Sei sulla pagina 1di 25

1.

1 INTRODUZIONE AL CONCETTO DI AMBIENTE:


UN APPROCCIO ECOLOGICO.

“Il pianeta non è un sistema globale


ma un vortice in movimento ”
(Edgar Morin)

Il concetto di “ambiente” è stato variamente interpretato nella storia


dell’uomo, solitamente usato per indicare la realtà bio-fisica non umana,
associata all’immagine della “natura”; ma l’uomo dal suo ingresso nel
mondo, con la sola presenza è entrato in relazione con esso, (essendone)
modificato e modificando l’ambiente circostante.

I primi studi antropologici dediti all’argomento adottarono un approccio


scientifico partendo dall’osservazione dell’ambiente e della sua azione
esercitata sulle società umane. Nel XVIII secolo, in piena epoca illuminista,
si intensificarono tali studi che poggiavano le loro radici nel bisogno degli
studiosi cinquecenteschi (all’alba delle scoperte del nuovo mondo) di
spiegare le ragioni della diversità del (della superfice terrestre) mondo
ricorrendo (all’ analisi di fenomeni naturali che possono essere studiati
empiricamente e analizzati con metodi scientifici, superando in questo
modo la soggetività rilegata alla interpretazione esclusivamente artistica dei
secoli precedenti) a motivazioni legate a fattori naturali. (E’ possibile ora
scomporre il paesaggio in elementi numerabili e quindi confrontabili e
catalogabili). L’attenzione è rivolta in primo luogo all’influenza esercitata
sui comportamenti (umani) degli uomini e sulle specificità culturali delle
società da parte degli aspetti visibili della realtà, come le condizioni

1
climatiche, l’altitudine, la vegetazione, gli animali. Tale approccio, i cui
maggiori esponenti sono Alexander Von Humbolt , Carl Ritter, Frederich
Ratzel o ancora Charles Darwin si afferma nell’Occidente in pieno clima
positivista, e sostiene la tesi del determinismo 1 dei fattori geografici sulle
civiltà umane: “Secondo Ratzel, l’uomo subisce profondamente l’influenza
del luogo e del clima in cui vive, tanto che ne sono determinati non solo la
struttura economica e la consistenza demografica, ma anche il carattere
nazionale”2
Dal Darwinismo, che inaugurò una teoria dell’evoluzione “fondata sulla
causalità selettiva dell’ambiente” e sull’adattamento ad esso come
spiegazione “dell’insorgenza casuale delle differenze tra gli individui” 3, E.
Mayr4 nella seconda metà del Novecento, diede vita al cosiddetto “pensiero
per popolazioni”, la cui visione frammentaria del mondo “richiede di
pensare ai cambiamenti evolutivi nell’ottica globale di una popolazione di
numerosi individui, ciascuno dei quali è unicamente determinato nella sua
costituzione essenziale indipendentemente da, e antecedentemente alla sua
vita nel mondo”5
Da questa definizione traspare un modo di trattare gli individui come entità
discrete e predefinite, avvolte in “culture” a loro volta prestabilite “sia come
entità statiche e omogenee, operanti con proprie logiche funzionali e
comportamentali, sia come entità «super-organiche», ideali o simboliche,
esistenti al di sopra dei loro rappresentanti ed imprimentesi su di essi come
un «sigillo sulla cera» (o come un software installato nella loro testa).”6
1
Teoria filosofica secondo cui la natura risponde sempre al principio di causalità e
qualsiasi fenomeno è spiegabile secondo la categoria di causa. (U.Fabietti, Storia
dell’Antropologia, Zanichelli, 2001Bologna)
2
“Ambiente”in U.Fabietti e F.Remotti, Dizionario di antropologia, Zanichelli, Bologna,
2007 pag. 37-38.
3
Ibidem; “Darwin” pag. 225
4
E Mayr The Growth of Biological Thought, 1982 Cambridge, Mass, citato in Tim Ingold,
Ecologia della cultura, Meltemi, Roma, 2001 a cura di A.Grasseni e F. Ronzon.
5
Ibidem, pag. 78
6
Ibidem pag. 28

2
Vorrei delineare, dopo questa breve digressione anacronistica, gli studi
successivi (sicuramente influenti sul pensiero di Mayr), che adottano un
atteggiamento “possibilista” e che hanno nella Francia del XX secolo il loro
centro di diffusione. Il capostipite è Paul Vidal La Brache, fondatore di una
spiegazione della geografia umana in chiave storica. “Per La Branche sono
certo importanti anche i rapporti che l’uomo stabilisce con l’ambiente
naturale, ma essi sono influenzati o addirittura decisi dall’uomo in quanto
essere storico, che ha costruito attraverso il tempo la sua organizzazione,
messo a punto le sue capacità di confrontarsi con la natura, e utilizzarne le
risorse, violentandola o armonizzandosi con essa.” 7 Dunque per
“possibilismo”si intende un vasto campo di scelte rapportate alle esigenze
che la storia pone all’uomo in un dato momento.
Questo pensiero viene ripreso da Lucien Febvre: “Non è più l’ambiente che
determina le azioni dell’uomo, ma è l’uomo che interferisce criticamente
con la natura, che la plasma secondo le sue capacità e i suoi interessi, che
dà al luogo in cui vive un particolare valore”8.
Febvre introduce la nozione geografica di “punti di appoggio” per indicare
“quei luoghi e quegli spazi che si prospettano come assai convenienti per
l’uomo al fine di stabilire relazioni spaziali, fissare insediamenti, costruire
strade ecc.”9
La componente ambientale viene tenuta in considerazione nella misura in
cui la societa risente di una coscienza diffusa dell’ importanza di mantenere
vivo l’ intercambio di energie positive fra l’ osservatore e il paesaggio. L le
scelte dell’uomo, dettate dalla storia della società di cui è parte, avvengono
sempre entro ambiti ambientali con determinate caratteristiche geo-fisiche
che alla fine differenziano le società stesse passando da uno spazio all’altro.

