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GEOGRAFIA ECONOMICO-POLITICA

Che cos’è la geografia?


È una parola che deriva dal latino, e ancora prima dal greco, composta da due elementi:
1. γῆ → Gè(a) → Terra / Superficie/ Rappresenta ciò che si riesce a percepire nel mondo.
2. γραϕία → Graphè → Scrittura / Descrizione di Gè(a).
In parole povere è la descrizione della terra. C’era però un altro modo per definirla, più antico,
ovvero, Kton che implicava una conoscenza del mondo, per quanto riguarda la sua profondità → la
geografia, era la conoscenza di ciò che non era visibile, mentre ge era quello visibile, e
percepibile. La geografia nasce da un’operazione del II secolo d.c., quando ancora si pensava che
la terra fosse piatta, scoprendo poi che anche gli antichi pensavano che la terra fosse tonda. La
geografia nasce con l’invenzione dello spazio: un'invenzione di Eratosthenes, che era riuscito a
misurare una misura non visibile a occhio nudo, grazie alla trigonometria. Una delle sue più grandi
scoperte fu il fatto di aver capito che la terra era sferica, andando anche molto vicino al numero
preciso della sua circonferenza. Lo spazio deriva da stadio, che era l’unità di misura equivalente:
ossia uno stadio equivale all’altro. Così si iniziò a misurare lo spazio e a trascrivere la terra sulla
carta, trasformando una sfera in qualcosa di piatto. Questo viene eseguito tramite il meccanismo
della proiezione. Con questo metodo è stata inventata la carta geografica e i meridiani/paralleli,
che danno coordinate geografici di specifici punti della nostra sfera. Questo fu il momento in cui la
cartografia divenne uno strumento di conoscenza del mondo. Questo strumento iniziò a modellare
i confini dei territori.
Confine → quella riga tracciata dall'uomo per dividere i territori, culture, ecc….
La geografia era usata per riportare sulla carta il mondo conosciuto. Era anche identificata come la
scienza dell'esplorazione. Questo però è fatto dal cartografo, il geografo, anche se viene confuso
con questo ruolo, è qualcos’altro. Fino al Settecento si continuò ad avere questa idea che il
geografo e il cartografo fossero la stessa cosa. La geografia in seguito fu collegata allo studio della
geografia fisica: dove si descrivono i fenomeni geografici (anche quelli superficiali) di quello che
era evidente, senza entrare nella profondità. Per molto tempo la geografia non ha guardato il Kton,
ovvero la profondità. All’inizio del ‘800, si concepiva la distribuzione delle città (oggetti geografici) a
qualcosa legato alla natura, un ordine superiore e imprevedibile. Poi si è iniziato a pensare che
queste caratteristiche fossero vincolate da caratteristiche geografiche, sociali, culturali di un
determinato contesto.
Si parla di Determinismo geografico → i caratteri fisici dei luoghi influiscono in maniera lineare
rispetto ad un contesto, se il luogo ha delle caratteristiche si svilupperà in un modo rispetto ad un
altro. Più recentemente, finalmente, si capì che queste caratteristiche erano vincolanti ma non le
uniche: la natura mette a disposizione delle possibilità che dopo le popolazioni sviluppano. Si
passò al Possibilismo, e infine al Volontarismo → ovvero a capire come è possibile modificare
secondo la nostra volontà le caratteristiche fornite dalla natura. Oggi la geografia è una
descrizione, ma soprattutto è una spiegazione degli esiti e dei dati. Dagli studi degli elementi fisici
si è passata ad una interpretazione. Si studia in diverse dimensioni, che però interagiscono tra
loro. Si studia partendo dalle ragioni fisiche, a tutte le complessità dopo, fino al risultato finale, che
vediamo oggi. E’ una scienza complessa, in quanto tenta di accostare la descrizione dei fenomeni
alla spiegazione degli esiti e delle ragioni della loro ubicazione. Dallo studio della Terra nella sua
dimensione fisica, allo studio del territorio e dei processi sociali, politici ed economici che danno
forma alla geografia dei luoghi. Spostamento del focus dalla rappresentazione degli elementi nello
spazio alla complessità dei processi che ne determinano la distribuzione.

Esistono molte definizioni di geografia:

• La geografia è la variazione spaziale degli elementi fisici e culturali sulla superficie terrestre
e la loro evoluzione nel tempo. Questa è una citazione anglosassone. Abbiamo due oggetti:
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gli elementi fisici e culturali. C’è una attenzione nella variazione spaziale di questi elementi
e nella comprensione di come variano nel corso del tempo.
• La geografia studia i processi di antropizzazione (= uomo che modifica la natura, processo
di adattamento delle condizioni di un contesto alle attività umane) del Pianeta Terra, ovvero
i rapporti che legano tra loro individui, classi sociali, popoli e culture. Questa è una
definizione italiana.
• La geografia consiste nei modelli di rappresentazione del mondo. Anche questa è una
definizione italiana. È il modo in cui rappresentiamo il mondo, e il modo in cui questo
influenza le nostre vite. Queste tre definizioni sono datate a distanza di anni. Man mano
che si va avanti, viene meno la considerazione della parte fisica e ci si sposta di più
sull’influenza di questa scienza sulla nostra vita (dal punto di vista personale, sociale,
culturale, ecc...).

La geografia è il rapporto tra uomini/donne, società e natura.


La geografia studia questa cosa, attraverso la distribuzione di fenomeni. Si interroga sulla
distribuzione spaziale e storica/temporale. Lo fa però utilizzando scale di osservazione diverse:
uno stesso processo lo osserva concentrandosi su diversi aspetti o utilizzando scale diverse. Si
tratta di una prospettiva trans-scalare. La geografia si intreccia con altre discipline come la storia,
la sociologia ecc…, sfruttando una prospettiva interdisciplinare. Grazie alle quali si descrivono, si
connettono e si interpretano fenomeni e processi complessi, la cui comprensione ci aiuta a
conoscere e a rapportarci con il mondo in cui viviamo.

La geografia si divide in:


- FISICA: si occupa dell’aspetto fisico e legato alle scienze naturali. Si studia ad esempio: le
piante, i mari, ecc...
- UMANA: si utilizzano da una parte le discipline umanistiche mentre dall’altra le discipline
economico-politiche. Mette al centro le persone, sia come singoli individui che come gruppi
sociali.

Lo spazio
Un aspetto centrale della geografia è la comprensione del rapporto fra spazio e fenomeni
osservati. Il concetto cardine della geografia è lo spazio, che comporta la misurazione.
È equivalente, ossia un metro qui è uguale a quello in un altro paese, anche se ciò che misuro è
diverso. Si misura lo spazio, e la distanza. E’ stata affiancata dallo sviluppo della velocità, ossia il
fatto di ottenere nei tempi più brevi lo spostamento di merci e persone. Tradizionalmente
l’attenzione era riservata alla posizione, rispetto alle coordinate geografiche e alla distanza
reciproca. Questa concezione di spazio è nota come spazio assoluto e usa come strumento
principale conoscitivo la carta geografica. La geografia misura, lo spazio e il tempo, in qualche
modo assoluto, con distanze che dovevano essere ridotte il più possibile. Ma lo spazio è sempre
assoluto? La distanza tra due oggetti può essere sempre misurata con una carta geografica? → la
distanza di 100 km è diversa tra Ancona e Bologna, o tra due punti del deserto, questo perché lo
spazio non è assoluto, anzi lo spazio tra due oggetti non si misura bene con lo studio dello spazio
assoluto. Quello che conta è la relatività dello spazio, e il suo carattere evolutivo.
Lo spazio è relativo, e cambia nel corso del tempo.
È importante analizzare anche lo spazio delle relazioni, e in particolare interpretarlo. Quello che
interessa alla geografia umana, sono le relazioni che ci sono tra degli elementi (es. porti, città) e il
contesto naturale + altri elementi. Dobbiamo capire più cose rispetto a solo la posizione geografica
(es. industria → mercati, manodopera, sviluppo, scelte localizzative, ecc..). La geografia
economica politica studia le relazioni orizzontali: interazioni spaziali, relative a scambio e
circolazione; e le relazioni verticali: ossia relazioni ecologiche, ancorate alle caratteristiche fisiche
dei luoghi.
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Lo spazio e il luogo
Capita spesso che usiamo questi due termini come sinonimi. Mentre lo spazio ha una dimensione
astratta e si collega alla questione di misurabilità, il luogo è un unico posto terrestre che ha delle
caratteristiche/specificità che lo rendono diverso dagli altri, mentre lo spazio è un concetto astratto.
Una città può essere un luogo diverso in base alla mia percezione e alla mia vita. I luoghi sono
prodotti costruiti e immaginati a partire dal rapporto tra spazio, individui e gruppi sociali. Ci sono
tante modalità diverse per intendere i luoghi e il modo con il quale i luoghi influenzano la nostra
esperienza del mondo. Questo deriva dai significati che gli attribuiamo: una stessa città può
rappresentare luoghi assai differenti per diverse categorie.
Centrale è quindi la considerazione dell’esperienza e delle percezioni attraverso le quali
associamo significati all’ambiente che ci circonda, producendo i luoghi. Il nostro senso del luogo fa
riferimento a legami con gli ambienti fondati su eventi, affetti e sensazioni che contribuiscono a
plasmare la realtà che ci circonda. Da una parte possiamo dire però che ogni città ha luoghi simili
o uguali che possiamo ritrovare sempre. Luoghi simili li troviamo in contesti diversi; ma hanno
sempre delle specificità. Allo stesso tempo i luoghi cambiano molto, non hanno dei confini stabili,
quello che per me è un luogo di lavoro, per qualcun’altro non lo è → cambia a seconda delle
persone. Lo stesso luogo può cambiare, per una persona, nel corso del tempo. E’ una percezione
soggettiva, che può essere costruita materialmente, tramite il marketing territoriale: il marketing
che crea delle destinazioni e costruisce una serie di elementi. Si creano mappe per le attrazioni
turistiche locali. Il territorio
Luogo e territorio non sono sinonimi, perché il territorio si associa alla questione politica del potere.
Territorio e potere sono sempre collegate, e può avere a che fare con delle dimensioni più piccole
del territorio, esempio un comune. Il potere non è solo statale (sovranità di una popolazione su di
uno spazio geografico con certi confini) ma può essere usato da certi gruppi per certi scopi. Il
territorio è qualsiasi spazio sottoposto a processi di appropriazione da parte di soggetti, che lo
investono di significati e progetti determinandone il funzionamento e l’organizzazione.
Esempio → territori mafiosi, la mafia ha un potere su questo territorio. Questo vale anche per le
imprese, una grande impresa ha anche un potere nello sviluppo urbanistico. La regione
E’ un concetto utile a definire la natura multi-dimensionale e contestuale dello spazio geografico.
La regione è una porzione contigua di spazio caratterizzata da una proprietà comune che la rende
distinta dai territori circostanti. La regione spesso la facciamo combaciare con quella
amministrativa, ma può essere anche di carattere fisico, climatico, ecc… Possiamo trovare molti
criteri per identificare le regioni. La regione è una classificazione dello spazio, ciò che è importante
non è solo sapere quali sono queste regioni, ma è importante i criteri che si usano per classificarle.
I criteri di partizione delle regioni sono molteplici e in continuo cambiamento. Quello che conta è il
processo di regionalizzare → inteso sia come criterio che si utilizza per suddividere lo spazio, sia
come complesso dei processi sociali che danno forma allo spazio geografico. Dobbiamo trovare
delle caratteristiche in comune per raggruppare le regioni. Quando l’associazione di valori culturali
e simbolici (costruzione di senso) è prodotta da una società o da certi gruppi umani usiamo,
invece, il concetto di territorio.

La geografia economica-politica
La geografia economica si occupa di comprendere l’organizzazione dell’economia nello spazio e le
dinamiche di sviluppo economico regionale. La distribuzione delle attività economiche dipende da
elementi “interni” (caratteristiche impianti, strategie di mercato, localizzazione…) e da elementi
“esterni” (relazioni di tipo economico e geopolitico, sviluppo storico, processi locali-
regionalinazionali-globali, dotazioni…). A differenza dell’economia si concentra sulla relazione tra
imprese/sviluppo e luoghi/territori cercando di individuare come la presenza delle imprese influenzi
il luogo/territorio, e al tempo stesso, individuare come, siano influenzate dai contesti e dalla loro
evoluzione. Analizza quali meccanismi partecipano nella produzione di centri e periferie. Lo fa, da
una parte, guardando al territorio e dunque alla dimensione spaziale del potere, della politica e
delle scelte politiche. Dall’altra parte, dialogando con molte altre discipline: l’economia, ma anche
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le scienze politiche, la sociologia, la pianificazione territoriale, l’antropologia, la storia, ecc... E’


importante la politica. Esempio → investimenti nel meridione: come ha influenzato la nascita di una
acciaieria a Taranto, questa non sarebbe mai esistita se non ci fossero stati questi investimenti.
Si concreta non solo su ciò che fanno le imprese, ma anche su come queste influenzano i territori.
Un’impresa può fare del bene a un territorio, ma può fare anche del male.

Cos’è l’ambiente?
È ciò che ci circonda. È ciò che sta attorno a un organismo in uno spazio definito. Questa può
tenere dentro molti fattori: fisici, chimici, biologi, ed elementi viventi. L’ambiente però non è solo
questo, ma si può parlare anche di ambiente culturale, urbano, rurale e digitale.
Ambiente naturale
Quando si parla di ambiente si pensa subito a quello naturale, e la geografia nel corso del suo
sviluppo si è occupata a lungo di questo.
I rapporti tra ambiente naturale e attività umana sono stati studiati dal punto del Determinismo
ambientale: causa-effetto. Questa era una convinzione del passato: si pensava che le
caratteristiche fisiche determinassero le pratiche umane nell’ambito delle relazioni verticali.
Esempio → la povertà di determinate aree del pianeta, non era colpa dell’uomo ma si pensava
fosse colpa del clima, e quindi dell’ambiente. Non si dava la colpa alle attività umane. Questo
modo di pensare però è cambiato grazie anche alla consapevolezza delle conseguenze dell'attività
umana sulla natura. Oggi si enfatizzano le relazioni verticali, nella direzione opposta: l’impatto
delle attività umane sull’ambiente. Oggi si parla anche di antropocene: la geologia descrive lo
sviluppo del nostro pianeta in diverse ere. La nostra era non è dovuta alla trasformazione della
terra, o ad aspetti naturali, ma è legata all’impatto dell’uomo. Non bisogna scordare che il rapporto
tra uomo e natura è biunivoco → le attività umane trasformano l’ambiente e l’ambiente modifica le
attività umane. Questo è sia in riferimento all’ambiente naturale sia considerando altri tipi di
ambiente. Area
Vi sono determinate modalità di rappresentazione e concettualizzazione e concertazione dello
spazio. L’area è una determinata superficie terrestre che ha dei confini certi. E’ concepita su una
logica topografica ossia una logica che concepisce lo spazio in una linea lineare (km, tempo). Le
informazioni (FUA) sono riportate sulla carta in base alla loro posizione sulla superficie terrestre e
questo ci permette di individuare le dimensioni delle aree e la distanza che le separa.

Reti
Lo spazio può essere diviso anche con logiche diverse da quella topografica. Qua usiamo la logica
topologica: non conta la posizione degli elementi sulla superficie terrestre ma le loro connessioni e
relazioni. Esempio → mappa della metropolitana: la distanza reale è ininfluente perché quello che
conta sono i nodi e le connessioni. E’ un modo sviluppato nel corso degli ultimi 30 anni, e si
collega ai processi di globalizzazione. Non sempre le carte ci fanno vedere queste cose, quindi si
è iniziato a usare altri metodi. La rappresentazione topologica si pone alla base della concezione
reticolare dello spazio (spazio/svolta relazionale negli studi geografici). Le reti di relazioni personali
sono definite cerchie sociali, che vengono studiate attraverso le social network analysis: ovvero
un’analisi di noi soggetti e dei nostri legami nei social che formano una sorta di reticolo dove noi
siamo un nodo. Questo si può usare anche dal punto di vista di fenomeni sociali e culturali. La rete
costituisce una modalità molto importante di rappresentazione. L'immagine ci fa vedere la distanza
relazionale, che ci permette di capire realmente quanto sono vicine le città. Sono struttura spaziale
costituita da nodi collegati da flussi (finanza, trasporti, relazioni industriali…) Questa cosa è
studiata dalla branca della sociologia. Citiamo uno studioso - Castells, che ha teorizzato la rete
come nuova morfologia sociale del mondo: luoghi connessi in cui la distanza conta meno.
Ragionamento multi-scalare
Quando dobbiamo analizzare fenomeni come i trasporti aerei, possiamo utilizzare livelli di
osservazione diversi e in relazione reciproca tra loro. Questo perché la geografia utilizza un
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ragionamento multi-scalare. Esempio → la crisi di un sito industriale o del commercio al dettaglio


può essere determinata congiuntamente sia da fenomeni di livello locale sia da fattori di livello
nazionale e globale (dialettica locale-globale). La geografia cerca quindi di comprendere le
differenti scale dei fenomeni e i loro livelli di relazione.
Tipi di scala
Il concetto di scala si riferisce a una concezione dello spazio strutturato in diversi livelli. A questo
aggiungo anche l’organizzazione sia delle rappresentazioni che delle esperienze. Questo ci
permette di analizzare diverse esperienze, dal punto di vista locale, regionale. Il metodo tipo di
rappresentare la scala è quello cartografico: è il livello di riduzione sul quale si basa una
rappresentazione topografica. Si usa un rapporto geometrico di riduzione fra lo spazio nella
rappresentazione e le sue reali dimensioni sulla superficie terrestre.
Poi abbiamo la scala geografica dove si possono strutturare fenomeni, fatti sociali. In questo caso
si parla di: scala nazionale locale, comunale, ecc.. Questa non è di carattere geometrico, ma del
tutto concettuale: è utile a una interpretazione delle cose rappresentate. Ha quindi confini poco
definiti ma è funzionale all’interpretazione. Sono prodotte su base funzionale, storica e politica e
quindi relazionate all’azione umana. La scelta dipende da cosa si vuole studiare e a che livello:
scelte insediative e segregazione oppure commercio internazionale.
La scala globale→ si riferisce al livello planetario, complessivo.
La scala locale→ si riferisce all’ esperienza diretta della socializzazione.
Va tuttavia ben tenuto a mente che “il globale è locale in ogni suo punto” (Latour) → tanti fenomeni
che accadono in scala locale, influenzano la scala globale. Questo funziona anche al contrario.
Non ci sono fenomeni globali funzionalmente autonomi che non influenzino la località, e gli
individui. (es. produzione e consumo alimentare).
Rappresentazioni
Le carte sono una rappresentazione della terra, così come ne esistono anche di altri tipi. Esempio
→ il giornale è una rappresentazione testuale dei fatti accaduti. Ricordiamo che tutte le
rappresentazioni mentono: nessuna rappresentazione è neutrale perché nella sua produzione
intervengono sempre elementi soggettivi, quindi non è oggettiva. Questo vale per le mappe, testi,
foto, dati statistici…
Ogni rappresentazione è dunque parziale e può essere manipolata per varie finalità.
Esplicitamente, come nel marketing territoriale, o in modo meno esplicito come per le finalità
politiche. Esempio → testi di giornale che dicevano che i barconi che venivano dall’Africa portava il
Covid. Questi articoli anche se falsi, hanno un ruolo informativo → arrivano a creare la realtà.
Questo si chiama teoria di Thomas: non è importante che qualcosa è falso, ma quante persone
pensano che sia vero e quanto questo può far cambiare ed avere effetti sulla realtà. Le
rappresentazioni hanno una natura performativa dato che contribuiscono a determinare la realtà.
Anche se palesemente false producono effetti reali.
Si pensi alle implicazioni che questo ha sull’economia e sugli investimenti. Creano anche delle
aspettative.
Esempio → attrattività turistica: foto di ragazze Ucraine per promuovere un locale nella loro capitale.
Si focalizza l’attenzione su questo per attirare clienti. Il corpo della donna è spesso usato per
promuovere prodotti, in questo caso un bar. Le rappresentazioni hanno un ruolo fondamentale su
come vediamo noi la realtà.
Gli attori
Sono i soggetti dei fenomeni e dei processi sociali, ovvero di fatti e dinamiche che hanno una
rilevanza sui comportamenti individuali e la società nel suo complesso. Tutti noi siamo attori. Noi
inconsapevolmente facciamo fatti sociali, o partecipiamo a fenomeni sociali più ampi. Siamo tutti
dotati di agency: la nostra capacità di azione e di scelta.
Esempio → Quando andiamo al supermercato compiamo un’azione scegliendo i prodotti (scelte di
consumo, in base alla capacità economica). La nostra agency è sempre strutturata in un sistema
di vincoli e opportunità sia individuali (risorse economiche, individuali, ecc…) sia di contesto (es. in
Italia non c’è la possibilità di mangiare pasta con OGM - noi non abbiamo questa libertà di
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acquisto). Grazie all’esempio citato sopra possiamo capire come la regolamentazione e le politiche
influenzano sulla nostra capacità di azione.
Attori e territorio
Il legame fra attori e spazio geografico può essere inteso in due direzioni:
1) I fatti sociali prendono forma nello spazio e quindi sono da esso influenzati.
2) Il territorio è prodotto dagli attori che vivono, lavorano o hanno una qualche relazione con esso.

Alcune complessità
Nello studiare fenomeni e processi sociali bisogna tenere a mente alcune complessità:
• Attori diversi che hanno un contenuto di potere diverso: un assessore non è uguale a un
comune cittadino nelle scelte di pianificazione territoriale. Bisogna fare attenzione alle
geometrie di potere. Bisogna però tenere in considerazione la differenza tra individui,
perché ogni individuo ha un potere differente.
• Nel mondo di oggi gran parte dei fenomeni sociali ed economici si struttura su reti sovra-
locali, spesso globali.
• Più che gli individui si considerano gli attori collettivi, ossia aggregati di una certa uniformità
(abitanti di Firenze, lavoratori stranieri, giovani…). Sono utili per l’analisi e la costruzione di
interpretazioni ma bisogna guardare criticamente alla loro costruzione (omogeneità
interna).
Metodi e strutture di indagine
Nella conoscenza dei fenomeni sociali si usa distinguere due approcci:
Qualitativo: mira all’interpretazione approfondita dei fenomeni a partire dalla comprensione del
punto di vista dei soggetti studiati.
Quantitativo: mira alla produzione di numeri che possano favorire la spiegazione generale e la
misurabilità dei fenomeni.
Questi due approcci (qualitativa e quantitativa) possono essere usati insieme creando gli approcci
misti. Per entrambi si usano degli strumenti.
Qualitativi: Interviste strutturate: quando hai una buona conoscenza dell’argomento, non
strutturate: poca conoscenza dell'argomento, semi strutturate, aperte, poi abbiamo i focus group,
discussioni partecipative, analisi dei contenuti e dei discorsi, osservazione diretta (coperta,
scoperta) e indiretta (carte, foto…), etnografia, osservazione partecipante.
Quantitativo: Questionari con prevalenza di domande chiuse, dati secondari, ricostruzione di
database, sistemi di rilevazione e tracciamento informazioni numeriche (user location, consumer
behaviour…).
La rappresentazione dei dati
Le rappresentazioni (carte, foto, ecc..) mentono sempre, ma se fatte correttamente ci aiutano
tanto.
Esempio → tasso di residenti diminuzione o aumento nel corso del tempo. Questa ci può essere
utile, perché ci sono segnati anche i centri urbani che sono categorizzati in base al numero di
residenti. Serve per mostrare lo spopolamento, che avviene nella parte appenninica.

Cos’è la globalizzazione?
È un neologismo di origine anglosassone con il quale si definisce un insieme di fenomeni di
elevata intensità e rapidità su scala mondiale, in campo economico, sociale, culturale, e ideologico
tendenti a superare le barriere materiali e immateriali alla circolazione di persone, cose,
informazioni, conoscenze, mode e idee. Il termine divenne di uso comune nei paesi di lingua
anglosassone nel corso degli anni Settanta del secolo scorso.
Quando parliamo di globalizzazione facciamo riferimento all’esistenza di una realtà economica e
culturale fatta di interconnessioni e interdipendenze operanti alla scala planetaria e alla
progressiva trasformazione del sistema mondiale sotto la spinta di forze di portata globale che
ridefiniscono il mondo come uno spazio sociale unitario.
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Favorisce la circolazione di culture, di informazioni, di capitali e di persone. Dagli anni ‘70 ad oggi
quelle che sono le limitazioni dei viaggi (es. EU) o di transazione monetaria verso l’estero sono
diminuiti. Questi processi hanno portata ad un collegamento tra vari paesi che ha gradualmente
influito a creare uno spazio sociale unitario → il nostro pianeta (o la maggior parte di esso)
funziona con logiche simili. La globalizzazione comprime gli spazi.
Il villaggio globale
Nel 1968 si parlò per prima di globalizzazione di questo termine con il sociologo dei mass-media
Marshall McLuhan. Si riferisce alla possibilità attraverso la quale gli eventi possono essere vissuti
simultaneamente da ciascuno. L’idea della globalità nasce insieme agli sviluppi dei moderni mezzi
di comunicazione di massa, come la televisione e in particolare la diretta live (satellite Telstar
1962). Il limite fisico della distanza viene superato dalla mondovisione, capace di stringere in
un’unità di tempo e di spazio tutti gli abitanti del pianeta, ripristinando la possibilità di quei contatti
visivi «faccia a faccia». Si usa il termine villaggio, per le caratteristiche tipiche di comunicazione
presente nei villaggi (es. ci si conosce tutti).
Compressione spazio-temporale
Nel 1989 il geografo David Harvey introduce questo concetto mettendo in luce come le tecnologie
dei trasporti e della comunicazione abbiano trasformato la nostra rappresentazione del mondo e la
nostra percezione del tempo. La globalizzazione è un processo di compressione dello spazio e del
tempo. Non si fa riferimento allo sviluppo dei mezzi di comunicazione, ma si parla dello sviluppo
dei trasporti. Questi infatti spostano rapidamente capitali, ecc…
Riduzione della distanza → I tempi di percorrenza si accorciano (distanza fisica), ma anche
distanza culturale si accorcia. I luoghi si collegano tra di loro e si creano delle interdipendenze: ciò
che accade qua può influenzare ciò che accade in un altro paese. Si ha una intensificazione delle
relazioni che uniscono luoghi lontani tra loro.
Accelerazione del tempo: i processi economici si sono velocizzati. Esempio → il ciclo di vita di un
prodotto è più breve, e viene superato prima rispetto al passato. Accelerazione e sostituzione. I
cicli della finanza sono più facili e veloci. E’ più veloce la produzione culturale, che spingono a
sostenere l’economia e al consumo. Il sistema-mondo
Nel 1974 il sociologo ed economista Immanuel Wallerstein evidenzia che il sistema globale è
capitalistico, ovvero un’economia-mondo orientata alla massimizzazione del profitto che si
differenzia dagli imperi-mondo esistiti prima del XVI secolo. La globalizzazione è un sistema
mondo: un mondo che si sviluppa con la stessa logica e che si differenzia dai periodi storici
precedenti caratterizzati da regni, imperi, ecc… Questo si basava su sistemi, pseudo statali, statali
e famigliari. Non c’è più bisogno di un ordine politico per governare un sistema, perché questo
riesce a autogovernarsi tramite le logiche capitalistiche. Si tratta di un sistema di mercato con una
propria divisione del lavoro che non necessita di unità politica per funzionare perché il surplus è
prelevato e redistribuito tramite il mercato. Lo spazio economico del sistema-mondo è strutturato in
modo gerarchico (e dinamico) in centri, semi-periferie e periferie. A questo si associa la costante
espansione verticale dell’economia di mercato che trasforma in merce sempre più aspetti
dell’esistenza individuale e sociale (commodification) e in lavoro salariato la maggior parte delle
attività umane. I percorsi di sviluppo non sono autonomi ma definiti dalle traiettorie storiche e
geografiche che prendono forma a scala mondiale. Il mercato produce una propria divisione del
lavoro.
I cicli di lungo periodo
Se da un punto di vista economico la globalizzazione è la crescente integrazione dei mercati dei
beni, dei servizi e dei fattori produttivi la si può analizzare come un fenomeno di lungo periodo
retrodatabile al XV-XVI secolo. Momento storico in cui la civiltà occidentale avvia la conquista
sistematica di civiltà “altre” (modernizzazione - occidentalizzazione).
Secondo Giovanni Arrighi (1994) l’espansione del mercato avviene sempre in connessione con
l’ascesa economica (e militare) di uno Stato-leader che costituisce il centro del sistema e
subordina a sé gli altri territori L’ultimo mezzo millennio di storia si configura così come la
sequenza di cicli secolari, ognuno dei quali contraddistinto dalla presenza di una potenza
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egemone: Repubbliche marinare, Olanda, Gran Bretagna, Stati Uniti. Ogni ciclo passa per una
fase iniziale di accentuata finanziarizzazione dell’economia globale, una fase intermedia di
industrializzazione e una fase finale di rinnovata finanziarizzazione. Dal XIV-XV-XVI secolo
l’economia si è sviluppa andando verso queste logiche: esempio, noi diamo valore ai soldi
(banconote) perché abbiamo fiducia e perché ci sono delle istituzioni preposte che lo permette.
La crescente integrazione tra sistemi economici aumenta l’interdipendenza dei mercati nazionali
(materiali e finanziari), i flussi di lavoratori e informazioni attraverso i confini, la consapevolezza tra
le persone di tali legami e rapporti. La globalizzazione si allarga anche da un punto di vista verticale,
quindi dal punto di vista delle relazioni sociali.

Le molteplici dimensioni della globalizzazione


DIMENSIONE SPAZIALE: si occupa dei trasporti di merci, di persone e infrastrutturazione, di
creare linee di comunicazione più dirette. Ovviamente si parla anche degli effetti che questo a su
di noi. Siccome siamo più connessi aumenta la necessità e la nostra voglia di viaggiare. Le logiche
della mobilità influenzano diversi aspetti come lo spazio delle città. Le distanze si riducono grazie
ai progressi tecnologici nei mezzi e nelle infrastrutture di trasporto merci, persone, capitali e
informazioni. La crescente accessibilità economica dei mezzi di trasporto favorisce la mobilità in
tutte le sue forme. Si pensi al turismo così come al pendolarismo lavorativo e alle catene di
prodotto. Iper-mobilità come dimensione sostanziale della vita sociale. Tecnologie comunicazione
e accessibilità trasporti amplificano la necessità di viaggi e spostamenti (mobilità fisica e virtuale si
alimentano a vicenda). I flussi, tuttavia, non avvengono in modo indifferenziato ma seguono le
dinamiche di concentrazione spaziale (grandi città, luoghi con più risorse, siti produttivi…). Al
tempo stesso, le logiche della mobilità influiscono sulla forma e l’organizzazione dello spazio (città
moderna, spazi di transito…).

