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1.3 Cambiamento
Change è un termine che si usa molto quando si parla di Antropocene: global change, a changing planet, drivers of
change, responding to change, ecc. L’Antropocene è il racconto di un impatto che coinvolge luoghi e territori, risorse
e politica, clima ed economia, ambienti e società che stanno cambiando. Ogni descrizione geografica attuale può solo
riguardare processi, movimenti e interazioni. Un altro termine importante è challenge (le sfide dell’Antropocene) e
velocità: l’Antropocene si basa anche sull’idea di una grande accelerazione, dimostrata attraverso grafici che
registrano un'impennata nella crescita della concentrazione di anidride carbonica, della crescita della popolazione
mondiale e dell'uso delle risorse naturali. Inoltre, si parla anche di crisi. Per la geografia l'implicazione di queste
parole non riguarda più la capacità di descrivere il mondo come dinamico, bensì quella di decostruire la
connotazione globale, assertiva e meccanica, riportando i cambiamenti a scale intermedie e locali, come le regioni, i
sistemi territoriali e i singoli luoghi. Il cambiamento globale è frammentato in mosaici regionali che pochi conoscono
davvero.
1.4 Capitalocene
Un’idea di Jason W. Moore (2017), ripresa da Fabio Amato, sostiene che gran parte della crisi ambientale sia il
risultato dei modelli di produzione e consumo basati sul capitale. Il concetto è neomarxista, neomalthusiano, radical
e risente delle posizioni di David Harvey su globalizzazione e accumulazione di capitale. Moore fa il tentativo di
ripensare la crisi ecologica e dare maggiore risalto alla dialettica fra natura e società piuttosto che a quella tra natura
e uomo. Un modo per spostare l'attenzione dalla geologia alla politica. Secondo Giorda questa lettura tenderebbe a
normalizzare le potenzialità euristiche del concetto di Antropocene fermandosi a un nuovo modo di raccontare
processi già noti. Diversamente, si potrebbe cogliere la possibilità di cogliere le implicazioni che vanno oltre la
geologia e la critica sul capitalismo. Occorre seguirla come fa Moore.
1.5 Clima
La storia dell’umanità è stata influenzata dal clima, con il quale le comunità umane hanno dovuto fare i conti
sviluppando adattamenti culturali e tecnologie in grado di migliorare la propria esistenza. L'Antropocene, fondandosi
sulla cronologia geologica, ha ricordato a tutti che a connotare l'Olocene è stato soprattutto il clima, grazie ad una
fase interglaciale tale da sviluppare condizioni favorevoli alla specie umana. L'Olocene, segmento di era Cenozoica e
di periodo Quaternario, inizia 11.700 anni fa e contiene la fase di domesticazione di piante e animali, l'invenzione
delle città, l'esplosione demografica e lo sfruttamento dei combustibili fossili per l'energia. La teoria
dell’Antropocene riporta i geografi a confrontarsi con le relazioni clima-comunità umane, a ripensare a come
interpretare prima l’adattamento, poi l’interazione, infine la reciproca trasformazione. Parlare di clima non può
ridursi alle classificazioni di Koppen, alla sintesi regionale e all’andamento medio di un certo periodo. Il clima si sta
rivelando uno dei fattori geografici più mutevoli, ma anche uno dei più impattanti sui processi di territorializzazione.
Inoltre, da fattore naturale, sembra possa essere considerato sempre più come un elemento legato agli esiti delle
azioni umane.
1.6 Conflitti
Gli studi sull'Antropocene, anche quando parlano di politica, trascurano la geopolitica e la geografia politica (tra le
poche eccezioni troviamo Dalby), confrontandosi sugli aspetti biopolitici. Eppure, sembra un buon campo per i
geografi, se i conflitti e le relazioni geopolitiche saranno sempre più legate al cambiamento ambientale, al controllo
delle risorse naturali, dei movimenti di popolazione e delle stesse nel caso in cui diano inizio a rivolte e rivoluzioni
causate dai processi centrali nell'Antropocene.
1.7 Controllo
L'Antropocene tocca i temi del controllo, del potere e del limite. Dal punto di vista ecologico sembra dire che l'uomo
ha perso il controllo della natura, o meglio ha perso la credenza di poter controllare i suoi processi a proprio
vantaggio. Allo stesso tempo immagina che le azioni umane possano essere capaci (col progresso) di porre rimedio ai
guai generati, tornando alla fiducia nella possibilità di controllare la natura, attraverso la sua umanizzazione. Nelle
diverse narrazioni dell’Antropocene, oltre quelle che vedono la presa di coscienza del limite della capacità umana di
controllare la natura, troviamo anche alcune che affidano all’umanità tutti i ruoli dello spettacolo, come se la natura
fosse stata assorbita dalla mente umana e ora è una sua emanazione.
1.8 Educazione
L'educazione geografica guarda allo sviluppo sostenibile, alla diversità culturale e ai temi della disuguaglianza e
inclusione. Come spiega Puttilli: pensare geograficamente l'Antropocene passa dalla capacità di territorializzarlo, con
riferimenti spaziali, a scale regionali a luoghi, sistemi territoriali, popoli e culture. L’Antropocene va oltre la
globalizzazione, anche se i due fenomeni hanno molti punti di contatto e l’educazione geografica: ci può mostrare
cosa accade nelle diverse regioni e come tutto questo genera flussi, reti e interazioni; orienta al futuro inteso come
progetto per abitare il pianeta; stimola azioni di cittadinanza attiva e si rivolge alle nuove generazioni lasciando la
porta aperta alla speranza.
