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In geografia l’acquisizione dei dati, l’elaborazione ed il coordinamento fino anche alla loro
presentazione sono tappe analitiche che partono da un’osservazione preliminare dei
rapporti di causa effetto che si instaurano tra i vari fenomeni territoriali osservati.
Per quanto riguarda l’osservazione strumentale si può ricorrere a degli strumenti che ci
servono per avere dei dati quantitativi sui quali basare la nostra analisi. Pensiamo al
correntometro per la misurazione della velocità delle correnti delle acque o all’igrometro che
serve a misurare l’umidità.
L’uso di strumenti per quanto riguarda l’analisi geografica serve ad avere dei dati quantitativi
su tutta una serie di fenomeni che possono interessare la comprensione completa del
fenomeno geografico.
Per quanto riguarda l’osservazione indiretta il geografo può fare delle inchieste.
L’inchiesta consiste nell’assunzione di informazioni da persone che sono pratiche dei luoghi
per cui non interessa il grado di istruzione ma interessa che queste persone siano provviste
di conoscenze empiriche del luogo: pastori, agricoltori. Quindi lo studioso deve fare delle
domande senza pilotare le risposte e in un secondo momento dovrà criticamente vagliarle
e confrontarle. Le inchieste possono essere fatte su singole persone ma anche grazie
all’aiuto di uffici privati e pubblici.
Per quanto riguarda i livelli di analisi della descrizione: corrispondono alla capacità di una
descrizione di essere più o meno analitica questo perché esistono dei livelli descrittivi
espressi dal numero degli elementi presi in considerazione. In tal modo ci possono essere
delle descrizioni più o meno dettagliate. Quanto più un territorio è esteso tanto meno
dettagliata è la descrizione.
Arriviamo a questo punto a parlare dell'importanza della geografia fisica in seno alla
disciplina geografica che sta proprio nel suo studiare i fenomeni e gli elementi che
caratterizzano la geosfera con i quali ovviamente ogni azione antropica deve e dovrà
misurarsi.
La geografia fisica si interessa di tutti quei fenomeni fisici che possono concorrere a fornire
spiegazioni in merito alle caratteristiche fisiche del territorio che é comunque il supporto
materiale di ogni azione antropica e in quanto tale questo interessa alla geografia tout court
e soprattutto alla geografia umana.
La rilevanza della geografia fisica nella geografia umana è legata all'importanza della storia
geologica della terra dalla quale dipende la formazione e la localizzazione ad esempio dei
giacimenti minerari. Sappiamo questo essere un elemento molto importante anche per
capire i rapporti di equilibrio economico politico degli ultimi tempi e negli ultimi cinquant’anni.
Pensiamo all'area geografica per esempio della penisola arabica dove si trovano i giacimenti
di petrolio.
Bisogna dire che la conoscenza geologica della terra oltre alla distribuzione dei giacimenti
minerari è molto importante anche per capire come l'uomo ha organizzato il proprio territorio
e anche in virtù della futura pianificazione territoriale.
La geografia fisica quindi può senz'altro dare degli apporti molto importanti e rispondere a
quesiti come ad esempio quali risorse l'ambiente offra alla comunità, quali rischi vi siano di
eventi catastrofici, oppure quali condizioni favoriscono gli stress idrologici finanche ad
individuare quali sono gli ecosistemi esistenti sulla superficie terrestre e come possano
essere salvati.
Come afferma Adalberto Vallega in Geografia umana “sarebbe quindi opportuno creare e
dar forma ad un'opera sistematica che trattasse la geografia fisica in funzione della
geografia umana”. A tutt'oggi un'opera di questo tipo ancora non esiste però è sicuramente
certa da parte di tutti i geografi l'importanza che lo studio della geografia fisica riveste in
seno alla geografia umana.
Iniziamo a parlare delle tematiche della geografica fisica che interessano in maniera
strettissima lo studio della geografia umana. Innanzitutto i tempi lunghi e brevi della
natura.
Si ritiene che la nascita della terra come singolo corpo risalga ca. 4 miliardi e mezzo di anni
fa. Per i tempi più remoti nulla si conosce tanto è vero che si parla di tempi pre geologici. Si
sa invece che le rocce più antiche risalgono a circa 3,8 miliardi di anni fa mentre la comparsa
delle prime forme di vita cellulare risalgono a ca. 3,3 miliardi di anni fa. Per gli esseri viventi,
un popolamento animale di organismi complessi e variato sembra risalga a 700 milioni di
anni fa.
La frammentazione odierna delle terre emerse in più masse continentali va ricercata in tempi
geologici tanto è vero che sin dai primi del 900 si è capita che questa frammentazione non
dovesse essere originaria cioè non è esistita sin dall’inizio ma è andata a formarsi nel corso
dei tempi geologici.
Si pensò che le odierne masse continentali quindi anche le isole costituissero un tempo un
tutto unico a cui si diede il nome di Pangea, ossia tutta la terra circondata da un unico
grande oceano definito Pantalassa. Questa era la situazione agli inizi dell’era mesozoica
ca. 250 milioni di anni fa quando cominciarono ad aprirsi delle fessure dividendo l’unica
massa continentale in più blocchi. Questi blocchi andarono poi ad allontanarsi l’un dall’altro
in varie direzioni. Questo movimento venne analizzato dal tedesco Alfred Wegener nella
teoria della deriva dei continenti del 1912.
La prima idea della deriva dei continenti fu scoperta dallo studioso dall'osservazione dei
contorni delle sponde atlantiche, quindi africana e sudamericana, sicché spostando
opportunamente la massa americana verso quella euro-africana le opposte sponde
vengono quasi a combaciare. La teoria dei continenti fu accolta da parecchi studiosi con
diffidenza essenzialmente perché non riusciva a capire e a individuare le cause di questo
movimento. Il meccanismo, anche se non precisamente le cause della traslazione, fu
riconosciuto dopo la seconda guerra mondiale, quando furono studiati in maniera più
dettagliata i fondali marini e quindi le dorsali mediane. Le dorsali sono dei rialzamenti che
corrono sotto ai fondali oceanici. Questo studio porterà poi tra gli anni 60 e 70 del 900 alla
teoria della tettonica a placche. Teoria che prese sicuramente nuova forma anche dallo
studio di altri lineamenti della superficie terrestre, ad esempio quello dei maggiori sistemi
montuosi, degli archi di isole prossime ai continenti, delle fosse oceaniche e la distribuzione
dei vulcani e quindi della sismicità.
La geologia ha dovuto naturalmente stabilire una cronologia che, sino a non molti decenni
fa, era una sola cronologia definita relativa in quanto stabiliva quali eventi fossero venuti
prima e quali dopo in modo da fissare la successione degli avvenimenti. Così i tempi
geologici furono suddivisi in grandi ere e periodi. Successivamente grazie allo studio della
radioattività delle rocce si arrivò invece ad una cronologia assoluta e comunque quella
suddivisione in ere e periodi continuò ad essere utilizzata perché molto pratica.
Negli ultimi decenni si è discusso molto a livello mondiale, pensiamo alle tantissime
conferenze che sono state fatte su questo tema, sulle cause di questo innalzamento del
livello del mare ed in particolar modo ci si è chiesto quale incidenza abbia avuto la
produzione di calore da fonte umana.
Non c'è dubbio che l'erosione delle coste, l'ingressione marina sulla terraferma, le variazioni
del clima e le ripercussioni che questo ha sull'attività umana costituiscano delle tematiche
allarmanti con le quali l'uomo si deve comunque confrontare e rapportare fino anche a
ripensare alla sua posizione sul nostro pianeta terra.
In tal senso però si vuole ricordare che sia nei tempi geologici, sia nei tempi storici nella
natura si sono susseguiti cicli e successioni climatiche.
Illustreremo quali sono le caratteristiche della terra fino a parlare della geosfera, della
biosfera e della struttura generale della superficie terrestre.
L’immagine illustra da una parte la stratificazione delle sfere di cui si compone la terra:
partendo dall'esterno abbiamo l’atmosfera che è un involucro gassoso che però non ha un
limite ben definito visto che si rarefà verso lo spazio cosmico; poi abbiamo l'idrosfera che è
invece un involucro irregolare non del tutto continuo formato dall'insieme delle acque nei
loro vari aspetti quindi mari, fiumi e ghiacciai; poi abbiamo la litosfera di cui fa parte anche
la crosta terrestre che è la parte solida costituita dalle rocce e quindi ha uno spessore che
va dai 5 ai 60 km; e poi abbiamo il mantello formato da rocce pesanti, non tutte allo stato
solido, che si estende al di sotto della litosfera fino a 2900 km rispetto al livello del mare; e
in ultimo abbiamo il nucleo che misura 6370 km dal livello del mare, di costituzione metallica
e quindi molto pesante. L’astenosfera è il mare di magma incandescente che divide la
litosfera dal mantello.
Per quanto riguarda invece la seconda parte dell’immagine, questa ci fa capire la
complessità delle relazioni e quindi di feedback all'interno del sistema terra.
I punti uno e due indicano come il sistema clima implica ampi scambi di massa, quindi aria
ed acqua, ma anche di energia come il calore, tra l’atmosfera, l’idrosfera e anche la litosfera.
Il punto tre ci mostra che dal sistema clima dipende anche la biosfera quale insieme degli
organismi viventi che a sua volta occupa parte dell’atmosfera, dell’idrosfera e della litosfera.
La litosfera come illustra il punto quattro si muove sull’astenosfera, parte superiore del
mantello parzialmente fusa. Localmente la litosfera sprofonda ed è trascinata
nell’astenosfera da dove raggiunge, come ci mostra il punto cinque, il mantello profondo e
torna risalire con un nuovo ciclo connettivo dando vita così al sistema della tettonica a
placche.
Il punto sei infine illustra come la parte interna ed esterna del nucleo interagiscono nel
sistema geodinamo responsabile dell'esistenza del campo magnetico terrestre.
Si suol chiamare geosfera la superficie terrestre, cioè la porzione del nostro pianeta formata
dalla parte inferiore dell’atmosfera, dall’idrosfera e dalla parte superiore della litosfera, quasi
una pellicola che include anche gli essere viventi, tra cui l’uomo, che vivono in quella che
viene definita biosfera.
Più specificatamente l'ambiente terrestre si differenzia in mondo inanimato, quindi mondo
abiotico e mondo animato cioè il mondo biotico.
L'ambiente abiotico può essere suddiviso a seconda del suo stato fisico in solido quindi
litosfera, liquido quindi idrosfera, e gassoso e quindi atmosfera.
La biosfera dove si trovano gli organismi viventi si estende per tutta la profondità degli oceani
limitandosi però agli strati più bassi dell'atmosfera e quindi stratosfera e troposfera. La
biosfera è dunque sede di una continua circolazione di materia percorsa da un flusso di
energia in tal modo gli elementi e i composti chimici provenienti dalla litosfera, dall'idrosfera
e dell'atmosfera passano da un organismo all'altro e da questi poi tornano nel mondo
inorganico, pensiamo al ciclo della decomposizione.
La biosfera è l'ambiente naturale nel quale l'uomo si trova e con il quale entra in contatto
attraverso un complesso rapporto di feedback.
Dobbiamo sottolineare quindi che non l'intero corpo terrestre ma la sola superficie terrestre
con tutti i fenomeni in essa manifesti nella misura però in cui questi influenzano l'esistenza
antropica sono oggetto dello studio della geografia.
Le caratteristiche generali della superficie terrestre e della geosfera.
La caratteristica più generale della superficie terrestre è la distribuzione dei mari e delle terre
emerse. I primi formano una distesa continua mentre le terre emerse sono suddivise in
cinque grandi continenti: le Americhe, l’Africa, il continente euro-asiatico, l’Oceania e
l’Antartide. L'Antartide a differenza invece dell'Artico è un continente perché sotto la coltre
di ghiaccio c'è la terra, cioè il continente.
La seconda caratteristica invece è quella della prevalenza per estensione delle acque
rispetto alle terre emerse. Le acque prevalgono assai per estensione occupando poco meno
dei tre quarti dell’area totale, quindi 362 milioni di chilometri quadrati su un totale di 510
milioni. Le terre emerse misurano 148 milioni di chilometri quadrati, quindi più precisamente
il rapporto tra terra-mare anzi mare-terra emersa è cinque a due.
La terza caratteristica consiste nel raggruppamento di grande parte delle terre emerse
attorno a un punto situato nell'Europa centro-occidentale. Assumendo questo punto come
polo di un emisfero si può dividere la terra in un emisfero continentale e un emisfero
oceanico. Nel primo si riunisce l'89% delle terre emerse mentre nel secondo se ne trova
solo l'11% ma va comunque considerato che nello stesso emisfero continentale c’è una
prevalenza dei mari, ca. il 51%. La quarta caratteristica invece riguarda la superficie della
litosfera perché la superficie della litosfera è formata sia dalla parte che noi possiamo
vedere, quindi dalle terre emerse, ma anche dalla terra sommersa, quindi da una parte
sottomarina. I fondi marini sono per larghissima estensione piuttosto uniformi mentre la
superficie delle terre emerse appare in buona parte accidentata da rilievi collinari e
montuosi. Ancor più distintivo è il fatto che nei fondi marini prevalgono profondità che vanno
dai 3000 ai 5000 m, invece nelle terre emerse prevalgono dei rilievi che hanno una media
di 500 m di altitudine, che appaiono prolungarsi in una fascia costiera fino a circa 150-200
m di profondità, detta questa piattaforma continentale.
La superficie della litosfera si presenta nell'insieme ordinata su due piani: fondi oceanici con
profondità media di quasi 4000 m e le terre emerse con l'altitudine media nettamente
inferiore ai 1000 m.. I due piani sono riuniti da un gradino denominato scarpata
continentale. In altre parole possiamo dire che i continenti, con la loro piattaforma
continentale, appaiono come blocchi che si sollevano dalle grandi distese oceaniche
abissali, le alte montagne hanno figura di cuspidi ristrette analogamente alle fosse
oceaniche che sono incavature strette e lunghe che scendono qua e là sotto i 5000 m fino
a 11.000 m..
Conclusioni.
L'ambiente è il supporto fisico dell'essenza antropica e averne le conoscenze basilari
conduce ad una relazione cosciente con esso. La conoscenza degli elementi che
compongono i vari ecosistemi è il mezzo con cui questa coscienza collettiva deve e può
formarsi al fine di garantire un giusto governo del pianeta e un adeguato rapporto con esso.
Conoscere le caratteristiche della terra che ci circonda e sulla quale il nostro vivere si
costruisce appare quindi di indiscussa importanza per tutti i motivi che abbiamo detto anche
in questa lezione visto che l'ambiente fisico è il supporto della vita e della sopravvivenza
dell'uomo e quindi anche della sua evoluzione realtà che produce quindi una continua
calibratura di questo rapporto. La contemporaneità è caratterizzata dall'attenzione verso lo
sviluppo sostenibile e la salvaguardia dell'ambiente che non solo passano per la ricerca oggi
sempre più attenta delle fonti alternative di energia ma anche per la consapevolezza
collettiva e individuale degli equilibri naturali che sottendono l'esistenza planetaria. Lo studio
geografico appare quindi quanto mai attuale e necessario alla formazione di questa
coscienza e della conoscenza delle componenti terrestri (geografia fisica) e delle
manifestazioni territoriali scaturite dal rapporto uomo-ambiente (geografia umana). La
geografia fisica fornisce un bagaglio di saperi utili alla geografia umana e non solo al fine di
chiarire l'interazione esistente tra gli elementi fisici e gli elementi umani su un determinato
territorio e tra questo e l'intorno globale fornendo quindi conoscenze che aiutano a dare
risposte a interrogativi importanti oggi sempre più pressanti inerenti le risorse ambientali di
cui la comunità umana dispone o potrà disporre in futuro e la salvaguardia del patrimonio di
ecosistemi necessari alla vita terrestre.
Per la costruzione di questa lezione, come per tutto il modulo di geografia fisica ci si è rifatti
non solo il testo dell'Adalberto Vallega, La geografia umana ma anche al testo di Peter
Haggett, Geografia una sintesi moderna, edito da Zanichelli nel 1998 e il libro di Aldo Sestini,
Introduzione allo studio dell’ambiente. Fondamenti di geografia fisica, edito da Franco Angeli
nel 1994.
Il clima: fattori, elementi e classificazione.
In questa lezione si spiegherà perché una località posta su una determinata parte della
superficie terrestre sia più o meno fertile di un’altra. I geografi hanno scoperto che la fertilità
naturale di una data località dipende da quattro fattori: il primo è il clima solare e quindi
praticamente la latitudine, il secondo è la posizione che questa località ha rispetto alla
circolazione atmosferica generale, il terzo è la posizione rispetto ai continenti, agli oceani e
altre caratteristiche fondamentali terrestri, il quarto infine sono i fattori ambientali locali. La
fertilità di un'area è determinata quindi dal clima. In questa lezione andremo a parlare del
clima e quindi dei fattori e degli elementi climatici.
Gli argomenti della lezione saranno pertanto i seguenti: i fattori del clima con particolare
riferimento ai fattori astronomici legati alla forma e quindi alla latitudine, all’inclinazione
dell'asse terrestre e ai moti di rotazione e di rivoluzione della terra. Altro argomento sarà il
ciclo delle stagioni poi seguiranno gli elementi climatici e i singoli fenomeni meteorologici: la
pressione, il vento, il vapore acqua nell’atmosfera, le nebbie e le nubi, origine e distribuzione
delle precipitazioni atmosferiche e infine la classificazione dei climi di Wladimir Koppen.
Gli obiettivi della lezione saranno i seguenti: illustrare le ragioni per cui i fattori astronomici
assieme a quelli terrestri fanno variare il clima da un luogo terrestre all'altro e poi spiegare
quali siano le conseguenze del ciclo annuo di rivoluzione compiuto dalla terra intorno al sole
e come il moto di rivoluzione assieme a quello di rotazione concorrono a dar vita al ciclo
delle stagioni e alle variazioni delle radiazioni solari. Inoltre gli obiettivi della lezione saranno
anche spiegare come il ciclo delle stagioni alla variazione della radiazioni solari e di
temperatura che cambiano ovviamente secondo la latitudine siano collegati a tutta una serie
di fenomeni meteorologici. Illustrare infine come diversi elementi metereologici
combinandosi tra loro in maniera subordinata a fattori di latitudine e continentalità danno
vita a diverse tipologie di clima.
Una breve introduzione sulla differenza tra il tempo meteorologico e il clima. Quando si parla
di tempo metereologico si parla dello stato fisico della troposfera e cioè lo stato dell'aria in
un certo punto e in un determinato momento. Nel modo comune di esprimersi quindi quando
si parla di tempo meteorologico si parla del tempo che fa. Il clima viceversa non si riferisce
ad uno stato momentaneo bensì ad una successione di stati meteorologici nel lungo
periodo. Pertanto si può definire il clima di un luogo come la successione abituale nel tempo
del tempo meteorologico nel corso dell’anno considerando la successione di vari anni.
Dobbiamo dire che il clima dipende da fattori climatici e da elementi. I primi e quindi i fattori
climatici determinano la differenza climatica tra un punto e l'altro della superficie e quindi a
diversa latitudine e possono essere astronomici o terrestri. Gli elementi che determinano gli
stati meteorologici sono la temperatura, la pressione, l’umidità, la nebulosità, le
precipitazioni acquee e anche i venti. I fattori del clima sono fattori astronomici e fattori
terrestri. I fattori astronomici vengono costituiti dalla forma subsferica della Terra e quindi,
dalla latitudine, dai moti di rivoluzione e rotazione della terra intorno al sole e dall'inclinazione
dell'asse di rotazione sul piano orbitale terrestre.
Per quanto riguarda invece i fattori terrestri dobbiamo dire che questi sono più numerosi e
sono determinati dalla ripartizione delle terre e dei mari rispetto alla posizione che ha una
località sulla superficie terrestre, se si trova più o meno vicino a terre o più o meno vicino ai
mari allora sicuramente cambierà il clima. Altri fattori terrestri sono la distanza delle terre dai
mari, dalle correnti marine, dall’altitudine, dalla posizione rispetto ai rilievi montuosi e
rilevanti soprattutto a livello locale, l'orientamento dei versanti, la posizione rispetto alle
masse d'acqua come ad esempio i laghi, ma anche la vegetazione e non per ultima l'attività
antropica.
In questa lezione si illustreranno in maniera più approfondita i soli fattori astronomici dai
quali dipendono le variazioni del clima sulla superficie terrestre. Ai fattori astronomici della
forma della terra, all'inclinazione del suo asse, al moto di rivoluzione è legata la circostanza
della quantità totale annua di radiazioni solari ricevute in un certo luogo del globo che
diminuisce dall’equatore andando verso i poli e quindi anche variabilmente nel corso
dell'anno e sempre ovviamente in rapporto alla latitudine.
La terra è in ogni momento esposta ai raggi del sole per metà e i due emisferi, illuminato e
oscuro, sono separati da una circonferenza massima che prende il nome di circolo di
illuminazione. La rotazione della terra fa spostare continuamente questo circolo e durante
una giornata i punti situati su uno stesso parallelo sono sottoposti alla medesima condizione
di insolazione. Il ciclo diurno è la quantità di calore ricevuta dal luogo che è ovviamente in
rapporto con la durata giornaliera dell'insolazione ma è anche in rapporto con l'inclinazione
dei raggi solari rispetto alla superficie colpita. Dalla levata del sole al mezzogiorno, allorché
il sole giunge alla culminazione, ossia alla massima altezza sull’orizzonte, per intenderci allo
zenit, del suo cammino apparente, giornaliero nel cielo il calore che perviene nell'unità di
tempo si accresce, diminuisce poi dal mezzogiorno al tramonto. Riguardo a questo ciclo
diurno ricordiamo che si suol chiamare dì il periodo di illuminazione in contrapposizione alla
notte e si deve riservare il vocabolo giorno alla durata della rotazione terrestre completa,
cioè di 24 ore. A questo punto possiamo parlare del moto di rivoluzione della terra intorno
al sole e quindi del ciclo annuo. La terra si muove intorno al sole secondo una linea ellittica
ma con una piccola differenza fra i due assi. La posizione eccentrica del sole in uno dei due
fuochi dell’ellisse porta però una certa differenza della distanza terra-sole. Infatti tra il
perielio che è la punta di massima vicinanza al sole e l’afelio che è il punto di maggiore
distanza dal sole si passa da circa 147 milioni a 152 milioni di chilometri. Ne deriva una certa
diversità nella quantità di calore ricevuta dalla terra non tale però da influenzare
sensibilmente i climi ne è prova il fatto che la terra quando si trova in perielio al principio di
gennaio quindi nella sua posizione più vicina al sole nell’emisfero boreale quindi
nell'emisfero nord ha inizio l'inverno quando invece la terra si trova in afelio, nel punto più
lontano dal sole nello stesso emisfero boreale hai invece inizio l’estate. Evidentemente
sono altri i fattori che determinano la differenza di irraggiamento e senz'altro il fattore più
importante è l'inclinazione dell'asse terrestre. Il fattore più importante è sicuramente l'asse
terrestre e la sua inclinazione rispetto a un'immaginaria superficie piana o definita anche
piano dell'orbita terrestre su cui si colloca il percorso della terra intorno al sole, l'asse
terrestre non è posta verticalmente in corrispondenza di questo piano orbitale ma è inclinato
in un angolo di 23,5° circa. Se l'asse terrestre fosse perpendicolare al piano dell'orbita
regnerebbe tutto l'anno la stessa condizione di insolazione ma proprio in conseguenza
dell'obliquità la terra si espone ai raggi solari in maniera differente.
Parliamo ora della posizione che assume la terra durante il moto di rivoluzione intorno al
sole e rispetto a quattro posizioni che sono le posizioni degli equinozi e le posizioni dei
solstizi che poi vanno a dar vita alle quattro stagioni astronomiche. Nell’emisfero
settentrionale il 21 marzo è l’equinozio di primavera e il 23 settembre è l’equinozio di
autunno.
Ricordiamo che le definizioni stagionali sono invertite nell'emisfero australe quindi quando
nell'emisfero boreale è equinozio di primavera in quello australe è equinozio di autunno. Nel
giorno di equinozio il dì e la notte hanno la stessa durata, 12 ore. I raggi solari al momento
della culminazione giornaliera giungono perpendicolari all'equatore e allontanandosi da
questo si fanno ovviamente sempre più obliqui fino a raggiungere i poli che sono proprio
radenti. Nel solstizio d’estate, che nell’emisfero boreale cade il 21 giugno, i raggi solari di
mezzo dì sono perpendicolari quindi allo zenit sul parallelo 23° 27’ nord, cioè sul tropico del
cancro, quindi i raggi del sole cadono perpendicolari al tropico del cancro. Il dì è più lungo
della notte e la calotta polare artica è totalmente colpita dai raggi del sole. Nel giorno invece
del solstizio invernale le condizioni dei due emisferi si invertono: il dì è più corto della notte
nell’emisfero boreale e la calotta polare antartica è completamente colpita dai raggi solari
mentre la calotta polare artica è all’oscuro. Al momento della culminazione il sole manda i
suoi raggi perpendicolari al tropico del capricorno. Le quattro stagioni metereologiche, sono
rispetto alle quattro stagioni astronomiche, sulla superficie terrestre alla diversa latitudine e
rispetto le fasce climatiche si manifestano nel ciclo delle stagioni prodotte dall’inclinazione
dell'asse terrestre e dalla rivoluzione della terra attorno al sole. Se si segue il percorso di
questo diagramma si può riconoscere il cambiamento delle stagioni attraverso la primavera,
l’estate, l’autunno e l'inverno nell'emisfero ovviamente settentrionale e l'andamento invece
sarà inverso nell’emisfero australe: marzo, aprile maggio che nell'emisfero settentrionale
sono tradizionalmente i mesi della primavera nell’emisfero australe saranno invece i mesi
dell’autunno.
