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geografici e le caratteristiche
dei luoghi in cui si localizzano. Si tratta della relazione fra pratica agricola
e caratteristiche del clima e del suolo.
I luoghi sono prodotti a partire dal rapporto fra spazio e individuo: sono i gruppi
umani a riconoscere determinati spazi come luoghi, a investirli di valori culturali e
simbolici. Quando questo processo riguarda uno specifico gruppo umano si usa
normalmente il concetto di territorio. Luogo e territorio sono spesso usati come
sinonimi: tuttavia parlando di territorio si pone l’accento sulla dimensione politica,
chiamando in causa il potere di controllare e organizzare lo spazio geografi da
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1.5 Ambiente
L’articolazione delle scale geografiche indicata con una serie di aggettivi posti in
successione logica.
L’elenco delle possibili scale è pressoché infinito, come infinite sono le modalità di
ripartizione e organizzazione dello spazio terrestre. Nessuna di queste scale si
riferisce a una precisa dimensione in termini chilometrici, quanto a differenti livelli
d’osservazione. In generale, nei discorsi geografici, due scale assumono una
particolare importanza. La prima, globale, si riferisce al livello planetario.
All’estremo opposto, la scala locale viene solitamente utilizzata in
contrapposizione alla scala globale. Si tratta innanzitutto della scala della
socializzazione. Il concetto di “locale”, tuttavia è adimensionale, ossia non fa
riferimento a una precisa estensione territoriale e si definisce spesso in relazione a
fenomeni che prendono forma a un livello superiore, tendenzialmente globale. Con
ambito locale si può indicare un piccolo paese, analizzato rispetto alle grandi
trasformazioni dell’economia globale, ma anche una regione funzionale o uno
Stato. La dialettica fra la scala locale e quella globale, ossia le connessioni fra
processi globali e forze locali, costituisce un tema tipicamente geografico: si tratta
di relazioni spesso complesse e non-lineari.
1.8 Rappresentazioni
tematiche sono tutt’ora strumenti ideali per dare espressione efficace a fenomeni
complessi e multi- dimensionali, ma hanno scopi descrittivi e richiedono informazioni.
La tradizione della geografia come scienza pratica è stata messa in discussione a
cominciare dagli anni Cinquanta. Il problema non era più descrivere la
distribuzione delle attività economiche, quanto piuttosto comprendere tale
distribuzione sulla base di leggi e teorie generali. L’obiettivo era spiegare fenomeni
a cui la teoria economica non è mai riuscita a dare una spiegazione esauriente.
Era necessario adottare un linguaggio astratto, basato su regolarità statistiche,
formalizzazioni matematiche, e veri e propri modelli generali di organizzazione
dello spazio. Negli anni Sessanta a queste analisi si affiancavano studi che
indagavano i fondamenti epistemologici dell’analisi geografica individuandone la
radice nel positivismo. Tali tentativi proseguono con la “nuova geografia
economica”. Si tratta di una disciplina più vicina all’economia che non alla
geografia basata sulla formalizzazione matematica di alcuni aspetti spaziali.
In metodi utilizzati in questo ambito sono prevalentemente mirati all’elaborazione
d’informazioni quantitative, anche se la geografia si è sempre distinta per un
particolare eclettismo metodologico. Le stesse metodologie quantitative non
consistono necessariamente in modelli astratti che prescrivono una particolare
organizzazione dello spazio, ma possono anche essere utilizzati per descrivere
l’effettiva organizzazione dello spazio. Nel primo ambito rientrano le teorie
deduttive per le quali le attività economiche si localizzano in modo da minimizzare
a distanza rispetto ai consumatori che intendono servire. Nel secondo ambito
rientrano tutte quelle tecniche che attraverso l’utilizzo di dati statistici, indicatori di
distanza esprimono per esempio sotto forma di carte l’effettiva distribuzione sia
delle attività economiche, sia della popolazione da esse servita.
L’influenza del marxismo è stata determinante negli anni Settanta, nell’ambito
dell’approccio della political economy comparata: l’organizzazione geografica
dell’economica può essere compresa soltanto come parte di un processo più
ampio di accumulazione capitalistica. Harvey offrì un contributo fondamentale a
questo filone d’analisi. L’esistenza di regioni ricche e povere non è tanto il risultato
di un modello di ottimizzazione, ma un’ingiustizia sociale necessaria alla
sopravvivenza dell’economia di mercato.
Il marxismo ortodosso condivide con l’economia neoclassica la tendenza a basarsi
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Nel linguaggio comune la geografia politica viene spesso associata alla geopolitica
e all’analisi delle relazioni internazionali. La paternità dell’espressione geopolitica
si deve a Kjellen che introdusse il termine con riferimento al ruolo del territorio e
delle sue risorse nella definizione dello scenario politico internazionale. Il centro
del suo ragionamento era l’analisi delle relazioni fra fatti geografici e l’elaborazione
di ipotetiche leggi scientifiche.
La politica espansionista e colonialista delle potenze europee e il crescente ruolo
del commercio internazionale resero la geopolitica una materia di grande
interesse, comunemente insegnata nelle accademie. L’autore più influente fu
Ratzel che interpretava gli Stati come super-organismi che si muovono all’interno
dello scenario naturale mondiale. Destino di ogni Stato è conquistare il proprio
spazio vitale: assicurare la propria esistenza grazie a espansioni territoriali
(ispirarono Hitler e il fascismo).
Il termine geopolitica cadde in disuso negli anni successivi alla Seconda Guerra
Mondiale. Gli intellettuali americani coniarono il termine geografia politica,
proponendo teorie e riflessioni meno deterministiche nell’indagare le relazioni tra
fattori geografici e comportamenti politici. Una serie di autori ha criticato l’idea che
la geografia politica possa descrivere il mondo così com’è, interpretando in
maniera univoca, oggettiva e neutrale lo scenario della politica internazionale.
Ogni analisi risentirà degli schemi interpretativi, culturali, linguistici e soggetti
dell’osservatore. Donna Haraway ha posto in evidenza come ogni analisi della
geografia politica possa essere paragonata a una narrazione realizzata da
determinati soggetti per un determinato pubblico.
La geografia politica non è soltanto fatta di rappresentazioni di scala nazionale e di
poteri “alti”: nella vita di tutti i giorni le descrizioni geografiche sono imbracate in
questioni e soggettività che hanno a che fare con il genere, la classe sociale,
l’etnia, la vita delle persone.
questo senso come la scelta di un percorso di sviluppo sia sempre una questione
politica.
1. In primo luogo, non è scontato cosa sia lo sviluppo. Aumento della
ricchezza, della qualità della vita; questi obiettivi sono spesso in
contrapposizione. Storicamente ci sono state molte visioni differenti dello
sviluppo che hanno originato differenti teorie interpretative, spesso in aperta
opposizione fra loro.
