autonoma competente,
ai quali sono inviati copia delle notizie di reato, possono indipendentemente dall'esito del giudizio penale, disporre, ciascuno per
quanto di competenza, la sospensione in via cautelare dell'attivit di molluschicoltura e, a seguito di sentenza di condanna o di
decisione emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale definitive, valutata la gravit dei fatti, disporre la
chiusura degli impianti.
11. Si appl ica sempre la pena dell'arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od
aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni
contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall'Italia, salvo che siano in quantit tali da essere
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resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare. Resta fermo, in
quest'ultimo caso l'obbligo della preventiva autorizzazione da parte dell'autorit competente.
11-bis. La sanzione di cui al comma 11 si applica anche a chiunque effettua, in violazione dell'articolo 48, comma 3, lo
smaltimento dei fanghi nelle acque marine mediante immersione da nave, scarico attraverso condotte ovvero altri mezzi o
comunque effettua l'attivit di smaltimento di rifiuti nelle acque marine senza essere munito dell'autorizzazione di cui all'articolo
18, comma 2, lettera p-bis) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
11-ter. Chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari,
nonch delle acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'articolo 38 al di fuori dei casi
e delle procedure ivi previste ovvero non ottemperi al divieto o all'ordine di sospensione dell'attivit impartito a norma di detto
articolo punito con l'ammenda da lire due milioni a lire quindici milioni o con l'arresto fino ad un anno. La stessa pena si
applica a chiunque effettua l'utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente.

Art. 60 - Obblighi del condannato.
1. Con la sentenza di condanna per i reati previsti nel presente decreto, o con la decisione emessa ai sensi dell'articolo 444 del
codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena pu essere subordinato al risarcimento del
danno e all'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino di cui all'articolo 58.

Art. 61 - Circostanza attenuante.
1. Nei confronti di chi, prima del giudizio penale o dell'ordinanza-ingiunzione, ha riparato interamente il danno, le sanzioni
penali e amministrative previste nel presente titolo sono diminuite dalla met a due terzi.


TITOLO VI - DISPOSIZIONI FINALI

Art. 62 - Norme transitorie e finali.
1. Il presente decreto contiene le norme di recepimento delle seguenti direttive comunitarie:
a) diretti va 75/440/CEE relativa alla qualit delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;
b) direttiva 76/464/CEE concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericol ose scaricate nell'ambiente idrico;
c) direttiva 78/659/CEE relativa alla qualit delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla
vita dei pesci;
d) direttiva 79/869/CEE relativa ai metodi di misura, alla frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali
destinate alla produzione di acqua potabile;
e) direttiva 79/923/CEE relativa ai requisiti di qualit delle acque destinate alla molluschicoltura;
f) direttiva 80/68/CEE relativa alla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze
pericolose;
g) direttiva 82/176/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualit per gli scarichi di mercurio del settore dell'elettrolisi dei
cloruri alcalini;
h) direttiva 83/513/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualit per gli scarichi di cadmio;
i) direttiva 84/156/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualit per gli scarichi di mercurio provenienti da settori diversi
da quello dell'elettrolisi dei cloruri alcalini;
l) direttiva 84/491/CEE relativa ai valori limite e obiettivi di qualit per gli scarichi di esaclorocicloesano;
m) direttiva 88/347/CEE relativa alla modifica dell'allegato II della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli
obiettivi di qualit per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell'elenco I dell'allegato della direttiva
76/464/CEE;
n) direttiva 90/415/CEE relativa alla modifica della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualit
per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell'elenco I della direttiva 76/464/CEE;
o) direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane;
p) direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque da inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti
agricole;
q) direttiva 98/15/CE recante modifica della direttiva 91/271/CEE per quanto riguarda alcuni requisiti dell'allegato I.
2. Le previsioni del presente decreto possono essere derogate solo temporaneamente e in caso di comprovate circostanze
eccezionali, per motivi di sicurezza idraulica volti ad assicurare l'incolumit delle popolazioni.
3. Le regioni definiscono, in termini non inferiori a due anni, i tempi di adeguamento alle prescrizioni, ivi comprese quelle
adottate ai sensi dell'articolo 28, comma 2, contenute nella legislazione regionale attuativa del presente decreto e nei piani di
tutela di cui all'articolo 44, comma 3.
4. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 36 della legge 24 aprile 1998, n.128 e relativi decreti legislativi di attuazione della
direttiva 96/92/CE.
5. [....].
6. [....].
7. Per quanto non espressamente disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche di cui alla
delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977 e successive modifiche ed integrazioni,
pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 48 del 21 febbraio 1977.
8. Le norme regolamentari e tecniche emanate ai sensi delle disposizioni abrogate con l'articolo 63 restano in vigore, ove
compatibili con gli allegati al presente decreto e fino all'adozione di specifiche normative in materia.
9. Le aziende agricole esistenti tenute al rispetto del codice di buona pratica agricola ai sensi dell'articolo 19, comma 5, devono
provvedere all'adeguamento delle proprie strutture entro due anni dalla data di designazione delle zone vulnerabili da nitrati
di origine agricola
10. Fino all'emanazione della disciplina regionale di cui all'articolo 38, le attivit di utilizzazione agronomica sono effettuate
secondo le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.
11. Fatte salve le disposizioni specifiche previste dal presente decreto, i titolari degli scarichi esistenti devono adeguarsi alla nuova
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disciplina entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Lo stesso termine vale anche nel caso di scarichi per i
quali l'obbligo di autorizzazione preventiva stato introdotto dalla presente normativa. I titolari degli scarichi esi stenti e autorizzati
procedono alla richiesta di autorizzazione in conformit alla presente normativa allo scadere dell'autorizzazione e comunque non
oltre quattro anni dall'entrata in vigore del presente decreto. Si applicano in tal caso il terzo e quarto periodo del comma 7
dell'articolo 45.
12. Coloro che effettuano scarichi esistenti di acque reflue, sono obbligati, fino al momento nel quale devono osservare i limiti di
accettabilit stabiliti dal presente decreto, ad adottare le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo
dell'inquinamento. Essi sono comunque tenuti a osservare le norme, le prescrizioni e i valori limite stabiliti, secondo i casi, dalle
normative regionali ovvero dall'autorit competente ai sensi dell'articolo 33 vigenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto, in quanto compatibili con le disposizioni relative alla tutela qualitativa e alle scadenze temporali del presente decreto e, in
particolare, con quanto gi previsto dalla normativa previgente. Sono fatte salve in ogni caso le disposizioni pi favorevoli
introdotte dal presente decreto.
13. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare maggiori oneri o minori entrate a carico del bilancio dello Stato,
fatto salvo quanto previsto dal comma 14.
14. Le regioni, le provincie autonome e gli enti attuatori provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto anche sulla
base di risorse finanziarie definite da successive disposizioni di finanziamento nazionali e comunitarie.
14-bis. In attuazione del le disposizioni statali di finanziamento di cui al comma 14, una quota non inferiore a 10 e non superiore al
15 per cento degli stanziamenti riservata alle attivit di monitoraggio e studio destinati all'attuazione del presente decreto.
15. All'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997,
n.135, cos come sostituito dall'articolo 8, comma 2, della legge 8 ottobre 1997, n. 344, le parole: "tenendo conto della direttiva
91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane" sono sostituite dalle
seguenti "tenendo conto del decreto legislativo recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento
della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla
protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti dalle fonti agricole,".
15-bis. Restano ferme le norme della legge 11 dicembre 1982, n. 979.

Art. 63 Abrogazione di norme
1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto
sono abrogate le norme contrarie o incompatibili con il medesimo, ed in particolare:
- legge 10 maggio 1976, n.319;
- legge 8 ottobre 1976, n.690, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 1976, n.544;
- legge 24 dicembre 1979, n.650;
- legge 5 marzo 1982, n.62, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 1981, n.801;
- decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 1982, n.515;
- legge 25 luglio 1984, n.381 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 1984, n.176;
- gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n.71 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 febbraio 1990,
n.16;
- decreto legislativo 25 gennaio, 1992, n.130;
- decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.131;
- decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.132;
- decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.133;
- articolo 2, comma 1, della legge 6 dicembre 1993, n. 502, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9
ottobre 1993, n. 408;
- articolo 9-bis della legge 20 dicembre 1996, n. 642, di conversione in legge, con modificazioni, del-decreto-legge 23 ottobre
1996, n. 552;
- legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 1995, n.79.
2. Sono fatti salvi, in ogni caso, gli effetti finanziari derivanti dai provvedimenti di cui al comma 1.

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ALLEGATI

ALLEGATO 1 - MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE IN FUNZIONE DEGLI OBIETTIVI DI
QUALITA' AMBIENTALE

Il presente allegato stabilisce, ai sensi degli articoli 4 e 5, i criteri per individuare i corpi idrici significativi e per stabilire lo
stato di qualit ambientale di ciascuno di essi.
Il presente allegato sostituisce l'allegato 1 della delibera del Comitato dei ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento
del 4 febbraio 1977 per la parte relativa ai criteri per il monitoraggio quali quantitativo dei corpi idrici.

1 CORPI IDRICI SIGNIFICATIVI

Sono corpi idrici significativi quelli che le autorit competenti individuano sulla base delle indicazioni contenute nel presente
allegato e che conseguentemente vanno monitorati e classificati al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualit ambientale.
Le caratteristiche dei corpi idrici significativi sono indicate nei punti 1.1 e 1.2.
Sono invece da monitorare e classificare:
a) tutti quei corpi idrici che, per valori naturalistici e/o paesaggistici o per particolari utilizzazioni in atto, hanno rilevante interesse
ambientale.
b) tutti quei corpi idrici che, per il carico inquinante da essi convogliato, possono avere una influenza negativa rilevante sui corpi
idrici significativi.

1.1 CORPI IDRICI SUPERFICIALI

1.1.1 CORSI D 'ACQUA SUPERFICIALI
Per i corsi d'acqua che sfociano in mare il limite delle acque correnti coincide con l'inizio della zona di foce, corrispondente alla
sezione del corso d'acqua pi lontana dalla foce, in cui con bassa marea ed in peri odo di magra si riscontra, in uno qualsiasi dei
suoi punti, un sensibile aumento del grado di salinit. Tale limite viene identificato per ciascun corso d'acqua.
Vanno censiti, secondo le modalit che saranno stabiliti, stabilite nel decreto di cui all'articolo 3 comma 7, tutti i corsi d'acqua
naturali aventi un bacino idrografico superiore a 10 km
2
.
Sono significativi almeno i seguenti corsi d'acqua:
- tutti i corsi d'acqua naturali di primo ordine (cio quelli recapitanti direttamente in mare) il cui baci no imbrifero abbia una
superficie maggiore di 200 km
2
;
- tutti i corsi d 'acqua naturali di secondo ordine o superiore il cui bacino imbrifero abbia una superficie maggiore a 400 km
2
.
Non sono significativi i corsi d'acqua che per motivi naturali hanno avuto portata uguale a zero per pi di 120 giorni l'anno, in
un anno idrologico medio.

1.1.2 LAGHI
Le raccolte di acque lentiche non temporanee. I laghi sono: a) naturali aperti o chiusi, a seconda che esista o meno un
emissario; b) naturali ampliati e/o regolati, se provvisti all'incile di opere di regolamentazione idraulica;
Sono significativi i laghi aventi superficie dello specchio liquido pari a 0,5 km
2
o superiore. Tale superficie riferita al periodo
di massimo invaso.

1.1.3 ACQUE MARINE COSTIERE
Sono significative le acque marine comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la batimetrica dei 50
metri.

1.1.4 ACQUE DI TRANSIZIONE
Sono acque di transizione le acque delle zone di delta ed estuario e le acque di lagune, di laghi salmastri e di stagni costieri.
Sono significative le acque delle lagune, dei laghi salmastri e degli stagni costieri. Le zone di delta ed estuario vanno invece
considerate come corsi d'acqua superficiali.

1.1.5 CORPI IDRICI ARTIFICIALI
Sono i laghi o i serbatoi, se realizzati mediante manufatti di sbarramento, e i canali artificiali (canali irrigui o scolanti,
industriali, navigabili, ecc.) fatta esclusione dei canali appositamente costruiti per l'allontanamento delle acque reflue urbane
ed industriali.
Sono considerati significativi tutti i canali artificiali che restituiscano almeno in parte le proprie acque in corpi idrici naturali
superficiali e aventi portata di esercizio di almeno 3 m3/s e i serbatoi o i laghi artificiali il cui bacino di alimentazione sia
interessato da attivit antropiche che ne possano compromettere la qualit e aventi superficie dello specchio liquido almeno pari a
1 km2 o con volume di invaso almeno pari a 5 milioni di m3. Tale superficie riferita al periodo di massimo invaso.

1.2 CORPI IDRICI SOTTERRANEI

1.2.1 ACQUE SOTTERRANEE
Sono significativi gli accumuli d'acqua contenuti nel sottosuolo permeanti la matrice rocciosa, posti al di sotto del livello di
saturazione permanente.
Fra esse ricadono le falde freatiche e quelle profonde (in pressione o no) contenute in formazioni permeabili, e, in via
subordinata, i corpi d'acqua intrappolati entro formazioni permeabili con bassa o nulla velocit di flusso. Le manifestazioni
sorgentizie, concentrate o diffuse (anche subacquee) si considerano appartenenti a tale gruppo di acque in quanto affioramenti
della circolazione idrica sotterranea.
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Non sono significativi gli orizzonti saturi di modesta estensione e continuit all'interno o sulla superficie di una litozona poco
permeabile e di scarsa importanza idrogeologica e irrilevante significato ecologico.

2 OBIETTIVI DI QUALIT AMBIENTALE

2.1 CORPI IDRICI SUPERFICIALI
Lo stato di qualit ambientale dei corpi idrici superficiali definito sulla base dello stato ecologico e dello stato chimico del
corpo idrico.

2.1.1 STATO ECOLOGICO
Lo stato ecologico dei corpi idrici superficiali l'espressione della complessit degli ecosistemi acquatici, e della natura fisica e
chimica delle acque e dei sedimenti, delle caratteristiche del flusso idrico e della struttura fisica del corpo idrico, considerando
comunque prioritario lo stato degli elementi biotici dell'ecosistema.
Gli elementi chimici che saranno considerati per la definizione dello stato ecologico saranno, a seconda del corpo idrico, i
parametri chimici e fisici di base relativi al bilancio dell'ossigeno ed allo stato trofico.
Al fine di una valutazione completa dello stato ecologico dovranno essere utilizzati opportuni indicatori biologici ; oltre all'utilizzo
dell'indice biotico esteso (I.B.E.) per i corsi d'acqua superficiali, sar necessario utilizzare i metodi per la rilevazione e la
valutazione della qualit degli elementi biologici e di quelli morfologici dei corpi idrici che dovranno essere definiti con apposito
decreto ministeriale su proposta dell'ANPA in particolare per le acque marine costiere, le acque di transizione ed i laghi.

2.1.2 STATO CHIMICO
Lo stato chimico definito in base alla presenza di sostanze chimiche pericolose.
Ai fini della prima classificazione, la valutazione dello stato chimico dei corpi idrici superficiali effettuata in base ai valori
soglia riportate nella direttiva 76/464/CEE e nelle direttive da essa derivate, nelle parti riguardanti gli obiettivi di qualit
nonch nell'allegato 2 sezione B; nel caso per gli stessi parametri siano riportati valori diversi, deve essere considerato il pi
restrittivo.
Alla successiva tabella 1 sono riportati i principali inquinanti chimici gi normati dalle direttive comunitarie. Per la definizione
dello stato chimico la selezione dei parametri da ricercare effettuata dalla autorit competente, in relazione alle criticit presenti
sul territorio.
L'aggiornamento dei valori per i parametri indicati nella tabella 1 e la definizione di quelli relativi ad altri composti non inclusi
nella tabella, pubblicato con successivi decreti, sar effettuato sulla base dei risultati relativi alle LC50 o EC50, risultanti dai
test tossicologici su ognuno dei tre livelli trofici, ridotti con opportuni fattori di sicurezza e in base alle indicazioni fornite dalla
Unione Europea.
Al fine di una valutazione completa dello stato chimico dovranno essere definiti, con apposito decreto ministeriale su proposta
dell'ANPA, metodi per la rilevazione e la valutazione della qualit dei sedimenti, e metodi per la valutazione degli effetti
provocati sulle comunit biotiche degli ecosistemi dalla presenza di sostanze chimiche pericolose, persistenti e bioaccumulabili.
Tali metodi dovranno integrare i criteri di determinazione dello stato chimico gi adottati per i corpi idrici superficiali,
soprattutto per quanto riguarda le acque marine costiere o quelli a basso ricambio come i laghi.

Tabella 1 - Principali inquinanti chimici da controllare nelle acque dolci superficiali

_______________________________________________________________________
INORGANICI (disciolti)(1) ORGANICI (sul tal quale)
_______________________________________________________________________
Cadmio aldrin
Cromo totale dieldrin
Mercurio endrin
Nichel isodrin
Piombo DDT
Rame esaclorobenzene
Zinco esaclorocicloesano
esaclorobutadiene
1,2 dicloroetano
tricloroetilene
triclorobenzene
cloroformio
tetracloruro di carbonio
percloroetilene
pentaclorofenolo

_____________
(1)se accertata l 'origine naturale di sostanze inorganiche, la loro presenza non compromette l 'attribuzione di una
classe di qualit definita dagli altri parametri.

2.1.3 STATO AMBIENTALE
Lo stato ambientale definito in relazione al grado di scostamento rispetto alle condizioni di un corpo idrico di riferimento
definito al successivo punto 2.1.4.
Gli stati di qualit ambientale previsti per le acque superficiali sono riportati alla tabella 2.

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Tabella 2 Definizione dello stato ambientale per i corpi idrici superficiali

__________________________________________________________________________________
ELEVATO Non si rileva o alterazioni dei valori di qualit degli elementi
chimico-fisici ed idromorfologici per quel dato tipo di corpo
idrico in dipendenza degli impatti antropici, o sono minime
rispetto ai valori normalmente associati allo stesso ecotipo in
condizioni indisturbate.La qualit biologica sar caratterizzata
da una composizione e un'abbondanza di specie corrispondente
totalmente o quasi alle condizioni normalmente associate allo
stesso ecotipo.
La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi,
paragonabile alle concentrazioni di fondo rilevabili dei corpi
idrici non influenzati da alcuna pressione antropica.
__________________________________________________________________________________
BUONO I valori degli elementi della qualit biologica per quel tipo di
corpo idrico mostrano bassi livelli di alterazione derivanti
dall'attivit umana e si discostano solo leggermente da quelli
normalmente associati allo stesso ecotipo in condizioni non
disturbate.
La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi,
in concentrazioni da non comportare effetti a breve e lungo
termine sulle comunit biologiche associate al corpo idrico di
riferimento.
__________________________________________________________________________________
SUFFICIENTE I valori degli elementi della qualit biologica per quel tipo di
corpo idrico si discostano moderatamente da quelli di norma
associati allo stesso ecotipo in condizioni non disturbate.
I valori mostrano segni di alterazione derivanti dall'attivit
umana e sono sensibilmente pi disturbati che nella condizione
di "buono stato ".
La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi,
in concentrazioni da non comportare effetti a breve e lungo
termine sulle comunit biologiche associate al corpo idrico di
riferimento.
__________________________________________________________________________________
SCADENTE Si rilevano alterazioni considerevoli dei valori degli elementi
di qualit biologica del tipo di corpo idrico superficiale,
e le comunit biologiche interessate si discostano sostanzial-
mente da quelle di norma associate al tipo di corpo idrico
superficiale inalterato.
La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi,
in concentrazioni da comportare effetti a medio e lungo termine
sulle comunit biologiche associate al corpo idrico di riferi-
mento
__________________________________________________________________________________
PESSIMO I valori degli elementi di qualit biologica del tipo di corpo
idrico superficiale presentano alterazioni gravi e mancano ampie
porzioni delle comunit biologiche di norma associate al tipo di
corpo idrico superficiale inalterato.
La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi,
in concentrazioni da gravi effetti a breve e lungo termine sulle
comunit biologiche associate al corpo idrico di riferimento.
__________________________________________________________________________________

2.1.3.1 CORPI IDRICI DI RIFERIMENTO
Il corpo idrico di riferimento quello con caratteristiche biologiche, idromorfologiche, e fisico-chimiche.
tipiche di un corpo idrico relativamente immune da impatti antropici.
I corpi idrici di riferimento sono individuati, anche in via teorica, in ogni bacino idrografico, dalle autorit di bacino o dalle
Regioni per i bacini di competenza.
Per quanto riguarda i corsi d'acqua naturali ed i laghi dovranno essere individuati almeno un corpo idrico di riferimento per
l'ecotipo montano ed uno per l'ecotipo di pianura.
Tale ecotipo serve a definire le condizioni di riferimento per lo stato ambientale "Elevato" e per riformulare i limiti indicati nel
presente allegato per i parametri chimici, fisici ed idromorfologici relativi ai diversi stati di qualit ambientale.

2.2 CORPI IDRICI SOTTERRANEI
Lo stato di qualit ambientale dei corpi idrici sotterranei definito sulla base dello stato quantitativo e dello stato chimico: tale
classificazione deve essere riferita ad ogni singolo acquifero individuato.
Per la classificazione quantitativa e chimica bisogna riferirsi alle indicazioni riportate ai punti 4.4.1 e 4.4.2.

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2.2.1 STATO AMBIENTALE
Per le acque sotterranee sono definiti 5 stati di qualit ambientale, come riportato nella tabella 3.

Tabella 3 Definizioni dello stato ambientale per le acque sotterranee.

_________________________________________________________________________________
ELEVATO Impatto antropico nullo o trascurabile sulla qualit e quantit
della risorsa, con l'eccezione di quanto previsto nello stato
naturale particolare;
_________________________________________________________________________________
BUONO Impatto antropico ridotto sulla qualit e/o quantit della
risorsa;
_________________________________________________________________________________
SUFFICIENTE Impatto a tropico ridotto sulla quantit, con effetti significa-
tivi sulla qualit tali da richiedere azioni mirate ad evitarne
il peggioramento
_________________________________________________________________________________
SCADENTE Impatto antropico rilevante sulla qualit e/o quantit della
risorsa con necessit di specifiche azioni di risanamento;
_________________________________________________________________________________
NATURALE Caratteristiche qualitative e/o quantitative che pur non presen-
PARTICOLARE tando un significativo impatto antropico, presentano limitazioni
d 'uso della risorsa per la presenza naturale di particolari
specie chimiche o per il basso potenziale quantitativo.
_________________________________________________________________________________


3 MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE:ACQUE SUPERFICIALI

3.1 ORGANIZZAZIONE DEL MONITORAGGIO
Il monitoraggio si articola in una fase conoscitiva iniziale che ha come scopo la prima classificazione dello stato di qualit
ambientale dei corpi idrici ed in una fase a regime in cui viene effettuato un monitoraggio volto a verificare il raggiungimento
ovvero il mantenimento dell'obiettivo di qualit "buono" di cui all'articolo 4.

3.1.1 FASE CONOSCITIVA
La fase conoscitiva iniziale ha la durata di 24 mesi ed ha come finalit la classificazione dello stato di qualit di ciascun corpo
idrico; in base ad esso le autorit competenti definiscono, nell'ambito del piano di tutela, le misure necessarie per il
raggiungimento o il mantenimento dell'obiettivo di qualit ambientale.
La fase conoscitiva iniziale, ha altres lo scopo di raccogliere tutte le informazioni necessarie alla valutazione di ulteriori
strumenti di valutazione utili alla valutazione degli elementi biologici e idromorfologici utili a definire pi compiutamente lo
stato ecologico dei corpi idrici superficiali, nonch per valutare le informazioni relative alla contaminazione da
microinquinanti dei sedimenti e del biota, in particolare per quanto riguarda le acque costiere e le acque di transizione ed i
laghi .
Le informazioni pregresse non antecedenti il 1997, possono essere utilizzate se compatibili con quelle richieste nel presente
allegato - in sostituzione o integrazione delle analisi previste nella fase iniziale del monitoraggio per l'attribuzione dello stato di
qualit. Se da tali informazioni pregresse emerge uno stato di qualit ambientale "buono" o "elevato" vale quanto detto nel
successivo punto 3.1.2 in relazione alla frequenza del campionamento e al numero delle stazioni.

3.1.2 FASE A REGIME
Se i corpi idrici hanno raggiunto l'obiettivo "Buono" o "Elevato", il monitoraggio pu essere ridotto ai soli parametri riportati
in tabella 4, per i corsi d'acqua, in tabella 10, per i laghi, ed in tabella 13, per le acque marino costiere e per le acque di
transizione. L'autorit competente, in relazione allo stato delle acque superficiali, pu variare la frequenza dei campionamenti e
il numero delle stazioni della rete di rilevamento.
Le autorit competenti armonizzano e ricercano la miglior integrazione possibile tra le diverse iniziative di controllo delle
acque (monitoraggio per la balneazione, per la produzione di acqua potabile, per la vita dei pesci, ed altri), al fine di
ottimizzare l'impiego di risorse umane e finanziarie.
Deve inoltre essere predisposto, presso ogni ARPA, o comunque presso ogni regione in attesa che venga costituita l'ARPA, un
sistema di pronto intervento in grado di monitorare gli effetti ed indagare sulle cause di fenomeni acuti di inquinamento
causati da episodi accidentali o dolosi.

3.2 CORSI D'ACQUA

3.2.1 INDICATORI DI QUALIT E ANALISI DA EFFETTUARE
Ai fini della prima classificazione della qualit dei corsi d'acqua vanno eseguite determinazioni sulla matrice acquosa e sul
biota; qualora ne ricorra la necessit, cos come indicato successivamente nei punti relativi agli specifici corpi idrici, tali
determinazioni possono essere integrate da indagini sui sedimenti e da test di tossicit.
Le determinazioni necessarie per il sistema di classificazione sono condotte sui campioni e con le frequenze indicate nella
sezione 3.2.2.

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3.2.1.1 ACQUE
Le determinazioni sulla matri ce acquosa riguardano due gruppi di parametri, quelli di base e quelli addizionali.
I parametri di base, riportati in tabella 4, riflettono le pressioni antropiche tramite la misura del carico organico, del bilancio
dell'ossigeno, dell'acidit, del grado di salinit e del carico microbiologico nonch le caratteristiche idrologiche del trasporto
solido. I parametri definiti macrodescrittori e indicati con (o) nella tabella 4 vengono utilizzati la classificazione; gli altri
parametri servono a fornire informazioni di supporto per la interpretazione delle caratteristiche di qualit e di vulnerabilit
del sistema nonch per la valutazione dei carichi trasportati.
La determinazione dei parametri di base obbligatoria.
I parametri addizionali sono relativi ai microinquinanti organici ed inorganici; quelli di pi ampio significato ambientale
sono riportati nella tabella 1.
La selezione dei parametri da esaminare effettuata dall'autorit competente caso per caso, in relazione alle criticit
conseguenti agli usi del territorio.
Le analisi dei parametri addizionali vanno effettuate ove l'Autorit competente lo ritenga necessario e comunque nel caso in
cui:
- a seguito delle attivit delle indagini conoscitive di cui all'allegato 3 si individuino sorgenti puntuali e diffuse o si abbiano
informazioni pregresse e attuali su sorgenti puntuali e diffuse che apportino una o pi specie di tali inquinanti nel corpo idrico;
- dati recenti dimostrino livelli contaminazione, da parte di tali sostanza, delle acque e del biota o segni di incremento delle
stesse nei sedimenti

Tabella 4 - Parametri di base (con (o)sono indicati i parametri macrodescrittori utilizzati per la classificazione)

___________________________________________________________________________________
Portata (m
3
/s) Ossigeno disciolto (mg/L)**(o)
pH BOD5 (O
2
mg/L)**(o)
Solidi sospesi (mg/L) COD (O
2
mg/L)**(o)
Temperatura (C) Ortofosfato (P mg/L)*
Conducibilit ( S/cm (20C))** Fosforo Totale (P mg/L)**(o)
Durezza (mg/L di CaCO
3
) Cloruri (Cl
-
mg/L)*
Azoto totale (N mg/L)** Solfati (SO
4
--
mg/L)*
Azoto ammoniacale (N mg/L)*(o) Escherichia coli (UFC/100 mL)(o)
Azoto nitrico (N mg/L)*(o)
___________________________________________________________________________________
(*) determinazione sulla fase disciolta (**) determinazione sul campione tal quale


3.2.1.2 BIOTA
Le determinazioni sul bi ota riguardano due gruppi di analisi:
Analisi di base: gli impatti antropici sulle comunit animali dei corsi d'acqua vengono valutati attraverso l'Indice Biotico
Esteso (I.B.E.). Tale analisi va eseguita obbligatoriamente con le cadenze indicate al punto 3.2.2.2..
Analisi supplementari: non obbligatorie, da eseguire a giudizio dell'autorit che effettua il monitoraggio, per una analisi pi
approfondita delle cause di degrado del corpo idrico. A tal fine possono essere effettuati saggi biologici finalizzati alla
evidenziazione di effetti a breve o lungo termine. Tra questi in via prioritaria si segnalano:
- test di tossicit su campioni acquosi concentrati su Daphnia magna ;
- test di mutagenicit e teratogenesi su campioni acquosi concentrati;
- test di crescita algale;
- test su campioni acquosi concentrati con batteri bioluminescenti;
In aggiunta si segnala l'opportunit di effettuare determinazioni di accumulo di contaminanti prioritari (PCB, DDT e Cd) su
tessuti muscolari di specie ittiche residenti o su organismi macrobentonici.