7
Eugenio Turri, Il paesaggio degli uomini La natura, la cultura, la storia, Zanichelli.
Bologna 2003 pag. 19-20.
8
Ibidem pag. 21
9
Ibidem pag. 23

3
Sono i “generi di vita”10 a determinare la progressiva trasformazione del
paesaggio e il graduale adattamento delle società ai ritmi posti
dall’ambiente.
Agli inizi degli anni Settanta del Novecento J.Steward (1902-1972)
inaugurò quel tipo di filone metodologico che passerà alla storia come
teoria ecologica della cultura che “si propone di individuare i processi di
adattamento di una società all’ambiente e di determinare le trasformazioni
che tale adattamento comporta nelle differenti strutture sociali”11
Particolare rilievo assumono gli aspetti della cultura legati alle attività di
sussistenza e all’organizzazione economica, mentre vengono relegati a ruoli
marginali altri fenomeni culturali, quali i sistemi simbolici e religiosi. All’
ecologia culturale si affianca l’elaborazione di teorie sull’evoluzione
culturale, di cui i fattori ambientali svolgono un ruolo esplicativo.
L’organizzazione del territorio viene dunque letta secondo modelli di
evoluzione delle tecniche di sussistenza. L’ambiente viene considerato
come un dato a priori separato dagli organismi che vi si inseriscono, i quali,
a loro volta, vengono visti come entità “programmate”e “pre-strutturate”
rispetto al loro ambiente circostante secondo modelli culturali.
Questa teoria è legata alla nozione di “tratti culturali”: “come un insieme di
norme, sempre presenti – seppure inconsciamente- al soggetto sociale, e in
grado di plasmare le azioni degli attori sociali”12.
Tale visione tende a prendere in considerazione unicamente gli aspetti di
continuità culturale, senza considerare gli aspetti di rottura, di varietà, legati

10
Nozione fondamentale della scuola francese per comprendere il senso della geografia
umana; per la quale si intende: “l’insieme delle attività dei mezzi tecnici, degli strumenti
di lavoro, delle forme di abitazione, dei modi di vivere, vestire, alimentarsi che
caratterizzano una società, e che deriva da una storia che è una storia degli adattamenti
e delle scelte che quella società ha compiuto nel suo processo di occupazione di un certo
spazio”( L. Febvre, La terra e l’evoluzione umana, Einaudi, 1980 Torino)
11
“Ecologia culturale” in U.Fabietti e F.Remotti, Dizionario di antropologia, Zanichelli,
Bologna, 2007 pag. 254-255
12
Tim Ingold, Ecologia della cultura,.cit. pag. 18.

4
alla contingenza e al rapporto persistente tra “il corpo e lo «spazio
involucro» circostante”13.
Originale il concetto di ecologia proposto da Tim Ingold in Ecologia della
cultura, il quale si discosta da un approccio riduzionista (determinismo
geografico, determinismo economico-culturale) per dare vita ad un corpo
olistico14, che muova da uno studio transdisciplinare: “la transizione da un
orientamento interdisciplinare ad uno transdisciplinare: l’obbiettivo non è
più ritagliare in tanti pezzi l’intero delle realtà per poi osservarla
attraverso lenti teoriche e metodi di analisi concepiti in modo separato, ma
integrare i vari punti di vista disponibili (ivi compreso uno sguardo
riflessivo sul soggetto conoscente)”.15
Antropologia, biologia, psicologia, filosofia, sono interlocutori da cui T.
Ingold trarrà una visione tutta incentrata sul rapporto dialogico tra ambiente
e cultura, persone e organismi, dove entrambi vengano considerati soggetti
di un “pensiero relazionale”: “come luoghi di crescita e di sviluppo
all’interno di un continuo campo di relazioni”.16
E’ il superamento della tesi della complementarità, per cui l’uomo è
considerato la somma di tre elementi fra loro complementari: mente, corpo,
cultura, ciascuno dei quali considerato come una componente singola e
statica nel suo dispiegamento. Gli organismi sono dunque relegati allo stato
di veicoli passivi, frutto della replicazione di un programma scritto nei
materiali dell’eredità genetica oppure nella tradizione.
“Un approccio ecologico, al contrario, prende come punto di partenza la
condizione dell’intero organismo-persona, indivisibilmente corpo e mente,

13
F. La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, Laterza e Figli Spa, Roma-Bari 2005
pag. 96.
14
È un modo di pensare che si può definire come uno sviluppo complesso delle
implicazioni connesse alla relazione «parte-tutto»(U.Fabietti, Storia dell’Antropologia,
Zanichelli, Bologna 2001)
15
Tim Ingold, Ecologia della cultura, cit. pag. 23
16
Ibidem pag. 79

5
attivamente coinvolto nei compiti pratici della vita e alle prese con le
componenti rilevanti del suo ambiente. Gli esseri umani, come gli altri
animali, conoscono il mondo direttamente, muovendosi nell’ambiente e
scoprendo quali attività esso possa concretamente accogliere, non
rappresentandoselo nella mente.”17
Questa definizione introduce il concetto di organismo agente, secondo cui
la sua presenza e la sua conoscenza del mondo non sono fattori importati
dalla mente o dall’ambiente in modo meccanicistico e strutturato, bensì
generati all’interno di questi contesti nel corso del reciproco
coinvolgimento con gli altri nelle svariate attività. Ciò che si apprende
dunque è una creazione e si verifica all’interno delle sequenze esperienziali,
da cui scaturiscono significati generati dall’interazione tra le creature e
l’ambiente. La nozione di contesto è strettamente legata all’altra nozione
“non definita” di significato; prive di contesto, le parole e le azioni non
hanno alcun significato, “ l’apprendimento dei contesti della vita è cosa che
deve essere discussa non come fatto interno, ma come una questione di
relazione esterna tra due creature . E la relazione è sempre un prodotto
della descrizione doppia.”18
Ciò si riferisce al fatto che per descrivere e spiegare un determinato
“carattere”19 bisogna parlare di due entità e di ciò che accade tra loro,
facendo sempre riferimento a un particolare schema di interazione e
interscambio. “E’ corretto cominciare a pensare le due parti
dell’interazione come due occhi, che separatamente forniscono una visione
monoculare di ciò che accade e, insieme, una visione binoculare in
profondità. Questa visione doppia è la relazione20.”
17
Ibidem pag. 71
18
G Bateson, Mind and Nature. A necessary Unity, traduzione di G. Longo Mente e
Natura, Adelphi, Milano 1988 pag. 179
19
In questo paragrafo usiamo la parola carattere nel senso più ampio del termine,
riferendoci allo stesso tempo ai caratteri individuali, culturali e socio-ambientali .
20
G Bateson, 1988, Mind and Nature cit. pag.180.