1.9 Energia
Per la geografia l’energia è stata la fonte da ottenere in abbondanza e a buon mercato per sviluppare l’industria e le
attività umane. Il problema dell’accaparramento delle fonti energetiche si collegava a problemi geopolitici,
commerciali e di possibile esaurimento delle risorse. Solo in rari casi apparivano nella narrazione le questioni
ecologiche (inquinamento, società, disuguaglianze, ecc.). L'Antropocene ci stimola a rivedere il ruolo dell'energia
nella storia della Terra e nel rapporto uomo-ambiente: da questa interazione capiamo ciò che accade al clima come
risultato dei processi geologici e antropici. Il primo racconto fa riferimento ad un pensiero di McNeill e Engelke, i
quali ritengono che l’energia non può essere creata né distrutta ma solo trasformata. La conseguenza è che tutta la
vita sul pianeta è legata ai processi di trasformazione dell'energia. I combustibili fossili sono energia solare
trasformata con la fotosintesi in materia organica e imprigionata nel sottosuolo sotto forma di gas, carbone e
petrolio. La specie umana, da sempre, addomesticando il fuoco e imparando ad ottenere sempre più energia
attraverso l’agricoltura, ecc. ha avviato dei processi di territorializzazione che sono legati a questi modi di aumentare
l’energia in tutte le sue forme. Ogni forma di territorializzazione del pianeta degli ultimi due secoli si basa in modo
sempre crescente su carbone e petrolio. Nel Settecento, dunque, si arriva a trasformare il carbone in energia
disponibile ai fini umani. Oggi, la liberazione di energia proveniente dai combustibili fossili è la causa del
cambiamento del clima; questo processo genera impatti nell'ambiente, nella società, nell'economia, politica e
cultura. Se il cambiamento climatico modella il territorio e le società umane, dovremo fare attenzione al ruolo
dell'energia in tutto questo. Senza dimenticare che il problema è globale ma la produzione di energia è sempre locale
ed esprime un rapporto con il territorio e il modo in cui esso è organizzato. Anche se dovessimo riuscire a imparare a
ottenere direttamente dal sole e dal vento la gran parte dell’energia, sarà ancora una questione legata alla
trasformazione dell’energia ad aver rivoluzionato l’organizzazione dei territori e il rapporto tra società umane e
ambiente terrestre.
1.11 Foreste
G. P. Marsh, scrisse nel 1864 “Man and nature”, pietra miliare dell'ambientalismo, che dedica la sua opera alla
superficie terrestre modificata per opera dell'uomo. Esso è stato il primo a comprendere l'estensione dei
cambiamenti indotti dall'azione dell'uomo nelle trasformazioni fisiche del globo, mostrando i rischi generati dalla
trasformazione dell'ambiente senza un'adeguata conoscenza dei suoi processi e suggerendo che l'azione futura
dell'uomo sia più sostenibile. Nel suo testo, Marsh sostiene che i disboscamenti cambiano il clima e la meteorologia
locale, alternando il comportamento delle altre specie, anche quelle coltivate; l'autore si dilunga sul ruolo ecologico
delle foreste d'inverno nella regolazione dei cicli idrogeologici. Il concetto di Antropocene è coinvolto perchè se la
distruzione dei boschi fu la prima conquista geografica dell’uomo, la loro distruzione definitiva ci appare ora come
quella che potrebbe anche essere l’ultima di queste conquiste. Pensare il rapporto con le foreste passa per il
concetto di ibrido, che ci spiega che le foreste non siano altro che uno dei modi con cui l'interazione dell'uomo con
l'ambiente ha prodotto la superficie della Terra com'è ora. Goudie, in “The Human Impact on the Natural
Environment: Past, Present and Future” (2019), sviluppa la trattazione intorno all'Antropocene e dedica all'impatto
umano sulla vegetazione il secondo capitolo. Goudie spiega il ruolo umano nella creazione e mantenimento della
savana, un ambiente che nei manuali scolastici viene descritto come interamente naturale. Per Goudie è tempo di
riscrivere i manuali di geografia per creare una narrazione dove l’ambiente non può più essere visto come una “cosa”
che circonda un soggetto, ma il risultato di interazioni con l'uomo e i cambiamenti che stanno diventando sempre più
evidenti. Questa prospettiva avvicina la geografia fisica e quella umana. L’Antropocene rappresenta scientificamente,
il punto di intersezione fra la storia della terra (della natura) e la storia dell’uomo, cambiando non solo la narrazione
delle scienze, ma le basi stesse della loro costituzione moderna.
1.13 Irreversibilità
L’irreversibilità è la condizione dei processi ambientali trasformati dall’azione dell’uomo. Cambiano
irreversibilmente: i cicli geochimici; la composizione delle rocce; il clima; la disponibilità delle risorse; la
composizione atmosferica in seguito alle emissioni di gas legate alle attività umane; lo spazio geografico. L'idea di
irreversibilità per le attività umane è una presa d'atto: ogni tentativo di rinaturalizzazione non è mai il ripristino di
situazioni precedenti ma il progetto di una nuova impronta sul territorio.