3.2.1.3 SEDIMENTI
Le analisi sui sedimenti sono da considerarsi come analisi supplementari eseguite per avere, se necessario, ulteriori elementi
conoscitivi utili a determinare le cause di degrado ambientale di un corso d'acqua.
Le autorit preposte al monitoraggio devono, nel caso, selezionare i parametri da ricercare, prioritariamente tra quelli
riportati nella tabella 5 e, se necessario, includerne altri, considerando le condizioni geografiche ed idromorfologiche del corso
d'acqua, i fattori di pressione antropica cui sottoposto e la tipologia degli scarichi immessi.
Le determinazioni sui sedimenti vanno fatte in particolare per ricercare quegli inquinanti che presentano una maggior affinit
con i sedimenti rispetto che alla matrice acquosa.
Qualora sia necessaria un'analisi pi approfondita volta a evidenziare gli effetti tossici a breve o a lungo termine si potranno
effettuare dei saggi biologici sui sedimenti. Gli approcci possibili sono molteplici e riconducibili a tre sol uzioni fondamentali:
- saggi su estratti di sedimento
- saggi sul sedimento in toto
- saggi su acqua interstiziale
Ogni soluzione offre informazioni peculiari e pertanto l'applicazione congiunta di pi tipi di saggio spesso garantisce le
informazioni volute. Possono essere utilizzati organismi acquatici, sia in saggi acuti che (sub)cronici. In via prioritaria si
segnalano: Oncorhynchus mykiss, Daphnia magna, Ceriodaphnia dubia, Chironomus tentans e C.riparius, Selenastrum
capricornutum e batteri luminescenti.



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Tabella 5 Microinquinanti e sostanze pericolose di prima priorit da ricercare nei sedimenti

___________________________________________________________________________
Inorganici e Metalli Organici (1)
Arsenico Policlorobifenili (PCB)
Cadmio Diossine (TCDD)
Zinco Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)
Cromo totale Pesticidi organoclorurati
Mercurio
Nichel
Piombo
Rame
___________________________________________________________________________


3.2.2 CAMPIONAMENTO

3.2.2.1 CRITERI PER LA SCELTA DELLE STAZIONI DI PRELIEVO
Per ogni corso d'acqua naturale viene definito un numero minimo di stazioni di prelievo, come indicato nella seguente tabella
6; tale numero in funzione della tipologia del corso d'acqua e della superficie del bacino imbrifero.
Le Autorit competenti possono aumentare il numero delle stazioni in presenza di particolari valori naturalistici e/o
paesaggistici o per particolari utilizzazioni in atto o in tutte le situazioni in cui questo sia ritenuto necessario.

Tabella 6 - Numero stazioni nei corsi d'acqua naturali

___________________________________________________________________________
Area del bacino (km
2
) | Numero stazioni
__________________________|________________________________________________
|Corsi d'acqua | Corsi d'acqua di 2 ordine
|di 1 ordine | o superiore
__________________________|________________|_______________________________
200-400 | 1 |
__________________________|________________|_______________________________
401-1000 | 2 | 1
__________________________|________________|_______________________________
1001-5000 | 3 | 2
__________________________|________________|_______________________________
5001-10.000 | 5 | 4
__________________________|________________|_______________________________
10.001-25.000 | 6 | -
__________________________|________________|_______________________________
25.001-50.000 | 8 | -
__________________________|________________|_______________________________
>50.001 | 10 | -
__________________________|________________|_______________________________

________
(1) Si consiglia la determinazione dei seguenti inquinanti organici:
Idrocarburi Policiclici Aromatici prioritari :Naftalene, Acenaftene, Fenantrene*, Fluorantene, Benz(a)antracene**, Crisene**,
Benzo(b)fluorantene, Benzo(k)fluorantene**, Benzo(a)pirene**, Dibenzo(a,h)antracene, Benzo(g,h,i)perilene*, Antracene,
Pirene Indeno(1,2,3,c,d,)pirene*, Acenaftilene, Fluorene.(*) indica le molecole con presunta attivit cancerogena,(**)quelle che
hanno attivit cancerogena.
Composti organoclorurati prioritari :DDT e analoghi (DD 's);Isomeri dell'Esaclorocicloesano (HCH 's); Drin 's;
Esaclorobenzene, PCB (i PCB pi rilevanti sotto il profilo ambientale consigliati anche in sede internazionale (EPA,UNEP)
sono: PCB's; PCB 52, PCB 77, PCB 81, PCB 128, PCB 138, PCB 153, PCB 169).
________


Le stazioni di prelievo sui corsi d'acqua sono in linea di massima distribuite lungo l'intera asta del corso d'acqua, tenendo
conto della presenza degli insediamenti urbani, degli impianti produttivi e degli apporti provenienti dagli affluenti.
I punti di campionamento sono fissati a una distanza dalle immissioni sufficiente ad avere la garanzia del rimescolamento delle
acque al fine di valutare la qualit del corpo recettore e non quella degli apporti.
In ogni caso deve essere posta una stazione di prelievo nella sezione di chiusura di ogni corpo idrico significativo. La misura di
portata pu essere effettuata in modo puntuale in corrispondenza del punto di campionamento e contestualmente allo stesso o
desunta dai valori di portata rilevati in continuo presso stazioni fisse.
Per quanto riguarda l'analisi dei sedimenti i punti di campionamento sono individuati prioritariamente in corrispondenza
delle stazioni definite per l'analisi delle acque, compatibilmente con le caratteristiche granulometriche del substrato di fondo.

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3.2.2.2 FREQUENZA DEI CAMPIONAMENTI

Fase iniziale del monitoraggi o

Acque:
la misura dei parametri chimici, fisici, microbiologici e idrologici di base e di quelli relativi ai parametri addizionali, quando
necessari, deve essere eseguita una volta al mese fino al raggiungimento dell'obiettivo di qualit.

Sedimenti:
una volta all'anno, durante i periodi di magra (e comunque lontano da eventi di piena), ovvero durante i periodi favorevoli alla
deposizione del materiale sospeso.

Biota: l'I.B.E. va misurato stagionalmente (4 volte all'anno);
I test biologici addizionali e quelli di bioaccumulo, quando richiesti, vanno eseguiti nei periodi di maggiore criticit per il
sistema.

Fase a regime
La frequenza di campionamento si mantiene inalterata fino al raggiungimento dell'obiettivo di qualit ambientale di cui
all'articolo 4. Raggiunto tale obiettivo, la frequenza di campionamento pu essere ridotta dall'autorit competente ma non
deve comunque essere inferiore a quattro volte all'anno per i parametri di base di cui alla tabella 4 e inferiore a due per
l'I.B.E.. Per la misura di portata deve essere garantito per ogni stazione idrometrica un numero annuo di determinazioni
sufficiente a mantenere aggiornata la scala di deflusso.

3.2.3 CLASSIFICAZIONE
La classificazione dello stato ecologico (tabella 8), viene effettuata incrociando il dato risultante dai macrodescrittori con il
risultato dell'I.B.E., attribuendo alla sezione in esame o al tratto da essa rappresentato il risultato peggiore tra quelli derivati
dalle valutazioni relative ad I.B.E. e macrodescrittori.
Per la valutazione del risultato dell'I.B.E. si considera il valore medio ottenuto dalle analisi eseguite durante il periodo di
misura per la classificazione. Per il calcolo della media, considerata la possibilit di classi intermedie (es. 8/9 o 9/8), si segue il
seguente procedimento:
- per la classe 10/9 si attribuisce il valore 9,6 ,per quella 9/10 il valore 9,4 per 9/8 il valore 8,6 , per 8/9 il valore 8,4, e cos per le
altre classi.
- per ritrasformare in valori di I.B.E. la media si proceder in modo contrario avendo cura di assegnare la classe pi bassa nel
caso di frazione di 0,5:esempio 8,5=8/9 ,6,5=6/7 ecc..
Il livello di qualit relativa ai macrodescrittori viene attribuito utilizzando la tabella 7 e seguendo il procedimento di seguito
descritto:
- sull'insieme dei risultati ottenuti durante la fase di monitoraggio bisogna calcolare, per ciascuno dei parametri contemplati, il
75 percentile (per quanto riguarda il primo indicatore il valore del 75 percentile va riferito al valore assoluto della differenza dal
100%);
- si individua la colonna in cui ricade il risultato ottenuto, individuando cos il livello di inquinamento da attribuire a ciascun
parametro e, conseguentemente, il suo punteggio;
- si ripete tale operazione di calcolo per ciascun parametro della tabella e quindi si sommano tutti i punteggi ottenuti;
- si individua il livello di inquinamento espresso dai macrodescrittori in base all'intervallo in cui ricade il valore della somma
dei livelli ottenuti dai diversi parametri, come indicato nell'ultima ri ga della tabella 7.
Ai fini della classificazione devono essere disponibili almeno il 75% dei risultati delle misure eseguibili nel periodo considerato.
Lo stesso parametro statistico del 75 percentile viene usato per la eventuale valutazione dello stato di qualit chimica
concernente gli inquinanti chimici indicati in tabella 1.





















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Tabella 7 Livello di inquinamento espresso dai macrodescrittori

___________________________________________________________________________________
Parametro Livello 1 Livello 2 Livello 3 Livello 4 Livello 5
___________________________________________________________________________________
100-OD (%sat.)(*) 10 (#) 20 30 50 >50
BOD
5
(O
2
mg/L) <2,5 4 8 15 >15
COD (O
2
mg/L) <5 10 15 25 >25
NH
4
(N mg/L) <0,03 0,10 0,50 1,50 >1,50
NO
3
(N mg/L) <0,3 1,5 5,0 10,0 >10,0
Fosforo totale <0,07 0,15 0,30 0,60 >0,60
(P mg/L)
Escherichia coli <100 1.000 5.000 20.000 >20.000
(UFC/100 mL)
Punteggio da 80 40 20 10 5
attribuire per ogni
parametro analizzato
(75 percentile del
periodo di rileva-
mento)
LIVELLO DI INQUINA- 480560 240475 120235 60115 <60
MENTO DAI
MACRODESCRITTORI
___________________________________________________________________________________
________________
(*)la misura deve essere effettuata in assenza di vortici; il dato relativo al deficit o al surplus deve essere considerato
in valore assoluto;
(#)in assenza di fenomeni di eutrofia;



Tabella 8 Stato ecologico dei corsi d 'acqua (si consideri il risultato peggiore tra I.B.E. e macrodescrittori)

_______________________________________________________________________________
CLASSE 1 CLASSE 2 CLASSE 3 CLASSE 4 CLASSE 5
_______________________________________________________________________________
I.B.E. 10 89 67 45 1,2,3
_______________________________________________________________________________
LIVELLO DI 480560 240475 120235 60115 <60
INQUINAMENTO
MACRODESCRITTORI
_______________________________________________________________________________


3.2.4 ATTRIBUZIONE DELLO STATO DI QUALIT AMBIENTALE
Al fine della attribuzione dello stato ambientale del corso d'acqua i dati relativi allo stato ecologico andranno rapportati con i
dati relativi alla presenza degli inquinanti chimici indicati in tabella 1, secondo lo schema riportato alla Tabella 9:

Tabella 9 Stato ambientale dei corsi d 'acqua

_______________________________________________________________________________
Stato Ecologico Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5
_______________________________________________________________________________
Concentrazione
inquinanti di cui
alla Tabella 1
_______________________________________________________________________________
Valore Soglia ELEVATO BUONO SUFFICIENTE SCADENTE PESSIMO
_______________________________________________________________________________
>Valore Soglia SCADENTE SCADENTE SCADENTE SCADENTE PESSIMO
_______________________________________________________________________________


Se lo stato ambientale da attribuire alla sezione di corpo idrico risulta inferiore a "Buono", devono essere effettuati
accertamenti successivi finalizzati alla individuazione delle cause del degrado alla definizione delle azioni di risanamento.
Tali accertamenti, soprattutto se il risultato derivante dall'I.B.E. significativamente peggiore della classificazione derivante
dai dati dei macrodescrittori e degli eventuali parametri addizionali, devono includere analisi supplementari volte a verificare
la presenza di sostanze pericolose non ricercate in precedenza ovvero l'esistenza di eventuali effetti di tipo tossico su organismi
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acquatici, ovvero di fenomeni di accumulo di contaminanti nei sedimenti e nel biota.
L'eventuale evidenziazione di situazioni di tossicit per gli organismi testati e/o evidenze di bioaccumulo sugli stessi portano ad
attribuire lo stato ambientale scadente.


3.3 LAGHI

3.3.1 INDICATORI DI QUALIT E ANALISI DA EFFETTUARE
La definizione dello stato di qualit ambientale dei laghi basata sulle analisi effettuate sulla matrice acquosa
Qualora ne ricorra la necessit, come di seguito specificato, tali analisi vanno integrate con determinazioni sui sedimenti e sul
biota ovvero da saggi biologici a medio e lungo termine.
Tutte le determinazioni necessarie per la classificazione debbono essere condotte sulle stazioni e con le frequenze indicate nella
sezione 3.3.2

3.3.1.1 ACQUE
Le determinazioni sulla matrice acquosa riguardano due gruppi di parametri, quelli di base e quelli addizionali.
I parametri di base sono riportati in tabella 10. Alcuni di questi sono relativi allo stato trofico e sono utilizzati per la
classificazione, altri servono a fornire informazioni di supporto per l'interpretazione dei fenomeni di alterazione.
La determinazione dei parametri di base obbligatoria.
I parametri addizionali sono relativi ai microinquinanti organici ed inorganici; quelli di pi ampio significato ambientale sono
riportati nella tabella 1.
La selezione dei parametri da esaminare effettuata dall'autorit competente caso per caso, in relazione alle criticit
conseguenti agli usi del territorio.
Le analisi dei parametri addizionali ove l'Autorit competente lo ritenga necessario e comunque nel caso in cui:
- a seguito delle attivit delle indagini conoscitive di cui all'allegato 3 si individuino sorgenti puntuali e diffuse o si abbiano
informazioni pregresse e attuali su sorgenti puntuali e diffuse che apportino una o pi specie di tali inquinanti nel corpo idrico;
- dati recenti dimostrino livelli contaminazione, da parte di tali sostanza, delle acque e del biota o segni di incremento delle
stesse nei sedimenti.

Tabella 10 - Parametri chimico-fisici di base (con (o)sono indicati i parametri macrodescrittori utilizzati per la classificazione)

__________________________________________________________________________________
Temperatura (C) | pH
_____________________________________|____________________________________________
Alcalinit (mg/L Ca(HCO
3
)
2
) | Trasparenza (m)(o)
_____________________________________|____________________________________________
Ossigeno disciolto (mg/L) | Ossigeno ipolimnico (%di saturazione)(o)
_____________________________________|____________________________________________
Clorofilla "a" ((g/L)(o) | Fosforo totale (P g/L)(o)
_____________________________________|____________________________________________
Ortofosfato (P g/L) | Azoto nitroso (N g/L)
_____________________________________|____________________________________________
Azoto nitrico (N-mg/L) | Azoto ammoniacale (N mg/L)
_____________________________________|____________________________________________
Conducibilit Elettrica Specifica | Azoto totale (N mg/L)
(S/cm (20C)) |
_____________________________________|____________________________________________


3.3.1.2 SEDIMENTI
Valgono per i sedimenti le stesse indicazioni e le stesse considerazioni svolte per le acque correnti al punto 3.2.1.3.

3.3.1.3 BIOTA
Per quanto riguarda il biota, in attesa di nuove indicazioni predisposte come indicato al precedente punto 2.1.2., valgono le
stesse indicazioni e le stesse considerazioni svolte al punto 3.2.1.2 per le analisi supplementari nei corsi d'acqua.

3.3.2 CAMPIONAMENTO

3.3.2.1 CRITERI PER LA SCELTA DELLE STAZIONI DI PRELIEVO
Corpi d'acqua di superficie inferiore a 80 km
2
: un'unica stazione fissata nel punto di massima profondit.
Corpi d'acqua di superficie maggiore di 80 km
2
o di forma irregolare: il numero delle stazioni va individuato caso per caso,
tenendo conto delle zone di maggior interesse (rami ciechi, grandi baie poco profonde, fosse isolate).
I campioni di acqua vanno prelevati lungo la colonna, con le seguenti modalit:
- i laghi con profondit fino a 5 metri: un campione in superficie ed uno sul fondo
- laghi con profondit fino ai 50 m: un campione in superficie, uno a met della colonna d 'acqua ed uno sul fondo;
- laghi con profondit superiore a 50 m: un campione in superficie, a 25 m, a 50 m, a 100 m, a multipli di 100 m e uno sul
fondo;
- laghi che per peculiarit ambientali o situazioni di influsso antropico necessitino di un maggior dettaglio per la colonna d
'acqua superiore: un campione in superficie, a 5 m, a 10 m, a 20 m, a 50 m, a 100 m, a multipli di 100 m e uno sul fondo.
La misura della clorofilla va eseguita su campioni d'acqua prelevati nella sola zona fotica.
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3.3.2.2 FREQUENZA DEI CAMPIONAMENTI
I campionamenti devono essere effettuati semestralmente, una volta nel periodo di massimo rimescolamento ed una in quello di
massima stratificazione.

3.3.3 CLASSIFICAZIONE
Al fine di una prima classificazione dello stato ecologico dei laghi viene valutato lo stato trofico cos come indicato in tabella 11.
La classe da attribuire quello che emerge dal risultato peggiore tra i quattro parametri indicati.

Tabella 11 - Stato ecologico dei laghi

__________________________________________________________________________________
PARAMETRO CLASSE 1 CLASSE 2 CLASSE 3 CLASSE 4 CLASSE 5
__________________________________________________________________________________
Trasparenza (m) >5 5 2 1,5 1
(valore minimo )
__________________________________________________________________________________
Ossigeno ipolimnico >80% 80% 60% 40% 20%
(%di saturazione)
(valore minimo misurato
nel periodo di massima
stratificazione)
__________________________________________________________________________________
Clorofilla "a "(g/L) <3 6 10 25 >25
(valore massimo)
__________________________________________________________________________________
Fosforo totale (P g/L) <10 25 50 100 >100
(valore massimo )
__________________________________________________________________________________


Per la valutazione dei parametri relativi agli inquinanti chimici di cui alla tabella 1 si considera la media aritmetica dei dati
disponibili nel periodo di misura.
Al fine della attribuzione dello stato ambientale, i dati relativi allo stato ecologico andranno confermati dagli eventuali dati
relativi alla presenza degli inquinanti chimici della tabella 1 secondo quanto indicato nello schema riportato in Tabella 12.

Tabella 12 - Stato ambientale dei laghi

___________________________________________________________________________________
Stato Ecologico Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5
___________________________________________________________________________________
Concentrazione
inquinanti di cui
alla Tabella 1
___________________________________________________________________________________
Valore Soglia ELEVATO BUONO SUFFICIENTE SCADENTE PESSIMO
___________________________________________________________________________________
> Valore Soglia SCADENTE SCADENTE SCADENTE SCADENTE PESSIMO
___________________________________________________________________________________


Nel caso in cui alla sezione di corpo idrico venga attribuita uno stato ambientale inferiore a "Buono" devono essere effettuati
accertamenti successivi finalizzati alla individuazione delle cause del degrado e alla definizione delle azioni di risanamento.
Tali accertamenti, soprattutto se dagli elementi conoscitivi in possesso dell'autorit non si evidenziano scarichi potenzialmente
contenti le sostanze indicate in tabella 1 e quelle indicate in tabella 5, devono includere analisi supplementari volte a verificare
la presenza di sostanze pericolose non ricercate in precedenza e l'esistenza di eventuali effetti di tipo tossico su organismi
acquatici, ed infine di fenomeni di accumulo di contaminanti nei sedimenti e nel biota
L'eventuale evidenziazione di situazione di tossicit per gli organismi testati e/o evidenze di bioaccumulo sugli stessi portano ad
attribuire lo stato ambientale "Scadente".

3.4 ACQUE MARINE COSTIERE

3.4.1 INDICATORI DI QUALIT E ANALISI DA EFFETTUARE
Per la prima classificazione della qualit delle acque marine costiere vanno eseguite determinazioni sulla matrice acqua.
Al fine di ottenere elementi di valutazione che concorrano a definire il giudizio di qualit, alle indagini di base sulle acque
andranno associate indagini sui sedimenti e sul biota.
Le determinazioni necessarie per il sistema di classificazione debbono essere condotte secondo le indicazioni riportate nella
sezione 3.4.2.
Il monitoraggio del biota e dei sedimenti deve essere effettuato per rilevare specifiche fonti di contaminazione e per indicazioni
sui livelli di "compromissione" del tratto di costa considerato.
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L'autorit competente, ove necessario, integra i parametri riportati nelle specifiche tabelle possono essere integrati, con
indagini "addizionali" ovvero provvede a sostituirli con altri che risultino essere pi significativi rispetto alle specifiche realt
territoriali, in funzione delle caratteristiche del bacino afferente e/o dei diversi usi della fascia costiera, cos da mirare
attentamente le analisi ambientali.
L'eventuale incremento giudicato significativo, tra una analisi e le successive, della concentrazione degli inquinanti nei sedimenti
e nel biota, deve comportare l'approfondimento delle iniziative di controllo sugli apporti (insediamenti costieri civili e
produttivi, bacini idrografici affluenti). Tali controlli devono riferirsi, in prima approssimazione, alla valutazione dei carichi
inquinanti:
- veicolati al mare da corsi d'acqua, da scarichi diretti di acque reflue e da emissioni atmosferiche;
- contenuti in materiali solidi utilizzati in opere a mare (dragaggi, ripascimenti, barriere artificiali, ecc.).
Inoltre, dovranno essere presi in considerazioni le modalit di dispersione in mare degli inquinanti, il bilancio depurativo della
fascia costiera e quant'altro possa essere significativo per la caratterizzazione dei fenomeni di alterazione delle acque marine
costiere.
La frequenza dei campionamenti delle acque, dei sedimenti e del biota, indicata negli specifici paragrafi, pu essere variata
qualora le Autorit competenti lo ritengano necessario.

3.4.1.1 ACQUE
I parametri da analizzare nelle acque sono quelli di base riportati nella tabella 13; i parametri definiti macrodescrittori ed
indicati con (o) nella stessa tabella sono utilizzati per la classificazione di cui alla tabella 17. Gli altri parametri forniscono
informazioni di supporto per la interpretazione delle caratteristiche di qualit e vulnerabilit dell'ambiente marino analizzato
nonch per la valutazione dei carichi trasportati.
Per temperatura, salinit e ossigeno disciolto dovr essere fornito il profilo verticale su tutta la colonna d'acqua.
Qualora si ritenga necessaria un'analisi pi approfondita volta ad evidenziare gli effetti tossici a breve o lungo termine , ovvero
si ritenga opportuno integrare il dato chimico nella valutazione della qualit delle acque, si potranno condurre saggi biologici a
breve o lungo termine, su specie selezionate appartenenti a diversi gruppi tassonomici, in particolare su specie autoctone o
quelle per le quali esistano dei protocolli standardizzati.

Tabella 13 - Parametri di base (con (o)sono indicati i parametri macrodescrittori utilizzati per la classificazione)

__________________________________________________________________________________
Temperatura (C) | Ossigeno disciolto (mg/L)(o)
____________________________________|_____________________________________________
pH | Clorofilla "a" (g/L)(o)
____________________________________|_____________________________________________
Trasparenza (m) | Azoto totale (g/L come N)
____________________________________|_____________________________________________
Salinit (psu) | Azoto nitrico (g/L come N)(o)
____________________________________|_____________________________________________
Ortofosfato (g/L come P) | Azoto ammoniacale (g/L come N)(o)
____________________________________|_____________________________________________
Fosforo totale (g/L come P)(o) | Azoto nitroso (g/L come N)(o)
____________________________________|_____________________________________________
Enterococchi (UFC/100 cc) | Analisi quali quantitativa del
| fitoplancton (num. cellule/L)
____________________________________|_____________________________________________


3.4.1.2 BIOTA
Per la caratterizzazione dello stato degli ecosistemi marini, anche ai fini della formulazione del giudizio di qualit ecologica ed
ambientale delle acque marine costiere, dovranno essere eseguite indagini sulle biocenosi di maggior pregio ambientale (praterie di
fanerogame, coralligeno, etc.) e su altri bioindicatori.
Allo scopo di individuare particolari situazioni di criticit dovute alla presenza di sostanze chimiche pericolose presenti in tracce
nelle acque e di concorrere alla definizione del giudizio di qualit chimica, sul biota dovranno essere eseguite analisi di accumulo
di metalli pesanti e composti organici, indicati in tabella 14, nei mitili (Mytilus galloprovincialis) stabulati.
Le Regioni possono integrare i parametri indicati in tabella 14, in funzione delle esigenze di approfondimento delle conoscenze
rispetto a specifiche situazioni locali.

Tabella 14 Determinazione da eseguire nei mitili

______________________________________________________________________________
Metalli pesanti bioaccumulabili
______________________________________________________________________________
Idrocarburi Policiclici Aromatici -IPA (*)
______________________________________________________________________________
Composti organoclorurati (PCB e pesticidi)(*);
______________________________________________________________________________

(*) Si consiglia la determinazione dei seguenti inquinanti organici:
Idrocarburi Policiclici Aromatici priori tari :Naftalene, Acenaftene, Fenantrene*, Fluorantene, Benz(a)antracene**, Crisene**,
Benzo(b)fluorantene, Benzo(k)fluorantene**, Benzo(a)pirene**, Dibenzo(a,h)antracene, Benzo(g,h,i)perilene*, Antracene,
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Pirene Indeno(1,2,3,c,d,)pirene*, Acenaftilene, Fluorene.(*) indica le molecole con presunta attivit cancerogena,(**) quelle che
hanno attivit cancerogena.
Composti organoclorurati prioritari: DDT e analoghi (DD 's); Isomeri dell'Esaclorocicloesano (HCH 's); Drin 's;
Esaclorobenzene, PCB (i PCB pi rilevanti sotto il profilo ambientale consigliati anche in sede internazionale (EPA,UNEP)
sono: PCB's; PCB 52, PCB 77, PCB 81, PCB 128, PCB 138, PCB 153, PCB 169).


3.4.1.3 SEDIMENTI
Le determinazioni sui sedimenti riguardano tipi di indagini di base ed addizionali. Sono considerate di base e quindi prioritarie le
analisi dei parametri indicati nella tabella 15.
Qualora le autorit ritengano necessaria un'analisi pi approfondita volta a evidenziare gli effetti tossici a breve o a lungo
termine, ovvero ritengano opportuno integrare il dato chimico nella valutazione della qualit del sedimento, potranno essere
effettuate indagini addizionali, quali saggi biologici condotti su specie selezionate appartenenti a diversi gruppi tassonomici,
privilegiando le specie autoctone o quelle per le quali esistano dei protocolli standardizzati .