6
Bateson ci offre la locuzione “la struttura che connette” come metodo di
indagine per la comprensione di tutto ciò che riguarda il mondo dei
viventi21.
Dunque, qualsiasi descrizione di un cambiamento deve essere affrontata
tenendo bene in considerazione il primato e la priorità delle relazioni di
interscambio.
Caratteristica fondamentale del pensiero relazionale è il grado di entropia22,
per cui ogni relazione si esprime in termini di “vincoli e possibilità”, legati
da un rapporto reciprocamente “costruttivo, circolare e vicariante” in
quanto “il vincolo crea un quadro di possibilità all’interno del quale si
realizzano gli eventi reali”.23
Da questa definizione si possono identificare alcuni elementi fondamentali
del processo relazionale.
Anzitutto una successione di eventi (una evoluzione) è casuale, cioè
obbedisce alle regolarità delle possibilità all’interno di un insieme limitato;

21
A questo proposito ho voluto riportare un passaggio che ci aiuta a comprendere meglio
ciò che si intende per struttura che connette: “Voglio illustrare ancora brevemente questa
struttura connettiva, citando una scoperta di Goethe. Goethe era un sapiente botanico,
assai abile a riconoscere il non banale (cioè nel riconoscere le strutture che connettono),
il quale mise ordine nel vocabolario dell’anatomia comparata delle piante. Egli scopri’
che definire una ‘foglia’ come «una cosa piatta e verde» o un ‘picciolo’ come «una cosa
cilindrica» non è soddisfacente. Il modo di procedere nella definizione –che è senza
dubbio il modo in cui vanno le cose nel profondo dei processi di crescita della pianta-
consiste nell’osservare che le gemme (cioè i piccoli appena nati) si formano nelle ascelle
delle foglie. Partendo da qui il botanico forma la definizione sulla base delle relazioni tra
picciolo, foglia, gemma, ascella, eccetera.
Nell’insegnamento della lingua vi è un’analoga confusione che non è mai stata chiarita: i
bambini si sentono dire che il «sostantivo» è « un nome di persona, di luogo o di cosa», o
che il «verbo» è «una parola che indica un’azione» e cosi’ via. Imparano, cioè, in tenera
età che una cosa la si definisce mediante ciò che, si suppone, essa è in se, e non mediante
le sue relazioni con le altre cose. Oggi tutto ciò andrebbe cambiato: ai bambini si
potrebbe dire che un sostantivo è una parola che sta in una certa relazione con un
sostantivo, il suo soggetto e cosi’ via. Alla base della definizione potrebbe stare la
relazione, e allora qualunque bambino sarebbe in grado di capire che nella frase
« ‘Andare’ è un verbo» c’è qualcosa che non va.” ibidem pag. 31-33.
22
Bateson intende: “il grado di mescolanza, disordine, indifferenziazione, imprevedibilità
e casualità delle relazioni tra le componenti di qualsiasi aggregato ”.
23
M. Ceruti, Il vincolo e la possibilità, Milano, Feltrinelli 1986 pag. 48.

7
il vincolo, che a sua volta offre le condizioni del dispiegamento delle
probabilità24
In secondo luogo “l’incertezza” è una qualità intrinseca degli eventi, che
risultano indeterminati a priori e storicamente contingenti a posteriori.
In questa prospettiva, tutti gli organismi viventi sono concepiti come “esiti
evolutivi, non assemblati in modo rigido (hard) ma flessibile (soft), entità
sempre in fieri, la cui specifica configurazione è l’esito dell’incontro con
l’ambiente in quanto contesto del loro sviluppo25.

L’uomo vive nel mondo. Da esso impara a distinguere il giorno dalla notte,
le tempeste dagli arcobaleni. E’ in esso che impara a camminare, a sognare,
a ridere e a soffrire, ad essere “uno, nessuno e centomila” 26, ad emozionarsi
davanti un’ alba. E’ con esso che vive i cambiamenti in prospettiva di
un’incessante interazione che modifica non solo il soggetto ospitato, ma
tutto l’insieme delle condizioni circostanti.
La vita è l’esito ricorsivo di un processo attivo di incastro con il mondo, che
ha luogo grazie alle informazioni che attraversano i confini delle parti
componenti di un sistema dialogico-relazionale: di ascolto e reciproche
scoperte.27
Interrogare la nostra condizione umana è innanzi tutto interrogare la nostra
situazione nel mondo; ogni conoscenza deve contestualizzare il suo oggetto
per essere pertinente, difficile cuando si tratta del soggetto stesso. Dunque,
la conoscenza frazionata di dati isolati è insufficiente alla comprensione,
bisogna porre informazioni e dati nel loro contesto affinché prendano senso.
24
Prendiamo l’esempio del lancio di una monetina. Ad ogni lancio resta invariata la
possibilità che il risultato sia testa o croce. Dunque la casualità è all’interno di un campo
limitato:il vincolo è dato da testa o croce, e non si possono considerare altre possibilità .
25
Tim Ingold, Ecologia della cultura, cit. pag. 10-11.
26
Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila,, I classici Feltrinelli, 1926, IV edizione,
1994.
27
G.Bateson, Steps to an Ecology of mind, trad. di G.Longo, Verso un’ Ecologia della
Mente, Adelphi 1990.

8
Il contesto deve essere considerato come “l’insieme contenente parti
diverse che a esso sono legate in modo inter-retroattivo e
organizzazionale”.28
E in quest’ottica che bisogna guardare il pianeta terra e le società, un tutto
nel contempo organizzatore e disorganizzatore di cui facciamo parte, in cui
sempre presente è la relazione fra parte e tutto. E in ogni parte si dispiega la
presenza del tutto, così come il tutto si rispecchia nella singola parte. “Così
come ogni singolo punto di un ologramma contiene la totalità
dell’informazione di ciò che rappresenta, ogni singola cellula, ogni singolo
individuo contiene in modo ologrammatico il tutto di cui fa parte e che nel
medesimo tempo fa parte di ciascuno di essi”29.
Una visione del mondo in cui i differenti elementi siano tessuti insieme in
un rapporto interdipendente e interattivo tra loro medesimi e il loro
ambiente30.

28
Edgar Morin, Les sept savoirs necessaires a l’education du futur, trad. di Susanna
Lazzari, I sette saperi necessari all’ educazione, Raffaello Cortina, 2001 pag. 35.
29
Ibidem, pag. 37.
30
Inteso nel senso più ampio del termine, riferendoci allo stesso tempo all’ambiente
naturale, culturale e sociale circostante gli organismi.

9
1.2 Paesaggio e territorio: abitare e costruire.