In un’annata si possono succedere quindi le stagioni metereologiche. Nei paesi temperati
come il nostro se ne riconoscono due nettamente distinte, l'estate e l'inverno e due di
passaggio la primavera e l’autunno. Nei paesi invece tropicali le stagioni sono due, una
piovosa l'altra asciutta mentre presso l’equatore il caso più comune è quello di una relativa
uniformità della stagione durante tutto l'anno per cui mancano le stagioni. Le variazioni
stagionali dipendono quindi dalla rivoluzione della terra intorno al sole e dalla quantità di
radiazioni ricevute da un luogo rispetto alla latitudine. Dobbiamo però ricordare che una
parte dell'energia solare si perde nel cosmo dopo essere stata filtrata dall’atmosfera.
Gli elementi climatici, tra i quali possiamo annoverare la temperatura, le caratteristiche della
pressione, il vento, l’umidità dell’aria, le precipitazioni di acqua in forma liquida quindi pioggia
ma anche in forma solida neve e grandine, la pressione esercitata dal peso dell'aria che
innalzandosi nell’atmosfera diminuisce venendo a mancare il peso degli strati inferiori. In
generale la pressione è un elemento climatico non influente direttamente su fenomeni fisici
della superficie terrestre e poco risentito anche dagli essere viventi uomo compreso fino a
un'altitudine di 1000-2000 m, infatti l'uomo non avverte alcuna difficoltà dovuta alla
pressione dell’aria, oltre invece questa altitudine e quindi oltre i 2000 m cominciano a farsi
sentire le difficoltà respiratorie, anche la fatica ma va anche detto che ci sono delle
popolazioni che si sono adattate e si sono stanziate ad un altitudine anche di 4000 m
pensiamo a popolazioni andine o anche quelle tibetane. Invece molto importante è la
variazione di pressione che ha una grande importanza poiché è la causa di spostamenti
d’aria in senso orizzontale e in senso verticale capaci, di provocare dei cambiamenti di
temperatura ma anche delle variazioni sull'umidità e sugli altri elementi climatici in un
determinato luogo.
Un altro elemento climatico molto importante è il vento: una corrente d’aria orizzontale
caratterizzata da direzione e velocità provocata dalle differenze di pressione esistenti da un
luogo ad un altro e legate al diverso riscaldamento dell’aria. Proprio per la sua funzione di
redistribuzione termica per cui il calore è trasportato dai movimenti dell'aria attraverso eventi
nelle aree intertropicali e nelle zone polari va riconosciuta al vento una grandissima
importanza come elemento climatico. I venti si muovono in conseguenza delle differenze di
pressione atmosferica per cui le masse d'aria calda e quindi umida essendo più leggere
tendono a salire verso l'alto con moti convettivi e quindi verticali, invece ci sono anche delle
correnti di aria fredda e secca che sono più pesanti e quindi tendono a scendere dando vita
invece a un moto convettivo discendente. Le prime sono dette cicloni e sono aree di bassa
pressione, le seconde invece sono dette anticicloni e sono aree ad alta pressione. Sulla
superficie terrestre nelle aree cicloniche il moto ascendente tende a formare una specie di
vuoto d'aria mentre in quelle anticicloniche si crea al contrario un eccesso di aria.
Un altro elemento climatico è il vapore acqueo. L'aria contiene un massimo di 3-3,5% di
vapore acqueo proveniente dall'evaporazione che ha luogo dalle superficie liquide, e quindi
dagli oceani ad esempio, dal suolo e dalle piante. Esistono due modi per definire l'umidità
atmosferica la prima è l'umidità assoluta che viene misurata pesando i grammi di vapore
acqueo contenuto in 1 m³ di aria. Questa grandezza tuttavia non è importante in
metereologia quanto piuttosto l'umidità relativa. Possiamo dire che ad una certa
temperatura e ad una certa pressione l’aria può contenere un determinato quantitativo di
vapore acqueo raggiunto questo quantitativo l’aria diviene satura di vapore quindi ogni
piccola variazione di temperatura o di pressione o ogni aggiunta di altro vapore rendono
l'aria si dice soprassatura per cui il vapore acqueo in eccesso condensa sottoforma di
pioggia in piccolissime gocce d'acqua quindi liquida.
La formazione delle nubi che sono composte da minutissime goccioline d'acqua o da cristalli
di ghiaccio del diametro di poche frazioni di millimetro poiché le goccioline sono tanto
minuscole da essere più leggere dell'aria vi restano come dire sospese e possono salire o
scendere trasportate dai vari movimenti atmosferici. Se la temperatura si abbassa
ulteriormente le goccioline che formano le nubi si vanno a condensare intorno ai nuclei di
condensazione che sono dei minuscoli granuli di pulviscolo atmosferico ma possono
essere anche di ceneri vulcaniche e così via. Le gocce ormai grandi e l'insieme di cristalli di
ghiaccio che sono più pesanti dell’aria cadono dando origine alle precipitazioni e quindi a
pioggia, grandine o neve. A livello planetario dobbiamo dire che l'acqua fornita dalle
precipitazioni atmosferiche ha un'importanza enorme per gli effetti su tanti fenomeni fisici e
biologici ed è determinante anche per il ciclo delle acque.
E’ importante la ripartizione nel corso dell'anno delle precipitazioni. Questa ripartizione viene
definita regime delle piogge. Questo planisfero ci mostra che c'è una grande varietà di
regime delle piogge a livello planetario. Nelle zone equatoriali quindi parliamo delle zone
caratterizzate poi dal bioma della foresta pluviale non per nulla. Nelle zone equatoriali le
precipitazioni sono piuttosto abbondanti in ogni mese. Nei paesi tropicali generalmente
alterna una stagione piovosa ed una asciutta. In regioni continentali temperate la pioggia
invece cade di regola in ogni stagione ma si accentua di più nell’estate. Fanno eccezione
invece i paesi mediterranei dove l'estate è la stagione invece più secca il che considerando
tutta la terra è una eccezione piuttosto che una regola. A livello planetario le precipitazioni
possono dar vita a conseguenze di grandi e violenti fenomeni metereologici quali possono
essere i cicloni tropicali e i monsoni ma danno anche vita ai cicloni extra-tropicali che sono
assolutamente meno dannosi.
La classificazione dei climi. Tra le varie classificazioni consideriamo qui quella di
Wladimir Koppen del 1930 che non prende in considerazione i singoli climi regionali ma
parla di tipi climatici perché ci sono dei climi molto simili anche se non proprio identici che
possono presentarsi in regioni anche lontanissime tra loro pensiamo ad esempio al clima
mediterraneo che è presente anche in California o nel Cile medio, nelle regioni del Capo in
Africa australe e anche in Australia latitudine sud-tropicale. Wladimir Koppen individua
quindi 11 tipi in questa classificazione che sono però raggruppati in cinque grandi gruppi. Il
primo gruppo è quello definito a climi caldo umidi, il secondo climi aridi, il terzo gruppo climi
temperati caldi o mesotermici, il quarto climi temperati continentali o microtermici e l’ultimo
e quindi quinto gruppo è quello climi freddi o nivali.
Questi cinque grandi gruppi sono suddivisi in 11 tipi climatici fondamentali che secondo
questa classificazione di Koppen sono il clima caldo sempre umido, il clima caldo con piogge
estive, il clima arido caldo, il clima arido con inverno freddo, il clima temperato caldo con
piogge estive, il clima temperato caldo con siccità estiva, il clima temperato senza stagione
secca, il clima temperato continentale, il clima estremamente continentale, il clima
seminivale e ultimo il clima del gelo perenne.
Un'altra classificazione comunemente molto usata è quella per fasce climatiche così
dall'equatore ai tropici, nella fascia che va da 0° a 23°27’ è rappresentata la fascia climatica
torrida che va dal clima equatoriale ad una stagione o esente da stagione caratterizzata dal
bioma - il bioma per inciso è l'insieme di vegetazione dominante - quindi equatoriale della
foresta pluviale. A mano a mano che si va verso i tropici il clima diventa sub-equatoriale e
quindi a due stagioni caratterizzato dai biomi tropicali della savana, dal bioma monsonico,
dal bioma predesertico e quindi dalla steppa e dal bioma desertico. Esiste il deserto caldo
come per esempio il Sahara ma esiste anche il deserto freddo come per esempio il deserto
del Gobi. Allontanandoci dai tropici nella fascia temperata che va da in 23°27’ ai 66°33’ il
clima è molto variabile e quindi troviamo un clima mediterraneo ma anche un clima atlantico
e continentale caratterizzato dall’alternanza delle quattro stagioni. Anche i biomi variano
molto quindi possiamo trovare la macchia mediterranea ma anche la prateria, la foresta di
latifoglie la taiga e anche la brughiera. Infine alle alte latitudini si giunge alla fascia polare e
quindi dai 66°33’ fino al 90°. Questa fascia è caratterizzata da un clima sub-polare e da un
clima polare e da due stagioni e dai biomi della tundra e del gelo perenne. Va anche
sottolineato che invece i climi di alta montagna hanno un tipo climatico definito che è poi
quello nivale.
Conclusioni: il clima si manifesta in una successione di stati atmosferici che variano nel
corso delle stagioni ma che si ripetono ciascun anno in sequenza grosso modo molto simile.
Esso dipende da elementi quindi la temperatura, la pressione, l'umidità relativa e assoluta,
l'intensità e durata delle radiazioni solari, le precipitazioni e fattori climatici astronomici e
terrestri. L’esistenza umana dipende dal clima perché a questo è anche legata la fertilità di
un luogo. Pensiamo al ciclo annuo di rivoluzione compiuto dalla terra intorno al sole e a
come il moto di rivoluzione insieme a quello di rotazione concorrono insieme a dar vita al
ciclo delle stagioni e alle variazioni delle radiazioni solari e quindi alla formazione delle varie
fasce climatiche da cui dipendono le diverse modalità di adattamento all'ambiente naturale
della specie umana.
L’idrosfera. I mari e le acque continentali.
In questa lezione parleremo dei mari e delle acque continentali ma più in particolare
dell'acqua che copre la superficie terrestre e che è presente sulla superficie terrestre nei
suoi tre diversi stadi come vapore acqueo nell’atmosfera e nelle emanazioni vulcaniche, allo
stato solido come neve e ghiaccio e allo stato liquido nei mari e negli oceani. Più del 97%
dell'acqua è salata e quindi è rappresentata dai mari e dagli oceani, solo il 3% invece è
acqua dolce ed è caratterizzata da acque continentali presenti nell’atmosfera ma anche nei
ghiacciai e nelle calotte polari.
Pertanto gli argomenti di questa lezione saranno i seguenti: le caratteristiche fisiche degli
oceani e dei mari, il ciclo delle acque, le acque continentali e quindi fiumi, laghi, stagni, le
paludi ed infine i ghiacciai.
Iniziamo col parlare delle caratteristiche fisiche degli oceani e dei mari. Le acque marine
formano un tutto continuo e occupano in superficie il 72% dell'area della superficie terrestre.
Le maggiori distese tra un continente e l'altro sono i tre oceani quindi l’Oceano Atlantico,
l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico che è il più grande anche se alcuni definiscono
Oceano il Mar Glaciale Artico. Sono dette mari invece certe parti periferiche di essi o tratti
più o meno ben delineati frammezzo alle terre emerse, tuttavia con il termine mare si intende
indicare genericamente sia gli uni che gli altri. I due terzi della superficie pari a 361 milioni
di chilometri quadrati sono occupati da oceani e mari. Essi coprono l’80% della superficie
dell'emisfero meridionale e il 60% di quello settentrionale. Le acque oceaniche si sono
probabilmente prodotte nelle prime fasi evolutive della terra per condensazione e
precipitazioni di immensi volumi di vapore acqueo che erano presenti nell’atmosfera. Più
incerta è invece l'origine dei sali minerali disciolti nei mari. Gran parte di questi
derivererebbero dal dilavamento operato dalle acque continentali ed è probabile che
provengano anche dall’attività vulcanica che interessa la crosta oceanica lungo i margini
attivi delle placche. La caratteristica quindi dell'acqua è una soluzione caratterizzata da
salsedine. La salsedine in particolar modo è il peso dei sali contenuti in forma disciolta in 1
kg di soluzione e si esprime in millesimi. In particolar modo la percentuale dei sali presenti
nell’acqua marina corrisponde al 3,5%. Per intenderci in 1 kg di acqua marina sono contenuti
35 g di sale. Inoltre va detto che oltre alla salsedine nell’acqua sono contenuti anche dei gas
in forma disciolta come l’ossigeno che è fondamentale per la vita. La salsedine può variare
lievemente tra un mare e l’altro ma quello che è certo è che la percentuale e quindi il rapporto
dei vari sali tra di loro non cambia mai.
A questo punto andiamo a parlare della differenza di salsedine da un mare all'altro che può
dipendere da diversi fattori: dall’intensità dell’evaporazione che tende ad accrescerla, dalle
piogge, dall’apporto di acque dolci fluviali che naturalmente invece tendono a diminuirla, dal
congelamento e dal disgelo. La salsedine è maggiore nei mari tropicali e sub-tropicali che
sono caldi e scarsi di pioggia ed è leggermente inferiore nei mari freddi. Differenze più forti
si riscontrano invece nei mari che sono quasi chiusi come il Mediterraneo o il Mar Baltico
che hanno una ristretta comunicazione con gli oceani. In particolar modo nel Mediterraneo
prevale in complesso l’evaporazione così nella parte orientale si arriva addirittura 3,9% di
salsedine. Solo le acque dell'Adriatico settentrionale risultano essere un po' meno salate del
normale grazie all’apporto del Po e di altri fiumi. Nel Mar Rosso invece che è caldo e scarso
di piogge e non ci sono fiumi che vi affluiscono la salinità supera persino il 4% nella parte
più interna. Per quanto riguarda invece il Mar Nero dove l’evaporazione è ridotta e dove
sboccano grossi fiumi la salinità scende sotto l’1,5-2% e più ancora in vicinanza delle foci
fluviali.
Ed eccoci arrivati a parlare invece della temperatura. Le temperature delle acque marine
alla superficie dipendono dal calore solare e presentano naturalmente una oscillazione
diurna e una annua esattamente come l'aria ma l’acqua essendo penetrata dal calore solare
ben più profondamente del suolo ha maggiore calore specifico così essa si riscalda più
lentamente dell'aria ma perde più lentamente il calore assorbito. Le temperature maggiori
si riscontrano soprattutto nei mari tropicali in pieno oceano dove le temperature raggiungono
i 25° e i 28° in mari semichiusi anche più come ad esempio nel Mar Rosso o nel Golfo
Persico dove si può salire fino a 35°. La diminuzione procedendo verso le zone polari non
è regolare specialmente a causa delle grandi correnti oceaniche che trasportano acqua
dolce e acqua fredda. Nei mari invece polari la temperatura superficiale è prossima allo zero
e può anche arrivare al di sotto dello zero. Ricordiamo che l'acqua marina è una soluzione
e quindi congela a quasi -2°. La temperatura dell'acqua va a diminuire sensibilmente mano
a mano che si scende in profondità dapprima assai rapidamente e poi molto lentamente. Gli
strati d'acqua a profondità abissali, oltre i 3000 m sono freddi, mentre nei grandi fondi
oceanici la temperatura è uniforme e costante quindi intorno a 0°e un po' sotto fino ai -2°.
L'acqua fredda proviene come è deducibile dalle regioni polari per discesa al fondo che
lentissimamente scorre verso l’equatore. In mari semichiusi comunicanti con l'oceano per
mezzo di una soglia poco profonda la temperatura dell'acqua al fondo non è invece così
bassa perché l’acqua fredda oceanica non può penetrare. Per esempio nel Mar
Mediterraneo la cui soglia nello Stretto di Gibilterra è a 370 m sotto il livello del mare l’acqua
di fondo si mantiene ad una temperatura di circa 13° corrispondente ca. alla temperatura
media invernale in superficie.
Abbiamo detto che essendo una soluzione l'acqua marina soprattutto alle alte latitudini
congela a -2° quindi nella parte del Mar Glaciale Artico e nel continente antartico il mare si
presenta costantemente ghiacciato e va a formare la cosiddetta banchisa. Questi lastroni
di banchisa che vengono trascinati dai moti del mare e si spostano verso latitudini più basse
non rappresentano però un grosso pericolo per la navigazione, diversa invece la situazione
degli iceberg. Questi sono infatti degli enormi lastroni che si staccano dai ghiacciai che
possono raggiungere anche un centinaio di metri, nel loro movimento verso latitudini più
basse quindi si fondono e possono raggiungere nell'emisfero nord delle latitudini circa 40°
latitudine nord, quindi ci troviamo all'altezza di New York, mentre a sud possono raggiungere
in questa loro deriva fino a Capo di Buona Speranza nell'emisfero australe.
Adesso andiamo a parlare dei movimenti in superficie delle acque marine. I movimenti in
superficie sono perlopiù tre quindi parliamo del moto ondoso, delle maree e delle correnti
marine. Per quanto riguarda il moto ondoso questo è dovuto dal vento per l'attrito con la
superficie dell'acqua e si manifesta con lunghe onde parallele che hanno una cresta e quindi
una culminazione, cresta dell'onda e una depressione che viene definita ventre. Ciascuna
particella descrive un cerchio e poi ritorna su se stessa quindi non c'è una vera e propria
traslazione dell’acqua. Il moto ondoso si attenua rapidamente con la profondità e i sui fondali
bassi o comunque lungo la costa l’onda si modifica e tende a rovesciarsi spumeggiando.
Per quanto riguarda invece le maree, queste consistono in un innalzamento e in un
abbassamento alternato della superficie marina determinando un livello massimo definito di
alta marea e un livello minimo definito di bassa marea. Una oscillazione completa quindi
alta e bassa marea si compie in 12 ore e 25 minuti, almeno teoricamente in quanto le
circostanze locali possono ovviamente alterare il ritmo. Causa delle maree è senz'altro
l'attrazione che esercitano il sole e la luna sulla terra specialmente l'attrazione della luna
com'è avvertito dal fatto che due oscillazioni complete durano 24 ore e 50 minuti che è il
tempo che uguaglia il giorno lunare. Sempre rimanendo sulle maree c'è da dire che
l'innalzamento delle acque è massimo non solo in direzione della luna ma anche agli
antipodi quindi anche nell'antimeridiano e cioè nel punto diametralmente opposto. Nel primo
caso perché è massima l’attrazione, nel secondo caso perché l’attrazione è minima. Visto il
fenomeno nell'insieme del globo essa appare come un duplice rigonfiamento uno sul
meridiano che è rivolto alla luna l’altro nel suo antimeridiano, mentre nella posizione
intermedia si osserva una depressione.
Per la rotazione terrestre massimi e minimi si spostano via via sui meridiani successivi e
questo va a creare come un'onda che gira intorno alla terra in 24 ore e 50 m provocando
così due alte e due basse maree.
Questa immagine mostra come la forza di marea è massima nelle immagine a dove L N
corrisponde a luna nuova e L P corrisponde invece a luna piena quando cioè la terra, la luna
e il sole si trovano allineati e la marea lunare si somma a quella solare. E’ minima invece
nell'immagine b dove PQ significa primo quarto e UQ ultimo quarto.
Andiamo a parlare ciclo delle acque perché le acque marine assieme alle acque
continentali vanno a formare quello che viene definito il ciclo idrografico delle acque. Per
intenderci quando si parla di acque continentali si intendono le acque sotterranee, le acque
correnti e quindi i fiumi, i ruscelli e i torrenti, le acque lacustri e i ghiacciai. Le acque
continentali insieme danno vita a quella che viene definita l’idrografia.
Gli oceani costituiscono il grande serbatoio che fornisce l’umidità all’atmosfera mediante
l’evaporazione. Il vapore acqueo ritorna poi ai mari con le precipitazioni che cadono sui mari
stessi e vi ritorna più o meno direttamente anche per mezzo dei fiumi a loro volta alimentati
dalle precipitazioni. L'evaporazione proviene dalle acque continentali ma anche dal suolo
umido o anche attraverso la traspirazione delle piante, la decomposizione dei corpi degli
organi viventi. Può avvenire tra l'altro un temporaneo immagazzinamento dell'acqua
meteorica sotterraneamente o in forma solida di ghiacciai che comunque verrà restituita
anche attraverso i fiumi e quindi in definitiva al mare. Si attua così un grande ciclo, un
ininterrotto ciclo definito ciclo idrologico. Sintetizzando possiamo dire che i vari tipi di acqua
si trasformano l’un nell'altro attraverso complessi processi fisico chimici del ciclo delle
acque. Le acque superficiali in particolare le oceaniche riscaldate dall'energia solare
passano allo stato gassoso dell’aria. Il vapore è trasportato dai venti tramite nuvola, quando
le condizioni di temperatura e di pressione lo permettono precipita al suolo come pioggia,
grandine e/o neve.
Le caratteristiche dei laghi. Comunemente un lago è alimentato sia dalle precipitazioni che
cadono direttamente sul suo specchio, sia dall’acqua che gli apportano gli immissari, cioè
i corsi d’acqua che vi sboccano. L’acqua che via via si aggiunge viene in parte perduta per
evaporazione mentre una parte si scarica per mezzo di un fiume che esce dal lago e viene
definito emissario. Si stabilisce così un equilibrio che mantiene il livello del lago stabile. Un
certo rialzamento temporaneo può avvenire però inseguito a delle piogge abbondanti
concentrate in un breve periodo. Vi sono poi anche laghi chiusi cioè privi di emissario. In
questo caso l'acqua viene perduta solo per evaporazione e per lo più manca un ristabilirsi
dell'equilibrio tra acquisti e perdite. I laghi chiusi sono caratterizzati da acque salate
diversamente dai laghi provvisti invece di emissario e la salsedine dipende dal fatto che gli
immissari portano una sia pur piccola quantità di sali che non escono più dal lago in quanto
l'acqua è eliminata solo per evaporazione così che con l’andar del tempo vi si concentra e
questo succede nel Mar Morto.
L'origine dei laghi può essere diversa e causata da forze endogene o esogene. Per
endogene si intende quindi quei moti che sono all'interno della crosta terrestre, esogene
invece quelle manifestazioni dinamiche tipiche dell'aria e dell'acqua che vanno ad erodere
o ad accumulare materiale tanto poi da creare e dar vita a delle conche e quindi ai laghi.
Esistono i laghi di sbarramento di una valle che possono avere origine dalle alluvioni e quindi
dai detriti che vengono deposti oppure anche i laghi che derivano dalle frane e che sono i
laghi che in realtà hanno una vita più breve, i laghi da morena e quindi strettamente connessi
al ghiacciaio e quindi ai detriti che il ghiacciaio nella sua discesa porta con sé e poi i laghi
artificiali che nascono grazie a delle dighe, laghi costieri e laghi glaciali.
Perlopiù i grandi laghi sono però tettonici ossia accolti in ampie cavità formatesi a seguito
dei moti tettonici che non sono ovviamente costanti, per esempio grazie alla formazione di
un fossato. Il Mar Caspio deve la sua origine a movimenti tettonici che lo hanno separato
dal mare e pertanto viene definito lago relitto. I laghi hanno una esistenza più o meno lunga,
alcuni come quelli piccoli di sbarramento per frana durano anche pochi anni. L’estinzione di
un lago avviene per interrimento a seguito dell'accumulazione di detriti portati dalle acque
che vi sboccano, oppure avviene per erosione con l’approfondimento del letto dell’emissario
fino a livello di fondo.
Stagni e paludi. Non esiste una netta separazione fra lago, stagno e palude. Quando si parla
di uno stagno si parla di uno specchio d'acqua molto più piccolo caratterizzato da una forte
vegetazione; così anche per le paludi anche se lo specchio d’acqua è molto più melmoso
e le piante invadono a tal punto lo specchio d'acqua che quasi non si vede più.
Conclusioni. Sulla terra l'acqua è presente nei suoi tre stati fisici come vapore acqueo
nell’atmosfera e nelle emanazioni vulcaniche, allo stato solido come neve e ghiaccio, allo
stato liquido è contenuto nei mari e nelle acque continentali ed è anche conservata nelle
falde sotterranee. I diversi tipi di acqua si trasformano vicendevolmente l’uno nell'altro grazie
a complessi processi fisico chimici che sono propri del ciclo delle acque.