DIMENSIONE ECONOMICA: se l’economia diventa globale (riferimento all'economia


internazionale) bisogna regolarla dal punto di vista globale → servono le organizzazioni che dicono
quale regole si devono seguire. Questa è una dimensione importante. La globalizzazione crea
scambi internazionali. Si parla, anche, di Borse mondiali → un mercato sempre aperto e
interconnessi. Questa dimensione è caratterizzata dal Commercio internazionale e IDE, Imprese
multinazionali e concorrenza globale.
Organizzazioni internazionali:
– WTO (World Trade Organization)
– FMI (Fondo Monetario Internazionale) – Banca Mondiale (World Bank) Blocchi economici
regionali:
– UE (Unione Europea) → nasce dall’esigenza di accrescere le possibilità di scambio in un'unica
regione del mondo.
– NAFTA (North American Free Trade Agreement)
Questa dimensione coinvolge lo spostamento delle attività produttive verso le aree più convenienti
(manodopera meno costosa) e terziarizzazione dei contesti a sviluppo avanzato. Si parla pure di
fusione (o acquisizione) tra imprese di paesi diversi.
DIMENSIONE CULTURALE: diversificazione e omogeneizzazione sono spinte concomitanti che
coinvolgono pratiche, attitudini, preferenze e stili di vita. Da una parte è standardizzazione e
omogeneità (si parla di prodotti e modelli culturali simili in tutto il mondo - si chiama anche
consumismo); ma dall’altra si parla anche di ibridazione, miscelazione e complessificazione delle
apparenze culturali (si inglobano diverse culture e si assumono certe culture). Si parla di modelli
culturali dominanti come forma di neo-colonizzazione e permanenza di valori tradizionali e credi
religiosi che generano a loro volta appartenenze + condivisione e rifiuto contribuiscono alla
creazione delle identità e delle forme di polarizzazione sociale.
DIMENSIONE POLITICA: c’è bisogno di qualcuno che regola gli aspetti specifici della società. Si
parla di organizzazioni che tentano il coordinamento internazionale dei diversi processi e fenomeni
politici:
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– ONU
– G8, G10, G22, G77
– Lega Araba
– Unione Europea,
– Organizzazione Unità Africana
Organizzazioni che regolano aspetti specifici della società:
– Navigazione
– Trasporto aereo
– Poste
– W3C (World Wide Web Consortium) Organizzazioni militari: – NATO
DIMENSIONE DEL RISCHIO: processi globali e interazione costante si porta a essere esposti a
rischi di grande misura (es. rischio delle armi di distruzione di massa). Guardando questo esempio,
possiamo analizzare uno dei principali modi di equilibrio → la minaccia della guerra Intensità della
guerra che può distruggere il mondo come lo abbiamo conosciuto Un altro esempio di rischio è
quello pandemico che contribuisce ad alterare il funzionamento sociale ed economico. Un altro è il
rischio di carattere ambientale e la consapevolezza del nostro impatto sull'ambiente. Un altro
esempio ancora sono i mutamenti delle congiunture economiche e del mercato del lavoro. Si può
parlare anche di rischio terrorismo.
Globalizzazione e ideologia neoliberista
L’adeguamento delle strutture socio-economiche dei vari territori al modello occidentale della
società dei consumi di massa è uno dei principali esiti storici della globalizzazione. Questo
processo è stato accompagnato da diverse ideologie politiche, che oggi sono i cardini del
capitalismo. Hanno comportato il disciplinamento di intere società alle regole di mercato e aperto
nuove opportunità per la produzione e la vendita di beni e servizi in un quadro sempre più
internazionale.
Dal punto di vista ideologico la globalizzazione ha fatto di più dall'ideologia della modernizzazione,
che è stata utilizzata molto, ma è stata quella che ha sostenuto gli effetti di colonizzazione nel
mondo, ed a un certo punto ha giustifica anche questi vili atti. Dagli anni '80 si trova maggiore
affinità con l'ideologia del neoliberismo: è un'evoluzione del liberismo di carattere economico che
sostiene la minor influenza statale nell’economia. Nasce con riferimento all’agenda politica di
Pinochet in Cile, tesa ad aprire il paese agli investimenti stranieri, alla deregolamentazione, alla
privatizzazione delle imprese statali (Chicago Boys - Milton Friedman). Simili programmi, incentrati
sulla riduzione dell’ingerenza statale nell’economia, si diffusero a macchia di leopardo
concretizzandosi in particolare modo nel Regno Unito (Thatcher) e negli Stati Uniti (Regan) guidati
da forze conservatrici. In Europa e Usa si andavano ad affermare un'idea di ruolo specifico che lo
stato doveva avere nell’economia. Tra il 1930-1980 si utilizza il fatto che lo stato deve intervenire
nell'economia e deve orientare nei processi di sviluppo. Questo meccanismo di intervento si
basava sul fatto che in una società in crescita aumentavano i redditi dati dalla produzione
industriale e si riusciva ad avere un’espansione.
Diversi accezioni di neoliberismo
È un'ideologia che sostiene il processo della globalizzazione e gli dà un senso diverso ed ha forti
impatti dal punto di vista sociale.
Piano economico - Razionalità del mercato preferibile e più efficiente rispetto a forme di razionalità
centralizzata. Espansione dello scambio economico a qualsiasi settore e relazione sociale. Piano
politico - Rimozione delle “barriere” che ostacolano l’espansione dell’economia favorendo
concorrenza, privatizzazioni e commercio internazionale. Stato a sostegno più che a
regolamentazione dell’economia, con ruolo riservato al rispetto della legge e alla fornitura di beni
non monetizzabili (laissez-faire e ingerenza minima).
Piano ideologico - Idea che le relazioni economiche, politiche e sociali si organizzino nel migliore
dei modi tra attori liberi di perseguire i propri interessi, pur in un quadro di norme sufficientemente
ampie da garantire libertà.
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Piano sociale - Gli individui sono concepiti sullo stesso livello e in competizione reciproca. I loro
successi/insuccessi come risultato del proprio impegno. Privatizzazione dei costi sociali e
accettazione della disuguaglianza.
ACTUALLY EXISTING NEOLIBERALISM
Questi aspetti generali conoscono applicazioni molto differenziate sui territori. La trasformazione
della realtà sociale in senso neoliberista è quindi dipendente dal contesto (eredità istituzionale,
politica e conflittuale) e dal momento storico attraversato. Ciò significa che le tendenze fin qui
descritte possono produrre risultati diversi in differenti città, regioni e stati nazionali e in differenti
momenti storici. Al tempo stesso, si possono individuare tendenze politiche generali che muovono
in direzioni affini a quelle neoliberiste: indebitamento delle nazioni più povere, piani di
aggiustamento strutturale, politiche monetarie, guerre.
Il globale nel locale
I non-luoghi
La crescente spinta verso la mobilità di persone, cose e informazioni può portare verso il
dissipamento delle specificità locali e delle identità territorialmente definite. Per Marc Augé (1992)
la globalizzazione tende a creare contesti spaziali simili, per funzionamento e caratteri, in ogni
parte del globo. Questo processo porterebbe quindi alla graduale perdita di significatività dei
luoghi, proiettando le specificità territoriali in una dimensione superiore e omologante che darebbe
invece forma ai non-luoghi. Si parla anche di strutture per la circolazione accelerata, mezzi
trasporto, centri commerciali (contesti di transito e consumo), e di sicurezza del trovare sempre
qualcosa di familiare, esistenza individuale come cliente e fruitore, mancanza di conoscenza e
relazioni diverse da quelle di mercato.
Luoghi e globalizzazione
La globalizzazione non annulla i luoghi trasformandoli tutti in non-luoghi. Piuttosto rappresenta un
processo multidirezionale di mescolamento che produce ibridazione e genera nuove peculiarità.
Questo ci porta a ridefinire il modo in cui concepiamo i luoghi. Non come essenze fisse e
delimitate ma come costruzioni sociali temporanee e fluide (e.g. luogo “casa”, luogo “Italia”).
Il locale e il globale si costituiscono l’un l’altro. I luoghi sono fatti dalle persone e il globale non è
solo parte di un “là fuori” ma è parte del carattere del “qui dentro”. Si deve far riferimento anche
alla competizione tra luoghi, e alla valorizzazione e produzione di luoghi.

La distribuzione della popolazione


E’ distribuita in maniera non omogenea. Perché? → a causa delle risorse (mancanza d'acqua,
deserto, terra non coltivabile), a causa di fattori politici, fenomeni migratori ecc… Negli ultimi anni
l'andamento della popolazione nei paesi: ci sono stati dei momenti in cui da una stabilità si inizia
ad avere una crescita esponenziale. La popolazione è aumentata: influenza della globalizzazione,
della industrializzazione, delle innovazioni agricole (produrre cibo per una popolazione in aumento)
e del declino della mortalità. Si tratta comunque di un fenomeno territorialmente molto differenziato
per tempistiche e andamenti. Ogni paese ha il proprio trend demografico: alcuni aumentano
ancora, altri invece stanno avendo un declino demografico, come l'Italia. Questa situazione della
popolazione è dovuta anche al numero di nascite, al numero di morti e a quanti anni un uomo vive.
Alcuni elementi per comprendere le dinamiche Ingressi: nascite e immigrati.
Uscite: morti e migranti.
Saldo naturale: differenze nati e morti in un dato periodo.
Saldo migratorio: differenza tra immigrati e emigrati in un dato periodo.
Variazione popolazione: saldo naturale + saldo migratorio → vediamo il perché c’è un aumento o
una diminuzione della popolazione.
Nascita e fertilità
Tasso di natalità: rapporto tra numero di nascite in un determinato anno in una popolazione e suo
ammontare (es. nati vivi ogni 1000 abitanti). Misura l’intensità delle nascite in modo generico.
Tasso di fertilità (o fecondità): numero medio annuo di nati vivi per donna in età feconda (15-50
anni). Questo indice consente di capire gli andamenti nelle dinamiche riproduttive. 2,1 figli per
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donna rappresenta il livello di sostituzione naturale di una popolazione, ovvero la popolazione si


riproduce senza diminuire e senza aver bisogno di immigrazione. Fattori che influenzano il
tasso di fertilità
A livello mondiale il tasso di fertilità è di ca. 2,5 figli per donna (Africa 5,8). Questa significativa
variazione territoriale è dovuta a elementi di vario tipo, esempio, le politiche in favore o per il
decremento della natalità (Francia-Cina). In altri paesi se ne mettono molti di più al mondo, questo
è dovuto a fattori socio-economici come la povertà, l’istruzione, ruoli tradizionali per la donna,
occupazione, precarietà. In contrario in paesi più sviluppati le donne hanno più diritto e non hanno
più questo ruolo tradizionale, e questo influisce sulle possibili nascite. Ovviamente a questo si
aggiungono altri fattori come per esempio quelli religiosi e delle differenze socio-culturali in termini
di valori e appartenenze. In Italia il tasso è basso perché si collega al mercato del lavoro: la
finestra della fertilità si abbassa perché i giovani (uomini e donne), vanno via dalla casa dei
genitori molto più tardi, quindi decidono di avere figli più tardi, dopo aver trovato un lavoro stabile.
Mortalità e speranza di vita
Tasso di mortalità: indica il numero di decessi ogni mille abitanti in un anno. Sono anch’essi molto
variabili e dipendono da fattori strutturali (benessere, sanità, reddito) e contingenti (malattie,
guerre, disastri).
Speranza di vita alla nascita: indica il numero medio di anni che statisticamente una persona può
aspettarsi di vivere. È un parametro di sviluppo umano e ha conosciuto significativi incrementi
nell’ultimo secolo.
Piramide della popolazione → la distribuzione della popolazione per fasce d’età. Fornisce
informazioni sulla composizione della popolazione e risulta particolarmente utile per prevedere le
traiettorie demografiche e i bisogni associati.
La transizione demografica è un processo di passaggio da una situazione di alta natalità e alta
mortalità a una di bassa natalità e bassa mortalità.
Squilibri insediativi e risorse
Il 70% della popolazione abita entro 60 km dalle coste. Oltre il 50% vive in aree urbane (dato
relativamente nuovo). Le principali città dove le popolazioni si ammassano sono situate lungo le
coste.
Finitezza delle risorse
È importante capire il rapporto tra risorse disponibili e crescita della popolazione. I tassi di crescita
e le densità abitative di alcune aree pongono questioni circa la capacità di carico in rapporto alle
risorse naturali necessarie per garantire il sostentamento. La ricerca di risorse portava i contadini a
trasferirsi nelle città per ottenere lavoro e quindi risorse per vivere, portando così la popolazione ad
aumentare e quindi a vivere anche meglio. Però questa estrema crescita sarebbe poi finita a
causa di mancanza di risorse, sfruttate troppo velocemente. Questa teoria fu elaborata da Malthus
nel 1798, che evidenzia come la risorsa cibo cresca in maniera aritmetica mentre la popolazione
cresce in maniera esponenziale (limiti ambientali allo sviluppo umano). Esito di questo sarebbe
stata la mancanza di risorse. Le risorse ambientali, prima o poi, si sarebbero rivelate insufficienti
per sfamare la popolazione. Tuttavia non considerava il ruolo svolto dall’avanzamento tecnologico.
Sfruttamento delle risorse
Il limite fisico delle risorse va messo in relazione con le tecniche di sfruttamento e le modalità di
utilizzo delle stesse dato che rappresentano fattori determinanti per estendere le barriere dello
sviluppo. Fertilizzanti, nuove sementi, moderne tecniche di coltivazione e macchinari hanno
permesso negli ultimi decenni un incremento della produttività agricola. Inoltre, l’innovazione trova
una marcata correlazione con le situazioni di maggiore concentrazione demografica. L’innovazione
è fortemente correlata con le situazioni dove abbiamo un’elevata concentrazione demografica. La
limitatezza delle risorse non è solo una questione quantitativa: si tratta di qualcosa legato piuttosto
dalla loro accessibilità/distribuzione (controllo e scambio) e da come si impiegano (utilizzo e
gestione). Inoltre è stato dimostrato che la crescita della popolazione e la sua densità possono
essere fattori che stimolano l’innovazione e lo sviluppo.
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Mobilità della popolazione


Gli spostamenti da un luogo all’altro influenzano le dinamiche demografiche. Quali forme di
mobilità possiamo individuare? → migrazioni, pendolarismo: parliamo di tutti gli spostamenti che
facciamo su territori diversi per ragioni diverse.
Mobilità temporanea
→ Pendolarismo giornaliero per motivi di studio e lavoro
→ Mobilità territoriale: di tipo universitario, professionale e famigliare (più di una casa). Può
riguardare specifici periodi dell’anno o avere carattere stagionale.
→ Molteplici forme di turismo di breve e lunga durata, anche stagionale. Naturalistico, culturale,
balneare, sportivo….
Queste forme di mobilità temporanea generano scambi di popolazione e fenomeni di particolare
concentrazione e svuotamento che pongono questioni sulla capacità di carico dei territori e sulla
rispondenza dei servizi locali ai bisogni.
Il turismo
Il turismo è uno dei settori che fino a tempi recenti è maggiormente cresciuto al mondo. Da
fenomeno elitario nell’Ottocento è divenuto un fenomeno di massa: oggi in particolare in Europa il
turismo è una fetta importante per la sua economia. Il turismo nasce come un viaggio in un
contesto socio culturale diverso, si parla di un viaggio di diverso tempo, e aveva come obiettivo il
fatto della conoscenza dei luoghi. Oggi questo si chiama turismo esperienziale. Oggi però il
turismo è una cosa diversa. Viaggiare significa creare rapporti e connessioni con altri spazi e altri
luoghi che a loro volta vengono plasmati dai flussi. Il turismo oggi può essere organizzato o auto
organizzato. Quando parliamo di motore di trasformazione territoriale facciamo riferimento al
fenomeno di pressione ambientale, touristification, ovvero spettacolarizzare delle culture.
Le migrazioni
Sono spostamenti di individui dalla propria area di origine che prevedono una certa durata e
possono avere carattere provvisorio o permanente. Implicano solitamente lo stabilirsi a livello
abitativo e/o lavorativo in un certo territorio. Si distinguono solitamente le migrazioni interne (entro i
confini nazionali) da quelle internazionali. Spesso questo non sono un passaggio diretto da un
luogo di partenza a uno di destinazione ma si realizzano in più fasi: le rotte migratorie (usate dalla
popolazione più povera - le popolazioni più ricche migrano tramite aerei) sono caratterizzate da
tappe. Queste possono durare molti anni. Le migrazioni sono un fenomeno costitutivo del mondo
come lo conosciamo e hanno molteplici ragioni che variano sensibilmente a livello storico e di
gruppi umani interessati (questioni economiche, ambientali, politiche, culturali…). Pensiamo al
fatto che l’essere umano è nato in Africa e tra migrazioni e spostamenti sono arrivati a risiedere in
altri territori. Le migrazioni possono essere legali/irregolari; volontarie/forzate (per forzate parliamo
per essere di situazioni di guerre, asili politici). Per classificarle si guarda Push factors → quello
che spinge una persona ad allontanarsi; e Pull factors → quello che c’è nel luogo in cui si vuole
arrivare; cosa li attrae.
Migrazioni e globalizzazione
Le migrazioni rappresentano una parte integrante del processo di colonizzazione (es. scoperta
dell’America) (es. tratta degli schiavi dall’Africa all’America → oggi in America c’è infatti una grande
poplazione di Afro-americani) industrializzazione e sviluppo dell’economia globale. Queste
migrazioni hanno un ruolo fondamentale anche oggi.
Reti migratorie
Spesso le migrazioni si poggiano su legami preesistenti che fungono da sostegno. Esistono infatti
flussi preferenziali tra luoghi determinati dai primi migranti e gli arrivi successivi. Queste reti
possono dar luogo a catene migratorie e permettono ai migranti di trovare punti stabili (abitazione,
lavoro…) e relazioni per favorire l’inserimento sociale. Spesso i flussi seguono reti di parentela e
conoscenza e sono finanziati da chi è nel luogo di destinazione. Le reti permettono al migrante di
trasformarsi da soggetto potenzialmente isolato a componente di una comunità della quale
costituisce il radicamento territoriale. Le reti aiutano lo scambio di informazioni e riducono le
barriere di ingresso nei casi di immigrazioni irregolari, ma non sempre si fondano su legami di
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solidarietà (contropartite economiche e fenomeni di tratta). Le reti favoriscono il crearsi di


specifiche tendenze insediative a livello nazionale e a livello locale, specialmente nelle grandi città
dove si assiste alla creazione di quartieri fortemente connotati su base etnica. Si tratta di quartieri
che fungono da punto di accesso e che si creano sia per fenomeni di aggregazione volontaria sia
come esito di processi di espulsione.
La globalizzazione delle migrazioni
Per quanto le migrazioni siano un fenomeno antico negli ultimi decenni si è assistito a un
incremento consistente delle migrazioni internazionali. Vari fattori tra i quali lo squilibrio dei livelli di
benessere e il desiderio di migliorare le proprie condizioni, la differenziazione della domanda di
lavoro, la mondializzazione dei trasporti e la diffusione dei mezzi di comunicazione. Per
globalizzazione delle migrazioni si intende il fatto che sempre più paesi sono coinvolti nei processi
migratori e il profilo dei migranti tende a differenziarsi notevolmente. Si complessifica inoltre la
direzione internazionale delle migrazioni rispetto al passato e parallelamente le migrazioni interne
nei paesi in via di sviluppo divengono sempre più significative (asse urbano-rurale).
Inclusione e cittadinanza
I confini nazionali sono sempre più permeabili a merci, capitali e informazioni, ma lo sono sempre
meno per i migranti e in particolare modo per quelli a basso reddito.
Le politiche migratorie
La circolazione di immagini e il dibattito pubblico sul tema ci fanno sempre più spesso percepire
l’immigrazione come una “minaccia”, come se fosse in prevalenza un fenomeno di poveri che
sbarcano (in realtà la maggior parte degli immigrati viaggia in aereo). Si teme che i migranti
possano rappresentare un freno all’occupazione degli autoctoni, una spesa sociale insostenibile se
non una minaccia criminale o culturale. Molto meno si parla di immigrazione rispetto ai vantaggi
che può portare (crescita economica, innovazione, riequilibrio demografico…). In ogni caso,
ciascun paese adotta le proprie politiche di contenimento e/o gestione dell’immigrazione.
Generalmente, si tende a favorire l’ingresso di migranti “graditi” rispetto a quelli a bassa
qualificazione che tuttavia risultano spesso sgraditi anche nei loro paesi di origine. Abbiamo tre
modelli di politiche e percezione del fenomeno delle migrazioni:
Modello tedesco (temporaneità) → dà un periodo limite che l'immigrato deve rispettare: i diritti che
ha sono temporanei.,
Modello francese (assimilativo) → immigrati come soggetti da integrare e a cui far assimilare i
fattori della cultura francese e abbandoni quelli delle proprie origini.
Modello britannico (multiculturale) → riconoscimento dei diritti pur nella consapevolezza delle
differenze tra culture.
Queste distinzioni sono sempre meno capaci di comprendere l’eterogeneità delle politiche
migratorie.
EU e cittadinanza
Dagli anni Ottanta le politiche in materia di immigrazione hanno conosciuto una progressiva
europeizzazione. Da un lato Schengen e libera circolazione intra-UE. Dall’altro la convergenza
delle politiche nazionali (programmazione flussi, rimpatri e naturalizzazione) e la costruzione della
Fortezza Europa: diminuendo la possibilità di chi vuole partecipare. Il nodo cruciale delle politiche
migratorie rimane comunque la concessione del diritto di cittadinanza che può avvenire per ius
sanguinis, ius soli e naturalizzazione. In Italia la cittadinanza è data dal sangue (ius sanguinis) ma
si vuole aggiungere è il fatto che la cittadinanza deve essere data anche a chi è nato nel paese →
se sei nato qua e arrivi ai 18 anni puoi fare richiesta. Il discorso della cittadinanza influisce sul
discorso della inclusività. La cittadinanza si esprime legalmente in termini di diritti e doveri ma ha
anche a che fare con il senso di appartenenza e con l’inserimento sociale nel paese di arrivo. Si
parla in questi casi di cittadinanza sostanziale.
Il mancato o tardivo riconoscimento della cittadinanza può dar luogo a fenomeni di esclusione
sociale, ovvero di marginalizzazione e mancata partecipazione sociale dei migranti che possono
acquisire anche manifestazioni spaziali (segregazione). Transnazionalismo e identità
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Le migrazioni sono state interpretate come cambiamenti del luogo di residenza. Tuttavia i caratteri
attuali dei fenomeni complicano il quadro interpretativo. Spesso a lunghe permanenze seguono
ulteriori partenze o processi di ritorno. Allo stesso modo la mobilità internazionale di molti
professionisti assume caratteri incessanti e avviene lungo direttrici che connettono luoghi
transnazionali. Le complesse geografie della globalizzazione producono intrecci e ibridazioni che
tagliano i confini nazionali. A questo scopo si usa il termine transnazionalismo per indicare la
dimensione globale di alcuni fenomeni connessi alle migrazioni. Transnazionalismo economico
(rimesse, reti di comunicazione e commercio) (es. chi lavora qua ma manda i soldi nel paese),
politico (co-sviluppo)(es. migranti che hanno una influenza politica nei contesti di origine),
socioculturale (ibridazioni di pratiche, usi, costumi e relazioni).
L’identità culturale è spesso sottoposta a processi di deterritorializzazione: non si porta da un
luogo a un altro ma si forma e trasforma continuamente dando vita a spazi intermedi di promiscuità
(subculture musicali). Lo sviluppo
Nasce nell'ambito delle scienze naturali e si associa al processo evolutivo di un organismo, che
mano a mano che progredisce assume la sua forma completa, riferendosi sia alla crescita che alla
trasformazione che avviene nel suo corso. Il tema delle evoluzioni è importante anche nel campo
sociale. L’appropriazione delle teorie di Darwin da parte delle scienze sociali introdusse l’idea di
un’evoluzione della società verso forme sempre più perfette, in una logica cumulativa e
apparentemente irreversibile. Noi usiamo sviluppo come sinonimo di crescita, evoluzione e
progresso anche se queste identificano faccende diverse.
Crescita: aspetto quantitativo.
Progresso: miglioramento dell'equa distribuzione, etica sociale. Vengono usati in maniera
intercambiabile (anche se non si dovrebbe) creando ambiguità concettuali tra i termini. L’idea dello
sviluppo si è ancorata per lungo tempo al concetto di crescita, per poi avvicinarsi di più al discorso
del progresso. Se si seguono le regole di Darwin avremmo una visioni organiciste della società
"organicistica" delle società: quelle maggiormente capaci di adattamento ai fattori naturali e alle
contingenze storiche risultano “vincitrici”, in opposizione alle società definite come “tradizionali”.
Non possiamo, però, associare il pensiero di Darwin a quelle che sono le società umane, perché
parliamo di persone, relazioni, istituzioni e non di specie. Non possiamo pensare che le società si
adattino alla natura dell’ambiente esterno e alle avversità che trovano in un ambiente esterno e
che la loro esistenza/successo sia dovuta alle loro capacità di adattarsi.
Modernizzazione
La graduale trasformazione della società e delle sue istituzioni. Questa implica l’allontanamento
dalle credenze, superstizioni e lo sviluppo di una razionalità (processo trainato dai valori
illuministici). Nel dibattito delle scienze economiche del dopoguerra lo sviluppo economico veniva
equiparato ad un processo di modernizzazione, adottando come unico modello possibile quello
seguito dalle società occidentali. Si parla di una razionalità economica → il fine dell’attività umana
è quello del profitto, accumulazione economica e reinvestimento. Dal secondo dopoguerra
questa idea iniziò a combaciare con lo sviluppo.
Walt Whitman Rostow in The stage of economic growth: A Non-Communist Manifesto afferma che
questo percorso è l’unica via possibile per lo sviluppo. Per molto tempo questa modernizzazione è
risultata essere la via principale ai processi di sviluppo.
Lo sviluppo era interpretato dal punto di vista dell’evoluzione. Lo sviluppo era possibile solo
lasciando dietro le strutture tradizionale. Elementi critici
Il decollo appare possibile solo se si abbandonano i metodi produttivi tradizionali e si orientano gli
investimenti in favore dell’agricoltura, considerata precondizione per lo sviluppo dell’industria. La
società dei consumi di massa è l’arrivo. In questa teoria l'idea dello sviluppo si associa alle
trasformazioni sociali, culturali e politiche identificabili nelle riforme tipiche delle democrazie liberali
e descrive la superiorità sociale della società dei consumi di massa. Si assume, inoltre, che
l’industria e la tecnologia possano necessariamente portare a progresso sociale e di benessere,
anche se non è vero, perché i paesi in via di sviluppo hanno conosciuto percorsi di sviluppo
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totalmente diversi da quelli occidentali. Non si considerano le implicazioni della scomparsa del
settore tradizionale nei paesi del Sud del mondo (dualismo economico e sociale).
Industrializzazione su invito
Con l’idea che bisognava incentivare l’industrializzazione dove non c’era, William Arthur Lewis nel
1955, premio Nobel all’economia, teorizza che lo sviluppo prenda forma con il progressivo
trasferimento del surplus da attività non orientate al profitto (tradizionali) verso attività capitalistiche
moderne. L’idea era di dover far trasformare le economie. In tanti paesi, però, non c'erano le
condizioni per fare questa modernizzazione. Poiché nelle società rurali e tradizionali non esiste un
surplus lavorativo la migrazione verso la città è un presupposto per lo sviluppo. Per avviare
l’industrializzazione si rendono necessari investimenti di capitale di fatto impossibili in società
senza risparmio. Per questo si introduce l’idea dell’industrializzazione su invito, insistendo
sull’importanza di attrarre capitale straniero per avviare processi di sviluppo (incentivi fiscali,
predisposizione aree per impianti…). Gli investimenti esteri diventano necessari per paesi che
hanno un basso reddito, ovvero sono poveri. Questa industrializzazione non implica solo un
investimento ma anche una trasformazione della società rurale e dei ruoli sociali. Lewis diceva che
per migliorare le condizioni di vita delle persone che vivevano nei villaggi dell’India era necessario
che queste persone abbandonassero il proprio stile di vita e che cominciassero a devolvere verso
stili di vita occidentali. Il sottosviluppo
Nonostante queste teorie enfatizzino il ruolo che possono avere i capitali e le tecnologie occidentali
il sottosviluppo è considerato l’esito di cause endogene (carenza risorse, avvenimenti storici,
attitudini socioculturali…) negando l’importanza delle interdipendenze sovra-nazionali e di come
queste possano influenzare le opportunità di sviluppo. Il sottosviluppo è concepito come uno stadio
iniziale rispetto al quale le società occidentali hanno saputo progredire. Questo concetto divide il
mondo in due: società considerate avanzate, e quelle considerate arretrate (nella maggior parte
dei casi questa arretratezza è colpa dell'occidente con l'imperialismo e il colonialismo). C’era un
compito morale affidato ai paesi avanzati → quello di avvicinare le strutture economiche e sociali
degli altri paesi verso il loro modello. Questo fu il presupposto dell’imperialismo e del colonialismo
→ che identificava i paesi occidentali come quelli che dovevano portare civiltà a quei popoli
arretrati.
Negli anni 60-70 questo modo di leggere lo sviluppo cambia, in questo periodo c’è un grande
rottura nell'interpretazione della nostra società e questa rottura si rinviene nello sviluppo. Arrivano
nuove teorie: Teoria della dipendenza che assume che la relazione tra paesi del Nord e del Sud
del mondo non si fondi sulla semplice coesistenza ma sull’operare di un meccanismo di
dipendenza e di appropriazione del surplus che rende le condizioni di sottosviluppo come
necessarie per il funzionamento del sistema capitalistico mondiale (Andre Gunther Frank - 1969).
I paesi al mondo non coesistono nel loro sviluppo economico e sociale ma c’è interdipendenza tra
quello che c’è in un luogo e quello che c’è in un altro. Lo sviluppo non è più qualcosa di evolutivo,
ma qualcosa che si fonda su relazioni di dipendenza e quindi anche rapporto di potere. Il
sottosviluppo della periferia è quindi funzionale alla ricchezza del centro ed entrambi si trovano in
una posizione dialettica che sarebbe paragonabile al conflitto di classe dell’analisi marxista.
Mentre i paesi in via di sviluppo si trovano con molte risorse e scambiano con i paesi avanzati il
lavoro, popolazione e pagano interessi su prestiti fatti da pesi avanzati (fondo monetario
internazionale), le economie avanzate traggono vantaggio da questo rapporto e si garantiscono
acquisti a prezzi bassi (materie prime) scambi tra un centro e una periferia in cui la periferia da
risorse al centro e il centro vende beni alla periferia a prezzi elevati condizione di squilibrio.
La contrapposizione tra sviluppo e sottosviluppo e quella tra centro e periferia sono applicate da
Frank a diversi livelli e scale geografiche, anche tra urbano e rurale nei paesi avanzati. Squilibrio
come condizione strutturale mentre modernizzazione come forma di assimilazione all’economia di
mercato e di dominio. Lo squilibrio può essere generato da tanti fattori, ma essenzialmente
squilibri di carattere commerciali e flussi che dalle economie emergenti si muovono verso le
consolidate e viceversa.
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Scambio ineguale
Paul Baran elabora questo modello che prova a spiegare concretamente i meccanismi attraverso
cui avviene il dominio economico da parte dei paesi più ricchi. Alla base della relazione di
dipendenza troviamo il commercio internazionale, che produrrebbe un vantaggio per i paesi
avanzati.
Nel Nord del mondo maggiori retribuzioni e condizioni produttive che permettono di produrre beni e
servizi avanzati (monopolio offerta).
Nel Sud si producono beni e prodotti a basso valore aggiunto e per sopravvivere alla concorrenza si
comprime la remunerazione. Ne consegue che il Nord acquista a prezzi molto più bassi del costo
locale mentre il Sud, importando, paga un prezzo superiore. Il superamento delle teorie della
dipendenza
Oggi molti prodotti industriali presentano un basso valore aggiunto e costi contenuti a tal punto che
diverse funzioni industriali, soprattutto quelle ad alto contenuto di lavoro, sono state oggetto di
decentramento verso i paesi della periferia mondiale. Il nodo dei modelli di Baran e Frank però
rimane valido nel sottolineare i meccanismi di trasferimento del surplus dal Sud al Nord globale e
la prospettiva “relazionale” nell’interpretazione dello sviluppo. Assistiamo a una nuova divisione
internazionale del lavoro, caratterizzata dalla dispersione delle attività produttive e dalla
concentrazione del potere di controllo economico-finanziario sia a livello globale (città globali) sia
all’interno di ciascun paese.
Dagli anni ‘80 questi modi di leggere lo sviluppo (teoria legata alla modernizzazione) e queste
teorie legate ai rapporti di dipendenza vengono sottoposte a critiche in particolar viene criticato
l’approccio utilitarista che hanno, cioè l’idea che un percorso di sviluppo si basi solo su quella che
può essere definita crescita economica. Nasce la scuola anti-utilitarista che critica la visione
economicista e produttiva allo sviluppo contrapponendosi tanto agli approcci di matrice liberista
quanto a quelli di carattere marxista.
La decrescita
I nodi della decrescita
Lo sviluppo non si determina necessariamente con la crescita e con la quantità, ma può avere a
che fare con la qualità: uso che facciamo delle risorse. Non è necessario per forza crescere,
bisogna guardare anche alla distribuzione, ai consumi, ecc… Queste posizioni diverse si saldano
al dibattito ambientale sviluppato soprattutto negli anni ‘80. Si credeva che la crescita economica e
ambientale fossero due nuclei separati, e si credeva che le risorse naturali fossero infinite, quindi
sottinteso l’uomo poteva farci tutto quello che voleva, senza il rischio di finirle.
La descritta: si tratta di un ideale evocativo di critica al concetto stesso di sviluppo attorno al quale
si raccolgono posizioni che propongono percorsi alternativi per uscire dalla logica
dell’accumulazione a tutti i costi sostenendo la necessità di una riflessione ambientale. Alcuni
principi chiave:
- consumo e produzione locale
- riduzione del consumo
- riuso, riciclo e longevità prodotti
- solidarietà sociale
– redistribuzione risorse
- moderazione ed equità
Sviluppo dal basso e “basic need”
Negli anni Settanta, parallelamente al dibattito sulla dipendenza, emerge un dibattito che non
guarda tanto alla crescita economica nel suo complesso, ma guarda alla presenza di bisogni
definiti come essenziali + sottolinea l’importanza di politiche di sviluppo e di cooperazione allo
sviluppo maggiormente vicine ai bisogni e alle necessità delle popolazioni locali. Si concretizza
un’idea di sviluppo che non è uguale per tutti ma centrata sul contesto e sulla partecipazione
popolare, oltre che su pratiche diverse dall’industrializzazione (come il microcredito,
l’approvvigionamento idrico e l’infrastrutturazione sociale). Lo sviluppo può avere modalità diverse
in contesti diversi perché i bisogni possono essere differenziati.
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Questo approccio si concretizza in due ambiti:


• Complementare all’idea e ai processi di modernizzazione (ONG come operatori fondamentali)
• Necessità di focalizzarsi sui bisogni primari → priorità per poter promuovere processi di sviluppo
endogeno (discorso esclusivo).
L'emergere il tema dello sviluppo dal basso → non esiste un unico discorso sullo sviluppo ma tanti
discorsi possibili e preferibili in diversi contesti in base alla varietà di culture, tecnologia, gusti e
bisogni.
I nodi dello sviluppo dal basso
Quando parliamo di sviluppo dal basso vanno individuati nodi chiave che possono essere diverse
in base alla parte nel mondo in cui ci troviamo.
- Non tutti i paesi o società sono orientate al risparmio e all’investimento di denaro, quindi, non
garantiscono risorse da poter prestare.
- Le risorse locali (umane, istituzionali, ecologiche…) sono la base per l’attivazione di forme di
sviluppo. Il discorso dello sviluppo è relazionato anche alla valorizzazione di quello che c’è in loco
(delle risorse che una nazione ha).
- Ogni percorso di sviluppo deve fondarsi sulla vocazione e l’identità di una certa regione
geografica.
- Selezione di quelli che sono i bisogni essenziali che variano in ogni contesto.
- Si cominciano a guardare le comunità e locali e cosa si può valorizzare per permettere a questo
ciclo di sviluppo di avviarsi.
- Replicabilità del discorso a diverse scale geografiche → sviluppo locale. Il tema ambientale
La convergenza fra i temi della protezione ambientale, dell’ecologia e dello sviluppo economico è
avvenuta in tempi relativamente recenti. Dagli anni Sessanta viene riconosciuta la finitezza delle
risorse del pianeta e i temi ambientali acquisiscono sempre più risonanza nelle varie nazioni. Da
allora si articolano due posizioni ideali contrapposte: l’economia di frontiera (economia e natura
come tematiche isolate) e l’ecologia profonda (nuova armonia uomo-natura). Dallo scontro tra
queste posizioni nascono ed evolvono approcci politici ed economici che porteranno
progressivamente i temi dell’ecologia al centro del dibattito sullo sviluppo.
Lo sviluppo sostenibile
Il contributo maggiormente rilevante in questo dibattito è rappresentato dallo sviluppo sostenibile
che rappresenta oggi il principio guida delle attuali politiche ambientali e di sviluppo. Esistono
molte definizioni di sviluppo sostenibile. La migliore è quella contenuta nel Rapporto Brundtland:
“Uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle
generazioni future di soddisfare i propri”
Qua troviamo due concetti chiave: il bisogno (di tutti gli abitanti del pianeta) e la responsabilità
verso i posteri (ossia verso chi verrà dopo: che hanno il diritto di vivere in condizioni di adeguate
risorse).
I principi ideali dello sviluppo sostenibile
1. Integrità dell’ecosistema → Mantenere i sistemi ecologici ben conservati evitando qualsiasi
alterazione irreversibile (individuazione dei limiti alle attività umane in base al contesto).
2. Efficienza economica → Implica la necessità di adeguati processi di crescita economica
presupponendo che la povertà sia una causa di pratiche ambientali irrispettose. Rappresenta un
elemento di difficile conciliazione perché implica che il sistema economico garantisca il massimo
della produzione e dei consumi compatibilmente con gli equilibri ecologici.
3. Equità sociale → Si riferisce tanto al livello intra-generazionale (accessibilità alle risorse ed
equa distribuzione del reddito a livello globale) che a quello inter-generazionale (responsabilità
verso i posteri).
Dalla differente interpretazione di questi principi si hanno diverse accezioni del concetto di
sostenibilità. Sostenibilità in senso debole (implica la compensazione ambientale) e sostenibilità in
senso forte (implica la necessità di mantenere inalterato l’ambiente).
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I limiti dello sviluppo sostenibile