1.15 Luoghi
Per un geografo il racconto dell'Antropocene dovrebbe basarsi sui cambiamenti dei luoghi. L'abbondanza di segni e
relazioni è uno dei tratti che rendono i luoghi unici e fondamentali per lo spazio terrestre. Secondo Giorda
l’Antropocene è presente in diversi luoghi, lui ne propone quattro. Venezia: legame di una comunità umana con un
ambiente fragile e unico, quello della laguna, fatto di acqua, terra, mare, isole e in cui c'è un difficilissimo equilibrio
tra ambiente e uomo, minacciato dall'inquinamento delle acque. Vi è l’impatto dei turisti, un patrimonio culturale
enorme e anche la mancanza di automobili ed altre tecnologie del mondo contemporaneo. Se da un lato se ne
annuncia la fine, dall’altro questo luogo potrebbe contenere l’esperienza di un futuro diverso di abitare. Chernobyl:
il sito dove l’impatto dell’azione umana è il più rilevabile, a causa della presenza dei radionuclidi nel terreno e nelle
falde in seguito all'incidente nucleare del 1986. Oggi, senza presenza umana, sta avvenendo uno straordinario
fenomeno di rinaturalizzazione con ritorno di grandi animali e sviluppo delle specie vegetali. Viene da pensare anche
a Hiroshima e Nagasaki dove vi erano “gli alberi bombardati”, specie capaci di sopravvivere a pochi metri dai luoghi
di esplosione delle bombe nucleari. Agbogbloshie (periferia del Ghana): qui si trova la più grande discarica di rifiuti
tecnologici del mondo. Si stima che 40.000 persone vivano e lavorino nella discarica, cercando di riciclare i metalli e
le altre parti che possono avere ancora un valore. È un esempio di straordinaria capacità di adattamento da parte
degli esseri umani. La discarica attira i migranti, nonostante le scarse condizioni igieniche. Come questo luogo ve ne
sono almeno altri 50 nel mondo. I rifiuti sono uno dei tratti centrali dell’Antropocene. Si tratta di iperluoghi, prodotti
dalla glocalizzazione, che forse fra miliardi di anni costituiranno i versanti di qualche montagna di nuova formazione
(prima i fossili, un giorno le pennette USB). Dubai: da un lato vi è la facile ricchezza generata dal petrolio ma
dall’altro è anche un luogo dove si immagina un’economia alternativa al petrolio, ovvero Dubai utilizza tantissime
risorse per portare la vita nel deserto. Tutto ciò porta commercio e turismo, si tratta di un laboratorio per il futuro. Il
futuro spesso non nasce solo nel mondo delle idee: ha spesso forme localizzate, materiali, interazioni specifiche tra
risorse e persone in un territorio e da lì poi si diffonde. I luoghi esprimono la complessità del mondo e sono il
risultato di interazioni verticali (con le risorse) ed orizzontali (tra parti del pianeta). Le relazioni orizzontali oggi
sembrano prevalere, ma non vuol dire che quelle verticali siano meno importanti. Per il futuro abbiamo bisogno di
innovazioni che in qualche luogo cambino il rapporto con l'ambiente e si diffondano in altri luoghi con adattamenti e
contaminazioni a scala locale. Non è cosa facile, infatti dopo anni si arriva spesso a cercare semplificazioni generali e
orientamenti globali ma i luoghi servono proprio a ricordarci la diversità e l’impossibilità di ridurre la Terra a
superficie unica.
1.16 Narrazioni/date
In geografia l'Antropocene è iniziata quando l'attività umana è diventata il principale agente modificatore, cioè
quando ogni parte del pianeta è stata trasformata nei suoi paesaggi dalle conseguenze della territorializzazione
umana e dell'impatto delle azioni umane sul cambiamento dei luoghi. La data può aggirarsi intorno al 1492, con la
scoperta dell’America e le successive conseguenze: spostamento di esseri umani, specie animali, varietà botaniche,
batteri e virus; cambiamento di paesaggi agricoli e la morte di milioni di indigeni. Ad esempio, la patata, portata dal
Sudamerica diventa il cibo principale irlandese ma quando un fungo fa marcire tutto il raccolto, gli irlandesi
cominciano a morire di fame e solo in seguito a spostarsi in America. Dunque, non può esiste un antropocene senza
l’uomo perché ogni narrazione genera letture molto diverse in chiave politica, ecologica e scientifica, cambiando il
nostro modo di immaginare il passato progettare il futuro.
1.17 Osservatore
L’idea che non sia possibile osservare un fenomeno senza influenzare il cambiamento deriva dalla fisica. La geografia
è in parte scienza di misurazione (distanza, quantità, distribuzione), utili a descrivere rapporti, relazioni, ordini e
strutture territoriali. Questo contatto con il mondo che cambia il modo di interpretare il mondo, ma anche il mondo
stesso, è da tempo oggetto della riflessione geografica. Le rappresentazioni sono anche implicitamente progetti di
come immaginiamo che il mondo debba diventare. L'osservatore interferisce con il mondo e contribuisce alla sua
trasformazione. Superata l’idea che la geografia sia una scienza delle invarianze della Terra, l'Antropocene ci chiede
di cambiare il modo in cui consideriamo il nostro ruolo di osservatori. Cambiamenti, processi e problemi hanno
accentuato una divaricazione fra geografia umana e fisica, come se per arrivare al cambiamento fosse necessario
staccarsi dalla natura recuperandola solo in caso di risorsa economica o di problema (rischio sismico, vulcanico, ecc).
