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RIASSUNTO: GEOGRAFIA GENERALE, UN’INTRODUZIONE

Di Gino de Vecchis e Franco Fatigati

INTRODUZIONE
La geografia ha come oggetto specifico la società nelle relazioni con la natura (rapporto uomo-
societànatura). È la scienza che studia i processi di antropizzazione del pianeta Terra, ovvero i rapporti
che legano tra loro individui, classi sociali, popoli e culture nello spazio e nel tempo.
Prima del 700/800, i saperi geografici erano caratterizzati da conoscenze tra loro molto diversificate e
scollegate, di vario tipo e veridicità, derivanti da resoconti di esplorazioni.
Con l’avvento della geografia scientifica, alla fine del 700 e agli inizi dell’800, gli studi geografici
progrediscono sistematicamente, con la sede principale in Germania.
Molti filosofi e geografi hanno reso la geografia una disciplina moderna, e importante fu in loro
apporto epistemologico ai principi di interdipendenza e di comparazione.

⟶ Alexander von (1744-1803) fu un grande viaggiatore ed esploratore, studioso di


Humboldt botanica e zoologia. Dopo un viaggio in America centrale e
meridionale, si occupò anche della reciprocità e causalità dei fenomeni.
Karl Ritter (1779-1859) fu il primo docente a ricoprire un insegnamento di geografia comparata
nell’Università di Berlino. Per lui la Terra è indipendente dell’uomo, e il rapporto uomo-natura è
disposto dalla provvidenza in un antropocentrismo guidato da un ordine divino.
Con il positivismo, si afferma una concezione meccanicistica come vera e propria chiave interpretativa
del mondo, con quattro entità: spazio, tempo, materia, movimento. Si accetta
determinismo poi il principio del , valido per ogni sfera della realtà, rimandando all’idea di
una legge/i universale/i.
Charles Robert (1809-1882) scrive On the Origin of Species (1859), dimostrando l’evoluzione
Darwin graduale e l’autodifferenziazione delle specie mediante il gioco congiunto di
forze selettive, sia ereditarie sia ambientali. Si teorizza così l’evoluzionismo.
Friedrich Ratzel (1844-1904) fu uno studioso tedesco con matrice positivistica, considerato
l’organizzatore della moderna scienza geografica.
Si avvia verso una concezione unitaria della geografia, interpretata in chiave evoluzionistica. Egli
scrive che nel positivismo si vedeva l’ambiente naturale determinante rispetto a caratteri,
comportamenti e azioni dell’uomo. Ora però l’efficacia dell’azione umana è cresciuta di importanza e
si rifiuta la relazione causale natura-società.

⟶ Lucien Febvre (1878-1956), allievo di Vidal de la Blache, definì con il termine possibilismo la
posizione di non dipendenza assoluta delle scelte dell’uomo nei confronti della natura.
I rapporti tra uomo e natura non sono univoci, poiché l’ambiente produrrebbe per l’uomo opportunità
tra cui scegliere e non condizioni inderogabili. La storia dell’ambiente e quella della società si
svolgono con ritmi e tempi diversi. I comportamenti antropici possono entrare in conflitto con i ritmi
della natura, perché hanno tempi molto rapidi e sono dovuti a nuovi bisogni o all’affermarsi di
tecnologie innovative.

⟶ Una nuova geografia si è diffusa dagli anni ‘60 del Novecento, una “rivoluzione quantitativa”
avvenutasi grazie anche allo sviluppo delle metodologie matematiche e statistiche.

Sono nati nuovi indirizzi di questa disciplina, sviluppati tra i geografi statunitensi, inglesi, canadesi e
inglesi. L’obiettivo era circoscrivere ogni fatto geografico entro una misurazione espressa in termini
quantitativi, e per questo è volta a divenire una scienza nomotetica, che affronta lo studio dei fenomeni
in base a leggi generali regolatrici dei meccanismi della natura.
Nella seconda metà degli anni Settanta però si è verificato un parziale rigetto di queste teorie, e le
motivazioni erano:
• eccessiva subordinazione ad alcune concezioni formulate dalle scienze economiche
• allontanamento dal “fatto” reale e concreto, ricerca spesso eccessiva e affrettata di nuovi modelli•
dipendenza dalle scelte dei centri decisionali, a vantaggio e in funzione di una ristretta classe di
tecnocrati.

L’indirizzo tuttavia ha consentito di diffondere tra i geografi tecniche di rilevazione e di calcolo


statistico, tra cui la cartografia tematica computerizzata e i GIS (sistemi informativi geografici).
Nel frattempo si riscopre e si attualizza il pensiero marxiano, che rifiuta una geografia intenta a
esaminare il territorio freddamente, quasi con distacco.
Le geografie della percezione, del comportamento ed umanistica hanno prodotto impulsi significativi,
rivolgendo l’interesse sullo “spazio vissuto”.
1) LE COORDINATE SPAZIO-TEMPORALI (rappresentazioni e misure)

1. Spazio e tempo
Ogni esperienza trova il punto di partenza e il riferimento primo nel dove (spazio) e nel quando
(tempo). Trasformazioni graduali o improvvise hanno impresso, nel corso dei millenni, segni
caratterizzanti e distintivi a società e culture. Grazie all’esperienza della rete informatica, le coordinate
spazio-temporali hanno assunto oggi accezioni diverse rispetto ad un passato recente.
Dimensioni nuove sono prodotte con effetti non sempre facilmente valutabili: spesso si possono
soddisfare senza spostamento fisico fabbisogni materiali che prima richiedevano trasferimenti.
La geografia è legata allo spazio, e infatti ha la sua etimologia dal greco ghé (Terra) e graphìa
(descrizione), quindi “disegno della Terra”.
Lo spazio è collocato in una dimensione temporale, essendo il territorio un’organizzazione dinamica.
La geografia non può prescindere quindi dal tempo, e da questa dimensione trae il passato, per
comprendere meglio un territorio presente. Una visione diacronica dello spazio consente una migliore
interpretazione delle realtà territoriali, soggette a trasformazioni sempre più rapide.
La geografia deve anche prendere in considerazione il futuro, che va analizzato per le responsabilità
che comporta, in merito alle conseguenze di scelte effettuate nel presente.

2. Orientamento
Esigenza imprescindibile degli esseri umani è da sempre stata l’importanza del dove, attraverso
elementi fissi di riferimento. Da qui derivano i punti cardinali, come quelli offerti dal Sole, e l’Oriente
ne è stato uno dei primi (Est, quadrante dove sembra nascere il Sole).
La linea virtuale, che unisce il sorgere (Est) e il tramontare (Ovest), intercetta perpendicolarmente il
mezzogiorno (Sud) e la mezzanotte (Nord), definendo lo spazio nella cornice del tempo.
La figura così ottenuta ha preso il nome di rosa dei venti.
Da questa, successivamente nasce la bussola, che consente grazie ad un ago magnetico applicato
l’immediata individuazione della direzione, senza l’aiuto del sole o delle stelle.
Le stelle, osservandole a lungo, sembrano girare al di sopra delle nostre teste, impressione dovuta al
movimento di rotazione della Terra. Solo la stella Polare appare immobile, e indica un riferimento
sicuro.

3. La forma della Terra e le coordinate geografiche (p. 22)


La Terra, non potendo essere colta con lo sguardo nelle sue reali fattezze, fu oggetto di diverse
spiegazioni, che hanno coinvolto anche la mitologia (miti cosmogonici).
Anassimandro di Mileto (610-546 ac) fu l’autore della prima carta geografica, in cui concepiva la
Terra come un disco circondato dalle acque dell’Oceano, con due continenti (Europa settentrionale e
Asia meridionale) separati dal Mediterraneo.
Oggi, con le moderne tecniche di misurazione e di calcolo, si può dire che la configurazione della
Terra sia quella di un geoide, un solido unico uguale solo a sé stesso, una sfera con un leggero
schiacciamento ai due poli. La sua superficie appare piuttosto regolare, perpendicolare in ogni suo
punto alla direzione della forza di gravità e corrispondente fisicamente con il livello marino medio.
Il solido geometrico regolare che più si avvicina alla forma della Terra è l'ellissoide di rotazione, o
sferoide.
Per individuare la posizione di un punto sulla superficie terrestre si usa il calcolo delle coordinate
geografiche, con un sistema di riferimento di meridiani e paralleli.

L’Equatore, la circonferenza massima, divide il pianeta in due emisferi: nord/boreale e sud/australe.
Meridiani: sono dei circoli massimi tutti uguali tra loro, che congiungono i due poli. Il meridiano
fondamentale è all’Osservatorio astronomico di Greenwich a Londra, per convenzione internazionale
nell’ottobre 1884.
Paralleli: sono circonferenze che tagliano perpendicolarmente i meridiani, paralleli all’Equatore e
rispetto ad esso simmetrici e uguali a due a due. La loro misura lineare diminuisce, procedendo
dall’Equatore verso i due poli geografici. Il parallelo fondamentale è l’Equatore.

Meridiani e paralleli sono infiniti e non immaginari, ma idealmente tracciati ad avvolgere tutta la
superficie della Terra, formando il cosiddetto reticolato geografico. Esso consente di localizzare
qualsiasi luogo della superficie terrestre, e per farlo bisogna definire un meridiano e un parallelo da cui
originare i calcoli e stabilire latitudine e longitudine.

⟶ Le distanze angolari di latitudine (0º – 90º nord o sud dell’Equatore) e longitudine (0º – 180º est o
ovest dal meridiano zero) vengono misurate in gradi, primi e secondi sessagesimali.
• Latitudine: distanza angolare di un punto dall’Equatore misurata lungo un meridiano (nord/sud).
• Longitudine: distanza angolare di un punto da Greenwich misurata lungo un meridiano (est/ovest).
L’altitudine è invece la quota rispetto al riferimento dato dal livello medio del mare, misurazione
necessaria a causa della conformazione plano-altimetrica della superficie terrestre.

4. Le dimensioni della Terra


L’affermazione della sfericità della Terra ha reso possibili le applicazioni fornite dalla geometria,
offrendo spiegazioni al problema di una conoscenza rigorosa delle dimensioni del pianeta.
Il primo tentativo di calcolo significativo risale a Eratostene (Cirene, III ac) che misurò la lunghezza
della superficie terrestre: 39.375 km, invece di 40.077 km.
Per una maggiore precisione si arriva al XVII, quando l’astronomo e geodeta Jean Picard eseguì la
lunghezza del grado di meridiano tra Amiens e Malvoisine (Parigi).

Misure della Terra secondo l’UGGI, Unione geodetica e geofisica internazionale:


• Superficie totale della Terra = 510.611.393 km2 (148.356.693 km2 di terre emerse)
• Raggio massimo equatoriale (a) = 6.378.388 m
• Raggio minimo polare (b) = 6.356.912 m
• Raggio medio = 6.367.650 m
• Raggio equatoriale – raggio polare = 21.476 m
• Schiacciamento polare (a-b)/a = 1/297

5. La carta geografica: l’approssimazione e la riduzione


Orientamento, forma e dimensioni della Terra costituiscono i presupposti e gli elementi propedeutici
della carta geografica e del suo linguaggio.
Simile ad una sfera, la Terra è riproducibile in piano solo con una deformazione dei suoi caratteri, e
perciò la carta geografica è di conseguenza approssimata, per definizione.
Per tracciare in piano il reticolato geografico si utilizzano le proiezioni geografiche o cartografiche,
che intervengono su tre proprietà, mai presenti nello stesso tempo in una carta: equidistanza,
equivalenza, isogonia/conformità (corrispondenza dei valori angolari).

La carta geografica è una rappresentazione ridotta, perché trasferisce sulla carta la superficie reale
di parte o di tutto il pianeta.
Grazie alla scala, si esprime il rapporto tra le distanze sulla carta e le rispettive distanze nella realtà.
Al numeratore presenta sempre il numero 1 (unità di misura di riferimento, di solito cm) e al
denominatore il numero delle volte di cui le distanze sono state ridotte. Quanto più il denominatore
è grande, tanto più la superficie reale è ridotta.
Ogni carta geografica deve riportare in maniera ben visibile il valore della scala numerica, e anche la
scala grafica con un segmento diviso in tante unità, corrispondenti a determinate lunghezze sulla
superficie reale.
Le carte a grande scala o topografiche sono comprese tra la scala 1:10.000 e 1:150.000.
In Italia rivestono grande importanza le carte topografiche dell’Istituto geografico militare (IGM), che
ha sede a Firenze.

6. La carta geografica: il simbolismo


La carta geografica è infine simbolica perché utilizza simboli, segni convenzionali che consentono
letture e interpretazioni dello spazio terrestre. Vi sono anche numeri o scritte, e soprattutto i nomi di
luogo chiamati toponimi.
I simboli altimetrici consentono di leggere su una superficie piana/bidimensionale una realtà
tridimensionale. Per rappresentare la morfologia terrestre si utilizzano le curve di livello (o
altimetriche o isoipse), linee che congiungono tutti i punti con uguale altitudine sul livello medio del
mare. Le curve di livello subacquee sono denominate isobate. Il linguaggio geo cartografico è
standardizzato in tutto il mondo.
La carta geografica non rappresenta la realtà in maniera puntuale, ma è solo una rappresentazione e
approssimazione della realtà stessa.
La più fedele rappresentazione della Terra è il globo, una sfera, spesso confuso con il mappamondo
che è la rappresentazione cartografica dell’intera superficie, divisa in due emisferi.

7. Le carte tematiche
• Carte di base o generali: riportano i caratteri fisici, politici o entrambi gli aspetti, offrendo la
maggior quantità possibile di informazioni rispetto alle aree rappresentate
• Carte speciali: rispondono a obiettivi specifici e possono richiedere tipi particolari di
proiezioni, utilizzate per varie destinazioni
• Carte tematiche: dedicate a un fenomeno o a un tema specifico, carta ad alta complessità, offre
un grande numero di informazioni ed ha molte possibilità tecnico-espressive, grande varietà.
Si possono classificare per la metodologia di trattazione in:
1. Qualitative, affrontano il tema nella sua globalità e nella sua distribuzione spaziale
2. Quantitative, evidenziano gli elementi di misura
3. Analitiche, rivolgono l’attenzione a un singolo tema/gruppo di temi affini
4. Statistiche e dinamiche, presentano un fenomeno stabile o mutevole nel tempo e nello spazio 8.

Gli atlanti
L’atlante è una raccolta sistematica e organica di carte geografiche, normalmente a scala piccola o
media, utilizzate per lo studio e la consultazione.
Una prima raccolta risale a Claudio Tolomeo (II dc), grande geografo, astronomo e matematico. Il
primo vero e proprio atlante moderno può essere considerato il Theatrum Orbis Terrarum (1570) di
Ortelio, costituito da una serie di carte geografiche di tutto il mondo.

Solo nel 1595, nell’opera cartografica realizzata da Mercatore, appare per la prima volta il termine
Atlante, riferito al personaggio mitologico a cui era stato imposto il compito di sorreggere il cielo.
Tutti gli atlanti seguono criteri piuttosto uniformi e un determinato ordine, in cui è presente anche
un indice toponomastico, che ha lo scopo di facilitare la ricerca dei luoghi.
Esistono vari tipi e formati degli atlanti:
• Scolastico, per la consultazione
• Nazionale, dettagliato e particolareggiato di uno Stato
• Internazionale, comprende carte della Terra e delle sue regioni
• Tematico, attento a un tema specifico

9. Il telerilevamento
Le carte geografiche tradizionali necessitano di lunghi intervalli per l’aggiornamento.
Negli ultimi decenni, col remote sensing (rilevamento a distanza o telerilevamento) si è creato un
complesso di tecniche e modalità, grazie ai quali è possibile acquisire, registrare, elaborare e
interpretare informazioni riguardanti le proprietà spaziali di una superficie distante dallo strumento di
rilevamento.

⟶ Tra le più comuni tecniche c’è la fotografia aerea.


Il telerilevamento, fornendo immagini dall’altro, consente una visione sinottica e ripetitiva della
superficie terrestre. Le prime immagini della Terra dallo spazio risalgono alla fine degli anni ‘50
del Novecento, con i satelliti meteorologici e i programmi spaziali americani Mercury e Gemini. I
dati vengono corretti e resi disponibili per l’analisi, sia sotto forma di fotografia sia di numeri su
nastri magnetici leggibili dai calcolatori elettronici.
Il confronto diretto tra carta geografica e foto aerea presenta alcune somiglianze (prospettiva,
posizione, orientamento, scala) e molte differenze (selettività della carta, la foto non discrimina gli
oggetti). La carta è in realtà più completa e ricca di informazioni, perché offre indicazioni sul
paesaggio sia fisico sia culturale.
Le immagini dallo spazio sono utili riguardo a regioni remote e fisicamente ostili e ai confronti in
chiave temporale (trasformazione del paesaggio, cambiamenti stagionali).

10. Misurazioni del tempo: i fusi orari


Il mezzogiorno di una località è individuato dalla culminazione della traiettoria del Sole, nel momento
in cui, nell’arco delle 24 ore, raggiunge la massima altitudine sull’orizzonte.
Tutti i luoghi posti sullo stesso meridiano hanno contemporaneamente il loro mezzogiorno.
Se si dovesse tener conto dell’ora solare di ciascuna località, ogni luogo avrebbe un’ora propria, e per
questo anche in Italia il mezzogiorno non è ovunque allo stesso orario.
Il problema di un orario internazionale condiviso è divenuto di grande rilevanza con le innovazioni
tecnologiche del XIX secolo, con l’avvento del telegrafo e con lo sviluppo dei mezzi di trasporto, che
rendevano gli spostamenti sempre più rapidi. L’ora si sposta in avanti (+1 ora) procedendo verso i fusi
a est di Greenwich, e indietro (-1 ora) per quelli a ovest di Greenwich.

11. Misurazioni del tempo: il calendario


La misurazione del tempo è legata sin dall’antichità agli astri: il Sole e la Luna in primo luogo. Vi è
una deformità tra l’anno solare e l’anno civile, ed è il problema principale nella progettazione di un
calendario preciso. Esso può essere un raccordo con la periodicità della natura, ma in un qualche
modo il calendario è il prodotto di norme, spesso circondate da disposizioni sacrali.
A lungo la nozione del tempo fu di natura magico-religiosa, e infatti i primi calendari sono nati nei
templi, che erano anche osservatori astronomici (romano, giuliano, gregoriano, musulmano, iraniano,
ebraico, copto).
2) LA CROSTA TERRESTRE E LE FORZE ENDOGENE

1. Le Scienze della Terra


All’inizio degli anni ‘50 del Novecento, il risveglio delle ricerche scientifiche sulla Terra ha dato vita a
una serie di discipline, le Earth Sciences (geologia, geomorfologia, pedologia, idrografia..).
Queste scienze utilizzano tecniche e strumenti altamente sofisticati, ricorrendo per l’elaborazione dei
dati a calcolatori sempre più potenti. Offrono un grande contributo allo studio delle relazioni tra i
gruppi umani e il nostro pianeta, e hanno contatti scientifici molto stretti con la geografia fisica.
L’uomo è un punto di riferimento essenziale, attivo e unificante, con un ruolo decisivo e determinato
nell’operare sugli stessi ecosistemi naturali, modificati e spesso sconvolti dalla sua azione.

2. Le vicende geologiche e le rocce


La geologia ha il compito di ricostruire la storia della Terra e delle rocce che la costituiscono.
La Terra si è formata oltre 4,5 miliardi di anni fa, mentre l’Homo sapiens risale a 180.000 anni fa.
Esistono quattro lunghi periodi, comprendenti più ere geologiche, detti ón e:
• Adeano o Azoico (prima di 4.000 milioni di anni fa i
• Archeozoico (2.500 – 4.000 milioni di anni fa)
• Proterozoico (570 – 2.500 milioni di anni fa)
• Fanerozoico (iniziato 570 milioni di anni fa), suddiviso in Paleozoica, Mesozoica, Cenozoica.

Le rocce geologicamente più antiche possono contenere minerali di ferro, manganese, nichelio, metalli
preziosi, rame. Le rocce paleozoiche sono ricche di carbone, rame e mercurio, diversamente dalle
rocce più giovani che sono povere di minerali.
La storia geologica d’Italia risale a circa 250 milioni di anni fa, motivo della scarsità di giacimenti
minerari esistenti nel nostro Paese (Toscana con le Colline Metallifere, giacimenti dell’isola d’Elba e
Sardegna occidentale).

⟶ Nella costituzione delle rocce della crosta terrestre si distinguono tre processi in successione
temporale, che costituiscono un unico ciclo litogenetico: magmatico, sedimentario, metamorfico.
• Le rocce magmatiche (o ignee) sono generate in seguito al raffreddamento e al consolidamento del
magma, il materiale formato per fusione parziale del mantello.
Possono essere intrusive (o plutoniche), in cui il raffreddamento avviene in profondità e lentamente, e
sono costituite interamente da cristalli (olocristalline, es. granito).
Possono essere effusive, in cui il raffreddamento è brusco e avviene in superficie, e il tempo trascorso
non è sufficiente per un completo processo di cristallizzazione della roccia (basalto).
• Le rocce sedimentarie sono prodotte dall’accumulo e dal deposito/sedimentazione, di detriti e
frammenti deposti nel corso del tempo. Derivano dalla disgregazione di rocce preesistenti, per via
meccanica o chimica. Vengono chiamate anche rocce stratificate, perché sono di solito disposte in
strati di diverso spessore, e costituiscono il 5% della crosta terrestre, molto diverse ed eterogenee, •
Le rocce metamorfiche derivano da quelle eruttive o sedimentarie, dopo profonde alterazioni per
aumenti di temperatura e di pressione. Le rocce sono portate a notevoli profondità all’interno della
crosta terrestre. Esistono due tipi di metamorfismo: di contatto (aree a contatto col materiale
magnetico) e regionale (grandi aree in profondità).
3. La struttura interna della Terra e la tettonica a placche (p. 42 e 44)
Furono elaborate molte teorie sulla causa delle dinamiche superficiali della Terra.
• Inizio del Novecento: Alfred Wegner affermò che 200 milioni di anni fa
esisteva un unico grande continente (Pangèa), circondato da un unico oceano
(Pantalassa). Da qui avrebbe avuto inizio la deriva dei continenti, il
frazionamento delle masse terrestri fino alla loro dislocazione attuale. Teoria
basata su intuizioni e prove di tipo paleontologico, geologico, climatico,
avvalorata dall’incastro quasi perfetto delle linee di costa dell’America
meridionale e dell’Africa.
• Geologo statunitense Harry H. Hess, partì dall’espansione dei fondali oceanici.
Si considera il movimento relativo di porzioni di crosta e mantello superiore.
• Fine anni ‘70 del Novecento: si compresero meglio le cause profonde della
deriva dei continenti, spiegando anche la concentrazione dei terremoti e dei
vulcani e la formazione delle catene montuose. Si elaborò la teoria della
tettonica a placche (o tettonica globale) grazie alle tecnologie d’avanguardia
elaborate da studiosi di Scienze della Terra.

⟶ La composizione interna della Terra è un involucro a strati, composto da crosta terrestre (solida),
mantello (solido), nucleo esterno (fluido), nucleo interno (solido).
La crosta terrestre poggia sul mantello esterno solido, e formano insieme la litosfera, a comportamento
rigido. Sotto c’è l’astenosfera, ad elevata viscosità, che consente i movimenti di alcune placche
litosferiche trasportate da enormi celle convettive, in continuo movimento.

