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Massimo De Gennaro, Guido A.

Morina

INTRODUZIONE ALLA

FITOTERAPIA
L’USO ETICO DELLE PIANTE MEDICINALI NELLA CURA DELLA PERSONA

ISTITUTO EUROPEO DI RICERCA IN SCIENZE NATUROPATICHE


Proprietà letteraria riservata.
Qualsiasi parte di questo Ebook può essere riprodotta con ogni mezzo purché a scopo di
ricerca o divulgazione, ma con il consenso degli autori.
Qualsiasi riferimento a persone, enti, società e situazioni non è casuale ed è stato
rigorosamente accertato e documentato nella sua correttezza e veridicità. L’autore è
naturalmente disponibile a rettificare immediatamente qualunque dato possa essere
dimostrato contrario alla realtà dei fatti e ingiustamente lesivo dell’immagine e della
dignità altrui, riservandosi il diritto di difendere la propria.

Prima edizione: maggio 2002


Seconda edizione: febbraio 2004
Terza edizione: luglio 2005
Quarta edizione, riveduta, corretta: e ampliata: giugno 2019
“Le opinioni e le credenze degli uomini non dipendono dalla loro volontà,
ma seguono involontariamente gli elementi di prova proposti alle loro menti”

Thomas Jefferson, 1779,


in Writings, a cura di Merryll D. Peterson, Library of America, New York 1984, p.346,
citato in Sennet, R. (2010). L’uomo flessibile. Milano: Feltrinelli.
Indice

Introduzione 1

Fitoterapici: farmaci, rimedi naturali, fitointegratori alimentari? 11

Erboristeria tradizionale: efficacia e utilità “storica” dei rimedi naturali 19

Lʼinsegnamento tradizionale della fitoterapia 23

Le strategie di vendita e di marketing dei prodotti fitoterapici 25

I rimedi fitoterapici in naturopatia e medicine alternative 36

Il caso del cranberry 40

La leggenda del Ribes Nigrum 46

La divulgazione in materia di piante medicinali 48

Quando la disinformazione viene da chi vuole informare 58

Amore per le piante o amore per se stessi? 60

Il ruolo della fitoterapia nella naturopatia ad indirizzo di Scienze naturopatiche 65

Conclusioni 75

Bibliografia 78
Fitoterapia e scienze erboristiche

Introduzione

Lʼuso di erbe, piante e preparati erboristici costituisce una delle più


antiche forme di medicina. Come tale, lʼerboristeria si è oggi evoluta in
fitoterapia, ad indicare lʼuso di rimedi provenienti dal mondo vegetale a
scopo terapeutico, cioè, nel senso ristretto del termine, per la cura di
malattie specifiche. La ricerca, in questo senso, prosegue confortata
dallʼinteresse di tutto il mondo scientifico e da quello medico in particolare,
dal momento che proprio dalle piante medicinali esso ha da sempre
ricavato la maggior parte dei suoi farmaci. Il problema è che una ricerca
seria, rivolta cioè a formulare rimedi da utilizzare con relativa sicurezza
sullʼessere umano, è costosissima e richiede le stesse procedure che le
aziende farmaceutiche adottano prima di immettere sul mercato un
qualsiasi farmaco.
Dato quindi per incontestabile il fatto che da sempre i principi attivi di
molte piante entrano nella formulazione di molti farmaci, la tendenza
sembra essere quella di sottrarre via via lʼuso di erbe allʼerboristeria e alle
medicine alternative, per trasformarle in farmaci di competenza medica

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Fitoterapia e scienze erboristiche

man mano che esami e ricerche scientifiche ci dimostrino le loro


caratteristiche terapeutiche. La farmacognosia, cioè quella branca della
ricerca farmaceutica che studia gli effetti terapeutici delle piante, sta
andando insomma verso lʼassimilazione, in tutto e per tutto, dei rimedi
fitoterapici ai farmaci che richiedono prescrizione medica.
Tutte le piante, naturalmente, esercitano un effetto sul nostro
metabolismo.
Alcune producono effetti anche se assunte in minima quantità, altre, la
maggior parte, richiedono una somministrazione in quantità superiori a
quelle corrispondenti al loro normale consumo sotto forma di tisane o
decotti.
I problemi che esse pongono quando sono utilizzate a scopo terapeutico
sono legati alla complessità della sperimentazione clinica di tali effetti, al
loro dosaggio e concentrazione, alla loro tossicità in funzione di essi, alla
loro interazione con altre sostanze, compresi i cibi che assumiamo, e alla
reattività individuale al loro consumo. Del resto, è assolutamente evidente
che se le piante offrono proprietà curative, il principio fondamentale del
rispetto per la salute dellʼessere umano deve condurre ad utilizzarle solo a
seguito di analisi e sperimentazioni che ne garantiscano il corretto uso
terapeutico.
Uno dei principi fondamentali che regola lʼattività professionale del
naturopata ad indirizzo di scienze naturopatiche, e lo differenzia dal
naturopata tradizionale, è il seguente. Qualsiasi sostanza o tipo di cura può
produrre, a seconda dei suoi principi attivi e dei suoi elementi costitutivi,
ma anche delle caratteristiche della persona che è sottoposta alla cura,
effetti blandi e praticamente ininfluenti sulla salute, oppure effetti sul
metabolismo. Nel primo caso, la logica, il buon senso, la pratica medico-
scientifica e quella naturopatico - scientifica suggeriscono di evitarne lʼuso,
per la sua sostanziale inutilità. Nel secondo caso, gli stessi fattori
sopraelencati ne impongono la somministrazione solo a seguito di attenta