La Conferenza di Rio del 1992 pone in luce i contrasti tra Nord e Sud del mondo in tema di
applicazione delle politiche ambientali. La concreta definizione e soprattutto l’applicazione delle
politiche e delle strategie a livello globale procede a rilento. Oltre all’ambiente, ci sono diversi nodi
da sciogliere rispetto a cosa significhi concretamente in diversi contesti l’equità sociale. C’è un
allontanamento dal dibattito concreto della politica e la frequente traduzione in pratiche
scarsamente ambizione come la semplice introduzione di correttivi tecnologici e regolamentativi
all’attuale sistema di produzione e di mercato.
La realizzazione degli obiettivi
Ci sono obiettivi differenti e per attuare queste politiche bisogna conoscere le situazioni. A questi si
aggiungono degli indicatori → strumenti per misurare un fenomeno. Tra obiettivo e indicatore ci
possono essere delle questioni che non fanno affrontare l’obiettivo nel suo complesso. La
partecipazione nei processi di sviluppo
La definizione dello sviluppo sostenibile è stata tradotta in realizzazione di obiettivi per poter
attuare queste politiche. La partecipazione nei processi di sviluppo è sempre più riconosciuta e
importante nelle politiche locali. Diversi approcci partecipativi alla programmazione e attuazione
delle politiche di sviluppo: pianificazione collaborativa o “comunicativa”, approcci di comunità e
analisi dei bisogni. Il coinvolgimento degli attori locali ha diverse funzioni: utilità strumentale
(bisogni, consenso, attivazione), autodeterminazione, controllo, capitale sociale, empowerment.
Può essere di tipo debole (informazione e consultazione) o di tipo forte (delega del potere
decisionale e/o dell’attuazione degli interventi). Tra questi due estremi esistono numerose vie di
mezzo.
Gli attori locali
Il coinvolgimento può riguardare diversi stakeholders, tra cui governi locali, enti, istituzioni,
comitati, consorzi, associazioni di produttori, politici, capi-villaggio, organizzazioni informali. La
scelta varia in base alle differenze di contesto e di intervento. Ci sono da calcolare i rischi di
cattura, problemi di rappresentanza o la concretizzazione delle attività. È importante tenere in
considerazione le trappole della partecipazione, ovvero le finalità del progetto, indirizzi di
committenti/coordinatori e la selezione degli attori da coinvolgere. La modalità di partecipazione
influenza l’esito finale.
Il post sviluppo
Emerge dalla critica delle dimensioni ontologiche, epistemologiche ed etiche su cui si fonda il
discorso sullo sviluppo economico, che oltre a tradursi in condizionamenti socio-economici
presenta condizionamenti di tipo culturale.
Si collega al Post-strutturalismo: decostruire il sistema di significati che si utilizzano nel pensiero
comune e scientifico ponendo in evidenza gli assunti a priori e le logiche di potere che favoriscono
certe interpretazioni. Il linguaggio crea soggettività, posizioni di potere, meccanismi di controllo e
disciplinamento (Foucault). Nell’approccio poststrutturalista si tende a porre in evidenza come “i
fatti non parlino da soli”: le categorie concettuali che noi utilizziamo per interpretare i fenomeni
sociali distorcono la nostra percezione della realtà.
Il discorso sullo sviluppo, ad esempio, contribuisce a diffondere una visione del mondo diviso tra
nazioni arretrate e avanzate, finendo per influire sullo stesso modo con cui i soggetti (a Nord come
a Sud) interpretano se stessi e di conseguenza agiscono. Tale rappresentazione rafforza i
meccanismi di subordinazione e di controllo.
A tal proposito, Edward Said (1978), nel suo libro Orientalismo → fa un’analisi dei discorsi popolari
e dei prodotti culturali occidentali sull’oriente esplicita le “geografie immaginate”: esotico, arretrato,
selvaggio, pericoloso diverso. Invece si possono individuare molti punti di continuità tra oriente e
occidente.
La critica al post-sviluppo è particolarmente vicina all’idea di autodeterminazione delle società
locali, di empowerment, di valorizzazione del sapere locale. Gli approcci post-strutturalisti hanno
accompagnato la ricerca di una pluralità di interpretazioni e ripensamenti circa lo sviluppo e il
sottosviluppo che pongono l’accento sulla descrizione della diversità e sulla ricerca di discorsi,
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spiegazioni e teorie di natura contestuale, differenziata e specifica. I discorsi sullo sviluppo (come
le rappresentazioni di certe culture e contesti) hanno spesso sostenuto e aiutato iniziative di
“civilizzazione”, “esportazioni di democrazia” e forme di neocolonialismo nella logica dell’aiuto
rispetto all’arretratezza.
L’ambiente come ecosistema
Gli ecosistemi sono complessi dinamici costituiti da:
- componenti di biotiche: esseri viventi, (animali, piante, altri organismi…).
- componente abiotica: non viventi, (elementi fisici), dai flussi di energia e nutrienti e dalle loro
interazioni. Quello che li caratterizza sono gli scambi di energia e di nutrienti. Parliamo anche di
flussi di energia (guardare schema sopra) e di relazioni. Esistono tanti ecosistemi: anche la Terra
lo è (così come lo sono i deserti, gli oceani, le foreste pluviali, le paludi, i laghi e così via). La
Terra però è’ un ecosistema che contiene al suo interno tutti gli altri. Gli ecosistemi non sono
gruppi chiusi, ma tra di loro ci sono degli scambi → sono tra loro interconnessi.
L’insieme delle relazioni tra gli ecosistemi, dalla crosta terrestre alle parti più basse dell’atmosfera,
è definito come biosfera.
Gli ecosistemi sono sottoposti a controlli, questo perché sono importanti per sostenere la vita
umana, e perché sono fragili. Si valuta considerando in particolare la diversità e la stabilità.
Diversità: intesa come biodiversità, ovvero quantità di specie e patrimoni genetici che svolgono
importanti funzioni nel funzionamento degli ecosistemi. Esempio → in un ecosistema dove
mancano i predatori ci sarà una proliferazione di altre specie.
Stabilità: intesa come resistenza (capacità di assorbire uno shock senza modificarsi) e come
resilienza (capacità di rispondere alle sollecitazioni modificandosi per tornare poi al suo stato
originale). Esempio → la macchia mediterranea e la sua capacità di ricolonizzazione dopo incendi,
ritornando quasi al suo stato originario.
La fragilità invece esprime la facilità con cui un ecosistema può subire modifiche irreversibili in
seguito a sollecitazioni esterne. Indica quindi la difficoltà a rigenerarsi. Esempio → le barriere
coralline, che hanno problemi a rigenerarsi dopo uno shock, che può essere per esempio
l’aumento delle temperature.
Gli ecosistemi possono essere interpretati come erogatori di servizi che permettono la vita sulla
Terra e sostengono la vita umana. Per questo, in una prospettiva antropocentrica, si parla di
“servizi ambientali” → questi possono essere di vario tipo: un esempio è la purificazione dell’aria
tramite le piante che rilasciano ossigeno. I boschi, invece, permettono di tenere la terra “ferma”,
ossia non farla franare. Ci sono anche dei servizi culturali: noi traiamo un benessere dall'utilizzo
degli ecosistemi, come per esempio quelli ricreativi (passeggiata in montagna), ma è anche un
beneficio che può riguardare l’assegnazione di certi valori culturali a degli ecosistemi. Ci sono
anche servizi di supporto; che servono per produrre tutti gli altri servizi. Esempio → i cicli di
formazione del suolo che danno alla terra la capacità di essere fertile, e ci permette di coltivare. Si
è sviluppata una consapevolezza → è sempre più difficile separare ciò che è una componente
naturale, e quella prodotta dagli esseri umani (antropica). Gli uomini sono in grado di creare
ecosistemi (dighe, che fanno creare laghi) e interagiscono con essi al punto da rendere infruttuosi i
tentativi di distinguere l’ambito naturale da quello antropico. Si rende quindi necessario interpretare
gli ecosistemi come sistemi socio-ecologici e valutare la dinamicità delle relazioni che intercorrono
tra le parti. Ogni società ha bisogno di risorse naturali, che preleva dall'ambiente e le utilizza, ma
non solo, restituisce anche dell’altro. Ci sono scambi continui tra società ed ecosistemi. Questo
prelievo è diverso in base a come le diverse società vedono la naturale, un fattore, per esempio, è
lo sviluppo economico. Metabolismo sociale: termine utilizzato per riferirsi ai diversi scambi di
energia e materia che avvengono tra ecosistemi e società. Ogni sistema socio-economico preleva
risorse naturali e gli attribuisce una serie di significati rendendo evidente come la sfera sociale non
sia autonoma o separabile da quella “naturale”. Diverse forme di rapporto assunte nella storia tra
società e ambiente hanno dato vita a diversi modelli di interazione tra ambiente naturale e società:
società di cacciatori-raccoglitori (estrazione biomassa), società agraria (agro-ecosistemi), società
industriale (energia fossile).
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L'ambiente come risorsa


Oltre ai servizi ambientali gli ecosistemi forniscono le risorse naturali, ovvero tutto ciò che si trova
in natura e può essere usato per le attività umane → le materie prime. Queste risorse però non
sono infinite, sebbene fino agli anni 60’ si pensava che lo fossero: la consapevolezza dei limiti del
nostro pianeta nasce più tardi. Per fare riferimento all’esauribilità delle risorse si utilizza il concetto
di rinnovabilità.
- non rinnovabili mancano della capacità di rigenerarsi, o di farlo in tempi utili e a costi
sostenibili (esauribilità economica). Esempio → petrolio. Una risorsa è considerata esauribile
anche per ragioni economiche: esempio → non conviene continuare ad estrarre il petrolio da un
determinato luogo. Centrale nel dibattito sull’esaurimento delle risorse non rinnovabili è l’accesso
alle risorse energetiche per via del crescente consumo di energia nel corso degli ultimi decenni.
- rinnovabili si rigenerano in tempi relativamente brevi sia naturalmente sia attraverso
l’intervento umano. Esempio → una foresta.
La distribuzione e la capacità di sfruttamento delle risorse naturali rappresentano da sempre un
importante fattore di sviluppo economico e un fattore al contempo geopolitico. La disposizione di
materie prime può aiutare lo sviluppo economico. Esempio → Europa con il carbone, che ha
aiutato a realizzare la 1 e 2 rivoluzione industriale. Non tutti i paesi hanno le materie prime, ma
anche se le avessero non sarebbe detto che si riesca ad innescare dei processi di sviluppo, anzi
molte volte queste risorse sono la causa di corruzione, guerre civili, ecc…
Lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali ha degli effetti ambientali che possono mostrare
un’altra faccia della medaglia. Lo sviluppo tecnologico ci ha aiutato ad analizzare gli ecosistemi,
ma più andava avanti questa rivoluzione più i danni alle risorse aumentavano. Un esempio è la
Rivoluzione Verde: si è sostituita l’agricoltura di sussistenza con una di piantaggio caratterizzata
da pesticidi e attrezzi più avanzati. Questo ha aiutato a diminuire la fame, ma questo superamento
ha creato dei problemi agli ecosistemi e alla biodiversità. Il progresso economico e tecnologico non
è sempre compatibile con l’efficienza e spesso è stata riservata poca attenzione alla sostenibilità di
medio e lungo periodo degli interventi, tanto dalle società capitalistiche quanto da quelle socialiste.
Esempio → lago che si trovava nel centro Asia. Questo è stato sfruttato per la produzione di
cottone: sono stati sfruttati i suoi fiumi principali. Al lago per questo arrivava sempre meno acqua.
È un lago salato visto che l'acqua non ha sbocchi. Vediamo dalle immagini come il lago è
cambiato, causando un danno ambientale ma anche all’ economia che girava intorno ad esso
(città costiere).
L'inquinamento
Oltre all’esaurimento le risorse possono subire peggioramenti delle loro qualità a causa di
eccessivo sfruttamento e inquinamento. Inquinare significa modificare la composizione di una
risorsa in maniera dannosa alla salute umana e a quella dell’ecosistema.
Inquinamento atmosferico: gas serra, polveri sottili.
Inquinamento idrico: il versamento di sostanze nocive nell’acqua.
Inquinamento del suolo: uso sostanze chimiche in agricoltura + processi di erosione del suolo
ossia la degradazione dello strato fertile della terra.
Inquinamento “ignorato”: non c’è una certezza per capire se sono dannose, esempio → le onde
elettromagnetiche come quelle del microonde.
La deforestazione
È uno degli aspetti più evidenti e discussi del degrado ambientale. Pur essendo un fenomeno
antico è incrementato in modo sostanziale negli ultimi anni a causa della crescente conversione
agricola dei terreni. Rappresenta una minaccia globale nella misura in cui limita i servizi ambientali
forniti dai boschi e dalle foreste.
Esempio: deforestazione Brasile non solo per ottenere il legname, ma anche e principalmente per
la conversione agricola dei terreni. Il benessere complessivo del mondo cresce e questo porta la
popolazione a consumare più carne e quindi c’è bisogno di più allevamenti terreni.
E’ una minaccia perché oltre 300 milioni di persone nel mondo dipendono dalle foreste per la
propria sussistenza e la maggior parte di queste vive sotto la soglia di povertà. L’attività umana,
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specie se di tipo tradizionale, è spesso compatibile con la rigenerazione delle risorse forestali. Il
problema è sovente determinato dall’uso intensivo a scopi agricoli e produttivi.

Il cambiamento climatico
E’ dovuto ad una crescita dell’effetto serra.
Grazie all’atmosfera noi riusciamo a vivere, in un ambiente abbastanza caldo: i raggi solari sono in
parte trattenute dentro l’atmosfera. Il cambiamento climatico è un fenomeno dai molteplici effetti,
legato all’aumento delle temperature medie a causa della crescente concentrazione di gas serra in
atmosfera (soprattutto CO2). Sebbene sia accertato il legame con le attività umane vi sono
divergenze interpretative sia sulle cause principali sia sui potenziali effetti sull’ambiente e sulla
salute delle persone. Ci sono numerose conseguenze a cui può portare: dall’innalzamento dei mari
ai fenomeni estremi fino alla desertificazione – pongono alcune aree, specie se sfornite di
adeguate tecnologie di mitigazione, a maggior rischio di altre. C'è una disparità degli effetti su
diverse fasce sociali e su diversi contesti geografici. Il cambiamento climatico è un esempio di
problema ambientale sovranazionale i cui impatti legano i destini dei vari paesi. Per tali ragioni
dalla fine degli anni Settanta si sono susseguiti diversi incontri che hanno tentato di regolare a
livello internazionale l’inquinamento atmosferico e il riscaldamento globale. Varie conferenze in cui
una delle più significative è stata nel 1997 quella di Kyoto da cui deriva l’omonimo protocollo
(obiettivi abbattimento, quote emissione). Nonostante i numerosi tentativi, anche recenti (COP21
Parigi 2015), di istituire meccanismi funzionali allo scopo vi è una sostanziale divergenza tra paesi
sulle misure da adottare, sulle modalità di ratifica e sulla disparità tra paesi con diversi livelli di
sviluppo. Manca inoltre un sistema sovranazionale di controllo efficace.
L’umanità come forza geologica
La magnitudine e la durata dell’impatto umano sull’ambiente ha stimolato negli ultimi decenni un
acceso e crescente dibattito sull’inizio di una nuova era geologica. L’Antropocene (Stoermer e
Crutzen 2000) è un concetto che suggerisce una nuova era geologica. Il presente non deve essere
incluso nell’Olocene (inizio 12 mila anni fa, dopo la glaciazione) ma considerato come una nuova
epoca segnata dall’impatto delle attività umane. C’è un dibattito riguardo a quando inizia → alcune
ipotesi sono la Industrializzazione, grande accelerazione, Columbian Exchange (globalizzazione
cibo), Agrilogistica della Mezzaluna fertile. Ma c’è chi, como Jason Moore, che invece si interroga
sull’utilità di questo concetto. Lui si domanda che se noi chiamiamo questa epoca antropocene, la
causa del degrado ambientale siamo noi, in eguale misura, oppure i sistemi di scambio e
produzione? Lui suggerisce di politicizzare il termine usando Capitalocene → bisogna guardare
alle forme del lavoro e al rapporto che il capitalismo instaura storicamente con la natura.
Il concetto di natura
“Natura” è una costruzione sociale (è anche un concetto plurale) è cioè il progetto di una
determinata società perché i significati che le sono attribuiti variano a seconda del contesto
geografico, storico e culturale. Per lungo tempo è stata interpretata come qualcosa di esterno e
separato dall’azione umana (differenza naturale-antropico) e tale approccio, tipicamente moderno,
è stato strumentale all’idea del dominio della natura da parte dell’uomo. Nelle scienze sociali si è
recentemente diffuso un approccio costruttivista, secondo il quale la natura non esiste di per sé ma
è il prodotto di una costruzione sociale - prodotto dell’uomo in quanto l’esistenza della natura è
implicitamente ed esplicitamente legata all’azione umana (Castree 2005). Ma la natura è un
concetto plurale soprattutto perché può assumere significati diversi in luoghi e periodi storici
differenti prendono forma modalità differenti di concepire, vivere, trasformare e proteggere la
natura. L’ecologia politica ha posto in evidenza come i valori e le relazioni che si mobilitano nella
costruzione di specifici concetti di natura si ripercuotono su come certi gruppi sociali utilizzano
l’ambiente e si rapportano con le sue risorse.
L’idea occidentale della natura come wilderness, in qualche modo esterna all’azione umana, ha
consolidato le politiche di protezione integrale delle aree protette, così come ha favorito
atteggiamenti predatori ed estrattivisti.
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Ma esiste una natura “vergine” che in qualche modo non sia intaccata dall’attività umana? Oppure
natura e società sono un binomio inscindibile e dunque siamo parte della natura? L’ambiente non
è solo un insieme di risorse o un attributo esterno, ma è direttamente implicato nella riproduzione
delle relazioni economiche che, a loro volta, producono il particolare tipo di natura nel quale ci
troviamo a vivere. Questa seconda ipotesi ci porta a considerare i gruppi umani nella natura, come
parte di essa, e dunque a riflettere su sistemi di disciplinamento nell’uso delle risorse dato che
l’ambiente è direttamente implicato nella riproduzione delle relazioni economiche.
La conservazione della natura
Dal trasferimento sul territorio delle varie idee di natura – natura incontaminata, natura fruibile,
natura non separata – emergono pratiche diverse di tutela che prevedono diversi livelli di
convergenza con le esigenze di sussistenza delle comunità umane. Si assiste quindi ad una
tensione tra conservazione e sviluppo che varia nel corso del tempo e nel livello di coinvolgimento
delle comunità: protezione integrale (aree protette), community-based conservation (co-gestione).
In Europa si è passati dalle aree protette isolate alla costruzione di reti che prevedono corridoi
ecologici con vincoli meno severi ma in grado di garantire la funzionalità ecologica.
L’analisi dello stato dell’ambiente
Per conoscere lo stato dell’ambiente serve produrre dati e informazioni statistiche che ne
permettano la valutazione e il monitoraggio nel tempo al fine di garantire una corretta gestione.
Queste informazioni consentono di avviare politiche ambientali, di informare e sensibilizzare
l’azione pubblica. Possono riguardare vari ambiti: l’aria, la biodiversità (flora e fauna), lo stato delle
risorse idriche (marine e fluviali), l’utilizzo delle risorse idriche, la produzione e raccolta di rifiuti, lo
stato del suolo e del sottosuolo, ecc… La raccolta di tali informazioni è demandata in Italia a vari
organismi tra cui le ARPA regionali, ISPRA e anche ISTAT.
Un indicatore fornisce informazioni che possono aiutare la comprensione e l’intervento se inserite
in modelli più ampi. Un esempio di modello europeo è il DPSIR che attraverso 5 voci cerca di
rappresentare gli insiemi di elementi e relazioni che caratterizzano un fenomeno ambientale
collegandolo alle politiche messe in atto su quel tema. Ha il vantaggio di connettere la dimensione
socio economica con quella dei fenomeni ambientali ma ha lo svantaggio di semplificare le
relazioni e di porle in un’ottica lineare di causa-effetto quando spesso sono più complesse e non
scontate.
L’impronta ecologica è invece un indicatore molto utilizzato per valutare il consumo di risorse.
Identifica il numero di ettari di terreno di cui ogni abitante ha bisogno per vivere seguendo un certo
stile di vita. Crea un sistema di contabilità ambientale che ci fa capire se si vive compatibilmente
con la rigenerazione delle risorse ambientali. Gli indici, come l’Happy Planet Idex (HPI) o il
Benessere Equo e Sostenibile (BES) sono invece sintesi di numerosi indicatori tesi a valutare il
benessere umano in relazione a diversi domini, che vanno dagli elementi di qualità ambientale alla
soddisfazione verso la propria vita fino ai servizi sanitari e alla sicurezza sociale.
Localizzazione delle imprese
Una azienda decide dove stabilirsi secondo il prodotto che deve produrre e in base alla presenza
di imprese che possono essere utili nel contesto e nella produzione.
La geografia economica nasce verso la metà dell’800 ed è stata comparata ad una scienza della
localizzazione perché:
- Si preoccupava di capire i motivi per cui un’impresa si insediasse in un posto piuttosto che
in un altro.
- Si cercava di capire i criteri alla base delle scelte delle imprese industriali e di servizi,
fornendo anche indicazioni sulla localizzazione ottimale.
- Si domanda perché nel corso delle rivoluzioni industriali, le industrie si stanziavano in certi
contesti rispetto ad altri.
Chi si occupava di geografia politica si occupava di dare consigli alle imprese sulla localizzazione
migliore, analizzando diversi fattori (es. trasporto, commercializzazione del prodotto). Oggi la
geografia non si occupa più di questo, ma le imprese usano i servizi di geomarketing, che
forniscono informazioni rispetto alla sede migliore dove stanziare l’impresa.
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L'utilizzo di questi strumenti è molto cresciuto, perché rispondono a una logica di fondo → la
localizzazione delle imprese è fondamentale per la sua competitività, per il mercato potenziale, per
i fattori di contesto quali la manodopera, le infrastrutture e i vantaggi reciproci che le imprese
possono scambiarsi. L’espressione delle potenzialità è intimamente connessa alla presenza di un
contesto favorevole per la loro realizzazione.
Il contesto è quindi un fattore produttivo fondamentale soprattutto per esprimere le potenzialità:
questo vale per le imprese, ma anche per gli individui. Lo scopo principale degli studi sulla
localizzazione non è tanto quello di fornire supporto decisionale alle imprese ma comprendere gli
effetti che le loro scelte hanno per le regioni e le città. Le città più popolate sono anche quelle più
dinamiche: queste prima di essere un luogo di residenza sono un luogo di mercato. Oggi le città
più popolose non sono quelle più dinamiche dal punto di vista economico, ma sono quelle città che
forniscono servizi alle popolazioni vicine che sono state spinte a migrare in quella determinata
città. La concentrazione delle attività economiche è un tema correlato alle dinamiche
dell’urbanizzazione, sebbene non tutte le città siano uguali, anche a parità di condizioni strutturali.
Si tratta quindi di questioni che si connettono sia allo sviluppo regionale sia alle differenze di
sviluppo, che a loro volta risultano sempre meno legate alle caratteristiche “naturali” dei luoghi
(relazioni verticali) e sempre più ad altri caratteri di contesto come la vicinanza ai mercati di
sbocco, la manodopera, le infrastrutture, la densità umana, di servizi e di innovazione. Nello
studio di questi temi si possono distinguere due approcci. Il primo più tradizionale e “idiografico” è
quello tipico della geografia regionale: in linea con una lunga tradizione di studi aventi finalità quasi
esclusivamente conoscitive e descrittive, l’obiettivo della geografia regionale è comprendere,
illustrare e catalogare le specificità di ogni singola regione, tralasciando quindi l’analisi dei processi
generali, in molti casi globali, che producono tali differenze, e le relazioni tra diversi luoghi. Il
secondo approccio, quello più proprio degli studi di geografia economica, tende invece a
concentrarsi proprio su questi processi generali e a ricondurre le diversità economiche delle
regioni alle logiche localizzative e di comportamento dei singoli agenti economici, in primo luogo le
imprese. Il primo approccio valorizza quindi la specificità di ogni singolo luogo e i rapporti
complessi che legano l’organizzazione economica delle regioni alle loro caratteristiche insediative,
ambientali, sociali e culturali. Le metodologie utilizzate sono quelle tipiche della ricerca sul campo.
Il rischio è produrre un sapere meramente descrittivo, enciclopedico, e sottovalutare il ruolo dei
processi e attori che agiscono ad altre scale geografiche. Il secondo approccio è invece analitico,
enfatizza la spiegazione sulla descrizione, con il rischio però di attirare eccessivamente dalle
dimensioni non economiche che sottintendono all’organizzazione dello spazio geografico.
Ci sono differenze fondamentali che distinguono, in epoca moderna:
- Logiche localizzative dei servizi: Nei servizi al consumatore il prodotto consiste
nell’erogazione di una prestazione in loco. I servizi devono in qualche modo “seguire” i propri
clienti, ricalcando la distribuzione della popolazione. Il loro pattern di distribuzione può quindi
essere di tipo: disperso o inibitorio, nel tentativo di massimizzare la distanza dai concorrenti e il
bacino potenziale di clienti. Ciò non impedisce che i servizi possano avere un’organizzazione
scalare: si parla della possibilità di scomporre quello che è il ciclo di produzione di un servizio in
diversi livelli. Esempio → Banche e GDO (es. Coop), hanno dei sistemi di coordinamento e
controllo centralizzati e singole unità commerciali di ridotte dimensioni che si distribuiscono in
modo capillare sul territorio. In questo caso ci sono basse economie di scala a livello di sito
produttivo ma alte economie di scala a livello di impresa nel suo complesso. Per Economia di
scala si intende il vantaggio che l’impresa trae dalla scomposizione del processo produttivo.
- Logiche localizzative delle industrie: A differenza dei servizi le attività industriali possono
avere economie di scala molto alte anche a livello di singolo sito produttivo e possono servire
luoghi molto distanti da quello di produzione. L’impresa segue un principio diverso: questa si può
localizzare ovunque → può produrre in un luogo ma vendere i prodotti in un altro. Si può
localizzarsi ovunque a patto di avere a disposizione un bacino di manodopera e condizioni che le
permettano di importare i propri input da altri luoghi e di vendere i propri output in tutto il mondo.
In passato aveva molta importanza la distanza dai mercati di sbocco e dalle fonti di
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approvvigionamento delle materie prime mentre oggi con la globalizzazione dei trasporti questi
elementi sono venuti meno. In linea teorica quindi le industrie si possono localizzare ovunque, ma
è evidente che le attività industriali, così come quelle agricole e quelle di servizi avanzati, non si
diffondano indistintamente sui territori ma seguano specifiche traiettorie di localizzazione e,
spesso, di concentrazione e specializzazione. Di solito le industrie che hanno prodotti simili si
localizzano nello stesso luogo.
Per comprendere come queste logiche possano contribuire a produrre squilibri, centri e periferie a
varie scale, la geografia economica ha utilizzato dei modelli in qualche modo “deterritorializzati”,
ovvero basati sull’idea che gli attori economici siano pienamente razionali e si localizzino su uno
spazio uniforme e indistinto che risponde pienamente alla logica del libero mercato.
MODELLO DI VON THÜNEN: un agronomo prussiano, che nel 1826 elaborò il modello dello
“Stato isolato” per individuare delle leggi generali di organizzazione degli spazi agricoli. Lui parte
da alcuni assunti: es. c’è un centro urbano che rappresenta l’unico luogo di mercato per vendere i
prodotti agricoli. Si immagina una concorrenza perfetta, totale commercializzazione dei prodotti,
spazio isotropico, unico mezzo di trasporto e costo di trasporto uniforme, uniforme fertilità,
agricoltore unicamente orientato alla massimizzazione del profitto, centro urbano come unico
mercato. Queste sono condizioni che i produttori agricoli useranno per avvicinarsi il più possibile al
luogo del mercato, per minimizzare i costi di trasporto e massimizzare la propria rendita di
posizione. Questo fa sì che la competizione per i terreni comporti un costo più alto della terra con
l’avvicinarsi al centro e i terreni più ricercati saranno occupati da quelle varietà che potranno
permettere maggiori profitti. Il risultato è che lo spazio si articola in cerchi concentrici caratterizzati
da specifici usi/valori del suolo e che oltre una certa lontananza dal mercato non è più conveniente
produrre nonostante l’abbassarsi della rendita dei terreni.
La validità del modello di Von Thünen
Anche rimuovendo gli assunti di base del modello questo rimane valido nel definire l’importanza
della rendita di posizione garantita dalla localizzazione centrale alle attività economiche.
Estendendo il modello a due funzioni urbane e a due varietà colturali si può notare come le attività
del CBD “spingano” verso l’esterno le funzioni residenziali e quelle agricole. Il modello è anche
applicabile alle scelte residenziali degli individui: single centro - famiglie quartieri semicentrali e
sobborghi. Al tempo stesso, il modello permette di individuare l’importanza della rendita terriera e
immobiliare nei meccanismi di organizzazione dello spazio economico e sociale. La rendita
aumenta il prezzo in contesti congestionati e ne diminuisce la domanda, funziona quindi da
meccanismo di regolazione dell’accesso a una risorsa scarsa (lo spazio). Ovviamente - e per
fortuna - non viviamo in un contesto di totale libero mercato e sussistono anche meccanismi di
regolazione pubblica.
Localizzazione dei servizi al consumatore
Queste idee furono riprese da Walter Christaller nel 1932 quando sviluppa la teoria delle località
centrali in riferimento ai servizi e alle loro aree di mercato considerando in primo luogo la distanza.
Lui dice che le attività di servizio per esistere hanno bisogno di un bacino minimo di consumatore
per comportare ricavi superiori ai costi fissi (SOGLIA). Poi c’è anche l'ampiezza massima dell'area
di mercato intesa come distanza max che i consumatori sono disposti a percorrere (PORTATA).
Tuttavia oltre alla distanza; i prodotti non sono identici (qualità del servizio e preferenze
consumatori), maggiore densità corrisponde a maggiore diversificazione, le agglomerazioni
possono creare economie di scala dal lato della domanda (centri commerciali), barriere di entrata
nel mercato Sussistono comunque portate diverse per servizi diversi da cui discende un maggiore
valore attrattivo degli insediamenti di rango superiore. Questo modello è diventato famoso perché
è estendibile alle funzioni urbane. Ci sono delle gerarchie tra i centri urbani in base ai servizi che
offrono: questo crea dei centri di grado superiore, intermedio e inferiore.
Agglomerazione
Le economie di agglomerazione: si chiamano in questo modo i vantaggi reciproci della vicinanza
tra imprese che rappresentano un fattore centrale per spiegare la concentrazione, ma anche la
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produttività e la competitività e i diversi gradi di sviluppo territoriale. Alfred Marshall nel 1890 definì
tali vantaggi “economie esterne di scala” contrapponendole alle economie interne di scala
(specializzazione interna). Le economie esterne consistono in una rete di relazioni tra le imprese di
un certo contesto che si scambiano servizi reciproci e possono condurre a una “divisione sociale
del lavoro” a scala locale. Non dipendono dalle caratteristiche delle imprese, né dalla loro
dimensione, ma dal luogo dove queste si localizzano. Sono vantaggi di cui le imprese possono
godere in maniera gratuita grazie alla prossimità di altre imprese. Ogni impresa partecipa a una
parte del processo produttivo svolgendo una specifica mansione. Tale logica del vantaggio
reciproco è alla base della concentrazione delle imprese. Il contesto spaziale di localizzazione è
quindi un elemento in grado di fornire vantaggi.
Le economie di localizzazione vanno distinte da quelle di urbanizzazione, ovvero derivanti dalla
mera presenza delle città e densità urbana: infrastrutture, accessibilità, bacino di manodopera,
servizi ausiliari, scambio di idee e conoscenze, opportunità di creare sinergie. Possono essere
godute da qualsiasi impresa, sono esterne al settore produttivo e spiegano l’agglomerazione di
imprese.
Le economie di localizzazione sono invece interne ai settori produttivi (ma esterne alla singola
impresa). Ne possiamo individuare 4 tipi (secondo Marshall):
- sviluppo di un bacino di lavoro specializzato; un bacino di manodopera specializzato, che abbia
certe competenze e che sia in grado di occuparsi di quella mansione. Queste competenze non
sono distribuite equamente, ma dipendono dalla (?)
- sviluppo di servizi e prodotti specializzati rispetto alle esigenze del processo produttivo;
- sviluppo di interdipendenze nella divisione sociale del lavoro;
-“atmosfera industriale” serie di elementi invisibili che costituiscono l’atmosfera del contesto.
Facilitano imprenditoria, innovazione e trasferimento tecnologico. Le economie di localizzazione
aiutano a spiegare la specializzazione regionale, ovvero la presenza di determinati cluster di
imprese in diverse aree orientati a determinati prodotti.
Dis-economie di agglomerazione e persistenza dei vantaggi: Le economie esterne ci aiutano a
comprendere anche le logiche alla base dei processi di urbanizzazione, specie se consideriamo
che possono esserci anche economie esterne dal lato della domanda, non solo di tipo economico
ma anche relazionale e culturale. La concentrazione non è solo un vantaggio ma può comportare
dei vantaggi: c’è troppa competizione, maggiori costi generali, costo del lavoro (quando aumenta il
benessere aumentano gli stipendi), congestione, esternalità ambientali e sociali. Le dis-economie
possono presentarsi con il procedere del processo di sviluppo rendendo instabile la configurazione
dell’agglomerazione (si pensi alla crescita del costo del lavoro).
Nonostante la globalizzazione abbia ridotto la “tirannia della distanza” per le scelte localizzative
delle imprese si assiste in forma crescente a fenomeni di agglomerazione spaziale perché le
economie esterne possono essere molto specifiche e godute solo in alcune località, divenendo
ancor più fondamentali in un contesto a elevata competizione. Lo sviluppo polarizzato
Se in un luogo non c'è niente come si dà luogo ad agglomerazione delle imprese. Qui vengono in
soccorso diversi studi.
Sviluppo Polarizzato: sviluppo che si inaugura con la crescita di una determinata impresa. La
polarizzazione dei processi (o sviluppo polarizzato) è uno sviluppo che di solito si inaugura con
l’insediamento di un’azienda di grandi dimensioni e molto specializzate internamente. Questo è
quello che è avvenuto in Europa e negli Stati Uniti a fine 800 inizio 900, anni in cui si è passato da
economie manifatturiere a vere e proprie economie industriali. Per l’economista Gunnar Myrdal
(1957) lo sviluppo si attiva in un determinato contesto grazie alla presenza di un’impresa
competitiva che determina un circolo virtuoso con diverse azioni e retroazioni positive. Lo sviluppo
si irradia quindi da un polo: un’impresa madre che può divenire catalizzatrice e che genera effetti
diretti (salari), indiretti (attrazione altre imprese) e indotti (nuove attività per rispondere ai bisogni,
fiscalità, investimenti pubblici e privati). Questi effetti dovuti al consolidamento del polo di sviluppo
si rinforzano reciprocamente in un processo di tipo cumulativo rendendo le località un luogo
privilegiato per l’insediamento di attività economiche. Il consolidamento di un certo polo di sviluppo
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genera quindi una notevole forza di attrazione perché l’impresa ha bisogno di lavoratori e di
risorse: capitali finanziari, materie prime, capacità lavorative. L’impresa madre non è in grado di
appropriarsi interamente dei benefici connessi ai suoi investimenti. La polarizzazione industriale
determina effetti quantitativi ma anche qualitativi, rafforzando il capitale umano, sociale e
organizzativo locale. Questo, però, non può avvenire ovunque, ma solo in certi poli →
disuguaglianze tra territori, spostamenti di persone - rendendo necessari degli interventi pubblici
per portare imprese motrici dove queste non sarebbero nate grazie all’investimento privato
(sviluppo indotto). La localizzazione di una nuova impresa porta in un certo contesto una crescita
dell’occupazione, che aumenta il benessere, cresce la popolazione, ciò attrae e permette lo
sviluppo di nuove imprese e servizi; aumenta la possibilità di tassare e far entrare risorse dal punto
di vista economico e investirle per servizi di cui la popolazione ha bisogno.
Interdipendenza e il ruolo del potere
Perroux, seguendo il ragionamento sulla polarizzazione, considera il ruolo del potere (esercitato
dalle grandi aziende rispetto alle piccole imprese che si trovano ad un livello di subordinazione e si
troveranno a subire le decisioni di quest’ultima: prezzi, delocalizzazioni, forniture) nello spazio
economico e le relazioni asimmetriche di interdipendenza. Queste forme di dipendenza non
riguardano solo le imprese ma si manifestano anche tra località e regioni. Ciascuna regione si
organizza attorno a delle imprese propulsive che esercitano il proprio potere nella loro zona di
influenza economica, soprattutto a livello locale. Lo sviluppo industriale tende quindi a generare
differenze territoriali sia a livello nazionale (urbano/rurale) sia al di fuori degli spazi di sovranità
nazionale.
Poli di sviluppo nel Mezzogiorno
A partire dagli anni Cinquanta le teorie dello sviluppo polarizzato guidano le strategie di
industrializzazione indotta nelle aree depresse dei paesi avanzati e nei paesi in via di sviluppo.
Tra gli anni ‘60 e ‘80 in Italia venne istituita la Cassa del Mezzogiorno con la quale sono stati creati
diversi poli produttivi.
Hanno permesso di creare lavoro e distribuire salari a fronte di importanti investimenti pubblici,
tuttavia non hanno diminuito il divario Nord-Sud né prodotto in tutti i casi poli di sviluppo come
concepiti nelle teorie. Tra i problemi principali: scarsa imprenditorialità (bassi effetti indiretti) e
carenza capitale umano. Le industrie utilizzavano beni, tecnologie e personale spesso proveniente
dal Nord e vendevano i prodotti altrove. Finirono in molti casi in un isolamento funzionale rispetto
alle economie locali. Si trattava spesso di industrie ad alta intensità di capitale totalmente estranee
alla tradizione manifatturiera dei contesti localizzativi. Fallimento o strumenti applicati male? →
l’idea era buona, ma è stata applicata male. La Cassa del Mezzogiorno venne chiusa come
strategia nel corso degli anni Ottanta. Tra i suoi principali problemi vanno evidenziati l’eccessiva
frammentazione degli investimenti (da 3 a 48 poli di sviluppo) e la scelta di settori come l’industria
pesante che è entrata in profonda sofferenza già dagli anni Settanta. Inoltre c’era il problema
dell’utilizzo delle risorse per investimenti che non stimolavano produttività e innovazione:
infrastrutture e sussidi diretti alle imprese che non stimolavano la responsabilità. Scarsa
considerazione nelle scelte localizzative dell’atmosfera industriale.
Geografia degli squilibri
Squilibri e periferie → dato che lo sviluppo economico non si diffonde uniformemente sul territorio
si assiste a diverse forme di squilibrio che sono visibili a differenti scale: urbano/rurale,
interregionale, nazionale e internazionale. Si creano quindi centri e periferie di diverso tipo,
pienamente rispondenti a dinamiche di controllo (politico, economico, culturale) e subordinazione
(drenaggio risorse umane e di capitali) → dinamiche di controllo e subordinazione. Lo svantaggio
relativo di alcune aree in molti casi ha effetti cumulativi e perduranti nel tempo fino ad acquisire
caratteri che portano allo spopolamento delle stesse. Le aree maggiormente interessate sono
quelle marginali da un punto di vista geografico e infrastrutturale, che nel corso degli anni non
sono state interessate da processi di sviluppo duraturo o hanno perso la centralità che un tempo
detenevano.
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In Italia ha particolare rilevanza la questione delle aree interne rispetto alla quale è stata redatta
una vera e propria strategia di intervento per il riequilibrio territoriale.
Politiche europee di sviluppo regionale.
Gli Obiettivi: coesione economica, sociale, territoriale.
Concetti chiave: integrazione settoriale, regionalizzazione, governance multilivello.
Oggi ancora più orientate verso la specializzazione macroregionale in termini di regioni funzionali
che travalicano i confini statali.