• Le correnti connettive, dalle zone interne più calde a quelle esterne più fredde,
generano forze che determinano i movimenti delle placche. Le correnti
ascensionali (convergenza correnti connettive) spingono verso l’alto il materiale
molto caldo ma ancora solido, che in prossimità della superficie fonde in parte e
produce magma. Questo trabocca nelle dorsali oceaniche, formando margini
costruttivi o divergenti, creando nuova crosta terrestre.
L’Islanda fa parte di due distinte placche: nordamericana e eurasiatica.
Esempi di placche ampie: pacifica, eurasiatica, nordamericana, africana, indoaustraliana, antartica.
• Zona di subduzione: per lo scontro di due placche convergenti una delle due può sprofondare,
formando le grandi fosse oceaniche (Marianne, 11.034 m di profondità).
• Orogenes : se si sovrappongono i margini di convergenza, danno origine a catene montuose.
•i , faglie trasformi: margini nei quali non avviene costruzione (divergenti) né
Margini distruzione di litosfera (convergenti). Lungo i bordi di tangenza delle placche
conservativi avviene un movimento di scorrimento, e le zone di frizione delle placche
accumulano pressioni fortissime.
Con il tempo, l’energia immagazzinata può superare il limite di resistenza delle rocce, e liberandosi
violentemente può provocare terremoti.

4. Il vulcanismo: caratteri generali (p. 46)


• La
: il vulcanismogenesi
consiste nella fuoriuscita di materiali rocciosi allo stato fluido ricchi di gas, i magmi. Essi pos
dell’attività accumularsi in serbatoi superficiali (camere magmatiche) oppure giungere
direttamente in superficie provocando eruzioni nell’atmosfera o nell’idrosfera.
La genesi avviene nella parte esterna del mantello per cause fisico-chimiche, ed è legata all’ambiente
geodinamico (zone di subduzione, espansione, punti caldi). Influiscono anche la viscosità, il volume,
la profondità, la temperatura e la tipologia delle rocce attraversate.
Se mentre risale il magma perde i gas contenuti, fuoriesce in superficie in maniera tranquilla (effusiva)
sotto forma di lava (esplosiva). L’edificio vulcanico può essere un vulcano centrale (apertura a
cratere) o un vulcano lineare (lungo profonde spaccature all’interno della Terra).
• I materiali e le forme dell’attività: i materiali emessi si distinguono in base alle dimensioni in blocchi,
lapilli e ceneri. Se mentre risale il magma mantiene al suo interno il gas, giunge in superficie con
una sovrappressione che provoca un’eruzione esplosiva. I materiali possono essere anche bombe
vulcaniche, flussi piroclastici, e colate di fango.

• Le tipologie di eruzione:
Hawaiane = effusive, lave fluide povere di gas, a scorrimento relativamente veloce ma tranquillo (isole
Hawaii, Islanda)
Stromboliane = lava più viscosa, alternano a normali piccole esplosioni, colate di lava ed esplosioni
maggiori (Stroboli nell’arcipelago delle Eolie o Lipari)
Vulcaniane = esplosive, interazione fra l’acqua di falda e il magma (Vulcano, nelle isole Lipari)
Pliniane = esplosiva, grandi quantità di cenere, pomici, flussi piroclastici. Il cratere principale può
collassare formando la caldera, una depressione (Vesuvio, 79 dc, Plinio il Giovane)
Peléeane = magmi molto viscosi, tendono a solidificare nel camino ostruendolo, nubi ardenti (La Pelée
nelle Antille).

• La distribuzione geografica: forme dell’edificio vulcanico: a scudo (forma appiattita, fluidità delle
lave, scarsa attività esplosiva), vulcani-strato (forma conica, colate laviche viscose, attività
esplosiva).
I vulcani possono essere attivi, estinti e quiescenti (attivi in tempi storici).
Si distribuiscono per: allineamenti lungo le dorsali oceaniche (più estesi), allineamenti lungo i margini
continentali (cintura di fuoco) o catene di isole, vulcanismo in aree isolate.

5. Il vulcanismo: risorse e rischi


L’uomo può anche trarre vantaggio dalle attività vulcaniche, in cui si verificano anche fenomeni
diversi dalle eruzioni, il vulcanismo secondario.
Essi costituiscono motivo di attrazione turistica, come nel parco nazionale statunitense di Yellowstone.
Fertilità suoli vulcanici di materiali, attività escursionistiche
• fumarole e solfatare, sorgenti di acqua calda e vapore misti a gas ricchi di zolfo
• soffioni, sorgenti di vapor d’acqua caldissimo a potente pressione per produzione energia elettrica
• geyser, emissioni di acqua calda zampillante a intermittenza
• acque idrotermali, cura di malattie

⟶ Le eruzioni producono a volte disastri spaventosi, soprattutto se i fianchi del vulcano sono molto
popolati, come quelli del Vesuvio e dei Campi Flegrei.
Il rischio vulcanico è ben localizzato, e consente di predisporre piani di evacuazione delle popolazioni,
con studi analitici caso per caso (difesa passiva). Sono stati creati in alcuni vulcani degli sbarramenti
per deviale le colate, evitando zone più densamente popolate, come per l’Etna (difesa attiva).
6. I terremoti
Il terremoto o sisma si avverte come un movimento di una parte della superficie terrestre, prodotto da
vibrazioni (onde sismiche) che si propagano da un punto all’interno della terra (ipocentro) cui
corrisponde sulla sua verticale, un punto in superficie (epicentro).

• Le cause: istantanea liberazione di energia che, attivando onde sismiche dall’ipocentro,


raggiungono l’epicentro sulla superficie terrestre, propagandosi in ogni direzione. Le onde sismiche si
diffondono a differenti velocità per natura diversa delle rocce che attraversano.
• Le scale sismiche e la misurazione: la forza dei terremoti viene dapprima misurata con la scala
MCS, articolata su 12 gradi di diversa intensità, che valuta gli effetti prodotti nel territorio a danno di
persone o cose. Essa riporta gli effetti rispetto a un’area definita fino alle zone più distanti
dall’epicentro. In seguito è stata calcolata la magnitudo, l’energia meccanica prodotta e registrata dai
sismografi secondo una scala ideata da Charles F. Richer. È una rilevazione strumentale obiettiva,
riferita all’ipocentro, rilevabile con lo stesso valore in ogni parte della Terra.

• Gli effetti: dipendono in misura rilevante dalla potenza delle onde sismiche e dalla loro durata,
e anche la natura litologica del terreno. Sono determinanti anche l’applicazione di normative e
procedure antisismiche, generale livello di sviluppo, attenzione e grado di addestramento delle
popolazioni, momento in cui si verificano le scosse, densità di popolazione.
I terremoti possono avere l’ipocentro sotto un fondo oceanico, che può venir sollevato o abbassato dal
movimento locale della crosta. Si può verificare il fenomeno dello tsunami o maremoto.
Le vibrazioni del terremoto arrivano rapidissime in superficie, mentre l’onda marina generata dal
sisma è più lenta ma si può innalzare fino a una decina di metri, generando danni enormi sulle coste.
Uno tsunami può essere prodotto anche da altre cause naturali che si generano in un ambiente marino,
come eruzioni vulcaniche, frane, esplosioni o caduta di meteoriti in mare. (città di Fukushima, 2011).

• La distribuzione geografica: segue la dinamica della crosta terrestre, in particolare le dorsali


oceaniche, le fosse abissali e le catene montuose di recente formazione (lungo fasce,
MediterraneoHimalaya)

7. Il rischio sismico, prevenzione e difesa


Al momento è impossibile stabilire con certezza luogo, momento, durata e potenza delle scosse.
Per la previsione, gli studi sono orientati a elaborazioni statistiche che, incrociando numerosi dati
storici e recenti, evidenziano le aree a rischio sismico.
L’Italia, con l’eccezione della Sardegna e di poche aree, presenta un rischio sismico medio-alto. Si
possono predisporre misure normative, quali le norme antisismiche nella costruzione degli edifici, e di
misure di protezione civile, quali la politica del governo del Giappone, il Paese con la migliore
organizzazione antisismica del mondo.
Sei punti focali per la prevenzione/organizzazione: strutture, informazione capillare preventiva su larga
scala, strutture e cartellonistica con percorsi di sicurezza, pianificazione dettagliata per le evacuazioni
post-sisma, kit di sopravvivenza in uffici e case, esercitazioni cicliche antisisma.

In Italia si è cominciato ad agire in questa direzione dopo il catastrofico sisma di Reggio di Calabria e
Messina del 1908, e un ulteriore impulso è stato dato dopo il terremoto dell’Aquila del 2009.
3) L’ATMOSFERA E IL CLIMA

1. L’atmosfera: caratteri generali


Un ruolo fondamentale per la vita del nostro pianeta è esercitato dall’atmosfera, una coltre di gas
trattenuta dalla forza di gravità per alcune centinaia di chilometri di quota.
Essa influenza le diverse condizioni meteorologiche e climatiche, protegge la terra dai raggi
ultravioletti del Sole, interagisce con la litosfera (modificando la morfologia terrestre) e con le masse
oceaniche (assicurando il compimento del vitale ciclo dell’acqua).
È composta per il 78% da azoto e per il 21% da ossigeno, oltre che da argon e altri gas rari, anidride
carbonica e vapore acqueo. In sospensione si trovano particelle minuscole (pulviscolo atmosferico).

⟶ Nell’atmosfera si individuano, in base all’andamento della temperatura, cinque sfere concentriche,


a partire dalla crosta terrestre.
1) troposfera, parte più bassa e densa, si forma grande parte dei fenomeni atmosferici e climatici. 2)
stratosfera, 50-60 km, densità minore dei gas. In corrispondenza dell’Antartide si è creato negli
ultimi anni il “buco dell’ozonosfera”, in cui lo strato di ossigeno triatomico si è assottigliato. 3)
mesosfera, accentuata rarefazione dei gas, notevole abbassamento temperatura fino a -90 °C. Piccole
meteoriti, entrando in questa fascia, per effetto dell’attrito diventano incandescenti, evaporano e
originano scie luminose (stelle cadenti).
4) termosfera o ionosfera, temperatura in forte aumento, ionizzazione vigorosa delle particelle che
rendono visibili le aurore polari.
5) esosfera, non presenta un limite netto con lo spazio cosmico.

2. Gli elementi del tempo e del clima


Il tempo atmosferico (meteorologia) è lo stato delle condizioni atmosferiche di un luogo in un dato
momento. Il clima (climatologia) invece è l’andamento tipico annuale delle varietà del tempo
atmosferico considerato su un periodo statistico piuttosto lungo, almeno un decennio. Gli elementi
dell’atmosfera, che costituiscono e descrivono tempo e clima sono:

• temperatura
I raggi del Sole emessi a onde corte attraversano l’atmosfera, senza che questa li assorba.
Al contrario sono assorbiti solo dalla Terra che li riceve e li converte in calore, trasmesso poi
nell’aria attraverso l’emissione di raggi a onde lunghe. Tale trasferimento di calore restituisce la
temperatura. Misurata con il termometro, indica il grado termico di una frazione di aria in un
momento e un luogo determinati. Escursione termica: differenza tra temperatura massima e minima
di un luogo. Isoterme: linee che uniscono tutti i punti della superficie terrestre con la stessa
temperatura • pressione
Anche se non si avverte, l’aria esercita sulla superficie terrestre un peso chiamato pressione, misurata
con il barometro. Il peso medio al livello del mare corrisponde a 760 mm o a 1013 millibar, valori
maggiori segnalano alta pressione, mentre quelli minori bassa pressione. Il peso dell’aria è dinamico e
dipendente da molte variabili, tra cui l’altitudine: con l’aumento di quota diminuisce lo spessore della
colonna d’aria sovrastante. È influenzata dalla temperatura e dall’umidità: l’aria calda e umida e
leggera tende a salire, l’aria fredda e secca e più pesante tende a scendere.
• venti
Le differenze tra aree di alta pressione (anticicloniche) e bassa pressione (cicloniche) generano gli
spostamenti di masse d’aria, i venti. La loro intensità è direttamente proporzionale alla differenza di
pressione tra due aree contermini, ed è tanto più forte quanto più ravvicinate sono le aree di alta e
bassa pressione. Sul vento si può misurare direzione, velocità e forza.
• umidità dell’aria e precipitazioni
Esse derivano dal ciclo dell’acqua: l’evaporazione per insolazione delle superfici liquide e le
conseguenti precipitazioni sulla terraferma e sui mari. L’evaporazione porta nell’aria l’umidità
assoluta, una certa quantità di vapore definibile come il peso del vapore acqueo in un dato volume
d’acqua. Oltre al limite di saturazione avviene la condensazione del vapore acqueo (gassoso→liquido)
o la sublimazione (gassoso→solido).
La capacità dell’aria di contenere vapore è proporzionale all’aumentare della temperatura.
“umidità relativa”: rapporto in % tra quantità di vapore presente in un dato volume d’aria e il limite
massimo che potrebbe esserci alla medesima temperatura. Le nubi si formano quando il vapore
acqueo diviene visibile, ad esempio per l’abbattimento della temperatura in microscopiche goccioline
d’acqua, e la nebbia dà la percezione delle loro dimensioni infinitesimali.
La quantità di precipitazioni varia da luogo a luogo, e la loro distribuzione geografica è rappresentata
sulle carte dalle linee isoiete, che uniscono luoghi con eguale quantità di precipitazioni.
Regime pluviometrico: distribuzione (giornaliera, mensile, stagionale, annua) delle precipitazioni.
Intensità: quantità di precipitazioni nell’unità di tempo.

3. I fattori del tempo e del clima


Le cause che determinano l’evoluzione degli elementi sono i fattori del tempo e del clima, e da questi
dipendono le condizioni del tempo atmosferico e la distribuzione dei climi sulla Terra. Tra i fattori si
segnalano:

• Latitudine: influisce sulla temperatura, sia in funzione della quantità annua di radiazione, sia per la
differente inclinazione dei raggi del sole che colpiscono la Terra.
• Altitudine: determina la variazione della temperatura rispetto al livello del mare
• Distribuzione delle terre e dei mari: influisce sia sull’umidità, contribuendo direttamente al suo
aumento nell’atmosfera, sia sulla temperatura, influenzata dalle masse continentali e oceaniche. Le
masse liquide hanno la capacità di influenzare l’escursione termica, riducendone gli estremi. •
Correnti marine: spostamenti di masse d’acqua, che svolgono una funzione fondamentale
nell’equilibrio climatico.
• Esposizione: rispetto ai punti cardinali, influisce almeno a livello locale sulla temperatura e sulla
ventilazione, oltre che sulla luce. L’Italia, con fattori geologici differenziati, mostra una grande
varietà di climi e la sua posizione (allungata in latitudine) fa sentire in maniera sensibile il suo
influsso procedendo da nord a sud. Anche la disposizione dei rilievi è importante dal punto di vista
climatico: le Alpi riparano la Pianura Padana dai venti freddi del Nord, gli Appennini creano una
suddivisione climatica tra versante tirreno e adriatico. Il Mediterraneo addolcisce il clima facendo
giungere i suoi effetti termoregolatori in ampie zone dell’interno peninsulare. Clima molto
favorevole, ma non ottimale la coincidenza dei mesi più caldi con quelli più secchi.
• Vegetazione
• Azione dell’uomo

4. I tipi di clima
Fin dall’antichità sono stati fatti vari tentativi di classificazione dei climi.
Grande successo, per rigore scientifico, ha ottenuto la classificazione
proposta dal Wladimir geografo e climatologo , nel 1918 e perfezionata nel 1936.
Essa Köppen prevede gruppi climatici corrispondenti a , dall’Equatore verso
i poli. cinque grandi classi
Climi di tipo A: TROPICALI UMIDI
Collocati fra i tropici, temperatura media mensile molto elevata, manca un vero inverno. Possono
variare la quantità e la distribuzione delle precipitazioni nell’anno, comunque abbondanti.
• equatoriale, fascia più vicina all’equatore e temperatura media elevata, quasi uniforme, piovosità
abbondante e regolare tutto l’anno (bacini del Congo e del Rio delle Amazzoni, Insulindia,
Camerun). • tropicale con inverno secco (o della savana), minori precipitazioni, diverso regime
pluviometrico, alternanza delle stagioni in base alla piovosità, umida e asciutta, non in base alla
temperatura (Africa, America Latina).
• monsonico, notevoli precipitazioni e distribuzione stagionale non uniforme delle piogge. I monsoni
sono venti periodici dell’Oceano Indiano, che soffiano da terra verso mare in inverno, e da mare
verso terra in estate (India, Indocina, costa orientale Madagascar).

Climi di tipo B: ARIDI


Precipitazioni rare e irregolari. Notevole escursione termica, sia annua (deserti freddi) sia giornaliera
(deserti caldi), più che dalla temperatura. Evaporazione potenziale maggiore delle precipitazioni, per
cui non ha origine alcun fiume a carattere permanente.
• desertico freddo, presenza di un inverno freddo, medie altitudini (deserti del Globi e della Patagonia).
• semiaridi o predesertici, maggior apporto idrico senza che prevalga sull’evaporazione.

Climi di tipo C: TEMPERATI


Molteplici varietà basate sia sulle differenza termiche sia sul regime pluviometrico.
• mediterraneo, mitezza degli inverni, concentrazione delle piogge nei mesi freddi, stagione estiva si
manifesta con caratteri di siccità (fasce costiere Mare Mediterraneo, California, Cile centrale, regione
sudafricana del Capo, Australia meridionale).
• subtropicale umido, maggiori precipitazioni del mediterraneo e più uniforme distribuzione nell’anno,
senza periodi siccitosi (Cina orientale, parte del Giappone, Usa centrale e orientale, Uruguay,
Argentina settentrionale, Australia sudorientale, fascia costiera sudoccidentale dell’Africa australe).
• temperato fresco, sottotipo oceanico di (Europa occidentale, Tasmania, Nuova Zelanda).
• continentale, inverni miti, precipitazioni ben distribuite (parti più interne dei continenti).

Climi di tipo D: NIVALI O BOREALI


Estese aree nell’emisfero settentrionale: (Europa orientale, Russia asiatica, Cina settentrionale, isola
giapponese Hokkaido, Usa settentrionale, quasi tutto Canada).
Inverno lungo e gelido, estate ricca di precipitazioni e abbastanza calda, escursione termica annua
molto significativa.
• freddo a estate calda, foreste decidue, piante che perdono foglie d’inverno.
• freddo a inverno lungo, foreste di conifere.

Climi di tipo E: GLACIALI O POLARI


Senza estate, diffusi a latitudini molto elevate. Freddo intensissimo e particolari condizioni di
illuminazione del Sole: d’estate non tramonta per lunghi periodi ma non riscalda la superficie terrestre
per la forte obliquità dei raggi, in parte respinti dal riflesso della coltre di neve e ghiaccio.
Precipitazioni scarse, di solito nevose.
• tundra
• gelo perenne (calotte glaciali)
• alta montagna, temperatura diminuisce progressivamente con l’altitudine. Nelle regione montane a
basse/medie latitudini non c’è l’alternanza di lunghi periodi di illuminazione e di oscurità.
Temperatura che varia quotidianamente, marcata escursione termica giornaliera.
5. Uomo e clima
Oggi uno dei fattori climatici più rilevanti è rappresentato dall’azione antropica.
Le attività dell’uomo hanno spesso relazioni con il clima attraverso una serie di intense trasformazioni,
come disboscamenti intensivi, deviazioni di fiumi o prosciugamenti di zone umide.
Il Lago d’Aral sta scomparendo per la deviazioni dei fiumi Amu Darya in Uzbekistan e Syr Darya in
Kazakistan, avviate negli anni ‘60 del Novecento dall’allora Unione Sovietica.
Il fenomeno sempre più intenso dell’urbanizzazione ha causato l’isola termica urbana nelle grandi
città. Il risultato è un evidente innalzamento della temperatura, provocato dal calore immesso nell’aria
dalle fabbriche, dal traffico automobilistico e dal riscaldamento domestico. L’inquinamento genera
anche lo smog e le piogge acide, che causano danni ad animali e terreni agricoli.
L’aumento della temperatura, come variazione involontaria del clima, è dovuto principalmente a
combustibili fossili, e porterà a un ulteriore surriscaldamento atmosferico globale.
Il fenomeno del global warming prevede un innalzamento del livello medio del mare di alcune decine
di centimetri.

⟶ Desertificazione: degradazione del terreno, estesa ad ampie regioni, come risultante di


concomitanti cause naturali e umane. Scarsa attenzione alla sostenibilità ambientale, gli esiti possono
essere l’indiscriminato uso del suolo, deforestazione, incendi, sfruttamento risorse idriche, effetti
dell’urbanizzazione e industrializzazione, impennata nella domanda di risorse energetiche fossili. Le
cause possono essere l’introduzione di nuove tecniche agricole, sfruttamento intenso del pascolo,
forme del terreno climi difficili, disboscamento. Desertizzazione: espansione dei deserti veri e propri.

6. Inquinamento atmosferico
Un passaggio decisivo per la nascita dell’inquinamento atmosferico avviene con la Rivoluzione
industriale. Da quel momento furono immesse nell’aria quantità notevoli di particelle, deteriorando la
qualità dell’aria.
L’inquinamento atmosferico è un fenomeno transcalare, e va quindi osservato sia a scala locale e sia a
scala globale, e si diffonde nell’atmosfera anche in aree molto distanti da quelle di origine.
In alcuni Paesi come l’Italia si è sviluppata una seria normativa sul trattamento dei rifiuti tossici, e al
contempo una lotta alle attività illegali legate al loro smaltimento (ecomafie).

⟶ Attività antropiche più inquinanti: agricole, industriali (materiali radioattivi), naturali (ceneri
vulcaniche, polveri ecc.), emissioni di combustioni (mezzi e energia elettrica).
Rilevanza globale hanno le emissioni dei gas serra, ai quali si imputa la responsabilità maggiore nel
riscaldamento globale dell’atmosfera terrestre.
4) IDROSFERA

1. Il mare: risorse e problemi


Oltre il 70% della superficie del pianeta Terra è occupato dal mare. La quantità corrisponde a circa il
97% di tutte le acque che formano l’idrosfera. Il restante 3% si trova nelle calotte glaciali solide (2%)
o nelle acque dolci continentali come laghi, fiumi, acque sotterranee (1%).
Le acque marine hanno assunto un interesse sempre maggiore nella vita dell’uomo, per pesca,
acquacoltura, trasporti e turismo balneare, e nelle fasce costiere infatti si concentra molta popolazione.
Il mare è sia una riserva alimentare ma anche un’immensa riserva di energia e un enorme giacimento
di materie prime, come i noduli polimetallici che si trovano sui fondali marini (concrezioni di minerali
generalmente di forma sferica, costituiti da manganese, ferro, nichel, rame e cobalto).
Quantità enormi di idrocarburi provengono da giacimenti offshore, strutture geologiche sedimentarie
appartenenti alla piattaforma continentale. Dalle onde e dalle maree si possono ricavare fonti
energetiche rinnovabili, come l’energia mareomotrice (fase sperimentale). Le acque dolci hanno la
possibilità di desalinizzazione per uso potabile.

⟶ Nonostante le grandi capacità depurative del mare, in alcune aree l’inquinamento marino è
diventato insostenibile, con ricadute pesanti per gli esseri umani e per la loro salute.
Gravissimi sono i disastri ambientali causati dalla perdita del petrolio in mare: oil spills.
Ogni anno, 4 milioni circa di tonnellate di idrocarburi è disperso in mare.

2. Caratteristiche del mare


Gli oceani (Pacifico, Atlantico, Indiano) sono le distese maggiori che si aprono tra un continente e
l’altro. Il mare invece è un’area racchiusa per lunghi tratti da terre emerse.
La caratteristica più nota dell’acqua del mare è la salinità, che si esprime calcolando i gr di sale
contenuti in un kg di acqua. La salinità media è pari al 35% (35 grammi di sale/1 litro d’acqua). Fra
i tipi di sali disciolti prevale il cloruro di sodio, poi c’è cloruro di magnesio, solfato di magnesio,
solfato di calcio, solfato di potassio. Nei mari tropicali la salinità è maggiore rispetto ai mari freddi.
L’ossigeno viene trattenuto in piccole quantità insieme ad altri gas disciolti nel mare, come l’azoto,
l’argon, l’idrogeno e l’anidride carbonica (rilevante nella fotosintesi clorofilliana).
L’ossigeno libero in soluzione è presente soprattutto nello strato superficiale dell’acqua marina, sia per
l’interazione con l’atmosfera sia per l’attività della vita vegetale.
Anche la temperatura cambia con la profondità, con le stagioni e con la latitudine.
Il riscaldamento solare agisce sugli strati superficiali, per cui le temperature maggiori in superficie si
riscontrano nei mari tropicali.