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Fitoterapia e scienze erboristiche

analisi e diagnosi medica, sotto il controllo medico. In altri termini:


assumere un rimedio “naturale”, perché tanto male non fa, o perché non
altererebbe il metabolismo, significa assumere una sostanza inutile.
Assumere un rimedio naturale che ha effetti sul metabolismo senza il
controllo medico, per agire su una patologia, pensando che, in quanto
naturale, non possa far male ma produca solo effetti positivi, è una
affermazione talmente stupida che si commenta da sola.
Lʼobiezione che, come sempre, ci viene mossa a questo punto della
nostra argomentazione, è, con una ossessività tipica dei mantra, sempre la
stessa: “Ma io (o un mio parente) ho avuto enormi benefici dallʼuso di
rimedi rifiutati dalla scienza medica”. Certo, ma allora invitiamo il lettore a
seguire questo ragionamento: o la guarigione è stata dovuta a fattori diversi
da quello che il nostro interlocutore crede (dal momento che noi sappiamo
poco o nulla del funzionamento del nostro organismo e dei meccanismi
della salute), oppure quel rimedio era effettivamente efficace. Ma se lo era,
allora esso produce effetti importanti sul metabolismo che devono essere
lasciati alle cure di professionisti competenti in materia di patologie, e non
di erboristi o naturopati tradizionali. E se la medicina, la scienza medica, la
ricerca medico-biologico-farmaceutica non si è accorta, a livello
internazionale, delle straordinarie virtù del rimedio consigliato
dallʼerborista, allora o tutta la scienza è da gettare nella spazzatura, oppure
è possibile che quel rimedio abbia prodotto effetto per altri motivi, ben
diversi dalle sue proprietà fitoterapiche.
Grazie alla diffusione della naturopatia e di scuole, corsi o seminari
sullʼuso terapeutico delle piante, aperti a chiunque non sia analfabeta, si è
invece diffusa la pessima credenza che le piante, in quanto “naturali” siano
sostanzialmente innocue e che possano essere utilizzate liberamente su
autoprescrizione. Si sostiene che la loro eventuale tossicità sarebbe
annullata dai bassi dosaggi in cui esse vengono abitualmente assunte e
prescritte, mantenendo inspiegabilmente però il loro effetto terapeutico.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Su questo equivoco sopravvivono ancora erboristi e naturopati, o


“fitoterapeuti” improvvisati. Tutte queste figure, più o meno professionali,
forti di una spesso superficiale conoscenza dei soli aspetti biochimici delle
piante e delle credenze popolari che li circondano, ma nella ignoranza degli
aspetti clinici della loro somministrazione, continuano a proporre e
somministrare cure a base di piante medicinali approfittando, come da
sempre hanno fatto, delle maglie piuttosto larghe della legge, della
tolleranza dellʼOrdine dei medici e delle nicchie di mercato lasciate aperte
dalle multinazionali del farmaco, per le quali quello della fitoterapia non è
ancora un business interessante.
La fitoterapia raccoglie queste briciole, e le confeziona presentandole
ai più sprovveduti come perle di saggezza terapeutica, perpetuando
lʼequivoco secondo cui esse sono efficaci anche nelle forme e dosaggi in cui
sono liberamente vendute, ma senza produrre quasi mai effetti indesiderati.
In realtà, è ovvio che tutte le piante producono effetti indesiderati e tossici,
a seconda della forma della somministrazione e del dosaggio, in termini
assoluti e anche in quelli rapportati alla sensibilità individuale.
Il comune zafferano è letale se assunto in ragione di alcuni grammi,
per chiunque (Firenzuoli, 2000). Come diceva Paracelso, è la dose che fa il
veleno, intendendo dire che tutto ciò con cui lʼessere umano entra in
contatto è potenzialmente tossico, velenoso e pericoloso, oppure benefico, a
seconda della risposta individuale e alla quantità di sostanza che viene
assunta, non rispetto alle caratteristiche biochimiche intrinseche del
rimedio. Se questo è il vero problema nella somministrazione di rimedi
erboristici, la competenza del terapeuta consiste nel saper valutare, in
anticipo, le caratteristiche dellʼinterazione di quella sostanza con quella
persona e non certo le caratteristiche in assoluto delle sostanze che
somministra.
In realtà, lʼuso delle piante in medicina alternativa, che, a rigore, non è
fitoterapia, sopravvive solo approfittando della quasi assoluta mancanza di