Tabella 15-Determinazione da eseguire nei sedimenti

_____________________________________________________________________________
Analisi granulometrica per la |Carbonio Organico
determinazione delle principali |
classi granulometriche (ghiaie; |
sabbie; limi; argille) |
________________________________________|____________________________________
Idrocarburi Policiclici Aromatici |Composti organoclorurati (PCB e
-IPA ((vedi nota (*) |pesticidi) (vedi nota (*)
Tabella 14) |Tabella 14)
________________________________________|____________________________________
Metalli pesanti bioaccumulabili |Composti organostannici #
________________________________________|____________________________________
Saggi biologici |
________________________________________|____________________________________

________________
(#)Lo screening dei composti organostannici pu essere limitato alle aree in prossimit di porti.




3.4.2 CAMPIONAMENTO

3.4.2.1 CRITERI PER LA SCELTA DELLE STAZIONI DI PRELIEVO
Le Autorit competenti dovranno elaborare ed attuare un piano di campionamento che, sulla base delle conoscenze dell'uso e
della tipologia del tratto di costa interessata, permetta di rappresentare adeguatamente, nello stesso tratto di costa, le zone
sottoposte a fonti di immissione, quali porti, canali, fiumi, insediamenti costieri, e le zone scarsamente sottoposte, a pressioni
antropiche (corpo idrico di riferimento).
In ogni caso, la strategia di campionamento dovr garantire un idoneo livello conoscitivo, propedeutico alla definizione dei
piani di risanamento o di tutela e comunque seguire i criteri di seguito riportati.


Acque
Ai fini del campionamento vengono identificate tre diverse tipologie di fondale, per ciascuna delle quali viene stabilito il
posizionamento di tre stazioni di prelievo per transetto; questi vanno sempre posizionati ortogonalmente alla linea di costa.
Le tre tipologie di fondale sono:
- Fondale alto quello che a 3000 m dalla costa ha una batimetrica superiore a 50 m.
- Fondale medio quello che a 200 m dalla costa ha una batimetrica superiore a 5 m e a 3000 m dalla costa una batimetrica
inferiore a 50 m.
- Fondale basso quello che a 200 m dalla costa ha una batimetrica inferiore ai 5 m.
- Il posizionamento delle stazioni fissato come segue:

ALTO FONDALE:
I Stazione II Stazione III Stazione
A 100 m da costa In posizione intermedia non oltre la batimetrica
fra la 1 e la 3 stazione dei 50 m
se la distanza tra dette
stazioni maggiore a
1000 m. Se invece la distanza
inferiore o uguale a 1000 m.
i prelievi e le misure vengono
effettuati solo nella 1 e
nella 3 stazione
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MEDIO FONDALE:
I Stazione II Stazione III Stazione
200 m da costa 1000 m da costa a 3000 m da costa

BASSO FONDALE:
I Stazione II Stazione III Stazione
500 m da costa 1000 m da costa a 3000 m da costa


Sedimenti
Le stazioni di prelievo devono essere fissate nella fascia costiera, in modo tale da rappresentare le diverse tipologie di
immissione che insistono nell'area (eventuali apporti industriali o civili, apporti fluviali, attivit portuali), nonch aree
scarsamente soggette ad apporti antropici (come corpo idrico di riferimento).
Dovranno essere considerate le porzioni superficiali di sedimento. La definizione dello strato da considerare potr essere
variato in funzione delle conoscenze sulle caratteristiche sedimentologiche, ed in particolare dei tassi di sedimentazione,
dell'area indagata.

Biota
Le stazioni di campionamento dei mitili indicati al punto 3.4.1.2. devono essere fissate in modo tale da rappresentare l'intera
"tipologia" costiera (eventuali fonti di immissione industriali o civili, apporti fluviali, attivit portuali, aree "indisturbate" etc.)
Devono inoltre essere identificate stazioni pi rappresentative delle biocenosi di maggior pregio ambientale presenti nell'area
in studio al fine della realizzazione di una cartografia biocenotica con scala adeguata.

3.4.2.2 FREQUENZA DEI CAMPIONAMENTI
Acque: prevista una frequenza di campionamento stagionale per tutti i parametri descritti in tabella 13. E' prevista inoltre
una frequenza di campionamento quindicinale nel periodo compreso fra Giugno e Settembre nelle aree interessate da fenomeni
eutrofici, quelle cio in cui l'indice trofico (calcolato in base alla tabella 16 e 17) sia maggiore di 5 per l'Alto Adriatico dalla foce
del fiume Adige al confine meridionale del comune di Pesaro e di 4,5 per le restanti acque marine costiere per due
campionamenti mensili successivi.

Sedimenti: prevista una frequenza di campionamento annuale. Il campionamento dovr essere effettuato sempre nello stesso
periodo dell'anno e corrispondere al periodo di minor influenza degli eventi meteo-marini (si consiglia il periodo estivo).

Biota: prevista una frequenza semestrale per le analisi di bioaccumulo (indicate in tabella 14); per l'esame delle biocenosi di
maggior pregio ambientale, anche al fine della realizzazione di una cartografia biocenotica di dettaglio, prevista una cadenza
triennale.

3.4.3 CLASSIFICAZIONE

3.4.3.1 STATO AMBIENTALE DELLE ACQUE MARINE COSTIERE
In attesa della definizione di un approccio integrato per la valutazione dello stato di qualit ambientale la prima classificazione
delle acque marine costiere viene condotta attraverso l'applicazione dell'indice trofico riportato in tabella 16, tenendo conto di ogni
elemento utile a definire il grado di allontanamento dalla naturalit delle acque costiere. Tale classificazione trofica sar integrata
dal giudizio emergente dalle indagini sul biota e sui sedimenti, allorch sar disponibile il criterio di classificazione dello stato
ambientale complessivo che dovr essere definito
ai sensi del precedente punto 2.
Ai fini della classificazione dovr essere considerato il valore medio dell'indice trofico, derivato dai valori delle singole misure
durante il complessivo periodo di indagine (24 mesi per la prima classificazione e 12 mesi per le successive).

Tabella 16-Definizione dell'indice trofico

_________________________________________________________________________
| Indice trofico =[Log
10
(Cha .D%O .N .P)+1,5 ] //1,2 |
| Cha=clorofilla "a" ( g/L) |
| D%O=ossigeno disciolto come deviazione % assoluta della saturazione |
| (100-O
2
D%) |
| P=fosforo totale ( g/L) |
| N=N-(NO
3
+NO
2
+NH
3
)( g/L) |
|________________________________________________________________________|


I risultati derivanti dall'applicazione dell'indice di trofia determineranno l'attribuzione dello stato ambientale secondo la
seguente tabella 17, valutato anche alla luce delle condizioni indicate nella stessa tabella 17.






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Tabella 17 - Classificazione delle acque marine costiere in base alla scala trofica

___________________________________________________________________________________
Indice di trofia Stato ambientale Condizioni
___________________________________________________________________________________
2 4 Stato ELEVATO Buona trasparenza delle acque
Assenza di anomale colorazioni delle
acque
Assenza di sottosaturazione di ossi-
geno disciolto delle acque bentiche
___________________________________________________________________________________
4 5 Stato BUONO Occasionali intorbidimenti delle
acque
Occasionali anomale colorazioni delle
acque
Occasionali ipossie nelle acque ben-
tiche
___________________________________________________________________________________
5 6 Stato MEDIOCRE Scarsa la trasparenza delle acque
Anomale colorazioni delle acque
Ipossie e occasionali anossie delle
acque bentiche
Stati di sofferenza a livello di
ecosistema bentonico
___________________________________________________________________________________
6 8 Stato SCADENTE Elevata torbidit delle acque
Diffuse e persistenti anomalie nella
colorazione delle acque
Diffuse e persistenti ipossie/anossie
nelle acque bentiche
Morie di organismi bentonici
Alterazione/semplificazione delle
comunit bentoniche
Danni economici nei settori del
turismo, pesca ed acquacoltura
__________________________________________________________________________________


Ai sensi di quanto disposto dall'articolo 5 del decreto, per il tratto costiero compreso fra la foce del fiume Adige e il confine
meridionale del comune di Pesaro viene considerato obiettivo-trofico "intermedio", da raggiungere entro il 2008, un valore medio
annuale dell'indice trofico non superiore a 5.
L'eventuale evidenziazione di situazione di tossicit per gli organismi testati e/o evidenze di bioaccumulo oltre alle soglie
previste dalle normative esistenti (allegato 2 sez. C; norme sugli alimenti, e altre norme sanitarie) portano ad attribuire lo stato
ambientale "Scadente".


3.5 ACQUE DI TRANSIZIONE

3.5.1 PREMESSA
Lo stato delle conoscenze e delle esperienze di studio riguardanti le acque di transizione non sono sufficienti per definire
compiutamente i criteri per il monitoraggio e per l'attribuzione dello stato ecol ogico in cui si trova il corpo idrico.
Le indicazioni che seguono sono quindi in parte sperimentali e propedeutiche ad una futura migliore definizione in base ai
risultati di una prima fase di monitoraggio e studio.
A tal riguardo vanno acquisite informazioni su:
1. area del bacino scolante e sue caratteristiche;
2. portata dei principali corsi d'acqua afferenti;
3. stima dei carichi di nutrienti afferenti (Azoto e Fosforo);
4. cartografia con isobate dell'area indagata;
5. caratteristiche morfologiche delle bocche delle aree lagunari;
6. presenza di dighe, barriere, canali lagunari, ecc.;
7. individuazione delle aree a minore ricambio.
In assenza di consistenti interventi o di altri fattori influenzanti le caratteristiche idromorfologiche in tali aree, le suindicate
informazioni conoscitive vanno aggiornate con cadenza quinquennale.

3.5.2 INDICATORI DI QUALIT E ANALISI DA EFFETTUARE
In attesa della definizione dei criteri di cui al punto 2.1.2, per le matrici acqua e sedimenti sono da monitorare i parametri
indicati nelle precedenti tabelle 13 e 15 relativi alle acque marine costiere.
Per quanto riguarda il biota vanno eseguite, sui bivalvi indicati al punto 3.4.1.2., misure di accumulo di metalli e di inquinanti
organici, indicati in tabella 14.
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inoltre consigliabile integrare le analisi su indicate con indagini sul fitoplancton (lista tassonomica e densit), macroalghe e
fanerogame (lista tassonomica ed abbondanza per m
2
, cartografia della massima superficie coperta
(2)
) e macroinvertebrati bentonici (lista tassonomica e densit).
I parametri riportati nelle tabelle possono essere integrati o sostituiti da altri che risultino pi significativi rispetto alle
specifiche realt territoriali.

___________
2
solo per ambienti lagunari
___________


3.5.3 CAMPIONAMENTO

3.5.3.1 STAZIONI DI PRELIEVO
Il campionamento della matrice acqua sar effettuato su un reticolo di stazioni rappresentativo del bacino in esame.
I campionamenti saranno effettuati in superficie e riguarderanno i parametri indicati nella tabella 13. Per profondit superiori
a 1,5 metri, la determinazione di temperatura, salinit ed ossigeno disciolto sar condotta anche sul profilo verticale.
In ogni caso, la strategia di campionamento dovr garantire un livello conoscitivo propedeutico alla definizione dei piani di
risanamento o di tutela.
Per quanto riguarda il biota e i sedimenti, le stazioni saranno scelte preferenzialmente in prossimit delle stazioni per il
monitoraggio delle acque, in modo da ottenere una caratterizzazione, omogenea e rappresentativa dell'ambiente in studio.

3.5.3.2 FREQUENZA DI CAMPIONAMENTO
Per quanto riguarda la matrice acque la frequenza di campionamento sar mensile. Nelle zone soggette a situazioni distrofiche
(crisi anossiche, fioriture algali abnormi, elevate biomasse di macroalghe) la frequenza sar quindicinale nel periodo giugno-
settembre. In tali situazioni parte delle misure riportate in tabella 13 (ossigeno disciolto, temperatura, salinit) potranno essere
rilevate con strumentazione in automatico ed in continuo.
Per il biota la frequenza di campionamento sar almeno semestrale.
Per i sedimenti prevista una frequenza di campionamento annuale. Il campionamento dovr essere effettuato sempre nello
stesso periodo dell'anno e corrispondere al periodo di minor influenza degli eventi metereologici (si consiglia il periodo estivo).

3.5.4 CLASSIFICAZIONE
Per la classificazione delle acque lagunari e gli stagni costieri si valuta il numero di giorni di anossia/anno
(3)
, misurata nelle acque di fondo, che interessano oltre il 30 % della superficie del corpo idrico secondo lo schema riportato in
tabella 18. Tale risultato integrato con i risultati delle analisi relative ai sedimenti ed al biota.
L'esito positivo dei saggi biologici sui sedimenti o l'indicazione di un incremento statisticamente significativo delle
concentrazioni di inquinanti nei sedimenti, o dell'accumulo negli organismi, pregiudica l'attribuzione dello stato sufficiente. In
tal caso il corpo idrico in questione va classificato nello stato scadente

__________
3
valori dell'ossigeno disciolto nelle acque di fondo compresi fra 0-1.0 mg/L
__________

Tabella 18 - Stato ambientale delle acque laguna i e degli stagni costieri

__________________________________________________________________________________
Stato BUONO Stato SUFFICIENTE Stato SCADENTE
__________________________________________________________________________________
Numero giorni di anossia/anno 1 10 >10
che coinvolgono oltre il 30%
della superficie del corpo
idrico
__________________________________________________________________________________


3.6 CORPI IDRICI ARTIFICIALI
Ai corpi idrici artificiali si applicano gli stessi elementi di qualit e gli stessi criteri di misura applicati ai corpi idrici
superficiali naturali che pi si accostano al corpo idrico artificiale in questione.
Il numero e la localizzazione dei punti di campionamento, nonch la frequenza delle misure sono definiti a cura delle Regioni e
delle province autonome, tenendo conto della rilevanza del corpo idrico in questione rispetto al reticolo idrografico locale.
Gli obiettivi ambientali fissati per questi corpi idrici devono garantire il rispetto degli obiettivi fissati per i corpi idrici
superficiali naturali ad essi connessi. Per quanto riguarda lo stato ecologico, tendenzialmente, devono avere un livello
qualitativo corrispondente almeno a quello immediatamente pi basso di quello individuato per gli analoghi corpi idrici
naturali.
Per quanto riguarda lo stato chimico non devono comunque essere superate le soglie indicate per le sostanze pericolose
prioritarie nella precedente tabella 1.
Nel caso di canali artificiali la classificazione va eseguita solo sulla base dei parametri riportati nella tabella 7 e del risultato del
punteggio ottenuto dai macrodescrittori secondo quanto indicato in tabella 8.


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4 MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE:ACQUE SOTTERRANEE

4.1 ORGANIZZAZIONE DEL MONITORAGGIO
Per le attivit di monitoraggio e classificazione dello stato di un corpo idrico sotterraneo necessaria una preventiva
ricostruzione del modello idrogeologico, secondo le indicazioni di cui all'allegato 3, in termini di:
- individuazione e parametrizzazione dei principali acquiferi;
- definizione delle modalit di alimentazione-deflusso-recapito;
- identificazione dei rapporti tra acque superficiali ed acque sotterranee;
- individuazione dei punti d'acqua (pozzi, sorgenti, emergenze);
- determinazione delle caratteristiche idrochimiche;
- identificazione delle caratteristiche di utilizzo delle acque.
Il modello idrogeologico deve essere periodicamente aggiornato sulla base delle nuove conoscenze e delle attivit di
monitoraggio. La rilevazione dei dati sullo stato quantitativo e chimico deve essere riferita agli acquiferi individuati.
Il monitoraggio delle acque sotterranee articolato in una fase conoscitiva iniziale ed una fase di monitoraggio a regime.
La fase conoscitiva iniziale e di base viene effettuata rispettando le indicazioni riportate all'allegato 3.
Il monitoraggio si articola temporalmente in due fasi:

4.1.1 FASE CONOSCITIVA
La prima di caratterizzazione sommaria, propedeutica alla sotto fase successiva e utile ad una conoscenza dello stato chimico
delle acque sotterranee, finalizzata ad una analisi di inquadramento generale attraverso la ricerca di un gruppo ridotto di
parametri chimici, fisici e microbiologici; ci che consenta tra l'altro l'individuazione delle aree critiche, di quelle
potenzialmente soggette a crisi e di quelle naturalmente protette, secondo le indicazioni riportate all'allegato 3.
Se si dispone di serie storiche continuative di dati, purch non antecedenti il 1996, queste possono essere utilizzate in
sostituzione o ad integrazione delle analisi previste nella fase iniziale del monitoraggio.
Per la successiva sotto fase, sulla base dei risultati della caratterizzazione sommaria, nonch delle conoscenze acquisite durante
tale fase sulla situazione idrogeologica e di antropizzazione del territorio, l'Autorit competente individua i punti d'acqua
ritenuti significativi ed effettua su di essi il monitoraggio per la classificazione. Sui punti d'acqua d'interesse locale esegue il
monitoraggio per la caratterizzazione dell'acquifero e comunque, oltre alle misure quantitative (livello, portata), esegue le
analisi dei "parametri di base" riportati nella Tabella 19.

4.1.2 FASE A REGIME
Il monitoraggio nella fase a regime ha come scopo l'analisi del comportamento e delle modificazioni nel tempo dei sistemi
acquiferi. Sulla base dei risultati della fase conoscitiva e delle conoscenze accumulate dovr essere individuata una rete di punti
d'acqua significativi e rappresentativi delle condizioni idrogeologiche, antropiche, di inquinamento in atto, delle azioni di
risanamento intraprese su cui compiere un sistematico e periodico monitoraggio chimico e quantitativo secondo i criteri
indicati al punto 4.2.
Il monitoraggio quantitativo va eseguito, per le acque utilizzate, dal concessionario o dal gestore, che deve rendere disponibili i
dati su opportuno supporto magnetico per l'autorit preposta al controllo.

4.2 INDICATORI DI QUALIT ED ANALISI DA EFFETTUARE

4.2.1 FASE INIZIALE

4.2.1.1 MISURE QUANTITATIVE
Il monitoraggio quantitativo ha come finalit e quella di acquisire le informazioni relative ai vari acquiferi, necessarie per la
definizione del bilancio idrico di un bacino. Inoltre dovr permettere di caratterizzare i singoli acquiferi in termini di
potenzialit, produttivit e grado di sfruttamento.
Questo tipo di rilevamento basato sulla determinazione dei seguenti parametri fondamentali:
- livello piezometrico;
- portate delle sorgenti o emergenze naturali delle acque sotterranee.
- A discrezione delle autorit competenti potranno essere monitorati altri parametri specifici, scelti in funzione della specificit
dei singoli acquiferi e delle attivit presenti sul territorio come ad esempio i movimenti verticali del livello del suolo.
I dati desunti dalle attivit di monitoraggio dovranno essere opportunamente elaborati dalle Regioni al fine di definire e
parametrizzare i seguenti indicatori generali, da utilizzare per la classificazione:
- morfologia della superficie piezometrica;
- escursioni piezometriche;
- variazioni delle direzioni di fl usso;
- entit dei prelievi;
- variazioni delle portate delle sorgenti o emergenze naturali delle acque sotterranee;
- variazioni dello stato chimico indotto dai prelievi;
- movimenti verticali del livello del suolo connesse all 'estrazione di acqua dal sottosuolo.

4.2.1.2 MISURE CHIMICHE
La fase iniziale del monitoraggio dura 24 mesi ed ha la finalit di caratterizzare l'acquifero. Il rilevamento della qualit del
corpo idrico sotterraneo basato sulla determinazione dei "parametri di base" riportati nella Tabella 19. I parametri di
tabella evidenziati con il simbolo (o) saranno utilizzati per la classificazione in base a quanto indicato in Tabella 20.
Le autorit competenti devono analizzare i parametri addizionali relativi a inquinanti specifici, indivi duati in funzione dell'uso
del suolo, delle attivit presenti sul territorio, in considerazione della vulnerabilit della risorsa e della tutela degli ecosistemi
connessi oppure di particolari caratteristiche ambientali. Un lista di tali inquinanti con l'i ndicazione dei relativi valori di soglia
riportata nella Tabella 21.
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Tabella 19 - Parametri di base (con (o)sono indicati i parametri macrodescrittori utilizzati per la classificazione).

________________________________________________________________________________
Temperatura (C) | Potassio (mg/L)
_____________________________________________|__________________________________
Durezza totale (mg/L CaCO
3
) | Sodio (mg/L)
_____________________________________________|__________________________________
Conducibilit elettrica (S/cm (20C))(o) | Solfati (mg/L)come SO
4
(o)
_____________________________________________|__________________________________
Bicarbonati (mg/L) | Ione ammonio (mg/L)come NH
4
(o)
_____________________________________________|__________________________________
Calcio (mg/L) | Ferro (mg/L)(o)
_____________________________________________|__________________________________
Cloruri (mg/L)(o) | Manganese (mg/L)(o)
_____________________________________________|__________________________________
Magnesio (mg/L) | Nitrati (mg/L)come NO
3
(o)
_____________________________________________|__________________________________


4.2.2 FASE A REGIME
Nella fase a regime sulla rete di monitoraggio individuata in base ai risultati della fase conoscitiva iniziale vanno proseguite le
misure sui parametri di base precedentemente utilizzati al punto 4.2.1.2.
Si ritiene necessario considerare un periodo iniziale di riferimento di almeno cinque anni per poter definire le tendenze
evolutive del corpo idrico.
Per le misure chimiche vanno inoltre monitorati tutti quei parametri relativi ad inquinanti inorganici o organici individuati
dall'autorit preposta al controllo, in ragione delle condizioni dell'acquifero e della sua vulnerabilit, dell'uso del suolo e delle
attivit antropiche caratteristiche del territorio.

4.3 MISURE
Per quanto riguarda gli aspetti quantitativi, su un numero ridotto di punti significativi appartenenti alle reti di monitoraggio
individuate, le misure dovranno essere eseguite con cadenza mensile e sui pozzi, sui piezometri. Le misure sulle sorgenti
dovranno essere anche pi ravvicinate in ragione dei tempi di esaurimento della sorgente stessa.
Per quanto riguarda le analisi chimiche dovranno essere eseguite, sia nella fase iniziale che per quella a regime, con cadenza
semestrale in corrispondenza dei periodi di massimo e minimo deflusso delle acque sotterranee.


4.4 CLASSIFICAZIONE
Lo stato ambientale delle acque sotterranee definito in base allo stato quantitativo e a quello chimico.

4.4.1 STATO QUANTITATIVO
I parametri e i relativi valori numerici di riferimento per la classificazione quantitativa dei corpi idrici sotterranei, sono
definiti dalle Regioni utilizzando gli indicatori generali elaborati sulla base del monitoraggio secondo i criteri che verranno
indicati con apposito decreto ministeriale su proposta dell'ANPA, in base alle caratteristiche dell'acquifero (tipologia,
permeabilit, coefficienti di immagazinamento) e del relativo sfruttamento (tendenza piezometrica o delle portate, prelievi per
vari usi).
Un corpo idrico sotterraneo in condizioni di equilibrio quando le estrazioni o le alterazioni della velocit naturale di
ravvenamento sono sostenibili per lungo periodo (almeno 10 anni): sulla base delle alterazioni misurate o previste di tale
equilibrio viene definito lo stato quantitativo.
Lo stato quantitativo dei corpi idrici sotterranei definito da quattro classi cos caratterizzate:

Classe A L 'impatto antropico nullo o trascurabile con condizioni di equilibrio
idrogeologico.
Le estrazioni di acqua o alterazioni della velocit naturale di ravvena-
mento sono sostenibili sul lungo periodo.
Classe B L'impatto antropico ridotto, vi sono moderate condizioni di disequili-
brio del bilancio idrico, senza che tuttavia ci produca una condizione
di sovrasfruttamento, consentendo un uso della risorsa e sostenibile sul
lungo periodo.
Classe C Impatto antropico significativo con notevole incidenza dell'uso sulla
disponibilit della risorsa evidenziata da rilevanti modificazioni agli
indicatori generali sopraesposti (1).
Classe D Impatto antropico nullo o trascurabile, ma con presenza di complessi
idrogeologici con intrinseche caratteristiche di scarsa potenzialit
idrica.

___________
(1)nella valutazione quantitativa bisogna tener conto anche degli eventuali surplus incompatibili con la presenza di
importanti strutture sotterranee preesistenti.
___________
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4.4.2 STATO CHIMICO
Le classi chimiche dei corpi idrici sotterranei sono definite secondo il seguente schema:

Classe 1 Impatto antropico nullo o trascurabile con pregiate caratteristiche
idrochimiche;
Classe 2 Impatto antropico ridotto e sostenibile sul lungo periodo e con buone
caratteristiche idrochimiche
Classe 3 Impatto antropico significativo e con caratteristiche idrochimiche
generalmente buone, ma con alcuni segnali di compromissione;
Classe 4 Impatto antropico rilevante con caratteristiche idrochimiche scadenti;
Classe 0 Impatto antropico nullo o trascurabile ma con particolari facies
(*) idrochimiche naturali in concentrazioni al di sopra del valore della
classe 3.

___________
(*)per la valutazione dell 'origine endogena delle specie idrochimiche presenti dovranno essere considerate anche le
caratteristiche chimico-fisiche delle acque.
___________


Ai fini della classificazione chimica si utilizzer il valore medio, rilevato per ogni parametro di base o addizionale nel periodo
di riferimento. Le diverse classi qualitative vengono attribuite secondo lo schema di tabella 20, tenendo anche conto dei
parametri e dei valori riportati alla Tabella 21. La classificazione determinata dal valore di concentrazione peggiore
riscontrato nelle analisi dei diversi parametri di base o dei parametri addizionali.


Tabella 20 Classificazione chimica in base ai parametri di base (1)

____________________________________________________________________________________
Unit Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 0 (*)
di
misura
____________________________________________________________________________________
Conducibilit S/cm(20C) 400 2500 2500 >2500 >2500
elettrica
Cloruri mg/L 25 250 250 >250 >250
Manganese g/L 20 50 50 >50 >50
Ferro g/L <50 <200 200 >200 >200
Nitrati mg/L di NO
3
5 25 50 >50
Solfati mg/L di SO
4
25 250 250 >250 >250
Ione ammonio mg/L di NH
4
0,05 0,5 0,5 >0,5 >0,5

___________
(1)se la presenza di tali sostanza di origine naturale, cos come appurato dalle Regioni o dalle province autonome,
verr automaticamente attribuita la classe 0.
___________





















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Tabella 21 - Parametri addizionali

________________________________________________________________________________
Inquinanti inorganici g/L Inquinanti organici g/L
________________________________________________________________________________
Alluminio 200 Composti alifatici alogenati totali 10
Antimonio 5 di cui:
Argento 10 -1,2-dicloroetano 3
Arsenico 10 Pesticidi totali (1) 0,5
Bario 2000 di cui:
Berillio 4 -aldrin 0,03
Boro 1000 -dieldrin 0,03
Cadmio 5 -eptacloro 0,03
Cianuri 50 -eptacloro epossido 0,03
Cromo tot. 50 Altri pesticidi individuali 0,1
Cromo VI 5 Acrilamide 0,1
Fluoruri 1500 Benzene 1
Mercurio 1 Cloruro di vinile 0,5
Nichel 20 IPA totali (2) 0,1
Nitriti 500 Benzo (a)pirene 0,01
Piombo 10
Rame 1000
Selenio 10
Zinco 3000

____________
(1) in questo parametro sono compresi tutti i composti organici usati come biocidi (erbici, insetticidi, fungicidi, acaricidi,
alghicidi, nematocidi ecc..);
(2) si intendono in questa classe i seguenti composti specifici: benzo(b)fluorantene, benzo(k)fluorantene, benzo(ghi)perilene,
indeno(1,2,3-cd)pirene.
____________


Se la presenza di inquinanti inorganici in concentrazioni superiori a quelle di tabella 21 di origine naturale verr attribuita la
classe 0 per la quale, di norma, non vengono previsti interventi di risanamento.
La presenza di inquinanti organici o inorganici con concentrazioni superiori a quelli del valore riportato nella tabella 21
determina la classificazione in classe 4.
Se gli inquinanti di tabella 21 non sono presenti o vengono rilevate concentrazione al di sotto della soglia di rilevabilit indicata
dai metodi analitici le acque il corpo idrico classificate a seconda dei risultati relativi ai parametri di tabella 20.
Tranne nel caso della presenza naturale di sostanze inorganiche, il ritrovamento di questi inquinati in concentrazioni
significative vicine alla soglia indicata comunque un segnale negativo di rischio per gli acquiferi interessati. Nei piani di
tutela, devono quindi essere comunque adottate misure atte a prevenire un ulteriore peggioramento e a rimuovere le cause di
rischio. Devono inoltre essere considerati gli effetti della eventuale interconessione delle acque sotterrane con corpi idrici
superficiali di particolare pregio il cui obiettivo ambientale, a causa della persistenza e dei processi di bioaccumulo di alcuni
inquinanti, prevede per questi valori di concentrazione pi cautelativi.