⟶ I mari polari hanno temperature superficiali prossime o inferiori a 0 °C.


Nel Mar Glaciale Artico e intorno all’Antartide vi sono zone dove il mare, costantemente ghiacciato,
forma la banchisa, costituita da grandi lastre di ghiaccio salato galleggiante.
Gli iceberg (“monte di ghiaccio”), sono blocchi d’acqua dolce continentale, che si staccano dalle
lingue glaciali dell’Antartide o dalle isole artiche, e vanno alla deriva anche in zone lontane dal luogo
d’origine fino a fondersi. Al di sotto dei 200 metri le acque oceaniche hanno temperature basse.
3. I movimenti del mare: onde, maree, correnti marine (p. 71)
Mari e oceani sono soggetti a continuo moto, il più visibile dei quali è costituito dalle onde: provocate
dal vento, presentano una cresta (dorso) e un cavo (ventre).
L’altezza d’onda è la distanza fra la cresta e il fondo del cavo, la lunghezza d’onda è la distanza fra due
creste o due cavi successivi. L’acqua non subisce spostamenti orizzontali, poiché il moto ondoso è in
prevalenza verticale. Quando l’onda collassa, il movimento circolare viene sostituito da un effettivo
spostamento della massa d’acqua in avanti: onda di traslazione.
La marea è un fenomeno periodico costituito da ampie masse d’acqua (oceani, mari, grandi laghi) che
con movimenti ripidi periodici si innalzano (flusso: alta marea) e si abbassano (riflusso: bassa marea).
La differenza tra il livello massimo e il livello minimo di marea è l’ampiezza di marea.
Le maggiori maree si verificano in golfi direttamente collegati con gli oceani.
L’origine delle maree è dovuta all’attrazione della Luna e in misura minore del Sole, il quale ha una
massa superiore ma si trova ad una distanza più grande. L’ampiezza di marea raggiunge i valori più
alti quando l’attrazione lunare si somma con quella solare, al momento della congiunzione (novilunio)
o dell’opposizione (plenilunio) dei due corpi celesti.

⟶ Le correnti marine sono masse d’acqua che si spostano in una direzione quasi costante, con
caratteristiche (temperatura, salinità) diverse da quelle delle acque circostanti.
La causa è il rigonfiamento delle acque marine della fascia equatoriale, per le elevate temperature che
ne provocano l’espansione e il deflusso verso latitudini più alte. Si ha poi un richiamo di acque più
fredde dalle zone polari, a cui si aggiunge l’azione dei venti.
La loro formazione e direzione dipende dalla rotazione terrestre (senso orario nell’emisfero boreale,
senso antiorario nell’emisfero australe) e della conformazione dei continenti (deviate dall’andamento
delle coste.
Le correnti marine si distinguono in calde (dalle regioni equatoriali verso latitudini più elevate,
temperature superiori a quelle delle acque circostanti) e fredde (dalle regioni polari verso latitudini più
basse, temperature inferiori a quelle delle acque circostanti).
Esse svolgono quindi un ruolo di equilibrio termico, consentendo uno scambio di calore tra le regioni
polari e le regioni equatoriali.
A livello locale inoltre rivestono grande importanza climatica, grazie all’azione mitigatrice sulle aree
costiere delle fredde regioni nordiche e a quella rinfrescante sulle fasce costiere dei deserti tropicali.

4. Il ciclo dell’acqua e il bilancio idrologico (p. 74)


Atmosfera, litosfera e idrosfera non costituiscono porzioni distinte del pianeta Terra, ma sono in
relazione strettissima. Tale relazione è constatabile dal vitale ciclo dell’acqua o idrologico, che l’uomo
ha colto fin dall’antichità. L’acqua, variando il suo stato fisico, evapora dagli oceani, si immette
nell’aria e ritorna sulla superficie terrestre in forma liquida o solida.
Gli oceani costituiscono la grande riserva d’acqua del pianeta, ma la stessa quantità d’acqua che ritorna
sulla superficie ha una distribuzione diversa rispetto alle quantità evaporate.
Il vapore acqueo infatti prima di condensare e cadere sotto varia forma, può essere trasportato da venti.
I continenti ricevono molta più acqua di quella che perdono per evaporazione, con un bilancio idrico
positivo, essenziale per la vita e le attività antropiche.
Il bilancio idrologico è positivo per le terre emerse in una valutazione planetaria, ma se il riferimento
passa a scala regionale, la situazione cambia in maniera notevole.
Il deflusso delle acque avviene in mare, attraverso le foci dei fiumi, nelle aree esoreiche.
Le aree endoreiche hanno corsi d’acqua permanenti o temporanei che non trovano sbocco in mare ma
terminano il loro corso in un lago chiuso.
Le aree areiche sono prive di un’idrografia superficiale, e sono in prevalenza aree desertiche.
5. Le sorgenti e i fiumi
Le società umane hanno vissuto il relazioni strettissime con i fiumi, che hanno anche contrassegnato lo
sviluppo di tante culture come le antiche civiltà dell’Egitto, Mesopotamia e della
Rocce : Cina. porose, fessurate, si lasciano agevolmente attraversare dall’acqua (sabbia,
permeabili ghiaia).
Rocce : più compatte, non consentono un facile passaggio dell’acqua nel suolo
impermeabili (argilla).
Le acque se incontrano uno strato di roccia impermeabile formano una falda
d’acqua, detta freatica: quando il pendio di un monte/collina la taglia, la falda fuoriesce in superficie e
forma una sorgente. Una parte delle acque scorre sulla superficie, anche se la pendenza è molto bassa,
e alimenta i corsi d’acqua (fiumi e torrenti). Questi sono brevi e intermittenti riguardo al flusso
d’acqua, assente durante i periodi privi di precipitazioni. L’alveo (o letto) è il solco di scorrimento
delle acque incanalate.

⟶ Per descrivere un corso d’acqua (fiume) occorre utilizzare una serie di parametri.
• lunghezza: distanza che passa dalla sorgente alla foce, dipende dall’estensione e dalla conformazione
morfologica di un territorio.
• pendenza: rapporto tra il dislivello sorgente-foce e la lunghezza di un fiume. Bassa nei fiumi il cui
corso si sviluppa molto in pianura, alta nei territori montani (anche 20%). Nel corso superiore è
maggiore, nel corso medio/inferiore è minima.
• velocità: determinata dalla forza di gravità, dipende molto dalla pendenza e varia con essa. Nei tratti
di montagna è maggiore, nei tratti in pianura è minore. Altri fattori sono la profondità e la rugosità
del letto, che deriva in parte dalla natura delle rocce.
• bacino idrografico: comprende tutta la superficie che convoglia le acque piovane in un determinato
fiume, è delimitata dalla linea spartiacque che lo separa dai bacini confinanti. L’ampiezza del bacino
è collegata alla lunghezza del fiume.
• portata: quantità d’acqua che passa attraverso una sezione trasversale del fiume nell’unità di tempo.
Si esprime di solito in m3/s. Importante sia per esaminare i caratteri di un corso d’acqua e sia per
valutarne gli impatti sulle attività antropiche. È maggiore nei fiumi con sezioni trasversali molto
ampie, dove il corso d’acqua scorre veloce. Dipende dalla quantità e dall’intensità delle
precipitazioni.
Per ciascun corso d’acqua di può calcolare una portata media, minima (di magra), massima (di piena).
Il Rio delle Amazzoni è il fiume con le portate maggiori. Poiché i corsi d’acqua trasportano anche
materiale solido, è utile conoscere la portata solida, soprattutto per gli effetti morfologici prodotti.
• regime: insieme delle variazioni di una portata di un fiume durante l’anno.
Dipende dal regime pluviometrico e dall’andamento della temperatura, ma anche dalle caratteristiche
del bacino idrografico: topografia, struttura geolitologica, copertura vegetale, opere dell’uomo. Non
ci sono fiumi a portata costante nell’anno. I fiumi iemali hanno portata massima in inverno e minima
in estate, i fiumi estivi (regime glaciale) hanno portata massima in estate e minima in inverno.

6. I laghi
Il lago è costituito da una massa d’acqua, generalmente dolce, raccolta in una concavità del terreno,
senza una comunicazione diretta con il mare. Prende il nome di stagno se la profondità è minima.
Una palude è una depressione coperta da uno strato ridottissimo di acque, con abbondanza di
vegetazione in parte emersa. Le maremme sono piane acquitrinose, estese in prossimità del mare,
ricoperte di folta vegetazione.
L’estensione di un lago può variare molto: il Mar Caspio in Asia Occidentale è il più grande lago
della Terra. Anche le profondità variano notevolmente, e il più profondo è il Lago Bajkal, in Russia.
L’acqua del lago proviene da precipitazioni, dal ruscellamento, da sorgenti presenti sul fondo/lungo le
sponde, dai corsi d’acqua che vi sboccano (immissari). L’acqua che si aggiunge viene smaltita per
evaporazione, infiltrazione, o per mezzo di uno o più corsi d’acqua che escono dal lago (emissari).
Un lago chiuso è privo di emissario, e un’intensa evaporazione potrebbe produrre una forte salinità.
⟶ I laghi possono avere genesi diverse:
• glaciale, in una depressione modellata da un ghiacciaio
• vulcanica, nel cratere di un vulcano spento, figura ellittica e subcircolare
• di sbarramento, per i detriti prodotti da frane, a volte è artificiale per dighe o irrigazioni
• artificiale, per dighe costruite di diverse tipologie
• subaplini, formati per colmare le depressioni vallive create dall’azione dei ghiacciai (sciolti)
• tettonici, si trovano in cavità originate da grandi movimenti della crosta terrestre
• laghi costieri, deposizione di sedimenti costituiti da cordoni litoranei, allungati, profondi e salmastri

I laghi maggiori si presentano anche come tramite dei trasporti, come i Grandi Laghi nordamericani.
Le acque dei laghi, oltre che per l’irrigazione dei campi, si ricordano per l’importanza turistica grazie
alla pesca sportiva, sport acquatici, bellezza del paesaggio, ecc.

7. La criosfera e i ghiacciai (p. 82)


La criosfera è una quantità d’acqua allo stato solido, ovvero sotto forma di ghiaccio (marino o
continentale) e di coltre nevosa. È compreso anche il suolo perennemente gelato, riscontrabile nei
climi nivali. L’estensione dei ghiacciai è 1/10 delle terre emerse, circa 15 milioni di km2, e la
grandissima parte è compresa in Antartide, un continente ricoperto da una calotta glaciale.
Ammassi di neve possono portare o alla formazione di ghiaccio cristallino o possono precipitare a
valle, causando valanghe.
Il limite delle nevi permanenti non si trova a uguale altitudine sull’intera superficie terrestre, ma varia
secondo la latitudine, esposizione e morfologia. È un importante indicatore climatico.

⟶ Il fenomeno dei ghiacciai accade quando il ghiaccio raggiunge uno spessore particolarmente
consistente, si comporta come se fosse costituito da materiale plastico ed è soggetto a un lento
scorrimento, espandendosi su una superficie orizzontale o scivolando verso il basso per la gravità.
• Ghiacciai di montagna: lunghi e stretti e occupano le valli preesistenti.
• G hiacciai continentali : possono estendersi su una superficie ampia sommersa da coltri spesse.
• Crepacci: se il fondo roccioso è irregolare, si generano tensioni che producono fratture diversamente
orientate nella pare superficiale dei ghiacciaio. I seracchi si formano quando crepacci trasversali e
longitudinali si incrociano, sono blocchi e pinnacoli isolati.
• Bacino collettore: zona di accumulo/alimentazione, parte più alta, sopra limite delle nevi permanenti.
• Circo glaciale: nei ghiacciai di montagna, parte superiore.
• Lingua del ghiacciaio: nei ghiacciai di montagna, parte inferiore, lunga e ristretta, si può spingere al
di sotto della linea delle levi permanenti.
• Ablazione: termine tecnico-scientifico, sotto il limite delle nevi prevale la fusione e l’evaporazione.
La lingua glaciale termina con un fronte, dal quale fuoriesce acqua, che alimenterà il torrente glaciale •
Iceberg: nei ghiacciai polari (calotta antartica) dove la temperatura è sempre sotto zero e la radiazione
solare non riesce ad attivare processi di fusione, la perdita di ghiaccio avviene per distacco di blocchi.

8. Alluvioni ed esondazioni
Un’alluvione o un’esondazione si registra quando, dopo piogge prolungate e abbondanti, l’alveo non
riesce a contenere il carico d’acqua che di norma è in grado di accogliere.
Essi producono guasti addizionali in seguito a trasformazioni operate dall’uomo: disboscamenti
radicali di versanti, costruzioni e cementificazioni eccessive in luoghi sensibili, riduzioni degli alvei
dei fiumi, ostacoli per lo scorrimenti delle acque correnti.
In Italia questa calamità è frequente, anche per la forte pressione antropica esercitata sul terreno.
5) BIOSFERA

1. La biosfera: un sistema complesso


Sulla Terra si sviluppano forme di vita animale e vegetale in particolari condizioni ambientali. La
biosfera o ecosfera rappresenta il massimo sistema di organizzazione biologica, e con il termine si
intendono tutte quelle porzioni del nostro pianeta dove sussistono tali condizioni indispensabili ai vari
organismi viventi (parte bassa dell’atmosfera, quasi tutta idrosfera, parte più superficiale della litosfera
fino al limite inferiore delle acque di falda). La biosfera costituisce un sistema di grande complessità,
studiato dall’ecologia e dalla biologia, che interagisce con le altre “sfere” della Terra.
Le relazioni tra mondo inorganico e mondo vivente sono molto strette ed estremamente articolate, con
un’evoluzione continua dipendente dalla reciprocità di fattori allogeni (geologici e climatici) e di
processi autogeni (differenti attività della componente vivente). Anche gli intensi mutamenti climatici
e i movimenti tettonici hanno operato in maniera determinante sugli organismi viventi.

⟶ Per il funzionamento della biosfera è indispensabile l’energia fornita dal Sole, grazie alla quale si
sviluppano processi di fotosintesi, il grande “motore” della vita sulla Terra.
L’energia luminosa del Sole consente la fotosintesi da parte degli organismi autotrofi, in grado di
nutristi impiegando soltanto sostanze inorganiche. In questo modo le piante, che producono materia
organica assumendo quella organica, sono la base dalla catena alimentare di tutti esseri viventi, ovvero
della serie di organismi che si nutrono gli uni degli altri.
Gli organismi eterotrofi (consumatori) non sono in grado di produrre da soli le sostanze per il loro
sostentamento, e si nutrono di sostanze organiche generate dagli autotrofi (produttori).

2. La protezione della biosfera e la salvaguardia della biodiversità


La biosfera è sostegno essenziale per la vita dell’umanità, e dovrebbe essere protetta al massimo per
continuare a produrre al meglio il suo influsso benefico.
Nel 1992 a Rio De Janeiro si è svolta la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, in
cui è stata adottata la Convenzione sulla diversità biologica.
Il concetto di biodiversità indica una nozione di tipo quantitativo, ma esprime anche la variabilità di un
carattere all’interno di una stessa specie (variabilità intraspecifica) o di una stessa popolazione
(variabilità intrapopolazionale).
La biodiversità è fondamentale nella conservazione dell’equilibrio della biosfera, e consente
all’ecosistema sia una maggiore stabilità e sia l’adattamento a mutamenti e di tornare allo stato iniziale
dopo una perturbazione ambientale. La distribuzione della biodiversità non è omogenea: nella foresta
pluviale è massima, negli ecosistemi artificiali urbani e agricoli è minima.

⟶ Negli anni ‘70 del Novecento, l’UNESCO aveva attivato il Programma MAB (Man and the
Biosphere), con gli obiettivi di migliorare il rapporto tra uomo e ambiente e ridurre la perdita della
biodiversità. Vi è stato poi il progressivo riconoscimento delle Riserve della Biosfera, aree marine e/o
terrestri che gli Stati membri si impegnano a gestire con la partecipazione delle comunità locali.
In tutto il mondo ci sono 651 Riserve in 120 Stati, di cui 13 sono in Italia.
3. L’inquinamento della biosfera
A partire dalla Rivoluzione Industriale la pressione antropica sulla biosfera è divenuta sempre più
invasiva, con continue e pericolose accelerazioni negli ultimi decenni.
È necessaria un’opera preventiva per evitare di superare il limite di resilienza, ossia la capacità di un
sistema ecologico di tornare al suo stato iniziale e di autoripararsi, dopo un danno.
Litosfera, atmosfera e idrosfera sono in reciproca relazione, e di conseguenza l’inquinamento dell’aria
può estendersi al suolo e alle acque, e viceversa.
Quando lo smaltimento dei rifiuti avviene in maniera non conforme alle normative, i guasti alla
biosfera diventano enormi. Le ecomafie sono attività antropiche illegali concentrate nella Terra dei
fuochi, e ad essere si sommano le forze naturali, che spesso contribuiscono all’inquinamento della
biosfera.

4. La vegetazione naturale e il clima


La vegetazione spontanea e la sua distribuzione sono molto sensibili al tipo di clima e alla
combinazione dei vari elementi climatici. Temperatura, umidità, precipitazioni e vento influenzano il
ciclo vegetativo delle piante, che rappresenta una risposta al clima, più che una causa delle varietà
climatiche. La vegetazione naturale diffusa sulle terre emersa può classificarsi in quattro grandi
formazioni: arboree, arbustive, erbacee, desertiche.
Rispetto alle esigenze termiche le piante si distinguono in megaterme, mesoterme, microterme,
echistoterme. In base alle necessità di acqua: igrofile, mesofile, xerofile, tropofile.
Importante è anche il periodo di insolazione e la presenza della luce, essenziale per i processi di
fotosintesi clorofilliana: ombrofile e eliofile.
Lo sviluppo della vegetazione dipende anche dai fattori geomorfologici (pendenza e orientamento dei
versanti insolazione e temperatura) e da quelli edafici (tipo/struttura del suolo, presenza/qualità di
humus). 5. I biomi
I biomi sono sistemi ambientali, complessi, geograficamente estesi e caratterizzati da specifiche
condizioni climatiche. In essi le comunità vegetali e animali hanno raggiunto una relativa stabilità, e
hanno costituito una biocenosi (comunità biologica).

Foreste:
• Equatoriale = gran numero di specie arboree presenti una accanto all’altra, densa e sempreverde
vegetazione, alberi alti fino a 60 m. Spesso non consente ai raggi solari di raggiungere il suolo,
perché le foglie cadono in periodi diversi, mancando un chiaro alternarsi delle stagioni. Fauna
abbondante riguardo agli uccelli e alle scimmie. Popolamento umano non favorito dalla fittezza
degli alberi, i fiumi sono importanti passaggi naturali nella foresta, vie principali del popolamento.
• Pluviale tropicale
• Monsonica
• di Latifoglie = preponderanza di quercia e faggio. Caduta delle foglie nel periodo invernale, numero
ristretto di specie, di cui solo una è prevalente.
• di Conifere = aghifoglie, prevalenza di pino silvestre e abete. Sempreverdi a eccezione del larice,
adatte a sopportare climi molto rigidi. Abbondanza di fauna.
• a Sclerofille = clima mediterraneo, alberi con foglie piccole e dure, specie arbustive.
Savana:
Formazione arbustiva, si estende nelle regioni calde tutto l’anno e nelle regioni piovose un solo
periodo. Composizione mista di arbusti, erbe ed alberi sparsi. Periodo riposo nella stagione asciutta.
Tra gli alberi si segnala il baobab (Adansonia digitata). Fauna molto ricca.
Hanno favorito l’insediamento umano: coltivazione e raccolta durante il periodo umido, caccia durante
il periodo secco. La colonizzazione europea ha rotto in molte aree l’equilibrio che si era instaurato tra
le società e l’ambiente, causando un impoverimento del suolo sempre più soggetto all’erosione.

Prateria:
Precipitazioni piuttosto scarse, temperature variabili in maniera notevole. Vegetazione quasi
solamente erbacea, con prevalenza di graminacee. Al clima continentale di medie latitudini si
associano le praterie a erbe alte (America settentrionale). Nelle pampas dell’Argentina le piogge sono
scarsissime. La steppa è la formazione più caratteristica delle praterie a erbe basse: vegetazione
raggruppata in ciuffi e distribuita sul terreno in maniera irregolare, si adatta a climi sia caldi sia freddi,
trova diffusione dall’Equatore fino a circa 55º N.
Nei climi subpolari e polari, con latitudini più elevate, si ha il passaggio della tundra: formazione
erbacea con prevalenza di muschi e licheni, suolo in permanenza gelato che non consente alle radici di
penetrare in profondità, verso i poli c’è il clima delle calotte glaciali.

Deserto:
Estrema scarsità di precipitazioni, mancanza di acque correnti, prevalente azione esercitata dai venti,
vegetazione nulla o molto scarsa. Le poche piante esistenti devono:
approfondire le radici per ricercare l’acqua nel sottosuolo, avere foglie piccole e dure, a volte spine,
per diminuire la superficie evaporante, accumulare di riserve di acqua.
Antartide: terreno perennemente ricoperto di neve o ghiaccio, vegetazione impossibile ma presenti basi
scientifiche. Fauna limitata alle specie resistenti alla sete o al freddo. Nei deserti a inverno freddo la
rara vegetazione è più arbustiva che erbacea.
Non offre una continuità di condizioni favorevoli alla vita e alle attività antropiche stabili, tranne che
per le risorse del sottosuolo come i giacimenti petroliferi o di gas metano.
6) IL MODELLAMENTO TERRESTRE

1. Le forme del terreno


Il termine geomorfologia indica la scienza che studia le forme del rilievo subaereo e i processi di
modellamento riguardanti la parte superficiale della crosta terrestre (1888, William John McGee).
Questa disciplina si collega alla geologia, idrografia, glaciologia, climatologia, geografia.
Gli agenti morfogenetici sono i fattori che modellano la superficie terrestre, e sono operanti accanto
alla forza di gravità, che agisce sempre e dovunque, direttamente o indirettamente.
Si dividono in due categorie:
• forze endogene o interne, dipendono dalla dinamica dell’interno terrestre (vulcanismo,
sismicità, tettonica ecc.). Tendono a produrre dislivelli, soprattutto in elevazione
• forze esogene o esterne, attivate dai fenomeni legati all’atmosfera, all’idrosfera e alla biosfera.
Tendono a eliminare dislivelli, demolendo aree sollevate, colmando le depressioni e plasmando la
superficie terrestre attraverso una serie di azioni sui complessi litoidi (alterazione, erosione, trasporto,
deposito).

⟶ I processi morfologici si occupano del modellamento della superficie terrestre, che avviene in
modo progressivo e in tempi molto lunghi, a eccezione di eventi improvvisi (fenomeni franosi o
vulcanici e sismici).
Il ciclo di erosione è costituito da tre stadi principali: giovinezza, maturità, vecchiaia.
Alla fine di tutti possibili eventi del processo morfogenetico, c’è sempre il processo di
ringiovanimento, con l’impostazione di un nuovo ciclo di erosione.

2. La degradazione meteorica e l’alterazione chimica


Le rocce subiscono un continuo processo di degradazione e alterazione, prodotto dagli agenti
atmosferici, e può essete un processo fisico e chimico.