“il mio corpo è fatto della medesima carne del


mondo (è un percepito), e che, inoltre di questa
carne del mio corpo è partecipe il mondo”
(Merleau-Ponty)

“L’ aspetto fondamentale della vita è che non comincia qui e finisce lì, ma
che continua sempre. Per la stessa ragione, un ambiente non è mai dato ma
è sempre in costruzione”31. L’ambiente in cui gli organismi sono implicati,
è un continuum relazionale, non un dato preesistente; un processo in cui la
presenza dell’uomo non si esaurisce alla sola azione esterna, ma si esplica
anche nella rappresentazione mentale che ha di se nel mondo, che scaturisce
dall’interazione incessantemente presente tra un contesto ed una attività.
“L’ambiente come «intorno» è un’interazione tra due presenze, quella
dell’abitante e quella del luogo.”32
L’uomo per comprendere il suo coinvolgimento nel mondo, non può
estraniarsi da esso, chiamandosene fuori, ma deve imbrigliarsi in esso,
intrecciando le propria esistenza al suo ambiente.
“Sotto lo spazio oggettivo, nel quale, in definitiva, il corpo prende posto,
l’esperienza rivela una spazialità primordiale di cui il primo non è se non
l’involucro e che si confonde con l’essere stesso del corpo. Come abbiamo
visto, essere corpo significa essere legato a un certo mondo, e il nostro
corpo non è, originariamente, nello spazio, ma inerisce allo spazio”33.
Dunque questa visione pone il “luogo e l’abitante”in una continuità di segni
e di rapporti affini e, il corpo che “abita” lo spazio e ne è parte integrante,
costituisce il tessuto di relazione tra l’esistenza dell’uomo e del mondo.
31
Tim Ingold, Ecologia della cultura, cit. pag. 111.
32
F. La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente cit. pag. 88.
33
Maurice Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, Paris 1964, trad. Il visibile e
l’invisibile, a cura di M. Carbone, Milano 1994, pag. 260

10
L’uomo trae alimento per la propria rappresentazione del mondo, per il suo
agire in esso, dal coinvolgimento pratico con ciò che lo circonda e, il
mondo diventa un contesto ricco di significato, dal momento in cui vi è un
soggetto, l’uomo, che lo percepisce. Senza il mondo, l’uomo non avrebbe
possibilità di “esserci”; senza l’uomo, il mondo esisterebbe come un dato di
natura, una realtà fisica che vive sulla base delle proprie ragioni, che stanno
alla base dei suoi incessanti dinamismi.
Rappresentazione e azione da parte dell’uomo, trovano la loro analogia e la
loro “formazione” nei concetti reciproci di paesaggio e territorio, nel
mondo.
Queste due immagini racchiudono nella loro manifestazione il modo in cui
l’uomo si rapporta con l’ambiente o, detto in altro modo, come l’uomo
generi la propria cultura, le proprie pratiche di azioni e interpretazioni della
realtà dall’interno, mediante una partecipazione con il mondo. In questo
senso la cultura non va intesa come un’ entità stabilita a priori, ma come
una dimensione “processuale” di abilità e di pratiche apprese attraverso la
partecipazione ad una comunità storicizzata34 e poi, in vario modo usate,
modificate e trasmesse nello spazio e nel tempo. “( La cultura) Si presenta
come l’esito di un’inter-agentività, cioè di un esito comune in un ambiente
comune, che comprende l’incontro, l’osservazione, e la cooperazione in
eventi e situazioni concrete.(..) In altre parole la cultura non è una tela già
filata che le persone indossano come un vestito(o un paio di occhiali), ma
l’attività di tessitura stessa, per mezzo della quale gli esseri umani
intrecciano le proprie esistenze all’ordito della loro nicchia ecologica”35.

34
Con questo termine si indica una pratica inserita in quella civiltà, in quell’epoca e in
quell’ ambiente, dove la comunità condivide quella visione del mondo, quel modo di
agire.( Prefazione di Umberto Galimberti in Ernesto De Martino, Sud e Magia, Feltrinelli,
2000, pag. XI)
35
Tim Ingold, Ecologia della cultura cit. pag. 29.

11
Le culture, in quanto generatesi in ambienti con caratteristiche precise, si
esprimono in paesaggi, che risentono direttamente dei modi in cui le
comunità che le interpretano dialogano con l’ambiente e organizzano il loro
territorio.
All’uomo non è dato conoscere il mondo nella sua vastità; la percezione è
vincolata agli spazi limitati che lo sguardo può abbracciare, “il mondo è ciò
che vediamo, ciò che percepiamo”36 e, questo rimanda al concetto di
paesaggio, una finestra che consente di guardare dentro il mistero del
mondo e, di percepirne l’immensità, “l’invisibile che sta al di là del
visibile”. E ciò che l’uomo riesce a scorgere attraverso la percezione, sono
tutti elementi fondamentali ai fini del suo abitare, inteso in senso
Heideggeriano: cioè non limitato a una sfera di attività tra tante, bensì
ricollegato all’esistenza, all’intera maniera in cui si vive sulla terra. 37
Sono le cose della natura circostante che, dall’uomo, vengono assunte ed
elaborate come propria esperienza del mondo, e come scoperta di sé entro il
quadro delle cose che costituiscono il proprio universo percettivo:“Il mondo
è l’orizzonte di senso in cui il corpo si riconosce, attraversato dalla
diversità che lo sottrae alla coincidenza con il mondo”38
L’attrazione per il paesaggio è una conferma per l’uomo della propria
presenza, del suo essere in comunicazione con il mondo, in fusione con
esso pur rimanendo autonomo e “altro” (un ente separato) rispetto alle cose
che lo circondano.
“Non esiste paesaggio senza sguardo, senza coscienza del paesaggio”39.
Dunque i due termini (corpo, mondo) sono direttamente integrativi e
dipendenti nella loro autonomia.
36
M. Merleau-Ponty, Le visible et.., cit. pag. 122.
37
Martin Heidegger, Costruire, abitare, pensare, Milano 1991, citato in T. Ingold,
Ecologia della cultura pag. 133.
38
Maurice Merleau-Ponty, Le visible et .. pag. 142.
39
Marc Augè, Le temps en ruines, Galilèe, 2003 Paris, trad. Rovine e macerie. Il senso del
tempo, a cura di A. Serafini, Bollati Boringhieri, Torino, 2004 pag. 37.

