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GEOGRAFIA E ANTROPOCENE – UOMO, AMBIENTE, EDUCAZIONE

Parte prima: Antropocene, geografia, educazione geografica


1. Piccolo lessico per una scrittura geografica sull’Antropocene di Cristiano Giorda

 1.1 Se una notte d'inverno un geografo nell'Antropocene


Il campo di studi dell'Antropocene è vasto, multidisciplinare e transdisciplinare, scientifico, teorico e operativo. Parte
da un’idea generale ma spesso però si suddivide in varie posizioni, interpretazioni e discussioni, nessuna capace di
soddisfare le diverse domande che si pongono. La potenzialità del concetto di Antropocene risiede proprio nel suo
carattere multiforme e generativo perché non è incasellabile negli schemi sempre esistiti ma genera un linguaggio e
un sistema di rappresentazioni che superano le vecchie dicotomie fra uomo e natura che hanno modellato la nostra
visione del mondo per secoli. I tentativi che cercano di ricondurre l’Antropocene dentro schemi interpretativi già noti
sono molteplici: Moore lo identifica come conseguenza della globalizzazione e del capitalismo; Kawa ritiene sia
l’ennesima rappresentazione del punto di vista occidentale sul mondo; Fay lo considera come un nuovo genere
letterario o cinematografico; infine da altri studiosi viene inteso come una conseguenza estrema della rivoluzione
industriale (ma anche della riforma agricola). Mark Denny ritiene che l’antropocene sia un modo di spostare
l’attenzione del mondo scientifico verso il futuro. Alla base di questa idea vi è la visione di un mondo che si trova di
fronte a sfide ambientali e politiche complesse e che tutte le forze vanno applicate per ristabilire il rapporto tra
uomo e natura. Esistono diversi testi che analizzano le politiche green insieme a temi come la democrazia, l’etica,
ecc. Inoltre l’Antropocene è guidato anche da teorie nuove come l’idea di uomo come agente geologico e la fine
della separazione moderna fra uomo e natura con la conseguente necessità di ragionare in modo ibrido. Il titolo del
paragrafo prende ispirazione da un testo di Calvino (Se una notte d'inverno un viaggiatore) dove il protagonista
prova a leggere un racconto ma viene interrotto in continuazione, allo stesso modo nei seguenti paragrafi vengono
definiti i concetti legati all'Antropocene che possono essere introdotti e ripensati dal punto di vista geografico.
L’obiettivo di Giorda è poter introdurre concetti che aiutino a superare le barriere concettuali del passato, sviluppare
approcci critici nonché ripensare nuove mappe e rappresentazioni del mondo.

 1.2 Addomesticazione (domesticazione)


Il rapporto tra uomo e Terra passa per il concetto di addomesticazione. Come ne Il piccolo principe, il geografo
percepisce i luoghi e le popolazioni che li abitano. Il senso del luogo è fatto di vissuti, di sogni, di sentimenti e di
persone; come del resto il paesaggio, uno spazio geografico che include l'uomo come attore, spettatore, fruitore e
trasformatore. Questo non è mai assoluto, oggettivo; anzi, introduce l’uomo come attore e spettatore, essere
emozionale e produttore di poetiche. Da Il piccolo principe emerge anche il concetto di cura: oggi l'uomo ha
addomesticato gran parte della natura ed ora ha paura di perderla, di non saperla proteggere, di metterla in
pericolo. L’Antropocene ci invita a trovare nuovi modelli per parlare del rapporto tra l’uomo e la Terra, e
probabilmente avremo bisogno di capire se nel processo di addomesticazione abbiamo sbagliato qualcosa, perché
siamo stati così deboli nell’avere cura di qualcosa che nel frattempo era divenuta parte di noi, e ci aveva a sua volta
addomesticati.

 1.3 Cambiamento
Change è un termine che si usa molto quando si parla di Antropocene: global change, a changing planet, drivers of
change, responding to change, ecc. L’Antropocene è il racconto di un impatto che coinvolge luoghi e territori, risorse
e politica, clima ed economia, ambienti e società che stanno cambiando. Ogni descrizione geografica attuale può solo
riguardare processi, movimenti e interazioni. Un altro termine importante è challenge (le sfide dell’Antropocene) e
velocità: l’Antropocene si basa anche sull’idea di una grande accelerazione, dimostrata attraverso grafici che
registrano un'impennata nella crescita della concentrazione di anidride carbonica, della crescita della popolazione
mondiale e dell'uso delle risorse naturali. Inoltre, si parla anche di crisi. Per la geografia l'implicazione di queste
parole non riguarda più la capacità di descrivere il mondo come dinamico, bensì quella di decostruire la
connotazione globale, assertiva e meccanica, riportando i cambiamenti a scale intermedie e locali, come le regioni, i
sistemi territoriali e i singoli luoghi. Il cambiamento globale è frammentato in mosaici regionali che pochi conoscono
davvero.

 1.4 Capitalocene
Un’idea di Jason W. Moore (2017), ripresa da Fabio Amato, sostiene che gran parte della crisi ambientale sia il
risultato dei modelli di produzione e consumo basati sul capitale. Il concetto è neomarxista, neomalthusiano, radical
e risente delle posizioni di David Harvey su globalizzazione e accumulazione di capitale. Moore fa il tentativo di
ripensare la crisi ecologica e dare maggiore risalto alla dialettica fra natura e società piuttosto che a quella tra natura
e uomo. Un modo per spostare l'attenzione dalla geologia alla politica. Secondo Giorda questa lettura tenderebbe a
normalizzare le potenzialità euristiche del concetto di Antropocene fermandosi a un nuovo modo di raccontare
processi già noti. Diversamente, si potrebbe cogliere la possibilità di cogliere le implicazioni che vanno oltre la
geologia e la critica sul capitalismo. Occorre seguirla come fa Moore.

 1.5 Clima
La storia dell’umanità è stata influenzata dal clima, con il quale le comunità umane hanno dovuto fare i conti
sviluppando adattamenti culturali e tecnologie in grado di migliorare la propria esistenza. L'Antropocene, fondandosi
sulla cronologia geologica, ha ricordato a tutti che a connotare l'Olocene è stato soprattutto il clima, grazie ad una
fase interglaciale tale da sviluppare condizioni favorevoli alla specie umana. L'Olocene, segmento di era Cenozoica e
di periodo Quaternario, inizia 11.700 anni fa e contiene la fase di domesticazione di piante e animali, l'invenzione
delle città, l'esplosione demografica e lo sfruttamento dei combustibili fossili per l'energia. La teoria
dell’Antropocene riporta i geografi a confrontarsi con le relazioni clima-comunità umane, a ripensare a come
interpretare prima l’adattamento, poi l’interazione, infine la reciproca trasformazione. Parlare di clima non può
ridursi alle classificazioni di Koppen, alla sintesi regionale e all’andamento medio di un certo periodo. Il clima si sta
rivelando uno dei fattori geografici più mutevoli, ma anche uno dei più impattanti sui processi di territorializzazione.
Inoltre, da fattore naturale, sembra possa essere considerato sempre più come un elemento legato agli esiti delle
azioni umane.

 1.6 Conflitti
Gli studi sull'Antropocene, anche quando parlano di politica, trascurano la geopolitica e la geografia politica (tra le
poche eccezioni troviamo Dalby), confrontandosi sugli aspetti biopolitici. Eppure, sembra un buon campo per i
geografi, se i conflitti e le relazioni geopolitiche saranno sempre più legate al cambiamento ambientale, al controllo
delle risorse naturali, dei movimenti di popolazione e delle stesse nel caso in cui diano inizio a rivolte e rivoluzioni
causate dai processi centrali nell'Antropocene.

 1.7 Controllo
L'Antropocene tocca i temi del controllo, del potere e del limite. Dal punto di vista ecologico sembra dire che l'uomo
ha perso il controllo della natura, o meglio ha perso la credenza di poter controllare i suoi processi a proprio
vantaggio. Allo stesso tempo immagina che le azioni umane possano essere capaci (col progresso) di porre rimedio ai
guai generati, tornando alla fiducia nella possibilità di controllare la natura, attraverso la sua umanizzazione. Nelle
diverse narrazioni dell’Antropocene, oltre quelle che vedono la presa di coscienza del limite della capacità umana di
controllare la natura, troviamo anche alcune che affidano all’umanità tutti i ruoli dello spettacolo, come se la natura
fosse stata assorbita dalla mente umana e ora è una sua emanazione.

 1.8 Educazione
L'educazione geografica guarda allo sviluppo sostenibile, alla diversità culturale e ai temi della disuguaglianza e
inclusione. Come spiega Puttilli: pensare geograficamente l'Antropocene passa dalla capacità di territorializzarlo, con
riferimenti spaziali, a scale regionali a luoghi, sistemi territoriali, popoli e culture. L’Antropocene va oltre la
globalizzazione, anche se i due fenomeni hanno molti punti di contatto e l’educazione geografica: ci può mostrare
cosa accade nelle diverse regioni e come tutto questo genera flussi, reti e interazioni; orienta al futuro inteso come
progetto per abitare il pianeta; stimola azioni di cittadinanza attiva e si rivolge alle nuove generazioni lasciando la
porta aperta alla speranza.

 1.9 Energia
Per la geografia l’energia è stata la fonte da ottenere in abbondanza e a buon mercato per sviluppare l’industria e le
attività umane. Il problema dell’accaparramento delle fonti energetiche si collegava a problemi geopolitici,
commerciali e di possibile esaurimento delle risorse. Solo in rari casi apparivano nella narrazione le questioni
ecologiche (inquinamento, società, disuguaglianze, ecc.). L'Antropocene ci stimola a rivedere il ruolo dell'energia
nella storia della Terra e nel rapporto uomo-ambiente: da questa interazione capiamo ciò che accade al clima come
risultato dei processi geologici e antropici. Il primo racconto fa riferimento ad un pensiero di McNeill e Engelke, i
quali ritengono che l’energia non può essere creata né distrutta ma solo trasformata. La conseguenza è che tutta la
vita sul pianeta è legata ai processi di trasformazione dell'energia. I combustibili fossili sono energia solare
trasformata con la fotosintesi in materia organica e imprigionata nel sottosuolo sotto forma di gas, carbone e
petrolio. La specie umana, da sempre, addomesticando il fuoco e imparando ad ottenere sempre più energia
attraverso l’agricoltura, ecc. ha avviato dei processi di territorializzazione che sono legati a questi modi di aumentare
l’energia in tutte le sue forme. Ogni forma di territorializzazione del pianeta degli ultimi due secoli si basa in modo
sempre crescente su carbone e petrolio. Nel Settecento, dunque, si arriva a trasformare il carbone in energia
disponibile ai fini umani. Oggi, la liberazione di energia proveniente dai combustibili fossili è la causa del
cambiamento del clima; questo processo genera impatti nell'ambiente, nella società, nell'economia, politica e
cultura. Se il cambiamento climatico modella il territorio e le società umane, dovremo fare attenzione al ruolo
dell'energia in tutto questo. Senza dimenticare che il problema è globale ma la produzione di energia è sempre locale
ed esprime un rapporto con il territorio e il modo in cui esso è organizzato. Anche se dovessimo riuscire a imparare a
ottenere direttamente dal sole e dal vento la gran parte dell’energia, sarà ancora una questione legata alla
trasformazione dell’energia ad aver rivoluzionato l’organizzazione dei territori e il rapporto tra società umane e
ambiente terrestre.

 1.10 Estinzione di massa/biodiversità


L’Antropocene è anche una questione ecologica che raccoglie tutte le emergenze che nascono dall’impatto sulla
biodiversità causato non solo dall’azione umana ma anche dalle sue conseguenze, tra cui il cambiamento climatico.
Precedentemente ci sono state diverse estinzioni ma non tutte erano correlate all’attività umana (il dodo dell’Isola di
Mauritius, i bisonti americani ed europei, ecc). Oggi ci troviamo di fronte ad un'estinzione senza precedenti negli
ultimi 65 milioni di anni, la prima causata dall’uomo. Questa è correlata a temi della geografia umana come la
globalizzazione, la crescita demografica, l'urbanizzazione e lo sfruttamento delle risorse naturali, le decisioni politiche
per la conservazione degli habitat, i modelli culturali con cui ci rapportiamo all'ambiente. Il tema dell'estinzione
delle specie viventi diventa centrale nel rapporto uomo-ambiente coinvolgendo anche il suo opposto, la diversità,
come binomio fondamentale. Il processo coevolutivo tra umani e ambienti ha un forte impatto sulla biosfera,
coinvolge relazioni orizzontali e verticali, chiedendoci di rivedere l’evoluzione culturale umana alla luce delle attuali
interazioni con gli ambienti geografici. La scomparsa delle specie ci interroga sulla genesi, sul ruolo e sull'importanza
della diversità umana nello spazio geografico come espressione di processi locali e globali di interazione e
trasformazione tra specie umana e ambiente terrestre. La distinzione tra geografia fisica e umana appare ora
superata. Elaborare il cambiamento causato dall'estinzione delle specie viventi può avere un ruolo centrale anche
nella geografia umana e culturale quando si cercherà di ragionare di diversità e disuguaglianze, economia e risorse,
paesaggio e percezione, senso del luogo e qualità della vita.

 1.11 Foreste
G. P. Marsh, scrisse nel 1864 “Man and nature”, pietra miliare dell'ambientalismo, che dedica la sua opera alla
superficie terrestre modificata per opera dell'uomo. Esso è stato il primo a comprendere l'estensione dei
cambiamenti indotti dall'azione dell'uomo nelle trasformazioni fisiche del globo, mostrando i rischi generati dalla
trasformazione dell'ambiente senza un'adeguata conoscenza dei suoi processi e suggerendo che l'azione futura
dell'uomo sia più sostenibile. Nel suo testo, Marsh sostiene che i disboscamenti cambiano il clima e la meteorologia
locale, alternando il comportamento delle altre specie, anche quelle coltivate; l'autore si dilunga sul ruolo ecologico
delle foreste d'inverno nella regolazione dei cicli idrogeologici. Il concetto di Antropocene è coinvolto perchè se la
distruzione dei boschi fu la prima conquista geografica dell’uomo, la loro distruzione definitiva ci appare ora come
quella che potrebbe anche essere l’ultima di queste conquiste. Pensare il rapporto con le foreste passa per il
concetto di ibrido, che ci spiega che le foreste non siano altro che uno dei modi con cui l'interazione dell'uomo con
l'ambiente ha prodotto la superficie della Terra com'è ora. Goudie, in “The Human Impact on the Natural
Environment: Past, Present and Future” (2019), sviluppa la trattazione intorno all'Antropocene e dedica all'impatto
umano sulla vegetazione il secondo capitolo. Goudie spiega il ruolo umano nella creazione e mantenimento della
savana, un ambiente che nei manuali scolastici viene descritto come interamente naturale. Per Goudie è tempo di
riscrivere i manuali di geografia per creare una narrazione dove l’ambiente non può più essere visto come una “cosa”
che circonda un soggetto, ma il risultato di interazioni con l'uomo e i cambiamenti che stanno diventando sempre più
evidenti. Questa prospettiva avvicina la geografia fisica e quella umana. L’Antropocene rappresenta scientificamente,
il punto di intersezione fra la storia della terra (della natura) e la storia dell’uomo, cambiando non solo la narrazione
delle scienze, ma le basi stesse della loro costituzione moderna.

 1.12 Ibrido Ibridazione tra natura e cultura.


La parola ibrido è una delle parole-chiave sulle quali la geografia deve interrogarsi. Frank Raes, rifacendosi a Bruno
Latour, identifica gli ibridi come le cose che intrecciano natura e uomo in modo inestricabile; non possono essere
divise tra fatti antropici e fatti naturali, altrimenti non sarebbero più visibili. Dividerle non aiuta a capire, anzi crea
confusione. Allo stesso modo, i tentativi di ritornare a una netta distinzione fra uomo e natura non fanno altro che
accentuare il danno causato dalla visione dualistica. Come scrivono Pellegrino e Di Paola (2018) la natura
dell’Antropocene è ibrida ed è un prodotto a cascata dell’attività umana che altera sistemi ecologici di base con
effetti a cascata. Per i geografi però non è sempre stato così, prima tutto ciò che l’uomo trasformava passava nella
sfera concettuale dell’antropico.

 1.13 Irreversibilità
L’irreversibilità è la condizione dei processi ambientali trasformati dall’azione dell’uomo. Cambiano
irreversibilmente: i cicli geochimici; la composizione delle rocce; il clima; la disponibilità delle risorse; la
composizione atmosferica in seguito alle emissioni di gas legate alle attività umane; lo spazio geografico. L'idea di
irreversibilità per le attività umane è una presa d'atto: ogni tentativo di rinaturalizzazione non è mai il ripristino di
situazioni precedenti ma il progetto di una nuova impronta sul territorio.