I processi fisici sono dovuti soprattutto alle oscillazioni di temperatura per il riscaldamento e il
raffreddamento, e fanno valere la loro forte disgregante se le differenze termiche sono forti e rapide.
Le rocce, sottoposte a intermittenti dilatazioni e contrazioni, innestano un processo di lenta
disgregazione/frantumazione, il termoclastismo (tipico di rocce scure ed eterogenee).
Il processo di disgregazione/frantumazione del materiale roccioso invece accade quando la temperatura
comporta il congelamento e la fusione delle acque meteoriche. Il susseguirsi di gelo e disgelo è
frequente in ambiente glaciale e periglaciale (crioclastismo).
Anche gli organismi viventi possono agevolare la disgregazione delle rocce (bioclastismo).

I processi chimici sono dovuti all’azione dell’ossigeno (ossidazione), dell’acqua (idratazione),


dell’acqua con l’anidride carbonica (dissoluzione). Si manifestano con maggiore efficacia nelle regioni
calde e umide. Fenomeno rilevante è l’idrolisi, legata alle possibilità che ha l’acqua di dissociarsi
parzialmente in ioni di idrogeno (H+) e di idrossidi (OH-).

L’insieme dei processi di degradazione meteorica e alterazione chimica origina uno strato di materiali
detritici (regolite), che risulta di grande importanza per la formazione del suolo poiché ricco di
sostanze organiche (pedogenesi).
3. I movimenti franosi
Il franamento è la discesa improvvisa, o comunque abbastanza rapida, di una quantità variabile di
massa litoide come effetto prevalente della forza di gravità. È la più dannosa forma di denudazione dei
versanti. Le frane si possono distinguere in vari tipi: • di crollo (caduta libera di blocchi di roccia da
una parete)
• di scivolamento o scorrimento (scivolamento di materiali su un piano inclinato abbastanza liscio) • di
colamento (lento, grazie alle acque d’infiltrazione di rocce argillose, spazi ampi e consistenti spessori
di roccia)
• di ribaltamento (rotazione di materiali coerenti, ma con fessurazioni o stratificazioni verticali)

In un processo franoso si riscontrano poi tre parti principali:


• Area di distacco o nicchia
• Pendio di frana, lungo il quale si è verificato lo spostamento del materiale
• Zona di accumulo, formata dai detriti caduti, che si ammassano a volte caoticamente

⟶ In Italia, una superficie notevole di 15.000 ettari è interessata dai movimenti franosi.
Regioni maggiormente colpite: Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna,
Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria. Fra le grandi frane avvenute in Italia si ricorda
quella del Monte Toc, del 9 ottobre 1963. Più recente è la frana di Sarno e Quindici (Salerno, 6
maggio 1998). Il franamento dipende da cause naturali: giacitura e caratteristiche litologiche, forte
pendenza dei versanti, intensità di alcuni eventi meteorologici. In molti basi anche l’abbattimento
degli alberi, l’uso di tecniche agricole non adeguate, la costruzione di strade, hanno compromesso
l’equilibrio naturale.

4. Scorrimento superficiale
Le gocce d’acqua, durante precipitazioni intense, possono avviare processi erosivi, definita erosione
normale per la sua larga diffusione sulla superficie del pianeta.
Le acque che scorrono in superficie (dilavanti o selvagge) sottopongono il terreno a un’incessante
azione di denudazione (dilavamento), che può assumere aspetti di energia erosiva.

Alcune rocce sono attaccate dall’acqua dilavante a causa della loro struttura e della loro coerenza
interna, come le argille, poco resistenti all’azione delle acque. Tipiche forme cave presenti in terreni
di natura argillosa sono i calanchi, sistemi di solchi di erosione e di vallecole e dai versanti ripidi divisi
da creste acute, prodotti dalle acque.
Altre forme peculiari dell’azione demolitrice delle acque dilavanti, sono le piramidi di terra (o camini
delle fate). Essi si sagomano principalmente in materiale eterogenico ed eterometrico incoerente, ma
poco permeabile. Sono guglie o torri di varia altezza, protette da blocchi di roccia più compatta e
resistente che si innalzano rispetto a zone scoperte (province di Trento e Bolzano).
L’acqua dilavante, anche sotto forma di ghiaccio e di agente chimico, è il fattore principale
della formazione del Bryce Canyon (Utah, USA). 5. Il modellamento fluviale (p. 101)
Dall’erosione di tipo areale per dilavamento, si passa a quella di tipo lineare per incanalamento, e alla
formazione dei corsi d’acqua che vanno a comporre il reticolo idrografico.
Il modellamento della superficie terrestre dei corsi d’acqua si deve a tre processi a volte simultanei:
• erosione (rimozione progressiva di particelle dal fondo e dalle sponde)
• trasporto (movimento di particelle erose per trascinamento, per sospensione o in soluzione) •
deposito (accumulo di particelle)
⟶ La forza di erosione dipende dalla quantità d’acqua, dalla pendenza (imprime maggiore o minore
velocità al fiume), e dal tipo di roccia (può essere più o meno incoerente).
L’erosione può essere meccanica (scorrimento dell’acqua sulla roccia e urto dei detriti trasportati lungo
le sponde e sul fondo) o chimica (alterazione della roccia per soluzione).
Il solco si approfondisce (forra, gola, canyon) e si allarga sempre di più (valle fluviale).
La sezione trasversale a V delle valli fluviali/torrentizie si forma con la combinazione dell’erosione
lineare (rende profonda l’incisione) e dell’erosione laterale (agisce sulle sponde).
Una rottura di un pendio forma una cascata.
La pendenza del fiume diminuisce progressivamente, procedendo da monte a valle.
I depositi alluvionali (o pianure alluvionali, se più grandi) si formano per l’abbandono di materiale
solido da parte della corrente d’acqua, a causa del rallentamento.
L’accumulo immediato di materiali dà origine al conoide di deiezione, se il corso d’acqua sbocca
direttamente e bruscamente in un tratto piano.

⟶ Nei tratti di pianura si formano spesso i meandri, anse accentuate di un corso d’acqua che si
susseguono con frequenza e che aumentano progressivamente la loro curvatura.
In seguito alla deviazione della traiettoria del filone centrale della corrente, si ha erosione sulla sponda
esterna (riva con scarpata di erosione) e accumulo sulla sponda interna (riva con sedimentazione).
Quando tra un’ansa e l’altra la striscia di terra (collo del meandro) diviene molto stretta, può essere
saltata in caso di piena del fiume, originando un meandro abbandonato che diviene prima un lago (lago
a corna di bue) e poi un meandro fossile.
Esistono meandri incassati o incastrati in profondi canyon o gole: fiume Colorado (Utah, USA).

6. Le foci di corsi d’acqua (p. 102)


I materiali detritici più sottili e non abbandonati dal corso d’acqua durante il percorso vengono
depositati intorno alla sua foce, allo sbocco in un lago o in mare. Questa è la base ultima di
riferimento per l’erosione fluviale, che non può quindi spingersi al di sotto del suo livello.
In ogni caso, i fiumi danno origine nella loro parte terminale a foci di diverso tipo.
Il delta è una porzione di terra, costruita dall’azione combinata del fiume e del mare in prossimità della
foce (delta del Nilo, forma triangolare). Le foci a delta si formano quando le ampiezze di marea
risultano modeste e il movimento marino non è in grado di disperdere in ampi spazi l’apporto detritico
del fiume (mari interni o mediterranei). I sedimenti fluviali, parzialmente emersi, possono disporsi a
ventaglio intorno alla foce, mentre il moto ondoso e le correnti marine formano lingue di sabbia (spits)
lungo la riva del delta stesso (foce del Po).
La foce delta a zampa d’oca presenta depositi molto allungati lungo i canali fluviali (Mississippi).
⟶ La foce a estuario si forma quando l’ampiezza della marea è pronunciata, e le forti correnti derivate
dal diverso livello marino allontanano in molte direzioni diverse l’apporto terrigeno dei fiumi. Esse si
mostrano larghe e a imbuto, e sono presenti lungo le coste degli oceani. Rispetto alla foce a delta
quindi, c’è una diversa distribuzione dei detriti fluviali.

Le acque fluviali offrono numerosi vantaggi, e l’uomo per questo si è spesso insediato nelle vicinanze,
utilizzandole per: usi domestici, agricoltura, energia, navigazione, pesca e agricoltura, attività sportive,
fluitazione. Fiumi di forte attrazione: Nilo, Tigri ed Eufrate, Gange e Indo, Huang Ho.
7. Il modellamento glaciale
L’estensione dei ghiacciai è di circa 15 milioni di km2, la grandissima parte dei quali compresa nel
continente antartico. Nell’emisfero boreale buona parte dell’Asia e dell’America settentrionale,
l’Europa settentrionale e tutte le Alpi hanno subito il modellamento dei ghiacciai. Come altri agenti
morfologici, si manifesta attraverso l’erosione (esarazione ed estrazione), il trasporto e il deposito.
L’esarazione avviene per erosione meccanica del ghiaccio e dell’acqua di fusione, sul fondo del
ghiacciaio. Può avvenire indirettamente con lo sfregamento di detriti inglobati nel ghiaccio.
L’estrazione si sviluppa direttamente per sradicamento di materiale sul fondo, che viene cavato,
frantumato e rimosso.

⟶ Esistono due principali forme create dall’azione erosive dei ghiacciai.


• Circo: cavità semicircolare, più o meno ampia, sovrastata su tre lati da pareti rocciose piuttosto
ripide e aperta verso quote minori. Due o più circhi possono venire in contatto ed entrare in
coalescenza originando circhi composti.
• Valle glaciale: lungo incavo, fondo ampio e piatto, pareti laterali molto ripide, prodotto dal
movimento verso il basso della lingua glaciale. Forma in sezione trasversale simile alla U.

⟶ L’erosione glaciale, a differenza di quella fluviale, non è riferita a un livello di base. Quindi le
spinte esercitate dalle masse di ghiaccio retrostanti possono produrre sovraescavazioni anche al di
sotto del livello del mare: fenomeno di criptodepressione.
Durante l’azione di trasporto, il ghiacciaio non esercita alcuna azione selettiva, al contrario del fiume,
che non trascina con sé ad esempio grandi massi.
I ghiacciai svolgono un ruolo importante dal punto di vista economico. L’enorme apporto di acque,
dovute allo scioglimento delle nevi, permette a molti fiumi di mantenere un buon livello d’acqua anche
nei periodi di carenza delle precipitazioni (per irrigazione agricola, alimentazione laghi artificiali). Un
altro aspetto riguarda il turismo: uso del ghiacciaio per lo sci estivo.

⟶ Morena: materiale detritico trascinato dal ghiacciaio, proveniente dai versanti e dal fondo.
Materiale non stratificato, disomogeneo. Possono essere di tre tipi: di fondo, interne, di superficie.
Le morene di superficie si formano verso i fianchi della valle (morene laterali). Quando due lingue
glaciali si uniscono, le due morene laterali confluiscono in una morena mediana.
Nella parte terminale del ghiacciaio si deposita un cordone morenico frontale, che ha una forma
arcuata, e le creste moreniche che susseguono formano un anfiteatro morenico (colline ad arco).
Massi erratici: massi enormi trasportati e abbandonati dai ghiacciai, anche a distanze di centinaia di
chilometri dal luogo di origine.
8. Il modellamento costiero
La costa è la zona di contatto tra le pareti emerse e quelle sommerse della superficie terrestre. Il
mare, soprattutto attraverso l’azione delle onde, vi svolge una continua opera di modellamento:
erosione (abrasione), trasporto, deposito.
L’attività erosiva è esercitata in particolare dall’energia meccanica del moto ondoso, e nell’azione
demolitrice è spesso rafforzata dai detriti lanciati contro le pareti costiere. Nel modellamento costiero
c’è anche la forza dell’acqua marina, l’alterazione chimica, l’azione esercitata da alcuni organismi.
Le coste possono essere diritte o articolate (con sporgenze e rientranze).
⟶ Costa alta: il terreno scende al mare con un pendio ripido. In corrispondenza del livello medio del
mare, l’azione delle onde produce una lunga scanalatura, detta solco di battigia. • falesia, parete
rocciosa a picco sul mare, in arretramento progressivo (scogliera)
• ria, insenatura lunga e stretta, spesso perpendicolare alla linea di costa
• vallone, insenatura lunga e stretta, ma quasi parallela alla linea di costa
• fiordo, insenatura dovuta all’erosione dei ghiacciai, stretta, molto ramificata e chiusa da coste a
picco. I ghiacciai, nel passato giungevano fino al mare, ma con il loro ritiro la depressione
sovraescavata è stata invasa dal mare.

⟶ Costa bassa: il movimento delle onde origina la spiaggia, che scende in mare con debole pendio.
L’azione costruttiva del mare consiste nell’accumulo di detriti (sabbie, ghiaie), evidente nelle
insenature come golfi e baie. L’azione erosiva è più forte nei luoghi sporgenti, promontori e capi.
L’azione del mare spesso strappa materiali dai siti sporgenti, depositandolo nelle insenature, rendendo
così il più possibile retta la linea di costa. Questo processo porta alla rettificazione costiera.
Quando il mare è poco profondo, l’accumulo dei detriti può avvenire anche a una certa distanza dalla
costa, nel cordone litoraneo (si forma una sottile striscia di sabbia all’ingresso di insenature). Laguna:
specchio d’acqua salmastra tra la costa e il cordone sabbioso, spesso disseminato di isole.
Comunicazioni tra mare aperto e laguna avvengono mediante stretti passaggi, la cui chiusura può dare
origine a laghi costieri.

⟶ Trasformazione dei litorali: dipende dal sollevamento della regione costiera e dal livello marino,
che può mutare in tempi geologici.
La costa costituisce una forte attrazione per l’uomo, che spesso ne altera la dinamica e modifica le
condizioni naturali di equilibrio. Per evitare erosioni accelerate dei litorali, si realizzano vari tipi di
pennelli e scogliere artificiali frangiflutti (come sbarramenti verso l’energia delle onde) oppure si
procede allo spargimento di sabbie (ripascimento artificiale). Diversi problemi che si verificano lungo
le coste hanno origine nell’entroterra: proliferazione di dighe fluviali.

9. Il modellamento eolico
Il vento ha un’azione modellatrice di erosione, di trasporto e di deposito, che dà origine a
caratteristiche forme del terreno (morfologia eolica). Esse sono riscontrabili nelle regioni aride o
semiaride, dove l’umidità è scarsissima e la vegetazione è assente o quasi.
Il vento svolge due azioni principali.
1) Deflazione: l’azione del vento non è ostacolata e frenata dalla vegetazione, le minute particelle di
suolo asciutto sono rimosse e sollevate nell’aria. È un processo in prevalenza di trasporto, e si esercita
in maniera selettiva, producendo sul suolo conche non profonde. Venti forti possono originare vere e
proprie tempeste di polvere e di sabbia. I deserti derivati possono essere sabbiosi, rocciosi o ciottolosi.
2) Corrasione: urto delle particelle fra loro e sulla roccia. Azione abrasiva, intensa in prossimità del
suolo e in diminuzione sensibile sopra i due metri, che produce nella roccia: fori, conche, pozzetti,
archi naturali.

Il trasporto delle particelle avviene soprattutto per sospensione (particelle molto piccole sollevate dal
vento, trasportate a grandi distanze prima di toccare il suolo) e per saltazione (un granello che compie
ripetuti salti dal suolo in aria).
⟶ Tipologie di depositi: le dune
Simbolo del paesaggio desertico, in cui hanno il loro massimo sviluppo. Non sono però esclusive del
deserto (es. dune costiere). Possono essere vive (prive di vegetazione con radici, cambiano sempre
forma sotto l’azione del vento) o fisse (coperte da piante con radici, impediscono l’ulteriore
movimento della sabbia. Le loro dimensioni sono molto varie, così come anche la forma.
• Duna barcana: a forma di luna crescente o a farro di cavallo, ha le sue due estremità estese nella
direzione del vento dominante.
• Duna longitudinale: allungate in direzione di venti costanti
• Dune trasversali: quasi perpendicolari alla direzione dei venti prevalenti
• Dune complesse: varia forma

10. Il carsismo
Il Carso è una vasta regione di altopiani, estesa presso il confine nordorientale dell’Italia (est di
Trieste). Da questo territorio deriva il termine carsismo, una serie di fenomeni presenti soprattutto
nelle rocce calcaree (formate più da carbonato di calcio), nelle dolomie, nel salgemma e nel gesso.

⟶ Carsismo epigeo (di superficie)


I calcari, generalmente molto fratturati, permettono all’acqua di raccogliersi e permanere a lungo entro
microfessure. L’azione dell’acqua, arricchita in anidride carbonica, trasforma il carbonato di calcio
insolubile in bicarbonato di calcio solubile, attraverso la reazione chimica di dissoluzione.
Per tale processo chimico, le fessure si allargano e si approfondiscono, dando origine sulla superficie
terrestre a varie forme, dette di carsismo epigeo.
• dolina, più diffusa, conca quanti circolare o ellittica, spesso sul fondo si rivengono fratture che
drenano le acque (inghiottitoi). Due o più doline vicine possono venire a contatto, formando cavità
più estese e dai contorni più complicati (uvala).
• campi solcati o carreggiati, solchi dovuti allo scorrimento e alla dissoluzione delle acque piovane,
quasi paralleli tra loro, lungo i pendii poco inclinati intagliano la roccia calcarea.

⟶ Carsismo ipogeo (in profondità)


L’acqua penetra nelle varie fratture del calcare e negli inghiottitoi, e per questo è del tutto assente nelle
aree calcaree un reticolo idrografico permanente.
• grotte, cavità sotterranee sviluppate prevalentemente in senso orizzontale. Se sono aperte verso
l’esterno, si chiamano caverne. Spesso vi si trovano concrezioni carbonatiche: stalattiti, stalagmiti, o
colonne. Sono di dimensioni molto varie, e vi possono essere o piccoli corsi d’acqua o laghetti.
• pozzi, cavità sotterranee estese verticalmente
7) IL PAESAGGIO
Paesaggio: determinata parte di territorio, così come è percepita dalla popolazione, il cui carattere
deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e delle loro interrelazioni.
Fin dal Novecento il concetto di paesaggio è stato fondamentale nell’indagine geografica, tanto da
venire quasi a essere identificato come simbolo della geografia.
Dopo il periodo di declino degli anni Cinquanta e Sessanta, il tema è stato ampiamente rivalutato e
segue due indirizzi principali: ecologista (analisi degli ecosistemi) e behaviourista (modo con cui il
paesaggio viene percepito e vissuto dall’individuo e dalle comunità).
Nascono però alcune ambiguità. La conoscenza più completa del sistema-paesaggio, sebbene
necessaria, manifesta la sua insufficienza.
Il paesaggio è un modo di vedere il mondo, ed è molto di più di una semplice addizione delle sue
componenti fisiche, culturali, storiche ed estetiche.
In quanto risorsa ambientale e bene culturale, esso va salvaguardato e compreso come raccolta
preziosa di valori plurimi da rispettare. È anche uno strumento concettuale per la scoperta di altre
culture, e non può essere impunemente leso per uso distruttivo delle risorse.

Legge 9 gennaio 2006, n. 14: «il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano
culturale, ecologico, ambientale e sociale, rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e
sociale, per cui la sua salvaguardia e la sua gestione comportano diritti e responsabilità per ciascun
individuo».
8) LA POPOLAZIONE

1. L’ecumene
L’ecumene (greco oikouméne, terra abitata) è uno dei termini base della geografia classica.
Si può definire come lo spazio terrestre dove la comunità umana è in grado di risiedere stabilmente
(abitare) e svolgere le sue attività fondamentali.
L’abitante è colui che si appropria in un qualche modo dello spazio in cui vive (latino habitare,
habere, essere padroni). Siamo però in un pianeta che adesso è diventato “nomade”, per l’estrema
mobilità dei suoi abitanti, e per questo la geografia si interroga da tempo sul significato di queste
parole.

⟶ Nel corso dei millenni, anche per il progresso delle tecniche di intervento sull’ambiente, l’ecumene
si è ampliata. Restano tuttavia ancora regioni disabitate, chiamate anecumeniche.
Sono molto diverse le une dalle altre per caratteristiche geografiche, e rappresentano circa 1/5 della
superficie terrestre.
• regioni polari: parte maggiore, perennemente ghiacciate e troppo fredde per l’insediamento umano
(margine settentrionale eurasiatico, Groenlandia, Antartide).
• aree fredde: come le aree montane, zone ad alta quota in cui il calore non è più sufficiente allo
sviluppo della vegetazione, 2 milioni di km2 (Tibet, Himalaya, Alpi).
• deserti caldi: la mancanza di umidità si associa a temperature massime, spesso molto elevate • foresta
equatoriale: vegetazione fitta e rigogliosa, condizioni climatiche non favorevoli all’insediamento
(isole del Borneo, della Nuova Guinea e dell’Amazzonia).
• zone paludose

Non esiste un limite definito tra aree ecumeniche e anecumeniche. Esse sono divise però da una fascia
territoriale di transizione più o meno ampia, detta subecumene. È abitata da comunità umane solo
periodicamente, perché le condizioni sfavorevoli non permettono una permanenza stabile: spesso è
sviluppata la pratica dell’allevamento nomade.

2. La densità di popolazione
La densità di popolazione si ottiene dividendo il numero degli abitanti per la superficie, sul
quale di norma ab/km2risiedono (). Questo parametro presenta una forte generalizzazione poiché
indica un valore medio, come se gli abitanti fossero distribuiti in modo omogeneo sull’intera
area considerata. Nella concretezza territoriale però, accanto a città affollate possono coesistere spazi
poco popolati. L’Italia ha una densità media di 201 ab/km2. Un parametro di densità più attendibile è
la densità fisiologica, che offre una maggiore aderenza rispetto all’effettivo carico demografico che
insiste sul territorio. Si calcola rapportando la popolazione totale di un Paese alla superficie coltivata.

3. La distribuzione della popolazione


Le popolazioni presentano una distribuzione non omogenea sulla superficie terrestre.
In Italia la distribuzione geografica ha prodotto trasformazioni profonde nelle relazioni tra società e
ambienti naturali. I territori montani, fino alla metà dell’800, hanno vissuto un periodo di carico
demografico. Pianure in prevalenza acquitrinose, spesso soggette alla malaria, assecondavano la
presenza dell’uomo nelle zone montane, anche in quelle più difficili per l’insediamento. Il
sovrappopolamento, con la necessità di terreni da coltivare e risorse alimentari, ha generato
un’azione di diboscamento, con conseguenti guasti nell’assetto dei versanti lontani.
Dalla fine dell’800 sono iniziati i processi di spopolamento montano, anche dopo la Seconda guerra
mondiale. Lo spopolamento si è associato spesso a uno scadimento delle attività agricole,
all’abbandono dei terreni e a un vero e proprio processo di degrado.

⟶ A scala mondiale, le principali concentrazioni demografiche si trovano in Asia: Cina orientale,


Corea, Giappone, subcontinente indiano lungo le valli dell’Indo e del Gange tra Pakistan, India e
Bangladesh. Un altro affollamento occupa buona parte di Europa, Irlanda, Russia occidentale.
Nella fascia atlantica degli USA (aree urbane della East Coast) si trova la concentrazione demografica
BosWash, tra Boston, New York, Filadelfia, Baltimora e Washington. Il geografo Jean Gottmann
chiamò questo aggregato urbano “Megalopolis”, per indicare un continuum urbano che si estendeva tra
queste città, talmente interconnesse da costituire un’unica super-metropoli.
Gli abitanti della Terra sono più di 7 miliardi, compresi soprattutto nell’emisfero nord o boreale, su cui
si trova la maggior parte delle terre emerse. Appena un miliardo vive nei Paesi industrializzati, mentre
l’Asia meridionale e orientale raggiungerà presto i 4,5 miliardi. A nord del 60º parallelo i gruppi
umani sono scarsi: gran parte vivono nelle fasce temperate e in quelle subtropicali.