I due aspetti sono correlati, l’azione umana nel trasformare la natura è stata così potente da non riuscire più a
distinguere le due cose. E questo, nell’approccio sistemico, è già evidente: il testo Dichiarazione di Lucerna
sull’educazione geografica allo sviluppo sostenibile (2007) include l’antroposfera nel sistema Terra. La natura è
dinamica, un cambiamento non separabile dall'azione umana: i cambiamenti sono il risultato di coevoluzione. In
questa relazione l'osservatore è attivo perché con l'osservazione e la rappresentazione di ciò che si è osservato
agisce come trasformatore della relazione in atto. Non esiste un mondo, ma solo un’immagine del mondo che si
produce in una certa società e cultura. La carta geografica non è mai reale: è piuttosto il disvelamento di un
immaginario inconscio con cui pensiamo il mondo e lo trasformiamo. Non è la realtà ma la trasforma seconda gli
occhi dei suoi osservatori, guida percezioni, analisi e decisioni, disegnando in anticipo il mondo che verrà.
1.18 Realtà/fiction
Le idee riguardo l’Antropocene sono molto diverse fra loro. Per alcuni l'Antropocene è un dato di fatto: il sistema
Terra è completamente alterato dall'azione umana, con conseguenze sui suoi cicli geologici, chimici, climatici,
biologici. L'approccio scientifico operativo mira a studiare i processi e individuare le possibili azioni umane in grado di
diminuire gli effetti negativi per garantire un futuro migliore alla specie umana e al pianeta. In questa visione è in
secondo piano quanto la trasformazione del pianeta da parte dell'uomo sia legata a processi culturali e sociali, poi
anche politici ed economici. Per altri è una fiction, uno storytelling che connette fatti e situazioni disparate,
individuando un attore principale (uomo) e gli scenari locali e globali in cui ambientare le sue vicende. L'eco-
criticismo sfrutta la letteratura per costruire una nuova coscienza ecologica. Il rischio è di spostare l'attenzione sulle
narrazioni e sui suoi meccanismi, mettendo in secondo piano ciò che avviene sulla Terra (scioglimento ghiacciai,
foreste in fiamme, ecc). Infine, vi è una visione politica che vede l'Antropocene come conseguenza del capitalismo e
della globalizzazione ma collocare in primo piano l'aspetto politico rischia di sostituire il paradigma anziché essere lo
strumento per la sua negoziazione operativa. Bisognerebbe procedere per gradi di realtà. I geografi dovrebbero
sviluppare una sintesi tra approcci scientifici e culturali: la realtà è il risultato di segni con cui rappresentiamo il
mondo; con questi segni lo spieghiamo e manipoliamo prima cognitivamente e poi concretamente. L’Antropocene è
anche una metafora, una denominazione della territorializzazione, una rappresentazione che come la carta
geografica tende a sostituirsi a ciò che dovrebbe rappresentare. Inoltre, è anche forma di immaginazione dove
propone reti ed icone, di cui il mondo ha bisogno. La rappresentazione dell’Antropocene è solo all’inizio e necessita
di modelli nuovi.
1.19 Territorio/territorializzazione
Problemi diversi legano uomini e ambienti a scale diverse in tutto il pianeta. Riguardo il dibattito sull’Antropocene si
aprono due categorie indispensabili: quella di luogo e quella di sistema territoriale. Fermarsi a discorsi metaforici
non basta. Il pianeta non è omogeneo e l’ibridazione uomo-ambiente cambia da un posto all’altro al cambiare delle
dotazioni ambientali, della società e delle culture. Le parole per delimitare queste diversità e per contestualizzare
sono: luoghi, se preferiamo un termine umanistico e generico nato proprio per esprimere il senso della relazione fra
le persone e le tante compartimentazioni dello spazio terrestre; territori o sistemi territoriali, se vogliamo focalizzarci
sulla relazione materiale o simbolica fra uomo e Terra. L’Antropocene ha una dimensione globale, ma si differenzia in
migliaia di contesti locali: in Alaska bruciano le foreste così come sulle Alpi si piantano ulivi e nella Siberia
settentrionale si coltiva il grano. Questo per dire che alcune regioni sono diventate inospitali ma altre si sono
adattate ai cambiamenti. In geografia l’adattamento è un concetto che acquisisce sempre più importanza anche e
soprattutto a causa della velocità con cui culture, luoghi ed economie stanno cambiando. Sicuramente bisognerebbe
cercare di sganciarsi dal passato concentrandosi sui cambiamenti attuali e come questi hanno le loro ripercussioni
nel futuro. Occorre territorializzare l’Antropocene, cioè imparare a spiegare come le grandi questioni avvengono e si
diversificano in luoghi e sistemi territoriali. Solo se pensiamo e rappresentiamo il mondo attraverso questa chiave
concettuale possiamo poi trasformarlo in modo più sostenibile e coerente con l’obiettivo di migliorarlo. Se non
possiamo più distinguere completamente l’ambiente dell’uomo, allora non possiamo cambiare il mondo se non
agendo dall’interno delle strutture con cui la società umana lo ha modificato e cerca di controllarlo attraverso
l’economia, la politica, la società e la cultura: i territori. Il concetto di territorio individua e fornisce interpretazioni e
rappresentazioni di un ibrido nato dalle relazioni tra ambiente e specie umana. Non c'è territorio senza Antropocene
e questo arriva molto prima della Rivoluzione Industriale, altro tema dibattuto dai geografici. Kawa (2016) lo fa con
due idee interessanti: la prima è la rivalutazione della Rivoluzione Agricola rispetto a quella Industriale che fa parte di
quelle società agricole sviluppatesi prima dell’arrivo dei coloni in America. La seconda, collegata alla prima, è la
presenza di una narrazione eurocentrica che si cela dietro l’Antropocene come effetto della Rivoluzione Industriale
europea. Rivalutare il ruolo delle attività primarie aiuta anche a decentrare questo punto di vista eurocentrico ed
intrecciare nuovi risvolti fra chi racconta il mondo, chi lo produce, chi lo rappresenta e chi lo controlla.