Nel ciclo delle acque il vapore acqueo viene trasportato dai venti sottoforma di nuvole e
rispetto alle condizioni di temperatura e di pressione ricade sulla superficie terrestre
sottoforma di precipitazioni e quindi di pioggia, neve o grandine mentre il quantitativo delle
acque che evapora dai mari supera quello che ricade con le precipitazioni. Sulle terre
emerse dobbiamo dire che le precipitazioni invece superano la quantità del liquido
evaporato. Il volume totale dell’idrosfera supera il miliardo di km cubi, di cui il 97% è formata
da mari e oceani che contengono acqua dura caratterizzata da un'alta percentuale di sali
minerali, il 3,5% in media, che la rende utilizzabile per la sola pesca, la navigazione e poco
altro. La minima parte restante, il 3% ca. è costituita dalle acque dolci continentali, la cui
distribuzione non è omogenea sui vari continenti. Dall’acqua dolce dipende la vita della
maggior parte degli animali e dei vegetali, nonché quella dell’uomo alla quale attinge per
l’alimentazione, l’uso agricolo, gli impianti industriali e la produzione di energia elettrica.
5
Il modellamento del suolo. I parte. Agenti geomorfologica endogeni.
Il modellamento del suolo, gli agenti geomorfologici endogeni. Parleremo nello specifico
delle forme del rilievo nate dai moti tettonici e anche dai fenomeni del vulcanismo.
Questo perché la descrizione delle forme del rilievo nell'aspetto attuale deve essere
assolutamente integrata da una conoscenza delle loro origini ad esempio un monte che noi
possiamo osservare può avere una origine diversa quindi può nascere per effetto di
erosione provocata dalle acque correnti ma anche per esempio dal deposito di materiale
vulcanico.
Gli argomenti pertanto della lezione saranno i seguenti: gli agenti geomorfologici esogeni
ed endogeni, dopodiché parleremo delle rocce sedimentarie eruttive e metamorfiche quindi
dei modellanti geomorfologici endogeni, la tettonica globale con l’orogenesi terremoti e
bradisismi e il vulcanismo. Infine parleremo delle caratteristiche morfografiche e le forme
orografiche.
Gli obiettivi della lezione saranno i seguenti: presentare le forme che il rilievo assume,
capirne le origini e le trasformazioni causate dal modellamento di agenti geomorfologici
endogeni, fornire le basilari nozioni sulle rocce e la loro giacitura, capire la natura e le
conseguenze sulla superficie terrestre dei moti tettonici quindi l’orogenesi, i terremoti e
bradisismi. Analizzeremmo infine le particolari forme del rilievo prodotte dal fenomeno
vulcanico per poi illustrare la varietà dei rilievi terrestri nelle loro caratteristiche esteriori.
Sulla superficie terrestre possiamo distinguere molte e diverse forme di rilievo. Le forme del
rilievo vengono studiate nello specifico dalla geomorfologia che è per l'appunto lo studio
delle forme del rilievo presenti sulla crosta terrestre. La geomorfologia mette in relazione la
geografia con la geologia e si distingue in morfografia e morfogenesi dove la morfografia
è riflessa nelle carte geografiche in quelle linee di livello chiamate isoipse che descrivono
esteriormente le forme del rilievo. Molto spesso il termine morfografia viene avvicinato al
termine di orografia ma bisogna dire che l’orografia a differenza della morfografia non si
occupa mai delle forme piane. La morfogenesi è lo studio delle origini del rilievo. Gli agenti
geomorfologici vengono anche definiti agenti modellatori e gli agenti modellatori
morfologici si distinguono in due grandi categorie: gli agenti endogeni e gli agenti esogeni.
Per quanto riguarda gli agenti endogeni possono essere di due tipi: fenomeni vulcanici e
quindi consistente nella fuoriuscita dalla crosta terrestre di gas caldo e di materiale roccioso
fuso e dai moti tettonici ossia il sollevamento e l'abbassamento del terreno quindi con la
rottura e spostamento di tratti della litosfera a causa di forze interne. Per quanto riguarda
invece gli agenti esogeni sono essenzialmente le manifestazioni dinamiche cioè il
movimento dell'aria e dell'acqua nelle loro varie forme e quindi il vento, le acque correnti
sotterranee, i ghiacciai, il mare e i laghi. Ogni agente che sia esso endogeno o esogeno
agisce per mezzo di processi di erosione e di deposito che nel loro manifestarsi vanno quasi
a costituire un ciclo che può essere definito anche ciclo litografico per cui l’erosione
consiste nell'asportazione dal suolo di detriti rocciosi con il conseguente abbassamento
della superficie del terreno mentre questi detriti poi possono essere depositati, accumulati
più in basso rispetto al luogo di origine rialzando così la superficie del terreno e possono
addirittura arrivare a costruire nuova terra laddove vengano scaricati in mare o nei laghi così
possiamo dire che si crea proprio un ciclo litografico. Non soltanto gli agenti modellatori,
quindi quei processi geomorfologici modellano il rilievo importante infatti è anche il materiale
su cui gli agenti geomorfologici agiscono e quindi le rocce.
Le rocce possono essere differenti rispetto alle loro proprietà fisiche e alla loro disposizione
definita anche giacitura. Rispetto all'erosione un calcare ad esempio si comporta in maniera
molto diversa da come si potrebbe comportare invece un granito o anche l’argilla. Le rocce
si differenziano in roccia sedimentaria eruttiva e metamorfica ma anche per diverse
caratteristiche quali l’omogeneità o l’eterogeneità, la costituzione chimica, la divisibilità, la
disposizione e quindi la giacitura. La giacitura nello specifico è l'orientamento che una
roccia prende rispetto ai punti cardinali e al piano orizzontale e serve proprio alla distinzione
di quelle che sono le rocce sedimentarie eruttive e metamorfiche. Nella figura con la sigla
ba vengono indicate la batolite di roccia intrusiva, con la sigla fi i filoni, me le rocce
metamorfiche, cl le rocce sedimentarie stratificate cioè derivate da frammenti di roccia
preesistenti, ch invece indica le rocce di deposito chimico, org le rocce organogene mentre
i magmi e le rocce vulcaniche sono invece colorate di nero e vengono punteggiati invece i
tufi vulcanici.
Le rocce sedimentarie nascono dall’accumulo e dalla sedimentazione di materiale che nel
corso del tempo si è andato a depositare di frammenti solidi. Le rocce sedimentarie possono
dar vita anche alle rocce organogene che derivano da animali e piante e quindi sono un
insieme di gusci di molluschi, di alghe e di coralli e possono anche derivare da organismi,
fra tutti pensiamo ai calcari.
Per quanto riguarda invece le rocce eruttive dobbiamo dire che si sono formate nel corso
del tempo per il raffreddamento e la solidificazione del magma. La solidificazione può
avvenire all'interno della crosta terrestre dando vita alle rocce intrusive quindi sono un
compatto aggregato di granuli che sono per lo più cristalli di silicati vari quali il quarzo o il
granito e poi ci sono le rocce effusive invece che sono quelle che si sono andate a
solidificare sulla crosta terrestre quindi non all'interno per intenderci. Queste hanno la stessa
composizione chimica mineralogica delle rocce intrusive ma per il fatto che si sono
raffreddate all'aria hanno caratteri sicuramente diversi pensiamo alla pomice o anche ai
porfidi.
Un altro tipo di roccia che si viene a creare molto particolare perché dall'azione del
vulcanismo non fuoriesce soltanto la lava ma possono fuoriuscire anche dei materiali
piroclastici quindi questo che cosa fa si vanno ad accumulare e accumulandosi possono dar
vita a quelli che vengono definiti i tufi vulcanici e quindi possiamo dire essere a metà tra una
roccia eruttiva e una roccia sedimentaria.
Le rocce metamorfiche prendono forma dalla cristallizzazione quindi dalla trasformazione
delle rocce sedimentarie e di quelle eruttive. Sono una cristallizzazione delle rocce
sedimentarie. Per quanto riguarda invece le rocce eruttive rappresentano una
ricristallizzazione della roccia. L'effetto del metamorfismo è quindi la cristallizzazione
pertanto le rocce metamorfiche sono generalmente qualificate come delle rocce cristalline,
un esempio è proprio il marmo.
Quando si parla della tettonica globale si parla della configurazione della crosta terrestre
attraverso movimenti di origine tettonica di origine endogena delle zolle o placche che
formano la litosfera. Rispetto alla tipologia della roccia si dà vita a una determinata forma
del rilievo perché le rocce si possono comportare in maniera differente rispetto alle loro
proprietà quindi rispetto ai moti tettonici la roccia può piegarsi se plastica, oppure può
rompersi creando delle fratture e può anche però sollevarsi e abbassarsi. Nell’assetto delle
masse rocciose derivate dai moti tettonici abbiamo la piega e la faglia. Un esempio di faglia
è senz'altro quella di Sant'Andrea in California che nasce dallo sfregamento di due placche,
quindi l'una contro l’altra, con i loro margini trascorrenti e questo comporta un'intensa attività
sismica come accade intorno alla faglia di Sant'Andrea in California, pensiamo alla città di
San Francisco che nel 1906 venne proprio distrutta da un terremoto causato dallo
scorrimento della placca pacifica con la placca nord-americana.
L’orogenesi è uno dei prodotti dei movimenti tettonici ed in particolar modo parleremo del
corrugamento che è prodotto dalle spinte parallele alla superficie che costringono le rocce
a piegarsi o a frantumarsi con accompagnamento di altri importanti fenomeni quali intrusione
di magmi, vulcanismo, metamorfismo e sismicità. Questo grandioso complesso di fenomeni
costituisce l'orogenesi letteralmente genesi delle montagne ma non si deve però intendere
che dal corrugamento siano direttamente formate le catene montuose così come noi oggi le
possiamo osservare; più esattamente l’orogenesi imposta la formazione di sistemi montuosi
e quindi predispone le condizioni per la loro evoluzione in cui sono importanti anche gli
agenti esogeni.
Nella lunghissima storia della struttura fisica della terra l’orogenesi si presenta di quando in
quando e si sviluppa in un lungo arco di tempo, pre-geologico e geologico, infatti nei tempi
precambriani e quindi ci troviamo in un tempo pre-geologico hanno avuto luogo diverse
orogenesi di cui però oggi non rimane praticamente niente perché le catene montuose che
allora si sono andate a formare sono state totalmente demolite da processi di erosione e
sono ridotte oggi a regioni pianeggianti. Due episodi invece che sono molto importanti sono
quelli orogenetici che cadono nell'era paleozoica cioè il corrugamento caledoniano e quello
ercinico. Le catene di questi corrugamenti sono state fortemente smantellate e ne sono
rimaste solo le radici quindi i loro resti si trovano in genere nella parte settentrionale dei
continenti e in particolare l’orogenesi ercinica è ancora visibile nell'Europa occidentale e
centrale. Dopo l'era mesozoica che è stata relativamente quieta è seguito invece un
importante e poderoso corrugamento nell'era terziaria che viene definito corrugamento o
orogenesi alpina-himalayana proprio perché da questo corrugamento hanno preso origine
le catene montuose delle Alpi dell’Himalaya ed anche delle Ande. In passato si sono
formulate diverse ipotesi per spiegare l’orogenesi e oggi la più accreditata è senz'altro quella
della tettonica a placche per cui la litosfera è divisa in grandi e piccole placche che non
corrispondono però affatto ai continenti o agli oceani. Ciascuna delle placche può
comprendere una parte costituita dalla crosta continentale e una parte di crosta oceanica.
La suddivisione corre in genere lungo le dorsali mediane e tipica è quella medio atlantica
che descrive una gigantesca S e che si sviluppa parallelamente alla costa euro-africana e
americana. Proprio sulla dorsale s’incava un fossato dove sale dal mantello superiore un
magma basico che si riversa ai due lati mentre le placche adiacenti sono sospinte
letteralmente l’una in senso opposto dell'altra e in un moto divergente cosicché il loro
allontanamento allarga via via il fondo degli oceani quindi da questo allontanamento il
magma esce dando vita a fenomeni di vulcanismo sotto ovviamente il livello del mare e
condensandosi la lava da vita a delle vere proprie montagne sui fondali marini.
Quando le placche divergono dall’altra parte vanno invece a convergere dando vita al
fenomeno della subduzione che può dar vita a tre diverse tipicità, tre diverse forme di
rilievo: nel primo esempio, dalla convergenza quindi oceano/oceano quindi tra due placche
oceaniche possiamo dire che la successiva subduzione di una placca sotto l'altra può dar
forma ad un arco insulare per esempio vulcanico. Se la convergenza invece avviene tra una
massa continentale e un oceanica la parte della crosta discendendo fino al mantello per
effetto della subduzione fonde il magma così originato che risale verticalmente e sviluppa
un intenso vulcanismo che costruisce cordoni arcuati di isole e quindi gli arcipelaghi come
quelli presenti nell'Asia orientale. Da questo tipo di subduzione può anche formarsi una
fascia di monti vulcanici che si salda la parte continentale della placca vicina per cui la placca
oceanica infatti essendo più fluida e più pesante scivola al di sotto della placca continentale
per effetto della subduzione andando a formare nella parte oceanica una fossa oceanica
mentre nella parte continentale una catena vulcanica costiera. Ed è proprio quello che è
accaduto nelle catena delle Ande del Sudamerica. Se invece le due masse che convergono
sono continentali il lento avvicinamento e la collisione delle parti delle due zolle
provocheranno invece l’orogenesi in un movimento di corrugamento così la potente coltre
di sedimenti accumulati in una fossa giunta la crosta delle placche a collisione viene
compressa, corrugata e infine sollevata con accompagnamento di un nuovo vulcanismo e
va quindi ad aggiungersi come nuova massa continentale alle altre masse continentali. Quali
siano le cause di questi fenomeni ancora non è chiaro. E’ accertato che nascono da dei moti
convettivi interni alla crosta terrestre in particolar modo presenti nell'astenosfera dove il
materiale ultra basico del mantello è più caldo, sale fino alla base della crosta terrestre per
spostarsi poi lateralmente e in questo spostamento laterale trascina le placche litosferiche
per poi ridiscendere e rifluire.
I terremoti o sismi non sono la causa ma l’effetto dei movimenti tettonici in specie lungo le
faglie. Come abbiamo potuto appurare con la faglia di Sant'Andrea e l'esempio della
distruzione di San Francisco nel 1906 sono dei fenomeni che si vanno a manifestare lungo
i margini caldi della crosta terrestre. Le forze che tendono a comprimere o distendere certe
porzioni della crosta terrestre accumulano energia la quale ad un certo momento si libera
ristabilendo condizioni di equilibrio tra i blocchi mentre genera dei movimenti vibratori e
quindi le successive onde sismiche. Le onde partono dal luogo situato nella crosta che è
l'ipocentro normalmente situato a non più di una trentina di chilometri di profondità vi
corrisponde in superficie un punto definito epicentro verticalmente al di sopra dove le
scosse sono molto più forti. L’intensità del terremoto si attenua allontanandosi dall'epicentro
però questo non avviene in maniera diciamo regolare. Questo di cui stiamo parlando viene
messo in luce in special modo dalle carte per mezzo delle isosisme che sono delle linee
esattamente come le isoipse, linee di uguale intensità. In pratica l'intensità viene valutata in
base ai danni riportati dagli edifici secondo scale empiricamente fissate, molto in uso la
scala Mercalli in 12°. I terremoti non hanno periodicità e possono colpire con molta
frequenza certi luoghi e certe regioni piuttosto che altre soprattutto quelle zone che si
trovano lungo i margini attivi della crosta terrestre mentre esistono delle zone che possiamo
definire asismiche come ad esempio la Sardegna. Un esempio particolare sono i
bradisismi: movimenti lenti di sollevamento e abbassamento che non sono limitati alla
costa ma in queste zone possiamo notarli maggiormente in quanto il mare ci offre un livello
di riferimento. Le cause possono essere diverse e non sempre tettoniche come nel caso dei
Campi Flegrei in Campania le cui cause sono senz'altro da ritrovare nelle variazioni del
sistema vulcanico quindi nell’aumento della temperatura, della pressione, delle rocce che si
trovano nel sottosuolo.
Il vulcanismo insieme ai moti tettonici vanno a delineare quelli che sono dei modellatori degli
agenti geomorfologici endogeni quindi interni alla crosta terrestre. Questi fenomeni sono
legati alla circostanza che entro la litosfera si trovano qua e la delle sacche di magma, un
impasto fluido ma fortemente vischioso di minerali fusi che può essere più o meno acido o
basico rispetto alla quantità di silice che vi è contenuto. Il magma può scendere per una
spaccatura della crosta terrestre spinto dalla forte tensione dei gas e poi riversarsi all'esterno
sia sul fondo marino, dando vita alle dorsali mediane, sia sulle terre emerse. Tale fuoriuscita
costituisce quindi il fenomeno vulcanico o vulcanismo che dà vita a particolari costruzioni e
forme del rilievo. In particolar modo l'immagine ci mostra qui le isole Eolie che sono
effettivamente delle vette di apparati vulcanici sottomarini.
Un vulcano è un'apertura della crosta terrestre che mette all'esterno il magma e trova
generalmente corrispondenza in un rilievo ma non è detto che questo rilievo poi
effettivamente ci sia, quando c'è il vulcano un rilievo viene formato dal materiale emesso
durante l'eruzione che raffreddandosi si consolida attorno alla bocca d’emissione. I vulcani
possono essere di tre tipi: vulcani attivi con eruzioni abbastanza frequenti perlopiù
alternate a periodi di riposo come ad esempio l’Etna oppure vulcani quiescenti, quelli che
per parecchio tempo non hanno avuto eruzioni ma solo manifestazioni secondarie come ad
esempio il Vesuvio o il vulcano laziale d’Albano e infine ci sono i vulcani spenti che non
hanno più le manifestazioni, dove le manifestazioni legate al vulcanismo sono cessate.
Le eruzioni possono essere di tipo esplosivo, effusivo o a nube ardente. L’eruzione
esplosiva consiste in una violenta uscita del magma a causa della forte tensione dei gas,
magma che viene frantumato e lanciato in alto in vari brandelli di varia dimensione come
anche ceneri e polveri finissime. Questi materiali frammentizi ricadono poi intorno alla bocca
d’emissione ma possono anche depositarsi molto lontani da esso trasportati dai venti. Se si
depositano in strati possono consolidarsi e dar vita ai tufi vulcanici e quindi alle rocce
piroclastiche.
L’eruzione di tipo effusivo consiste nell'emissione di magma in massa che assume il nome
di lava. Questa scorre lentamente anche su un pendio lievissimo specialmente se basica
perché meno vischiosa.
Infine c’è l’eruzione a nube ardente che è una mescolanza di gas caldissimi con
abbondante materiale frammentizio che discende velocissimamente con terribili effetti
devastanti.
Classificazione dei diversi tipi di eruzione: tipo hawaiano, tipo peleeano, tipo stromboliano,
tipo vesuviano e tipo vulcaniano. Per quanto riguarda il tipo hawaiano che è quello diciamo
rappresentato nell'immagine a è caratterizzato da un'eruzione con effusioni abbondanti di
lava molto fluida che va a scorrere in torrenti per poi consolidarsi. Si formano edifici vulcanici
a base larga e superficie convessa che vengono anche definiti vulcani a scudo.
nell’immagine b invece è rappresentato il vulcano peleeano caratterizzato da un processo
eruttivo catastrofico e distruttivo e da una lava di altissima vischiosità che va poi a obliterare
il condotto. La pressione dei gas si apre una via verso l'esterno e il magma da luogo a nube
ardente. Nell’immagine c è invece rappresentato il tipo stromboliano caratterizzato da una
lava mediamente fluida che tende a ristagnarsi e a consolidarsi in parte nel camino. La
pressione del gas sottostante frantuma periodicamente la crosta e da luogo a fenomeni
moderatamente esplosivi. Nell’immagine d è rappresentato il tipo vesuviano in cui
l’eruzione ha inizio con l'esplosione parossistica di lave piene di gas, segue subito dopo
invece una fase esplosiva che scaglia nell'atmosfera il magma sottoforma di lapilli e da
origine a quella che viene definita una nube a cavolfiore. Infine nell'immagine e è
rappresentata l'eruzione di tipo vulcaniano caratterizzata da una lava molto viscosa nel cui
camino si tende a formare una specie di tappo. Il magma così rappreso che viene rimosso
soltanto quando i gas sottostanti raggiungono una pressione discreta crea proprio un tappo
e quindi ne consegue una violenta esplosione iniziale.
L’orografia delle forme esterne che assumono le varie forme del rilievo.
L’orografia e quindi la morfografia. Per monte si deve intendere un rilievo di ca. un centinaio
di metri, per montagna invece quei rilievi che vanno oltre i 600 m., mentre per collina sono
quei rilievi di modesta pendenza che non superano mai 600 m. perché altrimenti
diventerebbero delle montagne.
Catena montuosa è un termine usato in due sensi sia per descrivere un rilievo montuoso
collinare assai allungato oppure un complesso di catene.
Con il termine massiccio invece è descritto un complesso di monti accentrati attorno ad un
nucleo, generalmente il suo sinonimo è il termine gruppo. Tra i monti e le colline inoltre si
affondano le valli: forme cave allungate racchiuse tra due pendii. I fianchi delle valli vengono
chiamati versanti, mentre il ripiano è una spianata che ad una certa altezza interrompe il
pendio. Il versante diventa parete se la pendenza è molto forte oltre i 45° e il terreno è
roccioso. Ogni versante inoltre è comune a una valle e ad un rilievo. Il fondo della valle viene
chiamato fondovalle ed è la linea di congiungimento di due versanti lungo la quale si
riuniscono le acque con l’impluvio. Di un vero e proprio fondo si parla quando le basi dei tuoi
fianchi stanno a qualche distanza l'uno dall'altro tralasciando un tratto pianeggiante. La linea
di raccordo in alto tra due versanti è definito crinale di montagna o collina ovviamente con
funzione di spartiacque. Gli altopiani sono invece dei rilievi più o meno elevati sul livello del
mare con superficie pianeggiante ma anche assai ondulata o addirittura accidentata dalla
presenza di monti e colline. Un altopiano termina perifericamente con una scarpata che è
un vero e proprio gradino che può essere orlato anche da catene. Il termine depressione ha
una doppia accezione. Genericamente viene definita depressione un tratto di terreno più
basso ma non molto di quello dell'intorno o un’area asciutta situata al di sotto del livello
marino. Un'area relativamente depressa circondata da rilievi ben spiccati e avente contorno
più o meno circolare definita bacino e detta anche conca. Vedi l'immagine satellitare del
Mar Caspio dove è presente una depressione.
Conclusioni.
Le forme del rilievo non sono solo dipendenti da agenti esogeni o da agenti endogeni, ma
anche dalla consistenza delle rocce che sono plasmate nel lungo e lento procedere
dell’evoluzione geologica della terra fino all'assetto geologico attuale della superficie
terrestre che è composta di rocce sedimentarie per oltre il 70%, un quinto di rocce
magmatiche, un decimo di rocce metamorfiche distribuite con frequenza diversa sui fondali
marini, sui continenti dove prevalgono perlopiù le rocce sedimentarie.
Ci si è concentrati sulle forme del rilievo derivate da agenti endogeni quali i moti tettonici
che provocano lo spostamento dei fondali oceanici che si espandono lungo fratture, faglie
sottomarine. Movimento questi che portano la parte più superficiale della terra ad essere
soggetta a modificazioni dell’aspetto e che possono attraverso l'apertura di profonde
spaccature litosferiche dare vita a fenomeni tettonici, a fenomeni di vulcanismo e anche ai
terremoti. In questa immagine del planisfero si può notare come le eruzioni e i terremoti
spesso coincidano e si concentrino lungo quattro lineamenti principali che corrispondono ai
margini caldi delle placche crostali. Il primo lineamento è la cintura di fuoco del Pacifico, le
dorsali medio-oceaniche le cui manifestazioni interessano il fondo marino anche se le
sommità degli edifici vulcanici spesso affiorano formando delle isole come ad esempio
l’Islanda e l’Isola di Sant'Elena e sono proprio delle vette della dorsale mediana. Poi ci sono
le catene estese in senso trasversale dal bacino del Mediterraneo fino all’Iran attraverso la
penisola anatolica e in ultimo la fascia che si estende in direzione nord sud dell'Africa
orientale dove al fondo delle fosse tettoniche ci sono proprio dei rif dove si sono andati a
formare grandi laghi. Vulcani e terremoti di solito coincidono con i margini caldi e attivi delle
zolle crostali.
Oggi sappiamo che la parte superficiale della terra è soggetta a movimenti che ne
modificano l’aspetto. Alla tettonica globale si è arrivati ricordiamo dopo le intuizioni di
Wegener racchiuse nella teoria della deriva dei continenti del 1912 per cui ca. 200-250
milioni di anni fa probabilmente i continenti erano riuniti in un solo unico grande continente
definito Pangea circondato da un unico grande oceano chiamato Pantalassa e grazie a
movimenti tettonici questi continenti hanno nel corso lentissimo del tempo geologico iniziato
la loro deriva finché la superficie terrestre ha preso la conformazione attuale.
Il modellamento del suolo. II parte. Agenti geomorfologici esogeni.
In questa lezione parleremo del modellamento del suolo e in particolar modo della parte
riguardante gli agenti geomorfologici esogeni. Sappiamo che le forme del rilievo subiscono
nel corso del tempo un modellamento. In questa lezione parleremo dell’erosione, del
trasporto e dell'accumulo provocato per agenti quali la pioggia, il mare e i ghiacciai aiutati
ovviamente dalla forza di gravità.