Dal fordismo al post-fordismo


Lo sviluppo industriale è stato caratterizzato per l’emergere di alcuni settori, che hanno
caratterizzato le rivoluzioni industriali. In particolare si parte dall’artigianato fino alla
industrializzazione. Il legame tra organizzazione industriale, localizzazione delle imprese, rapporto
con il territorio e costruzione della società. In particolare intorno agli anni 70 del secolo scorso il
paesaggio economico nei paesi occidentali è stato fortemente caratterizzato da un sistema di
produzione industriale che ha avuto la sua origine presso le imprese automobilistiche di Henry
Ford e grazie all’applicazione dei metodi scientifici di organizzazione del lavoro proposti da Taylor.
Per migliorare l’efficienza produttiva e produrre la massima quantità al minimo costo,
l’organizzazione delle fabbriche doveva consentire di semplificare e velocizzare al massimo
qualsiasi operazione lavorativa attraverso la meccanizzazione del ciclo produttivo e la
specializzazione dei lavoratori.
TAYLORISMO
Frederick Taylor (1911) era un economista che si preoccupava di capire come il lavoro dentro le
fabbriche in USA e UK potesse diventare più produttivo. Lui quindi riprese alcune teorie di Smith e
propose i Principi dell’organizzazione scientifica del lavoro. Propose la scomposizione del
processo produttivo di un bene in una serie di operazioni elementari (a basso livello di
specializzazione) attraverso la catena di montaggio. Diminuzione dei tempi necessari e crescita
dimensionale delle imprese per avere economie di scala interne - dei vantaggi che derivano dalla
scomposizione del ciclo produttivo.
Forza lavoro: si avevano meno operatori qualificati in favore di operai generici. Il lavoro era
ripetitivo e caratterizzato da un costante ricambio di manodopera.
FORDISMO
Prende dal Taylorismo la scomposizione del ciclo produttivo, ma lo unisce ad una sorta di
intervento di carattere sociale. Modello di organizzazione produttiva e sociale inaugurato da Henry
Ford che ha caratterizzato i paesi avanzati fino agli anni Settanta. Affiancava al lavoro dei servizi
sociali.
Produzione: taylorismo e divisione tecnica del lavoro (catena/reparti), grandi impianti, beni
standardizzati e a basso costo per il consumo di massa, magazzino.
Nuovo sistema di relazioni tra impresa e dipendenti: miglioramento rapporti economici (salario
minimo, 8h), rapporti sociali (operatori sociali), produzione-risparmio-consumo, controllo
dell’impresa sui modelli di consumo e gli stili di vita (interventi sociali, organizzazione attività, cité
industrielle) - Produzione di individui disciplinati al lavoro in fabbrica e al consumo dei beni prodotti
dalle stesse in un contesto di occupazione stabile. Impresa come “cuore” dell’organizzazione
sociale: benessere legato al nesso tra aumento produzione, espansione mercati, tassazione
redditi, sviluppo attrezzature collettive (circolo “virtuoso” dello sviluppo) - fordismo-keynesismo
come sistema di regolazione economica e politica in cui l’aumento della produzione corrisponde a
quello del benessere. Questo modello ha plasmato le democrazie occidentale. L'industria
trascinava l’economia - produceva benessere/reddito che andava di pari passo con la produzione
delle fabbriche. Molti diritti che ora noi abbiamo, derivano da questo circolo virtuoso dello sviluppo.
LA CRISI DEL FORDISMO-KEYNESISMO
Questo sistema poggiava su alcune condizioni come la continua crescita produttiva, la stabilità
internazionale, la costante espansione dei mercati, la stabilità dei cambi monetari e del costo delle
materie prime, il forte controllo e coordinamento della produzione che cominciano a venir meno
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negli anni Settanta Per diverse ragioni: le crisi petrolifere - shock che comportò maggiori costi di
produzione in particolare per il trasporto delle merci + conflitti sociali (proteste dei dipendenti) +
accenni di globalizzazione che portava una crescita di competizioni a carattere globale.
Le rigidità di una ’impresa sempre più grande e macchinosa si scontra con un contesto sempre più
dinamico (domanda che richiede diversificazione) in primo luogo la sua considerevole integrazione
verticale (controllo diretto e internalizzazione filiera produttiva), si scontrano con un contesto
sempre più competitivo, dinamico e imprevedibile, oltre che con modelli di consumo che divengono
sempre più eterogenei. L’insieme di questi fenomeni incide sul rendimento economico delle
imprese (che cercano di adottare varie strategie per tenere basso i costi di lavoro) e si ricorre a
strategie per abbassare il costo del lavoro (automazione, delocalizzazione, precarizzazione) e
aumentare la produttività. Con la crisi di molte industrie, in primis pesanti, viene meno il
funzionamento del circolo “virtuoso” e si assiste al progressivo indebolimento dei sistemi di welfare
che si poggiavano su di esso.
TRANSIZIONE POST-FORDISTA
La necessità di diversificare i prodotti e della velocità della produzione → rispondere in modo
dinamico a condizioni meno prevedibili comportano la transizione verso sistemi di produzione
maggiormente flessibili e disintegrati che hanno l’obiettivo di abbassare il costo del lavoro e di
aumentare l’adattabilità a un contesto tecnologico e di mercato molto dinamico.
Dei modelli che Michael Piore e Charles Sabel (1984) definiscono come forme produttive di
specializzazione flessibile, hanno a che fare con la Disintegrazione verticale: il processo produttivo
è scomposto in diversi impianti che potevano essere anche in paesi diversi. Vengono
esternalizzate le fasi della produzione meno competitive specializzazione dei fornitori,
decentramento produttivo, riduzione dimensione degli impianti. Questo comporta una dispersione
delle attività produttive, ma la necessità di maggiore relazione tra diversi impianti produttivi. Altre
caratteristiche di questo modello sono: la ripartizione dei rischi tra più aziende, precarizzazione del
lavoro, minore conflittualità sindacale, processo produttivo frammentato in catene di appalti e
subappalti, maggiore interdipendenza.
Questi processi avvengono all’interno di una graduale ristrutturazione del peso relativo rivestito dai
settori economici.
La doppia convergenza
A queste dinamiche di trasformazione si associano tendenze in qualche modo contrastanti di
dispersione e concentrazione, le cui configurazioni danno luogo a specifici modelli di produzione.
- formazione di imprese private di carattere internazionale (multinazionali) che organizzano il
loro ciclo produttivo in diversi stabilimenti in varie aree del mondo da cui possono trarre vantaggio
(imprese globali). Grandi corporation transnazionali disperse su una pluralità di siti produttivi.
Forte peso economie interne all’azienda ma non al sito (in casi estremi imprese senza produzione
diretta).
- formazione di sistemi locali, concentrazioni di imprese, piccole e medie imprese autonome
che si organizzano in distretti industriali o cluster e che partecipano collettivamente alla
produzione di prodotti dello stesso settore o di uno stesso prodotto (sistemi locali) Imprese
globali:
La doppia convergenza esprime come le grandi imprese siano sempre più frammentate mentre le
piccole siano sempre più connesse in un sistema industriale che segue configurazioni a rete. In
ogni caso l’obiettivo è accrescere la flessibilità e la specializzazione sfruttando lo sviluppo dei
trasporti e delle tecnologie informatiche.
I sistemi locali di produzione
I distretti industriali italiani: Sono un caso molto particolare di sistemi locali di produzione tipico del
post-fordismo e della specializzazione flessibile, particolarmente diffuso in Italia. C’è una forte
diversificazione. Sono caratterizzati da: divisione sociale del lavoro tra piccole imprese
colocalizzate (localizzate nello stesso contesto) e collegate a reti di fornitori sia interni che esterni
al distretto (talvolta singoli individui con lavoro a domicilio). I distretti italiani sono specializzati in
produzioni ad alta intensità di lavoro tipiche dell’industria leggera. Dunque si collocano in settori
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molto concorrenziali, peraltro interessati da domanda differenziale e mercati instabili. Per tali
ragioni devono continuamente innovare i prodotti e rispondere con flessibilità alle dinamiche della
domanda contenendo i costi di produzione. I distretti hanno alle spalle una lunga storia di
specializzazione manifatturiera che muove dalla conoscenza contestuale di tecniche di produzione
artigianali.
Sono molto radicate al luogo: nascono dalla progressiva industrializzazione degli aspetti di
carattere artigianale locale. L’industrializzazione di queste tecniche è avvenuta attraverso la
crescente complessificazione delle relazioni fra imprese autonome piuttosto che tramite la crescita
dimensionale degli impianti. Sviluppo di relazioni input-output, numerose economie esterne e
forme di auto-contenimento geografico dei processi produttivi. Questo modello produttivo si riflette
nel radicamento sociale e territoriale del distretto. Sono state molto importanti per il benessere
della località cresciuta da un punto di vista qualitativo ma non solo. Giacomo Becattini che per
primo introduce negli anni Settanta il concetto di distretto osserva come questi siano incorporati
nei territori e funzionino sulla base di elementi di natura non economica: fiducia reciproca,
omogeneità sociale e culturale, relazioni stabili e affidabili, etica del lavoro, collaborazione.
Terza Italia e industrializzazione senza fratture del Centro-Nord poggiano sulla valorizzazione degli
elementi contestuali e su una cinghia di trasmissione tra politica e società (uno specifico circolo
virtuoso a scala locale). Nuovi spazi industriali: (Toyotismo) L’evoluzione verso sistemi di
produzione a rete influisce sulle scelte localizzative delle imprese che non possono più essere
comprese nella loro individualità. Assume peso la posizione organizzativa e geografica all’interno
dei processi produttivi: la vicinanza con imprese simili e impegnate nello stesso processo facilita il
coordinamento della produzione, i trasferimenti di conoscenza e gli scambi materiali.
Toyotismo: configurazione intermedia tra produzione di massa e produzione flessibile incentrata
sull’automazione (jidoka) e il just-in-time con coordinamento di un’azienda leader. Produzione
dopo domanda, ordini frequenti, intensità scambi facilitano la vicinanza.
Esempio → Toyota City (Nagoya), Boeing a Seattle, Sun belt, Francia del Sud, Italia Centro-Nord
sono regioni che conoscono dagli anni Settanta forme di sviluppo incentrate su diverse
configurazioni di specializzazione flessibile e che in precedenza erano state scarsamente
interessate dallo sviluppo fordista. Condizioni localizzative con forte variabilità settoriale e
temporale producono nuovi spazi industriali con specifiche ecologie di relazioni economiche e
sociali.
Cluster e polarizzazione spaziale
Il grado di concentrazione geografica dei vari settori produttivi in ogni caso cresce piuttosto che
ridursi. Secondo la teoria del vantaggio competitivo di Michael J. Porter le imprese competitive si
concentrano in particolari regioni secondo cluster specializzati formati da imprese, fornitori di beni
e servizi, università e centri di ricerca fortemente connessi. La specificità geografica che genera il
vantaggio competitivo non è quindi riproducibile ovunque. La globalizzazione riduce i vincoli al
movimento di beni, investimenti e informazioni e questi tendono a concentrarsi dove si riscontrano
specificità in grado di accrescerne il valore. Il cluster è una categoria più ampia del distretto che
tiene al suo interno diverse configurazioni di sistemi produttivi. Le differenze non riguardano
soltanto le modalità di produzione ma anche il rapporto tra le imprese e il territorio che le ospita.
Modelli organizzativi delle imprese
Ogni singola impresa può avere differenti modelli organizzativi in base al rapporto tra economie di
scala interne ed esterne, così come al rapporto tra dispersione geografica e governance del
sistema di produzione.
Autonomia: minima nel caso di integrazione verticale e massima nel caso di disintegrazione.
Dispersione: minima nel caso di produzione interna a un solo sito o di relazioni auto-contenute e
massima nel caso di più siti produttivi disposti in diverse regioni. Il modello organizzativo adottato
sarà associato a delle scelte (ma anche a vincoli) relative a cosa un’impresa decide di fare al
proprio interno e cosa intende esternalizzare, cosa vuole produrre in un certo luogo e cosa in un
altro.
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Sulla base di quali criteri viene operata questa scelta? Perché le imprese spesso preferiscono
produrre al proprio interno piuttosto che comprare? I costi di transazione
L’acquisto sul mercato comporta molti vantaggi ma è soggetto ai costi di transazione, ovvero a
livelli di incertezza legati a variabili non economiche che tuttavia influiscono sotto il profilo
economico. L’impresa non ha solo bisogno di risparmiare ma di rendere affidabile e prevedibile lo
scambio ottenendo gli input necessari al momento richiesto. Per questo l’esternalizzazione è
possibile solo a certe condizioni e spesso i fornitori vengono scelti sulla base della fiducia, della
reputazione, della conoscenza, dei contratti di fornitura, piuttosto che sulla base della convenienza
economica. I costi di transazione dipendono anche dalla complessità della fornitura richiesta: non
sempre c’è convenienza a trasferire conoscenza (know how) e tecnologie, anche per il rischio che
queste siano cedute ad altri. Per tali ragioni le imprese esternalizzano solo le parti standardizzate
del prodotto, caratterizzate da mercati concorrenziali con bassi margini di profitto. L’affidabilità
della transazione è inoltre sottoposta a rischi di natura esterna derivanti dalla stabilità politica dei
contesti di produzione.
Capitale sociale e sviluppo locale
Le istituzioni: I fattori non economici sono fondamentali per coordinare la produzione e sostenere
le reti di relazioni tra imprese e anche per comprendere come l’economia di mercato funziona nella
realtà. Karl Polanyi è stato uno dei primi a sostenere che l’economia di mercato non è solo
sostenuta dalla ricerca del profitto da parte di individui razionali ma da densi complessi di forme di
regolazione formali e informali (stato, religione, credenze). A sostenere la competitività dei cluster
sono le istituzioni pubbliche con il loro sistema di regolazione (normative, stabilità, supporto) ma
anche e soprattutto le istituzioni intermedie (consorzi, associazioni, fondazioni). Le istituzioni
intermedie sono fondamentali nei cluster perché permettono alle piccole imprese di perseguire
orientamenti comuni e di innovare, superando i problemi della piccola dimensione aziendale.
Accanto a queste istituzioni formali ne esistono anche di informali. Sono convenzioni sociali
implicite o esplicite che facilitano la cooperazione e l’azione economica (sanzioni sociali, taboo,
consuetudini, tradizioni, codici di condotta…).
Capitale sociale: In sociologia, consiste nella rete di relazioni interpersonali che consentono la
realizzazione sociale ed economica degli individui: parentele, amicizie, conoscenze (importanza
per ricerca lavoro).Dimensione collettiva e contestuale: ogni gruppo sociale o località è tenuto
insieme da relazioni interpersonali più o meno dense, coese o aperte. Dimensione organizzativa:
le relazioni sociali possono essere più o meno coordinate e organizzate da istituzioni formali. Il
capitale sociale può quindi facilitare le relazioni economiche e di conseguenza lo sviluppo locale
superando gli atteggiamenti individualistici di cattura della rendita. Robert Putnam (1993) ha
ricondotto le diverse forme di sviluppo socio-economico dei territori italiani al capitale sociale,
inteso come diverso grado di senso civico dovuto al differente percorso di sviluppo politico (è
stato anche criticato per questo perché il capitale sociale non è necessariamente positivo: non
conta la quantità di capitale sociale ma il suo orientamento). Radicamento e legami
Il sistema economico e il sistema sociale si sostengono a vicenda in un processo di coevoluzione.
Relazioni sociali ed economiche sono indistinguibili. Mark Granovetter ha messo in luce come
l’agire economico non sia condizionato solo dal contesto sociale ma radicato in vere e proprie reti
di relazioni interpersonali che permettono lo scambio di informazioni. Più le informazioni sono
affidabili maggiore è il grado di fiducia rispetto alla fonte (dove cerco un idraulico?). Social
network analysis: legami forti (famiglia, subordinazione gerarchica) e legami deboli (amicizie,
conoscenze). I legami deboli sono fondamentali per l’agire economico e per connettere
all’esterno specifici gruppi.
Nuovo regionalismo e sviluppo locale
Negli anni Novanta, la rivalutazione delle basi dello sviluppo economico ha comportato una
“riscoperta del locale” come unità di governo dei processi economici e sociali. Concorrenza non
più tra nazioni ma tra territori. Nell’ambito delle politiche questo comporta il passaggio da sistemi di
incentivi e intervento gestiti dallo stato e ovunque simili a strategie mirate sulle unità territoriali.
Obiettivo non più quello di indurre la localizzazione di imprese esterne ma di favorire la nascita di
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imprese locali e il consolidamento delle loro specificità produttive. A tali nuovi orientamenti
corrisponde un processo di rescaling (sovranità ceduta dagli stati verso l’alto e verso il basso) e di
governance multilivello (complesso di attori pubblici, privati e intermedi).Approccio territoriale delle
politiche e non più settoriale. Lo sviluppo si crea con il miglioramento del territorio nel suo
complesso secondo un approccio place-based.
Sistemi regionali di innovazione
L’innovazione è un elemento fondamentale, in primo luogo perché permette di avere nuovi prodotti
che rispondono alle domande. II prodotti non sono realizzati solo dalle industrie, ma queste fanno
sempre più parte del settore terziario.
Tecnopoli: Il modello localizzato dei cluster non riguarda solo il settore industriale ma si riscontra
anche in altri ambiti caratterizzati da alto consumo di conoscenze e tecnologie.Nel caso di imprese
tecnologiche si parla di tecnopoli caratterizzate da concentrazione di imprese autonome e da
laboratori di ricerca e sviluppo di grandi imprese. Presentano una forte concentrazione di
personale altamente qualificato e si trovano in prossimità di università e centri di ricerca. Molte
start-up spesso sostenute da incubatori. Rilevanza degli spin-off universitari e industriali. Luoghi
dell’innovazione e della sperimentazione con alti tassi di fallimento ma anche immenso successo
nei casi di funzionamento. Meccanismi simili ai distretti marshalliani (labour pool) ma con ruolo
specifico della conoscenza: spesso non è trattenuta all’interno dell’impresa ma “fatta circolare”
tramite collaborazioni formali tra imprese, la circolazione informale di informazioni.
Learning regions: in un’economia della conoscenza la concentrazione di imprese, il processo
tecnologico e lo sviluppo regionale sono profondamente legati.
Capitale umano e creativo
Il capitale umano ha un ruolo centrale nella produzione di innovazioni, per le imprese e per i
territori che le ospitano. Determinante è quindi la capacità dei luoghi di sviluppare e attrarre
capitale umano altamente formato e altamente innovativo investendo nel sistema formativo, nella
ricerca e ospitando imprese innovative. Per Richard Florida una risorsa fondamentale per la
moderna economia è la creatività intesa come capacità di produrre innovazione anche in settori
non tecnologici come editoria, industria culturale e svago. Il capitale creativo passa attraverso tre
T: Tecnologia, Talento, Tolleranza proprie di grandi città vivaci e dinamiche dal punto di vista
culturale che risultano in grado di attrarre la “classe creativa”. Non solo persone di “talento”
fluiscono verso le “città creative” ma la stessa localizzazione delle attività economiche “creative” è
guidata dalle scelte residenziali di queste persone. Conoscenza tacita e contatti face-to-face
Le modalità di produzione e circolazione delle informazioni e delle conoscenze influenzano in
maniera cruciale l’organizzazione spaziale dei processi produttivi rendendo indispensabili le
relazioni di prossimità. Le reti economiche sono infatti tenute assieme in primo luogo da relazioni.
Lo sviluppo di un luogo non dipende solo dalle attività economiche che contiene ma in misura
crescente dal patrimonio di conoscenze, creatività e capacità delle persone che lo abitano.
Distinzione tra conoscenze codificabili e non codificabili di tipo tacito e contestuale. Le conoscenze
tacite necessitano della compresenza per essere apprese mentre le codificabili sono riproducibili in
forma scritta. Questo rende le relazioni interpersonali ancora più importanti. Possiamo anche
svilupparle sulla lunga distanza ma hanno necessità di essere costantemente “rinfrescate” dal
contatto in presenza.

Imprese transazionali
Internazionalizzazione delle imprese
La globalizzazione si associa all’internazionalizzazione delle imprese e al crescente
coinvolgimento di queste in attività che si svolgono all’estero. Le esportazioni di beni e servizi a
livello globale arrivano a essere il 30% del PIL (media globale). Tali attività possono essere di tipo
commerciale (import/export), finanziario (investimenti in quote societarie) e produttivo (investimenti
per controllo attività).
Impresa multinazionale: interessata ad investire in un altro stato rispetto alla sua sede per diversi
tipi di convenienza: questo porta ad avere stabilimenti sparsi nel mondo, proprio per questo loro
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godono/traggono vantaggio dalla divisione del ciclo produttivo in diversi stabilimenti → economia
interna all’impresa ma esterna al singolo stabilimento produttivo. La scomposizione del processo
produttivo avviene tra diversi stabilimenti più che avvenire in un'unica grande sede. La loro crescita
dimensionale è spesso connessa alla moltiplicazione e dispersione delle attività produttive. Sono
attori chiave della “compressione spazio-temporale”, ovvero dell’esigenza del capitalismo di
estendere le reti di produzione e scambio nello spazio e di accelerare i processi di accumulazione
dei profitti. Si stimano oggi ca. 60.000 imprese multinazionali che controllano oltre 500.000 filiali.
Queste imprese sono responsabili di oltre la metà del commercio internazionale, specialmente di
quella parte che avviene tra filiali.
Origini e sviluppo delle multinazionali
Le imprese multinazionali derivano dal XVI secolo con lo sviluppo delle Compagnie delle Indie
(spedizioni navali che partivano dai porti portoghesi per arrivare nell’oriente e commerciare con le
popolazioni locali. Aveva il monopolio del commercio su specifiche aree geografiche) + lo sviluppo
della finanza (un meccanismo con il quale si cerca di prestare dei soldi ha delle imprese che
otterranno profitti maggiori e che redistribuiranno in qualche modo gli utili) + la colonizzazione.
Questo è il primo esempio di multinazionali definita di prima generazione → svolgeva
essenzialmente attività di tipo commerciale. Le prime imprese multinazionali moderne si
sviluppano dai primi del Novecento in settori legati all’estrazione e alla produzione agroalimentare.
Per queste imprese il vantaggio specifico per produrre all’estero è dato dalla presenza di materie
prime e condizioni favorevoli di tipo sia climatico che di costo (e condizioni) della produzione.
Multinazionali di seconda generazione
Nel secondo dopoguerra si parla di multinazionali molto più vicine a quelle dei nostri giorni.
L’internazionalizzazione tende a riguardare anche altri settori come quello manifatturiero che
comincia a presentare convenienza di vario tipo (liberalizzazione commercio, trasporto, contrasto
al protezionismo). Questo permette alle imprese di ottenere vantaggi diversi a seconda dei casi:
ottenere minori costi produttivi (se vado a localizzare il mio stabilimento dove il lavoro costa meno
è chiaro che ho un vantaggio per quanto riguarda i costi di produzione) stare più vicino ai mercati
di sbocco delle proprie merci (è il vantaggio principale: uno dei motivi per cui si assiste a
investimenti esteri è essenzialmente quello di avvicinarsi ai mercati di sbocco). Gli investimenti non
sono solo legati al costo degli input (come spesso si crede) ma in molti casi risultano “guidati dal
mercato”. I beni prodotti possono adattarsi alle specificità del mercato locale o essere ovunque
identici (esempio → Nutella).
Modelli di organizzazione spaziale
Vediamo come si organizzano le singole imprese.
Investimenti diretti orizzontali: replicano all’estero le medesime unità produttive presenti nel paese
di origine allo scopo di avvicinarsi ai mercati di sbocco.
Investimenti diretti verticali: scomposizione e rilocalizzazione del ciclo produttivo legate
principalmente a convenienze nei fattori di costo.
Queste forme di investimento possono dar luogo a diverse geografie produttive e ultimamente
sono in crescita gli investimenti legati a fattori di costo oltre al permanere di quelli orientati dal
mercato. Precondizioni per l’esistenza dell’impresa transnazionale verticalmente integrata: -
organizzazione post-fordista della produzione, - bassi costi trasporto.
- comunicazione, riduzione barriere tariffarie (dazi doganali).
Modelli organizzativi e fattori di localizzazione
Gran parte delle attuali imprese multinazionali adotta strategie di forte integrazione verticale
all’interno delle proprie filiere per poter controllare direttamente unità produttive localizzate in
contesti distanti. Si parla di imprese multifunzionali e multi-impianto in cui la produzione è
spazialmente separata dalle funzioni di controllo, amministrazione e sviluppo. Solitamente ci si
trova in una condizione in cui le funzioni di controllo, amministrazione e di sviluppo sono separate
da quelle di carattere produttivo.
Mentre il controllo si accentra la produzione si disperde. Le scelte localizzative sono influenzate
dall’ampiezza del mercato target e dalla prossimità relazionale tra luogo di origine e di
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destinazione dell’investimento, pur trovandosi in uno spazio globalizzato in cui la distanza viene
superata in molte occasioni, la distanza rimane un aspetto centrale se intesa in modo relazionale:
affinità linguistiche, culturali, istituzionali che riducono i margini di incertezza. Altri fattori
localizzativi importanti sono le politiche ambientali (cioè ci sono molti paesi in via di sviluppo che
pur di attrarre le imprese multinazionali chiedono un occhio rispetto a quelle che sono le
problematiche ambientali) l’atteggiamento dei Paesi di destinazione degli interventi (sebbene in
molti siano alla ricerca di queste imprese, ci sono la paura che queste possano fare più danni che
benefici) e l’affinità con la cultura. Forme di investimento e di controllo L’investimento
all’estero può essere:
- di tipo greenfield con la creazione ex-novo di un’unità in un nuovo contesto.
- di tipo brownfield (prevalente) non si crea dal nulla un nuovo stabilimento, ma si acquista uno già
creato che subirà una riconversione.
Hanno differenti impatti occupazionali ed economici sui territori. Mentre la produzione può
disperdersi rimane intatta la necessità di concentrazione le funzioni di controllo e gestione dove si
può accedere a personale qualificato, informazioni specifiche, servizi avanzati e “connettività” con i
luoghi in cui si trovano gli stabilimenti (ultimamente maggiore “responsabilizzazione” delle filiali).
Gli organi di governo delle multinazionali rispondono a logiche di profitto che possono necessitare
di scelte anche molto drastiche con impatti territoriali rilevanti. Negli ultimi anni minori investimenti
esteri (reshoring) ma accresciute capacità di controllo indiretto delle filiere attraverso
coordinamento delle caratteristiche dei prodotti, tecnologie e modalità di organizzazione industriale
delle imprese fornitrici.
Forme di investimento e di controllo
L’investimento all’estero può essere di tipo greenfield con la creazione ex-novo di un’unità o di tipo
brownfield (prevalente) con la riconversione di un sito produttivo. Hanno differenti impatti
occupazionali ed economici sui territori.
Mentre la produzione può disperdersi rimane intatta la necessità di concentrazione le funzioni di
controllo e gestione dove si può accedere a personale qualificato, informazioni specifiche, servizi
avanzati e “connettività” con i luoghi in cui si trovano gli stabilimenti (ultimamente maggiore
“responsabilizzazione” delle filiali).
Gli organi di governo delle multinazionali rispondono a logiche di profitto che possono necessitare
di scelte anche molto drastiche con impatti territoriali rilevanti.
Negli ultimi anni minori investimenti esteri (reshoring) ma accresciute capacità di controllo indiretto
delle filiere attraverso coordinamento delle caratteristiche dei prodotti, tecnologie e modalità di
organizzazione industriale delle imprese fornitrici.
Catene globali di prodotto
Frammentazione del ciclo produttivo tra fornitori collocati in diversi paesi e coordinati da
multinazionali. Prendono le materie prime da diversi paesi sia per un vantaggio economico sia per
la qualità del prodotto stesso. Tipi di catene globali
→ Catene guidate dal produttore
- prodotti alto contenuto tecnologico (auto, elettronica…),
- producono per settori con una costante innovazione di prodotto e di processo,
- bisogna di grandi quantità di capitali: processi produttivi a medio e alto contenuto di capitale, - ci
sono poche multinazionali che coordinano fornitori: esternalizzano principalmente parti
standardizzate della produzione ad alto contenuto di lavoro (non andranno ad esternalizzare le
parti più innovative, ma quelle che necessitano di molta fatica ma poco innovazione). → Catene
guidate dal consumatore
- settori maturi con prodotti ad alta intensità di lavoro dequalificato (abbigliamento, giocattoli,
prodotti per la casa…),
- mercati a tecnologia relativamente standardizzata
- contano l’innovazione di prodotto, il design, la reputazione e la rete di distribuzione, - esteso
decentramento produttivo con fornitori e subfornitori, fino al caso di imprese senza stabilimenti
(Nike)
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Le due modalità principali attraverso le quali le imprese possono acquisire potere di mercato sono
la reputazione e riconoscibilità del marchio attraverso la catena guidata dal consumatore, e
attraverso il controllo della distribuzione e commercializzazione finale nelle catene guidate dal
produttore. Nel mercato si avranno quindi sempre imprese leader e imprese follower (in ogni tipo di
catena) ciò che le distingue è la capacità di controllare il processo innovativo da una parte e il
mercato di consumo dall’altra. Le reti di produzione sembrano orientarsi verso configurazioni
sempre più globali e deterritorializzate che presentano notevoli passaggi dall’atto di produzione a
quello di consumo. Questo solleva diverse questioni sia di distribuzione degli utili sia di tipo
ambientale.
Prezzo all’origine => a quanto produttore vende la merce al grossista,
Prezzo all’ingrosso => quanto ci guadagna il grossista,
Prezzo al dettaglio => quanto ci guadagna il distributore finale
Governance delle reti transnazionali
Le catene di prodotto sono costituite da quattro elementi principali:
- una struttura di relazioni input-output
- una specifica spazialità
- un contesto istituzionale nel quale si inseriscono e dal quale sono influenzate
- un particolare sistema di governance e di coordinamento che assume diverse configurazioni in
base a:
1) le informazioni e conoscenze per la transazione;
2) la capacità di codifica delle informazioni; 3) la
disponibilità di fornitori specializzati.
Il meccanismo dei contratti regola le relazioni tra impresa fornitrice e acquirente. Si chiamano
impresa leader e impresa follower. Spesso presentano clausole di esclusività (catene di tipo
“captive"). Il committente in questi casi acquisisce il controllo indiretto del fornitore.
La richiesta di fornitura può riguardare anche produzioni altamente differenti e variabili per cui
diviene necessaria una produzione just-in-time (produzione fatta dopo aver ricevuto l’ordine) con
rapidi rapporti e consegne. In questi casi si può assistere alla formazione di cluster denominati
“catene di prodotto relazionali”. L'impresa follower ha la necessità di posizionarsi vicino a quella
leader. Altra soluzione è la “catena di prodotto modulare” che risolve il problema di trasferimento
delle informazioni proprietarie attraverso la produzione di intere componenti (moduli) del bene
finale. Imprese leader dà dei moduli alle imprese follower: ad una dà delle informazioni che le
permettono di creare una parte del processo produttivo; mentre ad un’altra darà altre informazioni
per operare un’altra fase del processo produttivo.
Metodi di industrializzazione e sviluppo globale
Le zone economiche speciali
Possono servire ad attrarre investimenti stranieri in paesi in via di sviluppo permettendo di
superare gli ostacoli tariffari e non tariffari (infrastrutture, servizi) all’esportazione e importazione di
merci. La Cina le ha realizzate con l’esplicito intento di entrare nei circuiti globali della produzione
industriale, riuscendo ad attirare specifici segmenti di processi produttivi. Perché si creano queste
zone, senza dare il vantaggio a tutta la nazione? → forse perché il paese funziona in maniera
diversa, la Cina, per esempio, ha un’economia socialista che vuole contenere questi vantaggi
altrimenti le multinazionali che si collocano in quel contesto potrebbero buttare fuori dal mercato
tutte le imprese locali su cui si fonda il tessuto economico nazionale.
Consistono in liberalizzazioni spazialmente delimitate per non mettere in crisi le piccole e medie
imprese locali e talvolta prevedono che i beni prodotti siano esclusivamente esportati (India). Si
trovano principalmente lungo le coste e le frontiere al fine di sfruttare vantaggi di collegamento o
asimmetrie socio-economiche e istituzionali.
Sistemi produttivi transfrontalieri
Le zone frontaliere sono spesso oggetto di investimenti diretti esteri perché possono essere “teste
di ponte” per servire diverse regioni e presentare diversi vantaggi per il contenimento dei costi di
produzione. Le maquiladoras sono stabilimenti posseduti da soggetti stranieri dove avvengono
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trasformazioni o assemblaggi di componenti in un regime tariffario agevolato e in condizioni di