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Fitoterapia e scienze erboristiche

integrazione scientifica tra due osservazioni diverse. Da una parte quella


dellʼanalisi biochimica farmacognosica, che in vitro o su animali sperimenta
quali siano i possibili (e solo potenziali) effetti di molte piante sulla fisiologia
umana (ma questo immenso lavoro è solo agli inizi e richiederebbe enormi
risorse per giungere a risultati veramente utili nella pratica clinica);
dallʼaltra parte la sperimentazione clinica sullʼessere umano, quasi
inesistente, limitata a pochissime piante di riconosciuta efficacia e di
altrettanto riconosciuta tossicità e pericolosità.
I principi attivi di tutte le piante sono farmaci a tutti gli effetti e come
tali andrebbero utilizzati a scopo terapeutico solo dopo adeguata
sperimentazione sotto il controllo medico. Nei casi in cui si dimostri, in
seguito a specifica sperimentazione, che essi non producono effetti tossici o
pericolosi nelle forme e dosaggi in cui sono liberamente venduti, è solo
perché in quelle forme e dosaggi si dimostra anche non solo che non
producono effetti collaterali, ma che non producono neppure effetti
terapeutici significativi. Naturalmente erboristi e naturopati hanno buon
gioco nel prescriverli richiamandosi alle possibili proprietà terapeutiche
teoriche, fondate solo su esami di laboratorio o su credenze popolari, senza
però mai fare riferimento alla loro efficacia sullʼessere umano, che solo la
sperimentazione clinica - quando esistente - può fornire.
Tutte le volte che tale sperimentazione è stata condotta con la necessaria
serietà, essa ha spesso condotto alla trasformazione del rimedio da farmaco
o erba in libera vendita a farmaco soggetto a prescrizione medica. La
sperimentazione scientifica dimostra sempre che, nelle dosi e nelle forme in
cui erbe e piante sono normalmente vendute in erboristeria o farmacia,
sotto forma di tisane o compresse o estratti fluidi, esse non possono che
produrre minimi se non impercettibili risultati. E questo è ovvio, perché,
forse è meglio ribadirlo, se ne producessero di rilevanti, non potrebbero più
essere lasciati allʼ autoprescrizione o al consiglio dellʼerborista, ma
richiederebbero una prescrizione e un attento controllo medico.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Da dove nasce, quindi, questo interesse diffuso per lʼuso a scopo


terapeutico di piante medicinali al di fuori dellʼambito fitoterapico medico?
In primo luogo, dalla necessità per erboristi e naturopati di sopravvivere
diffondendo lʼaberrante cultura che insegna a usare i rimedi fitoterapici
come farmaci, senza essere tenuti alla lunga e faticosa trafila necessaria per
diventare medici.
In secondo luogo, dal legittimo interesse economico di produttori e
commercianti di erbe e piante al fatto che esse possano continuare ad essere
commercializzate senza le restrizioni imposte per i farmaci.
Chiunque, a norma di legge, o meglio nella sua assenza, può oggi
improvvisarsi esperto in fitoterapia e suggerire lʼuso di piante per ogni
disturbo immaginabile. Così un sedicente naturopata (titolo che, in assenza
di regolamentazione legislativa, può attribuirsi legittimamente chiunque)
può suggerire, al posto del farmaco, una serie di rimedi a base di piante per
curare, per esempio, lʼepatite virale o un colon irritabile, con le stesse,
identiche modalità che userebbe un medico nella sua prescrizione:
prodotto, posologia, durata della cura.
Naturalmente, come insegnano astutamente le scuole di naturopatia
tradizionale, si tratta di dare queste indicazioni in maniera accorta e
prudente, circondando la prescrizione di cautele e di accorgimenti per non
incorrere in una denuncia da parte dellʼOrdine dei medici per esercizio
abusivo della professione medica. È sufficiente, per chi produce, che il
rimedio non rechi espressamente indicazioni terapeutiche e per il
“fitoterapeuta” che utilizzi giri di parole per giustificare la sua prescrizione
non come diretta alla cura della patologia, ma al riequilibrio di chakra, dei
meridiani o allʼoramai abusato “sostegno del sistema immunitario”.
Poiché i rimedi a base di erbe che questi terapeuti od erboristi possono
prescrivere sono commercializzati in forme e dosaggi innocui, è chiaro che
essi non rischiano neppure di causare effetti indesiderati, ma hanno solo il
vantaggio di poter usare lʼeffetto placebo a loro favore. Torneremo sul tema