4.4.3 STATO AMBIENTALE DELLE ACQUE SOTTERRANEE
In base alle conoscenze prodotte attraverso le attivit di cui al punto 1 e per confronto con le classi di qualit della risorsa
definite con l e Tabelle 20 e 21, verranno quindi classificati i singoli corpi idrici sotterranei in base al loro stato ambientale.
La sovrapposizione delle classi chimiche (classi 1, 2, 3, 4, 0) e quantitative (classi A, B, C, D) definisce lo stato ambientale del
corpo idrico sotterraneo cos come indicato nella tabella 22 e permette di classificare i corpi idrici sotterranei.

Tabella 22 Stato ambientale (quali-quantitativo) dei corpi idrici sotterranei

____________________________________________________________________________________
Stato elevato Stato buono Stato sufficiente Stato scadente Stato particolare
____________________________________________________________________________________
1 A 1 - B 3 A 1 C 0 A
2 - A 3 B 2 C 0 B
2 - B 3 C 0 C
4 C 0 D
4 A 1 D
4 B 2 D
3 D
4 D


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In assenza di serie storiche significative di dati dal punto di vista quantitativo in una prima fase la classificazione sar basata
sullo stato chimico delle risorse, ipotizzando, per la parte quantitativa, una classe C.
Qualora i corpi acquiferi individuati presentino al loro interno differenti condizioni dello stato si pu procedere ad un'ulteriore
suddivisione che individui porzioni omogenee o aree discrete a differente stato di qualit sempre sulla base di quanto indicato
in Tabella 22.
La Regione, procede alla classificazione cartografica ed alla zonazione dei singoli corpi idrici sotterranei in base al rispettivo
"stato". Sempre in base alla suddetta classificazione verranno pianificate le eventuali azioni di risanamento da adottare. Per
quanto riguarda gli acquiferi che hanno uno stato naturale particolare pur non dovendo prevedere specifiche azioni di
risanamento, deve comunque essere evitato un peggioramento dello stato chimico o un ulteriore impoverimento quantitativo.
Tale classificazione ha carattere temporaneo dovr essere progressivamente e periodicamente riaggiornata in base al
raggiungimento degli obiettivi verificato tramite le attivit di monitoraggio previste al punto 4.1.


ALLEGATO 2 - CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DEI CORPI IDRICI A DESTINAZIONEFUNZIONALE


SEZIONE A: CRITERI GENERALI E METODOLOGIE PER IL RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE
QUALITATIVE E PER LA CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE SUPERFICIALI DESTINATE ALLA PRODUZIONE DI
ACQUA POTABILE

I seguenti criteri si applicano alle acque dolci superficiali utilizzate o destinate ad essere utilizzate per la produzione di acqua
potabile dopo i trattamenti appropriati.

1)CALCOLO DELLA CONFORMIT E CLASSIFICAZIONE
Per la classificazione delle acque in una delle categorie A1, A2, A3, di cui alla tabella 1/A, i valori specificati per ciascuna
categoria devono essere conformi nel 95% dei campioni ai valori limite specificati nelle colonne I e nel 90% ai valori limite
specificati nelle colonne G, quando non sia indicato il corrispondente valore nella colonna I. Per il rimanente 5% o il 10% dei
campioni che, secondo i casi, non sono conformi, i parametri non devono discostarsi in misura superiore al 50% dal valore dei
parametri in questione, esclusi la temperatura, il pH, l'ossigeno disciolto ed i parametri microbiologici.

2)CAMPIONAMENTO
2.1) UBICAZIONE DELLE STAZIONI DI PRELIEVO
Per tutti i laghi naturali ed artificiali e per tutti i corsi d'acqua naturali ed artificiali utilizzati o destinati ad essere utilizzati per
l'approvvigionamento idrico potabile - fermo restando quanto previsto nell'allegato 1 - le stazioni di prelievo dovranno essere
ubicate in prossimit delle opere di presa esistenti o previste in modo che i campioni rilevati siano rappresentativi della qualit
delle acque da utilizzare.
Ulteriori stazioni di prelievo dovranno essere individuate in punti significativi del corpo idrico quando ci sia richiesto da
particolari condizioni locali, tenuto soprattutto conto di possibili fattori di rischio d'inquinamento. I prelievi effettuati in tali
stazioni avranno la sola finalit di approfondire la conoscenza della qualit del corpo idrico, per gli opportuni interventi.

2.2) FREQUENZA MINIMA DEI CAMPIONAMENTI E DELLE ANALISI DI OGNI PARAMETRO

___________________________________________
|GRUPPO DI PARAMETRI () |
|__________________________________________|
|I II III |
|__________________________________________|
Frequenza minima annua dei |12 12 12 |
campionamenti e delle analisi | |
per i corpi idrici da classificare | |
|__________________________________________|
|GRUPPO DI PARAMETRI () |
|__________________________________________|
|I (*) II III (**)|
Frequenza minima annua dei |8 8 8 |
campionamenti e delle analisi | |
per i corpi idrici gi classificati | |
|__________________________________________|

(*) Per le acque della categoria A3 la frequenza annuale dei campionamenti dei parametri del gruppo I deve essere
portata a 12.
() I parametri dei diversi gruppi comprendono:








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_________________________________________________________________________________
PARAMETRI I GRUPPO
_________________________________________________________________________________
pH, colore, materiali totali in sospensione, temperatura, conduttivit, odore,
nitrati, cloruri, fosfati, COD, DO (ossigeno disciolto),BOD
5
,ammoniaca
_________________________________________________________________________________
PARAMETRI II GRUPPO
_________________________________________________________________________________
ferro disciolto, manganese, rame, zinco, solfati, tensioattivi, fenoli, azoto
Kjeldhal, coliformi totali e coliformi fecali.
_________________________________________________________________________________
PARAMETRI III GRUPPO
_________________________________________________________________________________
fluoruri, boro, arsenico, cadmio, cromo totale, piombo, selenio, mercurio, bario,
cianuro, idrocarburi disciolti o emulsionati, idrocarburi policiclici aromatici,
antiparassitari totali, sostanze estraibili con cloroformio, streptococchi fecali
e salmonelle
_________________________________________________________________________________

________
(**)Per i parametri facenti parte del III gruppo, salvo che per quanto riguarda gli indicatori di inquinamento microbiologico,
su indicazione dell'autorit competente al controllo ove sia dimostrato che non vi sono fonti antropiche, o naturali, che possano
determinarne la loro presenza nelle acque, la frequenza di campionamento pu essere ridotta.
________


3)MODALIT DI PRELIEVO,DI CONSERVAZIONE E DI TRASPORTO DEI CAMPIONI
I campioni dovranno essere prelevati, conservati e trasportati in modo da evitare alterazioni che possono influenzare
significativamente i risultati delle analisi.
a) Per il prelievo, la conservazione ed il trasporto dei campioni per analisi dei parametri di cui alla tabella 2/A, vale quanto
prescritto, per i singoli parametri, alla colonna G.
b) Per il prelievo, la conservazione ed il trasporto dei campioni per analisi dei parametri di cui alla tabella 3/A, vale quanto
segue:
- i prelievi saranno effettuati in contenitori sterili;
- qualora si abbia motivo di ritenere che l'acqua in esame contenga cloro residuo, le bottiglie dovranno contenere una soluzione
al 10% di sodio tiosolfato, nella quantit di mL 0,1 per ogni 100 mL di capacit della bottiglia, aggiunto prima della
sterilizzazione;
- le bottiglie di prelievo dovranno avere una capacit idonea a prelevare l'acqua necessaria all'esecuzione delle analisi
microbiologiche;
- i campioni prelevati, secondo le usuali cautele di asepsi, dovranno essere trasportati in idonei contenitori frigoriferi (4-10C)
al riparo della luce e dovranno, nel pi breve tempo possibile, e comunque entro e non oltre le 24 ore dal prelievo, essere
sottoposti ad esame.
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Tabella 1/A: Caratteristiche di qualit per acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile

Numero
parametro
Parametro Unit di
misura
A1
G
A1
I
A2
G
A2
I
A3
G
A3
I
1 pH unit pH 6,5-8,5 5,5-9 - 5,5-9 -
2 Colore (dopo filtrazione
semplice)
mg/L scala pt 10 20(o) 50 100(o) 50 200(o)
3 Totale materie in sospensione mg/L MES 25 - - - - -
4 Temperatura C 22 25(o) 22 25(o) 22 25(o)
5 Conduttivit S /cm a 20 1000 - 1000 - 1000 -
6 Odore Fattore di
diluizione a
25C
3 - 10 - 20 -
7 * Nitrati mg/L NO
3
25 50(o) - 50(o) - 50(o)
8 Fluoruri (1) mg/L F 0,7/1 1,5 0,7/1,7 - 0,7/1,7 -
9 Cloro organico totale estraibile mg/L Cl - - - - - -
10 * Ferro disciolto mg/L Fe 0,1 0,3 1 2 1 -
11 * Manganese mg/L Mn 0,05 - 0,1 - 1 -
12 Rame mg/L Cu 0,02 0,05(o) 0,05 - 1 -
13 Zinco mg/L Zn 0,5 3 1 5 1 5
14 Boro mg/L B 1 - 1 - 1 -
15 Berillio mg/L Be - - - - - -
16 Cobalto mg/L Co - - - - - -
17 Nichelio mg/L Ni - - - - - -
18 Vanadio mg/L V - - - - - -
19 Arsenico mg/L As 0,01 0,05 - 0,05 0,05 0,1
20 Cadmio mg/L Cd 0,001 0,005 0,001 0,005 0,001 0,005
21 Cromo totale mg/L Cr - 0,05 - 0,05 - 0,05
22 Piombo mg/L Pb - 0,05 - 0,05 - 0,05
23 Selenio mg/L Se - 0,01 - 0,01 - 0,01
24 Mercurio mg/L Hg 0,0005 0,001 0,0005 0,001 0,0005 0,001
25 Bario mg/L Ba - 0,1 - 1 - 1
26 Cianuro mg/L CN - 0,05 - 0,05 - 0,05
27 Solfati mg/L SO
4
150 250 150 250(o) 150 250(o)
28 Cloruri mg/L Cl 200 - 200 - 200 -
29 Tensioattivi (che reagiscono al
blu di metilene)
mg/L (solfato di
laurile)
0,2 - 0,2 - 0,5 -
30 * Fosfati (2) mg/L P
2
O
5
0,4 - 0,7 - 0,7 -
31 Fenoli (indice fenoli)
paranitroanilina,
4 amminoantipirina
mg/L C
6
H
5
OH - 0,001 0,001 0,005 0,01 0,1
32 Idrocarburi disciolti o
emulsionati (dopo estrazione mediante etere di
petrolio)
mg/L - 0,05 - 0,2 0,5 1

Testo al 1 agosto 2000 ore 19.15 sulla base della riunione di coordinamento e concerto del 1 agosto 2000

33 Idrocarburi policiclici aromatici mg/L - 0,000
2
- 0,000
2
- 0,001
34 Antiparassitari-totale (parathion,
HCH, dieldrine)
mg/L - 0,001 - 0,002
5
- 0,005
35 * Domanda chimica ossigeno
(COD)
mg/L
O
2

- - - - 30 -
36 * Tasso di saturazione
dell'ossigeno disciolto
% 0
2
> 70 - > 50 - > 30 -
37 * A 20C senza nitrificazione
domanda biochimica di ossigeno (BOD
5
)
mg/L 0
2
< 3 - < 5 - < 7 -
38 Azoto Kjeldahl (tranne NO
2
ed NO
3
) mg/L N 1 - 2 - 3 -
39 Ammoniaca mg/L
NH
4

0,05 - 1 1,5 2 4(o)
40 Sostanze estraibili al cloroformio mg/L
SEC
0,1 - 0,2 - 0,5 -
41 Carbonio organico totale mg/L C - - - - - -
42 Carbonio organico residuo (dopo flocculazione e filtrazione
su membrana da
5 ) TOC
mg/L C - - - - - -
43 Coliformi totali /100
mL
50 - 5000 - 5000
0

44 Coliformi fecali /100
mL
20 - 2000 - 2000
0
-
http://www.bulgaro.com 47
mL 0
45 Streptococchi fecali /100
mL
20 - 1000 - 1000
0
-
46 Salmonelle - assenza in 5000
mL
- assenza in
1000
mL
- - -

________
Legenda :
Categoria A1 Trattamento fisico semplice e disinfezione
Categoria A2 Trattamento fisico e chimico normale e disinfezione
Categoria A3 Trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione
I = Imperativo
G = Guida
(o) = sono possibili deroghe in conformit all'articolo 8 lettera b del presente decreto
* = sono possibili deroghe in conformit all'articolo 8 lettera d del presente decreto
Note:
(1) I valori indicati costituiscono i limiti superiori determinati in base alla temperatura media annua (alta e bassa temperatura)
(2) Tale parametro inserito per soddisfare le esigenze ecologiche di taluni ambienti
________


Tab. 2/A: metodi di misura per la determinazione dei valori dei parametri chimici e chimico fisici di cui alla tab. 1/A

Testo al 1 agosto 2000 ore 19.15 sulla base della riunione di coordinamento e concerto del 1 agosto 2000


(A) (B) (C) (D) (E) (F) (G)
Num.
Para-
metro
Parametro Unit
di
misura
Limit
e di
rilev
amen
to
Prec
ision
e

Accur
atezza

Metodi di
misura (*) 1
a) materiale del contenitore del
campione;
b) metodo di conservazione
c) tempo massimo tra il campionamento
e l'analisi
1 pH Unit
pH
- 0,1 0,2 Elettrometria. La misura va eseguita preferibilmente sul
posto al momento del campionamento Il valore va
sempre riferito alla temperatura
dell'acqua al momento del prelievo.
a)polietilene o vetro; b)refrigerazione a
4C c)24 ore
2 Colore (dopo
filtrazione
semplice)
mg/L
scala pt
5 10
%
20% Colorimetria Metodo fotometrico secondo gli standard
della scala platino cobalto (previa filtrazione su
membrana di fibra di vetro)..
a)polietilene o vetro; b)refrigerazione a
4C c)24 ore
3 Materiali in
sospensione totali
mg/L - 5 % 10 % Gravimetria Filtrazione su membrana da 0,45 m,
essiccazione a 105C a peso costante. Centrifugazione
(tempo minimo 5 min, velocit media 2800/3000 giri -
minuto) Filtrazione ed essiccazione a 105 C a peso
costante
a)polietilene o vetro; b)refrigerazione a 4
C c)24 ore
4 Temperatura C - 0,5 1 Termometria. La misura deve essere eseguita sul posto,
al momento del campionamento.
-
5 Conduttivit S /cm
a 20 C
- 5 % 10 % Elettrometria a)vetro o polietilene; c)1-3 giorni (**)
6 Odore Fattore
di
diluizio
-
ne a 25
C
- - - Tecnica delle diluizioni successive, a)vetro; b)refrigerazione a 4 C c)6-24
ore.(**)
7 Nitrati mg/L
NO3
2 10% 20% Spettrofotometria di assorbimento
molecolare.

a)polietilene o vetro. b)refrigerazione a
4C; c)1-3 giorni (**)
8 Fluoruri mg/L F 0.05 10% 20% Spettrofotometria di assorbimento
molecolare
previa
distillazione se necessaria. Elettrometria Elettrodi ionici
specifici
a)polietilene.
c)7 giorni
9 Cloro organico
totale estraibile
mg/L
Cl
pm
(***)
pm pm pm pm
10 Ferro disciolto mg/L
Fe
0,02 10% 20% Spettrometria di assorbimento at omico. Previa
filtrazione su membrana da 0,45 m, Spettrofotometria
di assorbimento molecolare, previa filtrazione su
membrana da 0,45 m,
a)polietilene o vetro; b)campione ben
chiuso e refrigerazione a 4C. c)24 ore
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11 Manganese mg/L
Mn
0,01
(2)



0,02
(3)
10%



10%
20%



20%
Spettrometria di assorbimento atomico.

Spettrometria di assorbimento atomico.
Spettrofotometria di assorbimento molecolare.
a)polietilene o vetro; b)acidificare a pH
<2 (preferibilmente con HNO3
concentrato).
12 Rame (9) mg/L
Cu
0,00
5




0,02
(4)
10%




10%
20%




20%
Spettrometria di assorbimento atomico
Polarografia

Spettrometria di assorbimento atomico
Spettrofotometria di assorbimento molecolare.
Polarografia
come specificato al parametro n.11
13 Zinco (9) mg/L
Zn
0,01
(2)



0,02
(3)
10%



10%
20%



20%
Spettrometria di assorbimento atomico.

Spettrometria di assorbimento atomico.
Spettrofotometria di assorbimento molecolare.
come specificato al parametro n.11
14 Boro (9) mg/L B 0,1 10% 20% Spettrofotometria di assorbimento molecolare.

Spettrometria di assorbimento atomico.
a)polietilene; b)acidificare a pH <2
(preferibilmente con HN03 diluito 1:1).
15 Berillio mg/L
Be

pm pm pm pm come specificato al parametro n.11
16 Cobalto mg/L
Co
pm pm pm pm come specificato al parametro n.11
17 Nichelio mg/L
Ni
pm pm pm pm come specificato al parametro n.11
18 Vanadio mg/L
V
pm pm pm pm come specificato al parametro n.11
19 Arsenico (9) mg/L
As
0,00
2 (2)



0,01
(5)
20%



-
20%



-
Spettrometria di assorbimento atomico.

Spettrometria di assorbimento atomico.
Spettrofotometria di assorbimento molecolare.
come specificato al parametro n.11
20 Cadmio (9) mg/L
Cd
0,00
02



0,00
01
(5)
30%

30% Spettrometria di assorbimento atomico.

Polarografia.
come specificato al parametro n.11
21 Cromo totale (9) mg/L
Cr
0,01 20% 30% Spettrometria di assorbimento atomico.
Spettrofotometria di assorbimento molecolare.
come specificato al parametro n.11
22 Piombo (9) mg/L
Pb
0,01 20% 30% Spettrometria di assorbimento atomico. Polarografia. come specificato al parametro n.11
23 Selenio (9) mg/L
Se
0,00
5
- - Spettrometria di assorbimento atomico. come specificato al parametro n.11
24 Mercurio (9) mg/L
Hg
0,00
01





0,00
02
(5)
30% 30% Spettrometria di assorbimento atomico senza fiamma
(su vapori freddi).
a)polietilene o vetro; b)per ogni litro di
campione addizionare 5 mL di HNO3
concentrato e 10 mL di soluzione di
KMnO4 al 5%.
c)7 giorni
25 Bario (9) mg/L
Ba
0,02 15% 30% Spettrometria di assorbimento atomico. come specificato al parametro n.11
26 Cianuro mg/L
CN
0,01 20% 30% Spettrofotometria di assorbimento molecolare. a)polietilene o vetro; b)addizionare
NaOH in gocce o in soluzione
concentrata (pH circa 12)e raffreddare a 4
C c)24 ore.
27 Solfati mg/L
SO4
10 10% 10% Gravimetria Complessometria con EDTA
Spettrofotometria di assorbimento molecolare
a)polietilene o vetro; b)refrigerazione a 4
C c)7 giorni.
28 Cloruri mg/L
Cl
10 10% 10% Determinazione volumetrica (metodo di Mohr).
Metodo mercurimetrico con indicatore.
Spettrofotometria di assorbimento molecolare.
a)polietilene o vetro; b)refrigerazione a 4
C c)7 giorni.
29 Tensioattivi mg/L
MBAS
0,05 20%
-
- Spettrofotometria di assorbimento molecolare. a)vetro o polietilene; b)refrigerazione a 4
C;
c)24 ore.
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30 Fosfati mg/L
P2O5
0,02 10% 20% Spettrofotometria di assorbimento molecolare. a)vetro; b)acidificazione con H2SO4 a pH
<2
24 ore.
31 Fenoli mg/L
C6H5O
H
(indice
fenoli)
0,00
05






0,00
1 (6)
0,00
05






30%
0,000
5






50%
Spettrofotometria di assorbimento molecolare. Metodo
alla 4-ammino-antipirina;

Metodo alla p-nitro-anilina.

a)vetro; b)acidificazione con H3PO4 a pH
<4 ed aggiunta di CuSO4 .5 H2O (1 g/L)
c)24 ore.
32 Idrocarburi
disciolti o
emulsionati
mg/L 0,01





0,04
(3)
20% 30% Spettrofotometria all'infrarosso previa estrazione con
tetracloruro di carbonio.

Gravimetria previa estrazione mediante etere di
petrolio.
a)vetro;
b)acidificare a pH <2 (H2SO4 o HCl);
c)24 ore.
33 Idrocarburi
policiclici
aromatici (9)
mg/L 0,00
004
50% 50% Misura della fluorescenza in UV previa cromatografia
su strato sottile.

Misura comparativa rispetto ad un miscuglio di 6
sostanze standard aventi la stessa concentrazione (7).
a)vetro scuro od alluminio;
b)tenere al buio a 4 C c)24 ore.
34 Antiparassi-tari-
totale
[parathion,esaclor
ocicloesano
(HCH)dieldrine ]
(9)
mg/L 0,00
01
50% 50% Cromatografia in fase gassosa o liquida previa
estrazione mediante solventi adeguati e purificazione.
Identificazione dei componenti del miscuglio e
determinazione quantitativa. (8)
a)vetro;
b)per HCH e dieldrin acidificare con HCl
concentrato (1 mL per litro di
campione)e refrigerare a 4 C; per
parathion acidificare a
pH 5 con H2SO4 (1:1)e refrigerare a 4 C.
c)7 giorni
35 Domanda chimica
ossigeno (COD)
mg/L
O2
15 20% 20% Metodo al bicromato di potassio (ebollizione 2 ore) a)vetro;
b)acidificare a pH <2 con H2SO4 1-7
giorni (**)
36 Tasso di
saturazione
dell'ossigeno
disciolto
%O2 5 10% 10% Metodo di Winkler.

Metodo di elettrochimico (determinazione in situ)
a)vetro;
c)fissare l 'ossigeno sul posto con solfato
manganoso e ioduro-sodio-azide;
1 -5 giorni a 4 C (**)
37 Domanda
biochimica di
ossigeno (BOD5)
a 20 C senza
nitrificazione
mg/L
O2
2 1,5 2 Determinazione dell 'O2 disciolto prima e dopo
incubazione di 5 giorni (20 1 C)al buio. Aggiunta di
un inibitore di nitrificazione (preferibilmente
alliltiourea)
a)vetro; b)refrigerazione a 4 C;
c)4-24 ore
38 Azoto Kieldahl
(escluso azoto di
NO2 ed NO3)
mg/L N 0,5 0,5 0,5 Spettrofotometria di assorbimento molecolare e
determinazione volumetrica previa mineralizzazione e
distillazione
secondo il metodo Kjeldahl.
a)vetro;
b)acidificare con H2SO4 fino a pH <2;
c)refrigerare a 4 C
39 Ammoniaca mg/L
NH4
0,01
(2)
0,1
(3)
0,03
(2)
10%
(3)
0,03
(2)
20%(3
)
Spettrofotometria di assorbimento molecolare come specificato al parametro n.38
40 Sostanze estraibili
con cloroformio
mg/L - - - Gravimetria Estrazione a pH neutro mediante
cloroformio distillato di fresco, evaporazione sotto
vuoto moderato a temperatura ambiente e pesata del
residuo
a)vetro;
b)refrigerazione a 4 C;
c)24 ore
41 Carbonio organico
totale (TOC)
mg/L C pm pm pm pm pm
42 Carbonio organico
residuo (dopo
flocculazione e
filtrazione su
membrana da 5
m)
pm pm pm pm


___________
(*) Possono adottarsi metodi di misura diversi, purch i limiti di rilevamento, la precisione e l'accuratezza siano compatibili con quelli
indicati per i metodi riportati per ciascun parametro nel presente allegato. In tal caso deve indicarsi il metodo adottato.
(**) Il tempo massimo dipende dal tipo di campione.
(***) Per memoria.
(1) I campioni di acqua superficiali prelevati nel luogo di estrazione vengono analizzati e misurati previa eliminazione, mediante
filtrazione semplice (vaglio a rete), dei residui galleggianti come legno, plastica.
(2) Per le acque della categoria A
1
valore G
(3) Per le acque delle categorie A
2
, A
3

(4) Per le acque della categoria A
3

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(5) Per le acque delle categorie A
1
, A
2
, A
3
, valore I
(6) Per le acque delle categorie A
2
, valore I ed A
3

(7) Miscuglio di sei sostanze standard aventi la stessa concentrazione da prendere in considerazione: fluorantrene, benzo-3, 4,
fluorantrene, benzo-11, 12 fluorantrene, benzo 3, 4 pirene, benzo 1, 12 perilene, indeno (1, 2, 3-cd) pirene.
(8) Miscuglio di tre sostanze aventi la stessa concentrazione da prendere in considerazione: parathion, esaclorocicloesano, dieldrin
(9) Se il tenore di materie in sospensione dei campioni elevato al punto da rendere necessario un trattamento preliminare speciale di
tali campioni, i valori dell'accuratezza riportati nella colonna E del presente allegato potranno eccezionalmente essere superati e
costituiranno un obiettivo. Questi campioni dovranno essere trattati in maniera tale che l'analisi copra la quantit maggiore delle
sostanze da misurare.
___________



Tab.3/A:Metodi di misura per la determinazione dei valori dei parametri microbiologici di cui alla tab.1/A

Testo al 1 agosto 2000 ore 19.15 sulla base della riunione di coordinamento e concerto del 1 agosto 2000


Num.
parametro
Parametro Metodi di misura (*)
1 Coliformi
totali 100 mL
(A)Metodo MPN
Seminare aliquote decimali del campione (e/o sue diluizioni)in pi serie di 5 tubi (almeno tre serie)di
Brodo Lattosato. Incubare a 36 1 C per 24 +24 ore. I tubi positivi (presenza di gas)debbono essere
sottoposti a conferma in Brodo Lattosio Bile Verde Brillante a 36 1 C. Sulla base della positivit su
tale terreno riportare il valore come MPN/100 mL di campione.
(B)Metodo MF
Filtrare mL 100 di campione e/o sue diluizioni attraverso membrana filtrante. Incubare su m-Endo-
Agar per 24 ore a 36 1 C. Contare le colonie rosse. Riportare il valore a 100 mL di campione.
2 Coliformi
fecali 100 mL
(A)Metodo MPN
I tubi positivi in Brodo Lattosato di cui al numero 1 lettera (A)debbono essere sottoposti a conferma in
tubi di EC-Broth per 24 ore a 44 0,2C in bagnomaria. Sulla base della positivit dei tubi di EC-Broth
riportare il valore come MPN/100 mL.
(B)Metodo MF
Filtrare mL 100 di campione e/o sue diluizioni attraverso membrana filtrante come al numero 1 lettera
(B).Incubare su m-FC-Agar a 44 0,2C per 24 ore in bagnomaria. Contare le colonie blu. Riportare il
valore a 100 mL di campione.
3 Streptococchi
fecali
(A)Metodo MPN
Seminare aliquote decimali del campione (e/o sue diluizioni)in pi serie di 5 tubi (almeno tre)di Azide
Dextrose Broth. Incubare a 36 1 C per 24 +24 ore. I tubi positivi (torbidi) debbono essere sottoposti
a conferma in Ethyl Violet Azide Broth per 48 ore a 36 1C Leggere i tubi positivi (torbidi con fondo
porpora).Riportare il valore come MPN/100 mL di campione.
(B)Metodo MF
Filtrare mL 100 di campione (e/o sue diluizioni)attraverso membrana filtrante come al numero 1,lettera
(B).Incubare su KF-Agar a 36 1 C per 48 ore. Leggere le colonie rosse. Riportare il valore a 100 mL
di campione.
4 Salmonelle (1) Met odo MF
Filtrare 1000 e 5000 mL di campione attraverso membrana filtrante. Se la torbidit non consente di
filtrare la quantit richiesta di campione, utilizzare idoneo prefiltro. Incubare il filtro (e l'eventuale
prefiltro)in acqua peptonata a temperatura ambiente per 6 ore.
Passare nei seguenti terreni:
a)Terreno di MULLER-KAUFFMAN (incubare a 42 C per 24-48 ore);
b)Terreno di Brodo Selenite (incubare a 36 C per 24-48 ore);
Dai predetti terreni ed alle scadenze temporali indicate eseguire semine isolanti sui seguenti terreni:
SS-Agar (incubare a 36 C per 24 ore);
Hektoen Enteric Agar (incubare a 36 C per 24 ore)
d)Desossicolato Citrato Agar (incubare a 36 per 24 ore)).
Le colonie sospette devono essere sottoposte ad identificazione.

