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Con la comparsa delle armi atomiche, lo studio degli ambienti è divenuto essenziale, ancor più di quanto

non lo fosse prima delle seconda guerra mondiale. Il Novecento è infatti considerato il secolo nel quale
l’ecologia si è sviluppata come scienza a tutti gli effetti, che si occupa delle relazioni tra gli organismi e
l’ambiente nel quale vivono.

Per comprendere appieno lo sviluppo dell’ecologia è necessario prima di tutto considerare il rapporto tra
uomo e ambiente nel mondo antico. Nel V secolo a.C. in Grecia era diffusa la teoria del determinismo
ambientale, promossa dalla scuola di Ippocrate, seconda la quale l’ambiente naturale predetermina i
caratteri fisici e culturali delle popolazioni. Il problema trova risonanza in Aristotele, il quale, nella Politica,
distingue tra i popoli europei che vivono in regioni fredde, pieni di coraggio e amanti della libertà, ma
insufficienti nell’intelletto, e i popoli asiatici, di spirito riflessivo e di temperamento artistico, ma inetti e
servili. Questo per concludere che i Greci, vivendo a metà strada tra Asia ed Europa, possiedono le qualità
di uni e degli altri: sono impavidi, intelligenti, liberi e dotati di ottime istituzioni.

Tuttavia, sebbene i Greci fossero molto attenti al problema dell’influenza dell’ambiente sull’uomo, non
erano altrettanto sensibili all’impatto delle attività umane sull’ambiente. Nella cultura greca esisteva una
vera e propria ideologia a sostegno del prelievo di risorse dal territorio e della trasformazione ambientale a
favore dell’uomo. I Greci contrapponevano infatti lo spazio antropizzato, trasformato e valorizzato dalla
presenza umana, e lo spazio selvaggio, consentendo le diverse forme di appropriazione e di drastica
trasformazione dello spazio naturale, come la deforestazione e l’ottenimento di suolo agrario.

La cultura romana riprende il concetto greco della forte influenza che l’ambiente esercita sull’uomo. Da un
lato afferma che la superiorità del popolo romano è dovuta all’ambiente migliore in cui vivono rispetto agli
altri popoli, dall’altro celebra l’intelligenza dei romani, capaci di intervenire con intelligenza nella
trasformazione dell’ambiente con opere quali la centuriazione, gli acquedotti, il sistema viario, le opere
d’irrigazione.

Nel quadro della cultura antica appare originale la posizione di Teofrasto, l’unico autore che sembra
esprimere un punto di vista “ecologico”. Egli non accetta l’idea aristotelica che il fine della natura sia di
essere utile all’uomo, ma che l’ambiente naturale abbia i propri scopi, certo non indipendenti
completamente dall’uomo che dell’ambiente fa parte, ma tuttavia autonomi. Teofrasto si rivela un
precursore dell’ecologia anche nell’analisi delle piante in relazione all’ambiente in cui vivono, nella
discussione sui cambiamenti indotti nelle piante dalla coltivazione, e nell’attenzione prestata ai
cambiamenti climatici causati dalla deforestazione e dallo sfruttamento del suolo.

Sia nel mondo greco che in quello romano, l’unica forma di tutela ambientale sembra collegata a vincoli di
carattere religioso: gli unici luoghi esonerati dall’intervento umano sono infatti i luoghi “sacri”, vale a dire
spazi dedicati alle divinità. Nella mentalità antica, l’ambiente naturale costituisce il luogo per eccellenza per
l’attività degli dei; i riti venivano difatti celebrati in spazi naturali in cui sembrava manifestarsi la presenza di
un’entità superiore, come luoghi impervi, boschi, grotte, siti colpiti da fulmini e sorgenti. Dove invece il
luogo ha carattere profano, e cioè nella maggior parte dei casi, l’uomo greco si sente libero di trasformarlo
a suo piacimento; non diverso appare l’atteggiamento dell’uomo romano.

Si può quindi concludere che nell’antichità non esiste una chiara coscienza del degrado ambientale: la
celebrazione della capacità di intervento dell’uomo sull’ambiente finisce per prevalere, né sembra essere
percepita la necessità che l’uomo sviluppi un certo senso di responsabilità nei confronti dell’ambiente.
L’era nella quale nasce un’embrionale coscienza ecologica è il Medioevo, epoca a cui risale il primo
documento ecologista del vescovo di Modena. Costui concedette in affitto terre disboscate, con l’obbligo di
rendere più rigogliose e vitali. Nel 1113 la contessa Matilde di Canossa, donna potente e avanguardista,
ordinò ai monaci di San Benedetto di Polirone di non tagliare più di dodici cerri e roveri in un bosco che
cresceva presso il monastero. Ovviamente tali provvedimenti sono ben lontani dalla concezione
dell’ecologia che possediamo oggi; tuttavia, rappresentano un’importante presa di posizione nei confronti
dell’ambiente circostante, dato che nel 1200 e 1300 alcuni provvedimenti prevedevano una costante difesa
del bosco, proibendo l’abbattimento di alberi ed impedendo il disboscamento selvaggio. Fu però alla fine
del Medioevo che si assistette ad una brusca inversione di tendenza, in base alla quale saranno effettuati
smisurati disboscamenti che dureranno ben seicento anni fino alla fine del XX secolo.

Nell’età umanistico-rinascimentale la natura torna al centro degli interessi dell’uomo. Nel1400-1500 si


considera la natura come l’ambiente in cui vive l’uomo, e la sua osservazione esclude qualsiasi presupposto
soprannaturale. Si studia la natura fisica, e non più metafisica, analizzandola in modo libero e autonomo: la
natura diventa il regno dell’uomo.

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