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Fitoterapia e scienze erboristiche

del placebo in seguito, per approfondire come merita questo aspetto della
cura. Qui giova solo ricordare come esso sia responsabile, in media, di circa
il 30% delle “guarigioni” che i terapeuti alternativi attribuiscono ai rimedi o
alle cure da essi prescritte. La psicologia, che questi terapeuti non
conoscono, insegna con numerose e incontrovertibili argomentazioni come
il potere della suggestione è in grado di produrre effetti straordinari:
attribuirsene il merito è lʼaccorgimento da sempre utilizzato da guaritori
disonesti e ciarlatani.
Il fatto è che le scuole di medicine alternative che insegnano la
fitoterapia da un lato raccomandano lʼimportanza della corretta modalità di
estrazione dei principi attivi, della titolazione e standardizzazione del
rimedio, del loro effetto su patologie precise secondo procedure proprie
della cultura e del mondo medico-farmaceutico; dallʼaltro lato continuano a
insegnare una finta fitoterapia che affonda le sue radici nel mondo della
medicina popolare e dei rimedi della nonna, senza alcuna prova della loro
reale efficacia per il disturbo per cui sono state consigliate.
Si consideri questo fatto: milioni di persone oggi pensano di curarsi
con rimedi naturali, venduti in farmacia, erboristeria e nei supermercati,
per i quali manca totalmente la benché minima prova della loro reale
efficacia terapeutica. Se pensiamo alla marmellata, sappiamo che chi la
produce, chi la vende e chi la consuma non prende in considerazione i suoi
effetti terapeutici (che pure sono innegabili, dal momento che la marmellata
è a tutti gli effetti un integratore nutrizionale e naturale di vitamine,
minerali e diversi principi attivi). La marmellata si compra solo perché
piace ed è buona e nutriente, non perché possa avere, come in parte ha, un
effetto ricostituente, remineralizzante, attivatore del metabolismo o di
qualunque altro processo fisiologico specifico.
Se invece pensiamo a un integratore a base di estratto secco, per
esempio, di cardo mariano, chi lo produce, chi lo vende e chi lo compra,
non lo fa perché è anche un “alimento” (come chi lo vende è costretto dalla

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Fitoterapia e scienze erboristiche

legge a far credere, definendolo integratore alimentare, per non sottostare


alla costosissima procedura di approvazione del rimedio come farmaco), ma
solo ed esclusivamente per le sue virtù benefiche sul fegato, il che significa,
in altre parole, per il suo effetto terapeutico su tutte le patologie, più o meno
gravi, che interessano il fegato.
Ciononostante questi rimedi non sono presentati come dotati di un
qualche effetto terapeutico, ma, con un linguaggio ipocritamente tortuoso,
si specifica che sono utili più genericamente per riattivare la capacità
reattiva del nostro organismo, la sua capacità digestiva, il suo corretto
metabolismo, o, con una formula geniale, “in tutti i casi in cui necessiti una
supplementazione di questo nutriente”. Resta però il fatto che questi scopi
non vengono in qualche modo supportati da dati che dimostrino lʼefficacia
del rimedio per lʼessere umano, ma tuttʼal più si fondano su studi effettuati
in laboratorio circa la loro azione sul metabolismo a livello cellulare.
Il fatto che il cardo mariano sia considerato scientificamente e
farmacologicamente un utile rimedio per la protezione e il rinnovamento
delle cellule epatiche non dice nulla su quale forma sia la migliore per
essere assunto, quale quantità, in quali momenti della giornata, con quali
effetti benefici e negativi, per quanto tempo debba essere assunto, quale
tipo di alimentazione e stile di vita deve accompagnare la sua
somministrazione, quali precauzioni debbano essere adottate in relazione
allo stato di salute della persona e alle eventuali cure farmacologiche cui è
sottoposto.
Tutto ciò, fino a che, come dicevamo, questa pianta sia presa in carico
dalla ricerca clinica a seguito di quella farmacognosica ed eventualmente
dichiarato ufficialmente “farmaco”. Perché qui ci troviamo sul piano della
terapia, che ci piaccia o no. E la terapia volta al benessere della persona,
anche se attraverso il benessere del suo fegato, è una terapia medica che
solo il medico può prescrivere a seguito di una diagnosi.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Il fatto che poi la fitoterapia praticata al di fuori di un controllo


medico competente non faccia particolari danni è solo la dimostrazione del
fatto che i rimedi fitoterapici che non siano farmaci o non siano assunti in
quantità molto superiori a quelle descritte sono quasi inefficaci. Il che
significa che, nella stragrande maggioranza dei casi, il consumatore poteva
risparmiarsi il costo di una visita e quello del rimedio.
Solo di recente si è diffusa la prassi di indicare, nella composizione dei
rimedi fitoterapici, la titolazione e la standardizzazione. La prima
garantisce la presenza e la quantità di principi attivi contenuta nel rimedio,
la seconda la presenza e la costanza di tale percentuale minima di principio
attivo per ogni lotto di produzione. Non tutte le aziende, però, titolano i
loro prodotti, ancora oggi, il che significa che i rimedi che mettono in
commercio potrebbero essere persino privi di principi attivi e quindi
inefficaci. Eppure, quella di non effettuare analisi biochimiche
(probabilmente non solo per problemi di costo) al fine di garantire al
consumatore che il rimedio sia farmacologicamente dotato di potenzialità
terapeutiche è stata per decenni la prassi seguita da quasi tutte le aziende
che producono rimedi erboristici (e vale ancora oggi, per esempio, per
quelle che vendono rimedi spagirico-alchemici, i quali fondano la loro
efficacia su principi e pratiche esoteriche interessanti ma inefficaci sul piano
clinico). Nonostante ciò, le aziende sono sopravvissute e hanno persino
prosperato, a dimostrazione che, in mancanza di dimostrazioni scientifiche
circa la loro efficacia, i loro rimedi hanno prodotto un efficace effetto
placebo, se pur limitatamente ai piccoli disturbi alla cui cura sono destinate.
Si consideri che il costo alla produzione della maggior parte di queste
piante è di pochi euro al chilogrammo, e che i relativi rimedi contengono di
solito poche centinaia di milligrammi a compressa. Quanto poi agli estratti
fluidi, le tinture madri, i macerati glicerinati, la presenza della pianta e dei
suoi principi attivi in quantità significative è spesso puramente virtuale, nel
senso che non esiste la possibilità di verificare se e quanto il rimedio sia