Gli argomenti che affronteremo in questa lezione saranno pertanto i seguenti: la
degradazione meteorica, frane, erosione, accumulazione eolica, azione erosiva delle acque
correnti e quindi la modificazione dei versanti, la trasformazione degli alvei, forme di
accumulazione, evoluzione delle valli. Infine parleremo sempre riguardo all'erosione delle
acque correnti, del ciclo di erosione di Davis. In ultimo delle forme di erosione glaciale e dei
fenomeni perigliaciali.
Obiettivi della lezione saranno i seguenti: illustrare le modalità e le ragioni che sottendono i
processi di modellamento dei rilievi, analizzare l'azione dell'acqua corrente dalla quale
prende vita l’erosione, la degradazione, la demolizione dei rilievi e ne esamineremo le forme
derivate. Esamineremo anche le forme, le ragioni del modellamento dei rilievi causate da
processi di erosione a lungo termine e infine andremo a descrivere le diverse forme dovute
all’esarazione o erosione glaciale e quindi anche di forme di accumulazione glaciale.
L’azione erosiva delle acque correnti che viene anche definita erosione normale perché
questo tipo di erosione ha una diffusione sulla maggior parte delle regioni terrestri ed è
proprio per questo che viene definita normale.
L'erosione delle acque correnti è dovuta a dilavamento e ruscellamento e quindi per mezzo
delle acque piovane. In particolar modo l'immagine ci mostra che essa da ovviamente luogo
a forme molto varie e provoca una generale, lenta demolizione dei rilievi e anche la loro
progressiva degradazione. L’acqua di pioggia scorrendo sul terreno come un velo continuo
è capace infatti di rimuovere e far discendere il detrito minuto e indirettamente anche pietre
e massi ed è quello che succede con l'azione dilavante o di denudazione che tende a
mettere allo scoperto la roccia nuda però va ricordato che in realtà la coltre detritica prodotta
dal disfacimento meteorico raramente viene completamente asportata in quanto via via si
riforma. Questo modo di erosione operato dalle acque dilavanti è estensivo e quindi si può
definire erosione areale.
Il ruscellamento. I versanti non sono piani inclinati perfetti e quindi le acque si vanno
raccogliendo lungo talune linee di massima pendenza dando vita quindi al ruscellamento
e se la roccia pone scarsa resistenza si formano in breve lungo quelle linee dei solchi più o
meno profondi e più o meno ravvicinati. Alcuni solchi prodotti da ruscellamento si
approfondiscono e si allargano più di altri e dal solco primitivo si passa ad una piccola valle
elementare che intacca il pendio generale quindi le acque raccolte lungo la linea che viene
definita linea d’impluvio che diventa poi un alveo seguono allora la via ben definita ed
esercitano una erosione definita incanalata che è espressione valida per qualsiasi corso
d'acqua piccolo o grande che sia. Forme tipiche di questo tipo di erosione delle acque
correnti sono le piramidi di terra che sono delle sculture imponenti e maestose di cui
abbiamo dei bellissimi esempi in una zona vicino a Bolzano. In alto Adige sono abbastanza
diffuse. Il dilavamento e il ruscellamento sono azioni erosive che vanno a modificare nel
corso del tempo anche i versanti e lì dove incontrano delle rocce dure allora il versante si
farà più ripido e lì dove invece incontrerà delle rocce più morbide il versante si farà invece
più dolce. La figura ci mostra queste forme di versanti: nella parte A con balze di roccia
resistente segnate con la lettera r; nella parte B invece viene mostrata la dissimmetria degli
strati mettendone in mostra la testata con un pendio più ripido e irregolare che viene detto
a reggipoggio (a), nella parte (b) invece viene definito questo profilo a franapoggio per cui il
versante si sviluppa come superficie relativamente regolare.
Come si viene a creare l’alveo. Nell'alveo i corsi d'acqua subiscono una lenta evoluzione
non soltanto per l’azione di deflusso dell'acqua e quindi del fiume ma anche perché il fiume
porta con sé del materiale detritico quindi ciottoli, delle masse che sfregando il letto, il fondo
ma anche le sponde vanno a compiere una azione di erosione. Nell’immagine ci viene
mostrato il profilo longitudinale di un fiume che è caratterizzato da un tratto iniziale ripido e
breve e un tratto finale, di raccordo, molto lungo e con una pendenza minima. Va osservato
che dopo un lungo periodo di erosione e quindi nel punto quattro la figura assume un
disegno simile a quello di un ramo di iperbole. Sempre rimanendo nell'ambito dell'erosione
delle acque correnti parliamo di una forma tipica di accumulazione che ci mostra come
l'azione erosiva dell'acqua corrente non agisce soltanto in altitudine ma anche per
spostamenti laterali per mezzo delle forme di accumulazione. Dove e quando la pendenza
diminuisce, un corso d'acqua diventa incapace infatti di trasportare tutta la massa di
materiali solidi e quindi li va a disporre fino a creare delle proprie alluvioni, pensiamo alla
pianura padana che è una pianura alluvionale cioè creata dai depositi lasciati dai fiumi.
L’immagine ci mostra una forma tipica di accumulazione definita cono di deiezione dove
per deiezione è indicato l'atto proprio del deposito, il cono chiamato anche conoide è situato
allo sbocco di una valle fuori di una montagna o di una valle maggiore con un fondo largo
dove per la brusca diminuzione di pendenza i materiali grossolani sono stati quindi
abbandonati. La forma in realtà è quella di un mezzo cono appoggiato alle falde dei rilievi.
Nelle grandi valli delle Alpi spesso si susseguono numerosi coni, che sono il luogo prediletto
sia delle coltivazioni che dei villaggi e questo sia per la moderata pendenza del terreno sia
perché si trovano al riparo dalle inondazioni. Sempre dovuti all’azione erosiva delle acque
correnti ma lì dove il fiume entra in una zona pianeggiante sono invece i meandri. La figura
ci mostra nello specifico come si evolve un meandro. La prima immagine ci mostra come
lentamente si possono andare a formare lungo il corso del fiume delle piccole curvature che
si vanno poi ad accentuare fino a prendere una forma di semicerchio (immagine 2) e poi
addirittura di ferro di cavallo e questo proprio dovuto al fatto che in questi punti la corrente
del fiume è molto più lenta e di conseguenza va a depositare lungo quest'area il vario
materiale detritico.
Nell’immagine quattro la base del meandro ad un certo momento è diventata così stretta
che le acque durante una piena possono romperlo facilmente. Il fiume quindi riacquista il
suo cammino rettilineo e nell’ansa l'acqua stagna e poi scomparirà rimanendo un meandro
morto.
Forme caratteristiche derivate dall'azione erosiva delle acque correnti ma più complesse e
di grandi dimensioni: le valli. Le valli sono nate dall'erosione torrentizia o fluviale o anche
erosione normale, la quale ha intagliato una porzione della litosfera più o meno elevata
rispetto al livello del mare. Il corso d'acqua scava quella che viene definita una gola e quasi
sempre queste queste gole sono caratteristiche delle zone montane pensate alle Alpi ma
anche caratteristiche degli altopiani. Qui abbiamo l'immagine del Gran Canyon che è stato
formato dall'erosione del fiume Colorado situato nel nord dell'Arizona degli Stati Uniti
d’America.
Tra le tipiche forme dell'erosione delle acque correnti, quindi dell’erosione normale è
senz'altro la gola ma anche definita valle a V che è costituita da due lati inclinati che si
riuniscono nell’alveo. Essa può derivare dalla trasformazione di una gola e dobbiamo dire
che man mano che l’erosione verticale del fondo rallenta, i due versanti si vanno ad aprire
prendendo la caratteristica forma di U e quindi viene chiamata proprio valle ad U. Il geografo
statunitense definito anche il padre della geografia americana che si è occupato in maniera
approfondita e specifica delle forme che prendono vita dal ciclo di erosione delle acque
correnti è stato William Morris Davis che nel 1884 fa uscire e spiega le varie forme che un
territorio può prendere grazie all’erosione fluviale e quindi l’erosione normale e ne parla
proprio nel ciclo di erosione.
In questo studio viene spiegato come avviene il modellamento di un territorio inizialmente
pianeggiante e come questo territorio attraversato da acque correnti e quindi dai fiumi
prenda in diverse forme fino a ritornare a una situazione pianeggiante definita da Davis
penepiano ovviamente in una situazione però dove questo ciclo rimanga indisturbato dai
moti tettonici che lui definisce proprio come interruzione del ciclo.
In questa immagine sono illustrate le fasi del ciclo di Davis. Innanzitutto dobbiamo dire che
Davis elaborò questo modello sulla base della teoria dell'evoluzione di un territorio sino alla
totale demolizione dei rilievi partendo da una superficie originaria quindi di forma semplice
caratterizzata però da un piano inclinato in un clima umido quindi una situazione molto
particolare. Davis analizzò il processo evolutivo delle forme del suolo fatto di fenomeni di
decadimento e spostamento attraverso cui il livello del terreno viene abbassato una
evoluzione suddivisa in tre fasi: in un primo stadio di giovinezza troveremo una serie di
valli, le valli sono però strette relativamente rade mentre tra luna e l'altra si stendono ampi
lembi della superficie originaria; in un secondo momento invece definito da Davis di
maturità le valli sono più fitte essendosi formati numerosi tributari ed eventualmente anche
valli quindi tra versanti addolciti e congiunti tra loro. In questa fase del piano originario non
sono rimasti che pochi resti. Poi c'è un terzo stadio definito da Davis di vecchiaia dove le
valli sono ancora più larghe nonché alluvionate, i versanti sono inclinati pochissimo quindi
l’energia del rilievo è molto piccola e ogni traccia della superficie originaria è praticamente
scomparsa. Si passa infine allo stadio finale con rilievo poco percettibile e ad un piano che
viene definito penepiano quindi un sollevamento del penepiano può provocare una ripresa
dell’erosione o un ringiovanimento dando inizio così ad un nuovo ciclo. Questo ciclo di
erosione parte dalla trasformazione di una superficie pianeggiante, come abbiamo visto
nell'immagine uno, per mezzo dell'acqua corrente in superficie per concludersi con la
formazione lenta nel tempo di una nuova superficie pianeggiante.
L’azione erosiva glaciale che viene anche definita esarazione. L’esarazione agisce in
maniera indiretta e in maniera diretta: indiretta significa che i ghiacciai possono creare un
tipo di erosione perché trasportano magari detriti rocciosi dalle montagne circostanti oppure
in una forma diretta per mezzo dello sfregamento di questi detriti presenti nel ghiaccio che
vengono strofinati sui fianchi e sul fondo assieme a quelli caduti dalle rocce attigue. Tra le
forme più elementari e tipiche dell'erosione glaciale ci sono quelli che vengono definiti i
mammelloni: rocce montonate, perché queste rocce effettivamente hanno la sembianza
delle groppe del gregge. Spesso in questi tipi di rocce possono poi crearsi delle concavità
dove si va a depositare dell'acqua quindi possono anche nascere dei piccoli laghi. Altra
forma tipica dell’esarazione quindi dell'erosione dei ghiacciai ma in una forma
assolutamente più grande e spettacolare sono i circhi e le valli glaciali: i circhi appaiono
come incavi o grandi nicchie che intaccano la parte alta di un versante immediatamente
sotto la cresta, può avere forma semicircolare ma anche a ferro di cavallo o rettangolare,
l'ampiezza di media è da mezzo a 1 km, il suo recinto di solito è roccioso mentre il fondo è
spesso pianeggiante e incavato da una piccola conca che può anche accogliere un lago.
Per quanto riguarda invece le valli glaciali non sono in genere sorte interamente per
esarazione, infatti la valle glaciale ha rimodellato una precedente valle fluviale
approfondendola e ampliandola con l'erosione sul fondo e sui fianchi e quindi prende poi la
forma tipica di valle a U.
Le morene sono invece una forma di accumulazione di detrito prodotto dai ghiacciai. Le
morene possono essere sia frontali che laterali. Qui nell'immagine abbiamo l'esempio del
cordone morenico, mentre una serie di morene frontali arcuate una dietro l'altra vanno a
costituire l’anfiteatro morenico.
Fenomeni periglaciali che vengono così definiti perché si trovano in una zona più periferica
dei ghiacciai e che danno vita anche questi a delle particolari forme.
Periglaciali significa attorno ai ghiacciai e questi fenomeni furono così classificati perché
dapprima riconosciuti in regioni dell'Europa centrale situati intorno alle grandi cappe di
ghiaccio quaternarie. Più esatto è il termine anche se meno usato di fenomeni crionivali e ci
limitiamo a menzionare le due forme più caratteristiche e diffuse che sono i cuscinetti d’erba
specialmente sui pendii e i suoli poligonali su terreno pianeggiante. I fenomeni periglaciali
si riscontrano naturalmente anche in montagna a elevazione prossime al limite delle nevi e
sono riscontrabili sia nelle Alpi ma anche negli Appennini.
Conclusioni. Le rocce della superficie terrestre subiscono processi di alterazione a causa
sia degli agenti geomorfologici endogeni quindi moti tettonici e vulcanismo e anche però da
agenti geomorfologici esogeni quale il disfacimento meteorico, l’erosione e l'accumulazione
delle acque correnti, l’erosione e l’accumulazione eolica, l'erosione glaciale e i vari fenomeni
periglaciali. In particolare modo l’azione erosiva dell'acqua piovana non assorbita dal terreno
scorre in superficie in tanti filamenti disordinati che unendosi vanno poi a creare il corso
fluviale. Questi forgiano le valli nei rilievi trasportando materiale eroso o sedimentandolo in
conoidi di deiezioni o anche nelle pianure alluvionali solcate poi dai meandri ma anche dai
depositi deltizi fino allo sbocco sul mare. L'azione esogena esaratrice dei ghiacciai invece
agisce sul substrato scavando solchi svasati e i materiali erosi portano a valli di ghiaccio in
movimento fino ad accumularsi nelle morene. Anche il vento agisce sulle rocce creandole e
corrodendole e dando vita a delle forme suggestive o sollevando la sabbia dando luogo a
dune laddove il vento poi va a ricadere.
Altre volte l'azione del modellamento esercitata dalla forza di gravità che insieme all'azione
dell’acqua, del gelo e dell’incisione fluviale provoca frane di vario tipo.
Gli argomenti della lezione: introduzione alla geografia umana, quindi parleremo del
determinismo ambientale come preludio scientifico sulle tracce di Cartesio, l'indagine
possibilista tra cultura e generi di vita e quindi il paesaggio e la regione umanizzata
possibilista.
Gli obiettivi della lezione: chiarire le ragioni e le tematiche che muovono lo studio della
geografia umana, illustrare le caratteristiche del determinismo ambientale quale prima tappa
della storia del pensiero geografico, capire i motivi che muovono verso la seconda tappa
evolutiva del pensiero geografico, quella dell’ecologismo ambientale definito poi da Lucien
Febvre possibilismo e indicarne le caratteristiche in relazione all'alveo culturale e alle
trasformazioni sociali del momento. Infine illustreremo le tematiche introdotte dal
possibilismo quali capisaldi dell'intera indagine geografica e quindi parleremo della regione
e del paesaggio.
Andiamo quindi ad iniziare la nostra lezione con una frase di un grande geografo italiano
Eugenio Turri che ha il compito di introdurre la natura dell'analisi propria della geografia
umana. “La grande impresa di trasformazione e conquista del mondo si realizza attraverso
l'identificazione dello spazio e la sua annessione culturale”.
Che cosa Eugenio Turri vuole dirci con questa frase. La geografia fisica si occupa
dell'ambiente e quindi come studio degli elementi e dei fenomeni che caratterizzano la
geosfera e adesso invece introduciamo alla geografia umana che si interessa delle
manifestazioni territoriali nate dal rapporto uomo ambiente. Le comunità umane infatti si
insediano sul territorio, ne sfruttano le risorse, generano rapporti con l'ambiente diventando
protagonisti di relazioni tra la loro area di insediamento e i territori esterni. Un insieme di
elementi umani e di elementi fisici quindi interagiscono. I due insiemi e le relazioni cui danno
luogo costituiscono una struttura territoriale che è una struttura del tutto speciale ovviamente
perché riguarda la società e natura. La geografia umana si occupa di queste strutture e del
loro livello organizzativo. Fin dai suoi primordi la geografia umana si insediò nell’arena della
scienza moderna con il compito di indagare e rappresentare le manifestazioni prodotte sulla
superficie terrestre dalla presenza umana e dalla sua interazione con la natura. Questo
campo della geografia si è subito distinto però da altre discipline che si occupano dell'uomo
quale attore sociale come ad esempio l’economia, la sociologia, l'antropologia culturale
perché non indaga l'essenza del rapporto uomo natura quanto piuttosto le manifestazioni
territoriali cui il rapporto da luogo. Possiamo dire che la geografia umana si interessa
prevalentemente dello studio delle strutture territoriali e del loro livello organizzativo ed è
questo uno studio non sincronico cioè non si sofferma ad osservare la struttura territoriale
ferma o semplicemente nella sua organizzazione ma osserva la struttura territoriale nella
sua evoluzione nel tempo quindi è uno studio di tipo diacronico. Secondo il geografo Angelo
Turco il rapporto ambiente-società, ovviamente non soltanto secondo Angelo Turco ma
quest’ultimo è stato uno dei geografi italiani che meglio ha sondato questo tipo di rapporto,
e quindi processi di territorializzazione che vanno poi a modificare l’ambiente. Nel corso
della storia del pensiero geografico quindi ci si è resi conto che la formazione, la
strutturazione e l’evoluzione di un territorio sono mosse da un'azione sociale che è dinamica,
capace di modellare attraverso la ragione culturale e i mezzi tecnologici una determinata
parte del substrato fisico organizzandola rispetto a degli obiettivi consoni alle esigenze
evolutive di una data comunità che però si modificano nel tempo e non restano uguali e che
fanno assumere al territorio sempre nuovi connotati per mezzo dei processi di
territorializzazione in cui la territorializzazione deve essere intesa in termini di presenza
umana e di intervento sulla superficie terrestre e anche delle conseguenti trasformazioni
della natura. Per il semplice fatto di essere presente la specie umana ha dato luogo alla
territorializzazione di parti sempre più estese della superficie terrestre. La diffusione di
processi territorializzanti ha trasformato quindi la terra in mondo, cioè in una realtà in vario
modo controllata dalla natura. Se adottiamo il concetto di ecumene con cui i geografi
denotano la parte di pianeta investita da territorializzazione possiamo constatare come la
storia umana sia stata caratterizzata da un'espansione dell’ecumene e come dalla metà del
900 l’espansione abbia subito un'accelerazione investendo l'intera superficie terrestre.
Quindi adesso possiamo soffermarci sulla territorializzazione così come l’ha intesa
analizzare Angelo Turco nel 2002. La territorializzazione si sviluppa in tre forme di
controllo: la prima è il controllo intellettuale per cui l'incontro tra le comunità umane e la
superficie terrestre avviene quando le prime, quindi le comunità umane, identificano i luoghi
che possono rientrare nella loro dimensione esistenziale e così facendo vanno ad attribuire
senso e valore alla superficie terrestre. Attribuire infatti il nome a un luogo fa sì che il luogo
cessi di essere una realtà esterna al soggetto e divenga parte della sua sfera intellettuale.
Il controllo intellettuale ha cominciato ad essere espresso con la scrittura a partire dal III
millennio a.C. ed è andato procedendo con strumenti mediatici progressivamente più
complessi fino a giungere a quelli contemporanei su base virtuale; in sostanza il controllo
intellettuale si è sempre espresso attraverso un processo di simbolizzazione e cioè
nell'attribuire segni ai singoli luoghi quindi il senso culturale ai luoghi.
La seconda forma invece di controllo è il controllo materiale che consiste nell'abitare la
terra, nello sfruttare le risorse dando così vita a processi in cui l’uomo, ci dice anche Eugenio
Turri, plasma la terra e non più solo con la forza del suo pensiero ma anche con l'abilità
della mano. Alla simbolizzazione mediante la quale si sviluppa il controllo intellettuale segue
dunque la reificazione cioè la trasformazione della realtà materiale in tal modo il processo
iniziato nella sfera semiotica quindi attraverso la denominazione si trasferisce su quella
ontologica dando luogo all'intervento fisico.
Il controllo strutturale: questo livello di controllo si esercita attraverso la suddivisione del
territorio in porzioni, ognuna delle quali possiede un determinato profilo funzionale, nel
senso che caratterizzata da determinate forme di uso della superficie terrestre e delle sue
risorse, nello stesso tempo però è soggetta a un determinato regime normativo e all'autorità
di determinati soggetti decisionali quindi funzioni, confini, diritto e apparato decisionale
costituiscono un complesso di fattori e condizioni attraverso i quali la superficie terrestre è
coinvolta in strategie da quelle più puntuali previste dai piani per esempio urbanistici delle
singole parti di una città a quelle invece di ampio respiro delineate dalla politica
infrastrutturale di un determinato paese.
Dalla particolarità della territorializzazione derivano diverse manifestazioni territoriali. La
diversità di un territorio e quindi del suo paesaggio, scaturiscono proprio dalla diversità delle
modalità di territorializzazione, cioè dal modo in cui una determinata civiltà attraverso la sua
cultura, il suo grado tecnologico riesce a trasformare l'ambiente dandogli una particolare
organizzazione territoriale, un particolare volto e quindi questo racchiuso nel paesaggio ed
è per questo che intendiamo parlare di territorio come l'insieme dei fenomeni materiali ma
anche immateriali, pensiamo al controllo intellettuale, di natura sempre dinamica perché la
struttura territoriale si trasforma, si evolve nel corso del tempo rispetto a determinati obiettivi
sociali che vanno a cambiare, nati dall'azione sociale sull'ambiente e il territorio a un
particolare paesaggio quindi quando si parla di paesaggio si parla dell'insieme dei volti del
territorio, insieme di volti che sono stati assunti nel tempo e rispecchiano i fini culturali
economici che una comunità si è prefissata di volta in volta di raggiungere per soddisfare le
proprie necessità sociali quindi il paesaggio è una totalità di volti tangibile, percettiva, della
sedimentazione di eventi del passato e anche però di quelli generati nel presente.
La struttura territoriale e quindi il territorio, i suoi volti racchiusi nel paesaggio sono stati
studiati nella storia del pensiero geografico rispetto a due diverse impostazioni: la prima
impostazione che è quella razionalista guarda al territorio e studia il territorio come un
campo funzionale connettivo e sistemico proprio in virtù della capacità relazionale dei suoi
elementi interni che se ben organizzati danno vita ad una struttura spaziale autonoma in
grado di misurarsi con l’intorno globale. L'impostazione umanistica invece che vediamo si
svilupperà in maniera più forte dagli anni 70 del 900 è quella che invece studia il territorio
come un insieme di luoghi ai quali un gruppo umano attribuisce un determinato valore
esistenziale.
A pochi decenni però di distanza dal determinismo, pensiamo proprio alla data del 1882 del
testo di Federich Ratzel Antropogeografia, a pochi decenni quindi di distanza da quel
momento e quindi da quel pensiero tanto legato all’atmosfera ottocentesca positivista ed
evoluzionista se ne affianca un altro che invece riesce ad osservare le manifestazioni
territoriali derivate dai cambiamenti apportati dalla seconda rivoluzione industriale e cerca
di descriverli. Questa corrente di pensiero viene definita possibilissimo. Qui c'è una frase
introduttiva scritta da Lucien Febvre, uno dei massimi esponenti del possibilismo, che ci
dice e ci fa anche capire la diversità con il determinismo, “Necessità, da nessuna parte.
Possibilità dappertutto. E’ l’uomo, signore delle possibilità, che giudica della loro
utilizzazione: ciò vuol dire allora porre questo in primo piano attraverso un capovolgimento
necessario: l’uomo, e non più la terra, né l'influenza del clima, né le condizioni determinanti
dei vari luoghi.” Questo ci fa comprendere assolutamente la diversità di impostazione con il
determinismo. Da questa frase noi capiamo che in questa nuova tappa del pensiero
geografico l'uomo non è più inteso come un fattore passivo, l'uomo è inteso come un fattore
attivo capace non soltanto di scegliere come vedremo le varie opportunità che l'ambiente ci
offre ma anche di cambiare l'ambiente stesso attraverso la cultura e attraverso la tecnologia.
In questa slide mostriamo proprio la differenza di visione tra la visione del determinismo
ambientale unidirezionale dove il collegamento disciplinare era senz'altro quello con la
scienza della natura e invece il possibilismo che spiega la presenza umana su una
determinata porzione della superficie terrestre partendo non più dall'ambiente e quindi già
dalla geomorfologia così come faceva il determinismo ambientale ma dal comportamento
umano e dalla struttura sociale. Il collegamento disciplinare è con la storia e in questa
visione il rapporto ambiente-uomo, ambiente-comunità è bidirezionale, l'ambiente influenza
la comunità ma la comunità ha le armi per influenzare l'ambiente stesso.
Lucien Febvre è stato sicuramente uno dei massimi esponenti di questa corrente di pensiero
e ha avuto il merito di sistematizzare il pensiero del fondatore del possibilismo che è stato
Vidal de la Blache che nel 1908 partecipò al congresso geografico internazionale con uno
scritto che veramente portava un’atmosfera assolutamente nuova in questa disciplina
proprio perché introduce dei concetti che se non proprio nuovi come quello di genere di vita
di cui comunque aveva già parlato Federich Ratzel sicuramente in maniera diversa, porta
un nuovo modo di guardare sicuramente il rapporto uomo-ambiente.