12
Nell’idea di paesaggio, è implicita la presa di coscienza di come l’agire
dell’uomo si collochi in rapporto all’ambiente circostante, tramandando le
tracce (soggette sempre al mutar del vento) della propria appartenenza
terrestre. E attraverso lo sguardo al paesaggio, partendo dall’idea
dell’“abitare”, le culture elaborano continuamente modelli di
organizzazione dello spazio. Uno spazio che ha dei limiti e delle
caratteristiche fisiche, sulla base delle quali si configura l’azione dell’uomo.
Il prodotto dell’azione è il territorio, come costruzione fisica dell’uomo, che
segue immediatamente la corrispondente costruzione mentale del territorio,
che nasce e si esplica nel paesaggio. “In definitiva, il territorio invoca
l’agire, il paesaggio il guardare”40. E’ da osservare che i due momenti sono
differenti tra loro, ma strettamente connessi. Il territorio è il prodotto
dell’agire, consecutivo al momento del guardare, poiché le azioni del
costruire appartengono al nostro abitare il mondo, nascono
dall’osservazione di ciò che siamo e dal coinvolgimento pratico con ciò che
ci attornia. “Non è che noi abitiamo perché abbiamo costruito; ma
costruiamo e abbiamo costruito perché abitiamo, cioè perché siamo in
quanto siamo gli abitanti (die Wohnenden). (…) Il costruire è già in se
stesso un abitare.(…) Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo
costruire”41.
Paesaggio e territorio, non possono prescindere da una descrizione
relazionale, che veda partecipe sia l’uomo in quanto essere nel mondo, sia il
mondo in quanto percepito dall’uomo.
Abitare e costruire si accompagnano a una descrizione doppia, dove la
relazione e l’interazione reciproca tra i due momenti stanno alla base di
ogni spiegazione. La rappresentazione e l’azione fanno parte di un processo
ininterrotto che prosegue per tutto il tempo che un ambiente viene “abitato”.
Eugenio Turri, Il paesaggio degli uomini cit. pag.23.
40

Martin Heidegger, Costruire, abitare, pensare, Milano 1991, citato in Tim Ingold,
41

Ecologia della cultura pag. 134-135.

13
“E’ nel processo stesso dell’abitare che costruiamo”42.
Inoltre, entrambi, paesaggio e territorio, sono lo specchio oggettivo della
diversità fisica del mondo e mediatori dei differenti approcci che gli uomini
hanno elaborato e continuano a elaborare come momenti comunicativi e di
scambio tra ambiente e cultura, come pratiche identitarie e relazionali.

1.3 Identità e “mente locale”

“ La bellezza del mondo serve a costituire la


varietà degli umani, la sostanzia di colori, odori,
memorie, sogni e nuvole”
(Franco La Cecla)

Da sempre l’uomo si è posto domande sul proprio essere nel mondo, al fine
di placare l’inesausto bisogno di “costituirsi”, di prendere possesso del suo
stesso corpo, alla ricerca di una conferma della propria appartenenza ad una
umanità di consimili, dove poter identificarsi nell’altro e riconoscere l’altro
in se stesso, attraverso il radicamento ad una cornice fornitrice di senso 43,
disposta a creare continuamente elementi a cui potersi appigliare. E
molteplici possono essere le scelte da lui invocate al fine di plasmare la
propria identità44. Essendo tale bisogno prerogativa dell’umanità, si
alimenta nelle stanze inconsapevoli dei propri pensieri/sogni che,

42
Tim Ingold, Ecologia della cultura, cita. pag. 138.
43
Ben rappresentata dalle “culture”.
44
Ci si riferisce alle molteplici dimensioni in cui poter individuare la propria identità, in
un climax che può essere decrescente o viceversa; dall’identità nazionale, all’identità
regionale, familiare, etnica, religiosa, di gruppo, ecc.

14
quotidianamente si intrecciano all’interno dei contesti relazionali, del
coinvolgimento pratico con la gente nel mondo circostante.
Il primo modo per affermare la propria esistenza è data dalla capacità di
reagire e interagire con l’ambiente, con la rappresentazione e l’azione su di
esso o, per meglio dire, attraverso la costruzione simbolica e concreta del
luogo circostante, così da acquistare senso per coloro che lo abitano.
Gli abitanti di uno spazio proiettano la propria immagine mentale, che
nasce dal rapporto con le situazioni contingenti, sul luogo da essi occupato,
in modo da riconoscere il luogo da cui si riverbera la propria identità. Ma
proprio come il luogo è soggetto a un continuo processo di percezione ed
azione, così l’identità non è mai data una volta per tutte, evolve sempre
durante il corso dell’esistenza tramite le esperienze che si vivono, da cui la
facoltà dell’abitare si forgia, diventando espressione della mente locale.
Da parte dell’ individuo sarebbe necessaria la continua differenzazione
della attenzione in soggetto, oggetto e luogo, inteso come situazione ubicata
in un ambiente, per sconfiggere la identificazione che accusa in ogni
momento.
“La presenza nello spazio è attività di conoscenza. Ha dunque a che fare
con i sensi, con la percezione che proviene in questo caso da tutto il corpo.
L’ organo del «senso spaziale», se così si può chiamare, è il corpo nel suo
insieme. Sentire di essere qui è una percezione complessa ed unitaria
difficilmente separabile dalla sensazione che il corpo ha di sé. Ma la
«mente locale» è sì percezione, ma anche definizione dello spazio intorno,
tracciamento su di esso delle proprie intenzioni, dei propri movimenti. Ed è
anche uso di questo stesso spazio, cioè servirsi dell’intorno come di uno
strumento involucro, una protesi della presenza corporea.”45
L’individuo, infatti si radica nel suo ambiente attraverso processi locali, in
quanto generatrici di sensazioni, abilità specifiche, che non si codificano in
45
F. La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, cit. pag. 94.