2. In secondo luogo, ancor più ambigua è la misurazione dello sviluppo. È
assai diffuso approssimare lo sviluppo con il prodotto interno lordo o il PIL
procapite, e non è difficile imbattersi in classifiche degli Stati basate proprio
su questi parametri. Eppure il PIL è un indicatore molto limitato: non solo si
riferisce a parametri strettamente economici, ma non ci dice nulla delle
differenze sociali, delle difficoltà di vita della popolazione. Il PIL è un
indicatore assai scarso, e non è un caso che studiosi in tutto il mondo
stiano cercando di proporre misure alternative.
3. In terzo luogo, se non è chiaro né cosa sia lo sviluppo, né come lo si misuri,
sarà controverso il come ottenerlo, ossia ili campo delle politiche dello
sviluppo. La visione dello sviluppo dell’Organizzazione Mondiale è differente
da quella degli attivisti del World Social Forum. Non vi è nessuna certezza
scientifica che una determinata linea d’intervento possa aumentare
l’efficienza dell’organizzazione economica di un settore. Il compito di una
visione geografica si riferisce proprio all’analisi del conflitto fra differenti
visioni, interpretazioni e problematiche dello sviluppo, mettendo in evidenza
come ogni società elabori modalità geograficamente specifiche d’intendere
e vivere lo sviluppo, e ciò che può funzionare in un luogo potrebbe non
funzionare in un altro.
L’indagine geografica sullo sviluppo non sarà tesa a mettere in evidenza modelli
universali e grandi teorie generali dello sviluppo, quanto a individuare le specificità
geografiche e le differenze alla base di qualsiasi percorso di evoluzione di un
territorio.
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di livello sovra-nazionale, ossia senza tener conto del diverso ruolo che i
vari paesi o regioni svolgono all’interno del sistema capitalistico globale.
Una caratteristica comune a molte teorizzazioni dello sviluppo è l’adozione
di strutture interpretative di tipo dualistico e binario, che contrappongono
società avanzate e arretrate, civilizzate e non.
Nella visione della modernizzazione una netta linea di divisione pare
separare il mondo indigeno da tutto ciò che si configura come
sviluppato. Il compito morale dei paesi sviluppati sarebbe quello di
assistere il progresso delle altre società verso il modello moderno di
capitalismo e democrazia liberale. La prospettiva ideologica della
modernizzazione ha l’atteggiamento dei paesi occidentali nei confronti
dei paesi non occidentali. L’ideologia della modernizzazione ha
cominciato a entrare definitivamente in crisi verso la fine degli anni
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Nel discutere i divari nei processi di sviluppo alla scala globale, uno dei
maggiori contributi della scuola critica si riferisce alla teoria della
dipendenza. La tesi di fondo è che la relazione fra paesi del Nord e del Sud
non si fondi sulla semplice coesistenza, ma sull’operare di un meccanismo
di dipendenza e che le condizioni di sottosviluppo dei paesi più poveri non
siano un semplice accidente del destino, ma possano essere comprese
unicamente come risultato del funzionamento del sistema capitalistico
mondiale nel suo complesso. La metropoli sviluppata e i suoi satelliti
sottosviluppati sono elementi interagenti di un unico sistema, e i processi
che si determinano al suo interno sono fra loro dialetticamente intrecciati. Le
metropoli industrializzate dominano la periferia sottosviluppata, tramite
l’appropriazione del surplus ivi prodotto, per cui alla periferia si attiverà un
processo di sviluppo del sottosviluppo.
Il sottosviluppo della periferia è funzionale alla ricchezza del centro ed
entrambi si trovano reciprocamente in una posizione dialettica che è
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Per Wallerstein il tema delle relazioni di potere fra differenti classi sociali
passa in secondo piano, nella ricerca di un più generale modello geografico
in grado di spiegare i meccanismi globali del capitalismo contemporaneo.
Secondo lui, storicamente si possono individuare tre generali modi di
produzione, ossia i sistemi d’organizzazione della produzione, del consumo
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Negli anni Settanta un gruppo di autori ha elaborato una revisione critica dell’idea
di sviluppo proposta dai teorici della modernizzazione, denunciando quando il
tentativo di aiuto si trasforma in vantaggi economici per i paesi più ricchi. Nel
dibattito sui bisogni essenziali si cominciò a sottolineare l’importanza di politiche di
sviluppo e politiche di cooperazione allo sviluppo maggiormente vicine alle
esigenze e alle necessità della popolazione locale. Un simile approccio si
concretizzò nell’idea di uno sviluppo dal basso, auto centrato, teso a soddisfare i
bisogni essenziali di una società, ossia a perseguire una serie di obiettivi
contestuali, definiti a livello locale. L’approccio dal basso si oppone agli approcci
top-down, tipici della modernizzazione e dei programmi d’industrializzazione
promossi dalle istituzioni internazionali e dagli Stati basati sulla partecipazione
popolare. Piuttosto che privilegiare il settore industriale o le attività economiche
moderne e ad alto valore aggiunto, l’approccio dei basic need si basa sul supporto
all’agricoltura locale o ad attività economiche che producono effetti di scala ridotta.
Diversi autori consideravano la prospettiva dei bisogni di base compatibile con
alcune tradizionali idee di sviluppo legate alla modernizzazione, ma s’invocava
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Gli ecosistemi grazie alle proprietà di cui godono erogano servizi che
rendono possibile la vita sulla Terra. I servizi offerti dagli ecosistemi
rappresentano prestazioni che gli ecosistemi e le diverse specie che li
compongono rendono all’ambiente, sostenendo la vita umana. Le quattro
principali tipologie di servizi eco sistemici sono:
1. Servizi di produzione attraverso i quali gli ecosistemi forniscono
beni come cibo, acqua
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fresca e risorse
2. Servizi di regolazione governano gli equilibri dell’ecosistema
3. Servizi culturali tutti quei benefici di carattere immateriale che gli
individui ricavano dall’ambiente, tra cui i valori estetici, culturali
¢. Servizi di supporto hanno impatto indiretto sulla vita umana e
includono le funzioni
necessarie per la produzione degli altri servizi eco sistemici
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e animali
3. Società industriale basata su un sistema a energia fossile e
sull’estrazione di minerali da
depositi geologici.
Nel linguaggio comune con risorsa naturale s’intende tutto ciò che si trova
in natura e che può essere utilizzato per trarre qualche forma di beneficio.
La maggior parte delle attività umane per essere compiuta richiede delle
risorse.