 1.14 Luoghi d'origine e tempi


Nessun fenomeno è mai completamente globale, almeno non dal suo inizio. Dovremmo dare importanza ai luoghi in
cui l'Antropocene ha iniziato ad espandersi (introducendo così il concetto di diffusione). Ad esempio, sono state
ritrovate tracce di attività mineraria di epoca romana, diffuse dai venti, nei carotaggi polari. Recentemente, è stata
scoperta nei pressi di Leon (Spagna) una serie di miniere d’oro che i Romani sfruttarono per circa duecento anni con
tecniche di estrazione che hanno totalmente modificato il paesaggio. Possiamo identificare l’inizio dell’Antropocene
con la capacità di trasformare in modo irreversibile il paesaggio rendendo impossibile distinguere ciò che è opera
umana e ciò che non lo è e il territorio di Leon potrebbe essere uno dei luoghi più antichi dell’inizio
dell’Antropocene. Continuando a indagare dal punto di vista spaziale, molti luoghi potrebbero essere più antichi di
Leon (le piramidi degli antichi egizi, la muraglia cinese, ecc.). La questione dell’origine potrebbe quindi diventare
essenzialmente un problema da archeologi.

 1.15 Luoghi
Per un geografo il racconto dell'Antropocene dovrebbe basarsi sui cambiamenti dei luoghi. L'abbondanza di segni e
relazioni è uno dei tratti che rendono i luoghi unici e fondamentali per lo spazio terrestre. Secondo Giorda
l’Antropocene è presente in diversi luoghi, lui ne propone quattro. Venezia: legame di una comunità umana con un
ambiente fragile e unico, quello della laguna, fatto di acqua, terra, mare, isole e in cui c'è un difficilissimo equilibrio
tra ambiente e uomo, minacciato dall'inquinamento delle acque. Vi è l’impatto dei turisti, un patrimonio culturale
enorme e anche la mancanza di automobili ed altre tecnologie del mondo contemporaneo. Se da un lato se ne
annuncia la fine, dall’altro questo luogo potrebbe contenere l’esperienza di un futuro diverso di abitare. Chernobyl:
il sito dove l’impatto dell’azione umana è il più rilevabile, a causa della presenza dei radionuclidi nel terreno e nelle
falde in seguito all'incidente nucleare del 1986. Oggi, senza presenza umana, sta avvenendo uno straordinario
fenomeno di rinaturalizzazione con ritorno di grandi animali e sviluppo delle specie vegetali. Viene da pensare anche
a Hiroshima e Nagasaki dove vi erano “gli alberi bombardati”, specie capaci di sopravvivere a pochi metri dai luoghi
di esplosione delle bombe nucleari. Agbogbloshie (periferia del Ghana): qui si trova la più grande discarica di rifiuti
tecnologici del mondo. Si stima che 40.000 persone vivano e lavorino nella discarica, cercando di riciclare i metalli e
le altre parti che possono avere ancora un valore. È un esempio di straordinaria capacità di adattamento da parte
degli esseri umani. La discarica attira i migranti, nonostante le scarse condizioni igieniche. Come questo luogo ve ne
sono almeno altri 50 nel mondo. I rifiuti sono uno dei tratti centrali dell’Antropocene. Si tratta di iperluoghi, prodotti
dalla glocalizzazione, che forse fra miliardi di anni costituiranno i versanti di qualche montagna di nuova formazione
(prima i fossili, un giorno le pennette USB). Dubai: da un lato vi è la facile ricchezza generata dal petrolio ma
dall’altro è anche un luogo dove si immagina un’economia alternativa al petrolio, ovvero Dubai utilizza tantissime
risorse per portare la vita nel deserto. Tutto ciò porta commercio e turismo, si tratta di un laboratorio per il futuro. Il
futuro spesso non nasce solo nel mondo delle idee: ha spesso forme localizzate, materiali, interazioni specifiche tra
risorse e persone in un territorio e da lì poi si diffonde. I luoghi esprimono la complessità del mondo e sono il
risultato di interazioni verticali (con le risorse) ed orizzontali (tra parti del pianeta). Le relazioni orizzontali oggi
sembrano prevalere, ma non vuol dire che quelle verticali siano meno importanti. Per il futuro abbiamo bisogno di
innovazioni che in qualche luogo cambino il rapporto con l'ambiente e si diffondano in altri luoghi con adattamenti e
contaminazioni a scala locale. Non è cosa facile, infatti dopo anni si arriva spesso a cercare semplificazioni generali e
orientamenti globali ma i luoghi servono proprio a ricordarci la diversità e l’impossibilità di ridurre la Terra a
superficie unica.

 1.16 Narrazioni/date
In geografia l'Antropocene è iniziata quando l'attività umana è diventata il principale agente modificatore, cioè
quando ogni parte del pianeta è stata trasformata nei suoi paesaggi dalle conseguenze della territorializzazione
umana e dell'impatto delle azioni umane sul cambiamento dei luoghi. La data può aggirarsi intorno al 1492, con la
scoperta dell’America e le successive conseguenze: spostamento di esseri umani, specie animali, varietà botaniche,
batteri e virus; cambiamento di paesaggi agricoli e la morte di milioni di indigeni. Ad esempio, la patata, portata dal
Sudamerica diventa il cibo principale irlandese ma quando un fungo fa marcire tutto il raccolto, gli irlandesi
cominciano a morire di fame e solo in seguito a spostarsi in America. Dunque, non può esiste un antropocene senza
l’uomo perché ogni narrazione genera letture molto diverse in chiave politica, ecologica e scientifica, cambiando il
nostro modo di immaginare il passato progettare il futuro.

 1.17 Osservatore
L’idea che non sia possibile osservare un fenomeno senza influenzare il cambiamento deriva dalla fisica. La geografia
è in parte scienza di misurazione (distanza, quantità, distribuzione), utili a descrivere rapporti, relazioni, ordini e
strutture territoriali. Questo contatto con il mondo che cambia il modo di interpretare il mondo, ma anche il mondo
stesso, è da tempo oggetto della riflessione geografica. Le rappresentazioni sono anche implicitamente progetti di
come immaginiamo che il mondo debba diventare. L'osservatore interferisce con il mondo e contribuisce alla sua
trasformazione. Superata l’idea che la geografia sia una scienza delle invarianze della Terra, l'Antropocene ci chiede
di cambiare il modo in cui consideriamo il nostro ruolo di osservatori. Cambiamenti, processi e problemi hanno
accentuato una divaricazione fra geografia umana e fisica, come se per arrivare al cambiamento fosse necessario
staccarsi dalla natura recuperandola solo in caso di risorsa economica o di problema (rischio sismico, vulcanico, ecc).
I due aspetti sono correlati, l’azione umana nel trasformare la natura è stata così potente da non riuscire più a
distinguere le due cose. E questo, nell’approccio sistemico, è già evidente: il testo Dichiarazione di Lucerna
sull’educazione geografica allo sviluppo sostenibile (2007) include l’antroposfera nel sistema Terra. La natura è
dinamica, un cambiamento non separabile dall'azione umana: i cambiamenti sono il risultato di coevoluzione. In
questa relazione l'osservatore è attivo perché con l'osservazione e la rappresentazione di ciò che si è osservato
agisce come trasformatore della relazione in atto. Non esiste un mondo, ma solo un’immagine del mondo che si
produce in una certa società e cultura. La carta geografica non è mai reale: è piuttosto il disvelamento di un
immaginario inconscio con cui pensiamo il mondo e lo trasformiamo. Non è la realtà ma la trasforma seconda gli
occhi dei suoi osservatori, guida percezioni, analisi e decisioni, disegnando in anticipo il mondo che verrà.

 1.18 Realtà/fiction
Le idee riguardo l’Antropocene sono molto diverse fra loro. Per alcuni l'Antropocene è un dato di fatto: il sistema
Terra è completamente alterato dall'azione umana, con conseguenze sui suoi cicli geologici, chimici, climatici,
biologici. L'approccio scientifico operativo mira a studiare i processi e individuare le possibili azioni umane in grado di
diminuire gli effetti negativi per garantire un futuro migliore alla specie umana e al pianeta. In questa visione è in
secondo piano quanto la trasformazione del pianeta da parte dell'uomo sia legata a processi culturali e sociali, poi
anche politici ed economici. Per altri è una fiction, uno storytelling che connette fatti e situazioni disparate,
individuando un attore principale (uomo) e gli scenari locali e globali in cui ambientare le sue vicende. L'eco-
criticismo sfrutta la letteratura per costruire una nuova coscienza ecologica. Il rischio è di spostare l'attenzione sulle
narrazioni e sui suoi meccanismi, mettendo in secondo piano ciò che avviene sulla Terra (scioglimento ghiacciai,
foreste in fiamme, ecc). Infine, vi è una visione politica che vede l'Antropocene come conseguenza del capitalismo e
della globalizzazione ma collocare in primo piano l'aspetto politico rischia di sostituire il paradigma anziché essere lo
strumento per la sua negoziazione operativa. Bisognerebbe procedere per gradi di realtà. I geografi dovrebbero
sviluppare una sintesi tra approcci scientifici e culturali: la realtà è il risultato di segni con cui rappresentiamo il
mondo; con questi segni lo spieghiamo e manipoliamo prima cognitivamente e poi concretamente. L’Antropocene è
anche una metafora, una denominazione della territorializzazione, una rappresentazione che come la carta
geografica tende a sostituirsi a ciò che dovrebbe rappresentare. Inoltre, è anche forma di immaginazione dove
propone reti ed icone, di cui il mondo ha bisogno. La rappresentazione dell’Antropocene è solo all’inizio e necessita
di modelli nuovi.

 1.19 Territorio/territorializzazione
Problemi diversi legano uomini e ambienti a scale diverse in tutto il pianeta. Riguardo il dibattito sull’Antropocene si
aprono due categorie indispensabili: quella di luogo e quella di sistema territoriale. Fermarsi a discorsi metaforici
non basta. Il pianeta non è omogeneo e l’ibridazione uomo-ambiente cambia da un posto all’altro al cambiare delle
dotazioni ambientali, della società e delle culture. Le parole per delimitare queste diversità e per contestualizzare
sono: luoghi, se preferiamo un termine umanistico e generico nato proprio per esprimere il senso della relazione fra
le persone e le tante compartimentazioni dello spazio terrestre; territori o sistemi territoriali, se vogliamo focalizzarci
sulla relazione materiale o simbolica fra uomo e Terra. L’Antropocene ha una dimensione globale, ma si differenzia in
migliaia di contesti locali: in Alaska bruciano le foreste così come sulle Alpi si piantano ulivi e nella Siberia
settentrionale si coltiva il grano. Questo per dire che alcune regioni sono diventate inospitali ma altre si sono
adattate ai cambiamenti. In geografia l’adattamento è un concetto che acquisisce sempre più importanza anche e
soprattutto a causa della velocità con cui culture, luoghi ed economie stanno cambiando. Sicuramente bisognerebbe
cercare di sganciarsi dal passato concentrandosi sui cambiamenti attuali e come questi hanno le loro ripercussioni
nel futuro. Occorre territorializzare l’Antropocene, cioè imparare a spiegare come le grandi questioni avvengono e si
diversificano in luoghi e sistemi territoriali. Solo se pensiamo e rappresentiamo il mondo attraverso questa chiave
concettuale possiamo poi trasformarlo in modo più sostenibile e coerente con l’obiettivo di migliorarlo. Se non
possiamo più distinguere completamente l’ambiente dell’uomo, allora non possiamo cambiare il mondo se non
agendo dall’interno delle strutture con cui la società umana lo ha modificato e cerca di controllarlo attraverso
l’economia, la politica, la società e la cultura: i territori. Il concetto di territorio individua e fornisce interpretazioni e
rappresentazioni di un ibrido nato dalle relazioni tra ambiente e specie umana. Non c'è territorio senza Antropocene
e questo arriva molto prima della Rivoluzione Industriale, altro tema dibattuto dai geografici. Kawa (2016) lo fa con
due idee interessanti: la prima è la rivalutazione della Rivoluzione Agricola rispetto a quella Industriale che fa parte di
quelle società agricole sviluppatesi prima dell’arrivo dei coloni in America. La seconda, collegata alla prima, è la
presenza di una narrazione eurocentrica che si cela dietro l’Antropocene come effetto della Rivoluzione Industriale
europea. Rivalutare il ruolo delle attività primarie aiuta anche a decentrare questo punto di vista eurocentrico ed
intrecciare nuovi risvolti fra chi racconta il mondo, chi lo produce, chi lo rappresenta e chi lo controlla.

 1.20 Uomo-ambiente
Dal momento che non è possibile separare uomo e Terra, dobbiamo considerare quest’ultima come un'inestricabile
complessità di umano-ambientale. La prima conseguenza è che non si può spiegare la natura e la società da sole,
anche se i manuali scolastici e universitari hanno insegnato a distinguere, da sempre, naturalia da artificialia
selezionando le relazioni fra uomo e ambiente (una distinzione messa in atto già dal ‘500). Tuttavia, distinguere ciò
che è naturalia da ciò che è artificialia è sempre più difficile. Se non è più possibile distinguere, questa è la fine della
natura e anche la fine dell’uomo così come li abbiamo concepiti. Il cambiamento è il prodotto ibrido di un ambiente
che comprende l’uomo e di un uomo che agisce in base alla sua conoscenza dell’ambiente. La posta in gioco
dell’Antropocene non è solo avvicinare geografia umana e fisica ma anche obiettivi di ricerca oggettiva quantistica e
obiettivi di ricerca soggettiva orientati alla fenomenologia e alla percettività. In passato sicuramente nello studiare le
relazioni fra uomo e natura è stata messa in discussione la possibilità di separarle ma, sebbene il possibilismo ideato
da Ratzel abbia frenato quest’idea, non è questa la sede per parlarne.

2. Il paesaggio geografico nell’Antropocene di Fabio Parascandolo e Marcello Tanca


 2.1 Paesaggi geogenici e paesaggi antropogenici
Quando si parla di rapporto tra paesaggio e Antropocene bisogna accettare il presupposto per cui nel paesaggio si
trova un indicatore attendibile delle trasformazioni degli ecosistemi da parte del capitalismo più avanzato.
Espressioni come paesaggio dell’Antropocene alludono alla capacità umana di rivaleggiare con i fenomeni climatici e
geologici, plasmando la superficie terrestre con strumenti, materiali e flussi di energia. Il risultato sarebbe la
produzione di ambienti “nuovi” che sono diversi e superiori a tutti gli altri perché dotati di proprietà non riscontrabili
in nessun altro momento della storia, sia naturale che umana.
Tra le ricadute dell'Antropocene ci sono ricadute paesaggistiche. Bisogna ricercare nel paesaggio tracce, segni e
l'inferenza di processi economici e sociali che non hanno immediatamente una natura paesaggistica (si parla allora di
paesaggio significante). Il paesaggio, quindi, offre una testimonianza visivamente esemplare di un cambiamento
storico epocale: uso intensivo di fertilizzanti e combustibili fossili; deforestazione e diffusione della plastica;
urbanizzazione più frenetica; consumo irrazionale di acqua e petrolio; aumento dei gas ad effetto serra;
acidificazione degli oceani e scioglimento dei ghiacciai. Il paesaggio ci da solo in parte queste informazioni e lo fa
attraverso la costruzione di tipi descrittivi basati su fattori di carattere fisico (clima, vegetazione, idrografia,
morfologia, ecc.) oppure tramite la mappatura dei biomi di origine geogenica, ovvero le unità elementari della
biosfera identificate attraverso le loro caratteristiche vegetali e climatiche. L'equivalente paesaggistico è
l'Urlandshaft: il paesaggio terrestre primordiale, preumano, non modificato dall’uomo, incontaminato ed omogeneo,
ad esempio si ritrova nelle foreste boreali del Canada, nelle savane del Botswana o nelle aree interne dell’Australia.
Allo stato attuale delle cose, la biosfera dove viviamo non è composta soltanto da binomi di origine naturale, essi
sono ormai minoritari (¼ delle terre non coperte da ghiacci) o incorporati in sistemi umanitari pressoché ubiquitari.
Se vogliamo capire qualcosa del rapporto che lega paesaggio e antropocene dobbiamo tenere conto del fatto che:
rispetto agli ecosistemi naturali non umani, i biomi antropogenici prodotti dall’interazione umana con la biosfera
hanno un’estensione planetaria decisamente maggiore; i biomi antropogenici danno vita a sistemi misti composti da
insediamenti umani ed ecosistemi naturali, foreste, campi. Senza voler negare immagini come lo scioglimento dei
ghiacciai, è utile osservare i paesaggi antropogenici come mosaici metabolici di biomi di origine geogenica e di biomi
di origine antropogenica. Il paesaggio ha la funzione di indicatore visivo di trasformazioni epocali che hanno luogo su
scala globale: all'interno delle sue combinazioni di varietà differenti si svolgono le interazioni tra esseri umani ed
ecosistemi terrestri. Pensare all'Antropocene come una nuova era geologica che ha ricadute sul paesaggio permette
di evitare due estreme posizioni: l’idea che fa dell’Antropocene qualcosa che è sempre stato, un tratto che
caratterizza la storia umana fin dai primi passi dell'uomo sulla Terra; l’idea che l’Antropocene consista nella rottura di
un equilibrio che per secoli avrebbe conservato intatti gli ecosistemi terrestri. Entrambe le visioni negano il carattere
storico, socialmente costruito, del paesaggio, dunque la sua natura dinamica in continuo divenire e la differenza che
intercorre tra schemi metabolici e non metabolici di organizzazione e governo del territorio. I dati empirici rigettano
queste due visioni e raccontano una storia dove la maggior parte della biosfera terrestre è stata rimodellata
storicamente in maniera permanente dalle interazioni dirette tra gli esseri umani e l'ecosistema. E' un fenomeno che
nasce con il Neolitico (12.000 - 10.0000 a.C.). Il passaggio successivo consiste nel vagliare natura e qualità di queste
interazioni. Bisogna ricordare le due modalità con cui le società esercitano la facoltà di ricordare, cioè
l'incorporazione e la sovrascrittura. La sua applicazione al paesaggio permette di parlare di paesaggio incorporato,
basato sulla compresenza e interazione metabolica di biomi geogenici e antropogenici e di un paesaggio sovrascritto,
in cui la continuità col passato è interrotta e la varietà di usi differenti del suolo viene meno. Il secondo può essere
definito propriamente un paesaggio dell’Antropocene.