15
norme, ma danno luogo a rappresentazioni, definizioni e usi circoscritti e
scaturiti da un sistema di relazioni costituiti dalla presenza del corpo in un
ambiente localmente strutturato. L’ individuo, in crescita e in formazione
all’interno di relazioni locali, modifica continuamente l’ identità del proprio
spazio e del proprio corpo, l’uno inteso come il prolungamento del secondo
e, l’altro come espediente inseparabile al sentimento di sentirsi all’interno
dello spazio, da cui trae la visione del sé in quanto membro di una
comunità.
Da questa definizione traspare che la conoscenza deve affrontare la
percezione complessa e unitaria. Risalendo al significato etimologico di
complesso, da complexus, cioè tessuto insieme, ci si riferisce a differenti
elementi che realizzano un tutto, tessuti in una tela, e dunque tra di loro
inseparabili e, quando vi è tessuto interdipendente, interattivo e inter-
retroattivo tra le forme di conoscenza e il loro contesto; “le parti e il tutto,
il tutto e le parti, le parti tra di loro. La complessità è, perciò, il legame tra
l’unità e la molteplicità”46
La fondazione dell’identità, dunque, se da un lato richiama il concetto di
“somiglianza”, dando all’uomo la possibilità di riconoscersi come membro
di una comunità con cui condividere la stessa storia, le stesse relazioni, la
medesima appartenenza, dall’altro racchiude l’idea dell’incontro e del
contatto con gli “altri”, la diversità. Quando si afferma qualcosa, è
sottintesa la negazione e l’esclusione di un’altra ipotesi (ad esempio dire
sono italiana, equivale a dire non sono francese).
“Ogni tentativo di creare un’identità è un’azione duplice: da un lato si
include, dall’altro si esclude; in nome di una particolarità si rinuncia
parzialmente o temporaneamente, alla molteplicità”47

46
Edgar Morin, Les sept savoirs necessaires a l’education du futur, trad. di Susanna
Lazzari, I sette saperi necessari all’ educazione, Raffaello Cortina, 2001 pag. 38.
47
F. Remoti, Contro l’identità, pag. 19, citato in M. Aime, Eccessi di culture, Einaudi,
2004 pag. 126.

16
Innanzitutto si può desumere che, essendo una rinuncia parziale e non
definitiva, la pratica identitaria non sia mai data una volta per tutte, ma in
continua elaborazione e costruzione.
In secondo luogo, si deduce che, le collettività, come gli individui, hanno
bisogno di pensare all’identità e alla relazione contemporaneamente, come
atto di esclusione, che in una visione temporale può dare vita all’opera di
negoziazione48 tra il proprio sé sociale e le diverse alterità.49
Questa operazione implica la necessità di simbolizzare concretamente gli
elementi costitutivi dell’identità condivisa, e uno dei mezzi di reificazione
identitaria è data dal modo di organizzare lo spazio locale.
E i luoghi, in quanto reificazioni della percezione e dell’azione dell’uomo e,
della collettività, “si vogliono (li si vuole) identitari, relazionali e storici.”50
L’organizzazione dello spazio, la disposizione delle abitazioni, la divisione
del territorio “corrispondono per ciascuno ad un insieme di possibilità, di
prescrizioni e di interdetti il cui contenuto è allo stesso tempo spaziale e
sociale, (…) il che significa che in uno stesso luogo possono coesistere
elementi distinti e singoli, certo, ma di cui non si possono negare né la
relazioni reciproche, né l’identità condivisa che conferisce loro
l’occupazione dello stesso luogo comune. ”51
Dunque, l’organizzazione sociale e i modelli ideologici che nel loro insieme
costituiscono un sistema di conoscenza del luogo e di relazioni abitanti-
abitato generano la mente locale, che permette, a sua volta di fare del luogo
“un «riassunto sensibile» del mondo solo per chi ne ha percezione
attraverso la sua località. (…) Lo spazio è il luogo di metafore tangibili,

48
Voglio intendere questo termine sia come possibilità di incontro, che di scontro, ma
comunque come scambio reciproco.
49
Marc Augè, Le temps en ruines, cit. pag. 62.
50
Marc Augè, Non-lieux, Seuil, Paris, 1992, trad. Nonluoghi, a cura di D. Rolland,
Eleuthera, Milano, 2005, pag. 52.
51
Ibidem, pag. 52-53.

17
limiti, soglie, centri, spigoli, angoli, rarefazioni e condensazioni, che si
possono «sentire» con tutti i sensi di cui è fatta la mente locale.”52
La mente locale opera analogicamente per metafore, includendo, oltre il
sistema di relazione degli uomini e, tra gli uomini e il loro conteso, anche le
relazioni con i modelli ideologici, le visioni del mondo, che possono
rivelare implicazioni non formulate coscientemente nel pensiero degli
abitanti di quell’insediamento. Ed è in questa concezione che vengono
definiti luoghi storici: “nella misura in cui coloro che vi vivono possono
riconoscervi dei riferimenti che non devono essere oggetti di conoscenza”53
Il luogo vive nella storia perché porta con sé le tracce di tutto ciò che è stato
e delle trasformazioni che di volta in volta l’uomo ha intrecciato con il
territorio e i suoi membri. Così il luogo evoca lo sguardo indagatore sul
senso del tempo, dei passati recenti e remoti, della storia che deposita le sue
tracce via via nel silenzio degli eventi che la evocano e la nutrono.
E’ storico, anche perché identitario e relazionale. La formazione
dell’identità, “fa appello alla tradizione, ad una storia, una lingua, una
cultura, un territorio e ad alcune caratteristiche morali comuni.”54
Ma questa rivendicazione di comunanze, può avere, come già detto, un
duplice effetto, di inclusione ed esclusione, così da generare meccanismi di
chiusura e autodifesa, con la costruzione di confini non solo simbolici, ma
anche erigendo vere e proprie barriere spaziali tra una mente locale ed
un’altra.

1.4 Centro e periferia

52
F. La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, 2005 cit. pag. 121.
53
Marc Augè, Non-lieux cit. pag. 53.
54
Marco Aime, Eccessi di culture, cit. pag. 28.

18
“Me ne andavo l’altra sera quasi
inconsciamente , giù al porto Bosforeion là
dove si perde, la terra dentro al mare, fino
quasi al niente e poi ritorna terra e non è più
Occidente .Che importa a questo mare essere
azzurro o verde?”
(Francesco Guccini)

Come l’uomo lascia le impronte sul territorio da lui percorso, così i luoghi
sono tracce dell’operare e della visione umana. I luoghi sono come le
pagine di un testo che, se pur scritte una sola volta sono soggette a infinite
interpretazioni, a future revisioni e a continue scoperte da parte di chi le
legge, o di chi le scrive, poiché prodotto di un pensiero e di un’ azione che
in quanto esteriorizzato cade in balìa del rapporto uomo-testo (per cui il
soggetto e l’oggetto si modificano reciprocamente), generando
un’autonomia che permette di ripercorrere le vie dei soggetti, attori del
testo, e risalire alla loro rappresentazione del mondo.
Si può ripercorrere la storia di un popolo e delle sue relazioni con gli “altri”
attraverso l’osservazione delle organizzazioni spaziali e, da queste tracciare
guide che, se pur non stabili e bisognose di continue modifiche, possano
almeno proporre quadri interpretativi dell’evolversi della quotidiana
manifestazione del rapporto prossimo tra gli uomini e l’ambiente.
“Un villaggio, una città possono essere sintesi, specchio, rappresentazione,
libro del cosmo intero con tutte le sue incredibili complessità.(…) Non ne
rappresentano la creazione e la storia, ne sono la creazione e la storia, con
un parallelismo che non deve stupire, appunto perché un insediamento non
fa «finta» di essere il mondo, fa già il mondo”55
Esse (città, villaggi) rivelano, infatti, la complessità delle dinamiche che
fluiscono tra gli innumerevoli popoli che fanno la storia del mondo.
55
F. La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, cit. pag. 59.