1.20 Uomo-ambiente
Dal momento che non è possibile separare uomo e Terra, dobbiamo considerare quest’ultima come un'inestricabile
complessità di umano-ambientale. La prima conseguenza è che non si può spiegare la natura e la società da sole,
anche se i manuali scolastici e universitari hanno insegnato a distinguere, da sempre, naturalia da artificialia
selezionando le relazioni fra uomo e ambiente (una distinzione messa in atto già dal ‘500). Tuttavia, distinguere ciò
che è naturalia da ciò che è artificialia è sempre più difficile. Se non è più possibile distinguere, questa è la fine della
natura e anche la fine dell’uomo così come li abbiamo concepiti. Il cambiamento è il prodotto ibrido di un ambiente
che comprende l’uomo e di un uomo che agisce in base alla sua conoscenza dell’ambiente. La posta in gioco
dell’Antropocene non è solo avvicinare geografia umana e fisica ma anche obiettivi di ricerca oggettiva quantistica e
obiettivi di ricerca soggettiva orientati alla fenomenologia e alla percettività. In passato sicuramente nello studiare le
relazioni fra uomo e natura è stata messa in discussione la possibilità di separarle ma, sebbene il possibilismo ideato
da Ratzel abbia frenato quest’idea, non è questa la sede per parlarne.
3.4 Conclusioni
Il successo che ha investito il concetto di Antropocene lo ha reso un termine in grado di significare molte cose
diverse e non necessariamente coerenti tra loro. È un limite in quanto il concetto rischia di diluirsi in un ventaglio
troppo ampio e vago di significati, esemplificazioni, applicazioni e quindi di perdere incisività. È invece
un’opportunità in quanto può essere adattato a contesti, problemi e situazioni molteplici e quindi essere impiegato
per mettere al centro la moltitudine delle sue possibili declinazioni nei diversi contesti territoriali. L'approccio
geografico, come esemplificato dalla CIEG, consente di valorizzare le potenzialità implicite nel concetto di
Antropocene. Se per Antropocene si può intendere il riconoscimento del fatto che l'uomo è protagonista delle
trasformazioni del pianeta a scala globale, un approccio geografico ci permette di:
riconoscere che tali trasformazioni si fondano sulle condizioni differenziate e specifiche dei diversi contesti
ambientali, sociali e culturali; analizzare le cause dei cambiamenti in corso;
analizzare i problemi che ne derivano nelle diverse regioni della Terra e quali sono le possibili soluzioni;
capire cosa significa abitare (anche dal punto di vista emozionale) un mondo in rapida trasformazione a
causa dell’azione antropica;
quali sono le conseguenze socioculturali ed economiche del cambiamento globale;
quali sono le responsabilità che emergono nello scenario dell’Antropocene nell’ottica di promuovere stili di
vita e comportamenti sostenibili;
quali azioni si possono intraprendere, anche nella quotidianità, a favore della collettività.
Lo studio della geografia unisce emozioni e conoscenza, apprezzamento della bellezza e presa in carico dei problemi
del nostro spazio di vita, della nostra specie e del nostro pianeta. La vera sfida educativa sta nell’avere cura, in
quanto coinvolti e responsabili, del nostro futuro e delle specie presenti nel nostro pianeta. Prendersi cura è un atto
politico e quindi fondamentale dell'educazione alla cittadinanza.
La metafora bibliografica “il nuovo capitolo” è quanto mai efficace. Una nuova era nella storia della Terra porta con
sé inedite opportunità di narrazioni che siano in grado di descrivere questo cambiamento. I cambiamenti necessitano
nuovi linguaggi. È importante riflettere sulle forme di descrizione letteraria dell’Antropocene, indagando le modalità
discorsive, verbali e narrative che intercettano il tema di un’era caratterizzata dall’impronta umana.
L’approccio geografico al dibattito sull’Antropocene appare prezioso. Lo studio dell’Antropocene va affrontato
partendo da diversi retroterra disciplinari. La geografia può contribuire con efficacia al ricco dibattito in corso sul
concetto di Antropocene e sulle use applicazioni.
Al di là delle preoccupazioni sulla definizione del termine Antropocene, risultano di particolare interesse le “sfide
morali, culturali e politiche che l’Antropocene sta amplificando”, appare urgente dedicare qualche riflessione alle
modalità narrative attraverso le quali il discorso sull’Antropocene viene alimentato:
“La letteratura dell'Antropocene invita a riconsiderare le condizioni politiche, economiche e sociali che precipitano le
crisi qui esaminate. Un attento sguardo alla radice culturale e sociale, e che le soluzioni tecnocratiche spesso
discussa da interessi aziendali e tecnologi saranno dieci” - Gualtieri.