__________
(*) Per i parametri dal n.1 al n.3 facoltativa la scelta tra i metodi di analisi MPN ed MF specificando il metodo impiegato.
Assenza in 5000 mL (A1, G) e assenza in 1000 mL (A2, G).
__________







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SEZIONE B: CRITERI GENERALI E METODOLOGIE PER IL RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE
QUALITATIVE, PER LA CLASSIFICAZIONE ED IL CALCOLO DELLA CONFORMIT DELLE ACQUE DOLCI
SUPERFICIALI IDONEE ALLA VITA DEI PESCI SALMONICOLI E CIPRINICOLI.

I seguenti criteri si applicano alle acque dolci superficiali designate quali richiedenti protezione o miglioramento per essere idonee alla
vita dei pesci.

1)CALCOLO DELLA CONFORMIT
Le acque designate e classificate si considerano idonee alla vita dei pesci quando i relativi campioni prelevati con la frequenza minima
riportata nella Tab. 1/B, nello stesso punto di prelevamento e per un periodo di dodici mesi, presentino valori dei parametri di qualit
conformi ai limiti imperativi indicati e alle relative note esplicative della medesima Tabella, per quanto riguarda:
a) il valore del 95% dei campioni prelevati, per i parametri:
- pH
- BOD5
- ammoniaca indissociata
- ammoniaca totale
- nitriti
- cloro residuo totale
- zinco totale
- rame disciolto.

Quando la frequenza di campionamento inferiore ad un prelievo al mese, i valori devono essere conformi ai limiti tabellari nel 100%
dei campioni prelevati);
b) i valori indicati nella tabella 1/B per i parametri:
- temperatura
- ossigeno disciolto;
c) la concentrazione media fissata per il parametro:
- materie in sospensione.
Il superamento dei valori tabellari o il mancato rispetto delle osservazioni riportate nella tabella 1/B non sono presi in considerazione
se avvengono a causa di piene, alluvioni o altre calamit naturali.

2)CAMPIONAMENTO
Ai fini dell'accertamento della conformit di cui al punto 1:
a) la frequenza dei campionamenti stabilita nella tabella 1/B pu essere ridotta ove risulti accertato che la qualit delle acque
sensibilmente migliore di quella riscontrabile, per i singoli parametri dall'applicazione delle percentuali di cui al punto 1.
b) possono essere esentate dal campionamento periodico le acque per le quali risulti accertato che non esistono cause di inquinamento
o rischio di deterioramento.
Il luogo esatto del prelevamento dei campioni, la sua distanza dal pi vicino punto di scarico di sostanze inquinanti e la profondit alla
quale i campioni devono essere prelevati sono definiti dall'autorit competente in funzione, soprattutto, delle condizioni ambientali
locali.

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Tab.1/B Qualit delle acque idonee alla vita dei pesci salmonidi e ciprinidi


N.
Pro
gre
s
siv
o.
Parametro Unit
di
misura
Acque
per
salmo
nidi
Acque
per
ciprini
di
Metodo di analisi e rilevamento Frequenza
minima di
campionamento e
di misura
Riferimento
in note
esplicative
G I G I

1 Temperatura (aumento)
Temperatura (massima)
Temperatura (periodi di
riproduzione)
C

C

C
1,5

21,
5(o
)

10(
o)
3

28(
o)
-Termometria Settimanale (1)
2 Ossigeno mg/L
O2
9
(50
%)
7
(10
0%
)
9
(50
%)
8
(50
%)
5
(10
0%
)
7
(50
%)
-Volumetria (metodo di Winkler)
Elettrometria (elettrodi specifici)
Mensile (2)
3 Concentrazione di ioni idrogeno pH 6 9
(o)
6 9
(o)
Potenziometria Mensile (3)
4 Materiali in sospensione mg/L 25
(o)
60
(o)
25
(o)
80
(o)
- Gravimetria Mensile (4)
5 BOD5 mg/L
O2
3 5 6 9 -Volumetria (metodo di Winkler)
-Elettrometria
-Respirometria
Mensile (5)
6 Fosforo totale mg/L P 0,0
7
0,1
4
Spettrofotometria di assorbimento molecolare
(Metodo all'acidofosfomolibdico in presenza di acido
ascorbico, previa mineralizzazione)
Mensile (6)
7 Nitriti mg/L
NO2
0,0
1
0,8
8
0,0
3
1,7
7
Spettrofotometria di assorbimento molecolare
(Metodo alla N-1- naftiletilen-diammina e sul
fanilammide)
Mensile (7)
8 Composti fenolici mg/L
C6H5
OH
0,0
1
** 0,0
1
** Spettrofotometria di assorbimento molecolare
(Metodo alla 4-aminoantipirina o alla p-nitroanilina)
Esame gustativo
Mensile (8)
9 Idrocarburi di origine petrolifera mg/L 0,2 **
*
0,2 **
*
Spettrometria IR (previa estrazione con CCl4 o
solvente equivalente)
Esame visivo
Esame gustativo
Mensile (9)
10 Ammoniaca non ionizzata mg/L
NH3
0,0
05
0,0
25
0,0
05
0,0
25
Spettrofotometria di assorbimento molecolare
(Metodo al blu di indofenolo - oppure - Metodo di
Nessler)
Mensile (10)
11 Ammoniaca totale mg/L
NH4
0,0
4
1 0,2 1 Spettrofotometria di assorbimento molecolare
(Metodo al blu di indofenolo - oppure - Metodo di
Nessler)
Mensile (11)
12 Cloro residuo totale mg/L
come
HOCl
0,0
04
0,0
04
Spettrofotometria di assorbimento molecolare o
volumetria (Metodo DPD:N,N-dietil-p-
fenilendiammina)

Mensile (12)
13 Zinco totale * g/L
Zn
30
0
40
0
Spettrometria di assorbimento atomico Mensile (14)
14 Rame g/L
Cu
40 40 Spettrometria di assorbimento atomico Mensile (14)
15 Tensioattivi (anionici) mg/L
come
MBA
S
0,2 0,2 Spettrofotometria di assorbimento molecolare
(Metodo al blu di metilene)
Mensile (13)
16 Arsenico g/L
As
50 50 Spettrometria di assorbimento atomico Mensile (14)
17 Cadmio totale * g/L
Cd
0,2 2,5 0,2 2,5 Spettrometria di assorbimento atomico Mensile (14)
18 Cromo g/L Cr 20 10
0
Spettrometria di assorbimento atomico Mensile (14)

19 Mercurio totale * g/L
Hg
0,0
5
0,5 0,0
5
0,5 Spettrometria di assorbimento atomico (su vapori
freddi)
Mensile (14)
20 Nichel g/L Ni 75 75 Spettrometria di assorbimento atomico Mensile (14)
21 Piombo g/L
Pb
10 50 Spettrometria di assorbimento atomico Mensile (14)

ABBREVIAZIONI: G = guida o indicativo; I = imperativo od obbligatorio.
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Note : (o): Conformemente all'art. 13 sono possibili deroghe;
* Totale = Disciolto pi particolato;
** I composti fenolici non devono essere presenti in concentrazioni tali da alterare il sapore dei pesci
*** I prodotti di origine petrolifera non devono essere presenti in quantit tali da:
- produrre alla superficie dell'acqua una pellicola visibile o da depositarsi in strati sul letto dei corsi
d'acqua o sul fondo dei laghi
- dare ai pesci un sapore percettibile di idrocarburi
- provocare effetti nocivi sui pesci
Osservazioni di carattere generale:
Occorre rilevare che nel fissare i valori dei parametri si partiti dal presupposto che gli altri parametri, considerati ovvero non
considerati nella presente sezione, sono favorevoli.
Ci significa in particolare che le concentrazioni di sostanze nocive diverse da quelle enumerate sono molto deboli. Qualora due o pi
sostanze nocive siano presenti sotto forma
di miscuglio, possibile che si manifestino, in maniera rilevante, effetti additivi, sinergici o antagonistici.
Metodiche analitiche e di campionamento:
Le metodiche analitiche e di campionamento da impiegarsi nella determinazione dei parametri sono quelle descritte nei volumi
"Metodi analitici per le acque" pubblicati
dall'Istituto di Ricerca sulle Acque del C.N.R. (Roma), e successivi aggiornamenti.


NOTE ESPLICATIVE AI PARAMETRI DELLA TAB.1/B
(Integrano le prescrizioni figuranti nel prospetto di detta Tabella)

(1) Per la verifica del .T la temperatura deve essere misurata a valle di un punto di scarico termico al limite della zona di
mescolamento; il valore riportato in tabella si riferisce alla differenza tra la temperatura misurata e la temperatura naturale.
Con riferimento alla temperatura di riproduzione, non stato espresso alcun valore limite in considerazione della variabilit di
temperatura ideale di riproduzione dei pesci appartenenti ai Ciprinidi nelle acque italiane.
(2) a) Valore limite "I" - acque per Salmonidi: quando la concentrazione di ossigeno inferiore a 6 mg/L, le Autorit competenti
devono intervenire applicando le disposizioni dell'art. 12, paragrafo 2;
b) Valore limite "I" - acque per Ciprinidi: quando la concentrazione di ossigeno inferiore a 4 mg/L, le Autoritcompetenti applicano
le disposizioni dell'art. 12, paragrafo 2;
- quando si verificano le condizioni previste in (a) e (b) le Autorit competenti devono provare che dette situazioni non avranno
conseguenze dannose allo sviluppo equilibrato delle popolazioni ittiche;
- tra parentesi viene indicata la percentuale delle misure in cui debbono essere superati o eguagliati i valori tabellari (e.g. =9 (50%)
significa che almeno nel 50% delle misure di controllo la concentrazione di 9 mg/L deve essere superata);
- campionamento: almeno un campione deve essere rappresentativo delle condizioni di minima ossigenazione nel corso dell'anno.
Tuttavia se si sospettano variazioni giornaliere sensibili dovranno essere prelevati almeno 2 campioni rappresentativi delle differenti
situazioni nel giorno del prelievo.
(3) Le variazioni artificiali del pH, rispetto ai valori naturali medi del corpo idrico considerato, possono superare di 0,5 unit-pH i
valori estremi figuranti nel prospetto della tabella 1/B (sia per le acque per Salmonidi che per le acque per Ciprinidi) a condizione che
tali variazioni non determinino un aumento della nocivit di altre sostanze presenti nell'acqua.
(4) Si pu derogare dai suddetti limiti nei corpi idrici, in particolari condizioni idrologiche, in cui si verifichino arricchimenti naturali
senza intervento antropico;
- i valori limite (G e I per le due sottoclassi) sono concentrazioni medie e non si applicano alle materie in sospensione aventi propriet
chimiche nocive. In quest'ultimo caso le Autorit competenti prenderanno provvedimenti per ridurre detto materiale, se individuata
l'origine antropica;
- nell'analisi gravimetrica il residuo, ottenuto dopo filtrazione su membrana di porosit 0,45 m o dopo centrif ugazione (tempo 5 min
ed accelerazione media di 2.800-3.200 g), dovr essere essiccato a 105 C fino a peso costante.
(5) La determinazione dell'ossigeno va eseguita prima e dopo incubazione di cinque giorni, al buio completo, a 20 C ( 1 C) e senza
impedire la nitrificazione.
(6) I valori limite "G" riportati possono essere considerati come indicativi per ridurre l'eutrofizzazione;
- per i laghi aventi profondit media compresa tra 18 e 300 metri, per il calcolo del carico di fosforo totale accettabile, al fine di
controllare l'eutrofizzazione, pu essere utilizzata la seguente formula:


Z ____
L = A ----- (1 + v Tw )
Tw


dove:
L = carico annuale espresso in mg di P per metro quadrato di superficie del lago considerato;
Z = profondit media del lago in metri (generalmente si calcola dividendo il volume per la superficie);
Tw = tempo teorico di ricambio delle acque del lago, in anni (si calcola dividendo il volume per la portata annua totale dell'emissario);
A = valore soglia per il contenimento dei fenomeni eutrofici - Per la maggior parte dei laghi italiani "A" pu essere considerato pari a
20.
Tuttavia per ogni singolo ambiente possibile calcolare uno specifico valore soglia (A) mediante l'applicazione di una delle seguenti
equazioni. (Il valore ottenuto va aumentato del 50% per i laghi a vocazione salmonicola e del 100% per i laghi a vocazione
ciprinicola).

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Log [P] = 1,48 + 0,33 ( 0,09) Log MEI* alcal.
Log [P] = 0,75 + 0,27 ( 0,11) Log MEI* cond.

dove:
P = A = Concentrazione di fosforo totale di g/L;
MEI alcal. = Rapporto tra alcalinit (meq/L) e profondit media (m);
MEI cond. = Rapporto tra conducibilit (S /cm) e profondit media (m);
(*) MEI = Indice morfoedafico.

(7) Nei riguardi dei pesci i nitriti risultano manifestamente pi tossici in acque a scarso tenore di cloruri. I valori "I" indicati nella
tabella 1/B corrispondono ad un criterio di qualit per acque con una concentrazione di cloruri di 10 mg/L.
Per concentrazioni di cloruri comprese tra 1 e 40 mg/L i valori limite "I" corrispondenti sono riportati nella seguente tabella 2/B.


Tab. 2/B Valori limite "Imperativi" per il parametro nitriti per concentrazioni di cloruri comprese tra 1 e 40 mg/L

_______________________________________________________________________________
Cloruri Acque per salmonidi Acque per ciprinidi
(mg/L) (mg/L NO 2 ) (mg/L NO 2 )
_______________________________________________________________________________
1 0,10 0,19
5 0,49 0,98
10 0,88 1,77
20 1,18 2,37
40 1,48 2,96


(8) Data la complessit della classe, anche se ristretta ai fenoli monoidrici, il valore limite unico quotato nel prospetto della tabella 1/B
pu risultare a seconda del composto chimico specifico troppo restrittivo o troppo permissivo;
- poich la direttiva del Consiglio (78/659/CEE del 18 luglio 1978) prevede soltanto l'esame organolettico (sapore), appare utile
richiamare nella tabella 3/B la concentrazione pi alta delle sostanze pi rappresentative della sotto classe Clorofenoli che non altera il
sapore dei pesci (U.S. EPA - Ambient Water Quality Criteria, 1978):

Tab. 3/B

___________________________________________________________________________
Fenoli Livelli Fenoli Livelli
(g/L) (g/L)
___________________________________________________________________________
2-clorofenolo 60 2,5-diclorofenolo 23
4-clorofenolo 45 2,6-diclorofenolo 35
2,3-diclorofenolo 84 2,4,6-triclorofenolo 52
2,4-diclorofenolo 0,4(*)
___________________________________________________________________________

____________
(*) Questo valore indica che si possono riscontrare alterazioni del sapore dei pesci anche a
concentrazione di fenoli al disotto del valore guida (G) proposto.
____________

Appare infine utile richiamare, nella tabella 4/B, i criteri di qualit per la protezione della vita acquatica formulati da B.C. Nicholson
per conto del Governo Australiano in "Australian Water Quality Criteria for Organic Compound - Tecnical Paper n. 82 (1984)"

Tab. 4/B

_______________________________________________________________________
Fenoli g/L Fenoli g/L
Fenolo 100 4-clorofenolo 400
o-cresolo 100 2,4-diclorofenolo 30
m-cresolo 100 2,4,6-triclorofenolo 30
p-cresolo 100 Pentaclorofenolo 1
_______________________________________________________________________


(9) Considerato che gli olii minerali (o idrocarburi di origine petrolifera) possono essere presenti nell'acqua o adsorbiti nel materiale in
sospensione o emulsionati o disciolti, appare indispensabile che il campionamento venga fatto sotto la superficie:- concentrazioni di
idrocarburi anche inferiori al valore guida riportato nella tabella 1/B possono tuttavia risultare nocivi per forme ittiche giovanili ed
alterare il sapore del pesce;
- la determinazione degli idrocarburi di origine petrolifera va eseguita mediante spettrofotometria IR previa estrazione con tetracloruro
di carbonio o altro solvente equivalente.
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(10) La proporzione di ammoniaca non ionizzata (o ammoniaca libera), specie estremamente tossica, in quella totale (NH3 + NH4 + )
dipende dalla temperatura e dal pH;
- le concentrazioni di ammoniaca totale (NH3 + NH4 + ) che contengono una concentrazione di 0,025 mg/L di ammoniaca non
ionizzata, in funzione della temperatura e pH, misurate al momento del prelievo, sono quelle riportate nella seguente tabella 5/B:

Tab. 5/B

__________________________________________________________________________
Temperatura | Valori di pH
( C ) |__________________________________________________________
| 6,5 7,0 7,5 8,0 8,5 9,0 9,5
_______________|__________________________________________________________
5 | 63,3 20,0 6,3 2,0 0,66 0,23 0,089
_______________|__________________________________________________________
10 | 42,4 13,4 4,3 1,4 0,45 0,16 0,067
_______________|__________________________________________________________
15 | 28,9 9,2 2,9 0,94 0,31 0,12 0,053
_______________|__________________________________________________________
20 | 20,0 6,3 2,0 0,66 0,22 0,088 0,045
_______________|__________________________________________________________
25 | 13,9 4,4 1,4 0,46 0,16 0,069 0,038
_______________|__________________________________________________________
30 | 9,8 3,1 1,0 0,36 0,12 0,056 0,035
_______________|__________________________________________________________


(11) Al fine di ridurre il rischio di tossicit dovuto alla presenza di ammoniaca non ionizzata, il rischio di consumo di ossigeno dovuto
alla nitrificazione e il rischio dovuto all'instaurarsi di fenomeni di eutrofizzazione, le concentrazioni di ammoniaca totale non
dovrebbero superare i valori "I" indicati nel prospetto della tabella 1/B;
- tuttavia per cause naturali (particolari condizioni geografiche o climatiche) e segnatamente in caso di basse temperature dell'acqua e
di diminuzione della nitrificazione o qualora l'Autorit competente possa provare che non si avranno conseguenze dannose per lo
sviluppo equilibrato delle popolazioni ittiche, consentito il superamento dei valori tabellari.
(12) Quando il cloro presente in acqua in forma disponibile, cio in grado di agire come ossidante, i termini, usati indifferentemente
in letteratura, "disponibile", "attivo", o "residuo" si equivalgono;
- il "cloro residuo totale" corrisponde alla somma, se presenti contemporaneamente, del cloro disponibile libero [cio quello presente
come una miscela in equilibrio di ioni ipoclorito (OCl - ) ed acido ipocloroso (HOCl)] e del cloro combinato disponibile [cio quello
presente nelle cloroammine o in altri composti con legami N-Cl (i.e. dicloroisocianurato di sodio)];
- la concentrazione pi elevata di cloro (Cl2) che non manifesta effetti avversi su specie ittiche sensibili, entro 5 giorni, di 0,005 mg
Cl2/L (corrispondente a 0,004 mg/L di HOCl). Considerato che il cloro troppo reattivo per persistere a lungo nei corsi d'acqua, che lo
stesso acido ipocloroso si decompone lentamente a ione cloruro ed ossigeno (processo accelerato dalla luce solare), che i pesci per
comportamento autoprotettivo fuggono dalle zone ad elevata concentrazione di cloro attivo, come valore stato confermato il limite
suddetto;
- le quantit di cloro totale, espresse in mg/L di Cl2, che contengono una co ncentrazione di 0,004 mg/L di HOCl, variano in funzione
della temperatura e soprattutto del valore di pH (in quanto influenza in maniera rimarchevole il grado di dissociazione dell'acido
ipocloroso HOCl nH + + ClO -) secondo la seguente tabella 6/B:

Tab. 6/B

____________________________________________________________________________
Temperatura (C ) | Valori di pH
|___________________________________________________
| 6 7 8 9
________________________|___________________________________________________
5 | 0,004 0,005 0,011 0,075
________________________|___________________________________________________
25 | 0,004 0,005 0,016 0,121
________________________|___________________________________________________


Pertanto i valori "I" risultanti in tabella corrispondono a pH = 6. In presenza di valori di pH pi alt i sono consentite concentrazioni di
cloro residuo totale (Cl2) pi elevate e comunque non superiori a quelle riportate in tabella.6/B;
- per i calcoli analitici di trasformazione del cloro ad acido ipocloroso ricordare che, dall'equazione stechiometrica, risulta che una
mole di cloro (Cl2) corrisponde ad 1 mole di acido ipocloroso (HOCl).
- in ogni caso la concentrazione ammissibile di cloro residuo totale non deve superare il limite di rilevabilit strumentale del metodo di
riferimento.
(13) L'attenzione rivolta alla classe tensioattivi anionici, che trova il maggior impiego nei detersivi per uso domestico;
- il metodo al blu di metilene, con tutti gli accorgimenti suggeriti negli ultimi anni (vedi direttiva del Consiglio 82/243/CEE del 31
marzo 1982, in Gazzetta Ufficiale delle Comunit europee L. 109 del 22 aprile 1982), appare ancora il pi valido per la determinazione
di questa classe di composti. Per il futuro da prevedere l'inclusione in questo parametro almeno della classe dei tensioattivi non
ionici.
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(14) Gli otto metalli presi in considerazione risultano pi o meno tossici verso la fauna acquatica
Alcuni di essi (Hg, As, etc.) hanno la capacit di bioaccumularsi anche su pesci commestibili.
La tossicit spesso attenuata dalla durezza. I valori quotati nel prospetto della tabella 1/B, corrispondono ad una durezza dell'acqua di
100 mg/L come CaCO3. Per durezze comprese tra <50 e >250 i valori limite corrispondenti sono riportati nei riquadri seguenti
contraddistinti per protezione dei Salmonidi e dei Ciprinidi.


Protezione Salmonidi


____________________________________________________________________________________
Parametri (*) | Durezza dell'acqua ( mg/L di CaCO
3
)
___________________________|________________________________________________________
| <50 50-99 100-149 150-199 200-250 >250
___________________________|_________________________________________________________
12 Arsenico |come As| 50 50 50 50 50 50
13 Cadmio totale |come Cd| 2,5 2,5 2,5 2,5 2,5 2,5
14 Cromo |come Cr| 5 10 20 20 50 50
15 Mercurio totale|come Hg| 0,5 0,5 0,5 0,5 0,5 0,5
16 Nichel |come Ni| 25 50 75 75 100 100
17 Piombo |come Pb| 4 10 10 20 20 20
18 Rame |come Cu| 5(a) 22 40 40 40 112
19 Zinco totale |come Zn| 30 200 300 300 300 500
___________________|_______|________________________________________________________

____________
(a) La presenza di pesci in acque con pi alte concentrazioni pu significare che predominano complessi organocuprici
disciolti.
____________


Protezione Ciprinidi

____________________________________________________________________________________
Parametri (*) | Durezza dell'acqua ( mg/L di CaCO
3
)
___________________________|________________________________________________________
| <50 50-99 100-149 150-199 200-250 >250
___________________________|________________________________________________________
12 Arsenico |come As| 50 50 50 50 50 50
13 Cadmio totale |come Cd| 2,5 2,5 2,5 2,5 2,5 2,5
14 Cromo |come Cr| 75 80 100 100 125 125
15 Mercurio totale|come Hg| 0,5 0,5 0,5 0,5 0,5 0,5
16 Nichel |come Ni| 25 50 75 75 100 100
17 Piombo |come Pb| 50 125 125 250 250 250
18 Rame |come Cu| 5 22 40 40 40 112
19 Zinco totale |come Zn| 150 350 400 500 500 1000
___________________|_______|________________________________________________________

_________
(*) I valori limite si riferiscono al metallo disciolto , salvo diversa indicazione e sono espressi in g/L.
_________


SEZIONE C: CRITERI GENERALI E METODOLOGIE PER IL RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE
QUALITATIVE ED IL CALCOLO DELLA CONFORMIT DELLE ACQUE DESTINATE ALLA VITA DEI MOLLUSCHI

I seguenti criteri si applicano alle acque costiere e salmastre sedi di banchi e popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi
designate come richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo dei molluschi e per contribuire alla buona
qualit dei prodotti della molluschicoltura destinati al consumo umano.

1)CALCOLO DELLA CONFORMIT
1. Le acque designate ai sensi dell'art. 14 si considerano conformi quando i campioni di tali acque, prelevate nello stesso punto per un
periodo di dodici mesi, secondo la frequenza minima prevista nella tab. 1/C, rispettano i valori e le indicazioni di cui alla medesima
tabella per quanto riguarda:
a) il 100% dei campioni prelevati per i parametri sostanze organo alogenate e metalli;
b) il 95% dei campioni per i parametri salinit ed ossigeno disciolto;
c) il 75% dei campioni per gli altri parametri indicati nella tab. 1/C.
2. Qualora la frequenza dei campionamenti, ad eccezione di quelli relativi ai parametri sostanze organo alogenate e metalli, sia
inferiore a quella indicata nella tab. 1/C, la conformit ai valori ed alle indicazioni deve essere rispettata nel 100% dei campioni.
3. Il superamento dei valori tabellari o il mancato rispetto delle indicazioni riportate nella tabella 1/C non sono presi in considerazione
http://www.bulgaro.com 57
se avvengono a causa di eventi calamitosi.
2)CAMPIONAMENTO
1. L'esatta ubicazione delle stazioni di prelievo dei campioni, la loro distanza dal pi vicino punto di scarico di sostanze inquinanti e la
profondit alla quale i campioni devono essere prelevati, sono definiti dall'Autorit competente in funzione delle condizioni ambientali
locali.
2. Ai fini dell'accertamento della conformit di cui al comma 1, la frequenza dei campionamenti stabilita nella tabella 1/C pu essere
ridotta dall'Autorit competente ove risulti accertato che la qualit delle acque sensibilmente superiore per i singoli parametri di
quella risultante dall'applicazione dei valori limite e relative note. 3. Possono essere esentate dal campionamento periodico le acque per
le quali risulti accertato che non esistano cause di inquinamento o rischio di deterioramento.