regolamentazione del lavoro e dell’ambiente vantaggiose per le imprese. Frutto di politica
economica del Messico avviata nel 1965, hanno avuto notevoli effetti occupazionali, di aumento
delle esportazioni e di importazione di valuta estera. In seguito agli accordi NAFTA del 1994 sono
aumentate esponenzialmente (oggi > 3.000). Oltre un milione di lavoratori occupati direttamente,
enorme espansione urbana ed economica dell’area e molte criticità (dualismo, criminalità, funzioni
di controllo permangono negli USA, contrasto con politiche migratorie e tutela dei diritti umani). In
altri casi si possono sviluppare sistemi transfrontalieri “integrative” che non originano dai vantaggi
delle asimmetrie ma da complementarietà dei tessuti produttivi e delle infrastrutture di ricerca
(Medicon Valley nell’Oresund).
Le ZES e gli investimenti esteri nello sviluppo regionale
Possono avere un ruolo nel promuovere l’industrializzazione dei contesti ma molto dipende dalle
relazioni che si stabiliscono tra le multinazionali, i luoghi di destinazione degli investimenti e le altre
imprese presenti. Trasferimenti di tecnologia, sviluppo del capitale umano, della capacità
imprenditoriale e di organizzazione del lavoro sono elementi chiave per valutare gli effetti indiretti.
Processi di upgrading: è l’auspicio che le imprese locali più piccole e subordinate possano
inserirsi nelle catene globali di produzione migliorando la propria posizione nella catena del
prodotto (da attività dequalificate ad attività di fornitura specializzata). Lo sviluppo di molte
economie asiatiche deriva in parte da simili meccanismi (Taiwan-Silicon Valley). Si possono
tuttavia creare anche meccanismi poco qualificanti come nel caso delle multinazionali che
delegano il coordinamento a grandi imprese di sourcing che a loro volta sfruttano i vantaggi degli
sweatshop. Sullo sviluppo regionale rimane comunque evidente l’effetto territorialmente selettivo di
simili forme di investimento che tendono verso la creazione di enclavi economiche e la possibile
creazione di “economie troncate” largamente dipendenti da tecnologie e investimenti stranieri
come nel caso di alcuni paesi che detengono importanti risorse naturali (Angola, Zambia, Congo,
Nigeria…).
La governance globale dell’economia
Le cause, le forme e gli esiti dei processi economici globali sono inscritti in un sistema di
governance multilivello che ha favorito selettive forme di liberalizzazione.
Le istituzioni internazionali
Il periodo postbellico è stato segnato dalla nascita di importanti organizzazioni internazionali che
risultano di fondamentale importanza per comprendere le dinamiche dei sistemi economici
contemporanei. La governance nata dopo la guerra ha permesso una deliberazione dei mercati.
1944 - Conferenza di Bretton Woods (45 paesi) - trattative per superare il protezionismo
economico, individuato come uno dei fattori principali della guerra. Il benessere economico e le
relazioni economiche vengono individuate come elemento cardine di una politica di pacificazione
globale. Si avvia il dibattito per l’istituzione di FMI, World Bank, WTO.
Fondo monetario internazionale
Nato dagli accordi per regolare i rapporti fra valute con un sistema di cambi fissi (entrato in crisi nel
1971) il suo ruolo più importante ha riguardato la concessione di prestiti a lungo termine agli stati
membri in caso di squilibrio della bilancia dei pagamenti. Attore chiave dei piani di aggiustamento
strutturale per i paesi debitori. Nell’accordo istitutivo gli scopi indicati si riferiscono:
- alla promozione della cooperazione monetaria internazionale e della stabilità dei rapporti di
cambio,
- dell’espansione del commercio internazionale,
- alla riduzione degli squilibri nella bilancia dei pagamenti dei paesi membri, attraverso la
concessione, con adeguate garanzie, delle risorse del Fondo per affrontare situazioni di difficoltà.
Organizzazione: sede a Washington DC, è formato dal consiglio dei governatori dei 184 paesi
membri, consiglio esecutivo composto dai 5 paesi con quote maggiori (US,JP,GE,FR,UK) e da
19 eletti a turnazione, direttore esecutivo eletto. Il potere di voto è ponderato a seconda della
quota detenuta e per le decisioni importanti è richiesta maggioranza qualificata dei 2/3 o dei 3/4.
Questo implica che USA e EU hanno di fatto un potere di veto sulle decisioni. Per il suo
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funzionamento il FMI utilizza capitale messo a disposizione dai paesi membri. Il ruolo più noto del
FMI si riferisce alla ristrutturazione del debito estero dei paesi del Sud del mondo, ossia al suo
finanziamento e alla formazione dei cosiddetti piani di aggiustamento strutturale, contenenti le
linee di intervento per lo sviluppo economico cui devono sottostare i paesi per aver accesso ai
finanziamenti del FMI e della Banca Mondiale
Banca mondiale
Nata con l’obiettivo di risanare le economie dei paesi coinvolti nella IIGM ha successivamente
spostato il suo asse di intervento dall’Europa ai paesi in via di sviluppo. Emette prestiti per
finanziare progetti di sviluppo e si occupa anche di lotta alla corruzione, contrasto della povertà,
supporto all’educazione e promozione dello sviluppo sostenibile. A tutti i paesi aderenti è data pari
capacità di voto ma a questo si aggiungono ulteriori diritti di voto concessi in base al contributo
finanziario dato all’organizzazione (USA detengono il 16%, il Giappone l’8%…). Da un punto di
vista sostanziale la Banca Mondiale costituisce parte delle Nazioni Unite, ma la sua struttura
direzionale presenta una fondamentale differenza: la partecipazione come paese membro assicura
una quota di diritti di voto uguale per tutti i paesi, ma ulteriori diritti di voto vengono attribuiti in
dipendenza dei contributi finanziari del paese membro all’organizzazione partecipata.
World trade organization
La WTO prende vita dagli accordi GATT (1948) sul libero scambio relativi alla creazione di un
regolamento internazionale per il commercio estero e la riduzione delle barriere tariffarie
(multilaterali). Nel 1995, l’esigenza di ridefinire i vari accordi sottoscritti si concretizza nella nascita
della WTO che oggi costituisce il massimo organismo internazionale per il commercio di merci,
servizi e per la proprietà intellettuale.
Principi guida:
- liberalizzazione, sono proibite le restrizioni quantitative alle importazioni, così come l’aumento dei
dazi esistenti o l’introduzione di nuovi
- non discriminazione, le politiche commerciali non possono variare nei confronti di paesi differenti.
Non devono esistere politiche diverse tra prodotti nazionali o extra- nazionali
- nazione più favorita, è una specificazione del principio della non discriminazionalità.
Ogni riduzione di un dazio accordata a un paese deve essere concessa anche a tutti gli altri.
Ruolo centrale per la risoluzione delle dispute sul commercio: non ha potere diretto ma
autorizzativo rispetto a ritorsioni. E Per via del suo lavoro verso la promozione di normative
estremamente permissive e liberali in campo ambientale, agro-alimentare, politico-economico e di
brevetti, nonché di strette relazioni con lobby multinazionali, è stata oggetto di numerose critiche,
sfociate in veri e propri movimenti di contestazione.
Il regionalismo sovranazionale
La governance economica non è fatta solo di organismi internazionali ma anche di istituzioni e
accordi a scala regionale. Il regionalismo sovranazionale è inteso come due o più paesi di un’area
che si associano per facilitare gli scambi in una zona economica macro-regionale (NAFTA,
MERCOSUR, ASEAN, UE). Accordi bilaterali, regionali e multilaterali coesistono a livello di
governance globale generando di fatto spinte potenzialmente contrastanti. Gli accordi regionali
sono particolarmente ricercati dai paesi in via di sviluppo con scarso peso negli organismi
internazionali così da favorire l’integrazione tra paesi simili e subordinati. Tali meccanismi mettono
in luce come l’economia globale sia composta da molti livelli e sia costruita politicamente da varie
forze tra cui quelle statali.

Cos’è una città?


E’ un oggetto difficile da spiegare sinteticamente e da delimitare entro confini certi che la
distinguano da altri oggetti. La città è ciò che non è campagna o spazio rurale. Questa definizione
però ha iniziato a perdere di significabilità. La città non è un sottosistema di un più ampio sistema
sociale, come l’economia o la politica, ma un sistema sociale tutto intero che include al suo interno
diversi sottosistemi specializzati (relazioni economiche e politiche, espressioni artistiche
urbane…). Temporalità e spazialità: il fenomeno urbano presenta elementi diversi a seconda del
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luogo in cui si sviluppa e del momento in cui si osserva (cambia nel tempo). Ha dunque un
carattere evolutivo. Ci sono stati molti tentativi di creare una “teoria dell’urbano” pensando la città
come una formazione universale hanno spesso restituito l'andamento di quelle forze dominanti in
grado di caratterizzare certe città, conferendo loro tratti peculiari in un dato periodo storico e in un
dato contesto spaziale e socio-culturale.
Le dimensioni analitiche della città (le stesse che si applicano ai fenomeni sociali) Dimensione
economica → molteplicità attività economiche, mercato e ossatura struttura economica
nazionale.
Dimensione politico-sociale → potere, governo, articolazione classi e strati sociali, organizzazione
interessi collettivi, partecipazione politica e sociale.
Dimensione culturale → città come sede di incontro (e scontro) tra culture diverse ed ambito di
espressioni culturali. Luogo di incontro e di scontro tra culture. Ambito che favorisce la nascita di
centri culturali.
Dimensione ecologica → nel senso più ampio della definizione comune, ovvero è quella che ha a
che fare con la distribuzione di gruppi e attività all’interno dei degli spazi urbani (forma sociale) e
loro conformazione fisica. Ci permette di analizzare la forma sociale dello spazio urbano, i gruppi
sociali e come essi sono distribuiti.
Definizione di città
Primi tentativi di definire la città:
1) Weber - studi sulle caratteristiche delle città europee - osserva che ogni agglomerato di
edifici aveva un’unica caratteristica in comune il fatto che i suoi abitanti non vivevano grazia alla
pastorizia o agricoltura ma vivevano di redditi commerciali e artigianali → quindi definisce la città
come un “mercato”. “ […] sarebbe un insediamento nel quale gli abitanti vivono prevalentemente
non di proventi da attività agricole, bensì di redditi industriali e commerciali. Ogni città in questo
senso del termine è un luogo di mercato”.
2) Marx - concentra l’attenzione sulla differenza tra urbano e rurale. La città si definisce grazie
al suo opposto ed è il primo luogo dove si formano le prime classi sociali: sfruttati e sfruttatori. “la
città è già il fatto della concentrazione della popolazione, degli strumenti di produzione, del
capitale, dei godimenti, dei bisogni, mentre la campagna fa apparire proprio il fatto opposto,
l’isolamento e la separazione” il luogo in cui “Apparve [...] per la prima volta la divisione della
popolazione in due grandi classi, che è fondata sulla divisione del lavoro e sugli strumenti di
produzione”.
3) Simmel - sociologo che camminava nelle strade della Berlino dei primi ‘900 e cominciava
ad osservare come questa città cresceva diventando una forma diversa rispetto a quello che era
prima, diventando una metropoli. Nella metropoli è importante il consumo di bene e di servizi e
l'individualismo: le persone vivono in un modo strumentale e diverso dalle comunità rurali “la
metropoli è la sede del commercio ed è in essa che l'acquisto delle cose appare in un modo ben
diverso che nelle economie più semplici. È anche la sede peculiare dell'atteggiamento blasé
dovuto allo stimolo delle energie nervose degli individui”.
4) Park - osservava la Chicago degli anni ‘30, la città non era un insieme di edifici o un
mercato, ma era un corpo di consumi e tradizioni → città come fenomeno culturale "La città è
piuttosto uno stato d'animo, un corpo di costumi e di tradizioni, di atteggiamenti e di sentimenti
organizzati entro questi costumi e trasmessi mediante questa tradizione”
5) Wirth - concordava con Park ma aggiunge che la città ha a che fare con la densità, la
dimensione e la permanenza. “Una città può essere definita come uno stanziamento relativamente
grande, denso e permanente di individui socialmente eterogenei”.
6) Lefebvre - la definizione più vicina ai nostri giorni - mette assieme tutti questi sguardi sopra
definiti → la città è una dimensione sociale proiettata in scala locale.
La città è “un tutto; [...] proietta sul suolo una società nella sua interezza, una totalità sociale o una
società considerata come totalità, compresa la sua cultura, le sue istituzioni, la sua etica, i suoi
valori, in breve le sue sovrastrutture, compresa la sua base economica e i rapporti sociali che
costituiscono la sua struttura propriamente detta”
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Una definizione più geografica → “Una città è un insediamento agglomerato che ospita una
quantità di fatti culturali, sociali, economici e politici che vanno oltre la realtà fisica
dell’agglomerazione di edifici, di infrastrutture e di abitanti e trovano nello spazio della città la
possibilità di esercitare connessioni particolari che li caratterizzano e che caratterizzano la città o
le loro parti” (De Matteis, Lanza).
Città come concentrazione → E’ un insieme delle dimensioni viste prime (economica,
politicosociale, ecc..)
Città come risultato di stratificazione storica, posizione geografica e funzioni svolte (che variano nel
tempo) → La città ha un affiliazione temporale: ciò che vediamo oggi grazie a degli elementi che
l’hanno fatta evolvere. Funzioni e tipi di città
La città può svolgere una funzione: Commercio, Turismo, Potere, Produzione, Conoscenza, Culto,
e molte altre…
Queste funzioni si possono rinvenire nella stessa città. La prevalenza di alcune funzioni può
caratterizzare le singole città (in un dato momento). Il cambiamento di funzioni dà luogo a
trasformazioni sociali e spaziali (mutevolezza del fenomeno urbano).
Storia dell'urbanizzazione
Dal nomadismo alla sedentarizzazione
Thanatopolis - Città della morte come prima forma di insediamento delle popolazioni nomadi
(Mumford) - risale a 8000 anni fa. Prima gli essere umani erano nomadi: si muovevano in base ai
periodi di produzione della frutta, verdure → migrazione continua. Le prime forme di città erano
composte dal cimitero => luoghi di sepoltura dei deceduti. A partire da 40.000 anni fa ci fu la
transizione verso il seminomadismo (capanne e conglomerati fissi a uso stagionale) - quelle
popolazioni che erano nomadi ma si spostavano verso gli stessi posti iniziarono a creare degli
insediamenti nei luoghi dove migravano. Le formazioni sedentarie proliferarono con il passaggio
da una società di cacciatori e raccoglitori ad una società che produce il cibo. Questo succede
grazie alla domesticazione di piante e animali.
Rivoluzione Neolitica - A partire da 15.000 anni fa: domesticazione cereali (selezione dei semi)
allevamento e pastorizia. Fenomeno che succede grazie al miglioramento delle condizioni
climatiche (fine glaciazione pleistocenica). Grazie alla produzione del cibo si ha un surplus
alimentare che permette maggiori attività di scambio, la stabilizzazione in insediamenti fissi e la
crescita della popolazione. Questo è un processo discontinuo e non evoluzionistico, ossia può
avere delle evoluzioni frammentate in diversi luoghi e periodi del nostro pianeta.
Divisione del lavoro
Se c’è cibo in abbondanza non tutti si operano di questo: ma alcuni si permettono di fare altri
generi di lavoro (surplus alimentare e concentrazione permettono una maggiore divisione del
lavoro). Una parte crescente della popolazione può dedicarsi ad attività diverse: artigianato,
scambi, attività amministrative, politiche, militari, religiose. Importante è la scrittura come forma di
sapere codificato utile agli scambi e alla trasmissione culturale. Si ha una stratificazione sociale.
Esempio → Egitto dal basso della piramide con gli chiavi fino al vertice. Per la nascita delle prime
grandi esperienze urbane è di fondamentale importanza la comparsa delle grandi compagini statali
dell’antichità, capaci di dar vita a strutture istituzionali che possano conservare in un territorio la
continuità politica, economica e sociale (Soja)
La società si struttura in luoghi concentrati: in città - nella Mesopotamia. Il fenomeno urbano era
contenuto → Città come “eccezione”: il fenomeno urbano interessa meno del 4% della
popolazione globale.
A partire dal declino di Roma lo spazio urbano in Europa viene “rivendicato dalla campagna” e si
sviluppano nuove forme di relazione di carattere feudale in un ordinamento spaziale frammentato
(incastellamento: ogni signore si costruisce un castello che deve difendere il territorio dove viene
esercitato il suo potere).
Città e modernizzazione
A partire dall’anno 1.000 si assiste ad un incremento demografico (nelle città sia italiane che
tedesche) che porta progressivamente alla formazione di nuovi centri urbani e alla rinascita di
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quelli esistenti (intensa presenza att. artigianali). A partire dal Tardo Medioevo le città
cominciarono ad acquisire una forma di indipendenza politica dallo stato. Emergono altri gruppi
sociali, che iniziano a combattere contro i signori delle città. I nuovi ceti urbani si riunirono per
svincolarsi dai vincoli feudali dando vita ad una nuova realtà politica e sociale: il Comune
Medioevale. In questo contesto si sviluppano nuovi scambi e interdipendenze e si pongono le basi
per la creazione della moderna economia di mercato (che nasce con le banche) che vedrà il suo
fiorire dal XIV secolo tra Firenze e Genova. È con questo passaggio che il fenomeno urbano si
espande e comincia a riguardare fino al 10% della popolazione mondiale.
Capitalismo e industrializzazione
L’espansione della civiltà urbana in Europa è una diretta conseguenza del capitalismo e
dell’industrializzazione. Dovuto in primo luogo a delle trasformazioni culturali. L’economia delle
città cresce e attrarre sempre più popolazione, che emigrano dalle campagne perché si introduce
la filosofia del denaro: economia monetaria → il denaro diventa il metodo di scambio principale
(denaro medium di scambio). Il denaro è l’elemento all’inizio e alla fine dell’attività economica →
capitale - produzione - capitale.
Il denaro come strumento di sostegno della libertà individuale e ampliamento delle cerchie sociali.
Bisogna sottolineare come lo sviluppo dell’economia è trainato dalle industrie e dalla loro
localizzazione nei primi centri industriali. Questi attraggono molte persone che venivano dalle
campagne alla ricerca di salario. Lo sviluppo industriale stimolò l’urbanesimo. Queste migrazioni
sono state sia volontarie ma anche forzate.
Dal 1800, per la prima volta nella storia, in alcune aree dei paesi industrializzati la popolazione
delle aree urbane supera quella presente nelle zone rurali. Nasce la città funzionale all’economia:
a differenza delle città antiche la città industriale che emerge nel XIX secolo non risulta concepita
secondo un significato simbolico generale come l’ordine cosmologico o religioso, ma si sviluppa
seguendo i flussi di capitale e gli interventi di progettazione e pianificazione urbanistica.
Urbanistica nasce come tecnica per migliorare la città e per migliorare la circolazione delle merci.
Centralità, gerarchie e reti
Quello che accomuna tutte le città è l'esercizio di una Centralità rispetto a un territorio → località,
hinterland o a un’area di gravitazione: da dove le persone tendono di spostarsi verso un’altra città.
Per località centrale si intende un centro abitato al cui interno è concentrata l’offerta di beni e
servizi rivolta a soddisfare la domanda di utenti distribuita a diverse scale.
Esempio → Urbino svolge una centralità verso i pendolari, che si spostano verso di essa per
diverse ragioni.
Per funzione di una città si intende un’attività (governo, amministrazione pubblica, sanità,
commercio, industria, ricerca, istruzione…) che risponde sia a esigenze interne alla città sia – e
soprattutto – esterne a essa. Sono queste ultime a giustificare le città in relazione ai territori più
vasti (regionali, statali, internazionali) per i quali la città esercita le sue funzioni. L’importanza di
una città dipende dalle sue funzioni, specie da quelle di rango più elevato, che sono misurabili dal
loro raggio d’azione e dal loro impatto sulla vita sociale ai diversi livelli territoriali.
I flussi → più una città ha funzione più una città è importante e più attrae flussi di persone,
economici, di cervelli, ecc….
La centralità e le funzioni a cui si associa determinano flussi in entrata di persone, di capitali, di
conoscenze, di energia, di materiali e di tecnologie che sostengono lo sviluppo economico. Al
tempo stesso questa centralità si dà in rapporto con un territorio da cui questi flussi risultano in
uscita. Si pensi all’importanza in termini economici che rivestono i city users (turisti, pendolari,
consumatori) e gli abitanti temporanei rispetto ai quali si fondano intere economie urbane e
strategie di sviluppo. O ai rapporti di dipendenza che influiscono sullo svuotamento e il
declassamento dei territori fragili, nonché sulle condizioni socio-economiche dei loro abitanti. Per
tali ragioni si parla sempre più spesso di attrattività: è dall’attrazione dei flussi che deriva buona
parte del benessere sociale ed economico a scala locale.
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La formazione della città


I fenomeni di concentrazione, i flussi e le relazioni che si vengono a stabilire con l’hinterland si
legano allo sviluppo spaziale delle città e alla loro formazione.
Possiamo quindi individuare diversi tipi di città: nucleari, estese, metropolitane.
I beni e servizi prodotti da una città servono, oltre ai propri abitanti, al territorio circostante (area di
gravitazione urbana) oppure a altre città e territori anche non contigui. La loro circolazione porta
alla produzione di flussi che costruiscono reti urbane, di cui le città sono i nodi. Vediamo la
cittàrete come luogo allargato di differenziazione delle funzioni e di interdipendenze spaziali.
Gerarchie → La funzione si esercita su un raggio d’azione, più o meno ampio, che individua una
centralità del luogo (la città).Esempio → una città che ha una università ha un raggio di azione
diversa rispetto a una città che ha solo le scuole medie. Esiste una gerarchia territoriale e anche
una gerarchia di località centrali, che ne determina la presenza e la distribuzione.
Gerarchia urbana: suddivisione delle località centrali in ranghi (o livelli) in base al raggio delle
funzioni centrali che esse svolgono, perciò basata sulle dimensioni della loro area di gravitazione.
La gerarchia si esprime a livello territoriale, nazionale e macro-regionale, ma anche a livello
globale: al top troviamo le cosiddette “città globali”. Le agglomerazioni di attori economici locali
forniscono economie di scala e vantaggi commerciali a livello internazionale, rinforzando il bisogno
di prossimità spaziale in un’epoca in cui l’integrazione dei sistemi globali finanziari e commerciali
procede a ritmo accelerato.

Città globali
Flussi globali e concentrazione
I motivi per cui una città globale può diventare tale sono molti. Ma il principale è la concentrazione
di flussi rispetto ad un raggio d’azione di una città. Possiamo seguire i lavori di Arjun Appadurai
che distingue 6 tipi diversi di flussi globali che strutturano i nodi della rete e la loro importanza:
1. Ethnoscape (turisti, global class, migranti)
2. Technoscape (tecnologie, macchinari, software)
3. Finanscape (capitali, denaro)
4. Mediascape (immagini, informazioni)
5. Ideoscape (costruzioni ideologiche come democrazia e sovranità)
6. Commodityscape (merci, prodotti di consumo)
La concentrazione selettiva di questi flussi in certi luoghi influisce sull’importanza dei centri urbani
a livello globale. Una città può rappresentare un nodo di importanza globale per alcuni flussi ma
non per altri.
Importanza dei nodi
Le città globali sono importanti perché rappresentano luoghi di importanza mondiale in relazione a
quattro fenomeni:
1 - Il comando e il controllo dell’economia mondiale → in queste città si concentrano
quelli che sono i centri di comando e di controllo dell’economia (es. quartieri delle multinazionali,
istituzioni che si occupano di regolare la politica monetaria, ecc…)
2 - La localizzazione dei servizi finanziari e dei servizi altamente specializzati per le
imprese → il fatto che vi siano aziende che producono e vendono prodotti di carattere finanziario
e casse finanziarie. La localizzazione di imprese che forniscono servizi ad altre imprese.
3 - La generazione di innovazioni e di attività di ricerca tecnologica → si sviluppano
relazioni dove si sviluppano e si creano spesso idee e innovazioni. Queste innovazioni si creano
anche grazie al contributo degli enti di ricerca.
4 - Il consumo di questi prodotti e innovazioni → le città globali sono delle piazze di
mercato molte importanti e significative.
Costituiscono anche dei nodi di potere poiché in grado di generare, disseminare e controllare
strategie, innovazioni e valori.
La crescita di una città globale può essere utile ad una economia globale ma può avere anche
delle conseguenze negative.
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Città primato: città dei paesi in via di sviluppo, città enormi che hanno al loro interno una serie di
funzioni e che prevalgono totalmente rispetto all'ossatura urbana del contesto. Fuori da queste
città spesso c’è poco o niente. Disuguaglianze
La ristrutturazione del mondo lavorativo fatta dal postfordismo crea un mercato del lavoro urbano
più flessibile e frammentato, che ha ripercussioni sulla struttura occupazionale e sulla distribuzione
del reddito.
Dualismo urbano: polarizzazione tra fasce urbane che ne beneficiano molto, e tra fasce che sono
sottoposte a processi di precarizzazione. All’emergere di una classe lavorativa altamente
professionalizzata corrisponde una crescente “proletarizzazione lavorativa” di buona parte della
popolazione. Il dualismo è osservabile anche a scala nazionale. Oggi quelli che stanno male,
stanno sempre peggio, e quelli che stanno bene, stanno sempre meglio. Il parallelo sviluppo di
settori ad alta retribuzione e di settori a bassa retribuzione si riflette sulla struttura dei consumi e
contribuisce ad accentuare la polarizzazione della città. Il dualismo che ne consegue trova
manifestazioni spaziali nella creazione di spazi urbani destinati a determinati gruppi sociali (es.
luoghi di consumo specifici, spazi insediativi).
Molte capitali nazionali e regionali hanno perso la capacità di controllo sul proprio territorio proprio
per la loro «decadenza» di importanza. Per ovviare a ciò sono entrate in competizione per attrarre
nuove funzioni e investimenti e avere trasformazioni funzionali: da centralità territoriale a centralità
di (nella) rete.

Competizione
Siamo sempre più inseriti in un’ottica di competizione (es. ricerca del lavoro). La competizione non
avviene solo tra persone, ma anche tra imprese (ricerca del vantaggio competitivo). Non è sempre
facile definire cos’è la competitività di una impresa. La competizione riguarda anche gli stati, che
competono tra di loro, per ottenere delle risorse, per ottenere diversi tipi di vantaggi. Molte volte
queste competizioni sono sfociate in guerre. Oggi, non si gioca tanto sulle guerre, ma su altri
canali, e gli attori cambiano diventando territori. C’è una gerarchia territoriale: man mano che i
centri urbani sono più piccoli, hanno meno funzioni e servizi e sono meno attrattivi. La capitale,
invece, è molto attrattiva per tutti i numerosi servizi che offre. Ci sono delle città che emergono
sulle altre e hanno un ruolo di primo piano (città globali): spiccano sia sulle città vicine che su città
internazionali (es. Milano è la capitale mondiale della moda).
Competizione tra territori
L’economia globale si configura in una struttura a rete che è caratterizzata da flussi/legami che
vanno da un polo ad un altro. I territori e le città competono tra di loro per aggiudicarsi questi flussi,
cercando di catalizzare una sorta di interesse, li mette in concorrenza per l’allocazione delle
risorse e della popolazione. Competono per divenire nodi della rete globale, ovvero ambiti di
destinazione dei flussi internazionali (investimenti, turisti) e per mantenere o migliorare la loro
posizione nelle gerarchie.
Si tratta di un meccanismo strettamente legato alla questione della connettività: più si è connessi
al mondo, più si è vicini ai nodi di connessione, maggiori saranno le possibilità di beneficiare dei
flussi.
Le città sono nodi di relazione internazionale e il successo economico dei territori non dipende più
unicamente da risorse radicate localmente ma anche e soprattutto dalla capacità di radicarsi in reti
sovralocali (in reti sovralocali e internazionali).
L’imperativo della crescita
Per un territorio la competitività può significare molte cose; è difficile definirlo. Il politologo Paul
Peterson (1981) individuava nel suo testo “City Limits” perché si parla sempre di più di
competitività delle città → la crescita economica è un’istanza fondamentale del governo urbano,
che inizia a saldarsi con i progetti di sviluppo urbano. Nell’epoca della globalizzazione le città
acquisiscono una dimensione sovralocale e hanno necessità di ampliare la propria base fiscale.
Cercano quindi di divenire attrattive nei confronti di imprese e residenti (definiti graditi) e nel farlo
antepongono la necessità di crescita economica alla redistribuzione delle risorse a beneficio dei
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ceti meno abbienti. La logica dello sviluppo urbano si salda all’imperativo della crescita economica:
più si cresce, maggiore è la possibilità di migliorare il benessere degli abitanti. Le città cercano di
diventare attrattive per le persone e le imprese, offrendo benefici, servizi, risorse.
La città come “macchina della crescita”
Il saldarsi della logica della crescita economica ha lo sviluppo di progetti per lo sviluppo del locale.
Dagli anni Ottanta, l’affermazione delle logiche della competitività e della crescita applicate alle
città testimoniano un passaggio significativo nell’ambito della politica economica. Le città erano le
locomotive: quei contesti che riuscivano a trainarsi dietro alla maggior parte della crescita
economica nazionale.
Questo avviene in particolare nel periodo di Crisi delle politiche keynesiane (redistributive
trainate dalla spesa statale) a favore di politiche incentrate sul primato del settore privato,
sulla riduzione delle imposte (e della loro progressività) e sulla riduzione della spesa
pubblica.
Le città divengono quindi sempre più artefici del proprio destino; “macchine della crescita” in cui
diverse coalizioni di interessi si saldano e si contrappongono (Logan e Molotch). Dagli anni ottanta
le città divengono artefici del proprio destino in un contesto di competizione internazionale, e
cominciano ad orientarsi verso una logica orientata in favore della crescita.
Si trasforma l’idea della politica: non occorre chiedersi chi governa ma per cosa si governa,
osservando gli interessi che si muovono dietro le coalizioni di gruppi sociali che propongono
differenti ipotesi di progetti e percorsi di sviluppo economico locale.
COALIZIONI URBANE: coalizione di interesse fatte da imprese, organizzazioni, istituzioni,
associazioni, attori che vanno tutti nella direzione della crescita economica. Non sono solo attori
politici, ma anche privati (imprese). Sfera politico-istituzionale vista come ambito di commistione di
interessi e sempre più centrale nella promozione dello sviluppo economico.
Le città sono artefici del proprio destino nella competizione internazionale: cercano di fare di tutto
per far crescere la propria economia: logica a favore della crescita.
I fattori di competizione
Tipici fattori che possono favorire la competitività di una città:
- Creazione di reti → essere in relazione con il mondo esterno. Non devono essere per forza
legate al trasporto, ma possono essere anche culturali.
- Riconoscimenti (Unesco, capitale di…)
- Accessibilità e collegamenti (interni ed esterni)
- Vantaggi localizzativi per le imprese (fiscali, ambientali, di agglomerazione, di densità…) -
Creazione di un ambiente culturalmente vivace: molte città investono sulla crescita e promozioni
culturali per migliorare l'ambiente e l’immagine della città, rendendola dinamica e vivace. -
Ampliamento delle possibilità di consumo (e consumi particolari)
- Digitalizzazione - Rappresentazioni - Immagine - Città come impresa; Città come
prodotto