Le tipologie di risorse utilizzate e le modalità di sfruttamento cambiano nel
tempo e nello spazio, secondo i differenti modelli socio-culturali. A lungo il
pensiero economico ha dato centralità in particolare a due tipologie di
risorse naturali, la terra e le materie prime. Le materie prime sono state
considerate per molto tempo risorse illimitate. A partire degli anni Sessanta
e Settanta si è diffusa la consapevolezza che alcune risorse sono esauribili.
Le risorse non rinnovabili sono soggette a esaurimento, sia a causa del
venire meno delle condizioni per la loro rigenerazione, sia quando questa
rigenerazione richiede tempi troppo lunghi e costi troppo elevati. Si parla si
esaurimento economico quando il costo per l’estrazione della risorsa supera
il suo valore economico. Le risorse non rinnovabili sono per esempio le
risorse minerarie e i combustibili fossili. Sono invece rinnovabili quelle
risorse che sono in grado di rigenerarsi in tempi ragionevoli.
Centrale nel dibattito sull’esaurimento delle risorse non rinnovabili. Il
consumo di energia dipende da molti fattori. Il consumo di energia è
cresciuto con il passaggio da economie prevalentemente agricole a
economie industriali.
Il problema dell’esaurimento delle risorse energetiche non rinnovabili
rappresenta un tema estremamente attuale. L’aumento dei prezzi delle
risorse energetiche non rinnovabili e la diminuzione delle quantità disponibili
legate a una pluralità di concausa, la difficoltà di accesso a causa di
problemi
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politici o dai conflitti nei paesi produttori, hanno spinto verso la ricerca di
fonti alternative, rinnovabili, in grado di diminuire la dipendenza economica.
Le energie rinnovabili vengono anche definite pulite quando non emettono
in atmosfera sostanze nocive. Non necessariamente le energie rinnovabili
rappresentano fonti energetiche sostenibili. Il loro utilizzo su vasta scala può
compromettere profondamente il paesaggio.
2. Diga delle Tre Gole in Cina. Sia per il pesante impatto ambientale
determinato dalla costruzione dell’infrastruttura, sia per i problemi
sociali legati allo spostamento forzato delle popolazioni che vivevano
¢¢
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Una risorsa può anche subire un peggioramento della sua qualità. Si parla in
questo caso si degrado della risorsa e più in generale di degradazione ambientale.
Degradare significa deteriorarne le proprietà. Questo può avvenire perché la
risorsa viene sfruttata a ritmi più veloci di quelli necessari per la sua rigenerazione,
oppure quando la concentrazione di sostanze inquinanti supera i livelli di guardia.
Il danneggiamento può avvenire per cause naturali o per cause indotte dall’essere
umano. Il concetto di degrado è soggettivo. Il degrado può essere percepito da
alcuni gruppi e non da altri (Es:la cementificazione della costa ligure per alcuni è
un degrado ambientale, mentre per altri è una forma di valorizzazione turistica).
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3.4.2 La deforestazione
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distinguono:
1. Interventi di mitigazione s’intendono tutti quegli interventi atti a
ridurre le emissioni di gas serra in modo da stabilizzarne la
concentrazione in atmosfera attorno a valori che consentono di
contenere l’aumento di temperature entro i valori soglia.
2. Interventi di adattamento comprendono gli interventi preventivi
attuati per attenuare gli
impatti a cambiamenti climatici in corso e inevitabili
Le politiche ambientali non sono chiamate a scegliere tra politiche di
disinquinamento e politiche preventive, bensì a percorrerle entrambe
contemporaneamente.
Uno degli approcci più noti utilizzati dalle politiche di risanamento è il “chi
inquina paga”, uno dei pilastri della politica ambientale europea. Chi inquina
è chiamato a sostenere le spese necessarie a compensare i costi socio-
ambientali prodotti.
Gli strumenti regolativi operano seguendo la logica definita del command
and control, che costituisce la base della normativa ambientale in Italia:
vengono definite regole e codici di comportamento il cui rispetto è
sottoposto a verifiche e riscontri da parte dell’amministrazione pubblica o di
altri soggetti. Esistono anche strumenti economici. Essi agiscono
modificando i prezzi di mercato di determinati prodotti attraverso sistemi di
tassazione, incentivazione o attraverso obblighi assicurativi, rendendo
economicamente meno vantaggioso inquinare. Sono strumenti di tipo
economico le tasse ambientali, come le tasse sulle emissioni, sui prodotti,
per i servizi, con deposito a rendere.
Esistono anche gli strumenti volontari. Prendono piede negli anni Ottanta e
si basano su un’adesione volontaria delle imprese. si tratta di azioni che
possono favorire la costruzione di un’immagine positiva dell’impresa verde.
Uno di questi è il bilancio ecologico che indica gli strumenti:
Analisi del ciclo di vita - esamina gli impatti ambientali di un bene in tutte
le fasi di produzione
1. Sistemi di etichettatura - rappresentano uno strumento per orientare
il consumatore
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I 7 miliardi di persone che abitano sulla terra non sono distribuiti in modo
omogeneo nelle varie parti del pianeta. Questo è in parte l’esito delle differenze
nella crescita della popolazione e nella sua composizione demografica, in parte
dipende da fattori naturali, economici.
La carta della distribuzione della popolazione è un’anamorfosi cartografica che
assegna a ciascuno Stato una dimensione proporzionale alla sua popolazione: più
sono gli abitanti e maggiore è la superficie del paese nel cartogramma.
Dall’anamorfosi cartografica si evince che più della metà degli abitanti del nostro
pianeta vive in Asia, mentre appena un decimo della popolazione mondiale è
localizzato in Africa. Questo tipo di rappresentazione non consente di apprezzare
l’effettiva distribuzione geografica che è in genere estremamente squilibrata
all’interno di ciascun paese. Se non si considerano alcune piccole isole con alta
densità di popolazione e piccole enclave, i paesi più densamente popolati si
trovano in Asia e in Europa. Oltre a Groenlandia e Antartide, le regioni meno
densamente popolate della Terra sono Australia e Canada e le aree desertiche
dell’Africa.
Il turismo rappresenta uno dei settori che crescono più rapidamente nel
mondo, è diventato un fenomeno di massa a partire dagli anni Sessanta..
Il turismo non è un fenomeno recente: se i primi viaggiatori erano
soprattutto
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culture
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Per quanto gli spostamenti delle persone siano un fenomeno antico, negli
ultimi decenni si è assistito a un incremento consistente delle migrazioni
internazionali. Tra questi vanno annoverati lo squilibrio tra i livelli di
benessere nelle varie regioni del mondo e il desiderio da parte delle
persone di migliorare la proprie condizioni di vita e la mondializzazione dei
trasporti. Quest’ultima riduce le distanze mentre la diffusione dei mezzi di
comunicazione anche nei luoghi più remoti del pianeta rende possibile sia
conoscere stili e condizioni di vita degli altri paesi, sia mantenere un miglior
contatto fra le comunità migrate e quelle di origine. I movimenti migratori
internazionali nel mondo solo il 3,1%
La crescita del numero complessivo di migranti si accompagna a quella che
è stata definita una globalizzazione delle migrazioni: sempre più paesi sono
coinvolti nei processi migratori e il profilo dei migranti si diversifica
notevolmente. A migranti con altri livelli d’istruzione e competenze
professionali, si affiancano quelli con bassi livelli d’istruzione che si ritrovano
a operare nei settori dell’economia informale.