In questa sede si svolgeranno alcune riflessioni sul ruolo che un approccio geografico alla fonte letteraria può offrire
alla comprensione delle caratteristiche della nuova era dominata dalla presenza antropica.
Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse della natura da parte dell’uomo viene interpretato da Tesson
attraverso il paragone fra il comportamento antropico e le leggi della fisica. Tale opera di predazione delle risorse
naturali non è soltanto materialmente percepibile e quantitativamente rilevante.
Essa produce anche un forte impatto sulla qualità della vita, e sulla cultura che permette di apprezzare le
componenti di tale qualità.
Tesson identifica la perdita del senso estetico come uno degli aspetti caratterizzanti l'epoca contemporanea.
L'antropocene, in questa prospettiva di lettura, appare dunque anche un'età caratterizzata da una perdita di gusto,
da un'affermazione diffusa della bruttezza, in cui l'abbandono del senso estetico non soltanto segna uno scadimento
dell'aspetto esteriore delle cose, ma si fa sintomo di un malessere esistenziale profondo.
Per recuperare un senso ampio e disteso della bellezza esistente sulla Terra bisogna risalire controcorrente rispetto
al dominio antropocentrico, che dà il nome alla nuova era, per recuperare un respiro di visione più ampio, in grado di
apprezzare il ruolo che possono avere il mondo inanimato, il mondo vegetale il mondo animale che dispiegano le
proprie bellezze attorno a noi.
Il ragionamento di Tesson non procede per antitesi: riflettendo sulla scomparsa di alcuni elementi e condizioni del
mondo, provocata proprio dalle scelte di vita che hanno determinato le condizioni di nascita dell'Antropocene,
Tesson identifica i valori che caratterizzano la ricerca di condizioni di esistenza nel prossimo futuro:
“Il freddo, il silenzio e la solitudine sono condizioni che un giorno si pagheranno a peso d’oro. 1500 km più a sud
ribolle la Cina, dove un miliardo e mezzo di esseri umani tra non molto resterà senz'acqua, senza boschi, senza
spazio. Vivere tra alberi d'alto fusto vicino alla più grande riserva di acqua dolce del mondo è un lusso. Un giorno lo
capiranno anche i petrolieri arabi, i nuovi ricchi indiani e gli uomini d'affari russi che combattono una noia nei saloni
di marmo dei grandi alberghi. Allora sarà tempo di salire verso latitudini più alte spostarsi nella tundra. La felicità
abiterà oltre il sessantesimo parallelo Nord.”
Grimaud propone una riflessione molto interessante a tal proposito, ragionando sul fatto che la paura non può
essere l’unico punto di partenza per la strutturazione di un cambiamento davvero radicale e sentito. L’educazione a
un comportamento più responsabile non può avvenire soltanto attraverso una prospettiva catastrofica che mette di
fronte a scenari minacciosi e apocalittici, ma deve attraversare anche una pars costruens che ponga le basi per un
apprezzamento e una valorizzazione consapevole nei confronti delle forme d vita non umane e dell’equilibrio
ecologico dell’ecosistema terrestre.
7.4 Prospettive didattiche per l’utilizzo della letteratura nello studio dell’Antropocene
La fonte letteraria rappresenta un proficuo luogo di riflessione per pensare le caratteristiche dell'Antropocene.
Attraverso la pluralità delle voci si può comporre un utile mosaico di punti di vista. L’uso congiunto di pagine
narrative e di testi saggistici sembra costituire un promettente strumento di comunicazione riguardo la complessità
delle questioni in gioco nella discussione su queste tematiche.
La dimensione comparatistica offerta dalla letteratura permette un’analisi a largo spettro delle aree sociali e culturali
in cui il pensiero legato all’Antropocene si è consolidato e diffuso. Attraverso il coinvolgimento dei testi letterari si
può anche proporre uno sguardo critico in grado di leggere con attenzione i processi in corso, di decodificarli,
analizzarli, in una crescita di consapevolezza che appare eticamente doverosa.
7.5 Conclusioni
Il successo del termine Antropocene, al di là della effettiva diffusione popolare risiede in una accresciuta
comprensibilità del termine stesso, correlata anche alla formazione di un humus culturale in grado di comprendere
le coordinate di fondo che hanno reso necessaria l’introduzione di questo termine nel dibattito scientifico.
Smil ha stimato che attraverso l'agricoltura, la pastorizia, la deforestazione e le bonifiche, negli ultimi 2000 anni gli
uomini abbiano ridotto del 45% la massa vegetale globale. Il processo di deforestazione della Terra rappresenta
quindi uno dei più significativi elementi che sintetizzano la trasformazione del paesaggio ad opera dell'uomo. Negli
ultimi 250 anni circa il processo ha subito un'accelerazione, a partire dall'avvio della Rivoluzione Industriale, l'uomo
ha aumentato la propria necessità di spazi per attività economiche abitative, in linea con l'aumento della
popolazione e l'allargamento alla scala globale delle attività economiche.