 2.2 Appunti per un repertorio essenziale di paesaggi antropogenici


Chiedere al paesaggio di dare testimonianza dell'Antropocene vuol dire dare forma, visibilità e concretezza alle
trasformazioni innescate sugli ecosistemi terrestri dall'attuale modo di produzione del mondo. Il paesaggio diviene
un indice capace di tradurre una serie di processi ad alta complessità in un'icona riconoscibile. Il dispositivo
paesaggistico è che è capace come pochi altri di mettere letteralmente “sotto gli occhi” i cambiamenti intervenuti sui
processi biogeofisici. La traduzione in termini paesaggistici dell'Antropocene non può esaurire la problematizzazione
e varie immagini più o meno efficaci non riescono a chiudere il discorso. Per Humboldt il paesaggio costituisce il
primo momento della conoscenza scientifica, fondamentale per catturare la nostra attenzione e aprire un orizzonte
di ricerca. Ci sono diversi modelli o tipologie paesaggistiche-territoriali con specifici processi di modellamento e
produzione dello spazio terrestre che possono essere considerati tipicamente antropogenici. Eccone degli esempi
(foto a pagina 56-57 Cairo=inquinamento; Rio=favelas; Andalusia=mosaico di serre; California=feedlots, recinti di
ingrasso del bestiame; Canada=residui petroliferi durante la lavorazione delle sabbie bituminose; Polonia=paesaggio
di una centrale termoelettrica a carbone): paesaggi a carattere urbano-industriale con megalopoli, metropoli e
altre strutture insediative; paesaggi di monoculture biotiche adibite al trattamento della materia vivente, con
funzioni di approvvigionamento alimentare; paesaggi di monoculture abiotiche, adibite al trattamento di materia
inanimata.
Al primo gruppo appartengono Il Cairo (Egitto), ovvero la città più inquinata al mondo e Rio de Janeiro (Brasile) con
favelas dove vivono più di undici milioni di persone. Al 2016 si parla di 1019 favelas e 60.000 abitanti circa, il
territorio è sotto il controllo di bande delinquenti dedite al traffico di droga.
Nel secondo gruppo abbiamo la zona dell’Andalusia (Spagna): vi è la più grande concentrazione di serre del mondo.
Diversi studi (Instituto Sindacal del Trabajo, Università di Siviglia e Leon, ecc.) hanno rivelato la scarsa sostenibilità
sociale di questa struttura: molti lavoratori sono immigrati provenienti dall’Africa e dall’Est Europa che vengono
assunti senza contratto e senza garanzie e alloggiati in baracche senza acqua e servizi igienici.
Poi abbiamo Bakersfield (California). Gli USA sono i primi produttori mondiali di carne bovina, l’USDA (United States
Dept. of Agriculture) ha calcolato che per ogni consumatore medio americano servono 222,2 kg annui tra carne
bovina e pollame. Ciò comporta un consumo eccessivo di energia e sfruttamento massiccio di suolo con conseguenze
sul cambiamento climatico.
Nel terzo gruppo abbiamo Alberta (Canada) dove per estrarre le sabbie bituminose (da cui si ricava una sostanza che
lavorata è simile al petrolio) la terra è stata scavata per oltre 60 metri di profondità. Rispetto agli idrocarburi
convenzionali questo processo richiede un maggior apporto di energia e di acqua. L’impatto ambientale è molto
forte secondo Friends of the Earth (associazione ambientalista presente in 69 paesi del mondo) in quanto si
riscontrano alti tassi di malattie tra gli abitanti del luogo.
Al terzo gruppo appartiene anche Konin (Polonia) dove le centrali elettriche a carbone polacche e tedesche occupano
i primi sei posti nella classifica di quelle più inquinanti e sono responsabili del 30% delle emissioni di mercurio in
Europa. Le emissioni di queste centrali rendono impossibile l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto i
2° entro la fine del secolo. Per la Polonia il carbone rappresenta ancora l’80% della sua produzione di energia. Il
carbone è il combustibile più inquinante e dannoso per la salute, è la prima fonte di emissioni di anidride carbonica
che riscaldano l’atmosfera.

 2.3 Paesaggi antropocenici e paesaggi metabolici: quale storia, quale futuro?


L’Antropocene trova le sue fondamenta spaziali nelle megalopoli e nelle monoculture. La colonizzazione della
biosfera da parte della tecnosfera è avvenuta, almeno dalla Rivoluzione Industriale, con modalità agonistiche e
antagonistiche, che si sono ripercorse sul paesaggio. Sono stati prodotti sistemi di utilizzo dell'ambiente globale con
conseguenze che si manifestano in concomitanza col riconoscimento dei caratteri antropocenici del mondo attuale.
Non demonizziamo le tecniche degli esempi precedentemente mostrati ma per renderle compatibili e coevolutive
con i sistemi viventi del pianeta bisognerebbe ristrutturare la visione economicista con cui il mondo globale si è
rapportato al mondo naturale. Oggi tutto accade come se ci fossero due tendenze antitetiche e mutualmente
esclusive: 1) prosecuzione della tecnificazione del paesaggio alimentata dalle esigenze di crescita economica e
tecnologica, una tendenza definita business as usual; 2) emerge una logica di vitalizzazione, cioè la ricerca di un agire
sociale che miri a soddisfare i bisogni degli esseri umani, preservando i sistemi naturali che lo sostengono. In questa
dualità quindi si riconoscono paesaggi artigianali-rinnovabili-biodegradabili (definiti, in senso storico, olocenici) dove
molte forme di vita quotidiana “tradizionali” hanno subito e subiscono nei paesi in “via di sviluppo” uno
smantellamento a favore di una sostituzione con sistemi lavorativi e di consumo completamente (o quasi)
industrializzati-non rinnovabili-non biodegradabili.
In cosa può consistere un agire territoriale lungimirante? Occorre soffermarsi sulla diversità che caratterizza le
località in cui i residenti manifestano slanci verso il recupero di territori viventi sotto molti profili. Confrontarsi con le
diverse configurazioni dell'Antropocene vuol dire tenere conto delle crisi globali collegate alla deterritorializzazione o
dissoluzione dei luoghi, con il concorso di altri elementi problematici. Su questa base sarebbe necessario rifondare
luoghi e paesaggi in quanto beni comuni. A questo scopo risulta necessario rivedere le pratiche lavorative
incentrandosi su convivialità, solidarietà e autosostenibilità soprattutto in relazione all’uso e alla conservazione,
specie in relazione all’uso e alla conservazione di biomi a consistente naturalità.

3. Educare (geograficamente) all’Antropocene. Una proposta di agenda a partire dalla Carta


Internazionale sull’Educazione Geografica di Matteo Puttilli
 3.1 Come abitare il mondo oggi? La sfida educativa dell'Antropocene
Il concetto di Antropocene non è più una novità, ma esiste ormai un universo di progetti e iniziative artistiche e
culturali che alimenta e afferma il dibattito sul tema. I geografi non sono i primi a trattare di Antropocene, anzi
arrivano con un certo ritardo. Discutere di Antropocene oggi significa confrontarsi con un universo di opinioni e di
riflessioni di natura multidisciplinare che hanno già esplorato ampiamente i principali limiti e potenzialità. Il concetto
di Antropocene è per lo più un termine-ombrello o parola chiave, in cui si ritrovano diverse letture del complesso
rapporto uomo-ambiente. Infatti, superate le questioni definitorie, il termine Antropocene ha assunto un significato
metaforico e simbolico che spinge a ripensare il presente e il futuro della presenza umana su larga scala. La sfida
posta dal concetto di Antropocene si definisce nei termini di una provocazione culturale che riporta al centro
dell'attenzione la domanda su cosa voglia dire abitare un mondo in cui l'uomo partecipa alle trasformazioni del
pianeta, con implicazioni etiche, politiche, sociali, economiche e ambientali. Il concetto di Antropocene opera nella
direzione di provocare un risveglio della coscienza gettando luce sulle sfide del mondo contemporaneo. L’idea alla
base di questo capitolo è che l’Antropocene sia un concetto geografico e che quindi la geografia possa offrire un
contributo nell’educare all’Antropocene, vale a dire per formare soggetti consapevoli delle ripercussioni globali e
trasversali delle azioni umane e per responsabilizzare nei confronti del pianeta. La convinzione che la geografia sia la
disciplina più adatta per educare all’Antropocene discende dalla vicinanza tra alcuni aspetti dell’approccio geografico
e le principali questioni legate all’Antropocene.

 3.2 L'Antropocene nella Carta Internazionale sull'Educazione Geografica


La Carta Internazionale sull’Educazione Geografica (2016) è un documento internazionale promosso dalla
Commissione Geografica dell’Unione Geografica Internazionale (UGI) che aggiorna un documento del 1992. La carta
è un documento di indirizzo sui temi, sui problemi e sulle sfide legate all’educazione geografica nel mondo e
rappresenta, pertanto, un fondamentale riferimento anche per una riflessione sull’educazione geografica
all’Antropocene. Sebbene il termine Antropocene non sia menzionato esplicitamente, la Carta offre spunti
fondamentali per declinare il tema in una prospettiva geografica. Troviamo ampi richiami nel paragrafo “Il contributo
della geografia all'educazione” in quanto in queste righe ci sono quattro passaggi chiave che hanno un forte
rapporto con l'Antropocene:
1. Riconoscimento dell'unitarietà di società e ambiente, che operano congiuntamente nella trasformazione della
Terra la condizione dell’Antropocene come epoca in cui l’uomo partecipa ai cambiamenti globali che costituisce
una condizione preliminare e fondativa dell'approccio geografico;
2. L’azione trasformativa dell’uomo sulla terra non è omogenea né univoca. Si applica in tanti modi diversi quanti
sono i luoghi che l'uomo ha contribuito a costruire e trasformare; allo stesso modo, il concetto di Antropocene
non comprende solo processi a scala globale ma si definisce anche sulla base di specifiche condizioni, azioni e
decisioni intraprese a livello globale che si ripercuotono a scala locale;
3. Le forme e i modi in cui luoghi e paesaggi della Terra sono abitati non dipendono soltanto del rapporto con
l’ambiente fisico, ma anche dalle relazioni reciproche tra le diverse società e le diverse culture;
4. Comprendere, capire e apprezzare i modi in cui la terra è abitata e trasformata costituisce la principale
missione educativa della geografia, specialmente per la consapevolezza delle conseguenze delle azioni e
decisioni umane. Analogamente, il richiamo all’Antropocene non è un richiamo astratto bensì evoca un
coinvolgimento diretto e quotidiano di ciascun individuo e la responsabilità nell'abitare il pianeta;
Questi passaggi spiegano come l’approccio geografico possa aiutare ad articolare il tema dell’Antropocene. Tutta la
geografia contribuisce al dibattito mettendo in luce come sotto lo stesso termine ricadano problemi di natura diversa
(dall’alterazione degli ecosistemi terrestri alle questioni di coesistenza tra diverse culture) e che operano a scala
geografica differente (dalla scala soggettiva dei comportamenti diari fino alla dimensione globale dove si registrano i
cambiamenti della Terra). La Carta enfatizza il contributo educativo della geografia nel formare soggetti consapevoli
e responsabili, capaci di riflettere sulle conseguenze delle proprie decisioni e in grado di migliorare i propri contesti
di vita. Lo stesso contributo può essere alla base dell’educazione geografica all’Antropocene. Le questioni sollevate
dal tema sono talmente varie che non è pensabile che una sola disciplina possa farsene carico in modo esclusivo, ma
grazie alla propria flessibilità e trasversalità, la geografia può assumere una collocazione centrale nell’ambito
dell’educazione in tal senso.
 3.3 Un'Agenda geografica per educare all'Antropocene
Sulla base di quanto detto finora è possibile tracciare un'agenda geografica per educare all’Antropocene, che si
articola in quattro principi educativi fondamentali: territorializzare l’Antropocene; personalizzare l’Antropocene;
educare al futuro dell’Antropocene; costruire azioni di cittadinanza antropocenica.

 3.3.1 Territorializzare l'Antropocene


Il discorso sull'Antropocene rischia di essere inefficace se inteso solo in una prospettiva globale e priva di riferimenti
spaziali e contestuali che siano in grado di esemplificare tutte le declinazioni possibili del concetto. Ad esempio, per
spiegare le cause antropiche del riscaldamento globale è necessario illustrare il progressivo incremento dei gas-serra
in atmosfera; tuttavia, la meccanica dell’effetto serra non può prescindere da approfondimenti che illustrano le
diverse sorgenti di emissioni alla scala locale, i modi in cui l’effetto serra agisce sul territorio e perché è un fenomeno
che impatta direttamente sul territorio che abitiamo. Il primo compito di un'agenda geografica è quindi la
territorializzazione, cioè agganciare il tema a situazioni e casi territorialmente definiti, che facciano vedere ed
evidenziare i diversi ordini di problemi posti dal modo in cui il pianeta è abitato e trasformato dall'uomo. L'idea alla
base è l'educazione al territorio, cioè la convinzione che nel riferimento al territorio trovino spazio e naturale
convergenza le diverse sfide educative della geografia, tra cui l'Antropocene. Fare educazione all’Antropocene
attraverso l’educazione al territorio non significa rinunciare a una visione di insieme, globale, né tantomeno guardare
solo che ciò che ci sta intorno, bensì significa trasmettere la consapevolezza che ogni problema di ordine sociale,
ambientale, economico, così come ogni possibile soluzione, ha anche una imprescindibile dimensione geografica e
spaziale, di cui tenere conto. Pensare spazialmente significa interrogarsi su dove i fenomeni accadano e su cosa
possiamo apprendere da ciò che accade nei diversi contesti territoriali.

 3.3.2 Personalizzare l'Antropocene


Un rischio legato alla rappresentazione corrente dell’Antropocene è che i processi e i fenomeni sano percepiti come
astratti, freddi e lontani dall’esperienza quotidiana di ognuno di noi o che dipendono da scelte politiche su cui è
difficile incidere. Educare geograficamente all’Antropocene significa anche rendere possibile un’appropriazione dei
problemi “antropocenici” su un piano personale e prima di tutto affettivo, emozionale e motivazionale. Con questa
personalizzazione è possibile costruire la consapevolezza e la responsabilità verso il pianeta che è uno dei principali
obiettivi dell'educazione geografica all'Antropocene. La riflessione sulla “geografia delle emozioni” ha dimostrato che
non può esserci conoscenza del mondo senza coinvolgimento emozionale e “come le emozioni forniscono un senso
al nostro stare al mondo, incluse le relazioni con noi stessi e con gli altri” (Olson). Anche la geografia si riferisce
spesso alla dimensione affettiva ed emozionale, sottolineando come la geografia accenda la curiosità o consenta di
apprezzare la bellezza del mondo. Un tale coinvolgimento è alla base della responsabilizzazione degli altri e del
mondo. Come sostiene Ann Bartos (2012), per prendersi cura di qualcosa, bisogna occuparsene, interessarsene,
averla a cuore. Se non si percepisce un problema come proprio non è possibile farsene carico. Si può favorire questo
tipo di approccio con la partecipazione ad un “Fridays for Future” (dal 2018) per rendersi conto della passione e
creatività con cui i manifestanti si fanno interpreti dell'urgenza di un cambio di atteggiamento da parte dei politici nei
confronti del clima e dei temi ambientali. Questo ed altri appuntamenti hanno rappresentato le prime mobilitazioni
dal basso collocate all’interno del dibattito sull’Antropocene e le emozioni hanno sicuramente avuto un ruolo
fondamentale nel facilitare coinvolgimento, consapevolezza ed azione. Educare geograficamente all'Antropocene
richiede di considerare la relazione con il pianeta in prospettiva soggettiva ed emozionale, interrogandosi sul modo
in cui l'Antropocene ci riguarda, su cosa muove nelle nostre coscienze e su cosa possiamo fare per il futuro del
pianeta. La geografia offre molte iniziative formative sullo spazio vissuto, sul nostro rapporto affettivo con i luoghi e
sulla percezione dei valori paesaggistici e territoriali che possono essere mobilitati per facilitare il coinvolgimento e la
maturazione di una relazione con le questioni alla base dell'Antropocene.