19
Volendo fare una descrizione delle nostre società a partire dalla loro
interazione con le città, una prima considerazione comune potrebbe
cominciare dal prendere in considerazione la divisione strutturata in centro
e periferia.56
“Le megalopoli del mondo attuale sono percorse da molti muri, molte
frontiere che separano più o meno rigidamente ricchi e poveri, residenti di
lunga data e immigrati, vecchi e giovani, benpensanti e ribelli…Vi si
ritrovano, trasposte nello spazio, le contrapposizioni del mondo odierno.”57
Contrapposizioni che prendono forma dal tracciamento di confini che
implicano una differenziazione qualitativa tra membri di una società ed
estranei. Tale differenziazione qualitativa prende le mossa da una visione
stereotipata dello straniero. Si ripropone incessantemente la creazione dello
straniero come categoria e non come individuo, partendo dalla divisione
noi-loro che si radica sulla non appartenenza ad un medesimo territorio.
“I sistemi categoriali delle comunità locali assorbono (o sono costretti a
elaborare ) delle tipizzazioni sempre più rigide di “altri, emanate dall’alto,
che li usano per istigare la popolazione maggioritaria a diventare lo
strumento di una repressione statale. In questo senso gli stereotipi
rappresentano davvero un modo crudele di «fare cose con le parole» e
hanno conseguenze materiali.”58

56
I rapporti centro- periferia sono stati analizzati secondo scale di riferimento diverse,e
naturalmente secondo ottiche diverse soprattutto da , geografi, economisti e sociologi. Ad
un livello globale riflettono la divisione del mondo in zone di sviluppo e sottosviluppo,
nelle società tradizionali tale diade concerne soprattutto il rapporto città campagna o
sedentari e nomadi “aree controllate direttamente dallo Stato e aree a esso legate
indirettamente. Nelle società industriali si manifesta nel rapporto metropoli hinterland,
che si traduce in fenomeni come il pendolarismo e le migrazioni.” ( Centro \ Periferia in
U.Fabietti e F.Remotti, Dizionario di antropologia, 2007 Zanichelli, Bologna, pag 156)
57
Marc Augè, Le temps en ruines,cit. pag.117.
58
Michael Herzfeld, Cultural intimacy. Social poetics in the nation-state, , Routledge,
New York, 1997, trad. E. Nicolcencov, Intimità culturale. Antropologia e nazionalismo,
L’Ancora, Napoli, 2003 pag. 188-189.

20
Da qui si evince la forza reificante dei processi generatori dell’alterità, che
si incontrano nello spazio costituendo il nesso d’azione fra due identità
distinte.
I confini segnano lo scarto tra due identità, generalmente tra coloro che
possono vantare la loro nascita autoctona e coloro che nell’anonimato
rappresentano una massa variegata, la quale condivide solo il fatto di essere
nata in qualche posto lontano. Gli stranieri, gli immigrati vengono relegati
in una visione generale, in una “categoria astratta”, che annulla le persone
in quanto individui “e le trasforma in quelli che Alessandro Dal Lago
definisce non-persone.”59
A questo processo di offuscamento dell’individuo si accompagna la
costruzione di stereotipi negativi, che suscitano sospetto e diffidenza,
perché alla paura di ciò che non si conosce, dell’estraneo, si aggiunge il
timore per quel “mucchio astratto definito sulla base di una uniforme e
assoluta diversità culturale”60, che si inserisce nel quadro di una strategia
politica che tende all’omologazione del “noi”, e all’esclusione dell’ “altro”.
E la divisione in centro e periferia è il prodotto di tali strategie, del
confronto fra ricchezza e povertà, pensata proprio per evitare l’incontro con
i settori più degradati della nostra società. La periferia è un luogo di disagio
e clandestinità, dedicata a coloro che non hanno la cittadinanza, agli
stranieri, ai diversi da noi. E oggi, all’interno di una concezione monolitica
della cultura, l’ attenzione è posta sempre di più sulla diversità, e con ciò si
rischia di innalzare barriere di incomunicabilità, proiettando sugli altri
differenze che potrebbero essere superate, se solo qualche volte si
ricordasse che ogni cultura è già di per sé multiculturale, perché si genera
via via con l’esperienza, in contesti relazionali che non sono monolitici e
immutabili e che da sempre sono stati soggetti a infinite variazioni e

59
Marco Aime, Eccessi di culture cit. pag. 76.
60
Ibidem pag. 77.

21
sincretismi. “Il tuo Cristo è ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua
pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua
vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è
uno straniero”61. Le prime affermazioni non fanno notizia, mentre “il tuo
vicino è uno straniero” viene ricordato continuamente dal processo di
costruzione della diversità che minaccia l’identità; atteggiamento che viene
definito “razzismo di contatto”62, perché scaturito dalla fobia dell’incontro
ravvicinato, dalla paura del contagio che il contatto con un’alterità può
procurare. Sicuramente tale timore trova la volontà di essere affermato e
strumentalizzato da certi gruppi politici a fini di propaganda elettorale,
attraverso la produzione di iconicità63: “ciò suggerisce che l’immigrazione,
invece di essere affrontata come un fenomeno di proporzione ampie, che
pone questioni fondamentali per gli Stati nazionali e la società civile
(dall’integrazione interculturale, alla cittadinanza, ai diritti sociali), non da
oggi è brandita come una bandiera politica e ideologica ”64.
Nelle grandi aree metropolitane, non sempre a misura d’uomo, le periferie,
di riflesso, “sono mantenute nella dipendenza, come bacino elettorale o
come discarica di problemi.”65
Lo straniero, se pur lasciato ai margini dello spazio sociale, è colui che
maggiormente percorre le strade delle città: “ Se circolate per le città
italiane di domenica incontrate solo immigrati in luoghi che erano un