Tab.1/C Qualit delle acque destinate alla vita dei molluschi

ParametroUnit
di
misu
ra
G I Metodo di analisi i riferimentoFrequenza minima dei
campionamenti e delle
misurazioni
1 pH unit
pH
7 -9 -Elettrometria
La misurazione viene eseguita sul
posto al momento del
campionamento
Trimestrale
2 Temperatur
a
C La differenza di temperatura
provocata da uno scarico non deve
superare, nelle acque destinate alla
vita dei molluschi influenzate da
tale scarico, di oltre 2 C la
temperatura misurata nelle acque
non influenzate
-Termometria
La misurazione viene eseguita sul
posto al momento del
campionamento
Trimestrale
3 Colorazion
e (dopo
filtrazione)
mg
Pt /L
Dopo filtrazione il colore dell'acqua
provocato da uno scarico, non deve
discostarsi nelle acque destinate
alla vita dei molluschi influenzate
da tale scarico di oltre 10 mg Pt/L
dal colore misurato nelle acque non
influenzate
Filtrazione su membrana filtrante
di 0,45 m Metodo fotometrico,
secondo gli standard della scala
platino-cobalto
Trimestrale
4 Materiali in
sospensione
mg
/L
L'aumento del tenore i materie in
sospensione provocato da uno
scarico non deve superare, nelle
acque destinate alla vita dei
molluschi influenzate da tale
scarico, di oltre il 30%il tenore
misurato nelle acque non
influenzate
-Filtrazione su membrana filtrante
di 0,45 m,. essiccazione a 105
C e pesatura;
-Centrifugazione (tempo minimo
5min.accelerazione media i 2800-
3200 g ) essiccazione a 105 C e
pesatura.
Trimestrale
5 Salinit (per
mille
)
12 -38 (per mille) 40 (per mille)
La variazione della salinit
provocata da uno scarico non deve
superare, nelle acque destinate alla
vita dei molluschi influenzate da
tale scarico, 10%la salinit
misurata nelle acque non
influenzate
Conuttometria Mensile
6 Ossigeno
disciolto
%di
satur
azio
ne
80% 70%(valore medio) -Se una
singola misurazione indica un
valore inferiore al 70%le
misurazioni vengono proseguite
-Una singola misurazione pu
indicare un valore inferiore al
60%soltanto qualora non vi siano
conseguenze dannose per lo
sviluppo delle popolazioni di
molluschi
-Metodo di Winkler
-Metodo elettrochimico
Mensile, con almeno un
campione
rappresentativo del
basso tenore di ossigeno
presente nel giorno del
prelievo.
Tuttavia se si
presentano variazioni
diurne significative
saranno effettuati
almeno due prelievi al
giorno.
7 Idrocarburi
di origine
petrolifera
Gli idrocarburi non devono essere
presenti nell'acqua in quantit tale:
-da produrre un film visibile alla
superficie dell'acqua e/o un
deposito sui molluschi
-da avere effetti nocivi per i
molluschi
Esame visivo Trimestrale
8 Sostanze
organo-
alogenate
La concentrazione di ogni sostanza
nella polpa del mollusco deve
essere tale da contribuire ad una
buona qualit dei prodotti della
molluschicoltura
La concentrazione di ogni sostanza
nell'acqua o nella polpa del
mollusco non deve superare un
livello tale da provocare effetti
nocivi per i molluschi e per le loro
larve.
Cromatografia in fase gassosa,
previa estrazione mediante
appropriati solventi e
purificazione
Semestrale
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9 Metalli:
Argento Ag
Arsenico
As
Cadmio C
Cromo Cr
Rame Cu
Mercurio
Hg (*)
Nichelio Ni
Piombo Pb
(**)
Zinco Zn





ppm
La concentrazione di ogni sostanza
nella polpa del mollusco deve
essere tale da contribuire ad una
buona qualit dei prodotti della
molluschicoltura
La concentrazione di ogni sostanza
nell'acqua o nella polpa del
mollusco non deve superare un
livello tale da provocare effetti
nocivi per i molluschi e per le loro
larve.

E ' necessario pren dere in conside-
razione gli\
effetti sinergici dei vari metalli.
Spettrofotometria di assorbimento
atomico, eventualmente preceduta
da concentrazione e/o estrazione
Semestrale
10 Coliformi
fecali
n
/10
0mL
300 nella polpa del mollusco e nel
liquido intervalvare

Metodo di diluizione con
fermentazione in substrati liquidi
in almeno tre provette, in tre
diluizioni. Trapianto delle
provette positive su terreno di
conferma.
Computo secondo il sistema
M.P.N.(Numero pi
probabile).Temperatura i
incubazione 44 0,5 C
Trimestrale
11 Sostanze
che
influiscono
sul sapore
dei
molluschi
Concentrazione inferiore a quella
che pu alterare il sapore dei
molluschi
Esame gustativo dei molluschi,
allorch si presume la presenza di
tali sostanze

12 Sassitossina
(prodotta
dai
dinoflagella
ti)



____________
(*)valore imperativo nella polpa del mollusco =0,5 ppm
(**) valore imperativo nella polpa del mollusco = 2 ppm

ABBREVIAZIONI:
G = guida o indicativo;
I = imperativo o obbligatorio
____________




ALLEGATO 3 - RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE DEI BACINI IDROGRAFICI E ANALISI
DELL'IMPATTO ESERCITATO DALL'ATTIVITA' ANTROPICA

Per la redazione dei piani di tutela di cui all'articolo 44, le Regioni devono raccogliere ed elaborare i dati relativi alle caratteristiche dei
bacini idrografici secondo i criteri di seguito indicati.
A tal fine si ritiene opportuno che le Regioni si coordinino, anche con il supporto delle autorit di bacino, per individuare, pe r ogni
bacino idrografico, un Centro di Documentazione cui attribuire il compito di raccogliere, catalogare e diffondere le informazioni
relative alle caratteristiche dei bacini idrografici ricadenti nei territori di competenza.
Devono essere in particolare considerati gli elementi geografici, geologici, idrogeologici, fisici, chimici e biologici dei corpi idrici
superficiali e sotterranei, nonch quelli socioeconomici presenti nel bacino idrografico di propria competenza.

1 ACQUE SUPERFICIALI

1.1 ACQUISIZIONE DELLE CONOSCENZE DISPONIBILI
La fase iniziale, finalizzata alla prima caratterizzazione dei bacini idrografici, serve a raccogliere le informazioni relative a:
a) gli aspetti geografici: estensione geografica ed estensione altitudinale, latitudinale e longitudinale;
b) le condizioni geologiche: informazioni sulla tipologia dei substrati, almeno in relazione al contenuto calcareo, siliceo ed organico;
c) le condizioni idrologiche: bilanci idrici, compresi i volumi, i regimi di flusso nonch i trasferimenti e le deviazioni idriche e le
relative fluttuazioni stagionali e, se del caso, la salinit;
d) le condizioni climatiche: tipo di precipitazioni e, ove possibile, evaporazione ed evapotraspirazione;
Tali informazioni sono integrate con gli aspetti relativi a:
a) caratteristiche socioeconomiche utilizzo del suolo, industrializzazione dell'area, ecc.
b) individuazione e tipizzazione di aree naturali protette.
c) eventuale caratterizzazione faunistica e vegetazionale dell'area del bacino idrografico;

1.2 ARCHIVIO ANAGRAFICO DEI CORPI IDRICI
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Per ciascun corpo idrico (nel caso di corsi d'acqua solo quelli con bacino superiore a 10 km
2
), anche se non significativo ai sensi
dell'allegato 1, dovr essere predisposta una scheda informatizzata che contenga:
a) i dati derivati dalle attivit di cui al punto 1.1.
b) le informazioni relative all'impatto esercitato dalle attivit antropiche sullo stato delle acque superficiali all'interno di ciascun bacino
idrografico. Tale esame dovr riguardare in particolare i segue nti aspetti:
- stima dell'inquinamento da fonte puntuale da effettuare in primo luogo sulla base del catasto degli scarichi, se questo aggiornato
almeno al 1996. In mancanza di tali dati (o in presenza solo di informazioni anteriori al 1996) si dovranno utilizzare stime fatte sulla
base di altre informazioni e di indici di tipo statistico (esempio: dati camere di commercio relativi agli insediamenti, agli addetti per
codice NACE e indici di emissione per codice NACE);
- stima dell'inquinamento da fonte diffusa;
- dati sull'estrazione delle acque (nel caso di acque dolci) e sui relativi usi (in mancanza di misure saranno usate stime effettuate in
base a parametri statistici);
- analisi delle altre incidenze antropiche sullo stato delle acque.
c) per i corpi idrici individuati come significativi ai sensi dell'allegato 1 devono essere riportati i dati derivanti dalle azioni di
monitoraggio e classificazione di cui all'allegato stesso.

2 ACQUE SOTTERRANEE

2.1 ACQUISIZIONE DELLE CONOSCENZE DISPONIBILI
La fase conoscitiva ha come scopo principale la caratterizzazione qualitativa degli acquiferi. Deve avere come risultato:
- definire lo stato attuale delle conoscenze relative agli aspetti quantitativi e qualitativi delle acque sotterranee;
- costituire una banca dati informatizzata dei dati idrogeologici e idrochimici;
- localizzare i punti d'acqua sotterranea potenzialmente disponibili per le misure;
- ricostruire il modello idrogeologico, con particolare riferimento ai rapporti di eventuale intercomunicazione tra i diversi acquiferi e
tra le acque superficiali e le acque sotterranee.
Le informazioni da raccogliere devono essere relative ai seguenti elementi:
- studi precedentemente condotti (idrogeologici, geotecnici, geofisici, geomorfologici, ecc) con relativi eventuali elaborati cartografici
(carte geologiche, sezioni idrogeologiche, piezometrie, carte idrochimiche, ecc);
- dati relativi ai pozzi e piezometri, quali: ubicazione, stratigrafie, utilizzatore (pubblico o privato), stato di attivit (attivo, in disuso,
cementato);
- dati relativi alle sorgenti quali: ubicazione, portata, utilizzatore (pubblico o privato), stato di attivit (attiva, in disuso, ecc.);
- dati relativi ai valori piezometrici;
- dati relativi al regime delle portate delle sorgenti;
- dati esistenti riguardanti accertamenti analitici sulla qualit delle acque relative a sorgenti, pozzi e piezometri esistenti;
- reticoli di monitoraggio esistenti delle acque sotterranee.
Devono essere inoltre considerati tutti quegli elementi addizionali suggeriti dalle condizioni locali di insediamento antropico o da
particolari situazioni geologiche e geochimiche, nonch della vulnerabilit e rischio della risorsa. Dovranno inoltre essere valutate, se
esistenti, le indagini relative alle biocenosi degli ambienti sotterranei.
Le azioni conoscitive devono essere accompagnate da tutte quelle iniziative necessarie ad acquisire tutte le informazioni e le
documentazioni in materia presenti presso gli enti che ne dispongono, i quali ne dovranno garantire l'accesso.
Sulla base delle informazione raccolte, delle conoscenze a scala generale e degli studi precedenti, verr ricostruita la geometria dei
principali corpi acquiferi presenti evidenziando la reciproca eventuale intercomunicazione compresa quella con le acque superficiali, la
parametrizzazione (laddove disponibile) e le caratteristiche idrochimiche, e dove presenti, quelle biologiche.
La caratterizzazione degli acquiferi sar revisionata sulla base dei risultati della gestione della rete di monitoraggio effettuato in base
alle indicazioni riportate all'allegato 1.
La ricostruzione idrogeologica preliminare dovr quindi permettere la formulazione di un primo modello concettuale, intendendo con
questo termine una schematizzazione idrogeologica semplificata del sottosuolo e una prima parametrizzazione degli acquiferi. In
pratica devono essere qui riassunte le propriet geologiche, le caratteristiche idrogeologiche del sistema, con particolare riferimento ai
meccanismi di ricarica degli acquiferi ed ai rapporti tra le falde, i rapporti esistenti tra acque superficiali e acque sotterranee, nonch
alle caratteristiche qualitative delle acque sotterranee.
I dati cos raccolti dovranno avere un dettaglio rappresentabile significativamente almeno alla scala 1:100.000.

2.2 ARCHIVIO ANAGRAFICO DEI PUNTI D 'ACQUA
Deve essere istituito un catasto anagrafico debitamente codificato al fine di disporre di un data-base aggiornato dei punti d'acqua
esistenti (pozzi, piezometri, sorgenti e altre emergenze della falda come fontanili, ecc.) e dei nuovi punti realizzati. A ciascun punto
d'acqua dovr essere assegnato un numero di codice univoco stabilito in base alle modalit di codifica che saranno indicate nel
decreto di cui all'articolo 3 comma 7.
Per quanto riguarda le sorgenti andranno codificate tutte quelle utilizzate e comunque quelle che presentano una portata media
superiore a 10 L/s e quelle di particolare interesse ambientale.
Per le nuove opere fatto obbligo all'Ente competente di verificare all'atto della domanda di ricerca e sfruttamento della risorsa idrica
sotterranea, l'avvenuta assegnazione del codice.
[....]
In assenza di tale codice i rapporti di prova relativi alla qualit delle acque, non potranno essere accettati dalla Pubblica
Amministrazione.
Inoltre per ciascun punto d'acqua dovr essere predisposta una scheda informatizzata che contenga i dati relativi alle caratteristiche
geografiche, anagrafiche, idrogeologiche, strutturali, idrauliche e funzionali derivate dalle analisi conoscitive di cui al punto 1.
Le schede relative ai singoli punti d'acqua, assieme alle analisi conoscitive di cui al punto 1 ed a quelle che potranno essere raccolte
per ciascun punto d'acqua dovranno contenere poi le informazioni relative a:
a) le caratteristiche chimico fisiche dei singoli complessi idrogeologici e del loro grado di sfruttamento, utilizzando i dati a vario titolo
in possesso dei vari Enti (analisi chimiche effettuate dai laboratori pubblici, autodenunce del sollevato etc.) nonch stime delle
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direzioni e delle velocit di s cambio dell'acqua fra il corpo idrico sotterraneo ed i sistemi superficiali connessi.
b) l'impatto esercitato dalle attivit umane sullo stato delle acque sotterranee all'interno di ciascun complesso idrogeologico.
Tale esame dovr riguardare i seguenti as petti:
1. stima dell'inquinamento da fonte puntuale (cos come indicato al punto relativo alle acque superficiali);
2. stima dell'inquinamento da fonte diffusa;
3. dati derivanti dalle misure relative all'estrazione delle acque;
4. stima del ravvenamento artificiale;
5. analisi delle altre incidenze antropiche sullo stato delle acque.

3 MODALIT DI ELABORAZIONE, GESTIONE E DIFFUSIONE DEI DATI
Le Regioni organizzeranno un proprio Centro di Documentazione che curer l'accatastamento dei dati e la relativa elaborazione,
gestione e diffusione.
Tali dati sono organizzati secondo i criteri stabiliti nel decreto di cui all'articolo 3 comma 7 e devono periodicamente essere aggiornati
con i dati prodotti dal monitoraggio secondo le indicazioni di cui all'allegato 1.
Le misure quantitative e qualitative dovranno essere organizzate secondo quanto previsto nel decreto attuativo relativo alla
standardizzazione dei dati. A tali modalit si dovranno anche attenere i soggetti tenuti a predisporre i protocolli di garanzia e di qualit.
L'interpretazione dei dati relativi alle acque sotterranee in un acquifero potr essere espressa in forma sintetica mediante: tabelle,
grafici, diagrammi, serie temporali, cartografie tematiche, elaborazioni statistiche, ecc.
Il Centro di documentazione annualmente curer la redazione di un rapporto sull'evoluzione quali -quantitativa dei complessi
idrogeologici monitorati e render disponibili tutti i dati e le elaborazioni effettuate, a tutti gli interessati.
Compito del Centro di documentazione sar inoltre la redazione di carte di sintesi delle aree su cui esiste un vincolo riferito alle acque
sotterranee, carte di vulnerabilit e rischio delle acque sotterranee.
Una volta ultimata la presentazione finale dei documenti e degli elaborati grafici ed informatizzati del prodotto, saranno individuati i
canali pi idonei alla sua diffusione anche mediante rapporti di sintesi e seminari, a tal scopo verr predisposto un piano contenente
modalit e tempi dell'attivit di diffusione.
Allo scopo dovr es sere prevista da parte del Centro di documentazione la disponibilit degli stessi tramite sistemi geografici
informatizzati (GIS) disponibili su reti multimediali.
La scala delle elaborazioni cartografiche dovr essere di almeno 1:100.000 salvo necessit d i superiore dettaglio.


ALLEGATO 4 - CONTENUTI DEI PIANI DI TUTELA DELLE ACQUE

Parte A.

I Piani di tutela delle acque devono contenere:

1. Descrizione generale delle caratteristiche del bacino idrografico ai sensi dell'articolo 42 e dell'allegato 3. Tale descrizione include:
1.1 Per le acque superficiali:
- rappresentazione cartografica dell'ubicazione e del perimetro dei corpi idrici con indicazione degli ecotipi presenti all'interno del
bacino idrografico e dei corpi idrici di riferimento cos come indicato all'allegato 1.
1.2 Per le acque sotterranee:
- rappresentazione cartografica della geometria e delle caratteristiche litostratografiche e idrogeologiche delle singole zone;
- suddivisione del territorio in zone acquifere omogenee;

2. Sintesi delle pressioni e degli impatti significativi esercitati dall'attivit antropica sullo stato delle acque superficiali e sotterranee.
Vanno presi in considerazione:
- stima dell'inquinamento in termini di carico ( sia in tonnellate / anno che in tonnellate / mese) da fonte puntuale (sulla base del catasto
degli scarichi)
- stima dell'impatto da fonte diffusa, in termine di carico, con sintesi delle utilizzazioni del suolo;
- stima delle pressioni sullo stato quantitativo delle acque, derivanti dalle concessioni e dalle estrazioni esistenti;
- analisi di altri impatti derivanti dall'attivit umana sullo stato delle acque;

3. Elenco e rappresentazione cartografica delle aree indicate al Titolo III, capo I, in particolare per quanto riguarda le aree sensibili e le
zone vulnerabili cos come risultano dalla eventuale reidentificazione fatta dalle Regioni;

4. Mappa delle reti di monitoraggio istituite ai sensi dell'articolo 43 e dell'allegato 1, ed una rappresentazione in formato cartografico
dei risultati dei programmi di monitoraggio effettuati in conformit a tali disposizioni per lo stato delle:
4.1 acque superficiali (stato ecologico e chimico);
4.2 acque sotterranee (stato chimico e quantitativo);
4.3 aree a specifica tutela;

5. Elenco degli obiettivi definiti dalle autorit di bacino ai sensi dell'articolo 44 e degli obiettivi di qualit definiti a norma
dell'articolo 4 per le acque superficiali, le acque sotterranee, includendo in particolare l'identificazione dei casi dove si ricorso alle
disposizioni dell'articolo 5, commi 4 e 5 e le associate informazioni richieste in conformit al suddetto articolo;

6. Sintesi del programma o programmi di misure adottati che deve contenere:
6.1 programmi di misure per il raggiungimento degli obiettivi di qualit ambientale dei corpi idrici di cui all'articolo 5;
6.2 specifici programmi di tutela e miglioramento previsti ai fini del raggiungimento dei singoli obiettivi di qualit per le acque a
specifica destinazione di cui al titolo II capo II;
6.3 misure adottate ai sensi del Titolo III capo I;
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6.4 misure adottate ai sensi del titolo III capo II, in particolare :
- sintesi della pianificazione del bilancio idrico di cui all'articolo 22;
- misure di risparmio e riutilizzo di cui agli articoli 25 e 26;
6.5 misure adottate ai sensi titolo III del capo III, in particolare:
- disciplina degli scarichi;
- definizione delle misure per la riduzione dell'inquinamento degli scarichi da fonte puntuale;
- specificazione dei casi particolari in cui sono stati autorizzati scarichi ai sensi dell'articolo 30;
6.6 informazioni su misure supplementari ritenute necessarie al fine di soddisfare gli obiettivi ambientali definiti;
6.7 informazioni delle misure intraprese al fine di evitare l'aumento dell'inquinamento delle acque marine in conformit alle
convenzioni internazionali;
6.8 relazione sulle iniziative e misure pratiche adottate per l'applicazione del principio del recupero dei costi dei servizi idrici ai sensi
della legge 5 gennaio 1994 n.36 e sintesi dei piani finanziari predisposti ai sensi dell'articolo 11 della stessa legge;

7. Sintesi dei risultati dell'analisi economica, delle misure definite per la tutela dei corpi idrici e per il perseguimento degli obiettivi di
qualit, anche allo scopo di una va lutazione del rapporto costi benefici delle misure previste e delle azioni relative all'estrazione e
distribuzione delle acque dolci, della raccolta e depurazione e riutilizzo delle acque reflue.

8. Sintesi dell'analisi integrata dei diversi fattori che concorrono a determinare lo stato di qualit ambientale dei corpi idrici, al fine di
coordinare le misure di cui al punto 6.3 e 6.4 per assicurare il miglior rapporto costi benefici delle diverse misure; in particolare vanno
presi in considerazione quelli riguardanti la situazione quantitativa del corpo idrico in relazione alle concessioni in atto e la situazione
qualitativa in relazione al carico inquinante che viene immesso nel corpo idrico.

9. relazione sugli eventuali ulteriori programmi o piani pi dettagliati adottati per determinati sottobacini.


Parte B.

Il primo aggiornamento del Piano di tutela delle acque tutti i successivi aggiornamenti dovranno inoltre includere:
1. sintesi di eventuali modifiche o aggiornamenti della precedente versione del Piano di tutela delle acque, incluso una sintesi delle
revisioni da effettuare ai sensi dell'articolo 5 comma 7, e degli articoli 18 e 19;
2. valutazione dei progressi effettuati verso il raggiungimento degli obiettivi ambientali, con la rappresentazione cartografica dei
risultati del monitoraggio per il periodo relativo al piano precedente, nonch la motivazione per il mancato raggiungimento degli
obiettivi ambientali;
3. sintesi e illustrazione delle misure previste nella precedente versione del Piano di gestione dei bacini idrografici non realizzate;
4. sintesi di eventuali misure supplementari adottate successivamente alla data di pubblicazione della precedente versione del Piano di
tutela del bacino idrografico.


ALLEGATO 5 - LIMITI DI EMISSIONE DEGLI SCARICHI IDRICI

1.SCARICHI IN CORPI D'ACQUA SUPERFICIALI

1.1 ACQUE REFLUE URBANE
Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane di cui all'articolo 31, comma 2 devono conformarsi,
secondo le cadenze temporali indicate al medesimo articolo, ai valori limiti definiti dalle Regioni in funzione degli obiettivi di
qualit e, nelle more della suddetta disciplina, alle leggi regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane di cui all'articolo 31, comma 3:
- se esistenti devono conformarsi secondo le cadenze temporali indicate al medesimo articolo alle norme di emissione riportate
nella tabella 1;
- se nuovi devono essere conformi alle medesime disposizioni dalla loro entrata in esercizio.
Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane di cui all'articolo 32, devono essere conformi alle
norme di emissione riportate nelle tabelle 1 e 2. Per i parametri azoto totale e fosforo totale le concentrazioni o le percentuali di
riduzione del carico inquinante indicate devono essere raggiunti per uno od entrambi i parametri a seconda della situazione locale.
Devono inoltre essere rispettati nel caso di fognature che convogliano anche scarichi di acque reflue industriali i valori limite di tabella
3 ovvero quelli stabiliti dalle Regioni ai sensi dell'articolo 28 comma 2.
[....]

Tabella 1. Limiti i emissione per gli impianti di acque reflue urbane.

Potenzialit impianto in A.E. (abitanti equivalenti) 2.000 10.000 >10.000
Parametri (media giornaliera)(1) Concentrazion
e
% di riduzioneConcentrazion
e
% di riduzione


BOD5 (senza nitrificazione)mg/L (
2
) 25 70-90 (
5
) 25 80
COD mg/L (
3
) 125 75 125 75
Solidi Sospesi mg/L (
4
) 35 (
5
) 90 (
5
) 35 90


1. Le analisi sugli scarichi provenienti da lagunaggio o fitodepurazione devono essere effettuati su campioni filtrati, la concentrazione
di solidi sospesi non deve superare i 150 mg/L.
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2. La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato. Si esegue la determinazione dell'ossigeno
disciolto anteriormente e posteriormente ad un periodo di incubazione di 5 giorni a 20 C 1 C, in completa oscurit, con aggiunta di
inibitori di nitrificazione.
3. La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato con bicromato di potassio.
4. La misurazione deve essere fatta mediante filt razione di un campione rappresentativo attraverso membrana filtante con porosit di
0,45 m ed essicazione a 105C con conseguente calcolo del peso, oppure mediante centrifugazione per almeno 5 minuti
(accelerazione media di 2800-3200 g),essiccazione a 105C e calcolo del peso.
5. Ai sensi dell'articolo 31 comma 6, la percentuale di riduzione del BOD5 non deve essere inferiore a 40. Per i solidi sospesi la
concentrazione non deve superare i 70 mg/L e la percentuale di abbattimento non deve essere inferiore al 70%.


Tabella 2.Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili.

Parametri (media annua) Potenzialit impianto in A.E.
10.000 100.000 >100.000
Concentrazione % di riduzione Concentrazione % di riduzione

Fosforo totale (P mg/L) (
1
) 2 80 1 80
Azoto totale (N mg/L) (
2
)(
3
) 15 70-80 10 70-80

(1) Il metodo di riferimento per la misurazione la spettrofotometria di assorbimento molecolare.
(2) Per azoto totale si intende la somma dell'azoto Kjeldahl (N.organico+NH3) + azoto nitrico + azoto nitroso. Il metodo di riferimento
per la misurazione la spettrofotometria di assorbimento molecolare.
(3) in alternativa al riferimento alla concentrazione media annua, purch si ottenga un analogo livello di protezione ambientale, si
pu fare riferimento alla concentrazione media giornaliera che non pu superare i 20 mg/L per ogni campioni in cui la
temperatura dell'effluente sia pari o superiore a 12 gradi centigradi. Il limite della concentrazione media giornaliera pu essere
applicato ad un tempo operativo limitato che tenga conto delle condizioni climatiche locali.


Il punto di prelievo per i controlli, ai sensi dell'articolo 28 comma 3, deve essere sempre il medesimo e deve essere posto
immediatamente a monte del punto di immissione nel corpo recettore. Nel caso di controllo della percentuale di riduzione
dell'inquinante, deve essere previsto un punto di prelievo anche all'entrata dell'impianto di trattamento. Di tali esigenze si dovr tener
conto anche nella progettazione e modifica degli impianti, in modo da agevolare l'esecuzione delle attivit di controllo.

Per il controllo della conformit dei limiti indicati nelle tabelle 1 e 2 e di altri limiti definiti in sede locale vanno considerati i campioni
medi ponderati nell'arco di 24 ore.

Per i parametri di tabella 1 il numero di campioni, ammessi su base annua, la cui media giornaliera pu superare i limiti tabellari,
definito in rapporto al numero di misure come da schema seguente.

Campioni prelevati
durante l'anno
numero massimo consentito di
campioni non conformi
campioni prelevati
durante l'anno
numero massimo consentito di
campioni non conformi
4 - 7 1 172 - 187 14
8 - 16 2 188 - 203 15
17 - 28 3 204 - 219 16
29 - 40 4 220 - 235 17
41 - 53 5 236 - 251 18
54 - 67 6 252 - 268 19
68 - 81 7 269 - 284 20
82 - 95 8 285 - 300 21
96 - 110 9 301 - 317 22
111 - 125 10 318 - 334 23
126 - 140 11 335 - 350 24
141 - 155 12 351 - 365 25
156 - 171 13


In particolare si precisa che, per i parametri sotto indicati, i campioni che risultano non conformi, affinch lo scarico sia considerato in
regola, non possono comunque superare le concentrazioni riportate in tabella 1 oltre la percentuale sotto indicata:

BOD5: 100%
COD: 100%
Solidi Sospesi 150%

Il numero minimo annuo di campioni per i parametri di cui alle tabelle 1 e 2 fissato in base alla dimensione dell'impianto di
trattamento e va effettuato dall'autorit competente ovvero dal gestore qualora garantisca un sistema di rilevamento e di trasmissione
dati all'autorit di controllo, ritenuto idoneo da quest'ultimo, con prelievi ad intervalli regolari nel corso dell'anno, in base allo schema
seguente.


http://www.bulgaro.com 63
potenzialit
impianto
numero campioni

da 2000 a 9999
A.E:
12 campioni il primo anno e 4 negli anni successivi, purch lo scarico sia conforme; se uno dei 4 campioni non
conforme, nell'anno successivo devono essere prelevati 12 campioni
da 10000 a
49999 A.E.:
12 campioni
oltre 50000
A.E:
24 campioni


I gestori degli impianti devono inoltre assicurare un sufficiente numero di autocontrolli (almeno uguale a quello del precedente
schema) sugli scarichi dell'impianto di trattamento e sulle acque in entrata.
L'autorit competente per il controllo deve altres verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei limiti indicati
nella tabella 3. I parametri di tabella 3 che devono essere controllati sono solo quelli che le attivit presenti sul territorio possono
scaricare in fognatura.


potenzialit impianto numero controlli

da 2000 a 9999 1 volta l'anno
da 10000 a 49.999 A.E 3 volte l 'anno
oltre 49.999 A.E 6 volte l'anno


Valori estremi per la qualit delle acque in questione non sono presi in considerazione se essi sono il risultato di situazioni eccezionali
come quelle dovute a piogge abbondanti.
I risultati delle analisi di autocontrollo effettuate dai gestori degli impianti devono essere messi a disposizione degli enti preposti al
controllo. I risultati dei controlli effettuati dall'autorit competente e di quelli effettuati a cura dei gestori devono essere archiviati su
idoneo supporto informatico secondo le indicazioni riportate nel decreto attuativo di cui all 'articolo 3 comma 7.