 3.3.3. Educare al futuro dell'Antropocene


Il discorso è fortemente declinato al futuro (Pawson) nel senso di immaginare in che modo l’uomo abiterà la terra
nei prossimi decenni e quali sono le sfide (ambientali, sociali, politiche e tecnologiche) che si troverà ad affrontare e
superare. Scenari, proiezioni e stime sono il lessico con il quale ci si confronta quando si tratta di riflettere sulle
conseguenze dei cambiamenti oggi in atto sui modi di abitare il pianeta in futuro. La “futurologia”, nella saggistica,
apre la discussione intorno alle possibili direzioni che il mondo potrà prendere. Essa ha i connotati di un genere
letterario che analizza le implicazioni etiche che l’uomo ha assunto, con la tecnologia, nei confronti delle questioni
planetarie. Giuseppe Dematteis in Progetto implicito (2002) sostiene che qualsiasi sintesi geografica sia un discorso
sul futuro; attraverso l'interpretazione dei luoghi definisce attese e aspettative sociali e prefigura soluzioni,
possibilità, interventi e progetti. La pratica di osservare, pensare, immaginare i luoghi, così come quella di descriverli
e rappresentarli, non è mai neutrale, ma vuol dire selezionare ciò che ha valore e vorremmo tramandare oppure
mettere in evidenza ciò che non ci piace per poter prospettare soluzioni diverse e migliori.
Il tema dell’Antropocene offre la possibilità di pensare al futuro attraverso l’analisi del presente. Confrontarsi sul
futuro dei luoghi che abitiamo permette di chiedersi quali ripercussioni hanno i cambiamenti globali sui nostri spazi,
in che modo ciò che accade a scala locale impatta la trasformazione del pianeta, quali scelte si potrebbero adottare
per preservare alcuni luoghi, quali sono i valori su cui fondare i progetti futuri per il territorio.
Eric Pawson ricomprende nell'educazione all'Antropocene anche il tema tecnologico: ragionando sul futuro, la
geografia non può prescindere dall'educare all'utilizzo delle tecnologie in quanto componenti irrinunciabili alla vita
umana all'epoca dell'Antropocene. L’obiettivo è quello di formare figure che siano consapevoli di come le tecnologie
intervengono nella trasformazione del pianeta, analizzando benefici e rischi. Ad esempio, in Italia si è aperta una
riflessione sulla smart city (una città che adotta strategie tecnologiche per rendere alcuni ambienti urbani più
sostenibili ed ecologici). Tuttavia, molte strategie e soluzioni tecnologiche hanno creato nuove forme di esclusione,
marginalizzazione e disuguaglianze spaziali, sociali e generazionali. Se l'Antropocene è segnato da un progresso
tecnologico, è fondamentale sviluppare e fornire gli strumenti per per comprendere che la tecnologia può mutare
profondamente e spesso in modo imprevedibile le condizioni di vita sul pianeta e sviluppare uno spirito critico nel
considerare sia le opportunità sia i rischi legati al loro utilizzo.

 3.3.4. Costruire azioni di cittadinanza antropocenica


Abitare l’Antropocene è una sfida non solo culturale, bensì concreta che può migliorare la qualità della vita sul
pianeta a tutte le scale geografiche. Questo obiettivo evoca una competenza di natura progettuale, consistente
nell'ideazione, condivisione e implementazione di azioni sul territorio. L'idea alla base di questo principio è la
convinzione che qualsiasi percorso formativo in ambito geografico debba tradursi in azione.
Educazione alla cittadinanza antropocenica attiva vuol dire: prendersi cura e assumersi una responsabilità nei
confronti del territorio che si abita; sviluppare consapevolezza del ruolo che ciascuno svolge all’interno della società
e adottare atteggiamenti e comportamenti rispettosi, inclusivo e dialoganti nei confronti degli altri, della collettività e
dei beni comuni; creare una cittadinanza planetaria che trascende i confini politici e considera l’umanità intera nella
sua relazione con la propria casa comune. L'Antropocene è un cantiere comune aperto a cui partecipa tutta
l'umanità; esso spinge a sviluppare una visione di cittadinanza planetaria che trascende i confini politici e
amministrativi e comprende l'umanità intera nella sua relazione col pianeta. Educare alla cittadinanza attiva vuol dire
comprendere che non ci siano soluzioni e risposte precostituite a problemi complessi e che un approccio
responsabile nei confronti del pianeta parte dall'ascolto delle posizioni, delle istanze e delle esigenze altrui e da un
approccio aperto al dialogo e al confronto.
In ogni contesto educativo si possono immaginare interventi in molteplici ambiti riguardanti le problematiche
dell'Antropocene: sensibilizzazione, informazione, comunicazione, sostenibilità ambientale, resilienza, accoglienza e
integrazione (tutte attività che si possono fare a livello globale e locale). Vi sono poi diverse attività da elaborare
nell'ambito scolastico, come le attività curriculari (ad esempio la cura di spazi verdi nella scuola oppure azioni
studentesche su temi come raccolta differenziata, risparmio energetico, ecc) o progetti sviluppati come istituto
scolastico anche in risposta a bandi e opportunità di finanziamento e in collaborazione con enti pubblici e
amministrazioni locali.

 3.4 Conclusioni
Il successo che ha investito il concetto di Antropocene lo ha reso un termine in grado di significare molte cose
diverse e non necessariamente coerenti tra loro. È un limite in quanto il concetto rischia di diluirsi in un ventaglio
troppo ampio e vago di significati, esemplificazioni, applicazioni e quindi di perdere incisività. È invece
un’opportunità in quanto può essere adattato a contesti, problemi e situazioni molteplici e quindi essere impiegato
per mettere al centro la moltitudine delle sue possibili declinazioni nei diversi contesti territoriali. L'approccio
geografico, come esemplificato dalla CIEG, consente di valorizzare le potenzialità implicite nel concetto di
Antropocene. Se per Antropocene si può intendere il riconoscimento del fatto che l'uomo è protagonista delle
trasformazioni del pianeta a scala globale, un approccio geografico ci permette di:
 riconoscere che tali trasformazioni si fondano sulle condizioni differenziate e specifiche dei diversi contesti
ambientali, sociali e culturali; analizzare le cause dei cambiamenti in corso;
 analizzare i problemi che ne derivano nelle diverse regioni della Terra e quali sono le possibili soluzioni;
 capire cosa significa abitare (anche dal punto di vista emozionale) un mondo in rapida trasformazione a
causa dell’azione antropica;
 quali sono le conseguenze socioculturali ed economiche del cambiamento globale;
 quali sono le responsabilità che emergono nello scenario dell’Antropocene nell’ottica di promuovere stili di
vita e comportamenti sostenibili;
 quali azioni si possono intraprendere, anche nella quotidianità, a favore della collettività.

Lo studio della geografia unisce emozioni e conoscenza, apprezzamento della bellezza e presa in carico dei problemi
del nostro spazio di vita, della nostra specie e del nostro pianeta. La vera sfida educativa sta nell’avere cura, in
quanto coinvolti e responsabili, del nostro futuro e delle specie presenti nel nostro pianeta. Prendersi cura è un atto
politico e quindi fondamentale dell'educazione alla cittadinanza.

4. L’antropocene, ovvero il riavvicinamento fra geografia fisica e umana di Marco Giardino


Originariamente il concetto di Antropocene è stato introdotto per definire il tempo in cui l'uomo assume un ruolo
preponderante nel condizionare la forma e i processi del nostro pianeta; i modi e le fasi in cui assume questo ruolo
sono correlati con la storia dell'umanità, mentre i luoghi sono ancora fortemente legati alla natura e alla storia della
Terra.

 4.1 La scienza del sistema Terra


La Terra viene definita come “un sistema complesso di processi fisici, chimici e biologici che interagiscono fra loro”
come un “laboratorio naturale in cui gli esperimenti sono in corso dall’inizio dei tempi”.
Secondo un approccio scientifico olistico ai fenomeni che regolano il funzionamento del nostro pianeta, la Terra
viene rappresentata attraverso una serie di sfere di influenza dei processi terrestri (litosfera, idrosfera, atmosfera,
biosfera...) che si sovrappongono e interagiscono in specifiche aree, caratterizzate da fenomeni in grado di
determinare l'aspetto del nostro pianeta. Ad es. i processi morfogenetici e pedogenetici si sviluppano all’interfaccia
fra le quattro sopracitate sfere terrestri principali, determinando la forma e le caratteristiche dei materiali superficiali
del nostro pianeta.
(Figura a pag. 73. Sfere terrestri e loro aree di sovrapposizione in cui interagiscono i relativi processi. L’asterisco
evidenzia l’area di azione dei processi morfogenetici e pedogenetici)
In questa visione rientra il concetto di Earth System Science, un modello di costruzione del sapere in cui le
conoscenze delle tradizionali discipline delle scienze della Terra si integrano con la biologia e altre scienze per
formare una conoscenza globale utile per valutare il ruolo dell'uomo nel condizionare la forma e i processi del nostro
pianeta. La scienza del sistema terrestre promuove la sintesi e lo sviluppo di un modello olistico in cui il processo e
l'azione disciplinari conducono ad un’interdisciplinarietà.
La geomorfologia, disciplina dedicata allo studio delle forme terrestri, offre contributi fondamentali allo sviluppo
della scienza del sistema terra, mentre la geomorfologia applicata approfondisce le mutue relazioni fra l’uomo e
l’ambiente geomorfologico. Nella sua formulazione classica, la geomorfologia si è dedicata alle analisi di terreno di
forme e paesaggi che possono essere colti nella loro interezza, dalla scala locale a quella regionale; compito dello
studio dei processi globali veniva lasciato all’astronomia e alla geofisica.
Il progresso delle metodologie di telerilevamento ha offerto nuovi strumenti alla ricerca geomorfologica per la
comprensione delle forme e dei processi che agiscono alla scala dell’intero pianeta. Lo sviluppo delle tecnologie
digitali ha permesso di effettuare analisi multi-scalari, collegando dati raccolti a scala di dettaglio in diverse località
per produrre sintesi cartografiche riassuntive. Ne sono derivate classificazioni geomorfologiche in grado di collocare
le forme della superficie terrestre in una gerarchia di dimensioni spaziali utile per inquadrarle nel contesto del
paesaggio. La classificazione proposta si inserisce nella tendenza della “geomorfologia globale” allineata al concetto
di Earth System Science. (Tabella pag.74 Gerarchia di scale spaziali e temporali in geomorfologia)
Su questa base si possono riconoscere le componenti dei sistemi naturali e descriverne il comportamento nel tempo
e nello spazio, individuando tendenze e scenari a breve e lungo termine, anche grazie alle nuove tecnologie. I
progressi dell'informatica, la nascita della geomatica e lo sviluppo dei sistemi informativi territoriali hanno fornito gli
strumenti per effettuare sofisticate analisi multidimensionali: è oggi possibile raccogliere ed elaborare con precisione
i dati sul cambiamento climatico-ambientali e interpretare a varie scale spazio-temporali le varie relazioni uomo-
natura.
Le nuove tecnologie sono di supporto sia all’analisi del contesto geografico-fisico generale, sia all’indagine locale,
tramite il rilevamento delle forme e il monitoraggio dei processi morfogenetici. Con questi strumenti è possibile
cartografare e interpretare la dinamica ambientale che quotidianamente interagisce con l’attività dell’uomo sul
territorio. (Foto pag.75 caratteri geografico-fisici e rappresentazione multidimensionale di fenomeni di instabilità
geomorfologica in ambiente alpino: settore Indren-Cimalegna, Monte Rosa)
In una tipica sequenza di ricerca, l'inquadramento geografico a scala regionale fornisce le dimensioni e i contorni
geografici dell'area (foto 4.2 a) in cui analizzare un problema geomorfologico, meglio definita e delimitata a scala
locale tramite modelli digitali del terreno e ortofotografie (foto 4.2 b, modello dell’area alla scala locale del
bacino/versante). Lo studio di terreno e la relativa cartografia geomorfologica (foto 4.2 c) esprimono sinteticamente
le relazioni tra forme e processi presenti nell’area, evidenziando i fenomeni (foto 4.2 d) in cui l'attività morfogenetica
può rappresentare un pericolo per la stabilità del paesaggio ed un eventuale rischio per l'uomo (rappresentazione di
un processo di instabilità, una colata detritico-torrentizia). I risultati dell'indagine possono essere estrapolati per
interpretare gli effetti regionali del cambiamento, definito con precisione su area vasta anche grazie all'analisi di
serie storiche di dati. Gli inventari e le sintesi regionali possono confluire nelle infrastrutture di dati usate per la
modellizzazione dei processi globali e per la ricostruzione di scenari evolutivi a vario termine. La geomorfologia
svolge un importante ruolo nella scienza del sistema Terra in quanto fornisce le basi per comprendere la natura delle
diverse forme che condizionano l'ambiente superficiale in cui si sviluppa la biosfera e per interpretare a dinamica dei
processi superficiali con cui l'uomo vorrebbe interagire in modo sostenibile.

 4.2 Cronologia dell'uomo e della natura


Per descrivere la storia della Terra gli scienziati si servono della scala dei tempi geologici prodotta dalla Commissione
Internazionale di Stratigrafia: è uno strumento in continuo aggiornamento, suddiviso in unità geocronologiche (ere,
periodi, epoche, età...) che descrivono lo scorrere del tempo in modo coerente per tutto il pianeta. Queste
suddivisioni sono materializzate in particolari corpi rocciosi definiti unità cronostratigrafiche, riconoscibili per il loro
contenuto e la discontinuità che le delimitano, rendendole correlabili alla scala locale e globale.
La ricerca cronologica in geologia viene paragonata a una clessidra che misura il trascorrere del tempo con la velocità
di caduta della sabbia. La quantità di sabbia rappresenta la parte conosciuta della storia terrestre, un arco temporale
di oltre 4,5 miliardi di anni.
Osservando le unità della scala dei tempi geologici [figura pag.77 schema a. ad estratti, b. e c. della più recente
versione della scala dei tempi geologici. Si notino le differenze di scala nella rappresentazione della scansione
cronologica della storia recente (migliaia di anni, parte alta della colonna b.) rispetto al passato geologico remoto
(centinaia di milioni di anni, colonna c.)] risulta evidente che la scansione cronologica aumenta progressivamente di
dettaglio avvicinandosi al presente. Dal punto di vista geologico noi oggi viviamo nell'Olocene (epoca interamente
recente), nel Quaternario (quarto periodo), nel Cenozoico (era della vita recente).
Per convenzione i tempi geologici sono misurati in milioni di anni e la scala inizia dal “tempo presente”: ciò pone
alcuni problemi di sincronizzazione e di sintonia con la misurazione dei tempi della storia umana. Il tempo presente
cambia: bisogna scegliere un valore standard di riferimento per l'inizio del conteggio dei milioni di anni. La data di
inizio della scala di età è stata posta al 1° gennaio 1950. Dopo questa data è difficile ottenere datazioni al
radiocarbonio, a causa dei test nucleari in atmosfera. L’inizio della cronologia dell’Era Comune rimane la nascita di
Cristo.
 4.3 Antropocene: tempo di cambiamento e luogo d'incontro
Il riconoscimento dell'Antropocene è subordinato all'individuazione nelle successioni stratigrafiche di un limite
riconoscibile a scala globale che testimoni il passaggio tra due momenti della storia della Terra ben diversi tra loro a
causa di cambiamenti irreversibili nella biosfera e nella geosfera del pianeta. Per scoprire l’esistenza e individuare la
cronologia precisa di un cambiamento globale recente della storia della Terra indotto dall’uomo, gli studiosi si sono
messi a cercare i segnali antropici più facilmente riconoscibili a scala planetaria, in particolare la ricerca si è
canalizzata su due aspetti:
1. Aspetti evolutivi: quali processi antropici possono produrre un record stratigrafico? Si può individuare un
limite geologico? Quando si colloca?
2. Aspetti funzionali: come si modificano le dinamiche dei processi terrestri per effetto dell’uomo? Che rischi ne
derivano?
Le ricerche hanno confermato la necessità di una sintesi tra i risultati delle due direttrici per arrivare a una
definizione e collocazione cronologica condivisa dell'Antropocene. Da ciò la convergenza di tutte le discipline delle
scienze del sistema Terra su un obiettivo comune: interpretare i segnali registrati nelle componenti delle sfere
terrestri in funzione dei relativi processi naturali e antropici per comprendere quali siano in grado di provocare
cambiamenti ambientali globali. L'Antropocene diventa anche luogo di incontro tra le scienze: tutte le ipotesi hanno
comportato un’analisi comparata degli aspetti evolutivi e funzionali del cambiamento globale. Per es. riportiamo gli
aspetti relativi alle tre ipotesi più accreditate:
1) L’ipotesi di un antropocene precoce: il suo inizio, posto circa 5.000 anni dal presente, è registrato in una carota di
ghiaccio della Groenlandia sotto forma di drastico aumento del metano e di anomalie di CO2 atmosferica. Questi
segnali indicherebbero i primi impatti globali dell’agricoltura estensiva, legati alla coltura del riso.
2) L’ipotesi culturale dell’Antropocene: il suo inizio nel 1610 che è registrato nella carota del ghiaccio antartico della
Law Dome, sotto forma di calo della CO2 atmosferica e di anomalie della temperatura globale rispetto alla media nel
periodo 1961-90. Questi effetti sarebbero la testimonianza dell’abbandono delle terre coltivate, del declino di grandi
centri abitati e dell’espansione della copertura forestale nel continente americano, conseguenze
dell’incontro/scontro fra i popoli del Vecchio e del Nuovo Mondo.
3) L’ipotesi bomba nucleare per un Antropocene con inizio intorno al 1964: gli effetti degli esperimenti in atmosfera
e del relativo fall-out atomico globale sono registrati in diversi marker ambientali: picco del radiocarbonio
atmosferico negli anelli degli alberi e altre anomalie radiometriche nei sedimenti marini e terrestri. Tra le
conseguenze delle attività antropiche ci sono anche il rapido aumento della CO2 atmosferica. L’avanzare delle
conoscenze sui cambiamenti ambientali e sulle variabili dei sistemi terrestri presenti e passati che li controllano
permetterà un giorno di individuare con più precisione quali fra le ipotesi di inizio dell’Antropocene possa essere
considerata la più aderente alla storia e al funzionamento del Pianeta Terra. La geografia svolgerà un ruolo
fondamentale per il suo carattere interdisciplinare. Dall'incontro tra geografia fisica e umana si ricavano elementi
indispensabili per descrivere ed interpretare l'impatto dell'uomo sulla natura.