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Fitoterapia e scienze erboristiche

stato diluito, in mancanza dellʼobbligo di specificazione controllata e


certificata al riguardo, o, quando questo obbligo esiste, grazie alla facilità
con cui esso può essere eluso.
Insomma, questi rimedi non sono sottoposti a quei rigidi controlli che
la legge impone ai farmaci, ma neppure agli alimenti. Per essere definita
aranciata, una bevanda deve contenere almeno il 12% di succo dʼarancia,
mentre per i preparati di cui sopra esistono solo le regole e i principi delle
diverse farmacopee, aggirabili con assoluta disinvoltura. Per questo, solo in
Italia sono centinaia le aziende che producono e commercializzano rimedi
a base di erbe: esse possono contare sullʼeffetto placebo che da sempre le
accompagna, su costi di produzione bassissimi e su ricavi notevolissimi.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Fitoterapici: farmaci, rimedi naturali, fitointegratori


alimentari?

La maggior parte, se non la totalità, delle aziende che operano nel


settore dei rimedi naturali produce o commercializza rimedi o preparati i
quali o sono privi di utilità ed efficacia rispetto a quanto viene
surrettiziamente suggerito, oppure sono spacciati come integratori o rimedi
naturali anziché per ciò che realmente sono, e cioè prodotti che, nelle loro
finalità, sono evidentemente destinati alla cura della salute.
Si consideri razionalmente il problema prendendo spunto dall'offerta
commerciale delle aziende del settore. Una bella azienda di produzione di
rimedi omeopatici e fitoterapici, per esempio, la “Labor Villa Stoddard
S.r.l. di Merano (ne abbiamo scelta una a caso, a scopo esemplificativo e
non certo denigratorio) commercializza, tra i suoi tanti prodotti, una serie

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Fitoterapia e scienze erboristiche

di “fitointegratori alimentari”. Il campione che abbiamo a disposizione,


Echinacea Purpurea Compositum, riporta in etichetta una serie di tredici
ingredienti, tutti estratti idroalcolici di piante. È molto dubbio che alcune
gocce al giorno di un composto di così tante piante in forma liquida,
ciascuna delle quali è quindi presente in quantità poco più che simbolica,
possano produrre un effetto diverso da quello dellʼassunzione di alcune
gocce di acqua minerale.
Non occorrono studi approfonditi di biochimica per sapere che le
piante in questione, per produrre un effetto significativo sul metabolismo,
dovrebbero essere state prima testate clinicamente su soggetti umani, e, in
ogni caso, dovrebbero essere somministrate in quantità enormemente
superiori sotto il controllo medico. Poiché il prodotto, per aggirare la
legislazione in materia di farmaci (la quale pretenderebbe che il rimedio
fosse stato appunto sottoposto a una serie di verifiche scientifiche
lunghissime, impegnative e costosissime, nellʼinteresse dei consumatori), ha
ottenuto la classificazione di integratore alimentare, esso reca anche in
etichetta i quantitativi per dose giornaliera, in milligrammi, di ciascuno dei
componenti, come se si trattasse, appunto, di nutrienti a fini alimentari. Il
che è ridicolo, perché non esiste, ovviamente, una quantità suggerita o
consigliata da nessuno al mondo, di piante come il tarassaco o la potentilla.
Come se non bastasse, lʼeffetto fisiologico riportato in etichetta si riferisce
alla seguente indicazione: “può essere utile per favorire le nostre naturali
difese”.
Ora, si rifletta solo per un attimo. Se un qualsiasi prodotto viene
venduto in farmacie o erboristerie per produrre un effetto fisiologico,
significa che la sua finalità è terapeutica, e non di integrazione alimentare.
Qualsiasi alimento, ma anche qualsiasi nostro gesto o atto produce un
effetto fisiologico, ma se questo viene riportato sullʼetichetta di un prodotto
significa che tale prodotto possiede delle caratteristiche atte a produrre una
modificazione della fisiologia, e diventa quindi un atto medico.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Lʼequivoco si gioca furbescamente sul fatto di presentare dei rimedi