4. La crescita della popolazione


La popolazione è un insieme di individui residente in un definito spazio geografico. La sua crescita o
riduzione dipende dalla combinazione di due dinamiche:
• naturale, determinata dal rapporto tra nati e morti (scala planetaria, complesso chiuso)
• migratoria, risultato della differenza tra immigrati ed emigrati (se sono diverse aree geografiche)

L’andamento demografico naturale (differenza tra natalità e mortalità) è esprimibile sia come valore
assoluto, ovvero lo scarto tra numero di nati e numero di morti, sia come rapporto, il tasso di
incremento naturale.
(Nati – Morti)×100 / Popolazione

⟶ Il saldo dà segno positivo se il numero delle nascite risulta più consistente di quello dei decessi.
Negli ultimi decenni e in alcuni Paesi industrializzati, si registra una riduzione della popolazione
dovuta al crollo della natalità e al progressivo invecchiamento della popolazione.
Fino al 600 la popolazione mondiale è cresciuta in maniera piuttosto lenta, ma verso la metà dell’800 è
avvenuta una vera e propria rivoluzione demografica, e da allora i ritmi di accrescimento sono stati
fortissimi. Essa si deve al progresso della medicina e all’adozione di norme igieniche, allo sviluppo
agricolo, all’alimentazione più ricca e variata, al generale miglioramento della qualità della vita. Ha
interessato dapprima i Paesi europei, più avanzati sul piano economico e socio-culturale. Negli ultimi
decenni invece, l’esplosione demografica ha coinvolto gli altri continenti mentre in gran parte
dell’Europa si è registrata una netta inversione di tendenza.

Il tempo di raddoppio è l’insieme degli anni necessari per duplicare la popolazione in un’area
geografica. Esso può essere importante per valutare ad esempio il rapporto tra una popolazione e le
risorse del territorio in cui risiede. La diminuzione percentuale nell’incremento avviene con ritmi
molto diversificati tra loro. I tassi di accrescimento della popolazione, tra loro molto differenziati,
fanno comprendere come i pesi demografici tra le varie aree geografiche mutino in maniera sensibile.
Poiché a una debole crescita economica si associa un forte incremento naturale della popolazione,
molti dei Paesi economicamente più fragili e con strutture sociali precarie, si potrebbero trovare con
carichi demografici superiori alle loro possibilità di sviluppo.
5. La natalità
La natalità si può indicare in termini assoluti (numero nascita in un arco di tempo, un anno) e in
termini relativi, come il tasso o indice di natalità (numero medio di nati in un anno per 1.000 abitanti).
Nati in un anno × 1.000 / Popolazione

Essa dipende da: condizioni sociali ed economiche, comportamenti derivanti dalle tradizioni
socioculturali e religiose, ruolo della donna, politiche demografiche espansive o restrittive.
La natalità può essere quindi in qualche modo pilotata, pure se precise limitazioni biologiche (come il
periodo di fertilità femminile) costituiscono vincoli oggettivi.
Grande influenza riveste la struttura per età della popolazione, poiché una popolazione anziana abbassa
l’indice, mentre una popolazione giovane può favorire valori elevati.
L’Africa subsahariana è l’area geografica che fa rilevare i tassi di natalità più elevati (38% in media).
Il tasso di natalità è ovunque in progressiva diminuzione, pur se in modo assai diversificato. Forte è la
contrazione dell’Asia orientale, dove la Cina esercita grande peso con la sua politica restrittiva, volta
a porre un freno a una crescita demografica nel passato molto alta, ma non sostenibile in termini
socio-economici.

⟶ Tasso di fecondità: numero di nati rispetto a quello delle donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni.
Tasso totale di fertilità: a livello mondiale, è pari a 2.5 bambini per donna, il più alto è nell’Africa
subsahariana (5.1) e il più basso è nei Paesi industrializzati (non arriva a 2). È il numero dei bambini
che nascerebbero da ogni donna se vivesse fino al termine del suo periodo di fertilità e rimanesse
incinta a qualunque età, secondo il tasso di fertilità corrispondente.
Il ringiovanimento e l’invecchiamento della popolazione si manifestano con lentezza e con un certo
numero di anni di ritardo, rispetto all’acquisizione di comportamenti diversi nella natalità.

6. La mortalità
La mortalità si può indicare sia in termini assoluti (numero dei decessi in un anno) sia in termini
relativi, come tasso o indice di mortalità (numero medio di morti per ogni 1.000 abitanti).
Morti in un anno × 1.000 / Popolazione

Nel tasso di mortalità si registra un’evidente diversificazione nei valori: si passa da cifre molto basse
(2-3%) fin quasi al 20%. Per comprendere meglio valori così modesti occorre riferirsi soprattutto alla
struttura giovanile della popolazione e alla situazione socio-culturale ed economica, oltre che quella
igienico-sanitaria e alimentare.
Gli Stati industrializzati si attestano su valori intermedi a causa dell’invecchiamento generalizzato
della popolazione. I tassi di mortalità maggiori sono sempre nell’Africa subsahariana, seguita da
Medio Oriente e Africa settentrionale, America Latina, Asia orientale e Pacifico.

⟶ Speranza/aspettativa di vita: durata media della vita prevista alla nascita. Essa rappresenta un
significativo indice demografico, ma anche consente di valutarne lo stato di sviluppo, rilevando la
situazione socio-sanitaria e ambientale della popolazione di un determinato Paese.
7. La mortalità infantile
Tasso di mortalità infantile: Bambini morti entro il 1 º anno di vita × 1.000 / Bambini nati in un anno
Esso riveste molta importante come indicatore sociale, in grado di interpretare con attendibilità il
livello di sviluppo e di benessere di un Paese: influiscono le condizioni sanitarie, socio-economiche e
ambientali. La mortalità infantile è in progressiva e sensibile diminuzione.
In Italia questo indicatore si colloca tra i più bassi al mondo (3%).
Altro tasso che riguarda i bambini è quello relativo alla mortalità neonatale, entro 28 giorni dalla
nascita: Bambini morti entro le prime 4 settimane di vita × 1.000 / Bambini nati in un anno.
I decessi avvengono soprattutto per cause collegate alle condizioni della gravidanza e del parto, oppure
a malformazioni congenite del bambino.

⟶ L’Unicef ha scelto quale misuratore principale il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni (TMIS5),
per la valutazione dello sviluppo umano e dello stato di benessere dei bambini in un determinato
Paese.
Indica il numero annuale di bambini sotto i 5 anni che muoiono ogni 1.000 nati vivi.
Quando il bambino amplia il suo spazio vissuto, può risentire di patologie dovute a carenti condizioni
igieniche, servizi sanitari non adeguati, alimentazione insufficiente o non adatta, acqua potabile
carente, limitazione nelle vaccinazioni, uso di sali reidratanti, inquinamento e deterioramento
dell’ambiente naturale.

8. La struttura demografica
Le dinamiche demografiche naturali di natalità e mortalità determinano la struttura della popolazione.
Le distinzioni riguardano l’età, e non coinvolgono in maniera definitiva la sex-ratio, il rapporto
demografico tra maschi e femmine (che può essere influenzato dai movimenti migratori).
La natalità maschile è leggermente più elevata di quella femminile, ma già dai primi anni di vita si
registra una mortalità maschile lievemente più elevata, che in età adulta porta a un equilibrio tra i sessi.
Procedendo con gli anni, la sex-ratio muta a favore delle donne, che sono più longeve in tutti i Paesi
del mondo (meno che in Botswana e Swaziland, in Africa australe).
Nel rapporto numerico tra maschi e femmine può incidere sia la pratica degli aborti selettivi,
l’infanticidio femminile, e il fenomeno migratorio.

⟶ Per analizzare la struttura della popolazione si ripartiscono gli abitanti in classi di età, generalmente
ogni 5 anni. Le fasce d’età possono essere visualizzate attraverso un grafico, basato sugli assi
cartesiani, detto piramide delle età (istogramma a canne orizzontali).
Le classi di età, per la naturale incidenza della mortalità, diminuiscono progressivamente dando luogo
a un grafico dalla classica forma a piramide. Essa aiuta a comprendere l’evoluzione di una
popolazione: secondo la forma assunta, si possono capire le caratteristiche strutturali della
popolazione, oltre che la sua evoluzione futura.
Una piramide ad accento circonflesso mostra una popolazione ad alti tassi di natalità e di mortalità
(base molto larga e un progressivo forte restringimento).
Ripartendo il grafico in due sezioni, la popolazione si può suddividere anche secondo il sesso.

Indice di vecchiaia: Popolazione di 65 anni e più × 100 / Popolazione di 0-14 anni.


9. Il rilevamento statistico della popolazione
La rilevazione della popolazione avviene attraverso stime, che gli uffici anagrafici della maggior parte
degli Stati aggiornano con continuità e attraverso i censimenti.
I censimenti si eseguono a scadenze regolari, costituendo un’operazione statistica di rilevazione diretta
per calcolare tutta la popolazione residente sul territorio.
L’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) è il principale produttore di statistica ufficiale in Italia
(1926).
Dal 1861 i censimenti si sono svolti sistematicamente ogni 10 anni fino al 2011, a eccezione del 1891
(per motivi finanziari) e del 1941 (per motivi bellici). Un censimento fu attuato anche nel 1936, in
seguito alla decisione del governo fascista di sostituire il periodo decennale con uno quinquennale. La
rilevazione dei dati si svolge ad ottobre o a novembre, il periodo di minore mobilità della popolazione.
Nei censimenti si tiene conto della popolazione residente, quella che ha dimora abituale nel comune,
anche se alla data del censimento è temporaneamente assente.
Viene registrata anche la popolazione presente, costituita dai presenti nel comune a una determinata
data (compresi quelli aventi dimora abituale in un altro comune o all’estero).

⟶ Pubblicazioni dell’ISTAT:
• Annuario statistico italiano
• Bollettino mensile di statistica
9) LA MOBILITA’ E LE DINAMICHE MIGRATORIE

1. Le mobilità
Le varie forme di mobilità e la dinamicità nelle relazioni tra gruppi umani e tra questi e lo spazio
terrestre rappresentano fattori che influenzano in maniera profonda le società.
Lo stesso popolamento della Terra è dovuto ai tanti tipi di mobilità: percorsi plurimi e diversificati
hanno portato le civiltà umane a continui mutamenti e diversificazioni culturali.
Per millenni l’umanità ha condotto una vita da peone, caratterizzata da spostamenti e viaggi limitati nel
loro raggio spaziale, con mezzi di trasporto che utilizzavano l’energia umana, animale o naturale. Nel
XIX secolo, le rivoluzioni tecnologiche avevano molto velocizzato gli spostamenti, aprendo nuove
possibilità allo spirito esplorativo e d’avventura, compreso il desiderio di compiere il giro del mondo. I
tempi di percorrenza si erano ridotti ed erano diventati regolari, e oltretutto c’era una diversa
percezione dello spazio grazie all’invenzione del telefono e del radiografo.

⟶ Negli ultimi decenni si è vista una progressiva accelerazione della mobilità, grazie al
potenziamento dei trasporti e alla diminuzione dei costi. L’ipermobilità però pone un rischio sociale e
ambientale, oltre ad un vantaggio.
Nel passato la mobilità si presentava con caratteri disomogenei, oggi ancora più forti, dove sono molto
consistenti le differenze tra detentori di cospicue ricchezze e nullatenenti. Queste differenziazioni
negli spostamenti risultano molto evidenti nell’ambito dello stesso fenomeno migratorio.

2. Il fenomeno migratorio
Nell’ambito della mobilità generale e quotidiana, uno dei fenomeni oggi di maggior impatto
socioeconomico e mediatico è costituito dalle migrazioni. Essi comportano molteplici effetti, di natura
economica, politica, culturale, demografica, sulla distribuzione spaziale e sulla struttura della
popolazione. Il fenomeno migratorio ha sempre occupato un posto rilevante negli studi geografici. Tra
i primi geografi si ricorda (oltre a Friedrich Ratzel) Ernst Georg Ravenstein, che propose una teoria
della migrazione umana (1880). Essa prospettava leggi improntate ai principi del determinismo:
• gran parte dei movimenti migratori si sviluppa a breve distanza
• donne più propense a migrare all’interno del proprio Paese di nascita, meno all’estero
• ogni corrente migratoria ne genera una apposta
• persone disponibili a percorrere lunghe distanze per vivere in territori scarsamente popolati, meno
neiconfronti di paesi ad alta densità demografica
• flussi principali: trasferiscono la popolazione dalle campagne alle città

Fino a pochi decenni fa, il fenomeno migratorio costituiva una sorta di bilanciamento per un ritorno
allo stato normale. Veniva quindi associato a irregolarità per squilibri economici o demografici,
oppure a un trauma bellico, a oppressioni politiche, a catastrofi naturali.
L’emigrazione può essere anche come una normale conseguenza del sovrappopolamento.
Attualmente, l’attenzione politica e della pubblica opinione (assieme ai mass media) risulta molto forte
nei confronti della mobilità migratoria, divenuta questione centrale nella politica di diversi Stati. Le
adozioni di misure coercitive nel disciplinare i ritmi dei flussi non portano a risultati concreti e
positivi, ma sono quasi sempre preferite a politiche di sostegno per la tutela della dignità della persona
umana.
⟶ Oggi la questione migrazione si valuta in primo luogo sulla deterrenza, invece che sull’esame delle
motivazioni per cui molte persone ricorrono alla fuga e sulla ricerca di possibili soluzioni.
L’espulsione e la realizzazione di muri e di altri ostacoli legislativi divengono le vie preferite da molti
governi per disciplinare le mobilità di migranti irregolari.
La ricerca geografica presta o dovrebbe prestare maggiore attenzione all’esame del viaggio migratorio,
sia per l’altissimo numero dei decessi durante lo spostamento, sia per la diversificazione delle tappe,
sia per i percorsi dei migranti.

3. Definizioni e classificazioni delle migrazioni


Il termine migrazione indica quei trasferimenti (flussi in entrata, immigrazione, e in uscita,
emigrazione) con cambiamento di residenza. Il saldo migratorio è determinato dal conteggio dei due
flussi, ed è positivo quando le immigrazioni sono più numerose delle emigrazioni.
Il saldo migratorio con l’estero si calcola dalla differenza tra il numero degli iscritti per trasferimento
di residenza all’estero, e il numero dei cancellati. Il saldo migratorio interno si calcola dalla differenza
tra il numero degli iscritti per trasferimento di residenza da un altro Comune e il numero dei cancellati.
Tasso di emigrazione: numero medio di emigrati per 1.000 abitanti
Tasso di immigrazione: numero medio di immigrati per 1.000 abitanti

⟶ I fenomeni delle migrazioni, grazie all’avvento della globalizzazione, sono sempre più complessi
da classificare. Le prime distinzioni riguardano i limiti spaziali dello spostamento e i tempi di distacco
dall’abituale luogo di residenza: le due categorie di spazio e di tempo sono sempre collegate.
• Migrazioni interne/nazionali: non si verifica alcun attraversamento del confine politico, come in
Italia il divario socio-economico tra Nord e Sud, lo spopolamento montano e rurale. Il cittadino
conserva gli stessi diritti civili e politici, e può esprimersi di norma nella stessa lingua.
• Migrazioni internazionali: entrano in gioco molti fattori, che derivano dall’incontro/scontro di mondi
socio-culturali ed economici, a volte diversissimi.
• Migrazioni permanenti: di lungo periodo, fino al trasferimento definitivo.
• Migrazioni temporanee: movimento ciclico (area a breve raggio, durata temporale definita, in genere
ridotta, come il pendolarismo) o periodico (maggiore permanenza, come lavoratori stagionali).
• Migrazione internazionale permanentemente temporanea: alcuni stati concedono un visto turistico
solo per un periodo limitato di mesi, si susseguono una serie di rientri nel Paese d’origine.
• Migrazioni di massa: spostamenti che coinvolgono gruppi massicci di persone o interi popoli.
• Migrazioni per infiltrazione: singoli individui, nuclei famigliari, piccoli gruppi.
• Migrazioni a catena: singola persona o gruppo che raggiunge la comunità di compatrioti o familiari,
rete che contribuisce a produrre la velocità di migrazione.
• Migrazioni spontanee/volontarie: avvengono per libera iniziativa dopo una valutazione da parte degli
interessati di vantaggi/svantaggi derivanti dallo spostamento.
• Migrazioni organizzate: predisposte dallo Stato o da istituzioni locali,
• Migrazioni forzate: ricerca di una situazione economica migliore, fuga dalla povertà, disoccupazione,
fame e malattie. Oggi i governi considerano la migrazione economica come volontaria, attribuendole
connotazioni negative, associandola alla irregolarità e alla clandestinità.
Sono in gran parte dovute a deportazioni ed espulsioni.
• Profughi ambientali: vittime di catastrofi naturali quali inondazioni, uragani, siccità, terremoti o
eruzioni vulcaniche. Fenomeno migratorio in forte crescita, per l’accentuarsi di eventi meteorologici
rovinosi. I profughi si spostano spesso in aree già molto urbanizzate, con conseguenze disastrose dal
punto di vista sociale, economico e ambientale.
• Migrazioni regolari: migranti con visti e permessi, rifugiati, riconosciuti dalle convenzioni
internazionali, richiedenti asilo.
• Migrazioni irregolari: clandestini, tutti coloro che non hanno l’autorizzazione da parte del governo di
risiedere nel Paese di destinazione.
4. Movimenti forzati
Una distinzione precisa tra una migrazione forzata e una volontaria non è semplice, poiché quasi tutti
gli spostamenti migratori derivano da una qualche forma di costrizione. La comunità internazionale
non sembra oggi in grado di affrontare in maniera efficace le migrazioni forzate e del traffico degli
esseri umani. Decisioni politiche improvvide hanno anzi aggravato le crisi.
Questo gravissimo fenomeno, diffuso in tanti Paesi, si esprime in forme molto diverse: industria del
sesso, trapianto organi, lavoro forzato, induzione all’accattonaggio, reclutamento di bambini nelle
guerre e nei conflitti armati.

Tipi di movimenti forzati.


• Diaspora: dispersione in varie parti del mondo di un popolo, costretto a lasciare la propria sede di
origine. Tantissimi sono stati i trasferimenti coatti per motivi razziali, politici o religiosi.
Le diaspore più famose sono state quelle degli ebrei, di induisti, di musulmani.
• Tratta degli schiavi: migrazione forzata dei neri, sfruttamento coloniale nel Nuovo Mondo. Decine di
milioni di persone sono state catturate in Africa e portate a lavorare nelle piantagioni di cotone, caffè,
canna da zucchero negli Stati Uniti, Antille, Brasile e America Latina. Fu avviata nel XVI e colpì
vaste regioni dell’Africa occidentale, orientale e il Corno d’Africa.
Un passo verso l’abolizione avvenne nel 1807, quando il Parlamento inglese approvò lo Slave Trade
Act che avrebbe eliminato la tratta degli schiavi pure da parte degli altri Stati colonialisti.
• in zone remote della Siberia e dell’Asia centrale: primi decenni del 900, decisi dall’Unione Sovietica
durante la dittatura stalinista.
• deportazione di ebrei/minoranze: anni ‘30/’40 del 900, nei campi di concentramento nazisti.
• diaspora armena: dopo i massacri in Turchia all’inizio del XX.
• diaspora nel tibet: dopo la repressione cinese e l’esilio del Dalai Lama, si rifugiano in India.
• pianificazioni territoriali coatte: esodo forzato per la realizzazione della diga delle Tre Gole, sul
fiume Chang Jiang, definita dai cinesi come la Grande Muraglia del III millennio.

5. L’emigrazione europea nei nuovi continenti


Nel passato, l’emigrazione europea ha colonizzato due continenti: America e Australia.
Dall’inizio del 500, spagnoli e portoghesi furono i primi “migranti” (conquistadores), spinti dal
proposito di arricchirsi, pure senza un’organizzazione efficiente. Seguirono olandesi, francesi e
inglesi, che si avventurarono anche all’interno dell’America settentrionale.
Le cause di questa corsa verso orizzonti nuovi e molto lontani erano molteplici: popolazione eccessiva,
in rapporto alle risorse possibili con i metodi di agricoltura praticati allora, disoccupazione degli
artigiani come conseguenza della Rivoluzione industriale, conflitti religiosi, carestie ricorrenti.

Nella colonizzazione ci sono stati i trasferimenti delle popolazioni native, in cui gli immigrati hanno
praticamente sottomesso e in parte eliminato le popolazioni autoctone. In Australia, la dottrina
giuridica della terra nullius dichiarava disabitato il continente, e soltanto agli inizi degli anni Novanta
del 900 è stata rimossa. Negli Stati Uniti c’è stato il trasferimento in apposite riserve dei nativi
americani espropriati delle loro terre di origine. Esse erano loro proprietà indivisa, ma occupate e
frazionate fra i coloni (immigrati dall’Europa) che hanno considerato queste aree “non modernizzate”,
disabitate, liberandole in ogni caso dalla presenza dei Nativi.

⟶ Lo scoppio della Prima guerra mondiale pose termine alle grandi migrazioni oltre Oceano, anche
per la decisione degli USA di frenare l’immigrazione verso il proprio territorio. In Italia, dall’Unità
in poi, hanno lasciato il proprio paese 27 milioni di italiani.
6. Il confronto tra migranti e residenti
Gli incontri e gli scontri dei migranti con i residenti costituiscono una grave situazione a livello
internazionale. Molti Paesi, tra cui l’Italia, sono transitati in breve tempo da tradizionali Paesi di
emigrazione a Paesi di immigrazione.
Tra i tanti episodi che hanno segnato lo strappo migratorio in Italia si ricorda la grande migrazione
avvenuta nell’agosto del 1991, preceduta da una serie di sbarchi a Brindisi di migliaia di migranti in
fuga dall’Albania. La presenza di nuovi venuti produce effetti sul tessuto sociale, culturale ed
economico di chi li ospita.

⟶ Le grandi frontiere dell’emigrazione si trovano tra l’America Latina (Messico), Stati Uniti, bacino
del Mediterraneo (tra sponde nordafricane e mediorientali, tra sponde europee).
Sulle sponde africane del mediterraneo si affollano masse di persone in fuga dai loro Paesi nel cuore
del continente. L’Africa subsahariana è in forte espansione demografica.
Oggi grande importanza riveste il corridoio balcanico, percorso da: siriani, afghani, libici, iracheni,
pakistani, somali, eritrei. Essi superano i confini turchi e greci e si dirigono verso Macedonia, Serbia,
Ungheria, cercando di raggiungere Germania, Francia, Gran Bretagna, Svezia.
Convergono flussi migratori anche verso gli Stati del Golfo Persico, ricchi di petrolio.

7. Le frontiere dell’emigrazione: i muri come segno di confine


Il confine politico assume nuove valenze e significati a seconda di come viene impostata e
regolamentata l’immigrazione sul proprio territorio. In casi estremi, la funzione di limite insuperabile
del confine viene concretizzata con l’erezione di barriere, che diviene il segnale politico
apparentemente più forte. Il Muro di Berlino è il più noto confine dell’Europa del XX, emblema di
separazione e ostacolo estremo alle migrazioni est-ovest, durato quasi un trentennio (1961-1989) Ha
rappresentato il simbolo di barriera culturale e ideologica che in Europa, durante la Guerra Fredda, ha
segnato la “cortina di ferro”, linea di confine tra la zona d’influenza statunitense e quella sovietica. In
linea generale, i muri non riescono a bloccare i flussi di migranti. Al contrario, occorrerebbe agire
sulle cause stesse dei flussi, sia socio-economiche sia politiche, ad esempio cercando di eliminare i
focolai di insorgenza di una nuova guerra e quelli che portano all’inasprimento di una già in atto.