Si stima che dalla preistoria oggi le perdite maggiori abbiano ricordato le foreste nelle fasce temperate, seguite dalle
foreste subtropicali. Attualmente, a fronte di una perdita dell'1% delle foreste presenti sulla superficie terrestre tra il
1990 al 2015, si nota un graduale rallentamento nel tasso di riduzione, dovuto soprattutto al processo di
riforestazione in alcune regioni, che sono stati particolarmente intensi soprattutto tra il 1990 e il 2010. Tra il 1960-
1990 vi è stata una perdita di foreste primarie senza precedenti, pari per esempio al 30% in Indonesia e al 9% in
Brasile. Dopo aver riguardato per lungo tempo le foreste Europee e del Nord America, il fenomeno si sta quindi ora
spostando verso le regioni tropicali e subtropicali. La deforestazione non è, tuttavia un processo inevitabile
irreversibile. Lo dimostra il fatto che in molti paesi dell'Asia orientale, dell'Europa Mediterranea del Nord America, si
registra negli ultimi anni un trend positivo definito forest transition, ed è da considerarsi collegato all'abbandono di
pratiche colturali tradizionali per ragioni economiche, di conseguenza all'avvio di flussi migratori dalle aree rurali e
quelle urbane. La rinascita delle foreste a numerose cause, a livello generale possiamo individuare alcune cause
principali: è stata resa possibile la crescita e la messa a dimora di nuovo legname perchè le vecchie foreste erano
state rimosse, gli incendi boschivi sono stati maggiormente controllati, i terreni agricoli sono stati abbandonati e
riportati alla foresta e la domanda di legname di prodotti derivati del legname è diminuita.
Le nuove foreste derivanti dall'abbandono dell'agricoltura non hanno infatti la medesima forza di quelle originarie, i
nuovi ecosistemi impiegheranno molto tempo per raggiungere una condizione di stabilità interna tale da consentire
loro di superare i momenti critici quali incendi e siccità. Le attività agricole tradizionali hanno contribuito per molto
tempo per preservare i boschi e le foreste. A lungo gli uomini hanno quindi deforestato, ma hanno anche interagito
in maniera costruttiva con gli ecosistemi forestali. Il risultato è che in molti casi oggi boschi e foreste necessitano
dell'intervento umano per sopravvivere in buone condizioni. In questi casi l’abbandono porta al degrado ed espone
le foreste a un maggiore rischio di distruzione. L’aumento del numero di incendi è da considerarsi legato a questo
motivo. Le sfide ambientali che i boschi e le foreste si ritrovano oggi ad affrontare sono molte, ad esempio:
inquinamento atmosferico, modificazioni genetiche di alcune specie, adattamento al cambiamento climatico.
Anche le zone wilderness ad oggi sono zone di protezione per la normativa italiana. Pare che l'idea della riserva
integrale sia la più efficace dal punto di vista dell'Antropocene. Infatti, in quest'ultimo caso non c'è nessuna volontà
di costruire una narrazione volta nascondere un eventuale passato sfruttamento, molto semplicemente si prende
atto che determinate zone possiedono alti valori ecologici in virtù di un debole sfruttamento antropico storico e si
decide di intervenire dal punto di vista normativo per preservarne i valori a scopo scientifico. L’istituzione di una
riserva integrale implica un progetto territoriale molto particolare in quanto all’interno di essa l’uomo si impegna
volontariamente a non intervenire per avere un terreno nel quale studiare i meccanismi che regolano gli ecosistemi
forestali, raccogliendo informazioni potenzialmente utili per sviluppare strategie di gestione in altri ambiti più deboli
dal punto di vista ecosistemico.
Un ulteriore esempio ci pare interessante per riflettere sul rapporto tra l’uomo e i boschi nell’epoca attuale: la
Riserva della Biosfera Transfrontaliera, che comprende il Parco nazionale Peneda-Gerês e il Parco naturale Baixa
Limia-Serra do Xurés. a Il Parco nazionale Peneda-Gerês presenta numerosi elementi di interesse in relazione con il
processo, che ha portato alla costruzione di un paesaggio montano tipicamente alpino. Il governo portoghese ha
promosso un processo di identificazione nazionale e di proiezione della stessa sulla scala europea. Il Parco naturale
Baixa Limia-Serra do Xurés, nato negli anni Novanta per volontà del governo autonomo gallego, che aspirava ad
affermare la propria autorità, simbolica e istituzionale, creando un’area protetta che replicasse quella portoghese.
Sui due lati del confine, quindi, le due aree protette si fronteggiano utilizzando narrazioni basate sui valori
naturalistici per affermare principi di carattere identitario. Per questo motivo risulta particolarmente interessante
l’istituzione nel 2009 della Riserva della Biosfera Transfrontaliera Gerês/ Xures, rappresenta l’occasione per
affermare, un principio di unità tra i popoli al di là dei confini statali. In realtà le analisi condotte dimostrano che
sotto molti punti di vista tale idea rimane sulla carta. Si tratta tuttavia di un’ottima occasione per riflettere su come i
valori naturalistici connessi ai boschi e alle foreste siano in molti casi utilizzati come strumenti narrativi per
promuovere progetti politici o territoriali al di là del reale valore e significato.