Quello che dobbiamo assolutamente sottolineare è che la nuova concezione nata dal
pensiero di Vidal de la Blanche, tenuto a battesimo da Febvre, fu caratterizzata nella sua
impostazione dall’ostilità al principio cartesiano di causalità, che era un pilastro invece nel
determinismo, ostilità anche all’atmosfera culturale a cui il casualismo aveva dato vita,
capace di giustificare quell’asserto perentorio per cui le comunità umane proponevano
sempre gli stessi modelli di comportamento rispetto alle impostazioni dettate dall'ambiente
fisico. Il possibilismo muoveva le sue ragioni dalla confutazione di questo asserto
causalistico proponendo di guardare al rapporto uomo-ambiente sotto un'altra ottica per cui
la natura non impone le sue condizioni ma le propone e l'uomo non le accetta passivamente
ma ne dispone quindi il possibilismo porta in auge il concetto per cui la natura, pur dotata di
numerosi vincoli offre anche delle opportunità e la comunità umana ha la possibilità di scelta
e quindi anche di agire sulla natura stessa e questa azione culturale è mossa da un
particolare genere di vita e dalla tecnologia. L’uomo può scegliere rispetto alle caratteristiche
dell'ambiente fisico il modello di stanziamento confacente alla sua particolare cultura e al
grado tecnologico raggiunto per cui la comunità va ad agire sul substrato fisico
trasformandolo in quella che viene definita regione umanizzata, regione organizzata
originale tanto nell'aspetto quanto nell'organizzazione per mezzo quindi di un’azione
culturale capace di dar vita ad un particolare genere di vita e ad un unicum paesaggistico
irripetibile.
Le criticità del possibilismo: perché è vero che guarda alle nuove realtà territoriali con
un'ottica e una prospettiva completamente diversa dal quella del determinismo però è anche
vero che il possibilismo ha le sue criticità.
La più importante di queste criticità è senz'altro quella di non essere stata capace di
approfondire il rapporto esistente tra comportamento umano e ambiente per cui tutta la
produzione scientifica del possibilismo che si racchiude nelle monografie regionali, quindi
prodotte dall'indagine possibilista, furono perlopiù descrizione di luoghi nelle quali il concetto
di evoluzione era ridotto al proponimento di una cronaca storica e l'analisi del rapporto
uomo-ambiente era relegato quindi al puro descrittivismo insediativo da qui la
denominazione che gli è stata data al possibilismo di scienza dei luoghi in realtà qua bisogna
fare una precisazione perché scienza dei luoghi è un termine che fu dato proprio da Vidal
de la Blanche a quella che verrà poi definita da Febvre soltanto negli anni 20 come
possibilismo, Vidal de la Blanche usa questo termine scienza dei luoghi proprio per
sottolineare che anche se questa nuova corrente di pensiero fondava la sua analisi su come
il comportamento umano andasse a modificare l'ambiente voleva specificare che questa
non è una scienza storica, una scienza dell'uomo ma era una scienza dei luoghi, era una
scienza geografica però è anche vero che poi con il passare del tempo fu detta fu letta anche
in questa maniera scienza dei luoghi perché privilegiò effettivamente un'indagine su territori
circoscritti questa circostanza impedì di addentrarsi profondamente nel rapporto uomo-
ambiente finalizzando quindi le indagini sui reali effetti che il comportamento umano stava
comunque provocando ai danni dell’ambiente. Atteggiamento analitico di stampo
ovviamente cartesiano che riproponeva l'esigenza riduzionista di scomporre la realtà
oggettiva per giungere poi ad una conoscenza esaustiva che però non permise un
approfondimento del rapporto uomo-ambiente e soprattutto dei danni che il comportamento
dell'uomo stava già da allora creando sull’ambiente. I concetti importanti a cui diede forma
il possibilismo furono senz'altro quelli di paesaggio e di regione umanizzata e sono dei
concetti cardine della geografia, dell'analisi geografica. In questa slide viene mostrata una
differenza tra i termini e i concetti: il determinismo parlava di paesaggio ma era un paesaggio
naturale, pensiamo che nell'ottocento ci fu anche uno sviluppo delle scienze come la
geomorfologia, la geologia che sicuramente aiutarono la composizione di questo concetto
di paesaggio naturale; il concetto di paesaggio nell’analisi geografica del XVIII secolo venne
introdotto da Carl Ritter con l'identificazione degli individui geografici con cui si
differenziavano le varie aree terrestri rispetto però ai diversi caratteri naturali e fisici. Quindi
era una concezione quella deterministica di tipo oggettivista e fisicalista che guardava il
paesaggio nella sua struttura naturale. Diversa invece è la situazione del possibilismo. Il
paesaggio possibilista è un paesaggio antropizzato, si giunge quindi alla consapevolezza
che se esiste si un paesaggio senz'altro naturale ma lì dove l'uomo si va a stanziare il
paesaggio non è più naturale diventa un paesaggio antropizzato che il risultato quindi del
rapporto tra substrato fisico e comportamento umano e anche le modalità antropiche di
sfruttamento delle risorse naturali. Da questo nasce quindi la particolarità del paesaggio
perché è particolare perché particolare è il processo di territorializzazione con il quale l'uomo
agisce sull'ambiente fisico. Altro concetto importantissimo è quello di regione umanizzata
per cui l'insediamento di una comunità su una parte della superficie terrestre dà vita secondo
questa concezione ad un territorio di cui il paesaggio è il volto o anche definito questo
territorio come regione umanizzata. La regione formata da una porzione di territorio avente
fattezza originali in virtù della cultura della comunità che lo abita e quindi che gli dà anche
una determinata personalità, una particolare somaticità. In questa slide vediamo come si
può costruire la regione umanizzata. Se noi abbiamo un substrato fisico omogeneo e una
comunità che agisce attraverso la cultura e la tecnologia allora avremo una regione e un
paesaggio se noi invece abbiamo una comunità che si stanzia su diversi substrati fisici
continui allora avremo una regione con più paesaggi. Se noi invece abbiamo un solo
substrato fisico omogeneo e più comunità che agiscono sull'ambiente attraverso una propria
cultura e attraverso un proprio grado tecnologico, rispetto ad un grado tecnologico
determinato, allora noi avremo più regioni e più paesaggi.
Uno dei massimi esponenti del possibilismo capace di continuare l'opera di Vidal de la
Blanche e di Lucien Febvre fu senz'altro Max Sorre che nel 1961, quindi in piena atmosfera
funzionalista e del funzionalismo geografico portò avanti la visione possibilista quindi portò
avanti l'indagine di tipo possibilista e studiò tre elementi che costituivano la base concettuale
del possibilismo cioè il substrato fisico, il gruppo umano e quindi il suo prodotto che è la
regione. In particolare modo in L’homme sur la terre del 1961 Sorre crea un modello valido
ancora oggi in cui l’ambiente generatore di opportunità e vincoli e la comunità umana che
esprime cultura e tecnologia formano il territorio organizzato. Il territorio organizzato è il
prodotto di complesse relazioni e si viene a formare dall'insieme di tre elementi il territorio
insediato, dove si concentrano le residenze, le manifatture e i servizi, il territorio utilizzato e
oggetto di uso da parte dell'uomo e comprende il territorio insediato e le altre aree di cui la
comunità sfrutta le risorse ambientali e il territorio relazionale costituito da aree attraversate
da flussi di persone, di beni, di energia, di informazioni mediante cui la comunità instaura
relazioni con l’esterno.
Volendo quindi giungere ad una conclusione possiamo dire che l'ambiente secondo la
concezione possibilista viene plasmato da un genere di vita dando forma così alla regione
espressione più alta dell'ecologismo umanista la regione è un territorio con una propria
identità geografica e anche un organismo originale avente una particolare personalità
capace di renderlo assolutamente unico e irripetibile questa proprietà della regione
diventerà un punto focale di indagine per la scienza della differenziazione spaziale che è la
base del funzionalismo geografico una delle correnti importantissime della storia del
pensiero geografico anche se con valenze assolutamente nuove e fino ad allora insondate.
Conclusioni.
Lucien Febvre che va a spiegare che cosa si intende per genere di vita “Tra alcuni popoli
esistono profonde differenze originate dalle loro abitudini domestiche, dai loro caratteri
morali, dal loro modo di organizzazione politica, e tuttavia essi vengono tutti classificati sotto
la stessa voce economica: quella dei pastori, per esempio. E quando si dice genere di vita
di un popolo, per di più, non si intende la risultante necessaria del modo di alimentarsi di
questo popolo, più di quanto non si intende la conseguenza fatale di un habitat particolare:
o la nozione di genere di vita non ha alcun senso, o essa comporta in primo luogo la
considerazione delle <<abitudini>> degli uomini, di quegli uomini che -si dai tempi più
remoti, influenzati sia da un fortissimo tradizionalismo, che però è a sua volta solo una
risultante, sia nel medesimo tempo, dalla modesta ampiezza della loro esperienza-
orientano la propria azione sempre verso i medesimi sforzi e si imbattono nelle medesime
difficoltà impiegando sempre gli stessi mezzi. …Non la diversità tra i vari tipi di
alimentazione, a dire il vero, che origina distinzione tra gli uomini; è la diversità delle
abitudini, dei gusti che incita questi gruppi umani a ricercare preferibilmente un genere di
alimentazione piuttosto che un altro”.
La crescita urbana e il funzionalismo geografico.
Nella scorsa lezione abbiamo parlato del possibilismo e di come con le sue monografie
regionali abbia portato l'analisi geografica ad occuparsi della personalità originale dei
territori. Negli anni ’30 proprio su questo nuovo insegnamento dato dal possibilismo si apre
una nuova prospettiva di indagine che prenderà il nome di scienza della differenziazione
spaziale, che parte proprio dal presupposto dell'originalità del territorio per andare invece a
sondare la differenza dell'organizzazione territoriale. Il massimo esponente di questa
corrente di pensiero di stampo razionalista che influenzerà fortemente il funzionalismo
geografico, che si svilupperà dagli anni ’50 agli anni ’60 del 900, Hartshorne che scrisse nel
1939 questo breve brano che adesso vi voglio leggere per farvi proprio comprendere quale
nuovo indirizzo si andava a delineare negli anni ’30 del 900. “Qualunque sia la natura
dell'uomo un argomento ha rilevanza geografica soltanto se e in quanto le interrelazioni tra
i fenomeni che avvengono in un certo luogo o le interconnessioni tra questi fenomeni ed altri
che si producono in luoghi diversi provocano variazioni regionali di questi fenomeni e di
conseguenza danno luogo a una diversa differenziazione regionale”.
Gli argomenti che tratteremo in questa lezione sulla scia di quanto vi ho detto saranno
strettamente legati a funzionalismo geografico e ai prodromi e quindi ai modelli concettuali
prodromici al funzionalismo quelli di von Thunen, Weber e Christaller e ovviamente visto
che il punto centrale dell'indagine funzionalista e comunque di questa corrente di stampo
funzionalista è stata la città parleremo anche della crescita urbana dalla prima rivoluzione
industriale fino allo sviluppo del funzionalismo negli anni ’50 del 900.
Gli argomenti pertanto della lezione saranno i seguenti: la città industriale e la prima
rivoluzione industriale e quindi la teoria dell'economia agricola, il modello di Johann von
Thunen, la città emergente e la seconda rivoluzione industriale e quindi il modello del
triangolo della localizzazione industriale di Alfred Weber, la città come campo di forza e
quindi la teoria delle località centrali di Walter Christaller e infine il funzionalismo geografico
e quindi la teoria del polo industriale di Francois Perroux.
Gli obiettivi saranno spiegare i motivi storici e sociali che hanno portato la trasformazione
della città industriale in struttura funzionale quindi in zona di gravitazione e influenza
funzionale; presentare le tematiche principali del funzionalismo geografico e le sue
particolarità analitiche; illustrare le ragioni della concettualizzazione spaziale funzionalista
attraverso la presentazione dei quattro modelli connessi alla rappresentazione razionalista
dello spazio urbano; infine spiegare quali funzioni costituiscono lo spazio urbano che rispetto
a queste instaura un rapporto di gerarchia con l’intorno circostante.
Iniziamo la lezione con una citazione e con lo spiegare e illustrare quali sono le
caratteristiche della città industriale perché punto centrale dell'indagine di stampo
razionalista e quindi poi anche del funzionalismo geografico sarà proprio la città quindi al
fine di comprenderne i caratteri e le peculiarità è necessario capire anche come il corpo
urbano e le sue funzioni, la sua struttura vada a cambiare nel corso del tempo quindi dalla
fine del 700, dalla prima rivoluzione industriale fino alle sue manifestazioni della seconda
rivoluzione industriale.
“Agli albori della rivoluzione industriale, le città si presentavano come fatti eccezionali e
isolati di un mondo agricolo costituito da pochi centri minori di servizi e di mercato, da
insediamenti rurali e da case sparse. Londra, Parigi, Amsterdam, Lisbona, Napoli sono le
uniche città ad alto livello demografico; e soltanto l’Italia, con la continuità della sua
tradizione urbana, presenta una certa distribuzione di centri intermedi dell'ordine dei
100.000 abitanti e solo due di queste, Londra e Parigi superano il mezzo milione”, Sica
1977.
La città industriale era una manifestazione territoriale già visibile sia durante il determinismo
sia durante il possibilismo ma il limite di queste correnti di pensiero geografico è stato proprio
quello di non sondare gli effetti che il comportamento umano stava apportando nei confronti
dell'ambiente fisico soprattutto in quelle grandi concentrazioni che si stavano sviluppando
sia nell'Europa occidentale che negli Stati Uniti d’America. Il XIX secolo segnò di fatto l'inizio
epocale di una rivoluzione quella della meccanizzazione tecnologica avviata da una nuova
spinta borghese che sorta sulle macerie del potere assolutistico dell’ancien regime proclama
l'era del liberismo. Il libero mercato fu promosso da una rinnovata capacità imprenditoriale
che mosse, creò, investì il capitale alimentando la logica capitalistica che dal XX secolo
andò a basarsi sempre di più sul consumismo quella logica elargitrice di nuovi valori sociali
nutriti dai beni materiali prodotti dall'industria di massa e grazie anche al dispiegamento
delle risorse ambientali. La tecnologia industriale a questa logica capitalistica correlata
ridisegnò di fatto la città fino a quel momento contenuta nella sua forma urbana cristallina.
La città industriale inizia così a fagocitare forza lavoro dalle campagne divenendo magnete
d’attrazione capace di modificare i disegni territoriali ma anche la vita di chi li abitava. Dalla
prima rivoluzione industriale la popolazione mondiale aumentò e ai primi dell'ottocento
raggiunse la soglia di 1 miliardo ovviamente con ritmi e quantità in percentuale diversa da
paese a paese. Agli inizi dell'ottocento nelle aree urbane vivevano circa 50 milioni di abitanti
pari al 5% della popolazione mondiale. Il fenomeno dell'urbanizzazione nei centri urbani si
presenterà al mondo moderno nelle sue condizioni di estrema emarginazione ai limiti della
sopravvivenza delle classi povere. E’ caratterizzato da un elevato flusso di persone che
incentivate da processi di sviluppo industriale si andranno a concentrare all'interno delle
maggiori realtà urbane trasformandone la fisionomia territoriale. Le città inglesi più
interessate allo sviluppo industriale subirono di conseguenza un accelerato processo di
crescita demografica. Ne sono un esempio Manchester, qui ho posto l'immagine
dell'inaugurazione della prima ferrovia Manchester-Liverpool o Liverpool-Manchester nel
1830. Manchester nel 1750 era ancora un borgo agricolo dopo però l'invenzione della
macchina a vapore nel 1769 e quando la macchina a vapore fu applicata nell'industria tessile
alla fine degli anni 80 del settecento e con l'apertura di numerosi stabilimenti per la filatura
passò da 40.000 abitanti nel 1780 a 70.000 nel 1800 e nel 1831 considerando tutta la
conurbazione si arrivo a 322.000 abitanti. L’altra città inglese è Birmingham, che fino a fine
settecento aveva 774.000 abitanti, nel 1831 passa ad averne 322.000. Londra passò da
864.000 abitanti poco più nel 1801 a 1.873.676 nel 1841. Quindi quello che ci spiega anche
Sica nel 1977 che “la struttura urbana che si va delineando non rappresenta un passaggio
soltanto di dimensioni superiori rispetto alla città preindustriale, ma piuttosto un'entità
qualitivamente nuova, che si contrappone alla precedente, e tende ad usarla secondo la
propria logica, a cambiarne senso, e al limite a trasformarla completamente”.
Intorno al centro della città quindi il core si andò a delineare la prima periferia urbana.
Ovunque l'industria si posiziona li va a crescere la popolazione, la produttività del lavoro ma
anche la miseria sono delle vere proprie dicotomie che si materializzano su scala urbana
anche nel contrasto socio territoriale tra il centro e la periferia.
Nella periferia si vanno a stanziare quelli che sono i ceti sociali più emarginati come
ovviamente il proletariato e comunque i ceti più poveri mentre i ceti più ricchi vivono nelle
zone meglio conservate e servite. Anche gli insediamenti borghesi non erano meno
standardizzati ma lo erano secondo un’idea di un impianto urbanistico a scacchiera regolare
e quindi omogeneo intersecato da strade e viali dove le costruzioni ricopiavano i modelli
della villa e del palazzo nobiliare. Fenomeno conurbativo la periferia inizialmente era
aderente alla linearità delle arterie tramviarie e ferroviarie che collegavano queste zone ai
nuclei produttivi e quindi all’industrie. Il fenomeno dell'espansione suburbana ha una storia
quindi che risale al XIX secolo con manifestazioni sia nella vecchia Europa che nel nuovo
continente e quindi negli Stati Uniti d’America. Agli inizi l'estensione territoriale dei
sobborghi e la loro dimensione demografica aveva risentito dei condizionamenti imposti
dalle caratteristiche dei mezzi di trasporto così i sobborghi legati alla ferrovia sorti tra il 1850
e il 1920 attorno alle grandi città inglesi ovviamente prima fra tutti Londra erano distanziati
fra loro sorgendo in corrispondenza delle stazioni ferroviarie particolare anche molto
importante per capire la città industriale e la sua struttura era la localizzazione delle
fabbriche che avveniva nella maggior parte dei casi lì dove si doveva stanziare e/o
localizzare ad esempio un industria tessile o siderurgica proprio vicino ai luoghi
dell’estrazione delle materie prime. Da allora il fenomeno della conurbazione non ha mai
smesso di manifestarsi e quindi nella città di tipo industriale dei primi dell'ottocento ma anche
nelle nostre città contemporanee. Dalla metà dell'ottocento a questa crescita disordinata
della periferia la maggior parte delle grandi città, dei grandi centri urbani dell'Europa
cercarono di porre rimedio attraverso un'opera di ristrutturazione urbana. Fra tutte io ho
scelto di presentarvi il caso di Parigi che fino ai primi dell'ottocento era una città comunque
medievale caratterizzata da una struttura con pianta labirintica e fatta di strade molto strette.
Al centro perlopiù si concentravano i ceti più poveri quindi i quartieri popolari si trovano
perlopiù al centro ed erano molto malsani, sovraffollati e molto spesso soggetti anche allo
straripamento della Senna. Dal 1800 al 1848 la popolazione parigina passa da 546.000 a
1.300.000 abitanti e il malcontento continuò ad aumentare per le condizioni di vita nelle quali
erano costretti in questi quartieri popolari che nel 1848 questo malcontento portò a un
violento scontro e ad un insurrezione che portò alla caduta della monarchia e alla
proclamazione della Repubblica. Dopo una nuova insurrezione repressa nel sangue dal
nuovo governo per far fronte alla situazione e anche per avere un maggiore controllo sul
popolo si decise nel 1853 la ristrutturazione urbana di Parigi. Il piano portò alla demolizione
delle piccole strade quindi questa pianta labirintica che aveva agevolato le insurrezioni,
furono costruiti i tipici viali espansi, larghi che sono i boulevard, furono creati parchi e
giardini. Parigi fu dotata di rete fognaria, di acquedotti, illuminazione notturna, mercati,
ospedale e trasporti pubblici e quindi avviata a diventare la grande metropoli con connessa
area urbana che è oggi. Uno dei modelli di stampo razionalistico e ripetiamo prodromici a
quella che sarà anche l'analisi funzionalista degli anni 50 del 900 uno dei modelli dicevamo
che rappresenta la città industriale di questo primo periodo quindi legato alla prima
rivoluzione industriale è senz'altro il modello di von Thunen del 1826 è legato alla teoria
dell'economia agricola. Il primo di tanti tentativi di collegare i modelli di impiego del suolo
alla relazione spaziale che si andava a creare tra la città e la regione circostante già dai
primi decenni dell'ottocento è stata descritta dall'opera di questo studioso tedesco Johann
von Thunen stabilendo le modalità di ripartizione delle colture in un'area pianeggiante che
subiva però l'influenza di una città mercato che noi vediamo posizionata al centro e a cui
era destinata la produzione agricola. von Thunen fu uno dei primi ad elaborare un modello
che illustrasse il cambiamento dell'uso del suolo agricolo rispetto quindi al mercato. Da
questo modello spaziale le diverse fasce della coltivazione erano posizionate intorno al
centro cittadino e il costo di ogni fattore di produzione. Quindi von Thunen descrisse queste
fasce della coltivazione, le posizionò rispetto alla differenza esistente tra il prezzo di vendita
sul mercato di ciascun prodotto agricolo e il costo di ogni fattore di produzione tra i quali per
la prima volta compare quello dei trasporti. L'immagine mostra la ripartizione della
produzione agricola di una pianura omogenea e uniformemente fertile. Calcolando il
guadagno ricavato della produzione rispetto alle spese di trasporto e ad altri costi di
produzione von Thunen elaborò una distanza oltre la quale il costo del trasporto diventava
tanto elevato da non essere più ammortizzato dal guadagno che da quella coltivazione si
andava a ricavare. Oltre quelle soglie avrebbero dovuto essere poste così nuove culture
fino a creare una ripartizione di tutta la produzione secondo anelli concentrici a partire dalla
città mercato. von Thunen potè cioè dimostrare che i valori del suolo rurale diminuiscono
man mano che ci si allontana dalla città situata al centro della superficie considerata
praticare così la massificazione dei profitti significava dover adattare la produzione agricola
andando incontro alle necessità del mercato centrale. Come si andò a sviluppare la città
industriale: già dalla metà dell'ottocento la città industriale inizia a sviluppare quella capacità
magnetica e di attrazione che farà sì che si vadano a sviluppare quelli che possono essere
definiti delle città satellite quindi centri minori vanno a gravitare attorno alla città fino a
formare un sistema complesso accomunato da problematiche comuni quali trasporti, la
sanità, le abitazioni, i servizi in genere. L’industria quindi da questa fase prosegue il suo
incessante e inarrestabile corso fino a giungere alla fine dell'ottocento quando ha inizio
quella che comunemente viene definita come seconda rivoluzione industriale e che trova il
suo centro propulsore negli Stati Uniti d'America quindi mentre il centro propulsore della
prima rivoluzione industriale fu l’Europa, il centro propulsore dove si concentrava la
produzione furono senz'altro gli Stati Uniti d’America. Dalle piccole realtà industriale che
avevano caratterizzato la prima rivoluzione industriale in Europa si passa alle grandi
concentrazioni invece industriali del nuovo continente, negli Stati Uniti d'America con
l'affermazione delle holding che sono delle consociazioni per il controllo finanziario di
diverse imprese, cartelli che sono dell'associazione di imprese che producono beni simili
che assegnano zone di commercio all'imprenditore per contrastare la concorrenza sgradita,
i Trust fusione tra industrie per ridurre i costi di produzione, eliminare la concorrenza agendo
in ordine di monopolio. In questa nuova fase l’industrializzazione ebbe bisogno per la sua
sussistenza di muovere tutto un processo di territorializzazione sorretto da nuovi valori
culturali che si insinuarono nella quotidianità dell'individuo fino a rivoluzionargli i bisogni
esistenziali e sociali soddisfatti tempo sempre di più da una produzione massificata basata
sul consumismo. La logica della produttività fa della realtà quindi una macchina economica
che creando interessi di potere non doveva essere fermata quindi è una meccanica
irreversibile in aumento spasmodico della sua produzione che fagocita sia risorsae
ambientali, sia lo spazio. La prima megalopoli mondiale è stata proprio quella che si formò
nella prima metà del 900 lungo la costa nord orientale degli Stati Uniti d'America e che
collegava e collega tutt'oggi in un continum infrastrutturale oggi di più di 800 km² Boston-
New York-Philadelphia e Washington ed è per questo che viene chiamata BosWash proprio
dall'iniziale della prima metropoli Boston e l'iniziale dell'ultima metropoli statunitense
Washington. Alfred Weber ha analizzato la città proprio in questo periodo della seconda
rivoluzione industriale in un saggio famosissimo sulla localizzazione dell'industria del 1909
dal quale se ne trasse il modello che adesso andiamo a presentare. Il modello vuole
rispondere al problema di individuare il luogo in cui localizzare l'industria al fine di
minimizzare i costi. A tale scopo sono presi in esame i luoghi delle materie prime, i luoghi
dell'energia e i luoghi del consumo. Nella sua formulazione più semplice il modello considera
un solo luogo di materie prime, un solo luogo per l'approvvigionamento di energia e un solo
luogo di mercato. Come ci mostra l'immagine il luogo ottimo per l'industria sarà il punto di
minimo costo trasportazionale individuabile geometricamente nel triangolo localizzatore e
quindi F; inoltre possiamo vedere che hai tre vertici quindi M1, M2 sono posti i luoghi delle
materie prime e in C il luogo del consumo bisogna anche sottolineare che F viene individuato
lì dove si localizza il prodotto finito indicato con beta1, beta 2 e beta3 dopo aver più o meno
perso peso nella lavorazione delle materie prime anche in questo caso come per la teoria
di von Thunen l'analisi si basa su costi di trasporto delle materie prime e dei prodotti finiti in
una fabbrica. Il sito per l'insediamento dell'industria veniva calcolato attraverso
l'elaborazione di un triangolo di localizzazione dove si consideravano due luoghi di
produzione delle materie prime e un mercato equidistanti rispetto ai costi di trasporto di
estrazione, di estrazione, lavorazione e distribuzione del prodotto. Volendo fare un esempio
pensiamo alla trasformazione del legname in pasta di legno e quindi in carta che comporta
una perdita del peso di circa il 60% per cui le fabbriche di pasta di legno e le cartiere tendono
a venire collocate nei pressi delle principali aree occupate da foreste piuttosto che nel cuore
delle grandi città in cui viene infine consumata la maggior parte dei loro prodotti; al contrario
di un’industria come la fabbricazione della birra orientata verso il mercato dato che il suo
prodotto è molto pesante in relazione al malto, al luppolo e altri materiali che entrano nella
sua produzione. La teoria di von Thunen e la teoria di Weber ci fanno capire che la città
industriale andava ad assumere rispetto all'intorno e lo scambio vicendevole che legava le
diverse aree delle nuove funzioni. La città veniva interpretata sempre di più come un
magnete attraente caratterizzata da forze centripete e centrifughe. Dagli anni 30 del 900 la
geografia si accosta sempre di più allo studio di questa grande e prepotente manifestazione
territoriale e urbana e proprio negli anni 50 del 900 il fenomeno della crescita urbana sembra
divenire proprio centrale nell'indagine geografica.