aventi scopo terapeutico, cioè di cura di patologie, come se i suoi
componenti non fossero farmaci, ma nutrienti. Ma mentre i nutrienti
presentano caratteristiche ben definite, tali da produrre, in caso di loro
insufficienza o carenza, patologie anche mortali, gli estratti idroalcolici di
piante medicinali non presentano tali caratteristiche, in quanto la loro
totale, assoluta e sempiterna assenza dalla alimentazione umana non
produce alcun effetto fisiologico.
Non possiamo vivere senza magnesio o vitamina C, né senza un
sufficiente apporto di carboidrati, lipidi, proteine, fibre, ma possiamo vivere
una vita in piena salute senza mai aver introdotto nel nostro organismo una
pianta medicinale, sotto qualsiasi forma. Quindi, gli estratti di erbe, in
qualsiasi forma e per qualsiasi scopo siano venduti, non hanno effetti
positivi sul nostro equilibrio metabolico alimentare, ma sono utilizzati, da
sempre, solo per le loro proprietà terapeutiche.
Qualora un mio lettore particolarmente pignolo voglia proporre un
obiezione in proposito, lo anticipo ricordando che, ovviamente, tutte le
piante medicinali, in quanto vegetali, hanno le proprietà nutrizionali tipiche
dei medesimi. Ma la scienza dellʼalimentazione, oltre che la saggezza
popolare, ci dice da sempre che mentre alcune erbe e vegetali sono
commestibili, di gusto gradevole, nutrienti e non tossiche, altre invece
presentano tutte o alcune di queste caratteristiche, e non sono quindi
utilizzate per lʼalimentazione, e tantomeno per lʼintegrazione nutrizionale.
Non avrebbe senso, infatti, integrare lʼalimentazione con un rimedio
estratto da un alimento di cui nessuno si alimenta perché non serve alla
nostra alimentazione. Il termine integratore, infatti, ha senso solo dove esso
si configuri come supplementazione rispetto alla normale alimentazione di
un certo alimento, o genere di alimento, di cui la dieta quotidiana è carente,
o che non è gradito alla persona. Si sa, per esempio, che molti bambini non
amano le verdure, le quali contengono però minerali, fibre, vitamine ed

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Fitoterapia e scienze erboristiche

enzimi che possono essere indispensabili per la crescita e per la salute. In


questo caso può rendersi necessario (non utile, come reca la dicitura degli
integratori), un utilizzo, dietro prescrizione medica, di tali integratori.
Oppure, in certe zone del pianeta, o là dove le condizioni di povertà
impediscono di godere di una alimentazione sufficiente e variata,
lʼintegrazione si rende indispensabile per coprire carenze, ma, anche qui,
solo a seguito di precisa diagnosi e sotto controllo medico.
In conclusione, abbiamo chiarito come i fitointegratori, e in genere
tutti i preparati a base di erbe, non hanno lo scopo di integrare unʼ
alimentazione carente di nutrienti, in quanto il loro apporto di nutrienti
utili o essenziali ai fini del fabbisogno giornaliero è praticamente nullo. È
quindi ingannevole presentare questi prodotti come integratori nutrizionali,
e poi specificare, per esempio, nel caso che stiamo esaminando, che esso
“può essere utile per favorire le nostre naturali difese”. Se infatti si vuole
intervenire sulle nostre “naturali” difese, ci permettiamo di suggerire ben
altri comportamenti, quali, per esempio, una vita meno sedentaria, più
attiva e allʼaria aperta il più possibile, oppure una alimentazione meno
scorretta e abbondante. Questa è la differenza di approccio alla salute tra il
naturopata tradizionale, sempre pronto a suggerire quasi esclusivamente
lʼacquisto di qualche prodotto commerciale “naturale”, e il consulente della
salute in scienze naturopatiche, il quale agisce invece sulla consapevolezza
dellʼimportanza di uno stile di vita sano, che faccia a meno, per quanto
possibile, della necessità di ingerire gocce, pillole, pastiglie, sciroppi,
ancorché “naturali”.
Ma nessuna azienda guadagnerebbe nulla da questi virtuosi
comportamenti. Anzi. Lʼequivoco di fondo su cui tali aziende prosperano
sta nel fatto che esse cercano di confondere le caratteristiche e le proprietà
degli alimenti con quelle dei farmaci. Nessun verduriere si sognerebbe di
pubblicizzare le sue insalate come remineralizzanti, potenzialmente
diuretiche e depurative o utili a favorire le nostre naturali difese e la