61
Da un manifesto tedesco degli anni Novanta, citato in Marco Aime, cit. pag. 73.
62
A. Taguieff, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, Raffaello Cortina, 1999
Milano, pag. 49.
63
Con tale concetto “ ci stiamo riferendo non a cose permanenti, ma a processi persuasivi
attraverso i quali si ottengono permanenza ed essenzialità. L’iconicità non esiste; viene
inventata, e la decisione di riconoscere l’iconicità ha sempre delle implicazioni
potenzialmente politiche.” Michael Herzfeld, cit. pag. 78
64
Ilvo Diamanti, I fini ambigui del voto agli stranieri, in «la Repubblica», 12 ottobre
2003, citato in Marco Aime, Eccessi di culture pag. 94.
65
Eleonora Martini, In Italia, la banlieue si sposta al centro, in «il Manifesto», 22 maggio
2007.

22
tempo luoghi di aggregazione, piazze, angoli, stazioni, parchi. Gli italiani
sono altrove, in casa, o in vacanza (in auto) altrove”66.
E così periferia e centro si incrociano in due mondi contigui e differenti,
dove a prevalere sono le barriere mentali.
Ma non è solo la paura del contatto con la diversità a minacciare l’identità;
essa si sente fortemente intimorita da tutto ciò che sfugge ai modelli di
comportamento stabiliti, alle regole d’azione poste dall’alto. Aime
riflettendo su un episodio politico che ha interessato l’Italia nell’ottobre del
2003, ovvero sulla reazione alla proposta avanzata dall’allora
vicepresidente del consiglio riguardo alla concessione del voto agli
immigrati regolari, (il 76 per cento degli italiani risultò favorevole),
approda ad affermare: “Non sarebbe dunque il razzismo a fomentare odio e
diffidenza verso gli stranieri, se mai la paura e l’incertezza che nascono dal
non definito, inteso come non regolare, o meglio non regolarizzato. E’
l’irregolare che crea disagi o paure.”67
Ed è proprio contro queste minacce che si ergono fitte barriere di presunta
incompatibilità.
Ma è impossibile pensare alla differenza senza rifarsi a qualche ordine di
gerarchia…la differenza neutra non esiste, e la divisione in centro e
periferia rispecchia, di fatto, rapporti di dominio, per cui da due gruppi
culturali coinvolti nell’interazione, può prendere corpo la relazione di
dominanza\sub-ordinanza. In questo senso si possono trovare numerosi
esempi storici, quali il colonialismo europeo conclusosi formalmente
intorno alla metà del XX secolo, nel quale vi era la convinzione da parte dei
colonizzatori della propria superiorità nei valori etici e morali, che
legittimava l’estensione della loro sovranità sui territori e popoli all’esterno
dei confini nazionali. Questa disparità di potere da parte dei gruppi culturali

F. La Cecla, Il malinteso, Laterza, Roma- Bari, 2003, pag. 54.


66

M. Aime Eccessi.., pag. 93-94.


67

23
causava un’influenza tendenzialmente unidirezionale, dal gruppo dominante
verso il gruppo dominato.
E’ anche vero che la dicotomia centro periferia può reificare altre strategie
di “non-incontro”. Quando la società dominante per qualche motivo non è
interessata né intenzionata ad un rapporto, se pure diseguale, con le culture
minoritarie può venirsi a formare una situazione nella quale si crea un tipo
di società basata sulla segregazione delle minoranze. O ancora, quando è
imposta o voluta l’emarginazione, l’alternativa che tende a profilarsi è
chiamata esclusione. “Frammentazione, disgregazione, perdita del
radicamento territoriale e del valore integrativo del luogo, e di
conseguenza marginalità, esclusione, povertà, degrado. Sono nella città
contemporanea italiana, post-industriale e globalizzata, caratteristiche
peculiari non solo più delle periferie in senso stretto”68.
E infatti, nelle città sono facilmente riconoscibili le zone che delineano una
chiara frontiera fra la zona di identità (di identità riconosciuta e di relazioni
istituite) e il mondo esterno, il mondo della estraneità assoluta, aree
interstiziali e di margini che se pure all’interno del centro, non si discostano
dal testimoniare una realtà fatta “di pericolosi abbandoni, di disagio e di
un’emarginazione che nasce dalla composizione di forme diverse della
povertà, a partire da quelle legate all’immigrazione e alla
disoccupazione”69 …E così «periferia del centro, centro della periferia » si
incrociano continuamente senza guardarsi negli occhi.
Con questo discorso non voglio relegare le periferie ad uno stato passivo di
interazione; “Da sempre fa notare Ariel Dorfman, gli emigranti oscillano
tra due strategie opposte: il rifiuto e l’assimilazione”.70 Infatti dal punto di
vista del gruppo minoritario, quando un individuo non è interessato a

68
vv. nota 55.
69
vv. nota 55.
70
A. Dorfmann, Due lingue e una capanna, in «la Stampa», 26 febbraio 2001, pag. 13,
citato in Marco Aime, pag. 70.

24
mantenere la propria cultura e identità e, dunque, cerca un contatto con la
società dominante, si profila l’assimilazione. Al contrario, quando si cerca
di mantenere la propria cultura, evitando il contatto con le altre, allora viene
a definirsi l’alternativa della separazione, del rifiuto culturale. Quando,
invece, vi è interesse sia a mantenere la propria cultura, sia ad avere
interazioni con i membri delle altre culture si profila l’integrazione. Infine,
quando si ha scarsa possibilità e interesse alla continuità della propria
cultura, e scarsa possibilità e interesse nel rapporto con gli altri, si formano
le basi per l’emarginazione71.
E l’attività di creazione delle periferie riassume in sé gli ultimi tre casi
citati, in cui il territorio diventa il testimone di una relazione vincolata a un
campo di possibilità all’interno di un quadro limitato di scelte, le cui
probabilità di realizzazione possono essere determinate solo attraverso lo
sguardo della contingenza storica72.

71
M.M. Gordon, Assimilation in American life: The Role of Race, Religion, and National
Origins, Oxford University Press, New Jork, 1964.
72
Che prenda in considerazione un determinato gruppo culturale e le sue interazioni con
l’ambiente circostante in un dato momento storico, in un’ottica che vada dal generale al
particolare, integrando i vari punti di vista.

25

Potrebbero piacerti anche