6. Le migrazioni e l’Antropocene di Fabio Amato

 6.1 La centralità delle migrazioni internazionali


Dal 2015 il tema delle migrazioni internazionali è diventato centrale nelle agende politiche degli Stati europei, ma
anche negli Stati Uniti. Questo fenomeno è articolato e spazialmente diffuso e non può essere circoscritto. Negli
ultimi decenni le politiche migratorie si sono trasformate a causa di molteplici fattori: la crisi economica nata negli
USA nel 2008 e diffusa in tutti i paesi OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), gli effetti
delle primavere arabe che hanno interessato Medio Oriente e il Nord Africa, la crisi ucraina. Nello scacchiere
internazionale emergono nuove aree di potenziale emigrazione: Iraq, Afghanistan, Siria, Somalia, Sudan, Yemen,
Libia. Viste le condizioni di fragilità sociale ed economica dei paesi del Sud del mondo si capisce l'incremento dei
migranti, passati da 173 milioni nel 2000 a 258 milioni nel 2018. Il continente asiatico e quello europeo ne ospitano
quasi il 60%, seguiti dalle Americhe e dall'Africa.
Per Braudel il ruolo delle migrazioni è sempre stato rilevante nella storia della presenza umana sulla terra. La
progressiva occupazione del pianeta è stata il risultato di due forze congiunte: la capacità di riprodursi e accrescersi e
la capacità di muoversi e di migrare. Senza migrazioni non avremmo avuto la civilizzazione, e il conseguente impatto
sulla superficie terrestre è stato sempre più rilevante fino al punto da poter ipotizzare dall’800 in poi un’era
geologica, Antropocene, in cui il condizionamento dell’azione umana, almeno della parte della popolazione umana
del Nord, sia stato decisivo a livello globale. Le migrazioni nel 19° secolo hanno accelerato il numero degli
spostamenti, grazie al miglioramento della tecnologia e alle interconnessioni. Gli ultimi decenni sono ricordati come
quelli maggiormente interessati dal processo migratorio, ma è tra il 1850 e il 1920 che si è assistito al più grande
movimento di popolazione in proporzione al numero di abitanti della Terra: a cavallo del ‘900 si è mosso il 5% della
popolazione mondiale, oggi intorno al 3,3%. La maggior parte delle migrazioni dai paesi del Sud è guidata dalla
mancanza di sicurezza umana, espressa in impoverimento, ineguaglianza, violenza, negazione dei diritti umani e
strutture statali deboli.

 6.2 Disastri ambientali e migrazioni


Se osserviamo le ripercussioni dell'azione dell'uomo sulle migrazioni, un elemento indiscutibile è il ruolo svolto dalla
tecnologia, in particolare dal miglioramento dei vettori e dal proliferarsi degli strumenti di informazione e di
comunicazione che hanno favorito una compressione del tempo e dello spazio incredibile. La connessione a cui si
guarda è tra cambiamento climatico e la migrazione. Oggi, molte questioni ambientali possono responsabili dello
sfollamento e delle migrazioni e di solito sono raggruppate secondo la dinamica temporale della catastrofe (evento
imprevedibile e non controllabile) che le ha generate. Esistono casi di insorgenza lenta e cambiamenti ambientali
(desertificazione, innalzamento del livello del mare, degrado del suolo) e insorgenza rapida (cicloni tropicali, forti
piogge, inondazioni, terremoti ed eruzioni vulcaniche).
Un filone di studi ritiene che i principali fattori ambientali che possono causare spostamenti, e diventeranno più
significativi a causa del cambiamento climatico antropogenico, sono la maggiore potenza e frequenza di tempeste e
inondazioni, siccità e desertificazione e innalzamento del livello del mare. Tuttavia, i modi in cui questi cambiamenti
ambientali interagiranno con i movimenti della popolazione e la migrazione individuale restano ancora ipotetici.
Secondo Crutzen e Stoermer stiamo vivendo in un'epoca geologica in cui i modelli di produzione e consumo
determinano equilibri e squilibri ambientali: le attività umane alterano le forze della natura e hanno ripercussioni
sulla mobilità delle persone. Non è compito agevole individuare, misurare, classificare le migrazioni per cause
naturali. Il cambiamento climatico, la siccità, la desertificazione, i progetti urbani possono essere imputati di una
discreta mobilità che non è ben definita: i punti critici riguardano l'estensione del fenomeno, le aree coinvolte, le
cause scatenanti e il termine da usare per descriverlo. Spesso si parla di migranti ambientali, profughi ambientali o
profughi climatici, anche se la Convenzione di Ginevra riconosce lo status di rifugiato a chi è perseguitato per razza,
religione, cittadinanza, appartenenza sociale o per opinioni politiche. Sul tema si sono distinti due gruppi di studiosi
della mobilità ambientale che possono dividersi in allarmisti (di formazione naturalista) e scettici (di impostazione
umanistica).
Al centro dell'attenzione c'è il Sud globale e la sua vulnerabilità: i territori dell'Africa subsahariana, il subcontinente
indiano e l'area del Pacifico sono ricorsivi per gli allarmisti. Per il filone di studio minimalista il tema delle migrazioni
dovrebbe essere letto come un fenomeno sociale, economico, geopolitico non esclusivamente legato alla
dimensione ecologica o della protezione umanitaria. Risulta fuorviante concentrarsi sull’esistenza o meno di un
nesso causa-effetto tra migrazioni ambientali e attività antropica. Diventa rilevante l’uso di strumenti di misurazione
e delle proiezioni di scenari “globali” che sul tema delle migrazioni appare sempre più ricorsivo.
L'Africa subsahariana è al centro di riflessioni che riguardano la prospettiva di un'Europa invecchiata e spopolata che
diventerà terra di invasione di un'Africa giovane, che porta ad ipotizzare che nel 2050 l'Europa sarà popolata da
150/200 milioni di afro-europei.

 6.3 La naturalizzazione della categoria di Antropocene


Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, nel 2018 si sono registrati ben 28 milioni di sfollati in
correlazione con conflitti e disastri ambientali. Le aree maggiormente colpite sono l'Asia orientale e il Pacifico e l'Asia
meridionale. Dal 2008 al 2014, oltre 150 milioni di persone sono state costretti a spostarsi per eventi meteorologici
estremi. Le cause degli sfollamenti per motivi ambientali sono all'85%. È uno dei più recenti scenari su cui si fonda la
letteratura massimalista sulle migrazioni. Dietro questi rapporti si celano ipotesi di scenari futuri in considerazione
dell'aumento della temperatura. La Nansen Intitiative on Disasters, Climate Change and Cross-Border Displacement
ha promosso a Ginevra un incontro di consultazione globale con l'UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite sui
rifugiati) e l'OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni) per discutere di cambiamento climatico e delle
risposte politiche da fornire, tratteggiando spaventosi futuri per l'Occidente.
Nel Quinto Rapporto del 2014, il gruppo di lavoro IPCC II (Intergovernamental Panel on Climate Change) ha
sottolineato la pluri causalità e la natura complessa della migrazione ambientale. Fattori socioeconomici, misure di
adattamento e scenari di cambiamento climatico hanno un ruolo fondamentale. L'IPCC prevede un aumento dello
sfollamento di persone e definisce le regioni del mondo più colpite dai cambiamenti climatici: L'Artico, l'Africa, le
piccole isole, i mega delta asiatici e africani. Il cambiamento climatico e i disastri fanno riferimento a mobilità forzate
interne ad alcuni paesi; ciò lascia presupporre che i flussi migratori internazionali siano solo un'ipotesi. Possiamo
desumere due considerazioni:
 la prima scelta delle persone non è allontanarsi dal proprio paese; chi invece paga il vero prezzo è colui il
quale, in condizioni di estrema fragilità, non riesce a muoversi. Dietro le mobilità internazionali esistono
progetti di consapevolezza che impediscono alla povertà assoluta di muoversi (trapped population). Questo
conferma che dietro le mobilità internazionali esistono dei progetti che impediscono alla povertà assoluta di
muoversi.
 Inoltre, sempre più spesso, le migrazioni sono considerate una minaccia o un problema e si sottolinea poco
che i disastri ambientali colpiscono anche il Nord del mondo.
La pluralità delle cause di migrazioni del 21° secolo ci pone domande su temi sociali, economici, ambientali,
sollecitando le relazioni tra Nord e Sud del mondo e le categorie di giustizia legate alla vulnerabilità e accessibilità
delle risorse. In alcuni contesti scientifici questi effetti ambientali sono dettati dagli esiti del sistema economico
imperante. La tematica dell'impronta ecologica e la possibilità per una parte della popolazione mondiale di
proseguire lo sfruttamento delle risorse per salvaguardare certi livelli di consumo si correlano con un forte deficit
ecologico che impatta maggiormente nelle aree più svantaggiate del mondo in termini socioeconomici. Guardare con
preoccupazione agli effetti del cambiamento climatico nella prospettiva migratoria significa rimuovere il ruolo e la
responsabilità del sistema dominante di produzione e consumo che può assumere un nome geologico differente:
Capitalocene.

 6.4 E allora sono tutti migranti ambientali?


Le migrazioni hanno assunto aspetti e connotazioni più articolate dal 19° secolo in poi e che negli ultimi 40 anni ha
avuto un'accelerazione tale da essere definita era delle migrazioni. La crisi ambientale produce esiti drammatici in
più contesti la cui soluzione richiede tempo e un'inversione di rotta della logica di produzione. Il dibattito sul
rapporto tra cambiamenti climatici e migrazione è iniziato negli anni 80 ed è costituito da interessi diversi e
prospettive eterogenee: divisione Nord/Sud, giustizia ambientale e solidarietà globale.
La combinazione di queste criticità, segnatamente dei cambiamenti climatici, con l’accelerazione dei flussi migratori
in uscita dai paesi più fragili è un elemento di proiezione non privo di ambiguità: ritorna una visione deterministica
che stabilisce una correlazione diretta tra natura e uomo e oggetto dell’attenzione mediatica non è mai il Nord del
mondo. Piuttosto che guardare alla mobilità internazionale delle persone si dovrebbe inquadrare l’impatto dei
cambiamenti climatici sulle società più fragili in termini di adattamento vulnerabilità ed elasticità. In realtà appare
chiaro che si guarda alle migrazioni come a un problema e ai migranti e richiedenti asilo come a una minaccia; la
prospettiva della sicurezza si riferisce ai confini del Nord del mondo da tutelare e non alle condizioni di degrado e di
ingiustizia ambientale del Sud globale. Le mobilità ambientali sono movimenti a breve o lunga distanza.
Pur assumendo che si stia vivendo una nuova era cui diamo il nome di Antropocene chiunque emigri o si sposti in
questa epoca può essere considerato un migrante ambientale. Il problema è non solo quello di valorizzare la
dimensione politica della distribuzione delle ricchezze che possano sottolineare i nessi tra le diverse scale di governo
del territorio, ma anche quello di rendersi conto che proprio l’osservazione del fenomeno Antropocene tramite la
chiave della mobilità può essere utile per comprendere quanto in realtà ci si trovi al cospetto del Capitalocene.
Questo mette in rilievo ancor più gli aspetti degenerativi della struttura capitalistica contemporanea che in modo
sempre più “classista” polarizza le vulnerabilità non solo intergenerazionali ma soprattutto inter e infra-comunitarie.

7. Immaginari geografici e paesaggi letterari dell’Antropocene di Davide Papotti


Gli immaginari geografici della società trovano nella produzione letteraria un ambito di creazione, scambio,
circolazione. In ogni epoca la letteratura ha rappresentato insieme uno specchio degli immaginari geografici che
permeano le comunità umane e un luogo propositivo, in cui tali immaginari trovano un privilegiato fulcro di
catalizzazione, di messa a fuoco, di elaborazione linguistica e culturale.
Come afferma Sara Luria: “Un interesse per il ruolo del posto nella vita della letteratura, e il ruolo della letteratura
nella produzione di luogo è uno dei punti di convergenza emozionante tra la geografia e le scienze umane [...]
geografia può aiutarci a capire la letteratura e la letteratura può aiutarci a capire la geografia”.
Appare oggi interessante indagare il rapporto che la letteratura intrattiene con l'immaginario geografico sotteso al
concetto di Antropocene nella società contemporanea, caratterizzata dalla progressiva presa di coscienza
dell'impatto provocato dalle attività umane sul pianeta e da una profonda riflessione sulle nuove caratteristiche e sui
nuovi compiti cui la letteratura è chiamata, a fronte di fenomeni di cambiamento quali l'affermazione di nuove
medialità informatiche, la diffusa messa in discussione del ruolo pubblico delle discipline umanistiche e delle arti, un
crescente dominio della componente visuale, più che di quella verbale, nella comunicazione e nella circolazione di
idee.
La letteratura è in grado di illuminare le modalità con le quali l'impatto delle attività umane sull'ambiente viene
percepito, pensato e descritto nella produzione simbolica sociale.
Come afferma Diana Davis: "Proprio come la lettura di un paesaggio può dirci molto sui suoi usi passati, leggere e
prendere sul serio le storie sul paesaggio nel tempo può fornire una finestra sulle relazioni uomo-ambiente che sono
al centro dell'indagine geografica.”
 7.1 Antropocene, geografia, letteratura
È necessario specificare il significato delle parole chiave intorno alle quali si svilupperà il discorso. Per quanto
riguarda il concetto di Antropocene riprendiamo la definizione di Simon Lewis e Mark Maslin:
“Combinando le parole greche anthropos (uomo) e kainos (recente), gli scienziati hanno chiamato questo nuovo
periodo Antropocene, iniziato quando Homo Sapiens divenne una superpotenza geologica, facendo imboccare alla
Terra un nuovo percorso del suo lungo sviluppo. L’Antropocene è un punto di svolta nella storia dell'umanità, è un
nuovo capitolo nella cronaca della vita e un nuovo capitolo nella storia umana."

La metafora bibliografica “il nuovo capitolo” è quanto mai efficace. Una nuova era nella storia della Terra porta con
sé inedite opportunità di narrazioni che siano in grado di descrivere questo cambiamento. I cambiamenti necessitano
nuovi linguaggi. È importante riflettere sulle forme di descrizione letteraria dell’Antropocene, indagando le modalità
discorsive, verbali e narrative che intercettano il tema di un’era caratterizzata dall’impronta umana.
L’approccio geografico al dibattito sull’Antropocene appare prezioso. Lo studio dell’Antropocene va affrontato
partendo da diversi retroterra disciplinari. La geografia può contribuire con efficacia al ricco dibattito in corso sul
concetto di Antropocene e sulle use applicazioni.
Al di là delle preoccupazioni sulla definizione del termine Antropocene, risultano di particolare interesse le “sfide
morali, culturali e politiche che l’Antropocene sta amplificando”, appare urgente dedicare qualche riflessione alle
modalità narrative attraverso le quali il discorso sull’Antropocene viene alimentato:
“La letteratura dell'Antropocene invita a riconsiderare le condizioni politiche, economiche e sociali che precipitano le
crisi qui esaminate. Un attento sguardo alla radice culturale e sociale, e che le soluzioni tecnocratiche spesso
discussa da interessi aziendali e tecnologi saranno dieci” - Gualtieri.

In questa sede si svolgeranno alcune riflessioni sul ruolo che un approccio geografico alla fonte letteraria può offrire
alla comprensione delle caratteristiche della nuova era dominata dalla presenza antropica.

 7.2 Le due opere prese in considerazione


Prendiamo ora in considerazione la letteratura di due autori francesi: Héléne Grimaud con Variazioni Selvagge (2006)
e Sylvain Tesson con Nelle foreste siberiane (2012). I due testi nascono in contesti di scrittura differenti. Il primo è
l'esordio narrativo di taglio autobiografico della pianista e appassionata paladina della difesa di una razza animale
che ha da sempre incarnato un ruolo centrale nella rappresentazione dello spirito della natura: il lupo. Il secondo
racconta l'esperienza di soggiorno di 5 mesi dello scrittore e giornalista, ritiratosi in totale solitudine in una baita sul
lago Bajkal, in Siberia.
Si tratta di due opere non di finzione, ma di narrazione autobiografica. L’attenzione critica si indirizza verso un tipo di
narrativa utile per indagare il ruolo che il pensiero sul futuro del pianeta occupa all’interno di una riflessione
personale sulla propria vita.