Politiche e governo urbano


Queste risultano essere sempre di più di stampo imprenditoriale - in un orientamento più verso la
crescita.
Il mutamento del governo urbano
Le recenti trasformazioni, e in particolare i processi di decentramento amministrativo, hanno
condotto, sul piano politico, all’acquisizione di una maggiore autonomia delle città e
all’ampliamento del loro ruolo.
C’è stato sia un mutamento di paradigma che un mutamento sostanziale del quadro organizzativo
delle politiche pubbliche. Harvey → osservava le città statunitensi negli anni ‘80, e individua un
passaggio dal government inteso come modalità di governo gerarchica e manageriale fondato su
principi ridistribuivi (primato del pubblico). Governo verticale molto gerarchico, e rigido che si basa
su obblighi, divieti e sanzioni. Harvey ci dice che si sta assistendo ad un’ ascesa della governance,
non più un governo rigido ma intesa come decentramento del governo e negoziazione delle scelte
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(commistione pubblico-privata). Questo mutamento significa che ora ci sono degli attori che
interagiscono nella definizione e nell'implementazione delle politiche urbane. Le strategie di
governo coinvolgono una pluralità di attori in grado di rivestire un peso sia nelle decisioni sia
nell’attuazione delle politiche pubbliche.
L’ambivalenza della governance locale
La governance è una forma concreta di organizzazione e partecipazione politica allargata e più
diretta degli attori pubblici e privati in merito ai processi decisionali.
Coinvolgimento e orizzontalità - può favorire la partecipazione allargata, e questo può riguardare
anche l'impegno civico. Può favorire anche il loro attaccamento al territorio.
Frammentazione dei processi di decisione pubblica - tanti passaggi molto articolati, è l’azione
amministrativa qualche volta si perde. Manca un’integrazione tra i vari processi decisionali.
L’autorità locale diviene un attore tra gli altri - l’autorità locale non è più l’unico soggetto al governo,
ma diviene uno dei tanti che attraverso gli accordi implementa le politiche. Coinvolge molti ambiti:
economico, ambientale, culturale, qualità della vita.
La governance ha però molte ambivalenze: favorisce la partecipazione allargata e dei processi
decisionali, impegno civico dei cittadini (li si coinvolge sempre di più – es per creare uno spazio
verde in città), ma favorisce anche attaccamento responsabilizzazione e partecipazione alla vita
sociale e territoriale. Ci sono però molti passaggi che fanno perdere efficacia alla funzione
amministrativa: il processo si frammenta e disintegra. L’autorità locale (governo) diventa un attore
come gli altri, che con negoziazioni e accordi crea e implementa le politiche.
Governance e competizione
La competizione fra città non si gioca più soltanto sul piano economico ma anche sul piano politico
e sociale, soprattutto, attraverso nuove forme di governance e strategie per la creazione di
opportunità di cambiamento. L'attrattività di un territorio è data dalla crescita della qualità della vita
(città che garantiscono servizi efficienti per soddisfare la domanda) al suo interno. La capacità di
garantire un incremento della vita diventa un fattore di competitività. Una città competitiva è quella
che è in grado di attuare una strategia efficace ed efficiente di governance. Questa ricerca della
qualità della vita, passa tra una serie di progetti differenti: le azioni di miglioramento delle aree
urbane, politiche per sostenere la qualità ambientale, ecc…
Dimensione interna: creazione di valore aggiunto tramite la valorizzazione del capitale territoriale.
Dimensione esterna: crescita di visibilità e sinergia con attori sovralocali pubblici e privati. I fattori
che maggiormente incidono sulla localizzazione di nuovi impieghi, delle attività e delle funzioni
importanti sono costituiti dal complessivo miglioramento della qualità urbana, dagli interventi di
rigenerazione del tessuto urbano, dalle politiche di equità sociale e miglioramento ambientale.
I progetti di grande scala
I progetti nascono dalla necessità di rinnovo di quartieri degradati e marginali delle città. Le città
attuano molti progetti e politiche diversi per attrarre e diventare competitive. Talvolta in occasione
di manifestazioni e/o eventi importanti. Londra (Docklands), Bilbao (Abandoibarra), Torino
(Lingotto), Milano (Bicocca). Assegnazione di grandi eventi che diventano l'occasione per creare
infrastrutture, e per raggiungere una competitività. I grandi eventi permettono di far affluire capitali
per la realizzazione di infrastrutture che permangono nella dotazione urbana e danno vita a nuovi
cicli di investimento.
C’è però un problema, ossia il problema dell’eredità: ossia il riuso e l’indebitamento: trovare una
funzione per le infrastrutture che sono state costruite per una grande occasione.
Le politiche integrate
Politiche che mirano alla rigenerazione dal punto di vista fisico economico e a intervenire
socialmente su quelli che sono i fattori sociali e culturali che determinano un tipo di degrado.
Accanto alla ricostruzione degli edifici, prevedono la formazione professionale, lo sviluppo di nuove
attività e nuovi servizi al fine di generare opportunità per le fasce più deboli della popolazione
Cercano di tenere assieme l’imperativo della crescita con la necessità di favorire la coesione
sociale e la riduzione delle diseguaglianze (non sempre ci riescono).
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È molto difficile tenere insieme l’imperativo della crescita e l’eliminazione delle diseguaglianze
sociali ed economiche, così come oggi è difficile tenere insieme la spinta capitalistica e la
sostenibilità. Una parte tende sempre a prevalere. La Bolognina è stata oggetto di tanti
investimenti e progetti pubblici.
La cultura come mezzo di sviluppo
Utilizzare la cultura come mezzo di sviluppo dei territori, e soprattutto di rilancio economico dopo
un periodo di crisi. Le modalità con cui gli interventi nel settore culturale cercano di favorire il
rilancio economico possono essere di natura diretta o indiretta.
1. Diretta: investimenti pubblici o privati che generano un ritorno immediato in termini
economici (incremento occupazione, attrazione pubblico ad eventi, sviluppo profitti nell’indotto
culturale).
2. Indiretta: si produce grazie ad un miglioramento dell’immagine della città, del
miglioramento del milieu urbano e dell’attrattività della città. Sono interventi che non mirano
direttamente a generare redditi, non mirano alla logica del reddito, ma ad altri elementi come
formazione del substrato culturale, miglioramento della percezione della città.
Gli effetti di tali politiche rischiano di produrre ricadute positive solo nei centri delle città se non si
considera la politica culturale come uno strumento atto a coinvolgere la città nel suo complesso
Non sempre queste politiche funzionano e generano ricadute positive sul territorio. Il marketing
urbano
Il marketing urbano riguarda l’utilizzo delle tecniche e degli strumenti del marketing come politica
urbana per la promozione della città. A differenza delle attività di marketing aziendale, il cui
obiettivo è quello del ritorno del capitale investito, il marketing urbano si pone una serie di obiettivi
che possono essere riassumibili nel miglioramento della posizione competitiva della città. Strategie
di vario tipo tentano di promuovere il “prodotto” città, selezionando di volta in volta il target di
consumatori desiderato (abitanti, aziende, turisti).
Il ruolo dell’immagine della città
La percezione della città cambia a seconda della sua immagine. Anche l’architettura influisce
sull’immagine mentale di una città e sulla sua attrattività. Nella società postfordista le città tendono
a costruire una propria rappresentazione dell’economia urbana che si allontani da quelle tipiche
del periodo industriale. Attraverso nuove immagini e nuovi simbolismi si tenta di comunicare la
fase di transizione che lo spazio urbano sta attraversando, al fine di costruire una nuova visione
della città funzionale ai percorsi di sviluppo intrapresi.
Re-immaginare la città, rifare il logo, un decalogo fatto di Film commission, Archistars, Riscoperta
del waterfront, Megaventi, Musei importanti, Eventi culturali ripetuti, Luci della città, Collegamenti
wi-fi accessibili a tutti, Riscoperta della memoria storica, ecc..

(Re)scaling
Le politiche hanno luogo e sede in una organizzazione più complessa.
La riconfigurazione della scala “operativa” → la scala in cui le politiche vengono attuate e applicate
- il livello al quale vengono attuate le politiche.
Vanolo (2007) → “molte scelte politiche hanno subito un cambiamento di scala; in alcuni casi verso
il basso, ampliando le possibilità di scelta di città e regioni (devolution), in altri casi verso l’alto, con
il crescere dell’importanza di organismi internazionali”
Questo processo ha effetti su diversi livelli di governo e riconfigura sia le scale di azione, sia i loro
rapporti, sia le economie urbane e regionali contemporanee.
A livello storico possiamo distinguere processi di up-scaling (accentramento delle competenze e
responsabilità del governo negli stati nazionali) nel periodo di costruzione degli stati nazionali e
processi di rescaling ( cambiamento di scala delle politiche verso un decentramento -
frammentazione territoriale) che si sono concretizzati dagli anni Ottanta in una notevole cessione
di funzioni di governo e organizzazione dei servizi, delle politiche sociali e territoriali sia verso il
basso sia verso l’alto.
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In passato, si prendeva una decisione dall’alto (centro di governo che decide per tutti) e i territori
dovevano solo applicare nella fase operativa; ora però il sistema è frammentato e le regioni
decidono in modo autonomo e differenziato. Quando parliamo di rescaling in maniera più
moderna, abbiamo più livelli: Livello macro
L’Unione Europea come livello macro di coordinamento che in parte si sostituisce allo Stato. Uno
spazio organizzato intorno al mercato unico, ai flussi finanziari, alle reti transnazionali, alle
istituzioni comuni. UE in parte si sostituisce allo Stato in un gioco di sovrapposizioni istituzionali a
diverse scale (competenze esclusive) → si cede parte della propria autorità all'Unione europea.
Nuove forme di poteri locali, federalismo vs centralismo.
Spinte ambivalenti: competizione territoriale e sociale (sis cerca di competere sempre di più a
livello territoriale) vs coesione territoriale e sociale.
Si compete sempre di più a livello territoriale: i governi urbani cercano di migliorare la propria
posizione e competitività. Questo crea però anche disuguaglianze e conflitti, ecco perché l’Ue si
occupa anche di strategie che mirano ad aiutare i territori locali.
Livello meso (sta a metà)
Le Regioni emergono come attori politici dotati di potere di governo e di capacità di organizzazione
economica, culturale e territoriale.
Regionalismo → nuove forme di cooperazione tra enti locali e Stato centrale. Molto spesso ha lo
svantaggio di generare una frammentazione.
All’interno dei Paesi membri il processo di rescaling è stato favorito dalle politiche comunitarie:
fondi strutturali (gestiti da regioni) e cooperazione interregionale.
Aumento di competenze: sanità, trasporti, politiche sociali e del lavoro, turismo…
Molte difformità a livello Europeo: regioni con potere legislativo e senza, regioni autonome,
regioni con certe competenze ma non altre.
Competenze cresciute ma in un quadro ancora segnato dal livello nazionale (competenza
residuale in Italia).
Criticità: frammentazione del welfare e dei livelli di prestazione e qualità dei servizi. Livello
micro
Le spazialità del governo locale giungono a eccedere la dimensione della territorialità locale
estendendosi ad altre scale geografiche in stretta interconnessione tra loro (ruolo finanziamenti
europei: reti di città, cooperazione tra territori distanti). Maggiore autonomia e più competenze ai
comuni che si scontrano con un quadro di minori trasferimenti statali e accresciuti bisogni. Questo
porta a necessità di aggregazione territoriale e cooperazione tra i comuni (sistemi locali territoriali
per servizi di welfare, ambiente, mobilità, turismo). E al contestuale bisogno di valorizzazione delle
risorse locali per favorire la crescita economica e la fiscalità locale. Permangono inoltre attori
intermedi svuotati di finanziamenti e capacità operativa ma ancora dotati di funzioni: province.
Glocalizzazione
Intendiamo con questo termine la ristrutturazione del ruolo dello Stato europeo in una dialettica
locale-globale. Lo Stato, seppur attraversato da flussi internazionali, non scompare ma cambiano
la sua organizzazione interna e le sue strategie, ovvero le forme di intervento socio-economico
(selettività).
La nuova spazialità dello Stato: passaggio dall’obiettivo dell’equa distribuzione dell’industria, della
popolazione e delle infrastrutture sul territorio alla riconcentrazione delle capacità economiche in
centri di crescita strategici, urbani e regionali. Il termine “glocale" indica quindi strategie politiche
diverse che servono a posizionare spazi subnazionali selezionati all’interno di circuiti
sovranazionali di attività economica.
Oggi la politica non è più redistribuita e ad induzione di sviluppo industriale (ex nel Sud Italia nel
dopoguerra), ma fa dei processi di selezione dei territori, cercando di capire se è competitivo
nell’ambiente globale per fungere da locomotiva globale. In base a questo gli enti indirizzano
finanziamenti e risorse ai vari territori – circuiti globali di attività economiche.
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La struttura urbana
Morfologia fisica => si parla dell'organizzazione spaziale, e quello che è evidente e percepibile a
livello diretto. Con struttura urbana si indica solitamente la forma fisica, evidente e materiale delle
città. La si vede nella planimetria in riferimento alla distribuzione degli spazi (costruiti e non,
pubblici/privati…) avvenuta sulla base dei lineamenti del sito e della sua evoluzione storica
(sedimentazione/trasformazione).
A seconda della struttura possiamo distinguere città a scacchiera/griglia (centuriazione romana,
utilizzata anche in Cina e città dell’America settentrionale), città a pianta radiocentrica (quella
maglia romana si è evoluta a modo di raggi; in particolare per le città di origine medievale e
rinascimentale), città lineari (tanti nuclei urbani che nel corso del tempo si sono fuse creando una
striscia di urbanizzazione: es. costa adriatica) città pianificate (regolari/ideali → tanti nuclei urbani
si sono agglomerati creano una striscia di urbanizzazione costiera ), città labirintiche (una maglia
non regolare, sono caratterizzate da uno sviluppo del tessuto urbano non regolare + con crescita
di tessuto urbano informale: molte città italiane e africane seguono questo modello medievale.
Fare delle descrizioni basate solo sulla geometria senza collegare le città ai processi storici che le
hanno generate non permette di comprenderle a fondo. La sola planimetria non restituisce il ruolo
delle attività economiche e dei mutamenti pianificatori, inoltre non evidenzia la distribuzione della
popolazione.
Finalità dell’insediamento urbano
Le città possono essere definite in modo diverso, però sin dalle loro origini avevano delle finalità
dell’insediamento urbano. Queste sono plurime, in genere integrate, quali:
1) Controllo: esercizio delle diverse forme di potere attraverso fattori simbolici e materiali
(potere religioso e politico, difesa); sia attorno alla città che dentro.
2) Ri-produzione: uso, trasformazione e consumo delle risorse tramite agricoltura,
manifattura, sviluppo del commercio; ; consumo e commercio non solo di beni materiali, ma anche
scambi di idee, modi di risolvere problemi, conoscenze per generare innovazione. Le città, luoghi
di concentrazione, scambio e cooperazione sociale, generare innovazioni, strumenti, nuove
modalità per organizzare le attività umane e strumenti per trasmettere e impartire le conoscenze
(nascono le università,
3) Elaborazione cognitiva: cultura, abilità scientifiche e tecnologiche, saperi contestuali e
formali (e.g. università). Luogo di cooperazione sociale - riguardava anche lo scambio di idee,
modi di risolvere i problemi e conoscenze in grado di generare innovazioni.
Queste funzioni sono state alla base dei primi insediamenti, talvolta in forme spiccatamente
prevalenti. L’insediamento umano si struttura in origine, prima ancora che intorno a stati, sulla
base di città-territorio o città-nazione (e.g. Grecia ed Asia Minore). Le città oggi sono percepite
diversamente dal passato. Prima le città erano città-stato che dominavano e controllavano il
territorio circostante.
Evoluzione delle forme urbane
In epoca classica - La città era il centro organizzativo del territorio circostante che viene dominato
e amministrato da essa. Non erano organizzate in un sistema statale, ma le città erano una sorta
di città stato (polis greche) che organizzavano il territorio circostante e aveva delle frontiere tra una
città e l’altra. L'influsso urbano era cresciuto sotto i romani, creando un dominio spaziale esteso,
che aveva permesso alle città di sviluppare. Questa tranquillità (pax romana) che garantiva
protezione ai domini che conquistavano - crolla con il crollo dell’impero romano.
Nel medioevo - Periodo di deurbanizzazione: il territorio si divide e le città devono di nuovo
pensare alla sicurezza del proprio territorio → esigenza di costruire fortificazione - la città diventa
circoscritta e la città si ritrae nelle proprie mura. A causa del poco spazio disponibile, le città
medievali si sviluppano con strade strette e tortuose. Le case sorgevano in maniera spontanea,
addossate le une alle altre, ragione per cui si delinearono piante irregolari.
In epoca moderna - dal 15 secolo fino al 20 secolo. Inizialmente la crescita impone la costruzione
di nuove cinte murarie, più ampie e robuste, in grado di resistere ai colpi dei cannoni. La
formazione delle signorie e degli stati nazionali, l’accentramento politico rendono inutili le mura
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medievali: non c’è bisogno di proteggersi nei confronti di minacce esterne. Le mura non sono
necessarie e per questo la città ne trabocca fuori e in certe occasioni le elimina.
Industrializzazione e forma urbana → inurbamento di massa → la grande migrazione porta una
grande crescita delle zone urbane. Dal punto di vista morfologico la città non risulta più cinta da
mura che la separano dal territorio circostante e tende a espandersi attraverso l’edificazione di
quartieri che dilagano nella campagna.Iniziano a sorgere nuovi quartieri di carattere residenziali e
sorgono nuove funzioni di alcune porzione: alcune porzioni sono dedicate alle attività commerciali
(es. mercato,sia allo sviluppo di quelli che sono i primi esempi di centri commerciali), al trasporto
(ferrovie, stazioni) e varie opere e spazi commerciali rimodellano la forma delle città. I tessuti
urbani si arricchiscono di funzioni e nuovi oggetti e anche di nuove disposizioni della popolazione,
perché le grandi masse di contadini molto spesso si trovano costrette a vivere in quelli definibili
bassifondi, contesti caratterizzati da una forte povertà della popolazione.
Povertà e creazione bassifondi urbani intenzionali (popolazione organizzata in struttura spaziale ad
anelli concentrici). Si assiste allo sviluppo di un sistema sociale e ad una struttura fisica
nettamente differenti da quelli presenti nella città premoderna. Sulle strade principali vivevano le
persone benestanti, man mano che ci si allontanava dal centro vivevano persone in isolati
caratterizzati da povertà estrema, criminalità, formazione di coscienza di classe (Marx). Le classi
subalterne prendono consapevolezza della loro condizione comune rispetto ai borghesi, che
invece vivono in condizioni materiali di vita nettamente migliori (sfruttati vs sfruttatori: nascono
conflitti, rivendicazioni, richieste, manifestazioni violente). Le condizioni igienico-sanitarie erano
molto basse nei bassifondi urbani. Questi passaggi possono riguardare la medesima città che
tende così a modificare il proprio aspetto.
Pianificazione → Il disordinato ammassarsi della popolazione nelle città implicava problemi di
concentrazione e la formazione di aree degradate destinate alla classe operaia (slums).
L’insalubrità di queste aree, la ricerca di una loro valorizzazione, il bisogno di facilitare i flussi nella
città e la più generale necessità di separazione e ricollocazione delle classi sociali, costituirono
fattori chiave nell’evoluzione della progettualità urbanistica di stampo modernista. Si comincia a
pianificare la città. Uno dei più chiari esempi di questi interventi è costituito dalla cosiddetta
hausmanizzazione di Parigi avvenuta durante la metà dell‘800. Nel 1800 la struttura urbana di
Parigi era molto ammassata (diversa da quella odierne) caratterizzata dal divario tra chi viveva
bene ed era 97 benestante e chi viveva in condizioni estreme di igiene, insalubrità e povertà
(criminalità molto diffusa legata alla povertà della gente) → degrado urbano. Ovviamente
accadeva anche in molte città italiane: i territori furono svuotati dall’ammassamento di edifici e
popolazione e riorganizzati con nuovi servizi sociali disponibili per tutti. Si sventra il territorio dal
proprio tessuto insediativo, abbattendoli per eliminare anche fisicamente gli slums e le zone
degradate. Il barone Hausman è stato uno dei precursori dell’urbanistica moderna, ed ebbe il
merito di progettare Parigi, creando i boulevard, ossia viali grandi e alberati, con spazi commerciali
di vario tipo, con varie maglie di tessuto residenziale. Si aprono le maglie delle città, ordinando lo
sviluppo e dando delle regole (es, non ci si può costruire da solo, ma serve autorizzazione dai
comuni). Si può costruire solo nelle aree in cui è prevista la costruzione residenziale. Le regole
stabiliscono cosa è possibile o non possibile fare nel tessuto urbano. Si costruirono strade per
favorire circolazione e trasporti di persone, merci, flussi. L’urbanistica diviene tecnica di
progettazione della città, incentrata sulle esigenze di sviluppo economico e controllo sociale:
progettazione urbanistica.
L’urbanistica diviene tecnica di progettazione della città, incentrata sulle esigenze di sviluppo
economico e controllo sociale. In Italia si usa il piano regolatore generale.
Metamorfosi delle forme e delle funzioni urbane → Almeno fino al XIX secolo la funzione
dell’abitare in città è sempre stata fortemente integrata con le altre, in particolare con quella
produttiva. Ogni città ha un piano regolatore generale che organizza la struttura della città e dice
cosa si può fare e cosa no nei vari spazi - è uno degli strumenti urbani più usati in Italia. Ogni
comune italiano ha questo piano che dice cosa è possibile fare nelle varie città. Questo porta
ordine e distingue funzioni urbane che in passato erano sovrapposte (es spazio lavorativo è
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separato dalla propria residenza). Dal XIX secolo accade questa separazione con le attività
artigianali. Nascono così dei quartieri monofunzionali. Nella città esistevano degli spazi
“specializzati” (Mercato, Piazza municipale, aree conventuali, aree gioco) ma generalmente mai
drasticamente ‘segregati’ dall’abitare. Talvolta ospitavano funzioni diverse in tempi diversi. L’era
paleo-tecnica (Mumford 1938), con il prevalere del gigantismo tecno-produttivo porta a separare le
funzioni e a specializzare le parti delle città.
Uso del suolo e rendita
Valore e uso del suolo urbano (Von Thünen)
Valore che si ottiene da un suolo in base alla sua utilità. Rendita urbana: valore di una porzione di
suolo della città dato dalla sua posizione e dalla sua utilità (data anche dall’accessibilità al centro,
luogo di maggiore vantaggio nel localizzare le attività economiche e per risiedere).
A seconda degli usi del suolo (abitare, produrre e vendere beni e servizi eccetera) si ricavano dai
diversi ambiti della città delle utilità diverse in relazione alla loro posizione.
L’utilità è la misura della felicità o soddisfazione individuale (perché un bene si definisce utile se
idoneo a soddisfare una domanda). Accessibilità, cioè la facilità di raggiungere i vari luoghi della
città, può essere considerata come misura dell'utilità che si può ricavare dalla destinazione d’uso
del suolo urbano. L’accessibilità è in funzione inversa alla distanza dal centro. Nella teoria della
rendita i diversi usi del suolo urbano competono tra di loro per una localizzazione più possibile
centrale che spiazza le altre funzioni. I vari soggetti e i corrispondenti usi del suolo che intendono
praticare si collocano variamente nello spazio in posizioni sempre meno centrali, commisurate (1)
ai vantaggi che possono ricavarne, in particolare dagli effetti che l'accessibilità ha sui risultati
economici delle attività (2) alla quantità di spazio necessaria.
Modello di città concentrico-radiale
Dalla teoria della rendita e dalla concezione di spazio come omogeneo e isotropo emerge un
modello di città a zone circolari concentriche di diversi usi funzionali del suolo urbano. La città si
sviluppa in base a cerchi: chi ha più disponibilità economica si collocherà al centro, chi invece a
meno disponibilità sarà situato nella periferia. L’utilità dello spazio urbano ha un gradiente negativo
dal centro verso la periferia. In questo caso le attività economiche che necessitano di maggiore
accessibilità (banche, uffici, negozi…) sono localizzate al centro, mentre attività che necessitano di
una minore fruibilità e maggior spazio sono localizzate nelle aree periferiche. Ma questo non è
sempre vero, perché il valore del suolo non dipende solo dalla centralità, ma dipende molto di più
dell'accessibilità.
Altri modelli interpretativi che non considerano la centralità ma l'accessibilità in base alle vie di
comunicazione:
Modello a settori radiali
Si considera la città in base al suo assetto viario. Il grado di accessibilità aumenta in coincidenza
dei principali assi stradali. Il valore urbano non dipende più dalla lontananza dal centro, ma dal
livello di accessibilità ideale: dove passa una strada, c’è vantaggio per un’attività commerciale a
collocarsi lì perché c’è maggiore flusso di persone. L’importanza è dunque l’accessibilità alle vie di
comunicazione.
Dal centro degli affari si formano settori radiali con determinate specializzazioni funzionali. Gli usi
del suolo si relazionano a valori immobiliari che non sono omogenei a livello di aree OMI ma
presentano picchi in corrispondenza delle porzioni a maggior accessibilità/domanda. Oltre agli assi
viari, ruolo dei trasporti pubblici.
Modello a nuclei multipli.
Non c’è una sola centralità in una città. Specie nelle grandi città ci sono centralità di carattere
produttivo, commerciale, ecc… e ognuna di questa centralità ha un effetto diverso sul valore del
suolo. Alla logica monocentrica dei modelli fin qui visti si contrappone la logica pluricentrica delle
città a nuclei multipli o delle aree urbane pluricentriche in cui permane un CBD (central business
district) ma nelle aree periferiche si formano centralità minori, talvolta specializzate in particolari
funzioni. Sistema complesso con valori di uso del suolo alti in corrispondenza non solo del CBD
ma anche di altre aree. Questo modello avviene nelle regioni metropolitana: succede che una città
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che aveva una determinata funzione finisce lo spazio o costa troppo lo spazio, per questo motivo, i
servizi si spostano in luoghi più convenienti.

Morfologia sociale
Distribuzione dei gruppi sociali
Il mercato del suolo urbano oltre a regolare la distribuzione delle attività economiche a seconda
delle esigenze di spazio e di accessibilità di ciascuna di esse, regola anche la distribuzione della
popolazione residente in base al reddito. La struttura urbana tende a restituire differenze nella
composizione sociale. Le differenze sociali non si distribuiscono nello spazio urbano seguendo
semplicemente gradienti negativi centro-periferia ma subiscono variazioni derivanti da altri fattori. Il
mercato come ordine generale in cui intervengono fattori legati all’offerta (variazione territoriale
valori, politiche pubbliche, presenza servizi, tipologia immobiliare) e fattori legati alla domanda
(preferenze, vincoli individuali, dinamiche di aggregazione a base culturale, stigma territoriale). La
distribuzione dei gruppi sociali non è fissa ma dinamica: varia al mutare dei fattori che la
influenzano.
Approccio dell’ecologia sociale
Il modello di Burgess riconduce la struttura urbana osservabile ai processi storici di “invasione” e
“successione” dei gruppi sociali nello spazio urbano.
Scuola Ecologica di Chicago: concepisce lo spazio urbano come un contesto di competizione tra
gruppi sociali. Mobilità residenziale e mobilità sociale (Chicago).
Le nuove generazioni di immigrati a basso reddito si localizzano presso il centro.
Modello città USA: l’area centrale è il CBD con funzioni amministrative, finanziarie e commerciali
ed è circondato da aree residenziali a densità decrescente.
A differenza della teoria della rendita i gruppi sociali a più alto reddito si collocano verso l’esterno
perché prediligono certi modelli abitativi (e fino a tempi piuttosto recenti le aree urbane centrali
statunitensi erano molto degradate).
Suburbanizzazione e sprawl
L’allontanamento dal centro dei gruppi ad alto reddito determina la formazione di aree residenziali
a bassa densità abitativa caratterizzate da villette. Quando l’espansione urbana arriva a produrre
queste cinture residenziali parliamo di suburbanizzazione, ovvero di una crescita urbana di tipo
prevalentemente residenziale che si allarga a macchia d’olio nelle campagne.
E’ caratterizzata dal ruolo centrale della mobilità privata. Quando una simile espansione diviene
incontrollata e sconnessa all’offerta di servizi, pur continuando a far parte dell’hinterland, parliamo
di urban sprawl (crescita totalmente scollegata dai servizi che devono essere offerti alla
popolazione).
Questioni: consumo di suolo ed efficienza servizi. Vivere in un territorio denso dal punto di vista
residenziale ha dei costi.
Segregazione spaziale
Nel caso della distribuzione residenziale si definisce come segregazione spaziale: la tendenza al
formarsi di aree relativamente omogenee dal punto di vista sociale in certe parti delle città. Vi è
una questione di vincoli socio-economici e una più di tipo relazionale. Alcuni gruppi tendono a
concentrarsi per ricercare forme di capitale sociale da cui sono esclusi perché immigrati di recente
o discriminati. Tipici esempi di segregazione spaziale sono le baraccopoli (slums, bidonville,
favelas..) o i quartieri definiti “ghetto”. Simili fenomeni possono essere prodotti intenzionalmente
dalle scelte urbanistiche. Meccanismi di mutuo aiuto e solidarietà.
Gated communities
Una forma inversa di segregazione spaziale è invece quella ricercata da parte delle classi sociali
più abbienti. Le gated communities sono delle “comunità recintate” ovvero aree residenziali dotate
di tutti i servizi ma con accesso riservato a pochi eletti che condividono specifici stili di vita e
modelli culturali. Sorveglianza e mobilità privata. Ingresso ai non residenti è subordinato a
specifica autorizzazione. Sorveglianza e mobilità privata. Ingresso ai non residenti è subordinato a
specifica autorizzazione. Si cerca separazione fisica per non mescolarsi con altri gruppi sociali.
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Nascono così tantissime disuguaglianze sociali. È un fenomeno fortissimo in Usa e America


Latina. I ricchi si recintano in comunità recintate in cui ci sono servizi privati che essi stessi pagano
con le loro tasse. Filtrano gli accessi per controllare chi entra. Riproducono l’idea che per accedere
ad alcuni servizi basilari, come un ambiente tranquillo e non inquinato, sia necessario disporre di
risorse economiche sufficienti.
Nate negli USA negli anni Settanta si sono diffuse in tutto il mondo (anche in Italia: Borgo di
Vione), specie nei contesti caratterizzati da forti disuguaglianze economiche e sociali in cui
maggiore risulta il desiderio di separazione fisica e socio-culturale. Elementi di separazione
rinvenibili anche nella costruzione di quartieri con strade a cul-de-sac: hanno l’obiettivo di garantire
controllo sociale su quella zona.
Il downgrading dei quartieri
Soprattutto i centri storici sono stati svuotati di molte funzioni. Fino a qualche anno fa tutti i centri
storici italiani ospitavano uffici commerciali, negozi, studi, scuole, servizi: la sua centralità si è
dispersa – impoverimento e abbandono delle aree centrali, che cercano di rivitalizzarsi e di riavere
indietro elementi attrattivi culturali. Se le città perdono popolazione e flussi, perdono anche peso e
funzioni. La dinamicità a cui può essere sottoposta la distribuzione delle funzioni e dei gruppi
sociali può dar luogo a fenomeni di trasformazione urbana. Tra di questi, il downgrading di
specifiche porzioni, spesso contraddistinte da mutamento della base produttiva e fuoriuscita del
ceto medio (talvolta diretto verso le aree di suburbanizzazione) è tra quelli che destano maggiore
interesse. Impoverimento e parziale abbandono delle zone centrali dalle funzioni che prima
ospitavano aprono la strada a specifici interventi di rivitalizzazione e riqualificazione che possono
essere condotti dal congiunto operare di forze pubbliche e private.
Contesti di residenza temporanea
L’imponente crescita della mobilità lavorativa e studentesca, così come di quella turistica, ha
contribuito alla produzione di considerevoli aree per la residenza temporanea. Abitare una città è
profondamente cambiato. Non sono più solo gli abitanti a stare in città, ma anche i city users
come:
• Turisti.
• Studenti: abitazioni per studenti, affitti – residenze temporanee, collegi studenteschi – portano
interazione sociale, con interessi comuni. Nascono gli Studenti-Hotel, con studenti anche
internazionali. • Pendolari
• Lavoratori/trici
I flussi di city users possono generare impatti diversi sulla struttura urbana e la composizione
sociale delle città – impatti significativi. Si offrono più servizi e vantaggi attrattivi per le persone.