9.5 Conclusioni.
In questo contributo si è cercato di considerare l'Antropocene come un problema tempo stesso epistemologico e
ontologico. L’Antropocene si configura insomma come un problema strettamente connesso alla condizione
postmoderna e pervade la contemporaneità. Può infatti essere inteso come una manifestazione della dimensione
riflessiva della modernizzazione. Attraverso l’Antropocene possiamo fare sintesi di molte forme di pensiero maturate
nel corso del XXesimo secolo, destreggiandosi all’interno di esse: provare a districare la densa matassa dei fenomeni
politici, economici sociali e culturali che si manifestano in forme paesaggistiche, locali e ambientali come
configurazioni della territorialità. Infine, l'Antropocene implica anche una serie di valori etici legati alla definitiva
assunzione di una consapevolezza relativa al ruolo dell’uomo all’interno della natura ibrida, che proprio in virtù di
questa sua caratteristica merita di essere tutelata. Studiare l’Antropocene significa assumere la consapevolezza del
fatto che negli ultimi duecentocinquanta anni l’atteggiamento predatorio dell’uomo e la sua capacità di generare
squilibri negli ecosistemi forestali hanno raggiunto la dimensione globale. Forse il valore ultimo della teoria
dell’Antropocene è un pensiero adeguato all’attualità che implica la necessità di nuovi comportamenti in campo
economico, politico, sociale e culturale; la base su cui costruire progetto territoriali fondati sull’idea della transizione
della dimensione predatoria a quella costruttiva.
10. L’uomo sta mangiando la Terra? Sistemi del cibo nell’Antropocene di Giacomo Pettenati
Fin dalle prime teorizzazioni dell'Antropocene, viene evidenziato il ruolo della produzione di cibo nel modificare i
processi naturali che regolano gli equilibri biofisici terrestri alle diverse scale. Le prime descrizioni dei fattori che
potrebbero portare a definire la fine dell'Olocene e l'inizio di una nuova era geologica includono infatti l'enorme
crescita delle terre coltivate, l'incremento della popolazione di animali d'allevamento, la riduzione degli stock ittici a
causa della pesca e l'impatto dei fertilizzanti a base di azoto nell'alterare gli equilibri dei cicli biogeochimici. Nell'
animato dibattito sulla temporalità dell'Antropocene, la posizione maggioritaria e quella di coloro che identificano
nella Rivoluzione Industriale fondata sull'utilizzo di combustibili fossili il punto di svolta che avrebbe portato alla fine
dell'Olocene. Sono molti, tuttavia, i contributi che identificano l'inizio di questa nuova era con la trasformazione di
sistemi ambientali e paesaggi conseguente alla scoperta dell'agricoltura, alla domesticazione di piante animali e alla
sedentarizzazione delle comunità umane. È evidente che l'evoluzione storica dei sistemi del cibo sia strettamente
connessa all'impatto dell'uomo sugli equilibri planetari, che ha portato la nascita del concetto di Antropocene.
Tuttavia, sono pochissimi i contributi che mettono in relazione il ricco e sedimentato dibattito interdisciplinare dei
“food studies” con le riflessioni sull’Antropocene.
L'impatto del sistema alimentare globale sulla biosfera si è spinto tanto in profondità da modificare la struttura del
DNA di alcune specie animali e vegetali.
11.5 L’Antropocene
Siamo nell’Antropocene: una nuova epoca in cui l 'agire dell’uomo sulla Terra ha una forza pari a quella dei cataclismi
naturali della preistoria. Con Timothy Morton possiamo dire che uomo e natura si trovano ciascuno su uno dei due
lati di un nastro di Moebius; due lati che sono infatti solo di uno. La storia dell'uomo, impercettibile sull'orologio
della geologia, si intreccia con la storia della Terra. Dentro il sistema Terra, il sistema uomo è uno dei feedback:
risponde alla crisi con conflitti tra popolazioni ma anche con interventi virtuosi.
L’Antropocene può essere anche visto come un’epoca di cambiamento culturale. Un cambiamento, cioè, nella storia
che ci raccontiamo, nella narrazione con cui spieghiamo le nostre relazioni con gli altri e il resto della natura. Questa
più ampia idea di Antropocene è stata promossa anche dagli scritti di Latour intorno alla svolta del secondo
Millennio: al di là degli insegnamenti della Modernità, gli uomini e la natura rimangono fondamentalmente
interconnessi, motivo per cui Latour afferma che “non siamo mai stati moderni”. Ma anche lui ammetterebbe che
queste idee erano esplicitamente presenti prima dei suoi scritti, in particolare nel pensiero degli artisti, degli
architetti, degli scienziati e di altri creativi.
Un esempio è dato dal lavoro dell’architetto italiano Aldo Rossi, che ha espresso il suo pensiero in un lavoro del
lontano 1976. In qualche maniera Rossi afferma l’idea opposta a quella dell’incisione Flammarion nella quale un
uomo guarda fuori. Nel lavoro di Rossi una sorta di angelo ci indirizza di nuova verso la complessità del mondo in cui
viviamo.
11.8 Conclusione
Se le cose del nostro mondo non possono più essere divise tra naturalia e artificialia, perché ormai ogni cosa è
diventata un po’ naturalia e un po’ artificialia, allo stesso tempo c’è la necessità di nuove categorie. L’accettazione di
queste categorie ci porterà alla Modernità.
(Figura pag. 182) Il Museo avanza l’ipotesi che le parole in un documento trovato in un monastero, possano essere
queste nuove categorie: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Consistenza.
Queste categorie non devono essere viste come scatole dove mettere le cose leggere, le cose rapide ecc, ma
piuttosto come maniere di guardare e vedere il nostro mondo. Osservare con leggerezza seguendo le traiettorie
senza peso della luce. Guardare come cambia rapidamente ogni cosa. Notare accuratamente perché ogni cosa deve
essere descritta esattamente. Indagare per vedere e rendere visibile. Guardare la complessità di tutte le cose.
Osservare e rendere coerenti i diversi modi di osservare e ciò che viene visto: cercare di dare un senso.