Questo è un modello da me riprodotto e ripreso dal libro di Geografia umana di Adalberto
Vallega che ci spiega come già dagli anni 30 del 900 la città fosse studiata nelle sue forze
attraenti e nelle sue relazioni con l'ambiente circostante e in una maniera molto astratta che
poi porterà a quelle che sono le caratteristiche del funzionalismo degli anni 50 e 60.
Anche se la geografia funzionalista approfondì queste tematiche negli anni 50 del novecento
in realtà il rapporto che la città andava ad assumere con l'intorno veniva sondato e studiato
sin da gli anni 30 del 900 quando quando per la prima volta si andò a parlare di funzioni
banali per indicare quei beni e servizi offerti alla popolazione urbana e invece di funzioni
specifiche o basilari per quelli capaci di attirare la popolazione anche extra urbana
allargando così l’ambito gravitazionale di influenza della città sull’intorno. La città veniva
concepita quindi come un polo generatore di movimenti centrifughi e centripedi e attorno ad
esso si estende l'intorno cioè il territorio gravitante sulla città governato dalle funzioni
urbane. Al di là dell'intorno si estende invece l'ambiente esterno. I beni e le prestazioni
prodotte all'interno della città e diretti a soddisfare i bisogni della sua popolazione
costituiscono le funzioni banali, quelli rivolti alla popolazione dell'intorno quindi all'ambiente
esterno costituiscono invece le funzioni basilari della città. Quanto più sono estesi l’intorno
e l'ambiente esterno e quanto più è consistente la mole dei beni e dei servizi che la città
invia loro tanto più è elevato il livello funzionale della città ovviamente le funzioni specifiche
basilari formano l'apparato industriale e terziario che assieme costituiscono la base
economica urbana. Inoltre l'accennata distinzione tra funzioni banali e funzioni basilari
permetteva di mettere a confronto diversi gruppi di città anche di un solo paese e stilarne
poi una gerarchia rispetto sia alla loro base economica sia alla loro capacità di gestire le
relazioni inter e intra spazio urbano per cui i beni e i servizi prodotti nella città possono
essere ripartiti in tre gruppi a seconda che siano destinati alla popolazione urbana, quindi al
centro della città, alla popolazione dell'intorno o dell'ambiente esterno. In sostanza si
potrebbe così immaginare un nucleo dove vive la popolazione urbana e due corone l'intorno
e gli spazi esterni. A vedere il peso di una città non è tanto espresso da ciò che essa produce
per i propri abitanti ma dall'offerta di beni e servizi che rivolge invece all'esterno infatti è da
quest'offerta che traggono alimento le relazioni tra la città e l’esterno. Tanto più l'offerta è
elevata tanto più le relazioni sono ampie e tanto maggiore è l'incidenza che la città esercita
sulla vita della regione cui appartiene e sulle relazioni quindi intra regionali.
Questa concezione delle funzioni banali e delle funzioni basilari già era presente nell'analisi
geografica dagli anni 30 del 900 e sicuramente il modello di riferimento di cui non possiamo
non parlare è senz'altro quello legato alla teoria di Walter Christaller del 1933. Il termine di
località centrale esemplifica perfettamente la città e il ruolo funzionale centrale svolto in un
dato spazio, ambito gravitazionale a livello regionale. La centralità data da Christaller alla
città è attribuita ai beni centrali che sono quindi trattori, macchinari vari ma anche ai servizi
centrali e quindi alle strutture ospedaliere e specializzate.
Per la prima volta l'opera di Christaller proponeva nella storia della geografia un modello
generale per interpretare le funzioni terziarie o almeno alcune fondamentali categorie di
servizi e per spiegare come si organizzavano le reti di città in base ai servizi che ognuna di
esse produce. Il termine località centrale esemplifica quindi perfettamente la città e il ruolo
funzionale centrale svolto in un dato spazio o dicevamo ambito gravitazionale a livello
regionale. Secondo questa teoria la località centrale è il punto focale rispetto ad una
determinata gerarchia delle funzioni che vi sono insediate. Possiamo dire di un agglomerato
urbano che non coincide perfettamente con la città e la sua grandezza quindi non coincide
con la dimensione demografica. La distribuzione delle aree di mercato o regioni
complementari corrisponde a una struttura a nido d’ape quindi esagonale con il centro
corrispondente al centro di un esagono. Per ogni centro di ordine superiore esiste in cascata
una pluralità di centri di ordine inferiore fino al livello più basso corrispondente al villaggio di
cui esiste ovviamente un numero più elevato in cui si producono beni di più limitata portata
dove per portata si intende la distanza massima che una popolazione è disposta percorrere
per acquistare un determinato bene.
In questa teoria acquistano forte e grande importanza quindi anche le regioni complementari
che sono quelle aree servite da una località centrale per cui quelle relative ai centri superiori
sono estese e si sovrappongono a quelle complementari connesse ai centri di grado
inferiore. Ne parliamo anche per farvi capire come la città venga qui descritta anzi
modellizzata, concettualizzata e diventi proprio il frutto di un'astrazione dello spazio
geografico che diventa la superficie uniforme e omogenea. Questa figura ci mostra le località
centrali e i vari ranghi funzionali delle località centrali e le regioni ad essere individuate
secondo la teoria di Christalller. Quindi la chiave di lettura di questa teoria è costituita
dall'ordine delle località centrali che dipende dal rango più elevato di servizi posseduti dalle
località centrali tenuto conto che quanto più elevato è l'ordine della località centrale tanto
più estesa è la sua area di gravitazione. Ne consegue che all'interno dell'area gravitazionale
di una località centrale di ordine elevato saranno ubicate località centrali di ordine meno
elevato. Questo insieme di “scatole cinesi” per usare un termine utilizzato anche da
Adalberto Vallega conduce all'immagine o modello riportato qui. Le sigle M A K B G sono le
iniziali di parole tedesche che indicano gli ordini delle località centrali. La figura ci mostra un
sistema di località centrali poggiato su cinque ordini. Questa modellizzazione funzionalista
serve proprio a presentare il territorio come un campo di forze in cui un magnete governa
l’intorno. In questa visione il magnete è la metafora di un fulcro territoriale che esercita
influenza sul territorio circostante. La città e la sua area di gravitazione costituiscono un
esempio dell'applicazione di questa immagine di fondo quindi la città come magnete mentre
l'area di gravitazione è la superficie dove l'energia del magnete si sviluppa orientando ogni
oggetto. Ovviamente in base a questa concezione è possibile costruire per ogni città una
piramide delle funzioni gerarchiche alla base della quale vengono disposti i beni e i servizi
offerti meno qualificati e al vertice invece si trovano le funzioni di rango più elevato.
Su questo percorso razionalista dal quale si va ad analizzare questo nuovo corpo urbano
capace di crescere e di attrarre l’intorno e quindi l'ambiente circostante attraverso una forza
magnetica dettata dalle sue funzioni si arriva proprio agli anni 50 e quindi al funzionalismo
geografico questa particolare prospettiva che ha avuto i suoi prodotti in alcuni modelli
concettuali dell'ottocento e il particolare modo anche dallo sviluppo della scienza e della
differenziazione spaziale degli anni 30. Un geografo che è stato capace di sintetizzare la
differenza fra il funzionalismo geografico e il possibilismo, che erano le due correnti di
pensiero più importanti, è stato Edward Ullman che nel 1954 in Geografia come spazio di
interazione afferma che il contributo intellettuale che la geografia umana può offrire è
sintetizzabile nei concetti di sito e situazione. Il sito è la condizione concreta di un luogo e
di una certa area quindi quando la geografia umana lo assume a oggetto di studio guarda
alle relazioni verticali tra uomo e ambiente. La situazione invece è costituita dagli effetti che
un’area e i suoi fenomeni producono su un’altra area e quando la geografia assume questo
oggetto di studio guarda le relazioni si dice orizzontali, tra aree e diventa la scienza una
scienza dell'interazione spaziale. Esistono quindi due figure limite da una parte c'è la
geografia umana come scenza delle relazioni tra uomo e ambiente quindi stiamo parlando
del possibilismo dall'altra invece c'è la geografia umana come scienza delle relazioni tra le
diverse aree e quindi delle relazioni orizzontali e stiamo ovviamente parlando del
funzionalismo e dell'analisi spaziale che si svilupperà negli anni 60 ma sempre sulla scia
della prospettiva funzionalista. Nella geografia delle relazioni tra aree il rapporto uomo
ambiente viene accantonato e al territorio quale entità concreta venne sostituito il concetto
di spazio quale entità astratta. Nasce quindi negli anni 50 e si sviluppa il funzionalismo e si
diffuse per tutti gli anni 60 e gli anni 70 quando cominciò ad essere fortemente criticato nella
sua visione. Il suo studio si concentrò ma si concentra tutt’ora sulla struttura territoriale e
sulle relazioni con le altre aree.
Proprio il rapporto che la città intrattiene con il territorio circostante diviene portante
nell’indagine funzionalista definito anche strutturalismo geografico in virtù delle assonanze
con la corrente di pensiero che è lo strutturalismo che si sviluppò in quegli anni soprattutto
in ambito linguistico e psicologico. Lo strutturalismo si sviluppò dagli anni del 900. Per cui il
funzionalismo va a guardare la città come una struttura territoriale indagabile perché la
realtà è evidente, oggettiva, descrivibile, conoscibile proprio in virtù della sua possibilità di
essere ridotta e conosciuta in maniera esaustiva attraverso una logica corrispondente a
quella di causa effetto quindi stiamo parlando proprio dei precetti cartesiani e quindi il
funzionalismo fa capo proprio a questa corrente razionalista che si rifà ai precetti cartesiani.
I concetti cari all'analisi funzionalista sono quello di localizzazione, quelli di distribuzione e
di concentrazione attraverso i quali si guarda la città e attraverso i quali si vuole dare risposta
ad esempio al perché un centro abitato si posiziona in un dato punto, da qui localizzazione,
si posiziona in un determinato punto della superficie terrestre e da quale processo prende
vita per poi crescere oppure si vuole dare risposte per quali forze un complesso industriale
si è insediato su un territorio connotandone le funzioni e quindi, di qui il termine distribuzione,
oppure anche come e perché determinati elementi si sono addensati in un’area come ad
esempio un complesso industriale si sia concentrato in uno spazio generando poi un
distretto industriale, da qui è il concetto di concentrazione. La città funzionalista è una città
irrazionale che viene studiata attraverso una visione razionalista che non analizza soltanto
il movimento ma anche le rete sulle quali questo movimento di relazione tra le città e le aree
circostanti si va a creare che è un movimento fatto di formazione, di prodotti, di persone che
si muovono dando vita a dei nodi quali punti di convergenza e smistamento dei flussi che si
vengono a creare. Secondo il funzionalismo il territorio è una struttura ma anche un campo
magnetico che governa l'intorno fatto di aree dominanti e di fulcri rappresentabile attraverso
modelli concettuali che ne semplificano ma ne generalizzano anche le proprietà funzionali.
L'ultimo modello concettuale va a esemplificare le caratteristiche del funzionalismo e va a
sondare quelle che sono le nuove caratteristiche della città espansa che era manifestazione
territoriale di quel periodo, negli anni 50-60 del 900. Il modello che prenderemo in
considerazione è quella di Francois Perroux è costruito sulla base della teoria del polo
industriale. La teoria di Perroux cerco di analizzare come la crescita della città industriale
fosse sorretta dalla polarizzazione di diverse industrie la cui funzione trainante intra e
interurbana era esercitata dall'industria motrice caratterizzata da attività manifatturiera.
L’indagine di Perroux si concentrò sugli effetti prodotti dall'industria motrice sulle attività
della città e del suo hinterland ed osservò che l’industria motrice pure richiedendo risorse
per la sua produzione offriva lavoro e quindi introito favorendo così l'insediamento di altre
industrie e attività che davano vita a quella serie di condizioni vantaggiose allo sviluppo
territoriale definite economie esterne. La reciproca influenza tra le economie esterne e
l'industria motrice creava e crea una dinamica industriale capace di diffondersi
territorialmente e condurre alla crescita di entrambe proprio quest'ultimo aspetto assume un
valore di grande interesse geografico per la capacità ad essa correlata di dar vita al
complesso industriale nel quale si attua una concentrazione produttiva che incitata
dall’industria motrice viene consolidata dalle economie esterne. Questa concentrazione
generatrice di una serie di effetti territoriali di non poco conto prende il nome quindi di
polarizzazione industriale. L’economie di agglomerazione quindi sono una vera e propria
organizzazione economica che grazie a un insieme complessivo di fattori non per ultimo
quello dell'economie esterna riesce a concentrare la produzione di beni e servizi in un'area
potenziata nell'accessibilità tanto da divenire motore di sviluppo dell'intero tessuto urbano.
Una teoria quella di Perroux adatta alle grandi industrie con cicli produttivi articolati e
bisognosi di un corredo di attività che coinvolgano l’immediato intorno territoriale. Quindi si
è parlato di come dalla città paleoindustriale si è arrivati negli anni 50 del novecento alle
grandi concentrazioni metropolitane, allo sviluppo dell'area metropolitana e alla
consequenziale conurbazione che porterà ad ulteriore crescita di questo corpo urbano
definito da Gottmann proprio come una nebulosa urbana che prenderà poi l'aspetto di
megalopoli. Questa crescita della città è assolutamente dovuta alle funzioni che la città
esercita e per le quali diventa un magnete di attrazione per tutto l'hinterland e per tutto
l'intorno che poi è anche intorno regionale. Riprendiamo una citazione di Adalberto Vallega
“bisogna ricordare la rapida crescita cui Milano e Torino così come le città giapponesi e le
maggiori città litoranee dell'Europa atlantica e del Mare del Nord andarono soggette durante
la grande espansione dell'economia neo industriale quindi dagli anni 50 all'alba degli anni
70 del 900. I flussi migratori diretti verso le concentrazioni industriali cambiarono in poco
tempo il volto di interi paesi come l’Italia. Dunque all'implosione urbana, provocata dagli
innesti di nuove funzioni corrispose un esplosione urbana costituita dalla crescita della
popolazione delle città e dalla conseguente espansione degli insediamenti nel territorio
circostante”.
La conurbazione è la forma urbana che segna il passaggio dalla città industriale a quelle
grandi espansione e insiemi urbani che prenderanno l'aspetto di megalopoli. Parleremo di
come il fenomeno dell'implosione funzionale della città sia strettamente collegato a quello
della sua esplosione demografica.
Gli argomenti che affronteremo in questa lezione saranno i seguenti: la megalopoli, la
contro-urbanizzazione, il ciclo di vita della città di Leo van den Berg, il valore e l'impiego del
suolo urbano contemporaneo quindi il modello di Burgess e il caso di Chicago.
Gli obiettivi della lezione saranno i seguenti: illustrare l’evoluzione della città industriale in
megalopoli come agglomerazione urbana connessa ad una rete urbana transnazionale;
spiegare come la relazione implosione funzionale ed esplosione demografica sia utile a
capire le diverse fasi evolutive di trasformazione dello spazio urbano, relazione questa
sintetizzata nella regola rank-size rule; mostrare inoltre come lo studio del fenomeno urbano
abbia condotto Leo van den Berg ad identificare un modello di evoluzione demografica della
realtà urbana più nota come ciclo di vita della città, in cui il concetto di urbanizzazione risulta
contrapposto a quello di disurbanizzazione; commentare attraverso il modello
dell'utilizzazione del suolo cittadino di Ernest Burgess alcune caratteristiche della metropoli
occidentale contemporanea.
L'evoluzione storica della città: da città preindustriale a conurbazione policentrica. Nel primo
riquadro l'immagine uno ci mostra una città di forma compatta quale poteva essere la città
preindustriale; nell'immagine due, alcune città satellite che gravitano intorno la città
principale quale poteva essere la condizione della città invece industriale già alla fine
dell’ottocento; l’immagine tre ci mostra come lo spazio tra la metropoli e la città satellite
inizia ad essere occupato da centri minori dando forma ad una agglomerazione urbana;
l'immagine 4 invece ci mostra come la metropoli diventata una conurbazione che può essere
anche una conurbazione policentrica, ricordiamo che la conurbazione policentrica è una
copertura urbana composta da metropoli espanse aventi però ognuna una propria area
metropolitana autonoma a livello amministrativo e anche a livello funzionale. Quando si
formano più conurbazioni o più in generale quando vengono alla ribalta agglomerazioni non
si è più di fronte a una città in espansione ma a una sorta di prodotto superiore che nasce
perché una pluralità di città finisce per essere convogliata in un solo e unico tessuto urbano
una sorta quindi di coagulo insediativo, uno dei fenomeni di maggiore rilevanza geografica
come la megalopoli. In questa immagine viene mostrata una foto satellitare in notturna della
megalopoli BosWash come la possiamo vedere oggi e qui in realtà è una megalopoli in forte
espansione vediamo infatti anche Richmond.
Che cos'è una megalopoli? io vi ho proposto alcune pagine del libro di j. Gottmann in cui è
sintetizzata l’evoluzione proprio della città industriale fino alla megalopoli. Megalopoli è un
termine che Gottmann da a questa nebulosa urbana a questo coagulo insediativo
rifacendosi al nome dato a un gruppo di genti che avevano progettato nel Peloponneso
quindi nell'antica Grecia una città-stato alla quale era stato dato il nome di megalopoli perché
sognavano per questa città un grande futuro. In realtà megalopoli ancora compare tutto oggi
nelle carte geografiche ma è una piccola cittadina annidata in un piccolo bacino fluviale ma
questo termine comunque è stato ripreso da Gottmann proprio per identificare questo
coagulo insediativo che è caratterizzante l'era contemporanea. Gottmann “La città
invincibile. Una confutazione dell’urbanistica negativa”: “Oggi (1961, anno di pubblicazione
del testo cit.) il fatto è accertato; l'urbanizzazione ha rotto i suoi tradizionali ormeggi; la città
si è espansa aldilà delle sue mura penetrando profondamente nella campagna mescolando
aspetti una volta classificati come rurali ad altri tipicamente urbani o quantomeno suburbani.
Il caso più curioso è senza dubbio quello dell'urbanizzazione massiccia immensa del
complesso che si estende lungo il litorale nord-est degli USA, dalla “Grande Boston” alla
“Grande Washington”, e che raggruppa 37 milioni di abitanti su 125.000 kmq. Questa vasta
regione urbana che noi abbiamo proposto di chiamare megalopoli è una catena di distretti
che il censimento americano chiama ufficialmente standard metropolitan areas. Essa è
caratterizzata da una struttura a nebulosa, dalla simbiosi profonda di urbano e rurale nelle
sue fattorie, nelle borgate e perfino nelle foreste che circondano il vecchio nucleo della città
comprese in megalopoli” quindi la megalopoli è un fenomeno che si sviluppa come
conseguenza di una grande implosione funzionale urbana provocata da innesti continui di
nuove funzioni e dall'irrefrenabile esplosione demografica costituita dalla crescita della
popolazione urbana con la conseguente espansione degli insediamenti nel territorio
circostante. La letteratura geografica ha analizzato l'implosione urbana e l'esplosione
demografica urbana correlate da due punti di vista: da un lato in base alle forme che le città
assumono espandendosi, dall’altra in base alle relazioni che si vanno a instaurare tra la
dimensione della città e il corredo delle loro funzioni quindi se la metropoli è in genere una
città molto grande con più di 1 milione di abitanti e spesso di grande importanza economica
e culturale, la megalopoli è invece una estensione di più aree metropolitane che quindi è un
incontro di più città di più aree metropolitane che può anche avere più di 30 milioni di abitanti
pensiamo in particolar modo alla megalopoli giapponese di Tokaido dove vivono più di 30
milioni di abitanti o alla megalopoli BosWash. A questo riguardo non pochi geografi
ritengono che tra le due variabili quindi tra implosione funzionale e esplosione urbana esiste
una correlazione, una relazione diretta e per esprimerla hanno elaborato la rank-size rule
dove la regola, quindi in questo caso rule misura la relazione tra la consistenza della
popolazione e quindi size e l’ordine funzionale rank della città ossia il rango più elevato di
funzione che esso può accogliere.
La prima variabile quindi la popolazione può essere espressa con 1 m assoluto quindi il
numero degli abitanti mentre l'altra variabile che è il rango funzionale può essere espressa
soltanto con 1 m relativo e quindi è ovvio che il livello delle funzioni di una città possa essere
determinato solo in rapporto al livello delle funzioni di altre città. Ad esempio si può dire che
Modena appartenga al primo ordine funzionale se la si pone in rapporto con le città di
un'area diciamo ristretta cioè della sua provincia. Se invece la mettiamo in relazione con
Bologna e quindi con un territorio più esteso dell’Emilia-Romagna, ovviamente Modena ha
a un rango funzionale inferiore alla città di Bologna. Ciò posto la size rule è espressa nella
formula Pr = Pi/R dove R è l'ordine funzionale attribuito alla città nell’insieme delle città
considerate. Pi è la popolazione della città più grande dell'insieme e Pr è la popolazione
della città considerata. In sostanza ciò vuol dire che la seconda città di un sistema urbano
dovrebbe avere un numero di abitanti pari alla metà di quello che ha la prima. La terza ha
un numero di abitanti pari ad un terzo, la quarta ha un numero di abitanti pari ad un quarto
e così via. E’ una formulazione chiaramente troppo rigida che dà luogo a interpretazioni
troppo meccanicistiche ed è stata fatta tra l'altro oggetto di modifiche e di perfezionamenti.
Esiste quindi comunque una relazione tra sviluppo urbano basato sul rango delle funzioni e
crescita della popolazione quindi su un’area si può andare a sviluppare una rete urbana
stratificata dove si vanno a posizionare come nodi le località centrali aventi le funzioni di
rango elevato. Prende così vita uno sviluppo locale basato su una rete urbana tale da
rendere l’area stessa concorrenziale a livello economico rispetto alla ben più ampia rete del
sistema globale. Lo sviluppo di un sistema locale che permetta alle metropoli con funzioni
di rango di connettersi come nodi alla rete economica globale può agevolare di fatto uno
sviluppo economico tale da attrarre popolazione e generare così un processo di fusione
spaziale tra diverse cellule urbane fino anche a formare per l'appunto una megalopoli cioè
un’agglomerazione urbana assemblata e coesa da implosione funzionale ed esplosione
demografica questo ovviamente li dove esistono le circostanze di una concomitanza di
fattori favorevoli di sviluppo continuativo a livello spaziale e di rapporti tra aree contigue.