⟶ In Europa, la principale azione di contrasto nei confronti dell’immigrazione si sta sviluppando nella
direzione sud-nord. Alcuni Paesi hanno avviato la costruzione di muri, come linea di separazione e
sbarramento contro i movimenti migratori. Esempi:
• doppia barriera intorno alle due enclavi spagnole in Marocco, Ceuta e Melilla
• muro di filo spinato per segnare tangibilmente il confine fra Grecia e Turchia, lungo il fiume Evros
• Ungheria, muro lungo tutto il confine con la Serbia, bloccando le migrazioni nel corridoio balcanico

Fuori dall’Europa è stata realizzata una barriera (“muro della vergogna” dai messicani) in gran parte di
acciaio, realizzata a partire dal 1994 per dividere gli Stati Uniti dal Messico.
In Italia sono attive i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), strutture per trattenere gli
extracomunitari destinati all’espulsione, evitandone la dispersione sul territorio e per consentire la
materiale esecuzione dei provvedimenti emessi nei loro confronti.
10) L’INSEDIAMENTO

1. Il popolamento
Il popolamento, come processo di insediamento, evidenzia la dinamica dell’occupazione di un
determinato spazio geografico. Il sistema della Rift Vallet africana è la culla del popolamento:
la depressione etiope dell’Afar costituisce la zona cruciale per il processo di ominazione.
L’Homo sapiens, differenziatosi dall’Homo erectus, avrebbe lasciato l’Africa orientale, diffondendosi
nel resto del continente. Intorno a 70-60.000 anni fa, il moderno Homo sapiens ha intrapreso
l’occupazione di spazi nuovi e iniziato a popolare i vari continenti. Le prime popolazioni si sono
spostate alla ricerca di nuove aree per sfruttare suoli migliori: Valle del Nilo, Europa, Asia.
Il popolamento della Terra è avvenuto in maniera molto lenta, a causa dei lunghi periodi glaciali e
della conseguente emersione di molte terre, attualmente coperte dalle acque.

⟶ Le continue migrazioni hanno condotto l’Homo sapiens in nuovi e diversi ambienti climatici,
naturali e geomorfologici, stimolandolo all’adattamento e al cambiamento. Quest’azione di
esplorazione-conquista non è mai terminata: di recente, avanzamenti ed estensioni di fronti pionieri, si
sono indirizzati in zone aride e subaride, conquistandole all’agricoltura.
Spesso sono stati i nuovi giacimenti di petrolio (o altre risorse minerarie) scoperti in aree difficili e
disagevoli ad essere la meta dei pionieri. In altri casi, l’estensione dell’ecumene si è compiuta con
l’abbattimento di vaste foreste.

2. Nomadi e sedentari
Il rapporto tra nomadi e sedentari ha giocato un ruolo importante nell’evoluzione del popolamento e
dell’insediamento dello spazio terrestre. I nomadi hanno improntato la loro vita sulla pastorizia e sulla
mobilità, spostandosi di continuo alla ricerca di pascoli idonei.
L’incontro tra spazialità nomade (sedi mobili) e spazialità sedentaria (sedi stabili) non è stato facile. I
nomadi sono sempre stati oggetto di discriminazione e pregiudizio, visti come destinati alla scomparsa,
anche perché le aree pastorali era anche poste in fasce naturali di frontiera (immagine di marginalità
socio-economica). Inoltre i confini politici non coincidono in molti casi con quelli naturali cui fanno
riferimento, costituendo pericolose lacerazioni nei loro territori e vincolandone i movimenti. Oggi il
nomadismo si è progressivamente ridotto, confinato in terre fragili per il tenue spessore biologico e per
la rarefazione vegetale: regione sahariana e Medio Oriente, Sahel, fascia sud del Sahara dal Senegal al
Mar Rosso, altopiano iranico-anatolico, steppe asiatiche. È l’esaurimento di un modello di vita messo
in crisi dalla globalizzazione, in particolare dallo sviluppo dei trasporti motorizzati.

⟶ La tenda è riferimento essenziale e segno distintivo dell’insediamento dei nomadi, un riparo


leggero e facilmente montabile che consenta la maggior rapidità dei movimenti.
Si ricorda la tenda mongola (gher), rimasta uguale alla descrizione che fece Marco Polo nei suoi scritti.
La Mongolia presenta tradizioni e radici antichissime legate al nomadismo, che vive in suggestiva
sintonia con il paesaggio. Nell’ultimo secolo però una gran parte della popolazione è passata a uno
stato di semi-nomadismo e di sedentarietà, in particolare nel periodo dell’influenza sovietica e
dell’economia pianificata.
3. L’abitazione e l’insediamento rurale
Il primo e principale segno dell’occupazione stabile sulla superficie terrestre è rappresentato
dall’abitazione. La capanna costituisce una tra le”primitive” abitazioni e, costruita in varie forme, può
essere di vari materiali: rami, stuoie, pelli, paglia, argilla. Se la tenda si associa comunemente alla
pastorizia nomade, la capanna conduce alle pratiche agricole o all’allevamento stanziale.
Può essere posta su un tavolato puntellato da pali infissi verticalmente, spesso su specchi d’acqua, aree
acquitrinose e paludose per esigenze di difesa, sia dall’umidità sia da aggressioni e razzie (palafitta).
La casa contadina (isolata o a piccoli gruppi) è il segno più evidente dell’insediamento rurale e del
paesaggio agrario. Per i suoi stretti legami con la natura e con l’ambiente, la casa rurale è sia
manifestazione di soluzioni ecologico-ambientali, sia elemento indicativo di situazioni sociali ed
economiche, sia espressione di tradizioni culturali. Dallo studio dell’abitazione prende le mosse la
geografia dell’insediamento, classificabile innanzi tutto come sparso (case isolate) e accentrato (rurale
o urbano).
Nel passato era più netta la distinzione fra insediamento rurale e urbano. Oggi soprattutto nel mondo
industrializzato, la suddivisione città-compagna non appare più chiara, e le convergenze tra questi due
mondi hanno messo in crisi il concetto di genere di vita, non più utilizzato dagli geografi.
Un fatto inconfutabile è dato però dalla flessione generalizzata della popolazione rurale, collegata alle
attività agricole, diversamente da quella urbana, dedita all’industria, al commercio e ai servizi.

⟶ L’ISTAT distingue l’insediamento in tre tipologie:


• Case sparse, case disseminate nel territorio comunale, a una distanza tale tra loro da non poter
costituire né un nucleo né un centro abitato
• Nuclei abitati, case contigue o vicine con almeno cinque famiglie con interposte strade,
sentieri, spiazzi, aie, piccoli orti, piccoli incolti e simili, purché l’intervallo tra casa e casa non superi i
30 metri, purché sia prima del luogo di raccolta che caratterizza il centro abitato
• Centri abitati, case contigue o vicine con interposte strade, piazze e simili, o comunque brevi
soluzioni di continuità, esistenza di servizi o esercizi pubblici, costituenti la condizione di una forma
autonoma di vita sociale

4. Gli spazi urbani: caratteri quantitativi


Studioso Umberto Toschi, definizione di città: «aggregato edilizio e demico e complesso e organico,
esercitante funzioni di centro di coordinamento per più o men vasta regione, nel quale popolazione,
costruzioni edilizie e spazi liberi si sviluppano differenziati per funzioni e per forme, coordinati in
unità in funzione di gruppo sociale localizzato in sviluppo sì da costruire un tipico organismo
geografico». La città svolge funzioni di centro politico-amministrativo, culturale ed economico, e si
presenta con una sua concentrazione e una sua dimensione, che riguardano abitazioni ed abitanti. La
concentrazione urbana è misurabile utilizzando la densità, rapportando la superficie considerata o
all’edificato (densità edilizia) o alla popolazione (densità demografica). Questi parametri quantitativi
necessitano di indicazioni inequivocabili riguardanti i confini della città.

⟶ Una città può ampliarsi fino a raggiungere altri insediamenti contigui. È il fenomeno della
conurbazione, quale esito dell’espansione di un centro di grandi dimensioni che incorpora centri
minori o centri vicini in concomitante ampliamento. Molto frequente è la crescita topografica della
città, con il conseguente passaggio di terreno da rurale a urbano, definito suburbanizzazione.
Nascono così nuove tipologie di città estesa: area urbana, agglomerazione urbana, città metropolitana.
Specifica nomenclatura: città-regione, regione-città, campo urbano, megalopoli.
Il numero di abitati costituisce il parametro più diffuso di valutazione per determinare se un centro
abitato può considerarsi città. Le megacittà hanno la soglia demografica di 8-10 milioni.
5. La città nella storia
Il fenomeno urbano ha una storia relativamente lunga, risalente a varie migliaia di anni fa (6000 ac).
All’inizio l’origine della città è connessa allo sviluppo dell’agricoltura e alla diversificazione delle
comunità in classi sociali. I primi nuclei di urbanizzazione sono quindi sorti in aree di agricoltura
rigogliosa: Mesopotamia, valli del Nilo e dell’Indo, territorio intorno alla convergenza dei fiumi
Huang He e Chang Jiang. Nel continente americano, il centro di urbanizzazione era nell’America
centrale.
Il fenomeno urbano si è diffuso poi nell’area mediterranea, prima nell’antica Grecia e poi nell’antica
Roma, la cui supremazia politica e militare consentiva di creare un sistema spaziale collegato da una
rete stradale imponente e funzionale.
La fine dell’Impero romano ha prodotto un regresso dell’urbanesimo in Europa, mentre negli altri
continenti si sono sviluppati importanti centri urbani (Asia, Africa, America).
Le grandi scoperte geografiche hanno da una parte agevolato lo sviluppo e la nascita di città costiere, e
dall’altra hanno penalizzato numerose città interne, facendo perdere loro la loro posizione privilegiata
e strategica di nodo commerciale.

Lo sviluppo dell’urbanesimo è piuttosto recente: con la prima Rivoluzione industriale nacquero molte
fabbriche in città, bisognose di operai, in gran parte contadini. Essi erano senza occupazione a causa
dell’impiego delle macchine nella lavorazione dei campi. Avvenne quindi una migrazione fortissima
in tempi piuttosto rapidi, originando processi intensi di urbanizzazione. Spesso però si creavano gli
slums, aree ad alto tasso di affollamento con forte degrado sociale e ambientale e situazioni
igienicosanitarie precarie. Nella seconda metà del 900, in Europa e nel mondo occidentale,
l’associazione tra città e industria è molto cambiata e quasi è lontana.

⟶ Esistono due processi di mobilità urbana (dislocazione) relativamente recenti.


• gentrification: dall’inglese gentry, nobiltà. Coinvolge gruppi sociali ad alto reddito che ristrutturano
abitazioni in aree povere, in degrado e spesso centrale, mutandone le caratteristiche originarie. Ciò
provoca l’allontanamento dei residenti a basso reddito, impossibilitati a sostenere i costi superiori. •
amenity migration: reinsediamento, riguardante lo spostamento di persone che da aree urbane si
dirigono verso aree periferiche o in piccoli centri abitati. Esse sono attratte da una qualità di vita
migliore, ed è una sorta di controurbanizzazione.
Da tempo è molto diffuso anche il fenomeno della “seconda casa”.

6. Morfologia e funzioni urbane


La geografia studia il fenomeno urbano anche per i molteplici aspetti di natura morfologica e
funzionale. Una prima indicazione è data dalla posizione. Una serie di informazioni si ottiene già
dalla pianta della città, la cui forma è certamente condizionata dal sito (luogo geografico).
La planimetria urbana subisce l’influenza dal rilievo, dei fiumi o delle coste, le caratteristiche naturali
della topografia locale. In base alla collocazione topografica, le città si possono classificare come: di
rilievo, di fiume, di estuario, di costa, di delta, di laguna, di lago.
In molte città la morfologia assume quasi un valore simbolico, come i sette colli di Roma o i contrasti
morfologici tra mare e montagna di Rio de Janeiro.

La forma della città e la distribuzione degli spazi edificati e liberi dipendono anche da altri fattori, di
ordine storico, sociale, religioso ed economico, che si sovrappongono ai fattori naturali.
La giacitura del terreno può restituire una pianta regolare (reticolo viario disposto geometricamente) o
una pianta irregolare (struttura libera e spontanea, prima di un disegno nell’assetto stradale).
Tra le piante regolari, i principali impianti geometrici sono:
• P ianta a scacchiera , ideata da Ippodamo di Mileto nel V ac, diffusa nell’Occidente europeo e
adottata dai romani anche per l’impostazione degli accampamenti.
• Pianta radiocentrica (o concentrica), diffusa nel Medioevo e composta da un nucleo centrale dal
quale partono strade divergenti a raggiera.
• Pianta lineare: città sviluppata lungo un asse (strada, fiume, dorsale montuoso).
• Pianta composita: non omogenea, tipica delle grandi città come Bari, con diversi momenti di crescita.

⟶ Funzionalità di una città: capacità di svolgere attività che assicurano bisogni interni (funzioni
locali) e bisogni esterni (funzioni esportatrici) a essa.
Tipologia di città in base alle rispettive funzioni:
• città monofunzionale o specializzata, in cui risalta una solo funzione, in città piccole o medie dove la
supremazia di una singola funzione influenza tutto l’agglomerato urbano.
• città plurifunzionale, in cui le funzioni sono molteplici e si integrano fra loro, in città grandi.

Funzioni produttive:
– industria, come Manchester, Detroit, Torino. Può anche far nascere nuove città.
– città minerarie
– funzione finanziaria, ospitano la sede centrale di banche e istituti assicurativi
– funzione politica e amministrativa, come in capitali apposta create: Washington, Canberra,
Brasilia.– funzione culturale
– funzione religiosa
– vocazione turistica
– città balneari
– città globali, esercitano un peso consistente a scala macroregionale o planetaria, come New York,
Londra, Parigi, Tokyo, Hong Kong, Los Angeles, Chicago, Pechino.

7. La crescita urbana
Il processo di crescita della popolazione urbana continua in maniera ininterrotta, pur se con minore
intensità rispetto agli ultimi decenni. Attualmente oltre metà della popolazione mondiale vive in città.
A inizio 800, la popolazione urbana si aggirava su quote minime al di sotto del 5%, e ancora a metà del
900 nelle città viveva soltanto il 30% della popolazione. La percentuale si riduceva al 18% nei Paesi
economicamente poveri.
Affollamenti e alloggi precari ampliano a dismisura periferia abusive e di edilizia spontanea, di
metropoli già demograficamente sature. Si moltiplicano baraccopoli, quartieri spontanei in genere
sviluppati a macchia d’olio nelle periferie e nelle aree suburbane, a volte anche in zone centrali.

⟶ Esclusi i microstati, i Paesi che presentano i valori percentuali più elevati (sopra al 90%) di
popolazione urbana: Belgio 98%, Malta e Uruguay 95%, Israele e Giappone 92%, Argentina 91%.
I valori più modesti (20% o meno): Burundi 11%, Papa Nuova Guinea 13%, Malawi 16%, Niger e
Sudan del Sud 18%, Etiopia 19%, Cambogia 20%.
La macroarea che attualmente presenta le maggiori probabilità riguardo ai processi di urbanizzazione è
l’Africa subsahariana, sia per il suo ampio bacino di popolazione che risiede in villaggi e aree rurali,
sia per il forte degrado in cui versa l’insediamento rurale, che spinge all’esodo dalla campagna.
11) GLI SPAZI DELL’ECONOMIA PRIMARIA

1. Economia e società
Il termine economia aveva il significato di amministrazione della casa. Oggi indica
primitivo
l’insieme delle attività rivolte allo sfruttamento e alla valorizzazione delle risorse e dei beni naturali,
attraverso la produzione, circolazione, distribuzione, scambio e consumo dei prodotti.
In geografia le attività economiche suscitano un interesse sia per la loro localizzazione e distribuzione
spaziale, sia per le interazioni che producono alle varie scale: locale, regionale, nazionale, continentale,
globale. Il mercato è da sempre luogo e motore dell’economia dove le merci materiali e virtuali, frutto
delle attività umane, trovano collocazione nello scambio.
Una prima ripartizione delle attività economiche tre settori:
• considera
primario (agricoltura, allevamento, caccia, pesca, risorse minerarie e
• foreste)
(industria, energia, edilizia,
artigianato)
(commercio, banche, trasporti, istruzione, cultura, sanità, servizi, prestazioni professionali
in
quaternario (informazione e scambio di beni e servizi) e quinario
secondario • terziario genere), viene spesso tripartito in (ricerca e
istruzione superiore).

⟶ Una organizzazione macroeconomica considera la struttura della popolazione attiva, secondo


l’ISTAT come «la somma delle persone occupate, di quelle disoccupate alla ricerca di nuova
occupazione e di quelle alla ricerca di prima occupazione».
La popolazione non attiva è costituita da: minori, pensionati, invalidi, studenti in età lavorativa,
casalinghe e quanti non hanno volontà di offrire il proprio lavoro per varie ragioni.
La popolazione si divide poi in tre fasce di età: giovani (0-14), adulti (15-64) e anziani (65-oltre). Un
quadro più completo del Paese richiede altri indicatori: posizione degli addetti nelle organizzazioni
produttive, stato di welfare, PIL e il PIL pro-capite, indicatori socio-demografici.
L’indice di vecchiaia ha importanti conseguenze sociali nelle principali economie avanzate, in
particolare europee: le prossime generazioni potrebbero incappare in un collasso del welfare.
La criticità trova una positiva risposta anche se parziale nel flusso migratorio che, reintegrando il saldo
demografico naturale, riequilibra in parte la situazione.
Il baricentro del mondo oltretutto si va ancora spostando verso l’Asia orientale e i Paesi di nuova
industrializzazione. Il considerevole aumento delle interdipendenze economico-spaziali ha anche
coinvolto nella stessa misura il locale e il globale.

2. L’agricoltura (p.174)
In alcuni Paesi meno avanzati, assieme all’allevamento, l’agricoltura innerva gran parte dell’intero
ciclo economico, dal settore primario al secondario, fino al terziario.
Il numero di occupati nel settore tende a diminuire a fronte di un generalizzato sviluppo.
Tali posizioni rivelano due opposti contesti. Da un lato un’agricoltura di sussistenza, presente in
regioni sempre più ristrette dell’America Latina, occidentale e centromeridionale, e dell’Asia
sudorientale. Essa trae dal lavoro agricolo e dalle pratiche connesse tutto quanto occorre per il
sostentamento individuale o di una famiglia o di un gruppo.
Dall’altro, un’agricoltura altamente meccanizzata e tecnologicamente sofisticata, avviata dapprima
negli Stati Uniti e quindi in numerosi Paesi dell’Europa settentrionale. È uno dei maggiori esiti della
Rivoluzione verde (3º rivoluzione agricola, anni Sessanta del 900).
Varie innovazioni quali nuove infrastrutture, macchinari agricoli, pesticidi, antiparassitari, fertilizzanti
e organismi geneticamente modificati (OGM) hanno aumentato le rese dei prodotti agricoli.
Ciò ha portato al superamento di modelli incapaci anche di rispondere a forti incrementi demografici.
Nella Dichiarazione universale dei diritti umani (1948, firmata dall’ONU) si parla di diritto al cibo.

Il fenomeno dell’interazione spaziale è una questione centrale in economia.
I processi produttivi industriali possono essere delocalizzati con una certa quota di indifferenza
spaziale, ma per le produzioni agricole valgono molto le ragioni pedologiche e soprattutto climatiche.
L’odierna globalizzazione ha ancora di più spinto sullo scambio mondiale di prodotti agricoli prima
tipici di regioni più ristrette, al seguito della rapida diffusione di diversi stili alimentari.
La provenienza delle piante ha comportato continue evoluzioni e non solo dell’alimentazione: lo
scambio colombiano. Numerosi prodotti, per la loro vasta diffusione, si possono definire globali.
Tra le derrate alimentari: grano, mais, riso, caffè, cacao, tè, canna da zucchero, alcune varietà di frutta.
Prodotti non alimentari: cotone, lana, tabacco.

⟶ L’agricoltura è stata oggetto di notevoli mutamenti nel tempo.


Recentemente, nei Paesi ricchi è stato favorito l’uso di fertilizzanti di sintesi il cui impiego, spesso
eccessivo, ha incoraggiato una discreta diffusione dell’agricoltura biologica. Essa esclude sostanze
chimiche e attraverso processi naturali e non intensivi salvaguarda la fertilità dei terreni, valorizza
materiali organici, e attua la difesa delle colture.

Dalla policoltura, che assicurava una varietà alimentare riducendo i rischi dovuti a malattie delle
piante o ad andamenti incostanti del clima, si è passati alla monocultura, che restituisce grandi quantità
di prodotti agricoli e concentrandosi su quelli più interessanti per valore alimentare o redditività.
La monocultura ha indotto per secoli le economie coloniali a produzioni destinate all’esportazione, che
hanno arricchito prima gli Stati colonialisti, poi le grandi multinazionali e solo pochi impresari locali.
Essa consente vantaggi finanziari e organizzativi, ma provoca tante
Conseguenze: enormi danni agli ecosistemi, mancato sviluppo di un alto numero di Stati, perdita della
biodiversità, perdita della indipendenza e della sovranità alimentare, degrado di suoli impoveriti da
una cultura ripetuta, aumento dell’impiego di fertilizzanti e concimi.
Caso di Cuba: con un regime socialista legano all’Unione Sovietica, è stata per molto tempo un unico
campo di canna da zucchero, che alimentava il commercio dell’alimento in tutta l’Europa occidentale.

3. L’allevamento (p.177)
L’addomesticamento e l’allevamento degli animali si è sviluppato con la diffusione delle principali
specie utili all’uomo. Fino alla Rivoluzione industriale alcune specie animali erano utilizzate anche
come forza lavoro, oggi questo impiego è presente solo nelle società meno avanzate e in limitate
regioni del globo poiché la meccanizzazione ha diminuito il lavoro fisico.
Le specie allevate sono perlopiù mammiferi (bovini, suini, ovini), uccelli, insetti (api, bachi da seta).
Di recente, un diffuso aumento del consumo di carni ha portato alla industrializzazione intensiva del
comparto, evidenziando però i danni per la salute umana derivanti da un consumo eccessivo di
proteine animali e i guasti legati all’ambiente.
Implicazioni negative degli allevamenti intensivi: grandi quantità di energia e acqua, inquinante per il
rilascio in atmosfera di diossido di carbonio (CO2) e metano (CH4), sottrazione di ossigeno per il
disboscamento, massiccio uso di farmaci e prodotti chimici, perdita della biodiversità.
La creazione di nuovi pascoli è tra le principali cause della deforestazione (America Latina), e in
alcune aree marginali hanno contribuito all’avanzamento della desertificazione.

⟶ L’attuale distribuzione geografica delle specie animali è avvenuta nel coso di millenni, in seguito
ad avvenimenti storici, successivi adattamenti climatici e tradizioni alimentari e religiose. La forte
crescita del consumo di carni è avvenuta per: incremento demografico globale, maggiore disponibilità
di spesa in ampie regioni uscite dal sottosviluppo, fenomeni di imitazione di diete diffuse in
Occidente (mondo alla McDonald’s). Il nomadismo sta venendo meno, superato dai trasporti
motorizzati e dai moderni stili di vita occidentali, presente solo in Asia centrale e fascia sahariana.
4. La pesca
Se la caccia oggi è relegata in ambiti ristrettissimi, almeno per il sostentamento, la pesca costituisce un
importante voce nell’alimentazione umana. I mari sono un immenso patrimonio idrico, minerario,
energetico, biologico, turistico, per le comunicazioni, oltre che alimentare, e coprono oltre il 70% delle
superfici del pianeta azzurro.
Le acque marine hanno un grande valore ecologico: producono la metà dell’ossigeno che respiriamo,
assorbono il 30% delle emissioni di CO2 e il 93% del surriscaldamento atmosferico causato dall’uomo.
Hanno anche un valore alimentare: circa 3 miliardi di persone ricavano almeno il 20% del loro
fabbisogno di proteine animali dalla pesca.
La biomassa marina è il maggiore e più complesso ecosistema planetario, e si sviluppa in diretta
connessione con diversi fattori. Uno di questi è la produttività primaria, ovvero la quantità totale di
materia organica prodotta attraverso la fotosintesi che fa risalire quantità di nutrienti dal fondo marino
(upwelling). La corrente del Benguela è la più produttiva del mondo.