 7.3 Spunti e riflessioni sull’Antropocene a partire dalla fonte letteraria


La fonte letteraria può risultare utile per la comprensione del concetto di Antropocene e per esemplificare la
complessità delle implicazioni sociali, politiche, culturali, psicologiche che la nuova epoca porta con sé.
Per concepire il concetto di Antropocene, occorre avere un indirizzo di pensiero che non si è accordato sulle modalità
della nostalgia. Lo sguardo deve essere rivolto avanti, non indietro.
Ce lo ricorda Grimaud, nell'incipit: “No, nessuna nostalgia dell'infanzia. In tutti questi anni, non ho mai vagheggiato
un paradiso perduto, ma un paradiso da trovare: altrove, in attesa."
La dimensione temporale si coniuga con quella geografica: la figurazione di un paradiso, terra per eccellenza di un
altrove, assume sia un significato cronologico-autobiografico, sia un significato geografico.
La commistione fra dimensione temporale e dimensione spaziale appare una sfida chiave per l'immaginazione di un
futuro, ne è un esempio un'altra frase di Grimaud: "La Camargue era più di un paesaggio: la fugaci avvisaglia,
l'intuizione folgorante di un'armonia tra me e un avvenire. Là, per la prima volta, ebbi il presagio di grandi cose, il
presagio di un destino". Se sono i luoghi a costruire le premesse di una realizzazione individuale, allora la loro
conoscenza e protezione diviene un elemento di prima importanza.
La centralità di un pensiero e di una memoria che procedono seguendo un principio di organizzazione e di ispirazione
geografico rappresenta un indizio confessato anche da Tesson: “Io ho una memoria geografica: più che i volti e le
conversazioni, ricordo l'atmosfera il carattere dei luoghi ".
Il pensiero autobiografico, avviato intorno a una riflessione sul significato dello scorrere del tempo, appare una sede
letteraria fruttuosa per analizzare la prospettiva dell'Antropocene, concetto che nasce da un confronto fra passato e
presente, unitamente a un’immaginazione del futuro.
Un elemento accomunante gli immaginari geografici dei due autori è il paese che si trova a incarnare il ruolo di
catalizzatore dei pensieri sull'altrove. Entrambi gli autori convengono, in quanto a focalizzazione di uno
scenario spaziale privilegiato, verso la Russia. Torna ad essere centrale una dimensione di irriducibilità spaziale
fondata sulla profondità fisica della distanza, incarnata nel più grande Stato del Mondo. La Russia è in grado di
primeggiare nell’immaginazione occidentale anche perché offre uno sterminato retroterra geografico, che si estende
per migliaia di km nella sempre favoreggiata Asia.
Grimaud opera una sorta di inversione della prospettiva: se c'è qualcosa di profondamente umano
nell’immaginazione geografica, si tratta proprio della concezione del tempo atmosferico. L'autrice lo proietta invece
dal punto di vista del mondo vegetale e animale.
La riflessione sull’Antropocene, sulla condizione attuale dell’umanità nel mondo, sembra non poter prescindere da
un recupero del tema della ferinità, da una ridefinizione del concetto di “selvaggio”. Nel momento in cui il dominio
dell’uomo appare sempre più pervasivo e ubiquo, risulta naturale riflettere sull’essenza di ciò da cui ci si è
allontanati. Nell’epoca storica in cui l’artificialità (capacità antropica di incidere sull’equilibrio stesso del pianeta) ha
raggiunto il suo apice, è cruciale riflettere sul concetto di wilderness.
L'interesse di Grimaud per il mondo animale si riflette sull'immaginario correlato al concetto di selvaggio.
L'imprinting geografico, nel pensiero di Grimaud, influenza l'immaginario animale sviluppato nella cultura di una
nazione.
Da parte sua Tesson ricorda, citando Elisée Reclus, come la sfida del futuro risieda nel riappropriarsi della
dimensione selvaggia nascosta nella natura umana: la relazione fra l’umanità e il mondo degli animali rimette in
gioco una questione chiave dei nostri tempi: le tipologie dei possibili rapporti fra esseri umani e natura.
Le pagine di Grimaud riportano alla centralità una questione cruciale nell'era dell'Antropocene: quale è il rapporto
che può sussistere fra un individuo e la natura? La pianista francese riflette su un concetto importante, quello di
abitare. Verbo importante che ha seguito le regole dettate da un dominante urbanesimo e assecondato logiche di
scelta quasi interamente basate sul potere d’acquisto e su criteri eminentemente economici. L'azione dell’abitare
risulta centrale per una riflessione sulle geografie contemporanee. Grimaud recupera nelle sue riflessioni una
dimensione ancestrale dell'abitare, legata alla presenza e vicinanza degli elementi naturali primari:
“Ho sempre avuto bisogno di vivere vicino all'acqua, a un fiume almeno, e di pensare che l'oceano fosse lontano. Un
fiume, un ruscello, un sorgente, per sentire sempre la musica dell'acqua viva, legato, rubato, sinuosità inafferrabili
come lo strisciare dell'erba di un serpente, e infuocato verde, la cui eleganza non sarà mai loggiato a sufficienza.
Fiume serpente: forza e lentezza, getto e sinuosità, fluidità e rivolta. Avere l'acqua accanto è per me una valigia
sempre pronta, un biglietto open in fondo alla borsa: una potenziale libertà.”
L'autrice percepisce il paesaggio circostante attraverso l’impronta interpretativa del soundscape, degli aspetti sonori
della spazialità. Il suono diventa criterio interpretativo chiave per la comprensione dei paesaggi.
Sul concetto di abitare, Tesson riflette invece sull'impronta ecologica che le nostre case, congiuntamente al nostro
stile di vita, hanno sul territorio, e tesse un elogio della capanna, intesa come unità abitativa ecologicamente
compatibile ed esistenzialmente appropriata. L’elogio di una forma abitativa dall’impronta ecologica leggera, la cui
traccia sul territorio è facilmente reversibile e i cui materiali costruttivi sono biodegradabili, rappresenta un monito
importante per un periodo, quale l’Antropocene, che, in nome dell’edificazione urbana, consuma una sempre
maggiore quantità di materiali artificiali da costruzione e costruisce le premesse per un consumo energetico e per
un’impronta ecologica sempre crescenti.
L’apprezzamento per una “nicchia abitativa” ecologicamente compatibile viene rafforzato da un parallelo elogio
dell’immobilità. Se il mondo contemporaneo è caratterizzato da un’inusitata mobilità, se l’Antropocene stesso è
contraddistinto da un livello di spostamenti mai sperimentato dalla specie umana, il vero privilegio diventerà in
futuro quelle della stabilità e della residenzialità.
Nell’era dell’Antropocene, il ruolo delle riserve naturali, delle aree in cui l’impatto umano è stato volutamente
limitato e ridotto, acquista un significato paradigmatico ed esemplare.
La resistenza della dimensione della wilderness si oppone al dominio umano che caratterizza statutariamente
l'Antropocene. Tesson, immerso nel paesaggio siberiano, avverte questa capacità di resistenza delle aree meno
toccate dalla presenza umana.

Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse della natura da parte dell’uomo viene interpretato da Tesson
attraverso il paragone fra il comportamento antropico e le leggi della fisica. Tale opera di predazione delle risorse
naturali non è soltanto materialmente percepibile e quantitativamente rilevante.
Essa produce anche un forte impatto sulla qualità della vita, e sulla cultura che permette di apprezzare le
componenti di tale qualità.
Tesson identifica la perdita del senso estetico come uno degli aspetti caratterizzanti l'epoca contemporanea.
L'antropocene, in questa prospettiva di lettura, appare dunque anche un'età caratterizzata da una perdita di gusto,
da un'affermazione diffusa della bruttezza, in cui l'abbandono del senso estetico non soltanto segna uno scadimento
dell'aspetto esteriore delle cose, ma si fa sintomo di un malessere esistenziale profondo.
Per recuperare un senso ampio e disteso della bellezza esistente sulla Terra bisogna risalire controcorrente rispetto
al dominio antropocentrico, che dà il nome alla nuova era, per recuperare un respiro di visione più ampio, in grado di
apprezzare il ruolo che possono avere il mondo inanimato, il mondo vegetale il mondo animale che dispiegano le
proprie bellezze attorno a noi.
Il ragionamento di Tesson non procede per antitesi: riflettendo sulla scomparsa di alcuni elementi e condizioni del
mondo, provocata proprio dalle scelte di vita che hanno determinato le condizioni di nascita dell'Antropocene,
Tesson identifica i valori che caratterizzano la ricerca di condizioni di esistenza nel prossimo futuro:
“Il freddo, il silenzio e la solitudine sono condizioni che un giorno si pagheranno a peso d’oro. 1500 km più a sud
ribolle la Cina, dove un miliardo e mezzo di esseri umani tra non molto resterà senz'acqua, senza boschi, senza
spazio. Vivere tra alberi d'alto fusto vicino alla più grande riserva di acqua dolce del mondo è un lusso. Un giorno lo
capiranno anche i petrolieri arabi, i nuovi ricchi indiani e gli uomini d'affari russi che combattono una noia nei saloni
di marmo dei grandi alberghi. Allora sarà tempo di salire verso latitudini più alte spostarsi nella tundra. La felicità
abiterà oltre il sessantesimo parallelo Nord.”
Grimaud propone una riflessione molto interessante a tal proposito, ragionando sul fatto che la paura non può
essere l’unico punto di partenza per la strutturazione di un cambiamento davvero radicale e sentito. L’educazione a
un comportamento più responsabile non può avvenire soltanto attraverso una prospettiva catastrofica che mette di
fronte a scenari minacciosi e apocalittici, ma deve attraversare anche una pars costruens che ponga le basi per un
apprezzamento e una valorizzazione consapevole nei confronti delle forme d vita non umane e dell’equilibrio
ecologico dell’ecosistema terrestre.

 7.4 Prospettive didattiche per l’utilizzo della letteratura nello studio dell’Antropocene
La fonte letteraria rappresenta un proficuo luogo di riflessione per pensare le caratteristiche dell'Antropocene.
Attraverso la pluralità delle voci si può comporre un utile mosaico di punti di vista. L’uso congiunto di pagine
narrative e di testi saggistici sembra costituire un promettente strumento di comunicazione riguardo la complessità
delle questioni in gioco nella discussione su queste tematiche.
La dimensione comparatistica offerta dalla letteratura permette un’analisi a largo spettro delle aree sociali e culturali
in cui il pensiero legato all’Antropocene si è consolidato e diffuso. Attraverso il coinvolgimento dei testi letterari si
può anche proporre uno sguardo critico in grado di leggere con attenzione i processi in corso, di decodificarli,
analizzarli, in una crescita di consapevolezza che appare eticamente doverosa.

 7.5 Conclusioni
Il successo del termine Antropocene, al di là della effettiva diffusione popolare risiede in una accresciuta
comprensibilità del termine stesso, correlata anche alla formazione di un humus culturale in grado di comprendere
le coordinate di fondo che hanno reso necessaria l’introduzione di questo termine nel dibattito scientifico.

Parte Seconda: Casi e luoghi della geografia dell’Antropocene


9. Gli uomini e le foreste nell’Antropocene di Giacomo Zanolin
“Gli esseri umani dipendono dagli alberi quasi quanto dei fiumi e del mare, a essi ci lega un'intima relazione culturale
e spirituale ma anche fisica: un vero scambio di ossigeno e anidride carbonica " - Roger Deakin
Quindi una relazione basata su fattori sia biologici sia antropici; per questo lo studio delle regioni boschive
rappresenta un ambito di indagine privilegiato nel contesto delle ricerche sull'Antropocene, soprattutto dal punto di
vista della geografia umana.
Per far fronte a esigenze connesse al proprio sostentamento, gli esseri umani hanno interagito con i boschi in molti
modi, sfruttandone le risorse oppure strappando essi spazi funzionali ad altre attività economiche. In alcuni periodi
storici sono stati marginati per privilegiare lo sviluppo di spazi agricoli o di aree urbane, mentre altri casi sono stati
posti al centro di attività agro-silvo-pastorali su cui si sono basati interi sistemi economici di lunga durata. La storia
del rapporto tra uomo e boschi è segnata da alterne fasi di forestazione, deforestazione e riforestazione, che dal
punto di vista geografico possono essere analizzate come declinazioni specifiche del processo di territorializzazione,
deterritorializzazione e riterritorializzazione, e quindi del processo di appropriazione della natura attraverso il suo
controllo simbolico, materiale e organizzativo.
I boschi sono quindi una formidabile fonte per la ricerca incentrata sull'ambiente inteso come configurazione della
territorialità, ovvero come forma territoriale della natura ed elemento di base del processo specificamente umano di
costruzione sociale di rafforzamento di consapevolezza di sé da parte degli individui e delle comunità.
Ci poniamo una domanda che riguarda il significato dei boschi e delle foreste nell'Antropocene, e dei possibili
approcci alla ricerca in questo ambito del punto di vista della geografia umana.

 9.1 Cenni teorici sull’antropocene


Da quando il termine Antropocene è stato proposto da Crutzen e Stoermer (2000) come concetto utile per studiare i
cambiamenti avvenuti nella relazione tra l'uomo e pianeta Terra a partire dal XVIII secolo, il suo significato è stato più
volte rielaborato. Un primo punto di riferimento è stato dato dagli studi di Zalasiewiez et al., i quali offrono strumenti
essenziali necessari per definire l'antropocene come epoca geologica successiva all’Olocene. L’unità di questi lavori
consiste nella loro capacità di porre una visione sistematica dei processi, essenziale nel caso dei boschi per
avvicinarsi a essi in una prospettiva globale e interdisciplinare.
C'è chi parla di un'accelerazione dei processi a metà del XX secolo e chi invece parla addirittura di Paleo-
Antropocene, cercando nella preistoria i segni di una crescente capacità trasformativa dell'uomo. Si tratta di
posizioni tra loro molto distanti, che però sono centrali dal punto di vista dello studio dei boschi nell'Antropocene, in
quanto non è possibile negare il fatto che l'uomo abita e trasforma i boschi fino dall'antichità.
È interessante la posizione di chi parla di Earky Anthropogrnic Hypotesis, pensando che l'antropocene abbia avuto
inizio con la Rivoluzione agricola neolitica. I sostenitori dimostrano che l'avvio dell'attività agricola umana ne abbia
gradualmente modificato la concentrazione, segnando di fatto, fin nel tardo Olocene, un fortissimo impatto
antropico sulle dinamiche chimiche terrestri. Si tratta di una posizione molto interessante dal nostro punto di vista
quanto permette di approcciare lo studio del rapporto tra l'uomo e i boschi non tanto in termini di impatto
ambientale, quanto piuttosto di relazioni tra entità naturali che interagiscono biologicamente e culturalmente.
Occorre cercare di comprendere se e in che modo nella contemporaneità il rapporto tra uomini e boschi stia
assumendo un significato specifico.

 9.2 Le foreste e l’Antropocene


A partire almeno dalla Rivoluzione neolitica l'uomo ha avviato un processo di graduale frammentazione delle
superfici forestali, che oggi si presentano con una distribuzione irregolare sul pianeta. Si tratta di un fenomeno
correlato al graduale processo di perdita di biodiversità che ha caratterizzato tutto l’Olocene. Da questo punto di
vista potremmo quindi considerare la deforestazione del pianeta come uno dei più evidenti segni del fatto che da
lungo tempo ci troviamo nell’Antropocene.

Smil ha stimato che attraverso l'agricoltura, la pastorizia, la deforestazione e le bonifiche, negli ultimi 2000 anni gli
uomini abbiano ridotto del 45% la massa vegetale globale. Il processo di deforestazione della Terra rappresenta
quindi uno dei più significativi elementi che sintetizzano la trasformazione del paesaggio ad opera dell'uomo. Negli
ultimi 250 anni circa il processo ha subito un'accelerazione, a partire dall'avvio della Rivoluzione Industriale, l'uomo
ha aumentato la propria necessità di spazi per attività economiche abitative, in linea con l'aumento della
popolazione e l'allargamento alla scala globale delle attività economiche.
Si stima che dalla preistoria oggi le perdite maggiori abbiano ricordato le foreste nelle fasce temperate, seguite dalle
foreste subtropicali. Attualmente, a fronte di una perdita dell'1% delle foreste presenti sulla superficie terrestre tra il
1990 al 2015, si nota un graduale rallentamento nel tasso di riduzione, dovuto soprattutto al processo di
riforestazione in alcune regioni, che sono stati particolarmente intensi soprattutto tra il 1990 e il 2010. Tra il 1960-
1990 vi è stata una perdita di foreste primarie senza precedenti, pari per esempio al 30% in Indonesia e al 9% in
Brasile. Dopo aver riguardato per lungo tempo le foreste Europee e del Nord America, il fenomeno si sta quindi ora
spostando verso le regioni tropicali e subtropicali. La deforestazione non è, tuttavia un processo inevitabile
irreversibile. Lo dimostra il fatto che in molti paesi dell'Asia orientale, dell'Europa Mediterranea del Nord America, si
registra negli ultimi anni un trend positivo definito forest transition, ed è da considerarsi collegato all'abbandono di
pratiche colturali tradizionali per ragioni economiche, di conseguenza all'avvio di flussi migratori dalle aree rurali e
quelle urbane. La rinascita delle foreste a numerose cause, a livello generale possiamo individuare alcune cause
principali: è stata resa possibile la crescita e la messa a dimora di nuovo legname perchè le vecchie foreste erano
state rimosse, gli incendi boschivi sono stati maggiormente controllati, i terreni agricoli sono stati abbandonati e
riportati alla foresta e la domanda di legname di prodotti derivati del legname è diminuita.
Le nuove foreste derivanti dall'abbandono dell'agricoltura non hanno infatti la medesima forza di quelle originarie, i
nuovi ecosistemi impiegheranno molto tempo per raggiungere una condizione di stabilità interna tale da consentire
loro di superare i momenti critici quali incendi e siccità. Le attività agricole tradizionali hanno contribuito per molto
tempo per preservare i boschi e le foreste. A lungo gli uomini hanno quindi deforestato, ma hanno anche interagito
in maniera costruttiva con gli ecosistemi forestali. Il risultato è che in molti casi oggi boschi e foreste necessitano
dell'intervento umano per sopravvivere in buone condizioni. In questi casi l’abbandono porta al degrado ed espone
le foreste a un maggiore rischio di distruzione. L’aumento del numero di incendi è da considerarsi legato a questo
motivo. Le sfide ambientali che i boschi e le foreste si ritrovano oggi ad affrontare sono molte, ad esempio:
inquinamento atmosferico, modificazioni genetiche di alcune specie, adattamento al cambiamento climatico.