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Fitoterapia e scienze erboristiche

regolarità intestinale. Eppure, questo è lʼeffetto che indiscutibilmente tutte le


insalate producono sul nostro organismo. Ora, se di qualsiasi vegetale si
estraggono delle componenti per commercializzarle, si suppone che ciò sia
legato allʼintenzione di isolarne o concentrarne principi attivi o proprietà
nutrizionali in genere, a scopo terapeutico, e non certo alimentare, perché
in questo secondo caso sarebbe certamente più utile, meno dispendioso e
persino più salutare acquistare verdure commestibili e di gusto gradevole.
Se poi, parlando di difese, ci si riferisce alla funzionalità del nostro
organismo, e in particolare del sistema immunitario, allora qui stiamo
sconfinando in maniera inequivocabile in ambito medico.
Forse, però, ciò che ci lascia più sgomenti di fronte a questi fenomeni
al limite della ciarlataneria, è il fatto che da anni si continui a prendere
letteralmente in giro lo sprovveduto consumatore invogliandolo a comprare
prodotti non perché siano oggettivamente utili o necessari, ma solo perché
“potrebbero essere utili”. Chi può valutare, se non il medico curante,
lʼ”utilità” di un rimedio che “potrebbe favorire le nostre naturali difese”? E
con quale scrupolo di coscienza si vende un prodotto non perché sia
scientificamente utile (cioè tale per agire positivamente sulla salute, in certe
condizioni, a certi dosaggi, per certi scopi, su precise alterazioni
patologiche, il tutto a seguito di documentabile sperimentazione clinica),
ma solo perché, dal punto di vista biochimico e farmacologico, gli
ingredienti del rimedio hanno la potenzialità di agire sulla salute?
Ci preme chiarire, una volta per tutte, che un rimedio non è tale
perché può agire sulla salute delle persone in base a credenze popolari o a
studi effettuati in vitro o su animali. Esso può essere proposto come tale solo
se è effettivamente efficace, e cioè non teoricamente, ma nella situazione
specifica di quella specifica persona, che soffre di quella sua specifica e
unica alterazione dello stato di salute, e che necessita di quello specifico
rimedio e non di altri. Ma solo il medico, naturalmente, è in grado di fare
questa valutazione.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Si tratta di atti medici, a tutti gli effetti, senza scuse né giustificazioni, i


quali non sono oggetto di denuncia per lo stesso motivo per cui a Napoli,
per esempio, è molto rara una multa per guida di motociclo senza casco.
Insomma, tanto lo fanno tutti...
Si consideri con attenzione il fatto che la naturopatia commerciale, quella
fatta di corsi, prodotti, libri e manuali venduti a caro prezzo, non è nata,
evidentemente, per proporre una visione della salute originale e positiva,
che si differenziasse dalla medicina scientifica per lʼadozione di una diversa
visione della salute. Al contrario, essa è nata solo per insinuarsi tra le maglie
della legge, camuffando le stesse terapie che la medicina scientifica, dopo
averle vagliate, ha rifiutato, per riproporle in veste moderna.
Essa non propone un approccio dolce alla salute perché crede in esso e
ne fornisce la dimostrazione dellʼutilità ed efficacia, ma solo perché esso è
lʼunico approccio che la medicina le consente. Tantʼè vero che la
naturopatia cura le malattie allo stesso modo della medicina scientifica, e
cioè quello più pedissequamente allopatico, fatto di classificazioni
nosologiche, di diagnosi e cure rivolte alla malattia, se pur usando un
linguaggio ripescato dal passato, utile solo per confondere le idee. Essa cura
le malattie chiamandole in altro modo, solo che pretende di farlo con
rimedi inefficaci di per sé o per le modalità di somministrazione. Il che non
stupisce, visto che a farlo sono persone che non hanno conoscenze adeguate
in medicina, in biochimica, in farmacognosia e fitoterapia.
Non sfuggirà al lettore più attento il fatto che, in questa squallida
situazione, i principali responsabili sono gli ordini professionali, i quali
esistono principalmente allo scopo di vigilare sul comportamento
eventualmente scorretto dei loro iscritti, ma in secondo luogo anche per
difendere le loro competenze e prerogative rispetto alle continue violazioni
di legge che provengono da improvvisati terapeuti, privi di riconoscimento
legale, ma, ancor più grave, di competenza e professionalità.
In attesa che la nostra, come le altre campagne di informazione, smuova la

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Fitoterapia e scienze erboristiche