1.2 ACQUE REFLUE INDUSTRIALI.
Gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali, devono essere conformi ai limiti di emissione indicati nella successiva
tabella 3 o alle relative norme disposte dalle Regioni ai sensi dell'articolo 28, comma 2.
Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformit degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un
campione medio prelevato nell'arco di tre ore. L'autorit preposta al controllo pu, con motivazione espressa nel verbale di
campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione pi adatto a rappresentare lo scarico
qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell'autorizzazione dello scarico,
dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuit dello stesso), il tipo di
accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.).
Ai sensi di quanto disposto dall'articolo 28, comma 2, tenendo conto del carico massimo ammissibile, ove definito, della persistenza,
bioaccumulabilit e della pericolosit delle sostanze, nonch della possibilit di utilizzare le migliori tecniche disponibili, le Region i
stabiliscono opportuni limiti di emissione in massa nell'unit di tempo (kg/mese).
Per cicli produttivi specificati nella tabella 3/A devono essere rispettati i limiti di emissione in massa per unit di prodotto o di materia
prima di cui alla stessa tabella. Per gli stessi cicli produttivi valgono altres i limiti di concentrazione indicati nelle tabella 3 allo scarico
finale.
Tra i limiti di emissione in termini di massa per unit di prodotto, indicati nella tabella 3/A, e quelli stabiliti dalle Regioni, ai sensi
dell'articolo 28, comma2, in termini di massa nell'unit di tempo valgono quelli pi cautelativi.


2 SCARICHI SUL SUOLO

Nei casi previsti articolo 29 comma 1 punto c), gli scarichi sul suolo devono rispettare i limiti previsti nella tabella 4.
Il punto di prelievo per i controlli immediatamente a monte del punto di scarico sul suolo. Per gli impianti di depurazione naturale
(lagunaggio, fitodepurazione)il punto di scarico corrisponde quello all'uscita dall'impianto.
Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformit degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad
un campione medio prelevato nell'arco di tre ore. L'autorit preposta al controllo pu, con motivazione espressa nel verbale di
campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione pi adatto a rappresentare lo scarico
qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell'autorizzazione dello scarico,
dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuit dello stesso), il tipo di
accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.).
Per gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane si fa riferimento a un campione medio ponderato nell'arco di 24 ore.
Le distanze dal pi vicino corpo idrico superficiale oltre le quali permesso lo scarico sul suolo sono rapportate al volume dello
scarico stesso secondo il seguente schema:
a) per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane:
- 1.000 metri - per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 500 m3
- 2.500 metri - per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 5000 m3
- 5.000 metri - per scarichi con portate giornaliere medie tra 5001 e 10.000 m3
b) per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali.
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- 1.000 metri - per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 100 m3
- 2.500 metri - per scarichi con portate giornaliere medie tra 101 e 500 m3
- 5.000 metri - per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 2.000 m3

Gli scarichi aventi portata maggiore di quelle su indicate devono in ogni caso essere convogliati in corpo idrico superficiale, in
fognatura o destinate al riutilizzo.
Per gli scarichi delle acque reflue urbane valgono gli stessi obblighi di controllo e di autocontrollo previsti per gli scarichi in acque
superficiali.
L'autorit competente per il controllo deve verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei li miti indicati nella
tabella 4. I parametri di tabella 4 da controllare sono solo quelli che le attivit presenti sul territorio possono scaricare in fognatura.

volume scarico numero controlli
sino a 2000 m
3
al giorno 4 volte l'anno
oltre a 2000 m
3
al giorno 8 volte l'anno


2.1 SOSTANZE PER CUI ESISTE IL DIVIETO DI SCARICO
Restano fermi i divieti di scarico sul suolo e nel sottosuolo delle seguenti sostanze:
- composti organo alogenati e sostanze che possono
- dare origine a tali composti nell'ambiente idrico;
- composti organo fosforici;
- composti organo stannici;
- sostanze che hanno potere cancerogeno, mutageno e
- teratogeno in ambiente idrico o in concorso dello stesso;
- mercurio e i suoi composti;
- cadmio e i suoi composti;
- oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti;
- cianuri.
- materie persistenti che possono galleggiare, restare in sospensione o andare a fondo e che possono disturbare ogni tipo di
utilizzazione delle acque.

Tali sostanze, si intendono assenti quando sono in concentrazioni non superiori ai limiti di rilevabilit delle metodiche di rilevamento
in essere all'entrata in vigore del presente decreto o dei successivi aggiornamenti.

Persiste inoltre il divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee, in aggiunta alle sostanze su elencate, di:

1: zinco rame nichel cromo
piombo selenio arsenico antimonio
molibdeno titanio stagno bario
berillio boro uranio vanadio
cobalto tallio tellurio argento
2: Biocidi e loro derivati non compresi nell'elenco del paragrafo precedente;
3: Sostanze che hanno un effetto nocivo sul sapore ovvero sull'odore dei prodotti
consumati dall'uomo derivati dall'ambiente idrico, nonch i composti che possono
dare origine a tali sostanze nelle acque;
4: Composti organosilicati tossici o persistenti e che possono dare origine a tali
composti nelle acque ad eccezione di quelli che sono biologicamente innocui o che
si trasformano rapidamente nell'acqua in sostanze innocue;
5: Composti inorganici del fosforo e fosforo elementare;
6: Oli minerali non persistenti ed idrocarburi di origine petrolifera non
persistenti;
7: Fluoruri;
8: Sostanze che influiscono sfavorevolmente sull'equilibrio dell'ossigeno, in
particolare ammoniaca e nitriti.

Tali sostanze, si intendono assenti quando sono in concentrazioni non superiori ai limiti di rilevabilit delle metodiche di rilevamento
in essere all'entrata in vigore del presente decreto o dei successivi aggiornamenti.


3 INDICAZIONI GENERALI

I punti di scarico degli impianti i trattamento delle acque reflue urbane devono essere scelti, per quanto possibile, in modo da ridurre al
minimo gli effetti sulle acque recettrici.

Tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, con potenzialit superiore a 2.000 abitanti equivalenti, ad esclusione
degli impianti di trattamento che applicano tecnologie depurative di tipo naturale quali la fitodepurazione e il lagunaggio, dovranno
essere dotati di un trattamento di disinfezione da utilizzarsi in caso di eventuali emergenze relative a situazioni di rischio sanitario
ovvero per garantire il raggiungimento degli obiettivi di qualit ambientali o gli usi in atto del corpo idrico recettore.

In sede di approvazione del progetto dell'impianto di trattamento delle acque reflue urbane l'autorit competente dovr verificare che
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l'impianto sia in grado di garantire che la concentrazione media giornaliera dell'azoto ammoniacale (espresso come N), in uscita
dall'impianto di trattamento non superi il 30% del valore della concentrazione dell'azoto totale (espresso come N) in uscita
dall'impianto di trattamento. Tale prescrizione non vale per gli scarichi in mare.

In sede di autorizzazione allo scarico, l'autorit competente:
a) fisser il sistema di riferimento per il controllo degli scarichi di impianti di trattamento rispettivamente a: l'opzione riferita al rispetto
della concentrazione o della percentuale di abbattimento; il riferimento alla concentrazione media annua a alla concentrazione media
giornaliera per il parametro "azoto totale " della tabella 2
b) fisser il limite opportuno relativo al parametro "Escherichia coli "espresso come UFC/100mL. Si consiglia un limite non superiore
a 5000 UFC/100mL.

I trattamenti appropriati di cui all'articolo 31,comma 2 devono essere individuati con l 'obiettivo di:
a) rendere semplice la manutenzione e la gestione; b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico
idraulico e organico; c) minimizzare i costi gestionali. Questa tipologia di trattamento pu equivalere ad un trattamento primario o ad
un trattamento secondario a seconda della soluzione tecnica adottata e dei risultati depurativi raggiunti.

Per tutti gli agglomerati con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2000 a.e, si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di
depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come i filtri percolatori o impianti ad ossidazione totale.

Peraltro tali trattamenti possono essere considerati adatti se opportunamente dimensionati, al fine del raggiungimento dei limiti della
tabella 1, anche per tutti gli agglomerati in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30% della popolazione residente e
laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano.
Tali trattamenti si prestano, per gli agglomerati di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2000 e i 25000 a.e,
anche a soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento.


4 METODI DI CAMPIONAMENTO ED ANALISI

Fatto salvo quanto diversamente specificato nelle tabelle 1, 2, 3, 4 circa i metodi analitici di riferimento, rimangono valide le procedure
di controllo, campionamento e misura definite dalle normative in essere prima dell'entrata in vigore del presente decreto. Le metodiche
di campionamento ed analisi saranno aggiornate con apposito decreto ministeriale su proposta dell'ANPA.

Tabella 3.Valori limiti i emissione in acque superficiali e in fognatura.

Numer
o
param
etro
PARAMETRI unit
di
misura
Scarico in acque superficiali Scarico in rete fognaria(*)

1 pH 5,5-9,5 5,5-9,5
2 Temperatura C (1) (1)
3 colore non percettibile con diluizione 1:20 non percettibile con diluizione 1:40
4 odore non deve essere causa di molestie non deve essere causa di molestie
5 materiali
grossolani
assenti assenti
6 Solidi sospesi
totali (2)
mg/L 80 200
7 BOD
5
(come O
2
)(2)
mg/L 40 250
8 COD (come O
2
)
(2)
mg/L 160 500
9 Alluminio mg/L 1 2,0
10 Arsenico mg/L 0,5 0,5
11 Bario mg/L 20 -
12 Boro mg/L 2 4
13 Cadmio mg/L 0,02 0,02
14 Cromo totale mg/L 2 4
15 Cromo VI mg/L 0,2 0,20
16 Ferro mg/L 2 4
17 Manganese mg/L 2 4
18 Mercurio mg/L 0,005 0,005
19 Nichel mg/L 2 4
20 Piombo mg/L 0,2 0,3
21 Rame mg/L 0,1 0,4
22 Selenio mg/L 0,03 0,03
23 Stagno mg/L 10
24 Zinco mg/L 0,5 1,0
25 Cianuri totali
(come CN)
mg/L 0,5 1,0
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26 Cloro attivo
libero
mg/L 0,2 0,3
27 Solfuri (come
H
2
S)
mg/L 1 2
28 Solfiti (come
SO
3
)
mg/L 1 2
29 Solfati (come
SO
4
)(3)
mg/L 1000 1000
30 Cloruri (3) mg/L 1200 1200
31 Fluoruri mg/L 6 12
32 Fosforo totale
(come P) (2)
mg/L 10 10
33 Azoto
ammoniacale
(come NH
4
) (2)
mg /L 15 30
34 Azoto nitroso
(come N)(2)
mg/L 0,6 0,6
35 Azoto nitrico
(come N)(2)
mg /L 20 30
36 Grassi e olii
animali/vegetali
mg/L 20 40
37 Idrocarburi
totali
mg/L 5 10
38 Fenoli mg/L 0,5 1
39 Aldeidi mg/L 1 2
40 Solventi
organici
aromatici
mg/L 0,2 0,4
41 Solventi
organici azotati
mg/L 0,1 0,2
42 Tensioattivi
totali
mg/L 2 4
43 Pesticidi
fosforati
mg/L 0,10 0,10
44 Pesticidi totali
(esclusi i
fosforati)
mg/L 0,05 0,05
tra cui:
45 -aldrin mg/L 0,01 0,01
46 -dieldrin mg/L 0,01 0,01
47 -endrin mg/L 0,002 0,002
48 -isodrin mg/L 0,002 0,002
49 Solventi
clorurati
mg/L 1 2
50 Escherichia coli
(4)
UFC/1
00mL
nota
51 Saggio di
tossicit acuta
(5)
il campione non accettabile quando dopo 24
ore il numero degli organismi immobili
uguale o maggiore del 50%del totale
il campione non accettabile quando dopo 24
ore il numero degli organismi immobili
uguale o maggiore del 80%del totale


(*)I limiti per lo scarico in rete fognaria sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall'autoritcompetente ai sensi dell'articolo 33,
comma 1 del presente decreto o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello
scarico finale. Limiti diversi devono essere resi conformi a quanto indicato alla nota 2 della tabella 5 relativa a sostanze pericolose .

1. Per i corsi d'acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d'acqua a monte e a valle del punto di
immissione non deve superare i 3C. Su almeno met di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 1C. Per i laghi la
temperatura dello scarico non deve superare i 30C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare
i 3C oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell'acqua di
qualsiasi sezione non deve superare i 35C, la condizione suddetta subordinata all'assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il
mare e per le zone di foce di corsi d'acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35C e l'incremento di
temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3C oltre i 1000 metri di distanza dal punto di immissione. Deve
inoltre essere assicurata la compatibilit ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche
alla foce dei fiumi.
2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati in tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di
tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di
azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L.
3. Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere, purch almeno
sulla met di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengano disturbate le naturali variazioni della concentrazione di solfati o di
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cloruri.
4. In sede di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell'autorit competente andr
fissato il limite pi opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti.
Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/100mL
5. Il saggio di tossicit obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicit acuta su
Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata
o altri organismi tra quelli che saranno indicati ai sensi del punto 4 del presente allegato. In caso di esecuzione di pi test di tossicit
si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicit non determina l'applicazione diretta delle sanzioni di cui al
Titolo V, determina altres l'obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicit e la loro rimozione .


Tabella 3/A.Limiti di emissione per unit di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi (**).

Settore produttivo Quantit scaricata per unit di prodotto (o capacit di produzione) media mensilemedia giorno (*)


Cadmio

Estrazione dello zinco, raffinazione del piombo e dello zinco, industria dei
metalli non ferrosi e del cadmio metallico (1)

Fabbricazione dei composti del cadmio g/kg grammi di Cd scaricato per
chilogrammo di Cd trattato
0,5
Produzione di pigmenti g/kg (grammi di Cd scaricato per
chilogrammo di Cd trattato)
0,3
Fabbricazione di stabilizzanti g/kg al (grammi di Cd scaricato per
chilogrammo di Cd trattato)
0,5
Fabbricazione di batterie primarie e secondarie g/kg al (grammi di Cd scaricato per
chilogrammo di Cd trattato)
1,5
Galvanostegia g/kg al (grammi di Cd scaricato per
chilogrammo di Cd trattato)
0,3

Mercurio (settore dell'elettrolisi dei cloruri alcalini)

Salamoia riciclata - da applicare all'Hg presente negli effluenti provenienti dall'unit di
produzione del cloro
g Hg /t di capacit di produzione
di cloro, installata
0,5
Salamoia riciclata - da applicare al totale del Hg presente in tutte le acque di scarico
contenenti Hg provenienti dall'area dello stabilimento industriale.
G Hg /t di capacit di
produzione di cloro, installata
1
Salamoia a perdere - da applicare al totale del Hg presente in tutte le acque di scarico
contenenti Hg provenienti dall'area dello stabilimento industriale.
G Hg /t di capacit di
produzione di cloro, installata
5

Mercurio (settori diversi da quello dell'elettrolisi dei cloruri alcalini)

Aziende che impiegano catalizzatori all'Hg per la produzione di cloruro di vinile g/t capacit di produzione di CVM 0,1
Aziende che impiegano catalizzatori all'Hg per altre produzioni g/kg mercurio trattato 5
Fabbricazione dei catalizzatori contenenti Hg utilizzati per la produzione di CVM g/kg al mese mercurio trattato 0,7
Fabbricazione dei composti organici ed inorganici del mercurio g/kg al mese mercurio trattato 0,05
Fabbricazione di batterie primarie contenenti Hg g/kg al mese mercurio trattato 0,03
Industrie dei metalli non ferrosi
- Stabilimenti di ricupero del mercurio (1)
- Estrazione e raffinazione di metalli non ferrosi (1)

Stabilimenti di trattamento dei rifiuti tossici contenenti mercurio

Esaclorocicloesano (HCH)

Produzione HCH g HCH/t HCH prodotto 2
Estrazione lindano g HCH/t HCH trattato 4
Produzione ed estrazione lindano g HCH/t HCH prodotto 5

DDT

Produzione DDT compresa la formulazione sul posto di
DDT
g/t di sostanze prodotte, trattate o utilizzate - valore mensile 4 8

Pentaclorofenolo (PCP)

Produzione del PCP Na idrolisi
dell'esaclorobenzene
g/t di capacit di produzione o capacit di utilizzazione 25 50


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Aldrin, dieldrin, endrin, isodrin

Produzione e formulazione di: Aldrin e/o dieldrin e/o endrin e/o
isoldrin
g/t capacit di produzione o capacit di
utilizzazione
3 15
Produzione e trattamento di HCB g HCB/t di capacit di produzione di HCB 10

Esaclorobenzene (HCB)

Produzione di percloroetilene (PER)e di tetracloruro di carbonio (CCl
4

)mediante perclorurazione
g HCB/t di capacit di produzione totale di
PER + CCl
4

1,5
Produzione di tricloroetilene e/o percloetilene con altri procedimenti (1)

Esaclorobutadiene

Produzione di percloroetilene (PER)e di tetracloruro di carbonio (CCl
4
)
mediante perclorurazione
g HCBD/t di capacit di produzione totale di
PER + CCl 4
1,5
Produzione di tricloroetilene e/o di percloroetilene mediante altri
procedimenti (1)


Cloroformio

Produzione clorometani del metanolo o da combinazione di metanolo e
metano
g CHCl
3
/t di capacit di produzione di
clorometani
10
Produzione clorometani mediante clorurazione del metano g CHCl
3
/t di capacit di produzione di
clorometani
7,5

Tetracloruro di carbonio

Produzione di tetracloruro di carbonio mediante perclorurazione
procedimento con lavaggio
g CCl
4
/t di capacit di produzione totale di
CCl
4
e di percloroetilene
30 40
Produzione di tetracloruro di carbonio mediante perclorurazione
procedimento senza lavaggio
g CCl
4
/t di capacit di produzione totale di
CCl
4
e di percloroetilene
2,5 5
Produzione di clorometani mediante clorurazione del metano (compresa la
clorolisi sotto pressione a partire dal metanolo) (1).

Produzione di clorofluorocarburi (1)

1,2 dicloroetano (EDC)

Unicamente produzione 1,2 dicloroetano g/t 2,5 5
Produzione 1,2 dicloroetano e trasformazione e/o utilizzazione nello stesso stabilimento tranne che per l'utilizzazione
nella produzione di scambiatori di calore
g/t 5 10
Utilizzazione di EDC per lo sgrassaggio dei metalli (in stabilimenti industriali diversi da quelli del punto precedente)
(2)

Trasformazione di 1,2 dicloetano in sostanze diverse dal cloruro di vinile g/t 2,5 5

Tricloroetilene

Produzione di tricloroetilene (TRI)e di percloroetilene (PER) (2) g/t 2,5 5
Utilizzazione TRI per lo sgrassaggio dei metalli (2) g/t

Triclorobenzene (TCB)

produzione di TCB per disidroclorazione e/o trasformazione di TCB g/t 10
produzione e trasformazione di clorobenzeni mediante clorazione (2) g/t 0,5

Percloroetilene (PER)

Produzione di tricloroetilene (TRI)e di percloroetilene (procedimenti TRI-PER) g/t 2,5 5
Produzione di tetracloruro di carbonio e di percloroetilene (procedimenti TETRA-PER) (2) g/t 2,5 5
Utilizzazione di PER per lo sgrassaggio metalli (2)
Produzione di clorofluorocarbonio (1)

Note alla tabella 3A
(*) qualora non diversamente indicato, i valori indicati sono riferiti a medie mensili. Ove non indicato esplicitamente si consideri come
valore delle media giornaliera il doppio di quella mensile.
(**) Per i cicli produttivi che hanno uno scarico della sostanza pericolosa in questione, minore al quantitativo annuo indicato nello
schema seguente, le autorit competenti all'autorizzazione possono evitare il procedimento autorizzativo previsto all'articolo 46,
comma 2, e dall'articolo 34, commi 2 e 4. In tal caso valgono solo i limiti di tabella 3.
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__________________________________________________________________________________
Sostanza pericolosa Quantit annua di sostanza inquinante
scaricata considerata per l'applicazione
dell'articolo 46,comma 2, e 34,commi 2 e
4.
__________________________________________________________________________________
Cadmio 10 kg/anno di Cd (nel caso di stabilimenti
di galvanostegia si applicano comunque i
limiti di tabella 3A e le procedure
dell'articolo 34,quando la capacit
complessiva delle vasche di galvanostegia
supera 1,5 m
3
Mercurio (settore dell'elettrolisi sempre richiesto il rispetto della tabella
dei cloruri alcalini) 3A e l 'applicazione delle procedure
dell'articolo 34
Mercurio (settore diverse 7,5 kg/anno di Hg
dell 'elettrolisi dei cloruri alcalini)
Esaclorocicloesano (HCH) 3 kg/anno di HCH
DDT 1 kg/anno di DDT
Pentaclorofenolo (PCP) 3 kg/anno di PCP
Aldrin,dieldrin,endrin,isodrin sempre richiesto il rispetto della tabella
3A e l 'applicazione delle procedure
dell'articolo 34
Esaclorobenzene (HCB) 1 kg/anno di HCB
Esaclorobutadiene (HCBD) 1 kg/anno di HCBD
Cloroformio 30 kg/anno di CHCl
3

Tetracloruro di carbonio (TETRA) 30 kg/anno di TETRA
1,2 dicloroetano (EDC) 30 kg/anno di EDC
Tricloroetilene (TRI) 30 kg/anno di TRI
Triclorobenzene (TCB) sempre richiesto il rispetto della tabella
3A e l 'applicazione delle procedure
dell'articolo 34
Percloroetilene (PER) 30 kg/anno di PER


(1) per questi cicli produttivi non vi sono limiti di massa per unit di prodotto, devono essere rispettati, solo i limiti di concentrazione
indicati in tabella 3 in relazione alla singola sostanza o alla famiglia di sostanze di appartenenza.
(2) per questi cicli produttivi non vengono indicati limiti di massa per unit di prodotto, ma devono essere rispettati, oltre ai limiti di
concentrazione indicati in tabella 3 per la famiglia di sostanze di appartenenza, i seguenti limiti di concentrazione:

Media giorno Media mese mg/L
mg/L

1,2 dicloroetano (EDC)
Utilizzazione di EDC per lo
sgrassaggio dei metalli in stabilimenti 0,2 0,1
industriali diversi da quelli che
producono, trasformano e/o utilizzano
EDC nello stesso stabilimento
Tricloroetilene (TRI)
Produzione di tricloroetilene (TRI)e di
percloroetilene (PER) 0,5 1
Utilizzazione TRI per lo sgrassaggio
dei metalli 0,2 0,2
Triclorobenzene (TCB)
Produzione e trasformazione di
clorobenzeni mediante clorazione 0,1 0,05
Percloroetilene (PER)
Produzione di tricloroetilene (TRI)e di
percloroetilene (procedimenti TRI-PER) 1 0,5
Utilizzazione di PER per lo sgrassaggio
metalli 0,2 0,1



Per verificare che gli scarichi soddisfano i limiti indicati nella tabella 3/A deve essere prevista una procedura di controllo che prevede:
- il prelievo quotidiano di un campione rappresentativo degli scarichi effettuati nel giro di 24 ore e la misurazione della concentrazione
della sostanza in esame;
- la misurazione del flusso totale degli scarichi nello stesso arco di tempo.
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La quantit di sostanza scaricata nel corso di un mese si calcola sommando le quantit scaricate ogni giorno nel corso del mese. Tale
quantit va divisa per la quantit totale di prodotto o di materia prima.

Tabella 4. Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo

unit di
misura
(il valore della concentrazione deve essere minore o uguale a quello
indicato)

1 pH 6 8
2 SAR 10
3 Materiali grossolani - assenti
4 Solidi sospesi totali mg/L 25
5 BOD5 mg O
2
/L 20
6 COD mg O
2
/L 100
7 Azoto totale mg N /L 15
8 Fosforo totale mg P /L 2
9 Tensioattivi totali mg/L 0,5
10 Alluminio mg/L 1
11 Berillio mg/L 0,1
12 Arsenico mg/L 0,05
13 Bario mg/L 10
14 Boro mg/L 0,5
15 Cromo totale mg/L 1
16 Ferro mg/L 2
17 Manganese mg/L 0,2
18 Nichel mg/L 0,2
19 Piombo mg/L 0,1
20 Rame mg/L 0,1
21 Selenio mg/L 0,002
22 Stagno mg/L 3
23 Vanadio mg/L 0,1
24 Zinco mg/L 0,5
25 Solfuri mg H
2
S/L 0,5
26 Solfiti mg SO
3
/L 0,5
27 Solfati mgSO
4
/L 500
28 Cloro attivo mg/L 0,2
29 Cloruri mg Cl/L 200
30 Fluoruri mg F/L 1
31 Fenoli totali mg/L 0,1
32 Aldeidi totali mg/L 0,5
33 Solventi organici aromatici totali mg/L 0,01
34 Solventi organici azotati totali mg/L 0,01
35 Saggio di tossicit su Daphnia magna
(vedi nota 8 di tabella 3)
LC50
24h
il campione non accettabile quando dopo 24 ore il numero degli
organismi immobili uguale o maggiore del 50%del totale
36 Escherichia coli (1) UFC/100
mL


(1)In sede di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell'autorit competente andr
fissato il limite pi opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti.
Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/100mL


Tabella 5.Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3,per lo scarico in acque
superficiali
(1)
e per lo scarico in rete fognaria
(2)
,o in tabella 4,per lo scarico sul s uolo

1 Arsenico
2 Cadmio
3 Cromo totale
4 Cromo esavalente
5 Mercurio
6 Nichel
7 Piombo
8 Rame
9 Selenio
10 Zinco
11 Fenoli
12 Oli minerali non persistenti e idrocarburi di origine petrolifera non persistenti
13 Solventi organici aromatici
14 Solventi organici azotati
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15 Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati)
16 Pesticidi fosforati
17 Composti organici dello stagno
18 Sostanze di cui, secondo le indicazioni dell'agenzia internazionale di ricerca
sul cancro (IARC), provato il potere cancerogeno

(1) Per quanto riguarda gli scarichi in corpo idrico superficiale, nel caso di insediamenti produttivi aventi scarichi con una portata
complessiva media giornaliera inferiore a 50 m
3
, per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7,
15, 16, 17 e 18 le Regioni e le province autonome nell'ambito dei piani di tutela, possono ammettere valori di concentrazione che
superano di non oltre il 50%i valori indicati nella tabella 3, purch sia dimostrato che ci non comporti un peggioramento della
situazione ambientale e non pregiudica il raggiungimento gli obiettivi ambientali.
(2) Per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purch sia garantito che lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di tabella 3, o
quelli stabiliti dalle Regioni ai sensi dell'articolo 28 comma 2, il gestore del servizio idrico integrato pu adottare ,ai sensi
dell'articolo 33, per i parametri della tabella 5,ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 14, 15, 16, e 17,limiti di
accettabilit i cui valori di concentrazione superano quello indicato in tabella 3.