 9.3 Le foreste pluviali di latifoglie tropicali e subtropicali: l’Amazzonia nell’Antropocene


L’Amazzonia è stata descritta come una sorta di paradiso, in cui la natura regna incontrastata, libera dalla mano
dell’uomo. Si tratta di un approccio coloniale che produce una narrazione basata sul concetto wilderness, come
strumento per sminuire il ruolo svolto dall’uomo nella regione amazzonica e descrivere le società locali come
primitive e culturalmente arretrate. Numerose evidenze di carattere antropologico, archeologico, geologica
dimostrano che il suono amazzonico ha subito importanti modificazioni a causa dell'attività umana fino all'epoca
preistorica e che la foresta amazzonica ha prosperato per gran parte della storia umana. Lo straordinario sistema
ecologico scoperto dai colonizzatori europei era la prova del fatto che l’uomo può modificare l’ambiente senza
distruggerlo.
Sulla base di molte prove scientifiche, l'Amazzonia può a tutti gli effetti essere descritta come una foresta
antropizzata, talvolta definito in bibliografia come foresta culturale o oligarchic forest.
La metà degli alberi effettivamente presenti nelle foreste amazzoniche sono quelli che maggiormente hanno
beneficiato delle interazioni con la comunità indigene, perché sono stati coltivati oppure perché le modifiche
introdotte per far spazio ad attività insediativo culturali hanno favorito la costruzione di un habitat al loro congeniale.
Queste piante sono in definitiva una risorsa durabile derivate dall'interazione tra uomo e natura, funzionali al
mantenimento sia degli ecosistemi, sia dei sistemi economici. L'impatto dell'attività coloniale predatoria è stato
devastante, perché ha sottratta la foresta al fondamentale sapere della popolazione locali, generando uno squilibrio
che oggi sta causando danni molto gravi e singole che sistemi e più in generale all'intero sistema amazzonico. Negli
ultimi decenni tale processo è diventato sempre più importante e ancora oggi non accenna rallentare.
Utilizziamo come esempio la storia recente del Parco nazionale Yasuni in Ecuador. A partire dal 2013 il presidente
Correa ha iniziato a promuovere una politica economica votata a risollevare le sorti del paese grazie allo
sfruttamento delle ingenti risorse petrolifere disponibili nel sottosuolo continentale e oceanico. Una delle aree più
ricche è il blocco ITT (Ishpingo- Tambococha- Tiputini). Il presidente nel 2007 si è impegnato a tutelare l’area
avviando una campagna attraverso la quale l’Ecuador ha chiesto al mondo l’aiuto per compensare i mancati
guadagni derivanti dalla decisione di non estrarre petrolio all’interno del parco allo scopo di tutelarne l’ecosistema e
di garantire alle popolazioni locali il diritto a vivere nelle loro terre. Il fondo Yasuni-ITT è stato liquidato e in una
piccola porzione del parco è iniziata l’estrazione. Naturalmente questo ha avviato una intensa lotta ambientalista,
nel 2018 è stato avviato un referendum per bloccare l’iniziativa PetroAmazonas. L’importanza di Yasuni non sta solo
nella ricchezza del suo sistema ecologico, ma anche nel suo valore simbolico. Una testimonianza del ruolo che
l’uomo potrebbe svolgere sul pianeta se solo volesse.

 9.4 Le foreste di latifoglie e le foreste miste temperate: i boschi europei nell’Antropocene


I forti tassi di urbanizzazione hanno portato all’abbandono di molte regioni montuose e collinari, che in passato sono
state fortemente sfruttate per scopi agro-silvo-pastorali. Fin dall’antichità l’economia delle civiltà europee ha
intessuto un importantissimo legame con i boschi. Il continente europeo presentava un aspetto decisamente diverso
rispetto a quello attuale e che un imponente sistema forestale ne caratterizzava le forme all’inizio dell’Olocene. Oggi
rimangono pochi lembi, tra cui la foresta di Bialowieza, al confine tra Biellorussia e Polonia, riconosciuta dall'UNESCO
come Patrimonio dell’Umanità e Riserva delle Biosfera. Una delle più importanti foreste vergini d’Europa è la foresta
Perucica, in Bosnia ed Erzegovina.
Il concetto di foresta vergine è realtà difficilmente applicabile in Europa. Questa definizione si riferisce a ecosistemi
forestali sviluppati in condizioni naturali, senza l'influenza di attività antropiche. Queste foreste non vanno confuse
con quelle comunemente dette naturali, cresciute sulla linea di successione naturale. Le foreste naturali in passato
hanno risentito di attività antropiche, ma da tempo sono soggette a un regime che esclude interventi dell'uomo e
perciò presentano strutture e composizioni assai vicine a quelle delle foreste indisturbate. Pare evidente che in
Europa, piuttosto che di foreste vergini sarebbe più corretto parlare di foreste naturali oppure di Old Growth Forest
(foreste vetuste), foreste che rispondono a determinati requisiti e presentano popolamenti forestali che in passato
sono stati utilizzati dall'uomo, ma che attualmente sono molto vecchi in condizioni di buona naturalità, avendo avuto
la possibilità di evolversi per decenni o secoli in assenza di intervento antropico. A livello globale circa il 50% delle
foreste delle regioni temperate può essere considerato vetusto, mentre le foreste vergini sono concentrate
soprattutto nelle regioni boreali e tropicali, come il Canada, il Brasile e la Russia. Mentre in Italia e non se ne trovano.
 9.4.1 Ibridazioni: il bosco come elemento del territorio.
Gli ambienti forestali europei sono nelle quasi totalità ibridi, risultanti dall'interazione plurisecolare tra uomo e
natura. Per lungo tempo i boschi sono stati elementi fondamentali dell'economia agraria, configurandosi come
elementi chiavi di sistemi socioeconomici rurali basati sulla selvicoltura e sul pascolo. Tale intensa interazione di
lunga durata ha di fatto portato alla radicale trasformazione degli ecosistemi. Il semplice rilevamento del fatto che i
boschi europei sono ibridi non è sufficiente. Occorre notare che il processo di riforestazione in atto non è positivo in
senso assoluto, al contrario molti casi esso causa una perdita di biodiversità. Si rivela pertanto come un ennesimo
segno della criticità ambientale derivante dal cambiamento contemporaneo relativo alle pratiche antropiche. Non
solo quando toglie spazio alla natura l'uomo dimostra la propria capacità di esercitare un impatto negativo sul
pianeta terra, bensì anche quando estromette sé stesso dalla natura, abbandonandola dopo che per secoli l’ha
trasformata e resa dipendente da sé. I boschi europei possono essere considerati come degli antromi, ovvero dei
biomi in cui funzionamento è basato sull'interazione tra uomo e natura, e quindi eliminare la variabile uomo significa
nella gran parte dei casi destabilizzarli.

 9.4.2 Narrazioni: il bosco e la rappresentazione del territorio.


Tutto questo ci permette di riflettere sul valore narrativo che i boschi dell'Antropocene assumono nella
contemporaneità. I significati attribuiti ai boschi nell'attualità sono al contrario derivati dall'abbandono: la
rappresentazione relativa ai boschi deriva dalla città, non emerge dalle pratiche bensì dalle rappresentazioni
prodotte lontano da essi. Un processo iniziato già nel ventesimo secolo con la nascita dei primi parchi nazionali in
Nord America e in Australia e l'affermazione di una retorica della wilderness ancorata a valori romantici e
trascendentalisti.
Interessante è l’esperienza dell’area wilderness della valle Vesta per mettere in evidenza come la narrazione della
wilderness applicata a un territorio risultante da processi storici di lunga durata rappresenti un fattore di criticità P
assai rilevante, in quanto mistifica il reale significato dei processi di ibridazione ed entra in contraddizione con
l’Antropocene.
La valle Vesta, rappresenta una testimonianza eccellente del potenziale ruolo dell’uomo nella creazione di ecosistemi
vitali e ricchi di biodiversità. Un discorso speculare può essere proposto per la Riserva integrale di Sasso Fratino,
localizzata al confine tra Toscana e Romagna. Si tratta di uno dei boschi italiani meglio conservati, non a caso inserito
nell’ elenco delle Foreste primordiali dei faggi dei Carpazi e di altre regioni d’Europa. Dal punto di vista forestale il
Sasso Fratino può essere definito come una foresta vetusta, è stato decisamente più contenuto rispetto alle aree
circostanti. L’idea della riserva integrale è interessante per la nostra riflessione in relazione al tema della wilderness.

Anche le zone wilderness ad oggi sono zone di protezione per la normativa italiana. Pare che l'idea della riserva
integrale sia la più efficace dal punto di vista dell'Antropocene. Infatti, in quest'ultimo caso non c'è nessuna volontà
di costruire una narrazione volta nascondere un eventuale passato sfruttamento, molto semplicemente si prende
atto che determinate zone possiedono alti valori ecologici in virtù di un debole sfruttamento antropico storico e si
decide di intervenire dal punto di vista normativo per preservarne i valori a scopo scientifico. L’istituzione di una
riserva integrale implica un progetto territoriale molto particolare in quanto all’interno di essa l’uomo si impegna
volontariamente a non intervenire per avere un terreno nel quale studiare i meccanismi che regolano gli ecosistemi
forestali, raccogliendo informazioni potenzialmente utili per sviluppare strategie di gestione in altri ambiti più deboli
dal punto di vista ecosistemico.
Un ulteriore esempio ci pare interessante per riflettere sul rapporto tra l’uomo e i boschi nell’epoca attuale: la
Riserva della Biosfera Transfrontaliera, che comprende il Parco nazionale Peneda-Gerês e il Parco naturale Baixa
Limia-Serra do Xurés. a Il Parco nazionale Peneda-Gerês presenta numerosi elementi di interesse in relazione con il
processo, che ha portato alla costruzione di un paesaggio montano tipicamente alpino. Il governo portoghese ha
promosso un processo di identificazione nazionale e di proiezione della stessa sulla scala europea. Il Parco naturale
Baixa Limia-Serra do Xurés, nato negli anni Novanta per volontà del governo autonomo gallego, che aspirava ad
affermare la propria autorità, simbolica e istituzionale, creando un’area protetta che replicasse quella portoghese.
Sui due lati del confine, quindi, le due aree protette si fronteggiano utilizzando narrazioni basate sui valori
naturalistici per affermare principi di carattere identitario. Per questo motivo risulta particolarmente interessante
l’istituzione nel 2009 della Riserva della Biosfera Transfrontaliera Gerês/ Xures, rappresenta l’occasione per
affermare, un principio di unità tra i popoli al di là dei confini statali. In realtà le analisi condotte dimostrano che
sotto molti punti di vista tale idea rimane sulla carta. Si tratta tuttavia di un’ottima occasione per riflettere su come i
valori naturalistici connessi ai boschi e alle foreste siano in molti casi utilizzati come strumenti narrativi per
promuovere progetti politici o territoriali al di là del reale valore e significato.
 9.5 Conclusioni.
In questo contributo si è cercato di considerare l'Antropocene come un problema tempo stesso epistemologico e
ontologico. L’Antropocene si configura insomma come un problema strettamente connesso alla condizione
postmoderna e pervade la contemporaneità. Può infatti essere inteso come una manifestazione della dimensione
riflessiva della modernizzazione. Attraverso l’Antropocene possiamo fare sintesi di molte forme di pensiero maturate
nel corso del XXesimo secolo, destreggiandosi all’interno di esse: provare a districare la densa matassa dei fenomeni
politici, economici sociali e culturali che si manifestano in forme paesaggistiche, locali e ambientali come
configurazioni della territorialità. Infine, l'Antropocene implica anche una serie di valori etici legati alla definitiva
assunzione di una consapevolezza relativa al ruolo dell’uomo all’interno della natura ibrida, che proprio in virtù di
questa sua caratteristica merita di essere tutelata. Studiare l’Antropocene significa assumere la consapevolezza del
fatto che negli ultimi duecentocinquanta anni l’atteggiamento predatorio dell’uomo e la sua capacità di generare
squilibri negli ecosistemi forestali hanno raggiunto la dimensione globale. Forse il valore ultimo della teoria
dell’Antropocene è un pensiero adeguato all’attualità che implica la necessità di nuovi comportamenti in campo
economico, politico, sociale e culturale; la base su cui costruire progetto territoriali fondati sull’idea della transizione
della dimensione predatoria a quella costruttiva.

10. L’uomo sta mangiando la Terra? Sistemi del cibo nell’Antropocene di Giacomo Pettenati
Fin dalle prime teorizzazioni dell'Antropocene, viene evidenziato il ruolo della produzione di cibo nel modificare i
processi naturali che regolano gli equilibri biofisici terrestri alle diverse scale. Le prime descrizioni dei fattori che
potrebbero portare a definire la fine dell'Olocene e l'inizio di una nuova era geologica includono infatti l'enorme
crescita delle terre coltivate, l'incremento della popolazione di animali d'allevamento, la riduzione degli stock ittici a
causa della pesca e l'impatto dei fertilizzanti a base di azoto nell'alterare gli equilibri dei cicli biogeochimici. Nell'
animato dibattito sulla temporalità dell'Antropocene, la posizione maggioritaria e quella di coloro che identificano
nella Rivoluzione Industriale fondata sull'utilizzo di combustibili fossili il punto di svolta che avrebbe portato alla fine
dell'Olocene. Sono molti, tuttavia, i contributi che identificano l'inizio di questa nuova era con la trasformazione di
sistemi ambientali e paesaggi conseguente alla scoperta dell'agricoltura, alla domesticazione di piante animali e alla
sedentarizzazione delle comunità umane. È evidente che l'evoluzione storica dei sistemi del cibo sia strettamente
connessa all'impatto dell'uomo sugli equilibri planetari, che ha portato la nascita del concetto di Antropocene.
Tuttavia, sono pochissimi i contributi che mettono in relazione il ricco e sedimentato dibattito interdisciplinare dei
“food studies” con le riflessioni sull’Antropocene.

 10.1 La produzione di cibo verso e nell’Antropocene.


Nel saggio “Il dilemma dell’onnivoro” il giornalista Michael Pollan descrive la trasformazione delle grandi pianure
dell’Iowa, in seguito all’insediamento dei coloni dell’Est e in seguito alla diffusione dell’agroindustria cerealicola.
L’ambiente ed il paesaggio agro-industriali del Midwest americano ritratti dal resoconto del giornalista, sono una
delle manifestazioni territoriali più evidenti delle geografie contemporanee del cibo.
Nel tentativo di supportare la teorizzazione dell'inizio dell’Antropocene con dati di natura ambientale geologica,
diversi studiosi attivi nell'ambito della scienza della Terra hanno identificato alcuni ambiti nei quali impatto
dell'uomo sugli equilibri ambientali è tale da lasciare ipotizzare l'ingresso in una nuova epoca geologica. Essi sono
quasi perfettamente coincidenti con gli ambiti nei quali i food studies identificano i principali impatti ambientali nella
produzione di cibo agro-industriale, tra questi:
1. La trasformazione dello strato di sedimenti (suolo) che ricopre le terre coltivabili, ridotto in estensione e
spessore del dall'erosione e fortemente degradato da pratiche di coltivazione allevamento che non
rispettano i cicli naturali di rigenerazione. Il 33% delle superfici coltivabili mondiali presenta livelli di degrado
del suolo elevati o moderati, dovute all'eccessivo sfruttamento delle risorse del terreno, alla compattazione
legata a un pascolamento eccessivo e all'inquinamento chimico derivante dalle emissioni e dalle scorie delle
produzioni agricole.
2. Gli effetti sulla qualità e quantità delle risorse idriche a scala locale e globale. Si calcola che la produzione
agricola sia responsabile del 70% dei prelievi idrici globali e che questo dato sia destinato ad aumentare in
assenza di contromisure adeguate.
3. Gli impatti della coltura intensiva sull'atmosfera, basata sull'utilizzo di combustibili fossili, attraverso la
diffusione di agenti inquinanti e l'emissione di gas serra. L’agricoltura sarebbe responsabile del 12% delle
emissioni antropogeniche di gas climalteranti su scala globale.
4. I sistemi del cibo contemporaneo sono causa di importanti impatti sulla biosfera. L'agricoltura intensiva, così
come l'urbanizzazione, ha portato la trasformazione di molti ecosistemi naturali in antormi, cioè pattern
ecologici che hanno origine dall'interazione diretta dell'uomo con l'ambiente naturale e gli ecosistemi
preesistenti, determinando una forte riduzione delle specie naturali nei territori maggiormente produttivi dal
punto di vista agro-industriale. A questo si aggiunge la riduzione della biodiversità agraria, la quale rende
fragili sia le aree di produzione, oggi ridotta monocoltura industriali, sia i mercati di arrivo.