Gentrification
Dinamiche che contribuiscono alla “nobiltà” dei quartieri. Non è un termine molto presente in Italia,
ma in Europa si. Si parla di aree degradate che ad un certo punto iniziano ad essere più nuove.
Questo genera dei meccanismi che generano la ristrutturazione delle case e un cambiamento
della composizione sociale della popolazione.
Di cosa si parla?
Mutamento dei quartieri che diventano più attrattivi ed acquisiscono nuove forme di centralità.
Termine coniato da Ruth Glass (1964) per descrivere un processo di cambiamento urbano che
interessa i quartieri operai londinesi del Secondo Dopoguerra. Si riferisce all’emergere di una
classe media urbana che viene ironicamente accostata alla piccola nobiltà rurale inglese (gentry
da qui viene il termine gentrification).
Movimento di popolazione verso aree centrali stimola diversi cambiamenti:
- ristrutturazione del patrimonio abitativo: molte persone vi vogliono abitare, soprattutto la classe
media, che ha esigenze di spazio. Ci sono anche ristrutturazioni private: gli abitanti comprano le
case degli operai. È un processo di graduale sostituzione sociale: i quartieri operai diventano
quartieri di classe media specializzati in servizi. C’è anche la ristrutturazione della base economica
della città: da economia industriale ad economia basata sul settore terziario.
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- trasformazione e incremento della proprietà immobiliare - ascesa dei valori e dei canoni
immobiliari - allontanamento e sostituzione della working class
Questi elementi costituiscono l’ossatura della gentrification in termini di esiti e sono circostanziati in
una serie di trend demografici, economici, politici e culturali che si manifestano a Londra tra gli
anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Però non avvengono solo a Londra, ma
accompagnano le città che passano da un'economia industriale a un'economia incentrata nei
servizi.
Il dibattito tra il consumo e la produzione
L’interpretazione di questo processo conosce un fervente dibattito tra gli anni Settanta e gli anni
Ottanta del secolo scorso, riflettendo la più ampia discussione sui limiti dello strutturalismo
marxista e l’agency individuale. Due differenti approcci riconducibili a una dicotomia tra paradigmi:
dal lato della domanda (consumatori e i loro gusti) e dall’altro dell’offerta (produzione). Ci sono due
grandi insiemi di teorie che riguardano questo mutamento:
1) Teorie production-side: identificano la gentrification come un processo di natura
economicopolitica che trova spiegazione nella relazione tra circolazione di capitali e produzione
dello spazio urbano → Rent gap (Smith, 1979). ). I quartieri, in certi periodi storici, conoscono un
calo di attrattività e dunque dei propri valori immobiliari; se però c’è ristrutturazione della base
economica e domanda sul mercato immobiliare, nascono nuove offerte sulla domanda
residenziale (accade negli ultimi 5/6 anni a Milano, o negli ultimi 10 a Berlino): tanti investitori
internazionali comprano molte case per rivenderle a prezzi più alti perché sanno che c’è tanta
domanda residenziale in queste città. A Berlino una legislazione vieta agli investitori di comprare
più di un tot di case, altrimenti ci sono speculazioni
2) Teorie consumption-side: conseguenza dell’affacciarsi sulla scena urbana di una classe
media con specifiche preferenze di consumo e valori culturali che compare in seguito a
cambiamenti della struttura economica e demografica. Focus su caratteristiche gentrifiers e i loro
consumi (Duncan & Ley, 1982). Mutamento delle preferenze delle persone (consumatori).
Obiettivi e domande di ricerca
Comprendere in che misura il contesto influisce sulle traiettorie e le manifestazioni della
gentrification nelle città europee di media dimensione.
Esiste un doppio livello di comparazione:
1) differenze e continuità tra teoria e città europee di media dimensione, 2)
parallelismi e discontinuità tra i casi indagati.
CITTÀ EUROPEA: è diversa dalle città nordamericane non solo dal punto di vista spaziale, ma
anche delle istituzioni. Le città europee sono più antiche e storiche, ma hanno anche delle strutture
istituzionali ben diverse che plasmano la crescita e l’evolversi della città, ma anche il suo
funzionamento.
Definizione del contesto della città europea e della “città media”
La scelta per lo studio è Bologna (Italia) e Bristol (Inghilterra). Campo di ricerca corrisponde a 2
quartieri semicentrali che hanno conosciuto simili percorsi di sviluppo, ma si collocano in contesti
istituzionali e sociali differenti. Si tratta di due casi simili ma non identici, utili alla comparazione e
all’individuazione di parallelismi e discontinuità tra i casi e tra casi e teoria, coerentemente con le
domande di ricerca. La loro individuazione è legata a ragioni conoscitive ma anche a questioni
opportunistiche di accesso al campo. Hanno avuto dei processi di cambiamento e di sviluppo
simili. Bisogna capire quali sono le motivazioni che portano le persone a vivere in un posto
piuttosto che in un altro, dunque cosa le spinge a fare certe scelte.
Il metodo e la comparazione → Ricerca multimetodo: mix tra approccio qualitativo e quantitativo
tra specifiche fasi della ricerca (Johnson & Onwuegbuzie, 2004. Un occhio alle similarità e
uno alle differenza
La gentrification nelle città europee di media dimensione
Quartieri semicentrali e gentrification che compare in un momento successivo rispetto alle grandi
metropoli, seguendo il ritardo nell’espansione dell’economia dei servizi e dei flussi di popolazione
correlati. Ritmo e intensità di portata inferiore alle grandi metropoli con impatti mediati dal ruolo
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regolativo dello Stato nello sviluppo della città europea (displacement economico inferiore a casi
USA e timidi segnali di suburbanizzazione povertà). Intervento pubblico sostiene
significativamente il processo, specialmente nel caso bolognese: grandi interventi pubblico locale
in questo processo. Considerevole peso dei marginal gentrifiers ovvero di soggetti che non si
collocano nelle parti superiori della struttura sociale. Gentrification non appare indissolubilmente
legata a espansione proprietà immobiliare bensì si lega a una considerevole espansione dell’affitto
privato.
Esiti diversi di processi commensurabili: un’ipotesi interpretativa.
Dipendenza contestuale del processo legata all’intersezione dei fattori
Ma siamo di fronte a esiti finali o è stata fotografata una specifica fase del processo? → Le
aree degradate dunque subiscono varie fasi di riqualificazione.

La politica
Dal greco politikḗ: pólis + téchnē. Parafrasato, la politica è la tecnica di governo (della società).
Aristotele la definiva come l’amministrazione della polis, ovvero di uno spazio pubblico al quale
tutti appartengono. Più di 2000 anni dopo, uno dei padri fondatori delle scienze sociali; Max
Weber, ci dice che secondo lui (anni ‘800 -’900) politica come aspirazione al potere (ricerca potere
e legittimazione) e monopolio legittimo dell’uso della forza + avere un'influenza diretta e
riconosciuta su qualcuno. In senso generale possiamo definire “politica” è l'occuparsi in qualche
modo di come viene gestito lo stato e dei processi coinvolti nell’esercizio del potere, nel
raggiungimento e nella resistenza al potere. Il potere può essere esercitato, e la politica spiega
come. In tal senso "fanno politica" anche le persone che, subendone effetti negativi ad opera di
coloro che ne sono istituzionalmente investiti, scendono in piazza per protestare o raccoglie una
carta da terra. Il termine “potere” consiste essenzialmente nella capacità di fare. Due approcci
concettuali principali alla sua teorizzazione:
1 - Qualcosa che può essere posseduto (Weber, Hobbes) → è una cosa che può essere
detenuta.
2 - Capacità di agire che esiste solo quando effettivamente esercitata (Latour) → il potere
non è tanto qualcosa di materiale, ma è una capacità di agire e esiste solo nel momento in cui
viene effettivamente esercitata.
In ogni caso attiene alla capacità di far fare e anche al suo contrario, il non far fare qualcosa, ed è
presente in ogni relazione fra soggetti. E’ un progetto che attiene alla capacità di far fare qualcosa
a qualcuno, ma anche evitare che ne facciano delle altre. Molto spesso il potere è stato esercitato
tramite i divieti.
La geografia politica
E’ una prospettiva delle scienze sociali che cerca di riflettere sulle interazioni e triangolazioni fra
politica e geografia.
La geografia politica riconosce le entità di entrambi i triangoli come intrinsecamente collegate, e si
colloca nel loro mezzo (es. variazione spaziale nell’attuazione delle politiche; influenza dell’identità
territoriale sul comportamento di voto).
Gli oggetti di interesse della geografia politica sono le relazioni connesse all’esercizio del potere e
il loro rapporto con lo spazio geografico. Se in passato vi è stata una forte attenzione al rapporto
tra territorio, risorse e potere statale o a quello tra dinamiche interne e funzioni esterne dello stato,
oggi vi è interesse verso un’ampia serie di fenomeni. Esempio → Geografia elettorale, conflitti,
espressioni politico-geografiche dei rapporti di classe, spazio pubblico, pratiche discorsive,
questione energetica, politica delle connessioni tra luoghi, politica ambientale, movimenti sociali,
ecc…
Geopolitica (parte della geografia politica): guarda alle relazioni tra i paesi fuori dai loro confini
Geografia politica, invece è una disciplina più ampio che si occupa di molti più temi. Lo stato
Uno degli interessi principali della geografia politica. Nel mondo ci sono tanti stati che esercitano la
loro sovranità su un territorio con confini ben precisi. La sovranità è esercitata anche nel mare. Lo
stato non è sempre esistito da un punto di vista storico.
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Sguardo geografico → Per Weber uno stato è una comunità di esseri umani che rivendica con
successo il monopolio legittimo dell’uso della forza fisica su di un dato territorio.
Comunità: è un insieme di individui e persone che si riconoscono in una serie di valori condivisi.
Monopolio legittimo: ce l’hanno solo loro ed è riconosciuto.
Uso forza fisica: potere coercitivo nei confronti di chi vive o è presente in quel territorio.
La geografia politica ci aiuta a comprendere che pur in presenza di queste costanti esistono:
1. Stati deboli e stati forti sia rispetto alle risorse a disposizione per finanziare istituzioni e abitanti
sia in riferimento alla capacità di esercitare pressioni esterne.
2. Disparità degli effetti di determinate politiche.
3. Differenze nell’estensione e nell’esercizio del potere di uno stato.
LA STORIA DELLO STATO
Gli stati non sono sempre esistiti. Le forme più antiche risalgono al III millennio a.C. in
Mesopotamia ma lo stato come lo intendiamo oggi comincia a svilupparsi solo dal XVI secolo.
Nasce nel medioevo → era un’entità confusa, con confini NON definiti, ma aveva delle frontiere
(territorio di scoperta in cui non è detto che sia rispettata la legge di uno rispetto all'altro). Era
composta da diversi individui e organizzazioni che rivendicavano il potere (es. ecclesiastici,
sovrani, ecc…). Il consolidamento è il processo per cui in epoca moderna gli stati demarcano
chiaramente il proprio territorio, assumono una struttura centralizzata ed esercitano efficacemente
il potere coercitivo al loro interno, così come lo sfruttamento di terra, abitanti e risorse (tasse).
Informazioni e governamentalità
L’espansione del potere dello stato si associa alla necessità di conoscere abitanti e territorio al fine
di controllare lo spazio e utilizzare le risorse. La conoscenza è fondamentale per controllare uno
spazio. Dal XVII secolo si avvia una fase di sistematica raccolta di informazioni attraverso la
burocrazia statale.
Potere infrastrutturale: capacità di incidere sulla vita dei cittadini in modo sistematico.
Censimenti e nuove tecniche di mappatura del territorio e delle proprietà (catasto) consentono di
rendere società e territorio maggiormente “leggibili” ai fini della governamentalità, ovvero della
razionalità necessaria per esercitare l’attività di governo (classificazioni e costruzione della
devianza).
Il ruolo della guerra
Il consolidamento dello stato moderno trova ampie ragioni nella necessità di andare in guerra.
Micheal Mann ha mostrato come lo sfruttamento economico della popolazione ha conosciuto i suoi
apici nei momenti in cui l’Inghilterra si preparava a entrare in guerra o a difendersi dai vicini
aggressivi.
La resistenza alla tassazione per lo sforzo bellico fu parallelamente una determinante della
formazione delle moderne forze di polizia. Ma (la tassazione) ha anche avuto come riflesso la
graduale emancipazione interna dei cittadini, specie nel XIX e XX secolo con investimenti nel
benessere comune (pianificazione urbana, forme primordiali di welfare).
Lo stato come lo intendiamo oggi
In base ai principi del diritto internazionale affermati a seguito della pace di Westfalia (1648 –
guerre dei 30 anni e degli 80 anni) gli unici organismi cui è riconosciuto il diritto a esercitare la
completa sovranità sono gli stati.
Stato → unità politica riconosciuta internamente e esternamente (internazionalmente),
caratterizzata da una popolazione stabile, confini definiti e un governo con la completa sovranità
sul territorio, sugli affari interni e sulle relazioni internazionali.
Sovranità → autorità completa ed esclusiva di uno stato sul suo territorio, sui suoi cittadini e suoi
propri affari interni Gli stati per come li intendiamo oggi presentano delle costanti: territorio
(confini), riconoscimento della popolazione, riconoscimento esterno, organizzazione politica valida
per l’intero territorio (governo, leggi).
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Territorialità statale
Per affermare la propria esistenza fisica gli stati devono governare dei territori legando a loro il
proprio potere. La legittimazione dello stato non deriva dal fatto di governare persone (stato
islamico) ma territori entro i cui confini valgono specifiche leggi per chiunque vi si trovi. - Da
un lato, la territorialità è un elemento che regola i rapporti tra i vari stati in un sistema
internazionale di norme e regolamenti, obblighi e responsabilità. - Dall’altro è quello che
definisce i limiti spaziali del potere dello stato.
Ha quindi effetti sull’esterno, ma anche sull’interno in riferimento all’estensione del potere sulla
popolazione.
Razionalità territoriale
La maggior parte degli stati moderni europei ha tentato di creare uno stato omogeneo e isomorfico
(c’è una corrispondenza tra, i questo caso, territorio e possibilità/capacità di esercitare il potere)
per fare in modo che la distanza dal centro del potere non ne limitasse l’efficacia dell’attività di
governo. La creazione di uno stato omogeneo era tuttavia complessa perché implicava un drastico
cambiamento di usi e costumi fortemente radicati. Tale operazione, almeno in parte, si è rivelata
più facile nelle terre di recente scoperta. Si può infatti notare come in Nord America il territorio fu
reso maggiormente “leggibile” attraverso una ripartizione geometrica in circoscrizioni.
Conflitto e organizzazione territoriale
Dotare di razionalità territoriale uno spazio sul quale lo stato vuole imporre il proprio potere ha
quasi sempre portato con sé un certo livello di conflitto.
Diverse opzioni da promuovere:
1. Centralizzazione
2. Mediazione centro-periferia
3. Federalismo
Sussistono inoltre strategie per rafforzare (o costruire) il senso di identità e l’attaccamento dei
cittadini allo stato e alle sue istituzioni come il nazionalismo.
Stati-nazione: quando i confini dell’entità statale coincidono con quelli di un territorio nel quale una
sola nazione identifica la propria storia.
Nazioni senza stato: Kurdi, palestinesi (in parte).
Imperialismo e colonialismo
Imperialismo: controllo diretto o indiretto esercitato da uno stato nei confronti di un altro stato o di
una diversa entità territoriale Colonialismo: forma di imperialismo in cui lo stato dominante prende
possesso di un territorio straniero, occupandolo e governandolo direttamente. Iniziano a diffondersi
a partire dal XV secolo: portoghesi sulle coste africane prima, con gli spagnoli nell’America centro
meridionale poi. Seguiti a breve da Olanda, Francia, Gran Bretagna, e in seguito da Belgio,
Germania e Italia. Colonie europee in Africa, Asia, Americhe, terre del Pacifico controllate fino alla
metà del ‘900 (nelle Americhe finiscono un secolo prima circa). Diffusione proporzionale al potere
nel tempo: l’impero più esteso fu quello britannico, che fondò colonie in tutti i continenti abitati,
seguito da quello francese con possedimenti in Africa occidentale, Sud-est asiatico e Pacifico.
Africa come terreno di conquista per eccellenza. Sfida alla territorialità statale
Lo stato è potente ma non è onnipotente e onnisciente e presenta quindi dei limiti. Fattori di
resistenza strutturale all’affermazione della territorialità statale: presenza di gruppi indipendentisti,
istituzioni informali fortemente radicate, incapacità di finanziare le istituzioni periferiche e/o statali,
globalizzazione e cessione di sovranità, contestazioni interne, interessi regionali e forze di classe.
Di centrale importanza è la coesione: il sentimento di coesione cambia con l’evoluzione dello stato
e quindi con il prevalere di forze rispettivamente centripete o centrifughe. La sua costanza dipende
dal grado di controllo e di gestione delle forze che ne mettono in discussione l’unità.
Separatismo (pezzi si una entità statale che se ne vogliono andare oppure attaccarsi a altre zone
più vicine) come risposta a esigenze di primato di una propria identità (nazionale ma non solo). La
risposta dello Stato di solito si delinea in forme di autonomia e/o di decentramento amministrativo.
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Regolazione statale
Usiamo questo termine indicando quel complesso di regole, norme e convenzioni a diverse scale
geografiche nei processi di mediazione al sistema capitalistico.
Cinque livelli di analisi dei modi di regolazione: i rapporti salariali, le forme di concorrenza tra
imprese e settori, i meccanismi di circolazione del denaro, le forme-funzioni-istituzioni dello stato, i
regimi internazionali. Le istituzioni statali giocano un ruolo fondamentale nel sostenere specifici
modelli di sviluppo economico, di ridistribuzione delle risorse e di stimolo/rallentamento dei
cambiamenti sociali.
Regolazione fordista e post-fordista
In differenti fasi di sviluppo economico e sociale la struttura socio-istituzionale dello stato può
variare significativamente.
Fordismo: contrattazione collettiva attraverso i sindacati, gestione della domanda da parte dello
stato e consumo di massa grazie al welfare.
Post-fordismo: contrattazione individualizzata e declino dell’attività sindacale, intervento statale
sull’offerta e sui consumi attraverso incentivi, privatizzazioni e welfare. Questi principi conoscono
forti variazioni territoriali in base alle articolazioni socio-economiche e istituzionali. Welfare e
workfare
La ristrutturazione dello stato sociale comporta delle forme di regolazione attiva del mercato del
lavoro. In quest’ottica, una particolare etica del lavoro viene utilizzata per rimodellare i diritti dei
cittadini.
Uno dei princìpi delle politiche di workfare è l’introduzione di standard comportamentali e di
responsabilità sociali per incoraggiare i disoccupati al reinserimento lavorativo (partecipazione
obbligatoria a formazione o lavori socialmente utili).
Una contraddizione: il posto di lavoro viene presentato come problema all’impoverimento mentre
contestualmente si promuovono forme di lavoro flessibile (e crescono working poor)

Cittadinanza
Da civitas (romana), indica senso di appartenenza, diritti e doveri e ha una dimensione locale.
Regola i rapporti tra cittadini e istituzioni. Insieme di diritti e doveri che regolano i rapporti tra i
cittadini e le istituzioni di qualche genere. La cittadinanza definisce i rapporti tra l’individuo e lo
stato.
A un primo livello, rappresenta il senso di appartenenza a uno stato nazionale → Cittadinanza
come nozione giuridica che si acquisisce (nascita, naturalizzazione…) e che determina diritti come
voto, parola, riunione e doveri come il pagare le tasse. La vediamo come qualcosa che si ottiene
per diritto di nascita o con una richiesta di cittadinanza. Ci sono vari meccanismi per acquisire la
cittadinanza
La cittadinanza porta al diritto di votare i rappresentanti che rappresentano i nostri interessi. A
un secondo livello la cittadinanza è una pratica che si può o meno esercitare estendendo i
nostri doveri o limitando i nostri diritti (attiva, negata, ostacolata).
È un concetto che ha subìto diverse evoluzioni, includendo nel tempo anche i diritti sociali
(istruzione, assistenza sanitaria), sebbene questi siano oggi interessati da forme di indebolimento.
La cittadinanza non è un concetto fisso, ma EVOLUTIVO, c’è stata estensione (ex diritti sociali e
civili), ma non è sempre stato così. La cittadinanza si evolve nel tempo, includendosi ed
espandendosi a più diritti (non solo voto, riunione e parola). I diritti possono anche indebolirsi.
Governo locale e razionalità politica
In alcuni casi, selettività di concessione e partecipazione ai gruppi sociali. In altri, a causa del
crescere della mobilità globale, doppia cittadinanza e posizioni ambigue come il non avere
cittadinanza nel luogo di residenza.
Spesso una cittadinanza è riconosciuta, ma i diritti non sono concessi: accade sia nei paesi
democratici che nei paesi con poca libertà di espressione.
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Tutti gli stati, tranne i più piccoli, presentano strutture di governo a livello locale, pur con differenze
di rilievo in termini di responsabilità e autonomia. Queste strutture amministrano i territori con una
certa autonomia (che varia con i dettami istituzionali).
Le varie responsabilità cambiano da nazione a nazione (differenze tra Italia, Germania e Usa: in
Germania, le Länder applicano le regole senza margini di intervento; in Italia i comuni hanno
autonomia e, rispetto alle regioni, possono prendere decisioni specifiche e più vicine alla
popolazione locale. In Germania invece non è così). È dunque diversa la razionalità politica degli
stati: per alcuni, l’assistenza sanitaria è un diritto per tutti, indistintamente, per altri (come negli
Usa), l’accesso alla sanità dipende dall’assicurazione. Ci sono sia differenze spaziali che
evoluzioni temporali.
In generale, queste strutture sono dotate di responsabilità verso i cittadini a cui offrono possibilità
di partecipazione politica e di accesso a servizi che sono concepiti come diritti. L’organizzazione di
questi sistemi e il fatto che certi servizi siano ritenuti dei diritti dipende dalla razionalità politica di
uno stato, ovvero dal suo sistema di regolazione socio-economica. Mutevolezza della razionalità
politica: da “liberismo controllato” (pianificazione economica e diritti universali) a “neoliberalismo”
(governance e ridefinizione delle questioni sociali come l’esclusione). Oggi si applicano processi di
rilocalizzazione e riconcentrazione delle risorse su alcuni luoghi e contesti che fanno da traino
all’economia nazionale. Il nuovo localismo
Lo spostamento della razionalità politica ha implicato un processo di localizzazione delle questioni
sociali (benessere, disuguaglianza, povertà…) sostenuto da varie forme di re-scaling
istituzionale: si portano questioni di interesse collettivo (es. politiche, regolamentazioni, interventi)
a scala locale – nuovo localismo: processo di costante localizzazione delle questioni locali. Da qui
nasce anche la competizione tra territori su varie questioni sociali (ex benessere). Non ci sono più
interventi statali omogenei e uguali ovunque, ma tanti piccoli interventi specifici locali (provinciali,
regionali, comunali): non si applica la stessa regola ovunque senza differenziazione da parte dello
Stato, ma ogni territorio decide in base alle specificità della popolazione locale (tenendo conto
anche delle diverse risorse territoriali, perché ogni territorio ha risorse diverse) → frammentazione,
diversità e varietà delle politiche.
Si ritiene quindi che lo sviluppo economico e la coesione sociale possano essere meglio gestite a
livello locale e regionale piuttosto che a livello centrale.
La governance neoliberale si accompagna quindi all’emersione di un “nuovo localismo” in cui il
coinvolgimento degli attori locali e la loro messa in rete attraverso sistemi di collaborazione
divengono lo strumento principe per affrontare questioni complesse (comportamenti antisociali,
disagio abitativo…).
Elementi cardine del nuovo localismo sono l’estensione del concetto di partecipazione, la
localizzazione delle pratiche di governo e la loro frammentazione. Si coinvolgono cittadini,
imprese, cooperative: attori che possono dare un contributo – crescente partecipazione allargata
per affrontare questioni anche complesse (ex disagio abitativo, questioni sociali, povertà
educativa, ossia difficoltà di apprendimento da parte dei giovani, cosa che si è manifestata molto
anche durante il Covid).
Localismo è stato definito un Giano bifronte
In termini di efficacia i risultati del nuovo localismo non sono scontati. Può infatti produrre effetti
differenti in base agli ambiti di applicazione e ai contesti. Quanto accomuna ogni forma di
localismo è tuttavia la decentralizzazione delle responsabilità e dei costi a esse associati (ma
non del potere). I comuni italiani hanno sempre più responsabilità negli ultimi anni (sia per sindaci
che amministrazione), ad esempio i servizi sociali. Spesso però la crescita di responsabilità non si
accompagna alla crescita di risorse: molti comuni sono in difficoltà perché devono fornire sempre
più servizi ma non hanno abbastanza risorse. I comuni che riescono a superare queste difficoltà
hanno buone capacità organizzative e gestionali, e in più prendono risorse dall’estero (es. UE).
Crescono però così anche le disuguaglianze territoriali.
Erik Swyngedouw lo definisce un “Giano bifronte”: da una parte incoraggia partecipazione attiva e
coinvolgimento, dall’altra introduce tecniche regolative e disciplinari che erodono il carattere
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democratico della realtà politica. Delega senza potere, ma non solo…


La trappola locale
Per sua definizione il localismo ammette che ci siano differenze geografiche nelle pratiche di
governo e nell’erogazione dei servizi pubblici.
Dal momento che le responsabilità sono affidate alle comunità locali i risultati delle iniziative
dipendono sempre più dalle loro capacità (capitale sociale), dal grado di autonomia concessa e
dalle risorse messe a disposizione. Emerge come i principali beneficiari del nuovo localismo non
siano le comunità svantaggiate ma quelle che posseggono già un capitale sociale ed economico
significativo.
Mark Purcell parla di “trappola locale” rispetto al pensare il localismo come migliore di altre forme
di governo: più autonomia non corrisponde sempre a più equità. lo vediamo in tanti casi pratici (ex
divari territoriali, forme di localismo difensivo ed escludente che fanno iniziative escludenti rispetto
alle “popolazioni altre”. Accade soprattutto nelle città industriali in crisi, in cui tante persone hanno
bisogno di supporto economico e chiedono aiuti a organizzazioni pubbliche. Spesso però nascono
manifestazioni che non sono d’accordo nel dare case agli immigrati – discriminazione,
differenziazioni). Alcuni individui si considerano con “più diritto” di accedere a certi servizi e
privilegi.
Aspetti critici: divari territoriali, localismo difensivo (iniziative escludenti in luoghi in contrazione),
accordi di buon vicinato che si trasformano in ronde (differenziazione abitanti locali e outsider).
Cittadinanza e comunità
Nonostante le criticità il nuovo localismo ha riaffermato la comunità come luogo in cui si pratica la
cittadinanza attiva. Questo si rifà a una lunga tradizione storica secondo cui le comunità affondano
le proprie radici in qualche forma di condivisione.
Tuttavia non si può affermare che la comunità favorisca il senso di cittadinanza perché questa è
continuamente negoziata, contestata e praticata in comunità che non sono necessariamente
omogenee e possono andare incontro a diversi tipi di discriminazioni (di lingua, religione, di
cultura…). Le comunità locali affondano le radici in forme di condivisione. Non è sempre verò però,
perché non sempre le comunità sono omogenee, ma anzi sono spesso luoghi di fortissimo conflitto
tra le stesse persone che vi appartengono (anche le più piccole comunità possono essere molto
conflittuali e con grandi forme di discriminazioni basate su lingua, cultura, religione).
L’esercizio della cittadinanza attraverso la comunità non si esprime inoltre solo con le iniziative
politiche e la partecipazione alle attività di governo ma soprattutto con le normali interazioni della
vita quotidiana (portare figli a scuola, andare in un bar o in un negozio) attraverso cui entrano in
gioco i diritti e le responsabilità dei cittadini. È in queste occasioni che gli outsider entrano a far
parte delle comunità locali consolidando così il loro status di cittadini.
Luoghi e nazionalismo
Nazione= popolazione che condivide un territorio di importanza storica, miti ancestrali e memorie
comuni, una cultura di massa, un’economia, dei diritti e dei doveri collettivi. Il richiamo al territorio
include anche luoghi e paesaggi. A differenza dello stato riguarda gli elementi culturali e
l’immaginare una comunità omogenea su larga scala. Quando stato e nazioni si fondono si
generano gli stati nazionali.
Nazionalismo → come ideologia che promuove l’esistenza delle nazioni e che sostiene l’idea che
ogni nazione debba disporre di un proprio territorio. Può essere sia di tipo:
- emancipativo
- fortemente conservatore
Anthony Smith suddivide due principali tipi di teorie del nazionalismo:
1) Teorie in età premoderna: prima del sedicesimo secolo
–Primordialiste: la nazione è un elemento essenziale nell’organizzazione umana ed è sempre
esistita, che si lega ad etnia e razza dei popoli, dunque alle loro caratteristiche intrinseche. La
nazione è sempre esistita perché essenziale per l’umanità.
- Perennialiste: la nazione è un prodotto della modernità ma affonda le sue radici in precedenti
comunità etniche premoderne.
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2) Teorie in età moderna: dopo il sedicesimo secolo


- Nazionalismo come “cultura superiore”: lo sviluppo industriale necessita di forza lavoro
alfabetizzata e il sistema educativo statale educa i cittadini agli ideali nazionalisti
- Sviluppo socioeconomico dei paesi periferici che usano il nazionalismo per competere con il
centro ed emanciparsi
- Nazionalismo e stato: le nazioni sono il frutto della burocrazia statale.
- Nazionalismo come ideologia: mezzo per sfuggire dagli sconvolgimenti sociali causati dalla
modernità (cultural backlash). Le teorie classiche sul nazionalismo
Le teorie classiche sono state ampiamente criticate, specie sul fatto che le idee di etnia, razza e
nazione siano intese in senso oggettivo trascurando la loro natura relazionale, processuale e
“immaginata”: le nazioni, secondo la prospettiva costruttiva, con comunità che in realtà non
esistono e che dunque sono immaginarie.
La retorica nazionalista costruisce l’idea di nazione plasmando i concetti di confine, indivisibilità,
partecipazione, cultura, identità e territorialità. In questo è oggi interpretata come una pratica
discorsiva.
Inoltre, le teorie classiche tendono a non considerare il ruolo svolto dai gruppi marginali
(minoranze etniche, classi oppresse) e da come il nazionalismo può essere articolato attraverso
questioni di genere, di critica postcoloniale, di cultura popolare e di questioni spaziali. Luoghi e
nazione
Il nazionalismo trae spesso nutrimento dal riferimento a luoghi specifici: monumenti ai caduti, al
milite ignoto, edifici governativi, statue, musei nazionali. Questi luoghi diventano riferimenti
culturali.
Emerge quindi come specifici luoghi geografici, a cui sono assegnati valori, divengano ambiti di
riferimento culturale.
Alcuni luoghi specifici possono assumere un particolare valore per il discorso nazionalista sia in
termini materiali sia rispetto alla sua riproduzione (es. Saturday Evening Post → giornale letto negli
Usa, aveva una rubrica settimanale che trattava le specificità dei luoghi negli Stati Uniti e hanno
contribuito alla costruzione nazionalista).
I paesaggi nazionali
L’immaginario nazionale è efficacemente rappresentato da determinati paesaggi che vengono
associati a incarnazioni di valori (in Italia paesaggi del made in Italy). In generale, le nazioni
tendono a considerare i paesaggi rurali come particolarmente rappresentativi di stili di vita ritenuti
autentici del carattere nazionale. Oltre a rappresentare la “purezza” di una nazione certi paesaggi
possono servire a sottolineare differenze (Canada - il vero Nord). Il Nord America non ha la 114
stessa urbanizzazione degli Usa, ma ha una propria identità nazionale e un proprio paesaggio
rispetto agli Usa comparazione e differenziazione delle nazioni). Le nazioni sono infatti definite in
modo simile alle identità, ovvero per comparazione e contrapposizione e vengono delimitate da
confini che “tagliano” idealmente (ma non nella pratica) paesaggi e culture differenti.
Contestare la nazione
La nazione è spesso concepita in modo semplificato come gruppo omogeneo e stabile di individui
allineati a ideali comuni e delimitati da confini.
Questa concezione difficilmente rispecchia la realtà la quale si intreccia con posizionamenti sociali
e culturali differenti.
E anche con luoghi differenti. È una cosa diversa essere cittadino italiano a Roma o in provincia di
Nuoro perché si hanno diritti diversi e appartenenze diverse che possono sfociare in forme di
contestazione più o meno manifesta (mancanza di riconoscimento, indipendentismo).

Luoghi contesi
La contestazione può avvenire anche a scala minore quando coinvolge direttamente quelle
costruzioni sociali che sono i luoghi e i loro paesaggi. I luoghi contesi sono spesso oggetto di
conflitto e motore di cambiamento della storia secondo una concezione dialettica della storia
stessa. Concepiamo i luoghi in modo diverso perché ognuno attribuisce loro significati soggettivi e
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diversi (uno stesso luogo può essere di studio, divertimento, lavoro.. per persone diverse a
seconda dei ruoli che abbiamo).
I paesaggi di potere
I paesaggi fanno riferimento alla dimensione sensoriale dei luoghi e ai significati che sono ad essi
associati. In questo senso prendono forma i paesaggi di potere che agiscono come dispositivi
politici. Ne possiamo individuare di 4 tipi in base a cosa esprimono:
- chi è al comando (castelli), chi comanda? I castelli stanno solitamente in alto per far
capire chi sta in alto anche nel senso politico (potere), ossia che i castelli dominano in tutti i sensi.
- le ideologie dominanti (stella rossa/grattacieli), anche i grattacieli hanno un significato
simbolico – rappresentano il potere del capitalismo contemporaneo e della finanza globale (fino a
poco tempo fa si sviluppavano in luoghi di finanza, oggi anche nei nodi economici globali).
- l’importanza (edifici opulenti), edifici dedicati a qualcuno di importante per un certo
contesto (qualcuno che aveva un potere).
- l’attaccamento all’élite (titolazioni di strade/monumenti) Il potere si manifesta dunque
anche attraverso l’architettura e gli edifici. L’importanza di una certa entità politica è veicolata
anche attraverso l’architettura (stile neoclassico/postmoderno) e l’organizzazione spaziale
(barriere/sorveglianza).
La contestazione dei paesaggi di potere
Il fatto che i paesaggi di potere simboleggino il ruolo svolto dai leader, dalle ideologie e dalle
istituzioni li rende luoghi privilegiati delle contestazioni nei loro confronti.
Occupare simbolicamente un paesaggio di potere come la piazza antistante a un edificio
governativo significa sfidare quel potere e ottenere da questo una cassa di risonanza delle proprie
ragioni.
Allo stesso modo, l’abbattimento di simboli come le statue al cessare di un certo regime politico (o
nel corso di un passaggio storico) costituisce una pratica diffusa di contestazione di un certo
potere.
Il caso di Berlino
Paesaggio urbano segnato dalla contrapposizione tra regimi Il nazismo considerava il valore
simbolico dell’architettura e fece erigere edifici spettacolari che coniugavano il richiamo alla
classicità con quello alle origini prussiane (potere come imponenza: intimidire e impressionare).
Muro di Berlino: a Ovest contestato, a Est presidiato. A Berlino Est ridisegno del paesaggio
cittadino secondo principi ideologici della DDR (Stalinalle, monumenti a Marx e Engels).
Dopo il 1989 grandi dibattiti su questa ingombrante eredità. La
contestazione dei paesaggi quotidiani
I cambiamenti all’interno di un paesaggio e le diverse percezioni/interpretazioni dei luoghi possono
divenire catalizzatori per mobilitazioni politiche e forme di contestazione.
Conflitti relativi alle trasformazioni del paesaggio e all’uso del territorio (Pale eoliche, TAV…).
Lotte per l’accesso allo spazio pubblico (dispute sull’uso di una piazza o un giardino) e ai servizi
pubblici (dismissione/privatizzazione servizi).
Lotte per l’identità delle comunità di fronte a minacce esterne. Gentrification
e conflitto sociale
Nei processi di gentrification si può assistere a conflitti molto accesi che generano dalla
sostituzione sociale dei gruppi. Aumenti del costo della vita, trasformazioni commerciali e di
fruizione a scala locale causano spiazzamento culturale ed espulsione residenziale che può
sfociare in forme di protesta e attivismo.
Campagne contro i gentrifiers
Campagne di rivendicazione del diritto all’abitare.
Il caso di Urbino
A. Urbino è teatro di una disputa storica tra abitanti e studenti che talvolta è sfociata in vere e
proprie rivendicazioni da parte della comunità studentesca.
B. Modi di vivere e intendere la città diversi e (soprattutto) poteri diversi.
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C. Trasformazioni del centro e minaccia all’identità del luogo imputate quasi esclusivamente allo
stile di vita studentesco.
D. Town and gown

Elezioni e sistemi elettorali


Democrazia
Termine coniato nell’antica Grecia per indicare il governo o il potere (kratia) del popolo (demos) In
senso generale si riferisce al processo in cui molti o persino tutti coloro, sui quali ricade l’esito di
una decisione, possono partecipare alla sua formulazione o influenzarla.
Ha a che fare anche con l’accesso ai diritti sociali e civili, nonché con i metodi di governo. Può
essere presente in tutti gli ambiti della vita sociale (economico, in quelle aziende dove si cerca un
accordo, familiare, lavorativa…).
La democrazia che ci interessa è quella politica, collegata all'esistenza stessa di una società
civile, è intesa come partecipazione pubblica ai processi decisionali dello stato e come principale
modo per rappresentare la legittimità dello stato → riconoscimento interno (ossia quando non ci
sono delle rivoluzioni intere o contestazioni) ed esterno (un certo stato riconosce un altro stato
come legittimo di esistere).Sebbene la sua diffusione non sia stata uniforme nel tempo e non lo sia
nello spazio.
Quando parliamo di democrazia (guardando la complessità e l'estensione degli stati) parliamo di
Democrazia rappresentativa e quindi non diretta. Nella democrazia rappresentativa, gli elettori
votano periodicamente un certo numero di rappresentanti che si occupano della politica per coloro
che rappresentano.
Democrazia diretta: i cittadini possono, senza intermediazione o rappresentanza politica,
esercitare direttamente il potere legislativo. Questa è presente spesso nelle organizzazioni
informali e/o associative (assemblearismo, metodo del consenso).
Forme di democrazia diretta
Il sistema della democrazia rappresentativa allontana in molti casi gli elettori dalla pratica
quotidiana della politica attraverso il meccanismo della delega. Chi si occupa della cosa pubblica è
sempre più visto come corrotto, che non rappresenta effettivamente gli interessi degli elettori
(meno affluenza alle urne), ecco perché i cittadini si allontanano sempre di più dalla politica. Molte
democrazie rappresentative prevedono pertanto strumenti di democrazia diretta al loro interno con
il fine di incrementare la partecipazione popolare.
- Referendum → referendum abrogativi ci furono in Italia nel 2011, come per l’energia
nucleare. Si chiese ai cittadini di votare per l’abrogazione di una legge che favoriva la
privatizzazione dei servizi idrici pubblici e per la restituzione delle centrali nucleari in Italia. Nel
referendum confermativo invece non si arriva ai 2/3 di consenso in Parlamento, dunque si chiede
ai cittadini di intervenire.
Nei referendum consultivi, invece, si consultano i cittadini, ma non nasce una legge.
- Leggi di iniziativa popolare → organizzazione per raccogliere 50.000 firme, questa legge
si porta al parlamento per chiedere ai parlamentari di legiferare di conseguenza. Queste in Italia
non hanno avuto molto successo: molte volte le
- Petizioni → raccogliere le firme, ma non per portare una legge in parlamento. Inoltre,
alcuni partiti possono proporre forme di democrazia diretta al loro interno, così come può essere
adottata nella costruzione e nell’implementazione delle politiche.
Diritti politici
Indipendentemente dalla forma, l’esercizio della democrazia può essere fatto rientrare nell’ambito
dei diritti politici. Comprendono il diritto di voto, di parola, di opinione, di riunione e di associazione
e dunque la possibilità di partecipare al processo decisionale in vario modo.
Questi diritti non sono ovunque garantiti né uguali e a livello storico sono stati dapprima
appannaggio di un'élite e solo successivamente estesi come esito di numerose battaglie (suffragio
universale, diritti delle donne, diritti civili, libertà di informazione…)
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In una società democratica il voto è uno tra i più importanti diritti del cittadino e le elezioni
rappresentano il metodo attraverso cui è esercitato a varie scale. Le elezioni sono provinciali,
comunali, regionali, nazionali, europee.. Dunque i cittadini sono chiamati in molte occasioni a
votare per dei rappresentanti. Oggi le elezioni provinciali non ci sono più, votano direttamente i
sindaci.
Sistema elettorale
Va tuttavia considerato che l’esito delle elezioni raramente rifletta la decisione pura e razionale
dell’elettorato: molto raramente il singolo elettore riuscirà a trovare il rappresentante ideale nella
scelta politica. Perché? → Questo dipende da molti aspetti a partire dal tipo di sistema elettorale
che vige nei vari stati. Sono delle circoscrizioni territoriali e collegi interni in cui i rappresentanti
scelgono i rappresentanti in base al numero massimo di voti (anche se magari tra 2 rappresentanti
c’è solo 1 voto di differenza, vince chi ha 1 voto in più).
Permette una governabilità maggiore (direttamente dal voto si formano i governi) e la
rappresentanza territoriale di chi è eletto.
Maggioritario - Vince chi ottiene più voti (anche solo uno). Ostacola la rappresentanza della
minoranza per favorire la governabilità (sbarramenti, collegi/circoscrizionali - si elegge chi ottiene
maggioranza) e l’elezione di rappresentanti legati ai territori.
Proporzionale - I seggi sono assegnati in base a quanto voti prendi: se un partito ha il 30% avrà
30 seggi. I seggi vanno adatti a tutti i partiti (se il loro voto è superiore ha una soglia). Favorisce la
rappresentanza dell’eterogeneità (assegnazione dei seggi in base al numero di voti ottenuti) ma
crea problemi di frammentazione e di formazione di governi.
Sistemi corretti e misti (Italia) - Rosatellum bis - il 37% dei seggi attribuito con un sistema
maggioritario uninominale a turno unico, mentre il 61% viene ripartito fra le liste concorrenti
mediante un meccanismo proporzionale corretto con clausole di sbarramento.