La crisi economica che ha coinvolto il Nord globale nell’ultimo decennio ha
in parte ridotto l’attrattività dei paesi cosiddetti avanzati: qui i primi a perdere
i posti di lavoro sono spesso gli immigrati. Ciò ha portato a una parziale
riduzione dei flussi in entrata e a un incremento del numero di coloro che
tornano nel proprio paese d’origine. La crescita economica dei paesi
emergenti li ha resi mete attrattive per i lavoratori dei paesi vicini, facendone
una valida alternativa alle migrazioni verso Europa e America del Nord.
Un’altra caratteristica del processo migratorio odierno è l’aumento della
quota femminile. Sono sempre di più le donne che lasciano i nuclei familiari
per cercare fonti di reddito altrove.
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Queste distinzioni tra i diversi paradigmi delle politiche migratorie sono sempre
meno capaci di ricomprendere la pluralità delle politiche.
Sempre più spesso le politiche locali esulano dai modelli nazionali: sulle
amministrazioni locali ricade la responsabilità di accoglienza e integrazione ed è
nei singoli territori che avviene e si consolida l’inserimento socio-economico delle
persone. Le politiche sociali d’integrazione offrono sovente condizioni
d’integrazioni che si differenziano tra regione e regione. A livello internazionale si
prende atto del ruolo del livello locale nell’incidere sulla costruzione
dell’appartenenza sociale e della cittadinanza.
Un nodo cruciale nelle politiche per l’immigrazione riguarda i termini per la
concessione del diritto di cittadinanza. La cittadinanza è uno status legale che
determina diritti e doveri e che può essere ottenuto seguendo percorsi diversi.
Ogni ordinamento nazionale stabilisce proprie norme per l’acquisizione e la perdita
della cittadinanza. Essa può essere acquisita in virtù del diritto di sangue (ius
sanguinis) per il fatto di nascere da un genitore in possesso di cittadinanza, oppure
del diritto di suolo (ius soli) per il fatto di essere nato sul territorio dello Stato. Si
può acquisire la cittadinanza contraendo matrimonio con un cittadino o per
naturalizzazione, cioè a seguito di un provvedimento della pubblica autorità e alla
sussistenza di determinate condizioni. Tali condizioni sono la residenza per un
lungo periodo sul territorio nazionale la scelta fondamentale che si trovano a dover
compiere gli ordinamenti è quella tra ius sanguinis e ius soli. Alla maggior parte
degli Stati europei vige lo ius sanguinis. L’adozione dell’uno o dell’altro istituto ha
conseguenze non trascurabili in termini politici e sociali. Lo ius soli determina
l’allargamento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul territorio dello Stato.
Lo ius sanguinis tutela maggiormente i diritti dei discendenti degli emigranti.
Lo ius sanguinis e lo ius soli assumono forme più o meno morbide a seconda delle
norme vigenti nei diversi paesi. Esistono regole diverse:
1. Nel Regno Unito si ottiene se si è sposati a un cittadino britannico e si è
legalmente residenti da almeno tre anni, altrimenti sono necessari cinque
anni di residenza legale.
2. In Francia vengono richiesti almeno 5 anni di residenza
3. In Germania si può ottenere dopo 8 anni di residenza legale permanente,
ma solo dopo un approfondito esame di conoscenza linguistica e a patto di
dimostrare la propria autosufficienza economica.
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paese d’origine e quelle costruite con i connazionali immigrati nel luogo d’arrivo
possono rappresentare meccanismi di resistenza contro l’assimilazione.
I concetti di cultura e identità culturale vengono messi in discussione. L’idea che
l’identità culturale sia radicata in un particolare luogo, e che i migranti la portino
con sé da un luogo all’altro, appare semplicista e fuorviante. Nel migrante nasce il
bisogno di costruire spazi di socialità e dare senso al luogo che abita producendo
nuovi significati.
La pluralità delle direzioni e delle forme di queste relazioni transnazionali sottolinea
come identità culturali si formino e si trasformino continuamente, e si
sovrappongono, formando spazi in-between: in qualche modo intermedi tra le
fissità che è tipica di un mondo tradizionalmente suddiviso in nazioni o culturale
territoriali, e la deterritorializzazione che sarebbe implicita nella globalizzazione.
Una sorta di globalizzazione dal basso e una via di mezzo tra il pensare che la
globalizzazione porti all’omologazione delle culture, delle identità.
Un concetto utilizzato da chi studia le migrazione, è quello di diaspora. In origine il
termine è stato utilizzato per indicare l’estrema dispersione spaziale di un gruppo
di persone dalla propria regione di origine. Tale dispersione è del tutto normale e
non impedisce di mantenere un forte senso di appartenenza e di identità culturale.
Oggi il concetto di diaspora viene utilizzato nelle scienze sociali per dare conto alle
plurime e complesse appartenenze culturali ed emotive dei migranti. Vi sono
studiosi che fanno un uso ristretto del termine, e lo applicano solo a quelle
comunità per le quali esiste una patria originaria.
Le culture di diaspora mettono in discussione l’esistenza di un’identità legata a un
singolo luogo d’origine e propongono al suo posto l’idea che le culture siano create
attraverso l’incontro e la fusione di elementi culturali eterogenei.
Le identità dei migranti spesso rimangono nel mezzo, ma traggono sostante mento
da più luoghi, più lingue: si può essere al contempo italiani e senegalesi. Ma
rimanere nel mezzo può significare anche sofferenze, destabilizzazione, senso
d’incompletezza.
Hall sottolinea come le migrazioni diano vita a culture sincretiche che portano con
sé la necessità di vivere più identità ed essere in grado di operare una costante
negoziazione tra questi. La diaspora in questo senso rappresenta una forma
particolare di comunità etnica transnazionale caratterizzata da un persistente
senso di appartenenza dei suoi membri che supera lo spazio e il tempo.
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all’organizzazione.