Tabella 6 - Peso vivo medio annuo corrispondente a una produzione di 340 kg di azoto, al netto delle perdite di stoccaggio e
distribuzione, a considerare ai fini dell'assimilazione alle acque reflue domestiche (articolo 28 comma 7)

SPECIE ALLEVATA PESO VIVO MEDIO PER ANNO (TONNELLATA)
suini 3
bovini 4
avicoli 2.1
cunicoli 2.4
ovicaprini 3.4
equini 4


ALLEGATO 6 - CRITERI PER LA INDIVIDUAZIONE DELLE AREE SENSIBILI

Si considera area sensibile un sistema idrico classificabile in uno dei seguenti gruppi:
a) laghi naturali, altre acque dolci, estuari e acque del litorale gi eutrofizzati, o probabilmente esposti a prossima eutrofizzazione, in
assenza di interventi protettivi specifici.
Per individuare il nutriente da ridurre mediante ulteriore trattamento, vanno tenuti in considerazione i seguenti elementi:
i) nei laghi e nei corsi d'acqua che si immettono in laghi/bacini/baie chiuse con scarso ricambio idrico e ove possono verificarsi
fenomeni di accumulazione la sostanza da eliminare il fosforo, a meno che non si dimostri che tale intervento non avrebbe alcuno
effetto sul livello dell'eutrofizzazione. Nel caso di scarichi provenienti da ampi agglomerati si pu prevedere di eliminare anche
l'azoto;
ii) negli estuari, nelle baie e nelle altre acque del litorale con scarso ricambio idrico, ovvero in cui si immettono grandi quantit di
nutrienti, se, da un lato, gli scarichi provenienti da piccoli agglomerati urbani sono generalmente di importanza irrilevante, dall'altro,
quelli provenienti da agglomerati pi estesi rendono invece necessari interventi di eliminazione del fosforo e/o dell'azoto, a meno che
non si dimostri che ci non avrebbe comunque alcun effetto sul livello dell'eutrofizzazione:
b) acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile che potrebbero contenere, in assenza di interventi, una
concentrazione di nitrato superiore a 50 mg/L (stabilita conformemente alle disposizioni pertinenti della direttiva 75/440 concernente
la qualit delle acque superficiali destinate alla produzione d'acqua potabile;)
c) aree che necessitano, per gli scarichi afferenti, di un trattamento supplementare al trattamento secondario al fine di conformarsi alle
prescrizioni previste dalla presente norma.

Ai sensi del comma 2, punto a), dell'articolo 18, sono da considerare in prima istanza come sensibili i laghi posti ad un'altitudine sotto i
1.000 sul livello del mare e aventi una superficie dello specchio liquido almeno di 0,3 km
2
.
Nell'identificazione di ulteriori aree sensibili, oltre ai criteri di cui sopra, le Regioni dovranno prestare attenzione a quei corpi idrici
dove si svolgono attivit tradizionali di produzione ittica.


ALLEGATO 7

PARTE A - ZONE VULNERABILI DA NITRATI DI ORIGINE AGRICOLA

PARTE AI - CRITERI PER L'INDIVIDUAZIONE DELLE ZONE VULNERABILI

Si considerano zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque gi inquinate
o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali scarichi.
Tali acque sono individuate, base tra l'altro dei seguenti criteri:
1. la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO
3
-)
nelle acque dolci
superficiali, in particolare quelle destinate alla produzione di acqua potabile, se non si interviene ai sensi dell'articolo 19;
2. la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO
3
-
) nelle acque dolci
sotterranee, se non si interviene ai sensi dell'articolo 19;
3. la presenza di eutrofizzazione oppure la possibilit del verificarsi di tale fenomeno nell'immediato futuro nei laghi naturali di acque
dolci o altre acque dolci, estuari, acque costiere e marine, se non si interviene ai sensi dell'articolo 19.
http://www.bulgaro.com 72
Nell'individuazione delle zone vulnerabili, le Regioni tengono conto pertanto:
1. delle caratteristiche fisiche e ambientali delle acque e dei terreni che determinano il comportamento dei nit rati nel sistema
acqua/terreno;
2. del risultato conseguibile attraverso i programmi d'azione adottati;
3. delle eventuali ripercussioni che si avrebbero nel caso di mancato intervento ai sensi dell'articolo 19.

CONTROLLI DA ESEGUIRE AI FINI DELLA REVISIONE DELLE ZONE VULNERABILI

Ai fini di quanto disposto dal comma 4 dell'articolo 19, la concentrazione dei nitrati deve essere controllata per il periodo di durata pari
almeno ad un anno:
- nelle stazioni di campionamento previste per la classificazione dei corpi idrici sotterranei e superficiali individuate secondo quanto
previsto dall'allegato 1 al decreto;
- nelle altre stazioni di campionamento previste al Titolo II Capo II relativo al controllo delle acque destinate alla produzione di acque
potabili, almeno una volta al mese e pi frequentemente nei periodi di piena;
- nei punti di prelievo, controllati ai sensi del DPR 236/88, delle acque destinate al consumo umano.
Il controllo va ripetuto almeno ogni quattro anni. Nelle stazioni dove si riscontrata una concentrazione di nitrati inferiore a 25 mg/L
(espressi come NO
3
-
) il programma di controllo pu essere ripetuto ogni otto anni, purch non si sia manifestato alcun fattore nuovo
che possa aver incrementato il tenore dei nitrati.
Ogni quattro anni sottoposto a riesame lo stato eutrofico delle acque dolci superficiali, di transizione e costiere, adottando di
conseguenza i provvedimenti del caso.
Nei programmi di controllo devono essere applicati i metodi di misura di riferimento previsti al successivo punto.

METODI DI RIFERIMENTO

CONCIMI CHIMICI
Il metodo di analisi dei composti dell'azoto stabilito in conformit al D.M. 19 luglio 1989 Approvazione dei metodi ufficiali di
analisi per i fertilizzanti.

ACQUE DOLCI,ACQUE COSTIERE E ACQUE MARINE
Il metodo di analisi per la rilevazione della concentrazione di nitrati la spettrofotometria di assorbimento molecolare. I laboratori che
utilizzano altri metodi di misura devono accertare la comparabilit dei risultati ottenuti.


PARTE AII - ASPETTI METODOLOGICI

1. L'individuazione delle zone vulnerabili viene effettuata tenendo conto dei carichi (specie animali allevate, intensit degli allevamenti
e loro tipologia, tipologia dei reflui che ne derivano e modalit di applicazi one al terreno, coltivazioni e fertilizzazioni in uso) nonch
dei fattori ambientali che possono concorrere a determinare uno stato di contaminazione.
Tali fattori dipendono:
- dalla vulnerabilit intrinseca delle formazioni acquifere ai fluidi inquinanti (caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e
idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi);
- dalla capacit di attenuazione del suolo nei confronti dell'inquinante (caratteristiche di tessitura, contenuto di sostanza organica ed
altri fattori relativi alla sua composizione e reattivit chimico-biologica);
- dalle condizioni climatiche e idrologiche;
- dal tipo di ordinamento colturale e dalle relative pratiche agronomiche.
Gli approcci metodologici di valutazione della vulnerabilit richiedono un'i donea ed omogenea base di dati e a tal proposito si osserva
che sul territorio nazionale sono presenti:
- aree per cui sono disponibili notevoli conoscenze di base e gi stata predisposta una mappatura della vulnerabilit a scala di
dettaglio sia con la metodologia CNR-GNDCI
2
che con sistemi parametrici;
- aree nelle quali, pur mancando studi e valutazioni di vulnerabilit, sono disponibili dati sufficienti per effettuare un'indagine di
carattere orientativo e produrre un elaborato cartografico a scala di riconoscimento;
- aree in cui le informazioni sono molto carenti o frammentarie ed necessario ricorrere ad una preventiva raccolta di dati al fine di
applicare le metodologie di base studiate in ambito CNR-GNDCI.
Al fine di individuare sull'intero territorio nazionale le zone vulnerabili ai nitrati si ritiene opportuno procedere ad un'indagine
preliminare di riconoscimento, che deve essere in seguito revisionata sulla base di aggiornamenti successivi conseguenti anche ad
eventuali ulteriori indagini di maggiore dettaglio.

_________
2 Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche
_________


2. Indagine preliminare di riconoscimento.
La scala cartografica di rappresentazione prescelta 1:250.000 su base topografica preferibilmente informatizzata.
Obiettivo dell'indagine di riconoscimento l'individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque
sotterranee sono particolarmente evidenti. In tale fase dell'indagine non necessario separare pi classi di vulnerabilit.
In prima approssimazione i fattori critici da considerare nell'individuazione delle zone vulnerabili sono:
a) presenza di un acquifero libero o parzialmente confinato (ove la connessione idraulica con la superficie possibile) e, nel caso di
rocce litoidi fratturate, presenza di un acquifero a profondit inferiore a 50 m, da raddoppiarsi in zona a carsismo evoluto;
b) presenza di una litologia di superficie e dell'insaturo prevalentemente permeabile (sabbia, ghiaia o litotipi fratturati);
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c) presenza di suoli a capacit di attenuazione tendenzialmente bassa (ad es. suoli prevalentemente sabbiosi, o molto ghiaiosi, con
basso tenore di sostanza organica, poco profondi).
d) presenza di situazioni accertate di compromissioni qualitative delle acque sotterranee dovuta a fattori antropici di origine
prevalentemente agricola o zootecnica.
La concomitanza delle condizioni sopra esposte identifica le situazioni di maggiore vulnerabilit.
Vengono escluse dalle zone vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove
esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile purch continuo.
L'indagine preliminare di riconoscimento delle zone vulnerabili viene effettuata:
a) per le zone ove gi disponibile una mappatura a scala di dettaglio o di sintesi, mediante accorpamento delle aree classificate ad
alta, elevata ed estremamente elevata vulnerabilit;
b) per le zone dove non disponibile una mappatura ma esistono sufficienti informazioni geo-pedologico- ambientali, mediante il
metodo di valutazione di zonazione per aree omogenee (metodo CNR-GNDCI) o al metodo parametrico;
c) per le zone dove non esistono sufficienti informazioni, mediante dati esistenti e/o rapidamente acquisibili e applicazione del metodo
CNR-GNDCI, anche ricorrendo a criteri di similitudine.

3 Aggiornamenti successivi.
L'indagine preliminare di riconoscimento pu essere suscettibile di sostanziali approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove
indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attivit di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una
delimitazione pi precisa delle aree vulnerabili.
Con il supporto delle ARPA, ove costituite, deve essere avviata una indagine finalizzata alla s tesura di una cartografia di maggiore
dettaglio (1:50.000-100.000) per convogliare la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle zone pi
problematiche.
Obiettivo di questa indagine l'individuazione dettagliata della "vulnerabilit specifica" degli acquiferi e in particolare delle classi di
grado pi elevato. Si considerano, pertanto, i fattori inerenti la "vulnerabilit intrinseca" degli acquiferi e la capacit di attenuazione
del suolo, dell'insaturo e dell'acquifero.
Il prodotto di tale indagine pu essere soggetto ad aggiornamenti sulla base di nuove conoscenze e dei risultati della sperimentazione.
E' opportuno gestire i dati raccolti mediante un sistema GIS.
7. Le amministrazioni possono comunque intraprendere studi di maggior dettaglio quali strumenti di previsione e di prevenzione dei
fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati alla valutazione della vulnerabilit e dei rischi presenti in siti specifici (campi,
pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all'interno delle pi vaste aree definite come vulnerabili, e possono permettere di indicare
con maggiore definizione le eventuali misure da adottare nel tempo e nello spazio.

PARTE AIII - ZONE VULNERABILI DESIGNATE

In fase di prima attuazione sono designate vulnerabili all'inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole le seguenti zone:
- quelle gi individuate dalla Regione Lombardia con il regolamento attuativo della legge regionale 15 dicembre 1993, n.37;
- quelle gi individuate dalla Regione Emilia Romagna con la deliberazione del Consiglio regionale del 11 febbraio 1997, n.570;
- la zona delle conoidi delle province di Modena, Reggio Emilia e Parma.
- l 'area dichiarata a rischio di crisi ambientale di cui all'articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n.305, del bacino Burana Po di Volano
della provincia di Ferrara.
- l 'area dichiarata a rischio di crisi ambientale di cui all'articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n.305, dei bacini dei fiumi Fissero, Canal
Bianco e PO di Levante (della regione Veneto)
Tale elenco viene aggiornato, su proposta delle Regioni interessate, sulla base dei rilevamenti e delle indagini svolte.

PARTE AIV - INDICAZIONI E MISURE PER I PROGRAMMI D'AZIONE

I programmi d'azione sono obbligatori per le zone vulnerabili e tengono conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, con riferimento
principalmente agli apporti azotati rispettivamente di origine agricola o di altra origine, nonch delle condizioni ambientali locali.

1. I programmi d'azione includono misure relative a:
1.1) i periodi in cui proibita l'applicazione al terreno di determinati tipi di fertilizzanti;
1.2) la capacit dei depositi per effluenti di allevamento; tale capacit deve superare qu ella necessaria per l'immagazzinamento nel
periodo pi lungo, durante il quale proibita l'applicazione al terreno di effluenti nella zona vulnerabile, salvo i casi in cui sia
dimostrato all'autorit competente che qualsiasi quantitativo di effluente supe riore all'effettiva capacit d'immagazzinamento verr
gestito senza causare danno all'ambiente;
1.3) la limitazione dell'applicazione al terreno di fertilizzanti conformemente alla buona pratica agricola e in funzione delle
caratteristiche della zona vulnerabile interessata; in particolare si deve tener conto:
a) delle condizioni, del tipo e della pendenza del suolo;
b) delle condizioni climatiche, delle precipitazioni e dell'irrigazione;
c) dell'uso del terreno e delle pratiche agricole, inclusi i sistemi di rotazione e di avvicendamento colturale.
Le misure si basano sull'equilibrio tra il prevedibile fabbisogno di azoto delle colture, e l'apporto di azoto proveniente dal terreno e
dalla fertilizzazione, corrispondente:
- alla quantit di azoto presente ne l terreno nel momento in cui la coltura comincia ad assorbirlo in misura significativa (quantit
rimanente alla fine dell'inverno);
- all'apporto di composti di azoto provenienti dalla mineralizzazione netta delle riserve di azoto organico presenti nel terreno;
- all'aggiunta di composti di azoto provenienti da effluenti di allevamento;
- all'aggiunta di composti di azoto provenienti da fertilizzanti chimici e da altri fertilizzanti.
I programmi di azione devono contenere almeno le indicazioni riportate nel Codice di Buona Pratica Agricola, ove applicabili.

2. Le misure devono garantire che, per ciascuna azienda o allevamento, il quantitativo di effluente zootecnico sparso sul terreno ogni
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anno, compreso quello depositato dagli animali stessi, non superi un apporto pari a 170 kg di azoto per ettaro.
Tuttavia per i primi due anni del programma di azione il quantitativo di effluente utilizzabile pu essere elevato fino ad un apporto
corrispondente a 210 kg di azoto per ettaro. I predetti quantitativi sono calcolati sulla base del numero e delle categorie degli animali.
Ai fini del calcolo degli apporti di azoto provenienti dalle diverse tipologie di allevamento si terr conto delle indicazioni contenute nel
decreto del Ministero delle politiche agricole e fores tali di cui all'articolo 38, comma 2, del presente decreto.

3. Durante e dopo i primi quattro anni di applicazione del programma d'azione le Regioni in casi specifici possono fare istanza al
Ministero dell'ambiente per lo spargimento di quantitativi di effluenti di allevamento diversi da quelli sopra indicati, ma tali da non
compromettere le finalit di cui all'articolo 1, da motivare e giustificare in base a criteri obiettivi relativi alla gestione del suolo e delle
colture, quali:
- stagioni di crescita prolungate;
- colture con grado elevato di assorbimento di azoto;
- terreni con capacit eccezionalmente alta di denitrificazione.
Il Ministero dell'ambiente, acquisito il parere favorevole della Commissione europea, che lo rende sulla base delle procedure previste
all'articolo 9 della direttiva 91/676/CEE, pu concedere lo spargimento di tali quantitativi.


PARTE B - ZONE VULNERABILI DA PRODOTTI FITOSANITARI

PARTE BI - CRITERI PER L'INDIVIDUAZIONE

1. Le Regioni e le Province autonome individuano le aree in cui richiedere limitazioni o esclusioni d'impiego, anche temporanee, di
prodotti fitosanitari autorizzati, allo scopo di proteggere le risorse idriche e altri comparti rilevanti per la tutela sanitaria o ambientale,
ivi inclusi l'entomofauna utile e altri organismi utili, da possibili fenomeni di contaminazione. Un'area considerata area vulnerabile
quando l'utilizzo al suo interno dei prodotti fitosanitari autorizzati pone in condizioni di rischio le risorse idriche e gli altri comparti
ambientali rilevanti.

2. Il Ministero della Sanit ai sensi dell' art. 5, comma 20 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n.194, su documentata richiesta delle
Regioni e delle Province autonome, sentita la Commissione consultiva di cui all'articolo 20 dello stesso decreto legislativo, dispone
limitazioni o esclusioni d'impiego, anche temporanee, dei prodotti fitosanitari autorizzati nelle aree individuate come zone vulnerabili
da prodotti fitosanitari.

3. Le Regioni e le Province autonome provvedono entro un anno, sulla base dei criteri indicati nella parte BII di questo allegato, alla
prima individuazione e cartografia delle aree vulnerabili ai prodotti fitosanitari ai fini della tutela delle risorse idriche sotterranee.
Successivamente alla prima individuazione, tenendo conto degli aspetti metodologici indicati nella parte BIII, le Regioni e le Province
autonome provvedono ad effettuare la seconda individuazione e la stesura di una cartografia di maggiore dettaglio delle zone
vulnerabili dai prodotti fitosanitari.

4. Possono essere considerate zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari ai fini della tutela di zone di rilevante interesse naturalistico e
della protezione di organismi utili, ivi inclusi insetti e acari utili, uccelli insettivori, mammiferi e anfibi, le aree naturali protette, o
porzioni di esse, indicate nell'Elenco Ufficiale di cui all'art. 5 della legge 6 dicembre 1991, n.394.

5. Le Regioni e le Province autonome predispongono programmi di controllo per garantire il rispetto delle limitazioni o esclusioni
d'impiego dei prodotti fitosanitari disposte, su loro richiesta, dal Ministero della Sanit. Esse forniscono al Ministero dell'Ambiente e
all'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (ANPA) i dati relativi all'individuazione e alla cartografia delle aree di
protezione dai prodotti fitosanitari.

6. L'ANPA e le Agenzie Regionali per la Protezione dell'Ambiente forniscono supporto tecnico-scientifico alle Regioni e alle Province
autonome al fine di:
a) promuovere uniformit d'intervento nelle fasi di valutazione e cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari;
b) garantire la congruit delle elaborazioni cartografiche e verificare la qualit delle in formazioni ambientali di base (idrogeologiche,
pedologiche, ecc.).

7. L'ANPA promuove attivit di ricerca nell'ambito delle problematiche relative al destino ambientale dei prodotti fitosanitari
autorizzati. Tali attivit hanno il fine di acquisire informazioni intese a migliorare e aggiornare i criteri di individuazione delle aree
vulnerabili per i comparti del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonch degli organismi non bersaglio.
Il Ministero dell'Ambiente provvede, tenuto conto delle informazioni acquisite e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ad aggiornare i criteri per l'individuazione delle aree vulnerabili.


PARTE BII - ASPETTI METODOLOGICI

1. Come per le zone vulnerabili da nitrati, anche nel caso dei fitofarmaci si prevedono due fasi di individuazione delle aree interessate
dal fenomeno: una indagine di riconoscimento (prima individuazione) e un'indagine di maggiore dettaglio (seconda individuazione).

2. Indagine preliminare di riconoscimento
Per la prima individuazione delle aree vulnerabili da prodotti fitosanitari si adotta un tipo di indagine, alla scala di 1:250.000, simile a
quella indicata in precedenza nella Parte AII di questo allegato.

2.1 La prima individuazione delle aree vulnerabili comprende, comunque, le aree per le quali le attivit di monitoraggio hanno gi
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evidenziato situazioni di compromissione dei corpi idrici sotterranei sulla base degli standard delle acque destinate al consumo umano
indicati dal D.P.R. 236/88 per il parametro 55 (antiparassitari e prodotti assimilabili).
Sono escluse, invece, le situazioni in cui la natura delle formazioni rocciose impedisce la presenza di una falda, o dove esiste la
protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile o da un suolo molto reattivo.
Vengono escluse dalle aree vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove
esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile, purch continuo, o da un suolo molto reattivo.

2.2 Obiettivo dell'indagine preliminare di riconoscimento non la rappresentazione sistematica delle caratteristiche di vulnerabilit
degli acquiferi, quanto piuttosto la individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque sotterranee sono
particolarmente evidenti. Per queste attivit si rinvia agli aspetti metodologici gi indicati nella Parte AII di questo allegato.

2.3 Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l'applicazione di eventuali limitazioni o
esclusioni d'impiego ci si potr avvalere di parametri, indici, modelli e sistemi di classificazione che consentano di raggruppa re i
prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione.

3. Aggiornamenti successivi
L'indagine preliminare di riconoscimento pu essere suscettibile di sostanziali approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove
indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attivit di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una
delimitazione pi precisa delle aree vulnerabili.
Questa successiva fase di lavoro, che pu procedere parallelamente alle indagini e cartografie maggiore dettaglio, pu prevedere
inoltre la designazione di pi di una classe di vulnerabilit (al massimo 3) riferita ai gradi pi elevati e la valutazione della
vulnerabilit in relazione alla capacit di attenuazione del suolo, in modo tale che si possa tener e conto delle caratteristiche intrinseche
dei prodotti fitosanitari per poterne stabilire limitazioni o esclusioni di impiego sulla base di criteri quanto pi possibile obiettivi.

3.1 La seconda individuazione e cartografia restituita ad una scala maggiormente dettagliata (1:50.000-1:100.000): successivamente
o contestualmente alle fasi descritte in precedenza, compatibilmente con la situazione conoscitiva di partenza e con le possibilit
operative delle singole amministrazioni, deve essere avviata una indagine con scadenze a medio/lungo termine.
Essa convoglia la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle aree pi problematiche, gi individuate nel corso
delle fasi precedenti.
Obiettivo di questa indagine l'individuazione della vulnerabilit specifica degli acquiferi e in particolare delle classi di grado pi
elevato. Si considerano, pertanto, i fattori inerenti la vulnerabilit intrinseca degli acquiferi, la capacit di attenuazione del suolo e le
caratteristiche chemiodinamiche dei prodotti fitosanitari
Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l'applicazione di eventuali limitazioni o
esclusioni d'impiego ci si potr avvalere di parametri o indici che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro
potenziale di percolazione. Si cita, ad esempio, l'indice di Gustafson.

3.2 Le Regioni e le Province Autonome redigono un programma di massima con l'articolazione delle fasi di lavoro e i tempi di
attuazione. Tale programma inviato al Ministero dell'Ambiente e all'ANPA, i quali forniscono supporto tecnico e scientifico alle
Regioni e alle Province Autonome.
Le maggiori informazioni derivanti dall'indagine di medio-dettaglio consentiranno di disporre di uno strumento di lavoro utile per la
pianificazione dell'impiego dei prodotti fitosanitari a livello locale e permetteranno di precisare, rispetto all'indagine preliminare di
riconoscimento, le aree suscettibili di restrizioni o esclusioni d'impiego.
Non si esclude, ovviamente, la possibilit di intraprendere studi di maggior dettaglio a carattere operativo-progettuale, quali strumenti
di previsione e, nell'ambito della pianificazione, di prevenzione dei fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati al
rilevamento della vulnerabilit e dei rischi presenti in siti specifici (campi pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all'interno delle
pi vaste aree definite come vulnerabili, e possono permettere di indicare pi nel dettaglio le eventuali restrizioni nel tempo e nello
spazio nonch gli indirizzi tecnici cui attenersi nella scelta dei prodotti fitosanitari, dei tempi e delle modalit di esecuzione dei
trattamenti.


PARTE BIII - ASPETTI GENERALI PER LA CARTOGRAFIA DELLE AREE OVE LE ACQUE SOTTERRANEE SONO
POTENZIALMENTE VULNERABILI.

1. Le valutazioni sulla vulnerabilit degli acquiferi all'inquinamento si pu avvalere dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) quali
strumenti per l'archiviazione, l'integrazione, l'elaborazione e la presentazione dei dati geograficamente identificati (georeferenziati).
Tali sistemi permettono di integrare, sulla base della loro comune distribuzione nello spazio, grandi masse di informazioni anche di
origine e natura diverse.
Le valutazioni possono essere verificate ed eventualmente integrate alla luce di dati diretti sulla qualit delle acque che dovessero
rendersi disponibili.
Nel caso in cui si verifichino discordanze con le previsioni effettuate sulla base di valutazioni si procede ad un riesame di queste ultime
ed alla ricerca delle motivazioni tecniche di tali divergenze.
Il quadro di riferimento tecnico-scientifico e procedurale prevede di considerare la vulnerabilit su due livelli: vulnerabilit intrinseca
degli acquiferi e vulnerabilit specifica.

2. I Livello: Vulnerabilit intrinseca degli acquiferi. - La valutazione della vulnerabilit intrinseca degli acquiferi considera
essenzialmente le caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi presenti. Essa, riferita
a inquinanti generici e non considera le caratteristiche chemiodinamiche delle sostanze.

2.1 Sono disponibili tre approcci alla valutazione e cartografia della vulnerabilit intrinseca degli acquiferi: metodi qualitativi, metodi
parametrici e numerici. La selezione di uno dei tre metodi dipende dalla disponibilit di dati, dalla scala di riferimento e dalla finalit
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dell'indagine.

2.2 I metodi qualitativi prevedono la zonizzazione per aree omogenee, valutando la vulnerabilit per complessi e situazioni
idrogeologiche generalmente attraverso la tecnica della sovrapposizione cartografica. La valutazione viene fornita per intervalli
preordinati e situazioni tipo. Il metodo elaborato dal GNDCI-CNR valuta la vulnerabilit intrinseca mediante la classificazione di
alcune caratteristiche litostrutturali delle formazioni acquifere e delle condizioni di circolazione idrica sotterranea.

2.3 I metodi parametrici sono basati sulla valutazione di parametri fondamentali dell'assetto del sottosuolo e delle relazioni col sistema
idrologico superficiale, ricondotta a scale di gradi di vulnerabilit. Essi prevedono l'attribuzione a ciascun parametro, suddiviso in
intervalli di valori, di un punteggio prefigurato crescente in funzione dell'importanza da esso assunta nella valutazione complessiva. I
metodi parametrici sono in genere pi complessi poich richiedono la conoscenza approfondita di un elevato numero di parametri
idrogeologici e idrodinamici.

2.4 I metodi numerici sono basati sulla stima di un indice di vulnerabilit (come ad esempio il tempo di permanenza) basato su
relazioni matematiche di diversa complessit.

2.5 In relazione allo stato e all'evoluzione delle conoscenze potr essere approfondito ed opportunamente considerato anche il diverso
peso che assume il suolo superficiale nella valutazione della vulnerabilit intrinseca; tale caratteristica viene definita come "capacit di
attenuazione del suolo" e presuppone la disponibilit di idonee cartografie geo -pedologiche.

3. II Livello: Vulnerabilit specifica
Con vulnerabilit specifica s'intende la combinazione della valutazione e cartografia della vulnerabilit intrinseca degli acquiferi con
quella della capacit di attenuazione del suolo per una determinata sostanza o gruppo di sostanze. Questa si ottiene dal confronto di
alcune caratteristiche chemio-dinamiche della sostanza (capacit di assorbimento ai colloidi del suolo, resistenza ai processi di
degradazione, solubilit in acqua, polarit, etc.) con le caratteristiche fisiche, chimiche ed idrauliche del suolo.
La compilazione di cartografie di vulnerabilit specifica deriva da studi approfonditi ed interdisciplinari e richiede l'uso di opportuni
modelli di simulazione.



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