L'impatto del sistema alimentare globale sulla biosfera si è spinto tanto in profondità da modificare la struttura del
DNA di alcune specie animali e vegetali.

 10.2 Cibo, capitalismo e Antropocene: una lettura critica.


La coincidenza tra la descrizione delle caratteristiche dell’Earth system e degli impatti ambientali del food system
dell’Antropocene porta a concludere che i sistemi del cibo abbiano avuto un ruolo rilevante nel trasformare la Terra
fino alle soglie di questa possibile nuova era geologica, soprattutto attraverso agricoltura e allevamento. Alcuni
ritengono tanto determinante la produzione di cibo in queste dinamiche da far coincidere la via dell'Antropocene
con la scoperta dell'agricoltura e la diffusione di insediamenti umani stanziali. In realtà l'umanità ha prodotto cibo
senza che si manifestasse il rischio di superare i limiti planetari della sostenibilità, spingendo il pianeta verso un
futuro di incertezza.
Gli equilibri si sono radicalmente modificati a partire dall’aumento di utilizzo di combustibili fossili connesso alla
Rivoluzione Industriale, ma soprattutto con l'impressionante incremento della forza dell'intensità degli impatti
antropici sull'ambiente, a partire dal secondo Dopoguerra, che ha preso il nome di Grande Accelerazione. Il gruppo di
ricercatori che ha coniato questa definizione, ha analizzato i dati relativi a un insieme di variabili legate a diversi
ambiti dell'azione umana, osservando come, partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, tutte aumentano a ritmi
sconosciuti prima di allora. Nel 2015 le variabili socioeconomiche sono state aggiornate e messe in relazione con
variabili ambientali, mostrando una chiara correlazione tra la diffusione del sistema produttivo industriale e la
trasformazione antropologica degli equilibri ambientali. Il sociologo statunitense Philip McMichael riconosce l’inizio
di un nuovo “regime del cibo”, che nei decenni successivi si è evoluto ulteriormente verso la globalizzazione
commerciale e produttiva, il rafforzamento del ruolo del capitale transnazionale nell’industria e nelle filiere del
settore agroalimentare e il ruolo crescente delle biotecnologie. È all'interno di questi due “regimi” che si sviluppa il
sistema del cibo globalizzato e deterritorializzato fortemente impattante sugli equilibri ambientali planetari. La teoria
dei “regimi” mette in luce la pervasività dell’economia capitalista globalizzata del plasmare i sistemi del cibo. Alla
radice la grande accelerazione della seconda metà del Novecento c'è l'affermazione delle economie industriali
finanziarie di stampo capitalista e della concezione utilitaristica delle risorse ambientali che essa veicola.
L'economia di piantagione, alla base tanto della nascita del capitalismo quanto delle filiere globali contemporanee,
fondate sulla disuguaglianza strutturale tra territori, collettività e individui, ne è uno degli esempi più lampanti, al
punto che il gruppo di studiosi, riuniti ad Aarhus da Donna Haraway per discutere di Antropocene da una prospettiva
antropologica, ha proposto di diffondere il termine Plantationocene.

 10.3 Conclusione. Come si mangia nell’Antropocene?


Intorno al 2050 la popolazione mondiale raggiungerà 10 miliardi di individui. Negli scenari migliori, ognuno di essi
dovrà nutrirsi per circa tre volte al giorno, con alimenti che troveranno essere prodotti, trasformati, distribuiti e
consumati da qualche parte della Terra. Ciò significa che, senza un cambiamento radicale dei sistemi del cibo su scala
globale, le pressioni sugli equilibri ambientali legate all'alimentazione umana sono destinata a crescere
ulteriormente, spingendo il sistema terra ben oltre i limiti della sostenibilità. Ammettere l'esistenza di una nuova
epoca planetaria, significa inevitabilmente porsi il problema di come gestire questi nuovi equilibri evitando di
superare in maniera irreversibile e pericolosa i limiti della sostenibilità. La Lancet Commission on Healthy Diets from
Sustainable Food System (EAT) propone una serie di strategie considerate dagli esperti necessarie per garantire diete
salutari e sistemi del cibo sostenibili a tutti gli abitanti della Terra nel 2050, attraverso una grande trasformazione
alimentare (Great food transformation), fondata soprattutto sul cambiamento delle diete individuali sulla transizione
dei sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità ambientale, basata su criteri scientifici misurabili.

11. Perché un Museo delle Tecnologie dell’Antropocene? Di Frank Raes


 11.1 Perché un museo?
Questo contributo presenta le idee alla base del Museo delle Tecnologie dell’Antropocene, una collezione costruita
per indagare l’Antropocene attraverso oggetti e abbinamenti inconsueti ma non casuali: il tentativo di riflettere sulla
forza smisurata esercitata oggi dall’uomo sulla natura.
Al Museo delle Tecnologie dell'Antropocene crediamo che una collezione di cose possa rivelarsi ancora più efficace
per arrivare a questo scopo.
Come scrive Bruno Latour: “C’è [...] un enorme interesse per il mondo in cui le collezioni collezionano, divulgano,
organizzano, di fatto mixano cose che prima erano separate. Avere tutti i progetti nello stesso spazio permette di fare
vari collegamenti. Ecco che cosa consente una collezione: raccogliendo elementi permette alla gente di raccogliere i
propri pensieri”.

 11.2 Qualche cenno storico e filosofico.


Al Museo ci lasciamo ispirare dal pensiero dello stesso Lautour e dalle sue tortuose critiche alla Modernità e ai
moderni. Lautour ipotizza che la Modernità sia stata soltanto una costruzione teorica e che in pratica “non siamo mai
stati moderni”. Ritiene che questa Modernità teorica debba essere “resettata” e rimessa con i piedi per terra, per
meglio gestire i nostri problemi collettivi. Secondo la nostra interpretazione del pensiero di Latour, la vita pratica
continua a condurre complicate e ibride che successivamente vengono razionalizzate e depurate per diventare
oggetti puri e problemi risolvibili. Questo lavoro di depurazione riesce sempre meno a comprendere e chiarire certe
problematiche collettive e planetarie. Secondo Latour abbiamo bisogno di un altro approccio, un’altra narrazione,
un’altra cultura.
Molti hanno paragonato la complessità, il caos e la non-Modernità dei nostri tempi con quello che regnava durante il
Rinascimento. Come nel caso di Goldin e Kutarna ci troviamo in un secondo rinascimento, segna la transizione del
pensiero moderno a qualcosa ancora in definizione. Questi autori suggeriscono di prendere esempio dal (primo)
Rinascimento, le stanze delle meraviglie e le Wunderkammern hanno avuto un ruolo nella transizione dal pensiero
medievale a quello moderno. Al Museo, crediamo che una collezione di cose dei nostri tempi possa contribuire alla
definizione di un nuovo pensiero. “per vedere e vivere il mondo in modo diverso e per affrontare al meglio le
problematiche collettive dell'Antropocene”.

 11.3 Le stanze delle meraviglie del Rinascimento.


Il Rinascimento è stato anche segnato da sconvolgimenti politici, sociali e religiosi. Il Cinquecento è stato il secolo
delle guerre di successione e di religione, della Riforma e della Controriforma, del sacco di Roma e non solo.
Nonostante questo, è stato anche il secolo delle meraviglie. Uno stato generale di meraviglia che fece anche
riemergere le vecchie arti esoteriche come l’astrologia e l'alchimia.
Le Wunderkammern (figura pag.170 Dalle stanze delle meraviglie ci rimangono solo i cataloghi e i loro frontespizi. Le
collezioni sono state divise per diventare musei della storia naturale, librerie e musei d’arte) sono le cosiddette
stanze delle meraviglie, le quali hanno lo scopo di assorbire e mostrare le novità. Si raccoglieva proprio di tutto, in
particolare le cose più bizzarre, vere o inventate che fossero. Il confine tra realtà e fantasia era veramente molto
sottile.
Mentre tanti collezionisti indulgenti al piacere di contemplare gli oggetti o cercavano di alimentare il gusto barocco
dello straordinario, altri usavano nella loro collezione come strumento per lo studio. In Italia il bolognese Ulisse
Aldrovandi aveva uno scopo ben preciso con la sua collezione: voleva sistematizzare e ricomporre il sapere tramite
una ricostruzione microcosmica del macrocosmo. Egli si metteva a descrivere ogni oggetto con la sua storia, allo
scopo di liberarlo dalla mitologia, dalle superstizioni, dalle metafore e dalle analogie inutili con cui erano stati coperti
dal Medioevo e fino ad allora. Il primo lavoro di Aldrovandi consisteva nel dividere le sue migliaia di esemplari in
naturalia e artificialia: all'epoca era comunque un approccio radicalmente nuovo alla realtà; questa divisione ha
aperto la porta al pensiero moderno, in cui la divisione tra natura e uomo è poi diventata divisione tra oggetto e
soggetto, tra fatti oggettivi e valori soggettivi, tra le scienze da una parte e l’arte, la religione, la politica dall’altra: un
amalgama di dualismi che Bruno Latour ha chiamato Costituzione moderna (Figura pag. 171 La Costituzione moderna
nella versione teorica, a destra, e nella versione pratica, a sinistra). Secondo il pensiero di Latour, può avere un senso
discutere separatamente i due elementi dentro un singolo dualismo. Ma è insensato pretendere che tutti i ritmi
dividano i loro elementi secondo la stessa linea di divisione.

 11.4 Siamo stati moderni? Sì e no…


Dal Seicento in poi, la Costituzione moderna ha strutturato la cultura moderna, cioè la narrazione con cui spieghiamo
e giustifichiamo i nostri rapporti con gli altri con il resto della natura. La cultura moderna si basa fondamentalmente
sulla separazione tra natura e uomo. Questa separazione è connessa all'idea che la natura sia infinita. La cultura
moderna si basa anche sulla separazione tra scienza e politica. L'apparato scientifico-tecnologico, finché libero,
produce conoscenze e potenzialità ma è la politica che decide come o se usarle. La società e la vita delle singole
persone sono state organizzate separando bene i diversi aspetti. Abbiamo creato istituzioni per dividere i vari poteri.
Abbiamo promosso discipline, scuola, laboratori e musei specializzati per fare spazio a modi particolari di guardare il
mondo. Tutto questo ha portato a un miglioramento della condizione umana, ma è anche vero che abbiamo fatto
tutto ciò facendo finta che i problemi tra gli umani che inevitabilmente nascono con le divisioni, le organizzazioni e le
creazioni di istituzioni non esistessero. Sotto l'ordine apparente delle istituzioni moderne rimane comunque una
realtà complesse del tutto umana fatta di intrighi, competizioni, negoziazioni, compromessi e alleanze. Infatti, è la
Costituzione moderna rimasta anche il vecchissimo dualismo tra noi e loro, che ha come conseguenza la
giustificazione di queste lotte. C'è un altro aspetto della modernità che viene affrontato poco: con la mantenuta
divisione tra scienza e politica, lo scienziato è diventato sempre più efficiente perché sempre di meno deve chiedersi
se le sue invenzioni sono utili o necessarie per il benessere della collettività. Di questo si occupa la politica che, in
forte collisione con la produzione, promette crescite profitto a condizione che l'apparato scientifico tecnologico e
continui a produrre merci per il consumo.
Diventa sempre più chiaro che la cultura moderna, cioè la storia che ci raccontiamo sulle divisioni tra natura e uomo,
tra scienza e politica, non combacia più con la realtà.
La Costituzione moderna non funziona più. Invece di creare oggetti ben definiti, formulare pensieri illuminanti o
porre domande chiare e risolvibili, stiamo creando cose problematiche complesse come la salute, le città,
l'inquinamento, l'intelligenza artificiale, il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, l'immigrazione... Queste
cose sono ibridi, in cui si intrecciano natura e uomo, scienze e politica, e che scienza e la politica non riescono a
gestire da sole.

 11.5 L’Antropocene
Siamo nell’Antropocene: una nuova epoca in cui l 'agire dell’uomo sulla Terra ha una forza pari a quella dei cataclismi
naturali della preistoria. Con Timothy Morton possiamo dire che uomo e natura si trovano ciascuno su uno dei due
lati di un nastro di Moebius; due lati che sono infatti solo di uno. La storia dell'uomo, impercettibile sull'orologio
della geologia, si intreccia con la storia della Terra. Dentro il sistema Terra, il sistema uomo è uno dei feedback:
risponde alla crisi con conflitti tra popolazioni ma anche con interventi virtuosi.

 11.6 Il Museo delle Tecnologie dell’Antropocene


Se la divisione tra natura e uomo, tra naturalità e artificialità, è diventata controproduttiva, quali potrebbero essere
le nuove categorie con cui gestire le cose, gli ibridi, il caos e le emergenze di oggi? Il Museo delle Tecnologie
dell’Antropocene (MAT) è stato fondato con lo scopo di rispondere a queste domande, sperimentando. Nella
tradizione di Ulisse Aldrovandi il Museo cerca di sistematizzare e ricomporre il sapere, per cui «di ciascun oggetto si
fa e si farà l’istoria e descrizione». Ogni esemplare, ogni cosa, ogni installazione viene descritta. Il MAT prova a
descrivere per rendere visibile la cosa intorno all’oggetto, cioè le relazioni invisibili con natura e cultura che lo
rendono una chiave concettuale per comprendere l’Antropocene.

 11.7 Dal catalogo del MAT


Un paio di occhiali (figura pag. 177). È un oggetto semplice, di plastica e di vetro. Ma all'interno della montatura c’è
scritto: “made in China”. Ma è stato disegnato in Italia, ma immaginiamo gli operai cinesi che l’hanno prodotto,
inquinando l’aria e le acque delle loro città. Perché prodotti in Cina? Perché la manodopera costa meno.
(Figura pag. 177) L’artista Anais Tondeur ha viaggiato dalle isole di Fair nel Nord della Scozia fino a Folkestone nel
Sud dell’Inghilterra. Ogni giorno ha scattato una foto al cielo e all’orizzonte. Ha anche campionato l’inquinamento
atmosferico su un filtro. Il carbone nero atmosferico è stato estratto dal filtro e mischiato con l’inchiostro con cui è
stata stampata la fotografia. Li lavoro enfatizza il fatto che l’inquinamento da carbone nero enfatizza il fatto che
l’inquinamento da carbone nero che si forma dalla combustione di carbone, petrolio e legna è ovunque. Nel corso
dei secoli e specialmente a partire dalla Rivoluzione industriale gli umani hanno creato una fine coltre di carbone
nero che avvolge tutta la terra.
(Figura pag. 178) Il carbone in mostra è la cosa più vecchia del Museo, 300 milioni di anni.
(Figura pag. 179) Razzo inventato dall’amico di Tintin, il professore Calculus.
(Figura pag. 179) Nel suo romanzo Le città invisibili Italo Calvino (1972) descrive la città di Eudossia. È una città
caotica con vicoli tortuosi, passaggi, ponti e vicoli ciechi.
(Figura pag. 180) Residui dell’incidente nucleare a Cernobyl. Il suolo è stato raccolto nell’anno 1991 in una foresta
vicino a Novozyblar dove nel 1986 un reattore nucleare è esploso all’aria aperta.

L’Antropocene può essere anche visto come un’epoca di cambiamento culturale. Un cambiamento, cioè, nella storia
che ci raccontiamo, nella narrazione con cui spieghiamo le nostre relazioni con gli altri e il resto della natura. Questa
più ampia idea di Antropocene è stata promossa anche dagli scritti di Latour intorno alla svolta del secondo
Millennio: al di là degli insegnamenti della Modernità, gli uomini e la natura rimangono fondamentalmente
interconnessi, motivo per cui Latour afferma che “non siamo mai stati moderni”. Ma anche lui ammetterebbe che
queste idee erano esplicitamente presenti prima dei suoi scritti, in particolare nel pensiero degli artisti, degli
architetti, degli scienziati e di altri creativi.
Un esempio è dato dal lavoro dell’architetto italiano Aldo Rossi, che ha espresso il suo pensiero in un lavoro del
lontano 1976. In qualche maniera Rossi afferma l’idea opposta a quella dell’incisione Flammarion nella quale un
uomo guarda fuori. Nel lavoro di Rossi una sorta di angelo ci indirizza di nuova verso la complessità del mondo in cui
viviamo.

 11.8 Conclusione
Se le cose del nostro mondo non possono più essere divise tra naturalia e artificialia, perché ormai ogni cosa è
diventata un po’ naturalia e un po’ artificialia, allo stesso tempo c’è la necessità di nuove categorie. L’accettazione di
queste categorie ci porterà alla Modernità.
(Figura pag. 182) Il Museo avanza l’ipotesi che le parole in un documento trovato in un monastero, possano essere
queste nuove categorie: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Consistenza.
Queste categorie non devono essere viste come scatole dove mettere le cose leggere, le cose rapide ecc, ma
piuttosto come maniere di guardare e vedere il nostro mondo. Osservare con leggerezza seguendo le traiettorie
senza peso della luce. Guardare come cambia rapidamente ogni cosa. Notare accuratamente perché ogni cosa deve
essere descritta esattamente. Indagare per vedere e rendere visibile. Guardare la complessità di tutte le cose.
Osservare e rendere coerenti i diversi modi di osservare e ciò che viene visto: cercare di dare un senso.

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