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Solo negli anni Cinquanta alcuni economisti eterodossi proposero teorie più
convincenti dei processi di formazione degli squilibri geografici che ebbero
un ampio seguito. Lo sviluppo economico è un processo che tende
naturalmente ad una forte concentrazione geografica o polarizzazione, e
alla formazione di squilibri, creando densi complessi di produttori
agglomerati sul territorio che attraggano fasce di popolazione altre funzioni
urbane e di servizio. L’industrializzazione si accompagna storicamente a un
impressionante processo di urbanizzazione anch’esso fortemente
squilibrato. Se lasciato libero di seguire il suo corso, tale processo tende a
rafforzarsi piuttosto che a scomparire nel corso del tempo.
L’impresa madre attiva una domanda di lavoro, beni e servizi e può
diventare catalizzatrice dello sviluppo locale. Il suo sviluppo avrà effetti
diretti, attraverso i salari che corrisponde e la domanda locale che attiva,
effetti indiretti come la localizzazione e la nascita d’imprese più piccole che
agiscono some acquirenti o fornitrici dell’impresa più grande, e effetti indotti
che portano alla nascita di ulteriori attività necessarie a soddisfare i bisogni
della popolazione locale.
Il consolidamento di un polo di sviluppo genera una notevole forza di
attrazione perché l’impresa ha bisogno di lavoratori e di risorse. L’impresa
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localizzazione.
Lo sviluppo capitalistico richiede e produce un particolare tipo di spazio. La
mobilità del capitale e degli investimenti produttivi consente alle imprese un
notevole vantaggio rispetto alla maggiore immobilità del fattore lavoro. Lo
spazio dei luoghi della vita di tutti i giorni, è subordinato allo spazio dei flussi
nel quale agiscono le imprese e nel quale viaggiano le decisioni
d’investimento. La globalizzazione ha trasformato e reso meno leggibile in
termini geografici l’organizzazione spaziale dell’economia, ma non ne ha
mutato le logiche di fondo. Non si tratta tuttavia solo di una
contrapposizione dialettica tra centro e periferia, ma assistiamo a una
crescente schizofrenia tra le dinamiche deteriorizzanti del sistema
economico-finanziario globale e il destino delle diverse regioni e delle
persone che le abitano.
L’approccio marxista ortodosso in geografia ha avuto una discreta
diffusione, ma è divenuto successivamente meno rilevante nel quadro di
una critica complessiva a tutte le grandi narrazioni. Il limite delle teorie
marxista ortodosse è simile a quello dei modelli quantitativi: sono
eccessivamente riduttive, universalistiche e astratte.
La geografia critica più recente riafferma l’importanza e la diversità delle
possibili risposte locali ai processi macrostrutturali di riproduzione degli
squilibri. Il problema non è solo teorizzare il funzionamento delle strutture e
delle sovrastrutture di accumulazione e di subordinazione, ma anche
indagare le possibili strategie di risposta locali e individuali. La ricerca critica
deve avere un’applicazione concreta ed essere utile all’analisi. Tali
fenomeni possono essere compresi nella loro interezza soltanto attraverso
dettagliate inchieste sul territorio. L’obiettivo è individuare il globale nel
locale, nella convinzione che al geografia non può essere tradotta in modelli
universali e astratti, se non al costo di pericolose generalizzazioni.
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d’innovazione
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pubblico molto più vasto di quello che fino ad allora era in grado di
acquistare una vettura privata. Questo tipo di produzione in serie ha
caratterizzato lo sviluppo del sistema industriale in una lunga fase. Gli
elementi caratteristici di questo modello industriale erano la produzione di
beni standardizzati e a basso costo. L’imperativo era quello di ottenere la
massima efficienza.
Un esteso apparato di supervisione gestiva una divisione del lavoro
complessa e imponeva ritmi di lavoro che consentivano di aumentare
notevolmente la produttività. Tale disciplinamento doveva avvenire sia
all’interno che all’esterno della fabbrica. Ford si adoperava per garantire la
buona salute dei lavoratori attraverso pratiche stravaganti, come intervenite
con un corpo d’ispettori nella vita privata dei dipendenti. Il modello fordista
presupponeva la produzione di un particolare tipo d’individuo che doveva
essere istruito e disciplinato al lavoro in fabbrica e allo stesso tempo
consumatore dei prodotti che egli stesso produceva. Per queste esigenze
Ford offriva salari relativamente alti e un orario di lavoro ridotto.
Con la figura dell’operaio, nasce l’idea moderna di consumatore, e in
particolare il consumo di massa di beni a costo contenuto.
A un organizzazione del lavoro di tipo scientifico incentrata sulla struttura
della fabbrica e sul lavoro dipendente e salariato, l’industria fordista
associava una rigida distinzione tra funzioni dirigenziali e funzioni manuali a
basso livello.
La concentrazione di enormi masse di lavoratori alienati rispetto al frutto del
loro stesso lavoro e in qualche modo disumanizzati favoriva la coscienza di
classe degli operai e la loro organizzazione sindacala. S’instaurava un
rapporto conflittuale e dialettico tra operai e imprenditorie che assumeva la
forma di una mediazione di tipo corporativo tra grandi gruppi sociali e i loro
rappresentanti.
Il modello fordista non si esauriva all’interno del sistema di relazioni
industriali, ma rappresentava il fulcro sul quale si basava l’organizzazione
complessiva della società.
Il capitalismo è per sua natura destinato a periodiche crisi di fronte alle quali
esso riesce in qualche modo a reinventarsi. Il ruolo delle sovrastrutture
politiche e ideologiche è particolarmente importante per la riproduzione nel
tempo dei regimi di accumulazione, ed è per questo che il modello è da loro
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La gran parte dei fattori non economici che sono fondamentali per
coordinare la produzione in tempi d’incertezza sono in genere definiti
istituzioni, e sono per questo enfatizzate dalle prospettive istituzionaliste. Le
istituzioni sono fondamentali per comprendere come le economie di
mercato funzionano nella realtà e possono variare nel tempo.
Il termine istituzione può essere frainteso perché esso è in genere associato
a vere e proprie organizzazioni collettive. È utile distinguere tra le istituzioni
formali che sono le istituzioni pubbliche e gli organi dello Stato, ma anche
istituzioni intermedie come le associazioni. Il ruolo delle istituzioni
intermedie è quanto mai importante.
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Non è escluso che le relazioni tra le imprese del cluster prendano la forma
di vere e proprie collaborazioni formali o di rapporti di tipo input-output di
fornitura o subfornitura. In realtà i sistemi regionali d’innovazione hanno
livelli di concentrazione e specializzazione analoghi ai sistemi di produzione
flessibile, ma non mostrano la stessa densità di legami interaziendali.
L’analisi empirica ha dimostrato più in generale come i sistemi locali
d’imprese non siano necessariamente caratterizzati da una densa rete di
relazioni di tipo input-output che implicano lo scambio di beni e servizi.