⟶ La pesca è il risultato finale di una lunga catena alimentare che vede tutti gli organismi marini
appartenere a una delle tre categorie:
• benthos, specie in contatto con i fondali marini
• necton, pesci, cefalopodi, tartarughe e mammiferi marini nel mare aperto
• plancton, organismi vegetali (zooplancton) e organismi animali (fitoplancton) molto piccoli, privi di
movimento autonomo, vivono in sospensione nelle acque. È circa il 70% della biomassa
complessiva, principale nutrimento della catena alimentare marina, responsabile della fotosintesi.

Il settore della pesca è in continua ascesa, grazie all’aumento dell’acquacoltura marina in bacini
naturali o artificiali che costituisce oggi quasi il 40% del pescato mondiale. Essa si pone a
salvaguardia di specie minacciate da pesca indiscriminata e a tutela dell’ambiente.
Nella classifica dei Paesi produttori in grande evidenza è la Cina, seguita a parecchia distanza dal Perù.
La FAO ha suddiviso le acque mondiali in zone, assegnando a ciascuna un numero che consente di
risalire al luogo di cattura del pesce. Ciò per la sicurezza e l’assicurazione alimentare.
La conservazione dell’equilibrio biologico, indispensabile per la pesca e spesso oggetto di pratiche
distruttive, necessita un ordinamento per evitare la riduzione o la scomparsa di numerose specie. Il
cambiamento climatico, l’inquinamento e il traffico marittimo lo mettono a repentaglio, soprattutto
per quanto riguarda la caccia alle balene (Norvegia, Islanda, Giappone).

5. Le risorse minerarie
La formazione delle rocce (litogenesi) è un processo in cui età e vicende geologiche determinano gran
parte dell’allocazione delle risorse minerarie, distribuite in modo del tutto disuguale sul pianeta. Se
esiste un nesso tra risorse minerarie e vicende geologiche, la correlazione delle risorse minerarie e
l’ampiezza territoriale è molto debole.
Lo stock è l’insieme di tutti i materiali utili presenti nell’atmosfera, nella litosfera, nell’idrosfera e
nella biosfera. Esso individua due sottoinsiemi, che possono essere rinnovabili o non rinnovabili: •
risorse: quantità totale di un qualsiasi materiale scoperto, utilizzabile e fisicamente fruibile (ferro). •
riserve: quantità di quello stesso elemento effettivamente recuperabile, secondo tecnologie,
condizioni economiche, politiche e culturali presenti in un dato periodo (carne suina).

Nella crosta terrestre, gli elementi utili più diffusi sono: ossigeno, silicio, alluminio, ferro, calcio,
sodio, potassio, magnesio. Rame, piombo e zinco sono presenti in misura percentuale minima.
Le risorse minerarie comprendo metalli (ferro, rame, oro), combustibili (petrolio, carbone, gas) ed
elementi utilizzati in una vasta gamma di costruzioni industriali e manufatti di vario genere.
Recentemente, hanno assunto un posto rilevante le terre rare, per la realizzazione di dispositivi ad
alta tecnologia. I 17 elementi sono concentrati in pochi giacimenti, in percentuali tali da renderne
conveniente l’estrazione. L’utilizzo delle terre rare ha fornito motivi di preoccupazione geopolitica,
perché il 97% del fabbisogno mondiale è stato fin’ora coperto dalla Cina, che nel 2010 ne ha bloccato
l’esportazione. Sono stati scoperti però nuovi giacimenti in Australia e California.

Il forte consumo di minerali è iniziato con la Rivoluzione Industriale, e si è allargato dai tradizionali
poli dell’economia manifatturiera (Stati Uniti, Europa occidentale e Giappone) ai Paesi di una nuova
industrializzazione. Un’alternativa giace nei fondali oceanici, racchiusa nei noduli polimetallici.
Ulteriore risposta all’esaurimento delle materie prime è il riciclaggio.
La preoccupazione per le riduzioni dello stock di alcune risorse (es. petrolio) è legata al fatto che
costituiscono un patrimonio non rinnovabile, risultato di processi lentissimi, che ne impone un loro
accorto utilizzo anche per la lotta all’inquinamento dell’ambiente.
12) GLI SPAZI DELL’INDUSTRIA E DEL TERZIARIO

1. L’energia
L’uomo ha da sempre ricavato energia sfruttando gli animali, il vento e il sole.
Le enormi potenze necessarie all’industria e ai consumi privati hanno trasformato il settore in un
fattore geostrategico, causa scatenante di conflitti e guerre. In alcuni periodi l’abbondanza e il basso
costo di risorse energetiche hanno facilitato il decollo e lo sviluppo economico. La Rivoluzione
industriale si è innescata in Inghilterra, Belgio, Francia, Germania e Stati Uniti, che disponevano di
carbone. Oggi è la volta dei Paesi del Golfo Persico, produttori di petrolio.
Le risorse energetiche, parte dello stock planetario, si differenziano in rinnovabili, ovvero illimitate
(solari, eoliche, idrauliche, geotermiche, marine, da biomasse) e non rinnovabili, soggette a un rapido
esaurimento (nucleari, petrolio, gas, carbone).
⟶ Petrolio e gas sono risorse simbolo dell’attuale economia mondiale, il più grande produttore sono
gli Stati Uniti. Il carbone, motore della Rivoluzione industriale, è ancora ampiamente sfruttato
soprattutto da Stati Uniti e Cina. Esso causa però un forte inquinamento, un negativo impatto
ambientale e un elevato costo di trasporto. Di recente le emissioni sono state in parte abbattute,
mentre la polverizzazione e la miscelazione in acqua in carbodotti hanno diminuito i costi di trasporto.

⟶ Le energie rinnovabili non sono integralmente fruibili a causa delle limitate e poco convenienti
possibilità tecniche di valorizzazione. Esse sono ancora in una posizione subordinata, nonostante il
rilevante sviluppo degli ultimi anni sospinto da incentivi pubblici.
I limiti dell’energia eolica derivano dal carattere intermittente del vento e dall’impatto visivo
provocato dagli aerogeneratori, presente in Spagna, Portogallo, Germania, Danimarca.
L’energia idraulica impiega la forza cinetica dell’acqua mediante dighe sui fiumi, presente fino al 1960
in Italia e ora in Itaipú (Paraguay, più grande centrale idroelettrica del mondo).
L’energia geotermica sfrutta il calore delle rocce del sottosuolo per scaldare l’acqua filtrante dalla
superficie, trasformandola in vapore.
Le tecnologie per ricavare l’energia dal mare sono meno presenti, nonostante le enormi potenzialità.
Si basato su assorbimento e conversione energetica, sono nel Nord Europa ma anche in Italia.
Le biomasse comprendono legna da ardere, scarti, alghe marine, piante oleaginose, rifiuti solidi umani
che producono carburanti biologici per l’energia elettrica, termica e per composti chimici. In Italia il
consumo di biomasse a uso domestico è al primo posto in Europa, dopo il metano.

Numerosi Paesi hanno realizzato centrali nucleari, che generano scorie radioattive per tempi
lunghissimi e difficili da smaltire. L’industria dell’atomo è in stretta connessione con utilizzi militari.
Trasporto dell’energia tramite condotti: Europa occidentale continentale è destinazione di tre principali
direttrici di importazione di gas, da sud (Algeria e Libia), da est (Russia, Asia centrale), da nord
(Norvegia e Paesi Bassi).

2. L’industria
L’economia in prevalenza agricola ha una continuità spaziale, l’economia industriale è invece dispersa
in una rete globale. Per leggere adeguatamente questo trapasso, gli studi geografici hanno individuato
i fattori della produzione industriale (spazio, capitale, lavoro), affrontando i temi: • naturali
(morfologia e natura degli spazi insediativi, disponibilità di acqua, clima)
• demografici (dinamiche e caratteristiche socio-economiche della popolazione)
• culturali (tradizioni storiche, capacità di fare impresa)
• tecnico-economici (organizzazione delle infrastruttura e dei trasporti, tecnologia)

• politici (pianificazione del territorio e programmazione economica)
Sono stati individuati anche fattori relativi alla localizzazione industriale.
Dall’esordio della seconda metà dell’800, i maggiori centri industriali si sono diffusi in ampie parti del
globo, secondo i fattori distanza, risorse, mercati di consumo (Alfred Weber).
Oggi è venuta in parte a meno l’influenza della distanza, in Europa, America settentrionale, Australia e
Giappone. Vi sono poli di sviluppo in Oriente, America Latina, Africa.
I processi industriali prevedono tre fasi:
1) Approvvigionamento, trasferimento delle materie prime dai siti minerari nel polo industriale
2) Trasformazione, produzione con input
3) Commercializzazione, output dei prodotti finiti con l’avvio verso i mercati

I processi di industrializzazione tra 700 e fine 800 hanno profondamente inciso sulla struttura
economica e sociale dell’età moderna, partendo dall’Inghilterra.
Dopo la metà del XIX, l’elettricità ha svolto un ruolo fondamentale nell’avvio della Seconda
rivoluzione industriale, poiché facilmente trasportabile, e permise anche a Paesi privi di carbone si
avviare il processo di industrializzazione grazie ai corsi d’acqua (energia idroelettrica).
Nel 1913 Henry Ford introdusse la catena di montaggio nella produzione in serie (fordismo), da cui
trassero vantaggio le industrie nordamericane. I tempi e i costi di produzione furono abbattuti. Il
triangolo industriale italiano sorse nel periodo del boom economico (anni ‘60 del 900) con vertici
Torino (vocazione industriale), Milano (commerci e finanza, oltre che industria), Genova
(importante porto nel Mediterraneo). Dopo la Seconda guerra mondiale, la rapida ricostruzione ha
provocato consistenti flussi migratori dal Mezzogiorno alle città settentrionali.

⟶ L’ascesa dei Paesi di nuova industrializzazione sta modificando l’assetto globale verso
un’economia multipolare. Tutto ciò grazie allo sviluppo dei trasporti (container) e dalla
comunicazione (Internet), fattori in parte favoriti dallo sviluppo industriale di Paesi emergenti a minor
costo di lavoro, al centro di nuovi enormi mercati.

3. Il commercio
Il commercio è nato per l’utilità, non solo economica, di scambiare prodotti di ambienti culturali, di
abilità personali e di bisogni diversi.
Dal baratto si è passato alle transazioni virtuali, perfezionate via Internet. Lo scambio costituisce uno
dei momenti dell’attuale globalizzazione (varietà e capillarità dell’offerta).
A fianco del commercio interno di un Paese è esploso il commercio estero. Ciò dà risalto alla bilancia
commerciale, che registra un valore positivo se le esportazioni sono maggiori delle importazioni.

Il mercato è il luogo dove le merci si incontrano, in cui dalla domanda e dall’offerta dei prodotti
scaturisce un fattore determinante: il prezzo. Nella sua fisicità geografica, il mercato trova lo spunto
per assumere più ampi e diversi connotati, dal locale al globale.
L’e-commerce è la modalità di acquisti in via telematica con moneta elettronica, ed è diffuso per oltre
il 90% dei Paesi avanzati grazie alla rete Internet.

4. Comunicazioni e telecomunicazioni
Le comunicazioni assicurano la diffusione di idee, culture, prodotti, e tendono a disporsi secondo un
assetto reticolare. Alla base di questo vanno posti la tipologia e il volume dei prodotti o servizi in
circolazione, e la densità demografica che assicura un adeguato mercato.
Le caratteristiche fisiche del territorio, prima vincoli o opportunità diverse, oggi sono attenuate e
superate dalla tecnologia.

Tutti i mezzi di comunicazione hanno dei parametri costitutivi: percorso, tempi e costi per la
realizzazione, facilità di accesso e di utilizzo, sicurezza, regolarità e rapidità del servizio, ritorni
economici, valore strategico.
La distanza può essere misurata in linea d’aria (assoluta), con via più breve a disposizione (itineraria),
in base al costo di percorrenza e in funzione del tempo impiegato (economica).
I flussi comunicativi generano, in un sistema reticolare, relazioni spaziali e temporali diverse. Le
recenti tecnologie informatiche hanno praticamente annullato la fisicità dello spazio terrestre,
introducendo il concetto di tempo reale, ed hanno contribuito alla creazione dei non-luoghi.
Il tempo viene ad assumere il carattere della sincronia, e il luogo nello spazio territoriale è virtualmente
soppresso, pur restando morfologicamente individuabile.

⟶ Il telegrafo e il telefono sono i primi mezzi di comunicazione a distanza, nati del XIX secolo.
La telefonia mobile subentrata negli anni Novanta del 900, ha raggiunto ormai tutta la popolazione
mondiale, dando una risposta straordinaria allo sviluppo in molti Paesi meno avanzati.
Internet consente di vivere dentro la comunicazione globale in tempo reale in qualsiasi parte del
pianeta, dilatando l’accesso a molti servizi senza spostamento nello spazio e a nuove possibilità
professionali tramite telelavoro. La banda larga (broadband) consente l’accesso a Internet con una
simultanea e maggiore trasmissione e ricezione di dati, grazie a mezzi più sofisticati rispetto ai
precedenti a banda stretta (narrowband). Questa tecnologia evidenza il divario digitale (digital divide)
tra chi ha accesso effettivo a tali avanzati livelli di informazione e chi ne è escluso. Nuove tecnologie:
social network, televisione, comunicazioni radio.

5. Dal sentiero all’autostrada


I sentieri e le piste sono i primi percorsi tracciati sul terreno che assicuravano i collegamenti con il
minore impiego di risorse, assecondando la morfologia dei luoghi.
La strada (dal latino strata) in passato indicava il lastricato che sopportava i carichi di uomini e mezzi
sugli itinerari realizzati dai romani. Una rete di collegamenti sul terreno organica ed efficiente è un
importante segnale di sviluppo socio-economico.
Si passò quindi dalle pavimentazioni tradizionali ad uno strato di pietrisco e sabbia (‘800, automobili),
fino all’affermarsi dello strato di asfalto, più idoneo all’uso degli pneumatici.
L’aumento delle automobili e l’esigenza di collegamenti rapidi e comodi hanno consentito
la costruzione di autostrade, spesso realizzate con opere di ingegneria per superare
morfologie accidentate. Paesi europei con il più alto numero di auto: Germania, Italia,
Francia. Paesi con maggiori indici di motorizzazione (densità automobilistica):
Lussemburgo, Malta. Un altro indicatore è la densità del sistema stradale, che rapporta la
lunghezza della rete o all’estensione del territorio o al numero dei residenti.

6. Le vie d’acqua
Le vie d’acqua hanno assicurato i primi spostamenti a lungo raggio effettuati dall’uomo.
Le prime imbarcazioni mostrarono un’opportunità: una capacità di carico sconosciuta agli altri mezzi.
Dalle stive delle navi si passerà poi ai container, carichi inutilizzati di cassoni parallelepipedi in
acciaio. Il transito nei porti si è ridotto a poche ore, mentre prima servivano parecchi giorni per
scaricare e ricaricare merci alla rinfusa nelle stive. Il prezzo di trasporto è diminuito.

L’attuale dislocazione dei maggiori porti container, nodi e gateway della produzione di massa e del
commercio mondiale, vede ben 7 grandi città del Dragone tra i primi 10 per movimenti di container.
È tra il Sudest asiatico e l’Europa mediterranea che si sviluppa, attraverso il Canale di Suez, una delle
maggiori direttrici di traffico, da cui fin’ora è transitato quasi il 25% dei container mondiali.
Il porto è il luogo di incontro fra trasporto marittimo e terrestre, sia su gomma, sia su ferro sia
aereo. È nodo polarizzante in cui convergono le direttrici di una regione e un gateway, che assicura le
relazioni tra il distretto del nodo portuale e altre aree. I porti assumono una importanza strategica per
la notevole capacità delle navi di imbarcare grandi volumi, che le rende insuperabili nel trasporto di
petrolio, gas naturale, carbone, e metalli.
Dopo la Seconda guerra mondiale, il traffico marittimo passeggeri è diminuito, fino a quasi scomparire
negli anni ‘60/’70 a causa della diffusione dell’aereo. È stato relegato al traffico di prossimità per i
collegamenti locali e crocieristico.

La navigazione interna (idrovie su laghi, fiumi e canali) riveste un ruolo quantitativamente minore, ma
dà notevoli vantaggi economici rispetto ad altre modalità di trasporto terrestre.
Il Reno, navigabile dalla Svizzera al Mare del Nord, è la più frequentata via d’acqua europea, seguito
da Danubio, Elba e Volga.
Il trasporto di materiali tramite conduttore è antichissimo: fin dall’epoca romana gli acquedotti
sfruttavano la pendenza per trasportare l’acqua, a cui poi si sono aggiunti petrolio e gas.

7. Le ferrovie
Le ferrovie hanno fatto la loro comparsa prima in Europa e in America settentrionale, quindi nel resto
del mondo, in particolare Russia e India. Esse hanno supportato, dalla metà dell’800, la prodigiosa
crescita economica e sociale seguita alla Seconda rivoluzione industriale.
Gli sviluppi e le conseguenze del mezzo rivoluzionari furono colti subito dai Paesi più industrializzati,
con l’inaugurazione della prima linea ferrata in Inghilterra nel 1825 (Stockton-Darlington).
Le ferrovie hanno consentito penetrazioni in nuovi territori, con un ruolo decisivo nella localizzazione
industriale, nel disegno e nell’urbanistica delle città. Dalla seconda metà dell’800, nelle moderne
metropoli furono costruite grandi stazioni. Scopi della linea ferroviaria:
• soddisfare l’aumento di traffico viaggiatori e merci
• diversa distribuzione modale, decongestionando in primo luogo le reti su gomma
• completare una rete, parte di un più ampio sistema di trasporto.

⟶ Linea ferroviaria: insieme di infrastrutture, costituito dalla sede su cui circolano i treni, di opere
civili per la sua predisposizione e impianti complementari (stazioni per viaggiatori e merci).
Si classificano in base a caratteristiche costruttive e funzioni: numero di binari e il loro scartamento,
sistema di trazione, grado di prestazione cioè capacità, velocità di circolazione, distanza tra le stazioni,
distanza tra successivi presidi di manutenzione. Anche per le ferrovie c’è un indice di densità.
Tecnicamente le ferrovie devono tener conto, in funzione della velocità, di due condizionamenti:
pendenza (percorsi di fondovalle, viadotti, gallerie) e raggio di curvatura (deve essere ampio).

Le prime opere ferroviarie sono realizzate negli Stati Uniti e in Canada (dall’Atlantico al Pacifico) e in
Russia (Transiberiana, da Mosca a Vladivostok).
A queste si è aggiunto il Treno del Cielo o Tibet Exspress (da Xining a Lhasa).
In Africa le ferrovie, costruite dai Paesi imperialisti, assecondavano lo sfruttamento coloniale con linee
di penetrazione per il trasporto di materie prime (da regioni interne a porti).
Oggi la ferrovia sta conoscendo un rinnovato successo con l’alta velocità (Italia, TAV).

8. Il traffico aereo
Il primo volo fu nel 1903, negli Stati Uniti. L’aereo è il più veloce tra i grandi mezzi di trasporto e
l’unico in grado di sviluppare una rete a linee rette, svincolato dalla morfologia terrestre.
L’aeroporto è il suo legame con il terreno. La criticità del mezzo deriva dalla minore quantità di carico
utile rispetto ad altre modalità, e ciò ne fa il più costoso fra i mezzi di trasporto. L’aereo consente
tuttavia un notevole risparmio di tempo, grazie alla distanza in linea d’aria e alla sua velocità.
È impiegato per il trasporto dei prodotti deperibili, merci pregiate, o di pronta consegna.
Il massimo valore trasportabile è il traffico passeggeri, e il primo servizio fu effettuato nel 1919, fra
Londra e Parigi, seguito da servizi di linea dall’Inghilterra per Parigi, Bruxelles e Amsterdam. Tra
la Prima e la Seconda guerra mondiale si espanse il trasporto aereo, e si sviluppò negli anni
successivi maggiormente negli Stati Uniti ed Europa occidentale.
Negli anni ‘70 del Novecento, con la deregulation degli Stati Uniti, si ridisegnarono le reti e il prodotto
aereo, con l’arrivo delle compagnie operanti a basso costo (low cost).

⟶ Il trasporto aereo è impostato su tre livelli (raggio) funzionali alla distanza delle tratte: lungo,
medio, corto. Il traffico merci si avvale di aeromobili attrezzati con stive lungo l’intera fusoliera. Si
distinguono poi nel sistema tre settori di impiego: aviazione militare, aviazione commerciale e civile
(traffico aereo di linea e a domanda), aviazione leggera (voli privati, d’affari, di addestramento, per
impieghi agricoli). Gli aeroporti, origine e destinazione del trasporto aereo, hanno un forte impatto sul
paesaggio. La rete mondiale degli aeroporti segue le indicazioni svolte per i principali porti (che sono
in prossimità dei centri industriali), ma si pongono a servizio delle maggiori metropoli o di aree
densamente popolate.

9. Il turismo
Il turismo non è solo uno svago, poiché si hanno varie ed articolate definizioni: può essere considerato
una delle possibilità di impiego del tempo libero legato al viaggio o al riposo.
Nel tempo, specialmente nei Paesi più ricchi, ha assunto una cospicua valenza economica e sociale.
Esso si fonda su una precisa motivazione: estraniarsi, svagarsi, riposare o attendere a occupazione
diverse, fuori dall’ambiente di residenza o di lavoro abituali, per un periodo più o meno lungo oltre i
fine settimana e le festività ricorrenti, con un certo investimento di denaro.
Il turismo si rivela di grande interesse geografico:
• come fenomeno economico, per l’insieme dell’offerta turistica
• come fenomeno sociale e culturale, per la motivazione e la percezione della località turistica
• per l’impatto territoriale negli spazi di fruibilità

⟶ La domanda di turismo (dalle regioni attive) si è molto modificata nel tempo: dalle élite sociali alle
classi urbanizzate fino al fenomeno di massa attuale.
L’offerta (per le regioni passive) riguarda sia la risorsa turistica, ma anche: valorizzazione,
salvaguardia, promozione, servizi, tour operator, aziende che producono il turismo.
Le attività a forte caratterizzazione stagionale (turismo balneare e sciistico) danno spesso luogo a
fenomeni di forte concentrazione in aree limitate, creando stress ambientali e vanificando in parte le
aspettative dei fruitori. Le attività turistiche esigono ambienti e situazioni politico-sociali rassicuranti.
Il sottosviluppo è indifferente ai flussi turistici, offrendo spesso costi favorevoli per la visita in località
lontane in cui la prevalenza è data dall’esotismo.
La multipolarità geoeconomica e un maggiore accesso ai mazzi di trasporto hanno introdotto flussi da
aree che fino a poco tempo fa erano regioni passive: Cina, Russia, Paesi dell’Est europeo, Brasile. I
flussi turistici internazionali rivelano un continuo trend positivo. Nei singoli Paesi, le cinque
destinazioni turistiche mondiali più frequentate sono: Francia, Stati Uniti, Spagna, Cina, Italia.
13) GLI SPAZI POLITICI

1. Potere e territorio alle varie scale geografiche


Lo Stato è soggetto in cui si originano autonome produzioni normative che ne caratterizzano la
fisionomia. È il perno attorno al quale ruotano le relazioni politiche internazionali.
Costituisce un complesso organizzativo, che individua e delimita lo spazio nel quale una parte di
umanità si riconosce in tratti riferibili alla condivisione di una cultura comune e in cui vive secondo
una propria costituzione politica.
Il moderno Stato è il frutto di un lungo processo della storia europea. Dopo la Guerra dei Trent’anni,
con la Pace di Westfalia (1648), esso trovò un’originale identità normativa come soggetto autonomo,
di diritto assoluto, non subordinato ad alcun altro potere se non a quello scelto al suo interno.