Le influenze geografiche sul voto


I comportamenti di voto
La mappatura dei comportamenti di voto è uno degli ambiti di ricerca più antichi della geografia
politica (e anche di quella sociale). E’ interesse della geografia politica da quando André Siegfried
nel 1913 realizza delle carte che mettono in relazione il consenso dei vari partiti (esito dei voti) con
la geografia fisica, sociale ed economica di certe regioni francesi (c’è una relazione tra fattori
geografici e il voto). Lavoro che tendeva al determinismo ambientale ma rilevava un aspetto
importante: i comportamenti di voto rispondono a modelli diversificati su base geografica ed esiste
una relazione tra questi e la variazione spaziale dei fattori sociali ed economici.
Voto e concentrazione
Uno dei fattori geografici che può influenzare il voto → group sociali che tendono a concentrarsi il
consenso ai partiti.
Esempio → i partiti socialdemocratici storicamente basati sulla mobilitazione operaia hanno
ottenuto sovente maggiore sostegno nelle regioni industriali e nei quartieri popolari.
Di converso, i partiti conservatori più vicini agli interessi degli imprenditori hanno ottenuto maggiore
consenso nei quartieri suburbani e nei centri rurali prevalentemente abitati dalla classe media.
Modelli di voto che talvolta riflettono anche composizione etnica come il peso degli afroamericani
in città USA e il tributo che sono soliti dare al partito democratico. Ma non è sempre così semplice
e lineare.
Alcune “complicazioni
I fattori geografici possono amplificare la propensione di alcuni gruppi a votare in un certo modo: -
Effetto vicinato (talvolta pesa più dell’identità politica individuale) → il fatto che in un quartire gli
elettori indipendentemente dalla loro classe sociale tendono a votare nello stesso modo: questo è
dato da come si costruiscono i discorsi politici a scala locale.
- Fedeltà al partito e Subcultura politica → storicamente in alcun territori c’è stata una
linea di continuità netta tra le elezioni del dopoguerra e quelle dei periodi recenti → c’è una fedeltà
al partito che si tramanda di padre in figlio.
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- Provenienza candidati → a seconda della sua provenienza, un candidato può ricevere più
voti (magari se proviene da un luogo in cui conosce molta gente).
- Prevalenza temi di interesse locale
- Modalità di campagna elettorale sui territori → come certi temi sono trattati dai candidati può
influenzare il voto.
- Scongelamento del voto (sempre meno di appartenenza e sempre più di selezione sul
programma) → il voto è di selezioni sui temi di un programma. Gli elettori votano in base ai
contenuti dei partiti.
- Leadership e personificazione partiti

Gerrymandering
Nei sistemi maggioritari di tipo uninominale secco viene eletto chi ottiene più voti in una certa
circoscrizione e i voti del candidato perdente sono di fatto cestinati → circoscrizione elettorale a
favore di un determinato partito.
Le caratteristiche dei confini elettorali sono determinanti per l’esito finale.
La loro deliberata manipolazione si chiama Gerrymandering (Eldridge Gerry - salamandra) e
riguarda il disegno dei distretti elettorali con forme arzigogolate seguendo criteri potenzialmente
favorevoli a una certa formazione politica. Si usa questo metodo per favorire un partito rispetto ad
un altro. Avviene soprattutto in paesi nei quali il disegno è controllato da assemblee elette
politicamente (es. USA).
Elezioni USA 2000
Sono un esempio dell’impatto della geografia sui risultati elettorali. Negli USA il presidente non
viene eletto dal voto popolare ma attraverso un collegio rappresentato dai “grandi elettori” che
sono eletti nei singoli stati (ogni stato esprime un numero di grandi elettori secondo proporzioni
demografiche diverse). La California, che ha 40 milioni di abitanti, esprime 54 elettori, mentre
Whyoming ne ha 1 solo. Il peso di 1 voto è dunque molto diverso tra uno stato rurale e uno molto
urbanizzato come la California (che ha grande una grande concentrazione di persone). Non è
detto però che vinca uno stato urbanizzato.
Nel 2000 George W. Bush è stato eletto presidente con oltre 540.000 voti in meno del suo rivale
Gore beneficiando sia della variazione nelle leggi elettorali dei vari stati (specie in Florida) sia del
diverso peso che un voto ha in differenti stati.

Populismo e aree “left behind”


La dimensione territoriale dei fenomeni politici (relazione tra essi). C’è chi pensa che sia
un’ideologia di idee, chi ritiene invece che sia una strategia per ottenere consensi. (Neo)
Populismo
Populismi contemporanei ruotano attorno a tre elementi condivisi: la contrapposizione
all’establishment (i partiti dicono che chi sta al potere è composto da corrotti e da persone che non
fanno il volere del popolo), l’autoritarismo (si parla di partiti autoritari) e il nativismo (chi è nato qui
ha maggiori diritti rispetto a chi non ci è nato).
L’affermarsi negli ultimi anni di partiti e movimenti che si rifanno a questi aspetti ha suscitato
interesse analitico rispetto alla caduta dei partiti tradizionali e ai cambiamenti dei comportamenti di
voto.
Mutamento elettorale guardato principalmente dal lato della domanda: orientamenti degli elettori
legati a trasformazioni di natura socio-economica e culturale connesse ai processi di
globalizzazione e all’aprirsi di nuovi fronti di disuguaglianza sociale: la classe media impoverita
vota altro. Si allarga la distanza tra ricchi e poveri (non solo economicamente, ma culturalmente,
demograficamente, interazioni sociali), e tra territori ricchi e poveri.
I luoghi che non contano
Si tratta di processi che tenderebbero a intrecciarsi e concentrarsi territorialmente, tanto da dare
l’idea che l’ascesa (neo)populista possa anche essere letta attraverso la chiave interpretativa dei
divari territoriali, ovvero delle distanze che si sono progressivamente acuite tra i luoghi di
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creazione e concentrazione del valore e i contesti periferici o rurali che perdono popolazione,
ricchezza e occupazione.
Gli elettori di questi contesti si “vendicherebbero” nei confronti dei partiti tradizionali che vengono
accusati di averli abbandonati (Rodriguez-Pose) → la crescita del consenso dei partiti populisti è
un fatto territoriale.
La differenza territoriale c’è anche in Italia tra costa e entroterra (spesso abbandonata in servizi,
infrastrutture…
Nell’interpretazione delle geografie di voto assumerebbero quindi peso le disuguaglianze tra
territori.
Populismo italiano
Lega e M5S sono stati interpretati come partiti populisti perché nonostante le loro differenze hanno
tratto gran parte del loro recente successo dalla loro (presunta) contrapposizione all’establishment.
La loro ascesa (2018) ha, da un lato, rivoluzionato il tradizionale quadro del bipolarismo DX-SX e,
dall’altro, eroso molti consensi ai due partiti tradizionali PD e FI accrescendo la volatilità elettorale
(arrivata a 27 p.p. nel 2018 senza cambiamenti dell’offerta politica rispetto al 2013). Le elezioni
del 2018 hanno trasformato la geografia politica italiana attestando la Lega come principale forza
del Centro-Nord e il M5S come principale forza del Sud mentre il PD è rimasto dominante in poche
aree del centro. La scala e le tradizioni
Ci sono contrapposizioni tra aree urbane e rurali, tra poli marginali e centrali, coste ed entroterra,
città e province. Queste osservazioni appaiono valide se si guardano le province e le regioni che
sono tradizionalmente le scale a cui si analizzano i fenomeni politici.
Tuttavia, se ci si addentra a un maggiore dettaglio territoriale si possono comprendere molte altre
cose come ad esempio le differenze urbano/rurale e quelle tra poli e aree interne.
Inoltre, il voto può essere influenzato dalle subculture politiche territoriali che in paesi come l’Italia
possono ancora giocare un ruolo nonostante si pensi che il voto sia del tutto “scongelato” e
orientato principalmente dai divari territoriali e da fattori relativi al mutamento dell’elettorato. Il
populismo è più forte nelle aree rurali? → nelle ultime elezioni, ognuno tra i principali partiti ha
preso più voti in un'area rispetto ad un'altra. La Lega è forte nelle aree rurali, il 5 stelle no. Anche
Forza Italia è abbastanza forte nelle aree rurali e suburbane.
La Lega a nord-ovest è collegata negativamente: prende più dove c’è meno gente disoccupata,
mentre a nord-est è il contrario, prende più voti dove ci sono più disoccupati. Anche il Movimento 5
stelle prende più o meni voti in base ad alcuni fattori territoriali (presenza di stranieri, ricchezza del
territorio, anzianità…).
Queste cose ci dicono che non è scontata questa relazione tra populismo e aree interne. Sono
diversi i fattori che danno il consenso/sono rilevanti ai partiti. Il fattore più forte che spiega il
consenso è la variazione che in quel contesto ha conosciuto il partito tradizionale più vicino (calo
del consenso nel partito rivale). Il fattore più forte di tutti che spiega il consenso sia verso
Movimento 5 stelle che Lega è il calo di consenso tradizionale che ha avuto il partito vicino (es.
calo di consenso del PD favorisce il Movimento 5 stelle; il calo del consenso nei confronti di PDL e
Forza Italia porta a rinforzare la Lega).
LE SUBCULTURE POLITICHE TERRITORIALI hanno dunque grande influenza. Ruolo della
cartellizzazione e dell’offerta. Gli elettori delusi dal Pd votano Movimento 5 stelle, mentre quelli
delusi da Forza Italia / PDL votano per la Lega.

Ambientalismo
Dobbiamo avere più rispetto per il nostro pianeta: perché non abbiamo una seconda Terra che
possiamo usare.
Ambientalismo: è una sensibilità verso quello che ci circonda. In sociologia, psicologia e
geografia per lungo tempo questo termine è stato corrisposto a un indirizzo teorico che sostiene la
preminente influenza dei fattori e delle situazioni ambientali nella formazione e nello sviluppo della
personalità e dei comportamenti umani (Determinismo ambientale).
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Si riteneva che alcune società fossero più progredite di altre, perché avevano a disposizione
maggiori risorse ambientali su cui basare la propria crescita. Per molti temi è ritenuto che il clima
avesse un’influenza per quanto riguarda la voglia di lavorare delle persone (questa cosa è stata
smentita). Anche i padri fondatori della geografia umana → Humboldt e Ritter pensavano ci fosse
una profonda relazione tra le caratteristiche dell’ambiente e le civiltà. Ratzel studiò le influenze
dell’ambiente sulla vita economica e sociale delle società.
Si tratta di concezioni in qualche modo superate dai fatti storici e dalla ricerca scientifica che
tuttavia possono ancora presentare dei riscontri in riferimento a specifici contesti e situazioni:
teoria delle finestre rotte (Philip Zimbardo) → deriva da un esperimento che ha messo due auto
uguali in un quartiere malfamato e in un contesto ricco. La macchina nella prima in 60 minuti è
stata smontata, mentre nel secondo quartiere rimase intatta. Questo studioso raggiunge una
variabile → rompe la finestra della macchina nel quartiere ricco => poco dopo successe la stessa
cosa che successe nel quartiere malfamato.
Le caratteristiche dell’ambiente influenzano i comportamenti delle persone.
“Nuovo” ambientalismo
Oggi si considera l’ambientalismo come l’ecologismo, ovvero quell’insieme di idee, iniziative e
pratiche finalizzate alla tutela e al miglioramento dell'ambiente “naturale”. Più precisamente, delle
qualità ecologiche dell’ambiente. Definito anche come “nuovo ambientalismo”. Questa definizione
è emersa da movimenti che hanno preso corpo a partire dagli anni ‘60. Molti studi individuano in
una manifestazione/movimenti sociali a è a Memphis, nel 1968 (sciopero dei netturbini) il primo
esempio di convergenza tra politica e ambiente → nascita della nuova politica ambientale
(convergenza tra politica e ambiente). Questa manifestazione ci fa comprendere come i confini tra
attività di forma politica diverse siano in realtà molto sfumati.
Politica ambientale
Bisogna definire dove inizia la politica ambientale e dove finiscono altre forme di attività politica è
piuttosto complicato. Le battaglie per i diritti sociali e civili si legano in molte occasioni a questioni
ambientali. Ad esempio, le battaglie contro la segregazione razziale e la parità dei diritti in USA
sono state anche lotte per la sicurezza sul posto di lavoro e l’accesso ai servizi ambientali. In
modo simile possiamo individuare questioni connesse all’ambiente in molte battaglie
contemporanee che apparentemente sembrano non riguardarlo direttamente: grandi opere, salario
minimo, diritti dei riders… Ciò mostra come la politica ambientale sia un campo ampio e
trasversale che richiama da più parti l’idea di giustizia.
Il governo dell’ambiente
Noi pensiamo che la gestione dell’ambiente sia affidata agli stati. Evolvendosi, gli stati hanno
assunto un ruolo sempre più rilevante di mediatori delle relazioni sociali collettive nei confronti
dell’ambiente. Essi prendono decisioni di interesse collettivo cercando di contemperare i variegati
interessi che compongono una società. Dato il forte peso degli interessi economici nello
sfruttamento insostenibile delle risorse gli stati possono avere un ruolo di arbitro, mediando e
garantendo che le attività di alcuni non abbiano (particolari) ripercussioni ambientali negative su
altri.
La portata ecologica della politica
Emergono dubbi rispetto all’idea che gli stati possano risultare arbitri neutrali a causa del ruolo
attivo che esercitano nello sfruttamento delle risorse e nel controllo delle proteste, così come della
diseguale distribuzione dei costi e dei benefici che ne deriva. Bisogna evidenziare come con
l’affiorare delle grandi questioni ambientali gli stati siano passati dall'amministrare degli individui e
dei loro diritti all’occuparsi di temi un tempo inimmaginabili; il cielo, il clima, il mare, i virus, gli
animali selvatici… Sono importanti i movimenti di natura decisionali. Da un lato è cresciuta
l’influenza delle attività umane sull’ambiente (antropocene), dall’altro la portata ecologica della
politica. Questo è vero anche in termini spaziali: le problematiche ambientali molto spesso valicano
i confini delle comunità politiche.
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La scala della politica ambientale


Dato che le attività in una certa località hanno ripercussioni anche su altre, magari distanti, si
presenta la necessità di ripensare la scala nazionale degli interventi. Da una parte, azioni
sovranazionali come i protocolli delle Nazioni Unite o l’operato in campo macroregionale. Dall’altra,
interazioni tra scale diverse e forme di governance orizzontale.
Bioregione → un’idea di opportunità di revisione dei confini esistenti (località) soprattutto dei
comuni, per creare delle zone che seguono nei suoi confini dei sistemi ecologici (es. per i bacini
fluviali, catene montuose…) per rendere più efficienti le politiche ambientali - al fine di
amministrare i sistemi ambientali in forma integrata.
Attori e strumenti delle politiche ambientali
La complessità del tema ambientale
Come l’inquinamento in un luogo può avere effetti in contesti distanti anche le azioni di
salvaguardia possono avere impatti in altri luoghi rispetto a quelli in cui prendono forma. Esempio
→ limiti estrazione gomma, legname o minerali possono produrre danni economici alle imprese
locali così come a quelle straniere. Questo evidenzia come i processi di sostenibilità socio-
ambientale sono sostanzialmente questioni politiche da cui emergono soggetti che si
avvantaggiano e soggetti che subiscono perdite. E di fronte a problemi simili la risposta dei
governi, delle imprese e delle associazioni raramente è la stessa. Le priorità di un governo non
sono uguali per un altro, così come è diversa la forza con cui un certo attore può far valere le
proprie istanze.
A chi competono le questioni ambientali?
A fronte di una simile complessità viene da chiedersi a chi competa il dirimere le varie questioni
ambientali. Ovvero, a chi spetta la gestione e la tutela dell’ambiente? → Siamo soliti pensare che
competa ai governi e alle loro strutture locali e preposte, così come alle organizzazioni
internazionali, ma il campo delle politiche ambientali è assai più ricco di attori. Oltre ai soggetti
istituzionali ci sono le imprese, le associazioni e la magistratura, fino anche ai movimenti sociali e
ai gruppi di cittadini e consumatori. Ognuno di questi può svolgere un suo ruolo nei confronti
dell’ambiente.
Politiche ambientali istruzionali
Sono di competenza diversa secondo gli ordinamenti dei singoli paesi. In Italia sono soggetti delle
politiche ambientali lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti (enti parco) chiamati, a
seconda dei casi, a legiferare in materia ambientale o a monitorare il rispetto delle normative. Ad
esempio, mentre le regioni predispongono i piani ambientali regionali i comuni gestiscono lo
smaltimento dei rifiuti e il controllo degli impianti industriali. Ci sono poi varie agenzie che si
occupano di controllo come le ARPA regionali che svolgono anche il ruolo di consulenti nella
programmazione delle politiche e nell’informazione ed educazione ambientale. Imprese e
ambiente
A fronte della progressiva riorganizzazione delle politiche a tutela dell’ambiente che impattano sul
settore produttivo le imprese sono divenute sempre più soggetti delle politiche ambientali. Da un
lato, azioni di lobby e opposizione ai vincoli ambientali (vedi plastica e imballaggi) o tentativi,
talvolta di facciata, di coniugare tutela ambientale ed efficienza economica Dall’altro, azioni
virtuose fatte dalle imprese con strumenti volontari [lo fanno su loro stessi] (bilanci ecologici,
ecolabel, revisione modalità produttive…).
Questi interventi possono essere sfruttati a scopo di marketing in un’epoca di crescente sensibilità
ambientale. Possono avere un impatto positivo o negativo. Possono anche tradursi in
considerevoli risparmi nel momento in cui anticipano l’adeguamento a quelle che saranno nuove
normative che verranno introdotte.
Gli ambienti delle politiche ambientali
Quando parliamo di politiche ambientali ci sono due ambiti d intervento:
1. Disinquinamento - riguarda gli interventi a valle del problema o del processo produttivo.
Ad esempio il trattamento degli scarti indesiderati con l’obiettivo di riutilizzarli o di portarli a livelli
considerati tollerabili di pericolosità.
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2. Prevenzione - interventi che incentivano meccanismi in grado di limitare il verificarsi di


situazioni di emergenza. Con riferimento al cambiamento climatico possiamo individuare strategie
preventive di due tipi:
1. Mitigazione - interventi per la riduzione di gas serra: disincentivi fiscali su certi combustibili,
incentivi all’energia rinnovabile, riciclo rifiuti…
2. Adattamento - interventi preventivi per attenuare gli impatti: protezioni idrauliche, sistemi di
monitoraggio e allerta climatica… Esempio → Venezia con la costruzione del MOSE che cerca di
contenere il fenomeno dell'acqua alta, che potrebbe diventare più grave a causa dell'innalzamento
del livello del mare.
Le politiche ambientali non sono chiamate a scegliere tra questi due tipi ma a percorrerli entrambi,
possibilmente integrandoli a livello settoriale con le politiche sociali ed economiche al fine di
garantire equità nelle ripercussioni e - speranzosamente - anche nella distribuzione dei vantaggi.
La logica degli strumenti regolativi
A livello generale vale il principio di “chi inquina paga” che richiama i responsabili a compensare
(economicamente o in altra forma) i costi socio-ambientali prodotti. Più in generale, possiamo dire
che gli strumenti regolativi operano secondo una logica command and control. Ovvero, si
definiscono regole e princìpi il cui rispetto è sottoposto a verifiche e controlli. Riguardano i limiti
all’emissione di certi inquinanti, la produzione di autoveicoli che rispettino certi standard di
emissioni e gli standard di processo produttivo per alcuni beni.
Gli strumenti economici
Oltre agli strumenti regolativi ci sono quelli economici, che agiscono modificando i prezzi di
mercato di determinati beni, servizi e risorse. Operano tramite tassazione, incentivazione e
obblighi assicurativi al fine di rendere economicamente meno vantaggioso inquinare.
- Tasse sulle emissioni, tasse sui prodotti, tasse per servizio reso, tasse con deposito a rendere -
Creazione di mercati artificiali: diritti di emissioni negoziabili, contributi al recupero e riutilizzo nei
processi produttivi, incentivi economici di vario tipo .
Gli strumenti volontari
Accanto ai precedenti troviamo gli strumenti volontari che prendono piede dagli anni Ottanta e
intendono produrre vantaggi per le imprese.
- Analisi del ciclo di vita (per individuare azioni)
- Sistemi di etichettatura (per orientare il consumatore)
- Bilanci e rapporti ambientali (per migliorare immagine
- fatto soprattutto dalle aziende che inquinano tantissimo
- si migliora l'immagine per il consumatore e eventuali mercati di sbocco, agli azionisti).
- Sistemi di certificazione ecologica
- Accordi volontari tra imprese e amministrazione pubblica (contratti per raggiungere obiettivi
ambientali in cambio di una mancata regolamentazione della materia).
Le politiche ambientali territoriali
Sono quelle che riguardano un contesto spaziale circoscritto e che mirano a proteggerlo o a
gestirlo.
- Legislazione sulle aree protette
- Strumenti di pianificazione paesistica e urbanistica
- Valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica - Meccanismi di gestione
di una risorsa “fragile”.
Giustizia ambientale e movimenti sociali
Movimenti sociali
Sono reti di interazione informale tra individui, gruppi e organizzazioni impegnati in conflitti politici o
culturali sulla base di un’identità condivisa. Hanno avuto un ruolo centrale nell’emersione di una
nuova sensibilità ambientale durante gli anni Settanta e Ottanta. A partire dalla fine del XX secolo
si è assistito a un aumento di movimenti sociali che non hanno per oggetto principale la lotta di
classe ma una serie di questioni non strettamente economiche come i diritti delle minoranze, il
pacifismo, il nuovo ambientalismo e forme alternative di globalizzazione.
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Giustizia sociale e ambientale


Un aspetto caratterizzante di molti movimenti sociali contemporanei è il coniugare il tema dello
sviluppo sostenibile con quello della giustizia ambientale e sociale. In sostanza, si sostiene che gli
abitanti di un certo luogo abbiano il diritto di vivere in un ambiente salubre, il diritto di accedere alle
sue risorse senza discriminazioni e quello di poter incidere attivamente sui processi decisionali che
riguardano la trasformazione e la gestione di un territorio. In questo senso si porta avanti un’idea
“forte” di sviluppo sostenibile che considera la democrazia, l’equità sociale e più in generale
l’equità economica, affrontando peraltro il rapporto che si instaura tra degrado ambientale e
povertà (Fridays For Future). Rivendicazione giustizia ambientale
Chi è povero si trova molto spesso a vivere in aree fragili dal punto di vista ambientale (favelas, ma
anche periferie urbane europee). Sono esempi di rivendicazione della giustizia ambientale le
campagne di opposizione alla localizzazione di discariche, inceneritori e altre strutture nocive alla
salute in prossimità di quartieri poveri.
Quello ambientale è un problema globale ma i suoi risvolti sono quanto mai locali e differenziati.

Geopolitica
La geopolitica è stata per lungo tempo confusa con la geografia. Vediamo prima come e dove
nasce: nel XXI secolo, l’ecumene (terra abitata, usato da Eratostene e da Tolomeo), inteso come
spazio permanentemente abitato dall’uomo, è andato a coincidere con quasi tutta la terra. Già dal
XIX secolo i processi di consolidamento degli stati e della loro territorialità avevano in qualche
modo “riempito” lo spazio. La sostituzione delle frontiere con i confini, unitamente al ruolo
esercitato dal colonialismo e dall’imperialismo, accrescono la necessità degli stati di esercitare
influenza al loro esterno.
Yves Lacoste definisce la geopolitica come “quella situazione in cui due o più attori si contendono
un territorio o l’influenza su di esso. Le popolazioni dei territori interessati sono coinvolte nel
conflitto, anche attraverso l’uso di comunicazioni di massa, dove vengono rappresentate visioni e
strategie geopolitiche. Tale rivalità sui territori può riguardare, sia su scala internazionale che
nazionale, tipi diversi di poteri.”
Potremmo dire che la geopolitica consiste nello studio dei rapporti di forza e delle relazioni di
potere tra aree geografiche, soprattutto tra stati. Si occupa in particolare di indagare i terreni e gli
oggetti di competizione tra gli stati (e anche tra altre unità territoriali). Si indagano i terreni di
competizione: su cosa si riesce ad esercitare il potere sugli altri?
La contesa implica sempre un conflitto di potere, un rapporto di forza tra gli attori, che mettono in
campo armi, alleanze e abilità diplomatiche, azioni di intelligence, risorse naturali, potenza
economica e tecnologica, gestione della posizione geografica, promozione (interna e
internazionale) di rappresentazioni e visioni geopolitiche, peso culturale… per risolvere la contesa
a proprio favore. Il territorio, ciò che lo definisce (spazio, potere, attori) e ciò che insiste su di esso
(risorse, popolazione) sono al centro della contesa, che può anche sfociare in conflitti. I terreni di
competizione tra stati possono rivelarsi un campo strategico con il quale definire il proprio potere e
la propria sfera di influenza: risorse idriche, energetiche (vulnerabilità energetica), controllo delle
acque territoriali e del soprassuolo, armamenti…
Geopolitica internazionale e territorio
La questione sicurezza (percezioni) e la difesa del territorio dalle minacce esterne (leva sullo
spirito nazionale) es. Paese invasore, terrorismo internazionale, ma anche “immigrazione”
(rappresentazioni differenti).
Controllo e gestione delle risorse del proprio territorio (petrolio, foreste, acqua – guerre
dell’acqua e idropolitica –, passaggi strategici). Se si bloccasse il canale di Suez, si arresterebbero
tutti gli scambi dalla Cina all’Europa – ripercussione importantissima. L’Egitto sfrutta questo
passaggio per esercitare una propria influenza geopolitica.
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L’influenza su territori esterni per estendere il proprio peso geopolitico o le rivendicazioni di


sovranità territoriale (es. Cina-Taiwan et. al.). Sui territori c’è qualcuno che esercita un potere
(spazi nazionali, regionali… Il territorio nella geopolitica interna
Contrasti nazionalistici interni, spesso con alleanze e appoggi esterni (es. Ucraina-Russia in
Donbass)
Controllo politico dei territori di uno Stato da parte di partiti o movimenti (e geopolitica elettorale,
controllo di collegi “sicuri”)
Controllo politico-militare da parte di organizzazioni illegali (conflitto Stato-mafia, Stato-cartelli
droga…ecc)
Gli attori e la popolazione
L’uso dei media per coinvolgere le popolazioni interessate nella contesa di potere è un modo per
costruire rappresentazioni geopolitiche. L’immagine geopolitica interna è costruita con idee-forza
quali: identità (territoriale), radicamento e senso di appartenenza nazionale, regionale (“popolo
d’Abruzzo, Padani..”), confine da ripristinare o difendere.
Immagini/visioni che possono indurre alla difesa, anche con la forza, del proprio territorio.

Dalla geopolitica classica a quella critica


Nasce al termine del XIX secolo come scienza che studia i fattori di competitività degli stati
indagando la dipendenza dei fatti e delle scelte politiche dai vincoli geografici. Friedrich
Ratzel (1844-1904), con la teoria dell’espansionismo come tendenza naturale progressiva
degli stati e con il concetto di “spazio vitale” (lebensraum). Rudolf Kjellén (1864-1922),
con il concetto di teoria dello Stato organico
. L’inglese Halford J. Mackinder (1861-1947) con la tesi dell’Heartland (cuore del mondo), la
regione euroasiatica centrale come forza alternativa alla potenza marittima inglese (geostrategia).
DARWINISMO SOCIALE
- Competizione statale come “forza” della sua popolazione
- Riproduzione dei soggetti deboli come dannosa per l’evoluzione della società umana perché i più
forti
- mossi da compassione
- potrebbero essere portati a difendere i deboli.
- Teoria della sovrappopolazione (Malthus), interpretazione organica dello stato e razziale della
teoria della selezione naturale portano alla ricerca di forme di purificazione.
- 1904 USA “Ufficio registrazione eugenetica”, limitazione immigrazione asiatica e dal 1931 ben 28
stati con leggi sulla sterilizzazione. Gli uffici eugenetici volevano intervenire nella genetica delle
persone per rafforzare lo Stato: nacquero in Usa e Uk. L’obiettivo era di limitare gli elementi
deboli della popolazione, ossia chi aveva malattie genetiche: le persone erano sterilizzati per non
riprodursi più nella società, altrimenti (essendo anelli deboli della società), avrebbero portato a un
indebolimento complessivo della società.
La geopolitik tedesca
Karl Haushofer (1869-1946), con i concetti del fattore spazio come determinante per lo sviluppo
dello Stato, della geopolitica della guerra (wehrgeopolitik): lo Stato per crescere ha bisogno non
solo di far crescere la popolazione, ma di invadere altri stati alla ricerca dello spazio vitale (ex la
Germania lo cercò, non solo a livello territoriale per cercare risorse con cui sostentare i processi di
sviluppo, ma come idea che il popolo tedesco – razza ariana – fosse designato a comandare sugli
altri popoli, esercitando un’influenza in tutta l’Europa). Le invasioni tedesche furono aggressive (ex
Polonia, Grecia, Inghilterra, Francia, Russia).
Lebensraum non solo come spazio da conquistare ma come destino nazionale tedesco.
Necessità di uno stato forte e dittatoriale, che sospendesse il quadro dei diritti costituzionalmente
garantiti e fosse pronto all’uso della forza in ogni contesto pur di perseguire la grandezza e il
destino della nazione.
- Geopolitica come scienza al servizio del “principe”: strumento politico al servizio del potere -
Lunga fase di declino della disciplina
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La geopolitica del subalterno


Dagli anni Settanta riaffiora il dibattito geopolitico in relazione alla Guerra Fredda (mondo diviso in
2 grandi blocchi fino al 1989: uno sovietico e socialista, uno sotto l’influenza della Nato
americana). Parallelamente si amplia il quadro di interesse della disciplina nei confronti delle
popolazioni sottoposte a dominio e di tutti quei rapporti di potere fino a quel momento trascurati
dall’attenzione riservata agli stati più potenti.
Interesse verso pratiche subalterne di resistenza in Palestina, di stampa libera in Tanzania, di
iniziative per la pace in Colombia, del Panafricanismo (comunione e creazione di area geopolitica
africana per contrastare le forme contemporanee di imperialismo occidentale) … Molte di queste
azioni si portarono avanti pensando alla frase di Machiavelli “Il fine giustifica i mezzi.

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