Secondo Storper questo tipo di economie esterne sono interdipendenze non
di mercato:
1. Sono non di mercato perché non agiscono attraverso relazioni di
scambio vere e proprie
2. Sono interdipendenze perché legano i diversi elementi tra di loro e
con il territorio nel quale si localizzano, favorendo lo sviluppo di
convenzioni
Il funzionamento di questi legami intangibili non è escluso, ma è centrale
nell’analisi dei distretti industriali. Le interdipendenze non di mercato
includono poi anche esternalità di tipo tradizionale.
Tali vantaggi non agiscono tuttavia esclusivamente riducendo il costo della
transazione, ma facilitano un’insieme molto più complesso e informale di
connessioni.
I cluster tecnologici smentiscono le interpretazioni tradizionali per le quali le
protagoniste del processo innovativo sono soprattutto le grandi imprese. è
convenzione diffusa che le imprese di piccole dimensioni non siano in grado
di produrre innovazioni radicali, perché scarsamente specializzate e
costantemente sottocapitalizzate. Le piccole imprese riuscirebbero
difficilmente ad appropriarsi dei benefici delle loro innovazioni che
verrebbero presto imitate dai concorrenti. Soltanto agendo in mercati
oligopolistici si possono avere sia le risorse che le convenienze per
intraprendere investimenti di ricerca e sviluppo. L’innovazione si
svilupperebbe soprattutto in settori caratterizzati da regimi oligopolistici con
rilevanti barriere all’entrata. I cluster tecnologici mostrano come
l’innovazione sia un processo sociale e collettivo condotto da una pluralità
di attori. Il risultato può essere incorporato in una specifica tecnologia,
appropriato da qualche
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Cosa succede ai sistemi e alle reti di produzione nel corso del loro sviluppo
storico? Cosa spiega l’emergere e il declino dei cluster e in che modo questi
subiscono gli effetti di shock di natura esterna come le crisi economiche?
Il modo più semplice per rispondere a queste domande, è pensare che
qualsiasi prodotto, tecnologia, organizzazione abbiano un proprio ciclo di
vita, caratterizzato da fasi d’espansione, maturazione e declino.
L’importanza del territorio e le logiche localizzative delle imprese sono
profondamente diverse in ciascuna di queste fasi.
Un modello precursore e molto noto mette in relazione il ciclo di vita del
prodotto con le dinamiche d’internazionalizzazione delle imprese. Nella fase
iniziale dell’innovazione che porta all’introduzione di un nuovo prodotto, la
produzione avviene su piccola scala. Le imprese innovative si localizzano
per questo in regioni dinamiche dov’è disponibile manodopera qualificata e
godranno inizialmente di una situazione di relativo monopolio. La tecnologia
è molto specifica. Nella fase successiva della maturità le tecnologie saranno
relativamente più semplici e nello stesso tempo più facili da imitare.
Aumenterà la concorrenza. La localizzazione originaria non sarà più del
tutto
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Il termine globalizzazione è in uso dalla metà degli anni Ottanta del secolo
scorso. Sottintende un fenomeno multidimensionali che implica
cambiamenti di tipo tecnologico come il miglioramento dei sistemi di
trasporto e di telecomunicazione. Un ruolo fondamentale è svolto
dall’internazionalizzazione delle imprese e del crescente coinvolgimento di
queste in attività che si svolgono all’estero. Tali attività possono essere di
tre tipologie:
1. L’internazionalizzazione commerciale consiste in attività e
importazione che sono cresciute in maniera vertiginosa negli ultimi
decenni
2. L’internazionalizzazione finanziaria e
produttiva consistono nella
realizzazione
d’investimenti all’estero. La differenza è che nel secondo caso
l’internazionalizzazione si realizza attraverso investimenti diretti
all’esteso che presuppongono da parte dei soggetti investitori il
controllo diretto di attività produttive all’estero
Le imprese multinazionali godono di economie di scala e di scopo molto alte,
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industriali.
L’investimento all’estero implica raramente la creazione di un’attività
produttiva ex-novo ma avviene piuttosto tramite l’acquisizione di un’impresa
straniera. La natura dell’investimento e il suo impatto economico sarà
ovviamente sarà molto diverso: la creazione ex-novo di un’unità di
produzione. L’acquisto di un’impresa esistente si associa spesso alla
riconversione del sito produttivo con conseguenti ristrutturazioni e
licenziamenti.
I principali nodi di coordinamento operativo della produzione rimangono
concentrati presso le regioni maggiormente sviluppare e nelle cosiddette
città globali. La dispersione territoriale delle attività economiche crea la
necessità di una crescente concentrazione organizzativa e territoriale dei
sistemi di controllo e di gestione in località dov’è possibile accedere a
personale qualificato.
Gli organi di governo delle imprese più grandi si occupano ormai e a volte
esclusivamente, del coordinamento finanziario di una miriade d’investimenti
e tendono per questo ad operare scelte molto drastiche con effetti rilevanti
sulle regioni di destinazione e sulle regioni d’origine. Le grandi corporation
esemplificano in questo uno dei tanti aspetti della finanziarizzazione
contemporanea. La necessità di garantire flussi cospicui e crescenti di
profitto spinge queste imprese a concentrarsi sempre di più sulla propria
capacità di produrre rendite finanziarie oltre che beni di qualità.
In seguito alla crisi economica attuale, sono emerse diverse evidenze del
fatto che l’entità degli investimenti esteri si sia drasticamente ridotta. In
alcuni casi si osservano perfino flussi inversi di reshoring con il ritorno di
alcune componenti del processo produttivo nel paese di origine
dell’impresa. Nonostante gli investimenti diretti all’esterno abbiano
raggiunto un’entità considerevole, essi rappresentano una porzione
relativamente limitata del complesso degli investimenti mondiali. Allo
stesso modo le imprese multinazionali risultano limitate sia in termini
numerici, sia d’impatto occupazionale, rispetto alle imprese che hanno
attività all’estero. Il ruolo di queste imprese va comunque ben oltre la
loro capacità di controllare direttamente unità produttive all’esteso e si
esplica anche e soprattutto indirettamente attraverso le relazioni che
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Oggetto della normativa del WTO sono non solo i beni commerciali, ma
anche i servizi e le proprietà intellettuali. Le funzioni del WTO sono:
1. Favorire l’attuazione, l’amministrazione il funzionamento degli accordi
del GATT/WTO
2. Fornire un contesto nel cui ambito si possono svolgere negoziati tra i
suoi membri per quanto riguarda le loro relazioni commerciali
3. Fungere da ambito per ulteriori negoziati tra i suoi membri per quanto
riguarda le loro relazioni commerciali multilaterali
¢. Amministrare l’intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano
la risoluzione delle controversie
5. Il WTO può cooperare con il Fondo Monetario Internazionale
Le due funzioni principali del WTO possono essere identificate da un lato
nel ruolo di forum negoziale per la discussione della normativa del
commercio internazionale: dall’altro lato come organismo per la risoluzione
delle dispute internazionali sul commercio. Per quanto riguarda la prima
funzione, occorre considerare uno degli aspetti maggiormente complessi
relativi al funzionamento dell’organismo: mentre in genere le organizzazioni
internazionali operano secondo il criterio un paese, un voto. Tale criterio
non prevede l’unanimità delle decisioni, ma che nessun paese membro
consideri una decisione talmente inaccettabile da porre obiezioni formali.