Le caratteristiche delle diverse strutture urbane che poi vanno a formare la megalopoli: la
realtà urbana contemporanea quindi la megalopoli si costruisce su una rete di città che così
come la struttura interna della singola città sta attraversando e attraversa dagli anni 70 del
900 fasi di cambiamento discontinuo caratterizzate da una rifunzionalizzazione degli spazi
territoriali talmente immediata e continua da creare una forte complessità, complessità nella
sua concettualizzazione, nella sua analisi, ma anche una serie di problemi pratici di
accessibilità fisica agli spazi moltiplicati sia di riformulazione anche delle percezioni che di
questi spazi urbani si ha. Quali sono quindi le caratteristiche abbiamo parlato della
rifunzionalizzazione degli spazi urbani ma bisogna accennare anche all’alta
tecnologizzazione che ha liberato effettivamente il centro metropolitano, il core, dai mercati
e dai luoghi deputati all'attività industriale a vantaggio invece delle attività terziarie di alto
livello o anche definite attività quaternarie. Quindi il centro è occupato dalle banche, dai
centri amministrativi, dai centri di ricerca, d’istruzione, dei servizi medici, legali, dalle
assicurazioni, tutti settori di servizio speciale occupati da quelli che anche Gottmann
definisce white collars cioè i colletti bianchi che nei paesi più avanzati richiama una
cospicua parte della popolazione attiva. Il settore quaternario trans nazionale dei colletti
bianchi rappresenta il nuovo carattere evanescente della aggregazione telecomunicante e
si concentra nell'antico core urbano dove si concentra anche l'intelligence propria dell'era
dei consumi. L’architettura tipica del centro di controllo è lo skyline, quindi il grattacielo che
impera sulle città occidentali. Il primo grattacielo è stato costruito a Chicago alla fine
dell'ottocento quindi possiamo dire che questa forma architettonica vada proprio a
caratterizzare la nascita della prima megalopoli degli Stati Uniti d’America, quindi
rappresenti proprio il simbolo di questa nebulosa urbana.
Un'altra caratteristica della città espansa, della grande metropoli, della grande area
metropolitana e quindi della struttura polinucleare della metropoli che vive in una stretta
complementarietà dei suoi distretti delineando una realtà urbana anche extra-muros. Vuole
dire cioè che all'espansione privata e pubblica dei borghi storicamente nati con la città
industriale si accosta il fenomeno della diffusione urbana o rururbanizzazione analogo allo
sviluppo residenziale del primo dopoguerra dei quartieri definiti quartieri giardino. C'è questa
urbanizzazione degli spazi vergini attorno a quei sobborghi, a quegli spazi interstiziali che
stavano intorno alla città preindustriale, quindi la dispersione rururbana in una cementazione
residenziale continua comunque fa parte anche dello spazio metropolitano alcune grandi
città stanno cercando una soluzione a questa continua cementazione degli spazi interstiziali
e quindi degli spazi verdi e per esempio Londra ha adottato questo sistema di aree verdi
intorno alla città di Londra che limita il processo di suburbanizzazione e quindi anche di
rururbanizzazione. Alla crescita massiccia ed irregolare del corpo metropolitano corrisponde
anche una maggiore complessità della sua struttura socio-culturale in particolarmente dopo
mi riferisco alla città multietnica che è manifestazione nostra contemporaneità. In particolar
modo facciamo qui riferimento alla città multietnica europea portando gli esempi della città
di Londra, Berlino e Parigi. Londra che fino a circa settant'anni fa era la città, il centro di un
vasto impero coloniale e che ha aperto la porta agli abitanti delle sue ex colonie che ebbero
la possibilità di immigrare in Inghilterra e quindi in condizione di favore quindi principalmente
attraverso dei permessi di residenza quando non addirittura di cittadinanza, poi con la
progressiva decolonizzazione ad esempio dell'India che raggiunse l’indipendenza nel 1947
questo fenomeno si è man a mano accentuato così a Londra si sono andati a concentrare
varie etnie, pensiamo ai cinesi di Hong Kong, pensiamo alle comunità degli indiani, dei
pakistani e quindi si sono andati a formare interi quartieri che hanno da tempo una
popolazione originaria di diverse parti del mondo quindi dell'Asia dell’Africa. Quindi il
problema dell'integrazione nel Regno Unito è una problematica di vecchia data e oggi
possiamo dire che è avvenuta in diversi settori pensiamo anche che molti di questi immigrati
lavorano oggi in Inghilterra, nel Regno Unito, nelle forze di polizia e anche la Germania ha
favorito dal secondo dopo guerra questa entrata degli immigrati come manodopera utile alla
ricostruzione per far decollare il sistema industriale tedesco. Pensiamo a quanti italiani ma
anche spagnoli e portoghesi raggiunsero la Germania nel periodo subito successivo al
secondo conflitto bellico e anche dagli anni 70 ai turchi. Pensate che oggi Berlino è una
delle città più grandi con il più alto numero di minoranza etnica turca. Qui si sono sviluppati
dei veri e propri quartieri. C’è proprio un quartiere interamente turco con ristoranti e sedi di
partiti turchi e dove anche le insegne stradali sono in lingua turca. Anche a Parigi si sono
andati a formare nel corso del tempo diversi quartieri etnici dove si è andata a concentrare
popolazione delle ex colonie francesi asiatiche e africane ma anche c'è una forte quota di
vietnamiti perché il Vietnam è stata colonia francese fino al 1954 e con la guerra del Vietnam
e quindi tra gli anni 60 e 70 del 900 è stata cospicua la quantità di popolazione che ha
chiesto asilo in Francia ma ci sono anche etnie algerine (anche l’Algeria è stata una colonia
francese fino al 1962) marocchine, tunisine e portoghesi. L'industria francese è sempre stata
abituata ad assumere lavoratori stranieri provenienti quindi da tante parti del mondo
soprattutto da dalle ex colonie e si dice addirittura che nei grandi stabilimenti automobilistici
della Renault si parlino 23 lingue. La multietnicità caratterizza non soltanto l'Europa nelle
sue più grandi metropoli e non solo ma caratterizza anche le grandi metropoli e anche le
megalopoli degli Stati Uniti d’America. Negli USA sono stati concettualizzati infatti i modelli
del melting pot che vuole intendere proprio la mescolanza, la fusione di diverse popolazioni
che sono andate nel corso del tempo ad insediarsi negli Stati Uniti d'America e sono dotate
di una loro cultura e tradizione propria ma comunque sono rientrate in un processo di
integrazione. Diverso invece è il concetto del salad bowl che è un modello che rappresenta
la vicinanza e la coabitazione di tante etnie nella società americana ma che rimangono
comunque separate l'una dall'altra mantenendo ognuna la propria specificità. Modello
questo rimarcato dall'organizzazione urbana in quartieri abitati infatti da una sola etnia
pensiamo a Little Italy, Chinatown e via discorrendo. Dagli anni 70 in poi la relazione
implosione funzionale e esplosione demografica entra in una nuova fase. Infatti si manifesta
una controtendenza cioè una ridistribuzione della popolazione negli ambiti locali e regionali
frammentata e discontinua che contrasta con quella invece areale tipica dei processi di
concentrazione e di diffusione che abbiamo conosciuto sin dalla prima rivoluzione industriale
per cui c’è questa espansione della città mentre adesso in questa controtendenza il core
della città si va a spopolare quindi un fenomeno analizzato in buona parte della letteratura
geografica degli ultimi decenni che è stato definito di contro-urbanizzazione per sottolineare
quindi il fenomeno di decentramento insediativo rispetto ai centri urbani.
Il grafico cartesiano mostra l’evoluzione demografica della città centrale della corona e della
regione urbana funzionale composta da quattro successivi stadi di sviluppo urbano;
urbanizzazione, suburbanizzazione, disurbanizzazione e riurbanizzazione. L’individuazione
di ognuna di queste fasi avviene esaminando i diversi sistemi urbani definiti come regioni
funzionali urbane e quindi FUR. La FUR è un agglomerazione costituita da una città centrale
o core con più di 200.000 abitanti e da una corona circostante o ring che comprende tutte
le municipalità contigue che presentano un tasso di pendolarismo verso un centro principale
non inferiore al 15% della loro popolazione. Nell'ambito di questo modello la fase di
urbanizzazione si riferisce a situazioni in cui la popolazione della città centrale cresce
rapidamente mentre quella della corona diminuisce, fenomeno questo definito di
centralizzazione assoluto o aumenta con tassi inferiori, definita questa centralizzazione
relativa, in entrambi casi si riscontra comunque una crescita demografica dell'intera regione
urbana funzionale quindi FUR. La fase invece di suburbanizzazione riguarda i casi in cui la
popolazione della corona cresce e contemporaneamente insieme a quella della città
centrale o cresce più lentamente, fenomeno questo definito di decentralizzazione relativa o
anche diminuisce, decentralizzazione assoluta. In ambedue le situazioni si riscontra un
incremento della popolazione totale della FUR. Nella fase invece di disurbanizzazione, la
popolazione della città centrale diminuisce con ritmi tali da determinare una riduzione
demografica complessiva della regione urbana sia nel caso di una ancora debole crescita
della corona quindi decentralizzazione relativa sia in quello di decentramento di quest'ultima
e quindi decentralizzazione assoluta. Si ha infine la fase di riurbanizzazione che non viene
definita in base a risultanze empiriche ma che rappresenta piuttosto dicevamo un'ipotesi di
evoluzione futura e alternativa a quella che prevede la continuazione dei processi di
disurbanizzazione. Tale ipotesi è tuttavia legata alla messa in atto di politiche pubbliche
aventi lo scopo di stimolare eventuali processi di ripopolamento delle aree centrali delle
agglomerazioni urbane anche nell'ambito di questa ipotetica ultima fase del ciclo gli autori
distinguono due situazioni alternative simmetriche: la centralizzazione relativa costituita da
un rapido decremento della popolazione della corona accompagnato da una riduzione meno
marcata di quella della città centrale e la centralizzazione assoluta in cui si manifesta un
veloce decremento della popolazione della corona accompagnato questa volta da un
incremento della città centrale. In entrambi i casi si verificherebbero comunque processi di
concentrazione decisamente più ridotti di quelli riscontrabili nella fase dell’urbanizzazione.
Quindi lo spazio urbano è stato analizzato secondo diversi punti di vista ed è stato anche
analizzato rispetto al valore e l’impiego del suolo che se ne fa.
L’ultimo modello è il modello di Ernest Burgess che fu costruito sulla città di Chicago.
Secondo questo ideogramma ideale tipico la città è costituita da una serie di anelli che
concentrici e le attività si distribuiscono secondo i valori del terreno quindi all'interno del
cerchio A si situa la zona degli affari con i più elevati valori immobiliari; il secondo cerchio B
comprende la zona di transizione quindi gli uffici, le industrie, l’industria leggera, i quartieri
d’immigrati e comunità di artisti; il terzo cerchio C comprende invece le zone degli immigrati
di vecchia generazione e le aree residenziali modeste; l'ultimo anello D comprende le aree
suburbane delle classi medie e le zone dei quartieri alti. Infine al di là dei confini della città
si estende l'ultimo cerchio E è la zona dei lavoratori pendolari.
Il modello di Burgess è indicativo sia per i processi economici che creano delle aree che si
definiscono naturali cioè delle zone che si sviluppano spontaneamente, sia della vita
economica politica e culturale della città che si svolge effettivamente principalmente nel
centro ma anche dall'espansione della città che effettivamente può essere modellizzata
secondo cerchi concentrici. Bisogna dire che la visione della città così come è stata
modellizzata è stata oggetto di forti critiche anzitutto perché la crescita urbana non può
essere esclusivamente rappresentata per cerchi concentrici visto che si può anche
sviluppare per settori e per nuclei specializzati e inoltre lo schema presuppone una divisione
del lavoro e una separazione tra luoghi di lavoro e luoghi di residenza troppo netta e infine
non tiene in considerazione in maniera adeguata le caratteristiche fisiche del suolo urbano
che invece possono essere fondamentali per il valore e l'impiego del suolo urbano nella
contemporaneità.
Conclusione: riportiamo questa citazione che tratta dello sviluppo urbano e dall'aumento
della popolazione e quindi del rapporto fra l'implosione funzionale urbana e l'esplosione
demografica. “Negli ultimi due secoli con lo sviluppo dell'industria e dei servizi il processo di
inurbamento della popolazione sia andato intensificando. Secondo i calcoli della Divisione
popolazione delle Nazioni Unite, nel 1950 ogni 100 abitanti del pianeta solo 29 vivevano in
aree urbane. Nel 1990 questa quota era salita al 45% e la popolazione urbana era più che
triplicata giungendo a 2,4 miliardi. Nel 2009 la popolazione urbana mondiale ha superato
quella rurale. Oggi vivono in aree urbane circa 3 miliardi e mezzo di persone. Intorno al 2030
quando la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere gli 8 miliardi si calcola che 5 miliardi
risiederanno in città”.
Infine queste carte vanno proprio a illustrare la crescita della popolazione urbana e
soprattutto pensate dei paesi meno sviluppati dove la corsa alla città è legata alle aspettative
di una vita migliore e diversa e non certo a possibilità di lavoro visto che i deboli apparati
industriali non riescono ancora a creare occupazione e anche se il terziario si gonfia a
dismisura i tassi di disoccupazione in questa paesi restano comunque altissimi. Ciò
nonostante la concentrazione urbana continua a crescere e Bangkok accentra il 70% della
popolazione thailandese, Buenos Aires i due terzi della popolazione argentina e Città del
Messico con i suoi quasi 20 milioni di residenti è tra le città più grande del mondo.
La pressione umana.
La pressione umana nel corso del XIX e del XX secolo. A crescere in maniera prepotente e
accelerata in concomitanza delle due rivoluzioni industriali e della crescita economica non
è stato soltanto il corpo urbano ma anche la popolazione mondiale. Le problematiche legate
alla pressione umana sulle risorse ambientali sono state centrali dagli anni 70 del 900 e
ovviamente anche per la geografia. Queste problematiche possono essere capite
pienamente solo analizzando e parlando quindi della crescita della popolazione mondiale
soprattutto nel corso del secolo scorso.
Gli argomenti di questa lezione saranno i seguenti: breve storia dell'incremento della
popolazione mondiale, dinamica dell'incremento della popolazione, i movimenti della
popolazione e le strutture demografiche, in ultimo l’equazione malthusiana e la sindrome
del collasso.
Gli obiettivi saranno invece i seguenti: illustrare le tappe storiche dell'incremento
demografico mondiale attraverso il modello della transizione demografica, spiegare le
modalità attraverso cui viene calcolata la dinamica demografica, quindi gli indici con cui
vengono calcolati i movimenti della popolazione e le variazioni apportate alla dinamica
demografica dagli andamenti delle strutture demografiche e infine chiarire attraverso la
curva esponenziale malthusiana il rapporto esistente tra popolazione e risorse mondiali.
L'andamento demografico nel corso della storia è stato estremamente dinamico ma anche
costante. Questo ha reso assai difficile una stima esatta dell'andamento del popolamento
sul nostro pianeta. Il calcolo delle stime si è andato a fare sicuramente più certo dal 1700.
Da quando cioè furono effettuati i primi censimenti nazionali, primo fra tutti, il più importante
è senz'altro quello del 1790 negli Stati Uniti d’America. Non era mai stato fatto infatti fino ad
allora un censimento tanto vasto. In Svezia in realtà era stato fatto già un censimento
nazionale nel 1750 ma la pietra miliare della storia demografica è considerato il primo
censimento degli Stati Uniti d’America del 1790. Agli albori della storia non è assolutamente
possibile presupporre un incremento continuo e anzi si pensa che sicuramente le
popolazioni primitive siano state invece sottoposte ad un andamento fluttuante. Gli studi
archeologici suggeriscono che agli inizi dell'era agricola circa 10.000 anni a.C. la
popolazione mondiale non superasse i 10 milioni; all'inizio dell'era cristiana si stima che il
suo ammontare fosse ca. tra i 200-250 milioni e che sono nell'anno 1650 tale cifra si sarebbe
raddoppiata raggiungendo i 500 milioni; tra gli anni 20 e 30 dell’ottocento quando la prima
rivoluzione industriale si era consolidata nel suo luogo d'origine e quindi la Gran Bretagna e
si stava diffondendo in altri paesi la popolazione mondiale raggiunse il miliardo; agli inizi
degli anni 80 del 900 vivevano 4 miliardi e mezzo di persone e alla fine del 900 si era arrivati
a 6 miliardi fino a raggiungere nel nel 2011 i 7 miliardi.
L'andamento fluttuante della crescita della popolazione fino alla prima rivoluzione industriale
è una constatazione che alla base del modello della transizione demografica grazie a
questo modello appare evidente che dalla fine del 700 quindi con la rivoluzione industriale
ci fu una nuova modalità di incremento della popolazione. Durante gli ultimi due secoli quindi
l'industrializzazione e l’urbanizzazione di tipo industriale hanno provocato questo
mutamento della modalità di incremento naturale della popolazione che viene denominata
transizione demografica. Il termine transizione vuole significare proprio passaggio da un
incremento naturale della popolazione basso a causa dell'alta natalità e dell'alta mortalità
ad un incremento naturale della popolazione sempre basso ma per cause diverse e quindi
per la bassa natalità e la bassa mortalità.
Il modello della transizione demografica è suddiviso in quattro stadi: il primo stadio che è
quello alto stazionario ci fa vedere come l’incremento della popolazione totale sia molto
basso e dovuto questo ad un alto tasso di natalità che però viene annullato da un alto tasso
di mortalità probabilmente a causa di guerre, carestie ma è anche dovuto alle condizioni di
vita nella storia preindustriale e se volessimo adottare questo modello per descrivere la
storia dell'Europa dal settecento in poi possiamo dire che in questa fase l'Europa si trovò
proprio nella lunghissima fase preindustriale. Il secondo stadio è quello della prima invece
espansione che è anche la prima fase di transizione demografica per cui ad un alto tasso di
natalità vediamo invece un abbassamento del tasso di mortalità quindi questo ha provocato
un incremento naturale della popolazione. Questo stadio quindi di prima espansione
coincide con il periodo di fine ottocento in Europa per cui pur facendo il tasso di natalità
molto alto perché comunque i valori sociali erano ancora strettamente legati a una cultura
agricola i benefici invece della rivoluzione industriale a questo punto siamo all'inizio della
seconda rivoluzione industriale iniziano a farsi vedere. Le condizioni di vita migliorano e
quelle igienico sanitarie anche e quindi questo ha portato ad un abbassamento del tasso di
mortalità.
Il terzo stadio che è la seconda fase di transizione demografica per cui ad un abbassamento
della mortalità stazionario c'è anche un abbassamento del tasso di natalità e questo porta
ad un incremento naturale della popolazione e ci troviamo nella nella fase della metà del
900, l’Europa si trova nella metà del 900 quindi le condizioni di vita sono assolutamente
migliorate e quindi il tasso di mortalità diventa diciamo stabile quindi basso però si aggiunge
anche un abbassamento del tasso di natalità perché anche socialmente entrano dei nuovi
valori dettati apposta dalla logica capitalistica e consumistica quindi cambiano i valori sociali
e pensiamo anche al cambiamento del ruolo della donna quindi si fanno meno figli perché
la donna entra nel mondo proprio sociale quindi inizia lavorare e c'è un desiderio di controllo
sul numero dei figli e delle nascite proprio per facilitare una pianificazione familiare. Il quarto
e ultimo stadio quello basso stazionario ci indica come questo abbassamento del tasso di
natalità inizi a stabilizzarsi insieme al tasso di mortalità e quindi da questo stadio inizia anche
un abbassamento dell'incremento naturale della popolazione. La quarta fase di
superamento della transizione e quindi fase basso stazionaria è un periodo in cui i tassi di
natalità e di mortalità si sono consolidati a livelli bassi di conseguenza la popolazione risulta
stazionaria questo periodo differisce dalla fase alto stazionaria anche perché il tasso di
mortalità è più stabile del tasso di natalità. L'Europa si trova attualmente in questa fase che
viene denominata a crescita zero e dobbiamo dire che dal 1990 i paesi sviluppati con una
debolissima crescita demografica hanno contribuito all'incremento totale soltanto per il 6%
tra questi l'Europa detiene i valori più bassi essendo l’unico continente con un saldo naturale
negativo mentre i paesi sud del mondo sono i principali protagonisti dell'aumento
demografico. Grazie alla tecnologia medica e alle migliori condizioni di vita possiamo dire
che nessun paese nel mondo si trova più allo stadio uno quindi nella fase alto stazionaria. I
paesi che vengono denominati in via di sviluppo si trovano infatti nella prima fase
demografica o prima espansione per cui è osservabile un incremento rapido della
popolazione in alcuni casi con un sostanziale abbassamento del tasso di natalità che sta
conducendoli nella fase di tarda espansione legato ai miglioramenti apportati alla vita proprio
dalla tecnologia medica e dalle trasformazioni socio economiche.
Capire le cause più significative che sono alla base dell'enorme incremento della specie
umana sulla terra è una delle aspettative care alla geografia e per capire questo bisogna
individuare le modalità con cui misurare l'andamento demografico e le circostanze che
agiscono al suo incremento quindi per capire i movimenti della popolazione bisogna
guardare all'interazione di quattro elementi: le nascite, l’immigrazione, i decessi e
l’emigrazione. Per quanto riguarda le nascite e le morti, questi costituiscono l'andamento
naturale di una popolazione. La differenza tra il numero dei nati vivi e il numero dei morti
nel corso dell'anno va a costituire il saldo naturale positivo se i flussi in entrata dei nati e più
consistente dei flussi uscita dei morti negativo in caso contrario. La dinamica totale della
popolazione può essere spiegata soltanto chiamando in causa combinatamente il
movimento naturale ma anche il movimento migratorio anche in questi casi occorre
distinguere i flussi in entrata che sono gli immigrati e i flussi in uscita che sono gli emigrati.
Il saldo migratorio è costituito dalla differenza dei due flussi ed è positivo quando le
immigrazioni sono più consistenti delle migrazioni ed è negativo nel caso contrario e nullo
quando i due flussi si equivalgono.
Per meglio analizzare l’importanza che hanno le nascite e morti nell'andamento naturale di
una popolazione si ricorre a due concetti fondamentali che sono il tasso di natalità e il tasso
di mortalità.
Il tasso di natalità è costituito dal rapporto tra i nati vivi e la consistenza della popolazione
totale media e si esprime in termini millesimali sicche indica quanti nati vivi per 1000 abitanti
vi siano nel periodo considerato è ovvio che la geografia umana si interessa al tasso di
natalità non è in sé per sé come invece fa la demografia ma in rapporto all'insieme dei fattori
ambientali da cui è influenzato e quindi ad esempio il clima, le catastrofi, le condizioni di
vita, i regimi alimentari e anche i costumi sociali. Per quanto riguarda invece il tasso di
mortalità è costituito dal rapporto tra il numero dei decessi e la consistenza della
popolazione totale media anch’esso viene misurato in termini di millesimali e quindi viene
inteso come il numero medio di decessi per ogni 1000 abitanti. In geografia umana il tasso
di mortalità viene considerato in rapporto al substrato fisico in rapporto all’ambiente. Di solito
è utile attribuire una considerazione particolare anche al tasso di mortalità infantile espressa
dal numero medio di morti in età inferiore all'anno rispetto ovviamente alla popolazione
totale. Elevati tassi di mortalità infantile infatti sono connessi a condizioni ambientali
disagevoli o rischiose e quindi a condizioni igieniche precarie o a economie sottosviluppate
e così via. Il tasso di natalità e il tasso di mortalità servono a calcolare il tasso di incremento
naturale che è la differenza tra il numero dei nati vivi e i decessi diviso per il valore medio
della popolazione in un particolare intervallo temporale. Questi tassi vengono definiti tassi
grezzi proprio perché tralasciano quei fattori fondamentali che sono i fattori di età, sesso e
professione che invece diventano e sono tassi specifici che sono unità di misure più precise
e quindi prendono in considerazione la struttura della popolazione come dicevamo per età,
sesso e professione e costituiscono il sistema demografico.
Un criterio utile e di frequente impiego nel descrivere la struttura di una popolazione è quello
della piramide delle età: essa consiste in un grafico a sviluppo verticale che mostra la
percentuale di individui nelle varie classi di età. La figura qui proposta di queste immaginare
piramidi di età relative ad alcune popolazioni umane ci fanno vedere come a seconda della
forma assunta dalla piramide si deducano delle caratteristiche fondamentali della
popolazione. Quindi una piramide a base larga indica una popolazione con una elevata
natalità se è larga invece in corrispondenza del centro può indicare che in passato c'è stato
un incremento delle nascite oppure che al momento vi sono apporti migratori e così via. Per
costruire la piramide d’età bisogna conoscere la ripartizione della popolazione maschile e
femminile secondo classi di età, informazioni queste che sono fornite dai censimenti
demografici. Il diagramma è suddiviso in due sezioni: a sinistra la popolazione maschile e a
destra quella femminile. Nell'asse delle ascisse sono rappresentate le consistenze della
popolazione appartenente per ciascun sesso alle varie classi d’età mentre nell'asse delle
ordinate sono rappresentate le età. Il diagramma assume una forma piramidale giacché si
restringe producendo una variazione dal basso verso l'alto per questo viene definita
piramide d’età. Nello specifico ad esempio B ci mostra una popolazione stazionaria,
l'immagine c ci mostra una popolazione in crescita mentre l'immagine d una popolazione
soggetta a contrazione, l'immagine e una popolazione in crescita grazie all’apporto di
giovani adulti e l'immagine f una popolazione stazionaria probabilmente depauperata da
perdite per cause belliche. Queste sono delle piramidi d’età che mettono a confronto regioni
più sviluppate con le regioni meno sviluppate. Potete notare l'immagine a botte che è quella
tipica dei paesi sviluppati con una contrazione delle nascite e qui invece la classica piramide
a base larga dei paesi proprio in via di sviluppo che però come potete notare dal 1980 al
2010 sta effettivamente cambiando.