⟶ Un aspetto importante sono le istituzioni e l’esercizio del potere, ovvero in quali modi il sistema
politico e il conseguente agire di uno Stato costituito possono trasformare l’assetto territoriale e altro.
Lo Stato è quindi al centro delle relazioni sovranazionali o internazionali a livello macro-regionale,
continentale o globale.
In alcuni Stati, unità amministrative hanno aperto un dibattito nel rivendicare maggiori autonomie
locali, volte a modificarne l’assetto costituzionale, senza ripercussioni sul suo profilo internazionale
che rimarrebbe intatto e sovrano. Ciò mette in discussione lo Stato unitario (es. Francia), in cui i poteri
sono accentrati in maniera forte.
Il federalismo invece, nato negli Stati Uniti, ripartisce la sovranità in due distinti livelli di potere, con
limiti precisi alle Costituzioni degli Stati membri, con prevalenza del diritto federale su quello dei
singoli Stati, con la ripartizione delle competenze fra Stato federale e Stati membri. Il potere
legislativo è composto da un Parlamento bicamerale (Congresso) e dal Senato.
Una confederazione (come l’UE) è l’unione di Stati che, senza rinunciare alla loro sovranità, mettono
in comune alcune politiche e funzioni, non creando un nuovo Stato. Il principio di rappresentanza è
degli Stati e non dei cittadini, e il diritto di veto (simbolo sovranità mantenuta) può vanificare l’azione
comune. Lo Stato Regionale è la cessione dal centro di parte dei poteri a enti territoriali autonomi (es.
regioni), che in genere acquisiscono una sovranità derivata e non originaria, ma sufficiente per un
governo locale autonomo.

Le articolazioni su cui si regge uno Stato (Costituzione, leggi, patti) provvedono al funzionamento
degli ordinamenti giuridico, fiscale, amministrativo, sociale e di sicurezza.
Determinate scelte di politica estera aggregano gli Stati in associazioni internazionali o sovranazionali,
in cui parte del potere statuale può venire delegato in contiguità agli scopi associativi.
Con la creazione dell’euro, ognuna delle banche nazionali dei Paesi aderenti ha ceduto parte della
propria autonomia alla Banca centrale europea (BCE), con sede a Francoforte.

⟶ La seconda metà del Novecento ha visto l’avvio e la successiva proliferazione di istituzioni


internazionali, in tutto 68.000: Banca Mondiale, Fondo monetario internazionale (FMI),
Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), Unione Europea (UE), Lega Araba, Organizzazione del
Trattato del Nord Atlantico (NATO), Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN). Le
imprese multinazionali infine hanno ingenti risorse finanziarie in grado di eludere legislazioni e
fiscalità, e di determinare conseguenze sulla politica economica mondiale con un profilo speculativo.
2. Lo Stato: territorio, popolazione e sovranità
Il moderno Stato nazionale trova una naturale costituzione in tre elementi fondativi: territorio (reale),
popolazione (reale), sovranità (giuridico). Essi sono indissolubilmente legati tra loro, e in mancanza di
uno solo di essi viene a meno il concetto stesso di Stato nella sua odierna fisionomia, come ad es: i
curdi, i palestinesi. Alcuni Stati molto piccoli sono inclusi in un altro Stato.

⟶ Il territorio è uno spazio organizzato e definito, nel quale uno Stato riconosce l’ambito della propria
sovranità interna e dove la popolazione risiede stabilmente. Esso comprende inoltre il sottosuolo, le
acque territoriali e lo spazio aereo sovrastante. L’assetto statuale riceve una definitiva legittimazione
sul riconoscimento internazionale. Il territorio richiama molteplici elementi di valutazione:
• estensione: riporta alla grande avventura coloniale, quando la dimensione degli Stati era condizione
indispensabile per raggiungere requisiti di potenza e di benessere.
• forma: lo Stato ideale tende alla compattezza e alla contiguità territoriale (monometria), che offre
maggiori garanzie di stabilità rispetto a un territorio discontinuo e frammentato (polimetria).
Si parla di polimetria apparente per le isole o territori divisi dal mare.
• posizione assoluta nel globo: si rapporta alla latitudine, fattore climatico essenziale per gli Stati:
artici, intermedi, subtropicali, tropicali, equatoriali. •
posizione relativa nel globo: rispetto agli altri Stati.
• Marittimità: rapporto tra confine marittimo e terrestre, posizione rispetto al mare. Va
contestualizzato rispetto all’agibilità della navigazione o delle attività rivierasche e all’importanza
politica o economica del mare.

⟶ La popolazione è connotata alla capacità di potenza di uno Stato. Il numero degli abitanti e la loro
densità rispetto al territorio vanno relazionati alle capacità organizzative e produttive in gradi di
valorizzare al meglio le risorse. Si hanno Stati giganti come Cina e India fino a microstati come Nauru
e Città del Vaticano. Lo Stato dovrebbe identificarsi in una comunità in grado di condividere identici
valori culturali e materiali, in un’unità originale distinta dalle altre. Quando la composizione etnica
appare frammentata possono insorgere gravi problemi (es: ex Iugoslavia). Popolazioni del tutto
omogenee non sono presenti in nessuno Stato del mondo.
I rifugiati sono individui che per motivi diversi (etnici, religiosi, di appartenenza) sono perseguitati e
non trovano più accoglienza nel loro Paese di origine. I rifugiati per conflitti o persecuzioni
aumentano progressivamente, sommati ai flussi migratori asiatici e africani verso l’Europa occidentale.

⟶ Il fenomeno dell’enorme proliferazione di Stati si è avviato dalla fine della Seconda guerra
mondiale. La suddivisione tra monarchia e repubblica, dal punto di vista istituzionale, ha perso valore
in Occidente, poiché anche le monarchie costituzionali (Norvegia, Svezia) sono nel quadro delle
democrazie liberali. Le monarchie assolute (Arabia Saudita, Qatar) si rifanno ai regimi monocratici. I
regimi teocratici sono presenti in alcuni Stati musulmani (Iran), dove c’è una impercettibile linea di
demarcazione tra ciò che è religioso, politico e sociale.
La sovranità è un valore assoluto non soggetto ad alcun potere, e originale nelle sue possibilità di
produrre norme emanate da organi indipendenti tra loro, per garantire una struttura giuridica statuale.
Ad essa si contrappongono a volte limitazioni che possono essere in netto contrasto con gli interessi
nazionali: piena privazione della capacità giuridica statuale (colonie), sovranità limitata (verso gli
alleati nel Patto di Varsavia negli anni Sessanta).
3. I confini
Il confine costituisce un limite dove i tre elementi fondativi dello Stato (territorio,
effettivo
popolazione, sovranità) si esauriscono, per dare luogo a uno Stato limitrofo
diverso.
Il confine individua una netta linea di demarcazione, portato dalla sovranità nazionale, ma in realtà non
segna sempre una cesura nel paesaggio e nel gruppo etnico che lo abita. I confini amministrativi
delimitano poteri locali normativamente delegati dallo Stato. I confini hanno un ruolo mutevole, per
l’emergere di nuovi Stati e per la loro scomparsa a causa di unificazioni.
Il confine, nel significato moderno, è legato al concetto di nazionalità, di patria, di conflitti spesso
sfociati in guerre, fino alle imponenti trasformazioni indotte dall’odierna globalizzazione.
Diverso è il concetto di frontiera, zona di confronto o di allentamento e di interpretazione tra poteri.

⟶ Tutta la Terra è soggetta a spartizione confinaria, e i confini terrestri passano per più momenti:
1. Definizione, operazione negoziale tra due o più attori tramite accordi o trattati
2. Delimitazione, riporta gli esiti della definizione sulla carta geografica
3. Demarcazione, segnalazione sul terreno del limite condiviso, tramite segni in punti notevoli e
strategici o in caso di dispute con paralizzate, reticolati e muri A ciò va aggiunto anche l’esercizio
della linea del confine.
Confini :
marittimi
• Limite della linea di costa: 3
miglia
• Limite delle acque : 12 miglia, entro cui lo Stato esercita la propria
territoriali sovranità
• Zona contigua: 24 miglia, per controlli fiscali e sicurezza
• Zona economica interna
esclusiva : 200 miglia, per esplorazione, sfruttamento e gestione risorse
naturali
I confini, tutti artificiali perché individuati dall’uomo, si “appoggiano” a elementi che possono essere
fisici (monti, fiumi, deserti), geometrici (meridiani, paralleli, elementi geofisici), o antropici (culture,
etnie, lingue, religioni, storia).
Tutti i confini sono soggetti a variazioni nel tempo, sia per motivi politici sia per diverso
atteggiamento percettivo nei loro confronti.

4. La capitale e le infrastrutture
La capitale è la città che per motivi diversi ospita gli organi del governo, e funge da polo di
coordinamento e rappresentanza di un Paese. Ha un ruolo multiplo: politico, religioso,
economicofinanziario, non per forza associati tra loro. Essa contribuisce alla lettura della storia di un
Paese. La collocazione è stata nel passato questione di primissimo ordine e rappresentava un aspetto
rilevante del potere signorile. La capitale, sensibile a fattori politici, economici e riferimento per il
Paese, non è sempre in posizione geograficamente centrale (es: Washington, Buenos Aires, Mosca,
Londra).
Alle latitudini tropicali ed equatoriali, numerose capitali compensano le alte temperature con altitudini
elevate. Le capitali possono essere naturali (antecedenti alla formazione dello Stato, Parigi), artificiali
(create per svolgere il ruolo di nucleo politico del Paese, Madrid), designate (Bonn, Roma).
L’evoluzione storica ha in qualche caso visto trasferire la capitale in città diverse (Italia: Torino,
Firenze, Roma). Alcuni stati sono multicapitali, come Bruxelles.
In un ordine culturale ed emotivo, la capitale rappresenta l’espressione di quel sentire comune dei
cittadini che è alla base dell’idea di nazione. Essa costituisce anche il nucleo dal quale si innervano e
vengono trasmesse le principali direttive politiche, che danno forma alla struttura e alla vita economica
e sociale del Paese (infrastrutture).
5. Colonialismo e decolonizzazione
Il termine colonia (latino colere, coltivare) in senso stretto manifesta l’idea dell’occupazione
territoriale. Il fenomeno si è avviato modernamente all’inizio del XVI, ma non ha alcuna contiguità
con il mondo antico, dove i coloni estendevano il potere dello Stato di provenienza su un territorio o vi
insediavano basi commerciali.
Le grandi scoperte geografiche e le affermazioni degli imperi coloniali hanno disegnato un assetto
globale del mondo, per la prima volta nella storia dell’uomo.
Nel Settecento le colonie non si presentavano in maniera del tutto omogenea, ed erano privi di un
disegno strategico. Dalla seconda metà del XIX ci fu un rinnovato slancio coloniale soprattutto da
parte dell’Europa, e nacquero nuove potenze coloniali come Belgio, USA, Russia, Germania, Italia,
che si aggiunsero alle tradizionali UK, Francia, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo.
In Africa, dal presidio di basi costiere si passò alla penetrazione nei ricchi territori dell’interno,
occupando il continente in vaste aree di influenza.

⟶ Al termine della Seconda guerra mondiale si avviò una rapida decolonizzazione.


Fu favorita da: mutato assetto internazionale, insofferenza delle popolazioni soggette, atteggiamento
diverso negli stessi Paesi imperialisti, non più in grado di reggere domini coloniali estesi.
Dal allora fino ad oggi, è stata proclamata l’indipendenza di ben 134 nuovi Stati (prima colonie).
Il colonialismo ha prodotto diverse condizioni negative:
– sfruttamento intensivo di popoli e territori
– rallentamento nello sviluppo di molti Stati dell’Africa. Non si sono considerate le omogeneità
etniche, linguistiche, religiose locali, segnando confini in modi arbitrari che rispondevano solo agli
interessi economici del colonizzatore.

Allo scomparso colonialismo imperialista rischiano di subentrare le multinazionali, sotto le sembianze


di un neocolonialismo economico-finanziario. Esse cercano di imporre proprie politiche di
sfruttamento nei Paesi meno sviluppati, attraverso pressioni sulle istituzioni locali (lobbying).
14) SPAZIO E CULTURA

1. Geografia e cultura
La geografia esprime criticamente aspetti e segni dei luoghi con i loro valori fisici e antropici
individuabili nelle differenti culture. Di recente i geografi hanno attribuito maggiore considerazione
agli aspetti emozionali, introducendo nell’analisi geografica documenti, testi, opere pittoriche,
sculture, fotografie, immagini che delineano l’oggetto geografico nella sua cultura.
Quando diviene territorio, uno spazio assume identità culturali, naturali, economiche e sociali originali,
e soprattutto diverse dalle altre. Così una società si identifica nel suo paesaggio culturale in maniera
tangibile, secondo i valori peculiari e per le particolari, uniche atmosfere che trasmette.

⟶ Il confronto tra culture diverse è importante. Bisogna riconoscere i valori “altri” nel concorrere
alla definizione del mosaico del mondo. La geografia è attenta ai momenti fondanti della diversità
umana: etnia, lingua e religione. Sono tre caratteri, il primo genetico e gli altri due culturali, senza
alcun discrimine, totalmente permeabili. Nella realtà, non vi è alcuna precisa corrispondenza tra
caratteri biologici e culturali, come accade invece per quanto riguarda le differenze di genere.

2. E pluribus unum
E pluribus unum, il motto originario degli Stati Uniti, valorizza l’insieme proveniente dal contributo di
tanti singoli individui. In biologia è noto come “vigore degli ibridi”: la pluralità che sfocia nell’unità
condivisa individua storie di successo.
Il concetto di specie umana è un dato certo di carattere culturale che viene declinato in etnia,
escludendo dal contesto il concetto di razza, questione priva di giustificazione scientifica.
Il fatto è che “sotto la pelle” la diversità non esiste: tutta l’umanità appartiene all’unica specie Homo
sapiens. Alcune dimostrazioni dell’uguaglianza biologica vengono fornite da constatazioni empiriche:
– da uomini e donne di diverse etnie nasce sempre una prole fertile, in grado a sua volta di riprodursi
– la medicina riconosce nei suoi fondamenti anatomici, fisiologici e patologici un solo tipo umano
– il sangue è trasfusionabile fra tutti gli esseri umani, rispettandone le differenti tipicità
genetichePosizioni diverse e assurde rispetto alle differenze etniche hanno portato a situazioni
tragiche, culminate nel Novecento con il genocidio inflitto dai nazisti agli ebrei e ai rom, assieme ad
avversari politici, omosessuali e portatori di handicap.

⟶ Le differenze sono originate dal continuo sciamare dell’uomo nel mondo consentono, ai soli fini
classificatori, di procedere a una larga suddivisione dell’umanità in grandi gruppi etnici.
La difficoltà nasce a causa delle continue mescolanze che hanno dato origine a definizioni negative,
quali mulatto, meticcio, creolo.
Una minoranza etnica è un gruppo che, per omogeneità genetica o spesso identità culturale, si
distingue da una maggioranza all’interno di una comunità, in genere statuale.

3. Geografia e lingue
Il linguaggio è il primo segno d’identità nell’ambito di una comunità, ed è un patrimonio comune
invisibile ma tangibile, che si manifesta spesso in momenti di contrapposizione rispetto a una comunità
diversa. Molte lingue parlate nel mondo rischiano di scomparire nei prossimi quarant’anni, sopraffatte
da altri idiomi portatori di modelli culturali vincenti. Stesso pericolo corrono i dialetti, soggetti alla
forza d’urto della lingua di riferimento o standard.
Un aspetto importante delle lingue è la loro dinamicità, in alcuni casi soggetta a normative che tentano
di salvaguardarne la “purezza”.
I linguisti riconoscono che la lingua non è fatta dalle regole, ma dai parlanti soggetti a innumerevoli
stimoli nell’esprimersi. La forza della lingua va oltre la sua capacità di comunicare.

⟶ La lingua è espressione di cultura. Si evidenziano diverse classificazioni nell’individuare i caratteri


delle lingue: alcune considerano il numero dei parlanti, altre l’areale geografico, altre ancora
l’appartenenza a famiglie linguistiche, o i criteri linguistici (gli universali linguistici, specifiche
proprietà di un idioma). Elementi geo-storici di grande portata sono il numero dei parlanti, l’areale
originario della lingua, e le altre comunità a cui è stata imposta e in cui si è diffusa. Importanti sono i
legami lingua-cultura e lingua-storia, con grandi evidenze geografiche.
Le lingue dei gruppi con più parlanti (cinese, indoiranico) sono le meno geograficamente diffuse, il
mandarino ha il maggiore numero di madrelingua ma in un areale ben definito, mentre la famiglia
indoeuropea conta quasi la metà dei parlanti mondiali.
Le lingue internazionali sono parlate in aree molto ampie e lontane tra loro.
• arabo: lingua liturgica e di studio nell’islam
• spagnolo: castigliano, Paesi dell’America centrale e meridionale e conquista nuovi posti dell’USA •
inglese: dopo la 2º guerra mondiale è prima lingua internazionale, veicolo di comunicazione globale.
• francese: fuori dalla Francia importante solo nella diplomazia e in Africa occidentale, perso rilevanza
• portoghese, diffuso in Africa australe, segue il Brasile, stato oggi in grande evidenza • russo: Asia
centrale
• hindi: India centrosettentrionale e in Paesi dell’emigrazione indiana
• turco: Turchia, in forme dialettali nell’Asia centrale ex sovietica e nella regione cinese dello Xinjiang

⟶ L’espansione di alcune lingue come l’inglese ripropone l’esigenza di una lingua franca, un idioma
di comunicazione utilizzato da un largo numero di fruitori per gli usi più svariati (pidgin nei porti
asiatici, swahili nell’Africa centrale e orientale).
Le lingue creole sono nate invece nell’America caraibica dall’incontro di varie lingue europee, con
dialetti dei nativi e dei neri africani.
Le minoranze linguistiche all’interno degli Stati sono molto diffuse: Belgio, Spagna, Francia.
In Italia esistono numerose minoranze linguistiche sia in aree di confine e sia in zone interne:
• Trentino-Alto Adige: parlanti tedesco, italofoni, lingua ladina
• Friuli Venezia Giulia: friulano, comunità slovena
• Valle d’Aosta e Piemonte occidentale: franco-provenzale
• Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia: albanesi
• Molise: croati
• Penisola salentina e Calabria: comunità greche
• Alghero: colonia catalana

4. Geografia e religioni
Tra gli elementi culturali, quello religioso è il più radicato e radicale.
Nel passato, conversioni di popoli erano passaggi da una cultura a un’altra, riconosciuta portatrice di
valori da imitare e fare propria. Oggi nelle moderne società dell’America settentrionale e dell’Europa
occidentale si è diffuso un ampio sentimento ateistico o di indifferenza religiosa.
Le manifestazioni culturali come l’edificazione dei templi sono sempre state di forte impatto sul
paesaggio. Questioni religiose hanno influenzato di continuo la storia anche recente, come le guerre
all’interno di una medesima confessione religiosa: Irlanda del Nord (cristiani cattolici vs anglicani),
Medio Oriente (sunniti vs sciiti), Iugoslavia (cristiani vs musulmani), subcontinente indiano
(musulmani vs indù), Filippine e Africa occidentale (cristiani vs islamici).
Sparsi per il mondo vi sono conventi e abbazie in cui comunità perpetuano riti e studi di testi e
tradizioni religiose. Le grandi religioni sono tutte nate in Asia e una qualsiasi classificazione le vede
far parte simultaneamente di più ambiti. I monoteismi rivelati da un Dio attraverso i profeti sono il
cristianesimo, l’ebraismo e l’islam, le cui verità sono depositate in un testo sacro.

⟶ Alcune religioni sono etniche, proprie di un popolo: in India l’induismo (società suddivisa in
classi), in Giappone lo shintoismo (culto degli antenati) e in Israele l’ebraismo (prima delle religioni
del libro).
Il buddismo, sorto in India e diffuso in tutto l’Oriente, propone uno stile di vita ascetica e in armonia
con la natura, accanto a precetti religiosi. Si diffonde anche in parti dell’Europa e USA settentrionale.
15) LA GLOBALIZZAZIONE
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e ancor di più dalla caduta del Muro di Berlino (1989),
l’odierna globalizzazione ha avviato i suoi meccanismi nel massimo grado di estensione,
intensificazione e accelerazione degli scambi e delle relazioni in tutto il mondo.
Ogni ambito della vita di ciascun cittadino è immerso in quella che il sociologo
«società Zygmunt Bauman ha definito , senza alcuna precisa direzione o meglio
attuata liquida» e sollecitata attraverso milioni di postazioni telematiche.

L’avvio della seconda modernità: Le cause sono riferibili alla politica, all’economia e alla
tecnologia. La politica, nel triennio 1989–1991, ha ribaltato un assetto diviso in due blocchi
contrapposti: l’Occidente liberale delle democrazie parlamentari (legato all’USA) e l’Oriente
comunista delle democrazie popolari (legato all’URSS).

L’economia al centro del mondo globale: Scissione di valutazioni riguardo all’economia:


1. insidie per la sicurezza del proprio lavoro, timore di perdere l’identità culturale nell’ipotetico
scontro di civiltà (Primo mondo, Paesi avanzati)
2. accesso a opportunità, beni e livelli di vita prima insperati (Secondo mondo, area legata
all’URSS) 3. scetticismo sugli eventuali benefici ottenibili o sui non auspicati vantaggi che la
globalizzazione può apportare (Terzo mondo dei Paesi in via di sviluppo e Quarto mondo dei Paesi più
poveri).
Questo tradizionale assetto è cambiato in nuovi rapporti di forza economico-politici, spinto dal decollo
di molti paesi del Terzo Mondo e del generalizzato ex Quarto mondo.

Un quadro internazionale di riferimento instabile: Nel nuovo quadro geopolitico sono presenti
ovunque disuguaglianze e squilibri. Questa generale tendenza vede il sostanziale aumento della
ricchezza di pochi contrapposta a una diffusa povertà in masse sempre più numerose.
A ciò su aggiunge un generalizzato avanzamento dei Paesi prima afflitti da economie di sussistenza,
contrapposto dai Paesi più avanzati che sono aggravati da enormi debiti pubblici.

Globalizzazione e tecnologia: La svolta tecnologica fu avviata dall’evoluzione dell’informatica e


dalla nascita della rete di comunicazioni Internet. La globalizzazione delle telecomunicazioni e dei
trasporti ha portato a una tendenza sia centripeta verso abitudini e comportamenti omogenei, sia
centrifuga con l’irruzione di caratteri locali di regioni diversissime tra loro. In pratica il globale e il
locale si ritrovano fusi nel cosiddetto glocal.

Un sistema mondiale alla ricerca di nuovi : Il nuovo sistema evidenzia numerosi


equilibri poli
emergenti fuori dal mondo occidentale: Brasile, India, Russia. La vera novità è però il riemergere
della Cina non solo in ambito economico, poiché si imporrà come il maggiore interlocutore politico.

Il singolo nella società planetaria: In questo clima di indeterminatezza, l’era della globalizzazione è
priva dei suoi elementi di temporanea stabilità, e si pone come momento di trapasso epocale.
L’umanità è declinata fino al singolo individuo, in continua ricerca di riferimenti.
Il tale contesto, il ruolo della geografia riguarda l’obiettivo della conoscenza del mondo, fondamentale
prerequisito per avere una propria personale visione del mondo.
SITI IMPORTANTI
Database of EE projects, practices, etc.:
http://www.enviroeducation.com/
https://www.regione.emilia-romagna.it/infeas
http://wwwservizi.regione.emiliaromagna.it/infeas/scuolesostenibili/Ricerca.aspx

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