L’adozione delle decisioni sulla base del consenso ha il vantaggio
d’incoraggiare la proposta e l’adozione di decisioni largamente condivisibili.
Tuttavia questo processo implica l’allungamento dei tempi e la necessità di
un numero elevato di round negoziali.
Per quanto riguarda il ruolo di risolutore delle controversie internazionali, al
pari delle altre organizzazioni internazionali, il WTO non ha un potere diretto
per sostenere le proprie decisioni, ma qualora un paese membro non si
conformi a una delle decisioni dell’organo di risoluzione delle controversie
internazionali costituito in ambito WTO, quest’ultimo ha la possibilità di
autorizzare misure ritorsive da parte del paese ricorrente. Questo comporta
che i paesi con un’economia solida possano sostanzialmente ignorare i
reclami avanzati dai paesi più deboli, dal momento che a questi ultimi
semplicemente mancano i mezzi per porre in atto misure ritorsive realmente
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Nel 2008 il numero di coloro che vivono in città ha superato nel mondo il numero di
chi abita in campagna. L’intensa urbanizzazione è una caratteristica
imprescindibile di qualsiasi processo di sviluppo economico ed è tipica di tute le
aree del mondo in forte crescita. Le città concentrano ricchezze, attività
economiche, funzioni e saperi in misura molto più che proporzionale alla loro
popolazione. L’urbanizzazione ha progressivamente sostituito l’industrializzazione
come strumento privilegiato di accumulazione. Ciò mette in evidenza l’importanza
delle città per lo sviluppo economico. Tale importanza è dovuta in primo luogo alle
funzioni che le città ospitano al proprio interno. In secondo luogo, le città
esercitano effetti di polarizzazione rilevanti rispetto ai territori circostanti. Non
contenendo al proprio interno le risorse di cui necessitano per sopravvivere
devono infatti procurarsele all’esterno. Il fenomeno urbano presuppone quindi una
qualche forma di organizzazione sociale. Ed è per questo che le città sono da
sempre un fondamentale dispositivo di territorializzazione dello spazio geografico.
Un’analoga forza è giocata dalle città più grandi nei confronti di quelle più piccole
dando luogo a complesse reti e gerarchie di città che si estendono ormai a tutto il
mondo.
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del modello di von Thunen e urbani, competono tra di loto per una localizzazione il
più possibile centrale. Le funzioni che hanno un maggiore beneficio dalla
centralità, spiazzeranno le funzioni dove tale beneficio è via via minore e in
particolare le attività con maggiori esigenze di spazio.
I restanti modelli nono sono parzialmente deduttivi. La struttura di tali città viene
ricondotta al processo storico di espansione urbana per il quale le differenti aree
sono progressivamente invase da nuove funzioni e gruppi sociali che spiazzano le
funzioni pre-esistenti, imponendo loro di spostarsi altrove. il modello precursore è
quello di Burgess. L’area centrale è occupata da funzioni amministrative,
finanziarie, commerciali. Il CBD è circondato da una vasta area residenziale con
gradi di densità abitativa via via decrescenti. I gruppi sociali a più alto reddito
occupano aree più periferiche, in primo luogo perché prediligono modelli abitativi
differenti, in secondo luogo perché le zone residenziali centrali non sono attrattive
e sono spesso degradate.
Le nuove generazioni d’immigrati a basso reddito sono costrette a localizzarsi nei
pressi del centro perché non possono permettersi mezzi di trasporto privati. In
alcuni casi, tali gruppi d’immigrati si concentrano in specifici quartieri mono-etnici. I
gruppi a più alto reddito tendono ad allontanarsi dal centro.
Il modello a settori si basa su una logica simile, sebbene in questo caso dia luogo
a una struttura radiale in cui le diverse funzioni urbane si strutturano intorno a
specifici assi di trasporto tendendo a respingersi a vicenda, dando luogo alla
formazione i aree mono-funzionali.
Alla logica monocentrica di tali modelli si contrappone la logica pluricentrica che è
tipica della città a nuclei multipli nella quale permane un central business district
baricentrico e dominante ma si formano centralità minori.
Una tendenza di fondo è la formazione di quartieri omogenei dal punto di vista
residenziale e funzionale. La monofunzionalità può essere ricondotta in primo
luogo alle economie di agglomerazione.
Nel caso delle scelte residenziali la tendenza alla formazione di aree omogenee
dal punto di vista sociale è anche detta segregazione spaziale. Alcuni gruppi
sociali tendono a concentrarsi in specifici quartieri per ricercare il capitale di
relazioni sociali da cui sono esclusi. Le affinità socioeconomiche ed etniche
favoriscono la collaborazione, la fiducia, la condivisione di convenzioni. Tali
vantaggi sono ulteriormente rafforzati dalla necessità di agire in un contesto ostile
o estraneo. La
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1. In primo luogo essa dipende dalla mera dimensione della città. La stessa
dimensione della città deriva dall’importanza di ciascun centro, che dipende
a sua volta esclusivamente dalle attività economiche che essa ospita.
2. La città, in secondo luogo, sono innanzitutto luogo privilegiato per la
localizzazione di servizi.
I servizi presentano alcune caratteristiche fondamentali che li distinguono da altre
tipologie di attività economiche:
1. La produzione è immateriale e consiste nell’erogazione di una prestazione
2. Il luogo di consumo corrisponde al luogo di produzione
3. Per accedere a un servizio i consumatori devono fisicamente recarsi presso
il luogo di fornitura.
Alcuni servizi saranno molto frequenti sul territorio, per poter servir agevolmente i
propri clienti all’interno di aree di mercato di dimensioni ridotte. Altri servizi
daranno invece più rai e saranno presenti solo nelle città più importanti. Tali servizi
avranno una soglia più ampia: per poter funzionare in maniera efficiente ed
economica devono poter servire un bacino di domanda più esteso. Essi avranno
una più ampia portata: i consumatori saranno disposti e in qualche modo costretti
a percorrere lunghe distanze per poter accedervi.