L'equazione malthusiana e la sindrome del collasso: per riuscire ad individuare e
interpretare i limiti verso cui la crescita della popolazione tende è argomento di
numerosissimi studi contemporanei molti dei quali si rifanno proprio alla teoria di Malthus.
L'incremento della popolazione umana a livello mondiale può infatti portare a degli effetti
disastrosi soprattutto considerando il rapporto tra la crescita della popolazione e le risorse
utili alla sopravvivenza umana argomento questo che è diventato centrale nella riflessione
mondiale dagli anni 70 del 900. L'importanza degli effetti della pressione demografica
sull'ambiente non può essere assolutamente sottovalutata. Malthus osservò che la
popolazione tende a crescere in modo geometrico mentre le risorse di cibo utili al
sostentamento della vita umana anche rendendo migliore la produzione agricola aumentano
invece in maniera aritmetica. Rispetto a questi presupposti lo studioso inglese di fine
settecento fu in grado di pronosticare che l’inevitabile incremento demografico avrebbe
portato prima o poi all'esaurimento di tutte le risorse alimentari possibili. Gli unici modi per
limitare questo incremento erano secondo questa teoria usando le parole di Malthus la
guerra, il vizio e l’indigenza. Nel 1817 Malthus aggiungerà anche il controllo delle nascite.
La figura mostra l'equazione malthusiana anche definita curva esponenziale. Egli suppose
che una popolazione avrebbe sempre nel lungo periodo finito con il superare le scorte
alimentari disponibili questo perché la popolazione cresce in proporzione geometrica mentre
le scorte alimentari crescono in proporzione invece aritmetica. Nel diagramma è visibile
come le scorte alimentari sono all'origine a livello 10 e aumentano di tre unità in ciascun
periodo di tempo. La popolazione in origine a livello invece 0,1 ma si raddoppia in ciascun
periodo di tempo- Quindi indipendentemente dalle cifre prescelte a lungo andare questa
curva esponenziale finirà col l’intersecare la curva aritmetica quindi l’addensamento della
popolazione provocherebbe pressioni sulle scorte alimentari e quindi condurrebbe a quello
che viene definito un punto di collasso dal quale si può rientrare solo grazie ai fattori di
ridimensionamento della popolazione la fame, la carestia e la guerra. L’umanità non può
secondo Malthus quindi migliorare il suo destino neanche di fronte a un progresso esterno
come ad esempio la scoperta di risorse perché secondo Malthus lì dove comunque si
creerebbe un surplus economico la popolazione comunque tenderebbe proprio ad
aumentare e ad annullare questo surplus. Questo meccanismo fu battezzato la trappola di
Malthus che condannerebbe ogni popolazione alla stagnazione economica. Il postulato
malthusiano è stato ovviamente oggetto di innumerevoli commenti e ha anche suscitato tra
l'altro delle teorie contrarie come quella dell'economista danese Ester Boserup che si
presenta proprio come un anti-malthusiana perché per la Boserup infatti il senso della
relazione tra popolazione ed economia è inverso a quello postulato da Malthus. Infatti
secondo la Boserup non è la ricchezza che fa crescere la popolazione ma è la popolazione
ad essere un fattore di progresso economico quindi secondo la Boserup la popolazione non
è determinata dalla ricchezza ma anzi può dar vita ad una pressione che viene definita una
pressione creatrice e sempre per la Boserup la crescita della popolazione espressa
attraverso la densità è infatti un fattore di innovazione e di progresso quindi questa è la
pressione creatrice è la capacità della popolazione fortemente addensata di risolvere i
problemi inerenti la sopravvivenza e nel caso specifico inerenti proprio le risorse alimentari
attraverso l'innovazione tecnologica e il progresso. La popolazione quindi si evolve e si
adatta e secondo le parole della Boserup “la necessità è madre di ogni innovazione”.
Lo studio e l'ipotesi malthusiana portano a considerare il limite entro il quale la terra è in
grado di alimentare i sempre maggiori bisogni di cibo di una popolazione inesorabilmente
crescente quindi rispetto ad alcuni dati offerti dall'OMS cioè dall’organizzazione mondiale
della sanità, l'uomo consuma solo una porzione minima della capacità produttiva alimentare
complessiva terrestre, c'è però da considerare che la maggior parte del cibo utilizzata
dall'uomo è prodotta su una piccola parte della superficie terrestre quindi il carico alimentare
non è distribuito uniformemente sulla superficie produttiva del globo basti pensare che la
terra coltivata in grado di produrre i tre quarti del prodotto potenziale mondiale di materia
commestibile costituisce solo il 2% dell'intera superficie terrestre circostanza questa che
causa di fatto il rapporto deficitario tra soggetti ben nutriti e quelli sottonutriti di circa uno a
sei. Questa differenza della distribuzione della capacità alimentare divide di fatto la
popolazione in chi ha e chi non ha, condizione che effettivamente potrebbe condurre ad una
condizione malthusiana di competizione capace di produrre tensioni conflittuali e guerre che
secondo quanto quanto scritto da Malthus stesso ridurrebbero il numero poi della
popolazione risolvendo così la situazione limite cui il sovrappopolamento e la mancanza di
risorse porterebbe. La visione catastrofica di Malthus quindi della crescita esponenziale nel
rapporto tra popolazione e mezzi di sostentamento con tutti suoi limiti interpretativi che non
prendevano in considerazione le possibilità risolutive offerte dalle tecnologie future fu
comunque ripresa negli anni 70 del novecento dal Neomalthusianesimo. Uno dei massimi
esponenti di questo pensiero fu il biologo statunitense Ehrlinch che prospettò per risolvere
questo problema il controllo consapevole delle nascite come unica soluzione a questa
catastrofica prospettiva alla quale avrebbe portato questa crescita demografica. Tra l'altro
una visione, quella Neomalthusiana, che si riferisce anche ai dati numerici offerti dal
rapporto fatto dal Mit per conto del club di Roma proprio che avvertiva sui limiti dello sviluppo
e quindi sulla necessità effettivamente di trovare una soluzione per ristabilire un rapporto di
equilibrio tra la pressione umana e le risorse ambientali.
Conclusioni. Il peso delle esigenze demografiche nella dinamica dello sviluppo è ovviamente
incontestabile ma rimane da capire se una società ha una proprietà di autoregolamentarsi
ripristinando quindi gli equilibri demografici automaticamente. Nel 1934 il francese Adolf
Lodrick precisa il concetto di rivoluzione demografica diventato noto poi come transizione
demografica nella quale si afferma l'idea che le società dispongano di un meccanismo
automatico di ritorno all'equilibrio per cui la crescita demografica sarebbe solo la
manifestazione di uno squilibrio transitorio tra natalità e mortalità ovviamente è difficile
dimostrare la validità della teoria della transizione demografica e coloro che non la
sostengono e non credono quindi alla capacità automatica di autoregolamentazione
demografica delle società ritengono invece sia urgente agire per rallentare la crescita della
popolazione soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Perciò la legittimità delle politiche
incentrate sulla limitazione delle nascite passa anche attraverso la constatazione della
teoria dell’autoregolamentazione.
Negli anni 70 del novecento ci furono tutta una serie di movimenti sociali di contestazione
al sistema economico capitalistico che stava portando al depauperamento delle risorse
ambientali. Un ordine economico che stava creando una divaricazione sempre più netta tra
paesi ricchi e paesi poveri. Il metodo scientifico in questo climax socio culturale ne venne
influenzato e incominciò a ripensare la metodologia scientifica e così fece anche la geografia
che iniziò ad adottare una nuova prospettiva basata sui nuovi principi sistemici che di fatto
riportavano l'attenzione sul rapporto uomo ambiente che era stato messo da parte nel
ventennio funzionalista.
Gli argomenti della lezione saranno i seguenti: la General System Theory e la prima fase
della geografia sistemica, la logica e i principi sistemici e quindi sfida a Cartesio, seconda
fase della geografia sistemica: il sistema complesso e la sua organizzazione interna tra
capacità autopoietica e capacità autoreferenziale.
Gli obiettivi: delineare le caratteristiche della prima fade della geografia sistemica tra novità
ed eredità del passato, illustrare le implicazioni analitiche nate dai principi sistemici di
pertinenza, riduzionismo, principio teleologico e olistico e come questi siano alla base del
concetto geografico di sistema territoriale, spiegare attraverso la seconda fase della
geografia sistemica o della complessità le manifestazioni territoriali e le implicazioni delle
relazioni globali proprie della contemporaneità.
Il 1973 fu l'anno della crisi petrolifera con il consequenziale emergere della latente
conflittualità internazionale causata proprio dal commercio delle risorse non rinnovabili che
fece vacillare quell'equilibrio nel quale si era cullato per circa vent'anni il mondo occidentale
dei paesi sviluppati, più precisamente dopo gli accordi del 1944 di Bretton Woods. In
quell'occasione fu deciso il nuovo ordine economico mondiale basato sul libero mercato che
portò l’Europa e gli Stati Uniti d’America al boom economico con la consequenziale
pressione esercitata dalla popolazione occidentale sulle risorse ambientali soprattutto non
rinnovabili.
In una certa misura proprio gli avvenimenti storici del tempo furono l'evidente dimostrazione
degli effetti di una logica oggettivista che promosse per lungo un modo di vivere in maniera
non relazionale il rapporto uomo ambiente. Nel corso del XX secolo l'uomo occidentale
aveva sfruttato infatti l'ambiente senza preoccuparsi delle conseguenze retroagenti tra l'altro
che andava provocando all’ambiente. In opposizione a questa logica consumistica
interessata al solo profitto che andava a divaricare sempre più i paesi ricchi da quelli poveri
si posero molti movimenti sviluppatesi dal di dentro della società occidentale come quello
ambientalista. Ma anche gli stessi paesi poveri decisero tra l'altro di far sentire la loro voce
in seno alle conferenze mondiali incentrate proprio sul problema della pressione umana
sulle risorse ambientali che da allora iniziarono a susseguirsi, quindi dagli anni 70 in poi.
Pensiamo alla conferenza di Stoccolma e Santiago del Cile del 1972 che mobilitarono
l'interesse mondiale nei confronti di queste nuove problematiche anche sulla necessità di
un intervento sull'ambiente che salvaguardasse l'ambiente che poi porterà alla fine degli
anni 80 proprio alla nascita del concetto di sviluppo sostenibile. In questa atmosfera
culturale e sociale molto particolare e in fermento anche la riflessione scientifica e
soprattutto per quanto ci riguarda quella geografica venne influenzata ed è proprio in quel
periodo che prendono l'avvio tante diverse branche della geografia quindi dagli anni 70 in
poi. Dalle motivazioni sociali che in quel periodo si manifestarono pienamente nacque e si
sviluppò geografia marxista e la geografia radicale. Dalle motivazioni invece esistenziali e
quindi questa importanza per il soggetto piuttosto che per l'oggetto prendono l’avvio la
geografia della percezione ma anche la geografia umanistica. Dalle motivazioni invece
ecologiste anche queste molto forti in quel periodo prese piede la geografia ecologista. Dalle
motivazioni logiche perché si opponevano ai principi del passato si va a sviluppare la
geografia sistemica.
Le connessioni disciplinari di queste diverse branche della geografia, di queste diverse
prospettive sono di tipo sociologico. Per quanto riguarda la geografia della percezione e la
geografia umanistica invece la connessione disciplinare è con la psicologia sociale . La
geografia ecologista invece ha connessione invece con l’ecologia. La geografia sistemica
che invece ebbe le connessioni proprio con la teoria del sistema generale che nacque e fu
teorizzata nell'ambito della biologia.
Tutte queste diverse prospettive che si andarono a sviluppare dagli anni 70 del 900, si
trovano unite nel contrastare la metodologia e i principi su cui si era fondato il funzionalismo
e l'analisi spaziale quindi andarono contro l'emarginazione del rapporto uomo ambiente
propria del funzionalismo e il modo con cui il funzionalismo aveva tolto la concretezza allo
studio del territorio per invece studiare il territorio come spazio quindi questa dimensione
concettuale e si opponevano alla conoscenza esaustiva dello spazio geografico che si
proponeva il funzionalismo, si opponevano alla volontà non di descrivere le manifestazioni
territoriali ma di volerle spiegare, comportamento analitico antipodico, cioè l'analisi viene
fatta solo secondo il funzionalismo su elementi, su fatti evidenti e solo in quanto aiutino ad
approdare a spiegazioni generali dei fenomeni quindi la geografia secondo il funzionalismo
diventa una scienza nomotetica perché si propone proprio di approdare a delle leggi, a dei
principi generali e proprio diciamo a queste caratteristiche del funzionalismo si oppongono
tutte queste diverse prospettive della geografia che si andarono a sviluppare dagli anni 70
in poi. Quindi da questa nuova consapevolezza prende le mosse proprio negli anni 70 del
secolo scorso la prima fase della geografia sistemica derivata dalla General System Theory.
Del funzionalismo la geografia sistemica conserva però il concetto di struttura territoriale
come un insieme di elementi interconnessi capace di evolversi nel tempo ma approfondisce
le nozioni che pure erano state trattate dal funzionalismo ma evidentemente in una maniera
meno approfondita, le nozioni di struttura territoriale in rapporto ad un ambiente esterno
capace di trasformarsi rispetto a determinate teleologie cioè a determinati obiettivi che
andavano a cambiare nel corso del tempo. Viste le trasformazioni quindi gli elementi di
riflessione della geografia sistemica, nozioni che tra l’altro furono trattate anche dal
funzionalismo ma in maniera meno approfondita quindi il concetto di sistema territoriale
capace di trasformarsi, quindi trasformazione rispetto agli input provenienti da un’ambiente
esterno e rispetto a degli obiettivi sociali, economici che andavano a variare nel corso del
tempo.
Il General System Theory: il sistema che poi viene tradotto in geografia il sistema territoriale.
Il sistema è la cellula infinitesimale della realtà, secondo la General System Theory, grazie
alla quale giungere allo studio delle relazioni con il contesto ambientale quindi l’indagine
geografica sviscera la nozione di sistema territoriale che è composto da due nuclei dal
substrato fisico e dalla società ma entrambi sono legati da una serie di elementi relazionali
che concorrono alla formazione di un sistema territoriale avente una strutturazione interna
attraverso cui da una parte riorganizza gli input elargiti proprio dall'ambiente esterno
dall’altra quindi riorganizza, metabolizza gli input elargiti dall’ambiente esterno ma dall'altra
parte persegue degli specifici obiettivi temporali per il soddisfacimento dei quali il sistema
territoriale è pronto all'occorrenza a ridefinire e a trasformare la sua stessa organizzazione.
Eccoci giunti a confrontare le due diverse logiche: la prima la logica cartesiana e questo lo
facciamo questo confronto proprio per renderci conto della innovazione anche metodologica
a cui va incontro la geografia perseguendo proprio i principi sistemici e quindi dando vita
alla geografia sistemica e al concetto di sistema territoriale. La teoria sistemica fornì una
nuova visione conoscitiva che muoveva proprio dalla consapevolezza della relatività della
conoscenza oggettiva della realtà che era propria ed è propria della logica cartesiana. Ai
principi cartesiani quindi di evidenza, riduzionismo, esaustività e causalismo la teoria
sistemica risponde con i principi di pertinenza, il principio olistico, il principio teologico e il
principio di aggregatività perciò la realtà terrestre non viene più vista come una realtà
oggettiva distante dal soggetto, dalla società, dall'uomo e quindi non viene più intesa come
un oggetto inanimato, fermo, scomponibile ma vista come un holon, un organismo la cui
evoluzione nel tempo non risponde a leggi di causalità come era stato insomma pensato
fino ad allora e linearità o perlomeno non solo ma da una complessità di interdipendenze
che portano a trasformazione diacroniche quindi nel tempo rispetto a teleologie o fini
evolutivi. La geografia applica la teoria del sistema generale utilizzando ancora l'idea di
struttura come sistema territoriale che era stata proposta anche dal funzionalismo composta
da elementi capaci di organizzarsi in gruppi interconnessi da relazioni interne ed esterne
rispetto alle quali trasformare la struttura stessa secondo determinati fini e nuove teleologie
quindi nuovi obiettivi; inoltre proprio in virtù dell’opposizione al principio cartesiano di
esaustività per valutare i comportamenti di questa struttura territoriale sistemica non
potendo compiere un'analisi esaustiva e ridotta su tutte le interconnessioni relazionali tra gli
elementi è secondo la geografia sistemica che si rifà alla teoria e alla logica sistemica è
sufficiente dare attenzione a determinate catene di relazioni quindi a degli insiemi di
aggregati che siano però pertinenti all'evoluzione o momento evolutivo, a un momento di
trasformazione e che quindi interessi una determinata analisi. Quindi le trasformazioni che
la struttura compie per il raggiungimento di specifici obiettivi temporali, quindi questa
teleologia diventa proprio l’obiettivo, il vero punto cardine dell'analisi geografica per cui ci si
rende conto che la realtà non essendo concepita più come un oggetto non può essere
conosciuta interamente nella sua interezza ma che invece l'analisi scientifica può decidere
rispetto a una determinata volontà euristica di concentrarsi su una serie di aggregati, su una
serie di elementi e quindi rispetto a un particolare obiettivo analitico.
La seconda parte della geografia sistemica definita anche geografia della complessità che
si andò a sviluppare dagli anni 80 in poi quando cioè la realtà e le manifestazioni territoriali
diventano veramente più complesse quindi il lavoro del geografo diventa ancora più difficile
perché deve decodificare queste moltitudini di relazioni che vanno a creare la realtà
contemporanea. Nella seconda fase della geografia sistemica ci si accorge che il lavoro
dicevamo del geografo diventa più complesso perché il territorio non viene più messo in
relazione solo con l’ecumene e quindi con lo spazio abitato dall'uomo ma con l'intera
geosfera, quindi il territorio viene inteso come una cellula di un organismo però più grande
dell’ecumene e cioè una cellula infinitesimale della terra. Dall’ultimo ventennio del
novecento prende così l'avvio la seconda fase della geografia sistemica definita sistema
complesso proprio per la volontà di incentrare l'indagine territoriale sulla relazione con
l'ambiente esterno che interessa la terra. L’ambiente esterno che viene inteso sia
ecologicamente come elargitore di risorse che come termine di confronto con il quale il
comportamento umano si relaziona. Rispetto alla prima fase della geografia sistemica in
questa fase l'analisi si concentra sull'organizzazione interna del sistema territoriale che più
sarà complessa quindi ben articolata e strutturata più gli permetterà di perseguire
autonomamente i suoi obiettivi temporali ed evolutivi rispetto a sempre nuovi input
provenienti dall'ambiente esterno ingigantito però con il quale il sistema territoriale è in
continua relazione. La geografia quindi del sistema complesso considera il territorio
dicevamo come la cellula di un grande organismo terrestre che insieme a questo grande
organismo si trasforma nel tempo perseguendo ogni volta fini diversi. Ogni sistema
territoriale è formato quindi da un insieme organizzato di elementi sia ambientali che sociali
attraverso i quali intrattiene relazioni con l'ambiente esterno di input e output per mezzo di
un flusso regolato di informazioni che entrano ed escono dai suoi confini amministrativi ma
anche culturali. Rispetto agli input dell’ambiente esterno che il sistema territoriale incamera
e rispetto alla propria capacità di autorganizzazione il sistema complesso sebbene
strutturato può attuare una serie di trasformazioni dell'intera sua struttura mettendo così in
atto se necessario una morfogenesi o trasformazione strutturale.
La capacità autorganizzativa propria del sistema territoriale complesso che si basa sulla
capacità autopoietica e la capacità autoreferenziale. L’organizzazione interna dipende dalla
capacità autopoietica o autorigeneratrice degli elementi che compongono il sistema che
sono quindi i centri direttivi, decisionali, politici, economici e quella di cui si avvale
l’organizzazione istituzionale grazie a cui vengono regolati i comportamenti sociali con le
leggi, con il diritto statuale, la gestione territoriale che coinvolgono i gruppi e le varie
categorie sociali. Per quanto riguarda invece la capacità autoreferenziale questa ha il
compito di diffondere attraverso l'insieme di norme ufficialmente riconosciute il senso
identitario culturale valoriale proprio del sistema territoriale. La lingua ad esempio
rappresenta un sistema autoreferenziale interno al sistema territoriale che ha una funzione
di autocoagulante sociale capace quindi di alimentare il sentimento d'appartenenza tra
l'individuo interno alla società e il proprio territorio. Quindi la capacità autopoietica e la
capacità autoreferenziale sono fondamentali al sistema territoriale complesso strutturato e
ben organizzato si evolve nel tempo trasformando di volta in volta la sua struttura rispetto a
determinati obiettivi temporali, economici e sociali. Una organizzazione che garantisce
l'autonomia del sistema territoriale complesso rispetto all'ambiente esterno.
La morfogenesi è un processo che viene avviato dal sistema territoriale complesso nel
momento che viene posto di fronte a una biforcazione. Quindi come possiamo vedere
dall'immagine la morfogenesi è una fase di cambiamento nel corso della quale il sistema
trasforma dicevamo la propria organizzazione. La morfogenesi si attua quando il sistema
territoriale complesso si trova in un momento evolutivo o biforcazione, un momento cruciale
nel quale l’organizzazione territoriale è sollecitata a trasformarsi e la comunità deve
scegliere tra futuri possibili e alternativi. Un esempio di quanto affermato può essere
rappresentato ad esempio dalla corsa alla industrializzazione da parte di molti paesi
occidentali nel corso degli anni 60 del 900 per cui l’obiettivo per il quale questi hanno agito
territorialmente attraverso leggi, legami internazionali, nuove strategie economiche ma
anche culturali, il rimodellamento dei valori comunitari fino a questo per arrivare alla
trasformazione dell'intero assetto organizzativo del sistema territoriale quindi gli input
dell’economia industriale entrano nel sistema territoriale che magari era basato ancora
sull’economia agricola a quel punto se il sistema è ben strutturato al suo interno viene messo
di fronte ad una biforcazione e se ben strutturato può attuare una morfogenesi strutturale e
quindi cambiare la sua organizzazione perseguendo l’obiettivo industriale.
Questo per poi giungere negli anni 80 alla riformulazione dell'obiettivo e al conseguimento
per mezzo di una nuova trasformazione dell'assetto territoriale capace di superare il
precedente stadio industriale attraverso la creazione di un sistema territoriale invece post
industriale quindi con servizi tecnologicamente avanzati e transnazionali.
Che cosa accade se il sistema territoriale complesso non è ben strutturato non ha questa
capacità autorganizzativa e quindi un'adeguata capacità autopoietica e autoreferenziale? Il
rischio è la decostruzione del sistema territoriale fino ad arrivare ad una vera e propria
colonizzazione come nel caso di Haiti, una colonizzazione culturale ed economica da parte
di sistemi territoriali più complessi e pensiamo a quei paesi economicamente disagiati e
pure meta di turismo internazionale come Haiti, dominati territorialmente da villaggi turistici
di proprietà delle multinazionali estere nei quali convogliano grandi masse turistiche realtà
questi villaggi turistici che sono delle vere proprie enclave territoriali non solo disturbano la
continuità paesaggistica del territorio che li ospita ma portano a tutta una serie di
problematiche economiche, culturali e sociali come la delinquenza, la prostituzione
soprattutto nelle aree limitrofe ai villaggi turistici. Questi possiamo definirli non luoghi
usando un concetto di Marc Augé, non luoghi perché non relazionali, non storici e non
identitari sono prodotti dall'investimento estero quindi non solo non aiutano lo sviluppo ma
possono portare a una vera e propria decostruzione dell'organizzazione della struttura
interna del sistema territoriale. Il concetto di complessità quindi è legata a questa fitta rete
di relazioni e di interconnessioni tra i vari elementi che compongono il sistema territoriale e
i rapporti che si vanno a instaurare tra questo e l’intorno globale.
Un concetto quindi quello di complessità attraverso il quale leggere un mondo trasformato
dalle innovazione tecnologiche, dall'economia di mercato che investendo la sfera locale lo
inseriscono nell'articolata e concorrenziale rete globale fatta di discontinuità spaziale ma
anche di differenze e di sviluppo economico tra un paese e l'altro quindi facendo nascere
anche dei rapporti contrastanti e dicotomici.
Conclusioni: possiamo dire quindi che dagli anni 70 ancor più dagli anni 90 del novecento
ci si rese conto che i fenomeni demografici economici e sociali e politici sono correlati e
interdipendenti e danno vita quindi a un sistema dinamico le cui relazioni si evolvono nel
tempo trasformando i fattori organizzativi in circoli virtuosi o spesso viziosi. L’agire territoriale
deve quindi tener conto di una duplice necessità l'esistenza di questa interdipendenza e
l'inseparabilità di politiche di popolazione e politiche di sviluppo. Lo sviluppo diventa quindi
non si parla più di crescita economica ma si inizia parlare finalmente di sviluppo sostenibile
capace cioè di badare a tutte quelle insieme di interrelazioni e di entrare quindi nella
complessità di un mondo e di una realtà assolutamente trasformate.
MODULO 3 - CARTOGRAFIA