Tra tutte le attività economiche sono i servizi più rari o di rango più elevato, a
determinare la centralità di una città. Il rango di un servizio è espresso
dall’ampiezza della sua area di mercato e dalla sua densità sul territorio. L’ordine
di una località è il livello gerarchico che essa occupa nella gerarchia urbana
complessiva sulla base del rango dei servizi offerti.
La centralità urbana si esprime sullo spazio geografico attraverso la capacità dei
servizi di rango elevato di attirare consumatori anche da aree distanti, e si traduce
in veri e propri flussi di gravitazione che dalla località centrale si estendono su un
raggio più o meno ampio.
Si considerino (Figura 8.4 pag 300) cinque tipologie di servizi caratterizzati da un
bacino di domanda più o meno ampio, rappresentato dalle rette di domanda
inclinate e più o meno frequenti sul territorio. Lo spazio rappresentato nella figura
può essere equiparato a una generica regione in cui c’è un'unica località centrale
che possiede tutte e cinque le tipologie di servizi, tre piccoli centri che offrono
soltanto i servizi di rango più basso, e quattro località di ordine intermedio che
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Viviamo in uno spazio dei flussi globalizzato, nel quale ai tradizionali rapporti tra le
città e i propri intorni regionali o nazionali si è sostituita una complessa rete
d’interdipendenza e di relazioni tra tutte le località del mondo e un’unica gerarchia
urbana mondiale. La città rappresenta un elemento di fondamentale importanza
nelle logiche del discorso sulla globalizzazione.
Il fenomeno dello sviluppo si articola a scale geografiche differenti, e le città
costituiscono entità geografiche privilegiate per comprendere le trasformazioni più
recenti. Appadurai suggerisce che il mondo di oggi si strutturi in buona misura
sotto la spinta di flussi che prendono forma alla scala globale. L’autore ne
individua sei tipologie:
1. Ethnoscape flussi di turisti, uomini d’affari
2.
3.
¢. informazioni
5. ideologiche
6. consumo
Questi flussi non sono distribuiti in maniera omogenea nel mondo, ma tendono a
concentrarsi in specifici spazi, ossia nelle città. I principali centri urbani
rappresentano le sedi delle maggiori società multinazionali, i luoghi di
concentrazione delle strutture di controllo della finanza mondiale.
Non tutte le città assumono lo stesso ruolo in questa rete mondiale. È possibile
immaginare la rete urbana internazionale, ovvero l’insieme delle città e dei flussi
che la collegano, come organizzata in modo gerarchico. Il livello più elevato di
questa gerarchia è rappresentato da un ristretto numero di città, chiamate città
globali, in grado di assumere un ruolo strutturante in relazione a tutte le tipologie di
flussi prima descritte.
Il primo studioso a introdurre questo concetto fu Friedman,il quale intese le città
globali come centri di potere economico. Focalizzando l’attenzione sul potere
finanziario e sulla capacità di attrarre investimenti, Friedmann distinse in maniera
qualitativa fra:
1. Città primarie dei paesi del centro (Londra, Parigi…)
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fortuna, spesso autocostruiti e abusivi. Essi non sono tipici soltanto delle periferie
urbane ma sorgono nei pressi del centro
Si assiste a forme estreme di dualismo sociale: da un lato si manifesta la
concentrazione delle attività maggiormente avanzate e degli esponenti della classe
sociale dei capitalisti transnazionali. Questo dualismo si manifesta nella struttura
spaziale della città: le élite locali vivono sovente in gated comunities, ossia
quartieri residenziali recintati con il filo spinato.
I problemi della struttura urbana possono essere efficacemente letti con la chiave
teorica della sostenibilità, intesa non solo nelle sue componenti ambientali, ma più
in genere nella ricerca di forme di sviluppo eque e bilanciate. La popolazione dei
paesi ricchi tende a considerare la sostenibilità soprattutto in termini di
salvaguardia della natura e a considerare prioritari gli interventi rispetto a
tematiche quali il riscaldamento globale.
Il rapporto fra globalizzazione, sviluppo, sostenibilità e urbanizzazione assume
particolare importanza per un’ulteriore questione di cruciale importanza: la città è il
luogo in cui concretamente sperimentiamo la sostenibilità degli stili di vita. L0idea di
una compressione dello spazio e del tempo, delle forze della globalizzazione
prende forma a partire dal nostro spazio quotidiano di vita, dal dialogo con altre
persone. Taylor, analizzando il concetto di scala geografica, propone una celebre
tripartizione:
1. La scala globale corrisponderebbe a quella della realtà, in quanto ogni
fenomeno prende ontologicamente forma in uno spazio di per sé globale
2. La scala nazionale sarebbe ideologica in quanto costruita sostanzialmente
attraverso la politica e i discorsi nazionalistici
3. La scala urbana corrisponderebbe alla scala dell’esperienza
Ne deriva un’utile riflessione: la città nono solo costituisce il luogo in cui
sperimentiamo la globalizzazione, ma anche dove si procede alla sua
negoziazione, ossia il luogo del conflitto, della protesta. I movimenti collettiva e le
rivendicazioni di giustizia sociale e ambientale tendono a concentrarsi e a
prendere forma nello spazio urbano.
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L’agricoltura continua a rimanere uno dei comparti più rilevanti. Uno dei nodi per
comprendere il rapporto fra pratiche socioeconomiche, agricoltura e sviluppo è
rappresentato dalla questione del regime di proprietà dei terreni e della
conseguente organizzazione del lavoro in ambito agricolo. Con il termine struttura
agraria s’intendono le differenti modalità in cui terra e lavoro sono combinati in
varie forme di produzione. Analizzare la struttura agraria di uno spazio rurale
significa comprendere chi possiede la terra, chi la lavoro.
Le strutture sono estremamente mutevoli nel tempo e nello spazio, e in questo
senso si possono individuare vari modelli geografici. È possibile tratteggiare
quattro tipi ideali di strutture agrarie:
1. Le strutture agricole di sussistenzasi caratterizzano per elevata intensità
di lavoro manuale e per i
limitati o nulli scambi di mercato. Si tratta di forme che caratterizzano per
esempio gran parte dell’agricoltura familiare africana. L’attività agricola è
sostanzialmente destinata al consumo diretto ed è praticata mediante
tecniche tradizionali tese a sfruttare la grande varietà di vegetali.
L’agricoltura di sussistenza può assumere forme molto differenti.
2. Le strutture agricole commercialisi formano in conseguenza
dell’adozione di tecniche colturali tese allo sfruttamento dei terreni in
collegamento agli spazi urbani. I prodotti sono destinati prevalentemente
a mercati urbani. Si tratta del caso degli agricoltori localizzati in spazi
periurbani. I terreni in questo caso sono spesso caratterizzati da elevato
valore a causa della prossimità alla città, e se
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