coscienza di coloro che dovrebbero intervenire per dovere istituzionale, ci


limitiamo a far osservare come la figura del naturopata, in base a quanto fin
qui esposto, non sia nata e non si sia diffusa per rispondere a una esigenza
effettivamente sentita dalla popolazione, e cioè quella di una cura rivolta
alla salute, anziché alla malattia, che consista nellʼeducazione e
nellʼinformazione relativa alla qualità della vita, senza riferimenti a
diagnosi, prescrizioni, terapie e cure che sono di esclusiva competenza
medica.
Al contrario; la naturopatia è nata e si è diffusa per rispondere agli
interessi commerciali di personaggi privi di scrupoli morali, di cultura e di
rispetto per il prossimo, i quali hanno semplicemente fiutato il business
nascosto dietro il legittimo bisogno di cure più umane e naturali, e
consentito da una legislazione confusa, contraddittoria e spesso carente in
tema di salute e malattia.
Si rifletta attentamente sul fatto che la figura del naturopata, così come
viene insegnata abitualmente, non è altro che un non ben definito
guaritore, il quale cura illusoriamente le malattie che la medicina scientifica
non riesce a curare attraverso sistemi di cura sconfessati dalla storia della
medicina stessa, o tramite rituali magici, antiche tradizioni popolari, rimedi
“della nonna”, apparecchiature prive di logica e fondamento scientifico,
nonché di efficacia clinica dimostrata.
Pensare che la scienza medica non sia neppure a conoscenza delle
caratteristiche nutrizionali di certi alimenti, o delle proprietà terapeutiche
di piante ed erbe, e che delle loro miracolose virtù siano depositari soltanto
erboristi e naturopati, è francamente ridicolo, ma è ciò che le scuole di
naturopatia si ostinano a diffondere, in quanto unica arma a loro
disposizione per vendere i loro inutili diplomi.
Tutta la naturopatia e la costellazione di terapie che le ruotano intorno
si fonda su un colossale inganno, abilmente giocato su un equivoco: il fatto
che il naturopata possa occuparsi della salute dei suoi clienti senza essere

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Fitoterapia e scienze erboristiche

medico e senza curare patologie. La quadratura del cerchio si realizza da


sempre tramite un ingenuo quanto efficace escamotage: si tratta di
camuffare lʼattività del naturopata, di tipo medico a tutti gli effetti, come
attività di altro tipo, utilizzando una terminologia e modalità di cura solo
formalmente diverse da quelle mediche.
Abbiamo accennato allʼuso di vendere rimedi per la cura di patologie
spacciandoli come integratori nutrizionali, ma potremmo elencare la
pratica di massaggi terapeutici camuffati da riequilibri somatici, la diagnosi
di malattie camuffata da esame costituzionale- energetico, la cura dei
disturbi dellʼumore presentata come “riarmonizzazione con lʼenergia
universale”.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Erboristeria tradizionale: efficacia e utilità “storica”


dei rimedi naturali

Chiunque rivolga uno sguardo attento e non superficiale al sistema


delle cure naturali, complementari o alternative, osserverà come esse sono
costantemente descritte non per la loro utilità ed efficacia attuale,
scientificamente e clinicamente documentata (come ogni persona di buon
senso si aspetterebbe, essendo esse destinate alla cura della salute umana),
ma quasi esclusivamente per la storia, possibilmente millenaria, del loro
utilizzo. La maggior parte delle piante utilizzate in erboristeria, per
esempio, non sono mai indicate come utili per la cura di qualsiasi disturbo
o patologia, ma solo perché utilizzate da tempo immemorabile per la cura
di determinate affezioni, senza che di questo preteso effetto sia mai fornita
una prova clinica, cioè condotta su persone, e non su cellule o animali di
laboratorio.
È francamente patetico, più che ridicolo, osservare lʼossessiva
ripetitività con cui i rimedi naturali sono pubblicizzati da sedicenti esperti o

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Fitoterapia e scienze erboristiche

commercianti e produttori interessati: le formule sono sempre le stesse,


stereotipate, e recitano sempre la stessa litania:

• “Da sempre questa pianta è utilizzata nella medicina popolare per le sue qualità..”
• “Fin dallʼantichità questa pianta è stata utilizzata per curare....”
• “La tradizione popolare attribuisce fin dallʼantichità virtù terapeutiche a questa
pianta..”

In psicologia sociale quello sopra esemplificato configura un classico


esempio di errore cognitivo. In particolare si tratta del tipico “argomento
storico”, in forza del quale, in mancanza di dati reali, si cerca di illudere
circa lʼesistenza di determinate caratteristiche dellʼoggetto in questione
rimandando alle sue radici storiche, facendo leva su un modello di
ragionamento infantile secondo cui, se un certo comportamento viene
ripetuto nel tempo, significa che esso è intrinsecamente valido.
Che si tratti di una assurdità logica e sillogistica è così evidente che non vale
neanche la pena di sottolinearlo. Quello che ci preme osservare è piuttosto
che ci troviamo di fronte a un uso distorto dellʼinformazione, la quale o è
scientifica, distinguendo espressamente tra notizie storiche, opinioni,
aneddotica e dati scientifici, oppure è stupidità, ignoranza, ciarlataneria,
pensiero magico e infantile.
Si osservi, infatti, che nonostante “fin dallʼantichità”, per esempio, il ribes
nigrum sia stato utilizzato per curare le affezioni allergiche, è
scientificamente dimostrato che solo speciali estratti dai semi svolgono una
blanda azione in questo senso, e non i macerati glicerinati ottenuti dalle
gemme, i quali hanno fatto la fortuna delle aziende che li producono e di
coloro che li vendono, ma che non servono assolutamente a niente (si veda,
tra gli altri: Firenzuoli, 2000, Le cento erbe della salute, Tecniche nuove,
p.192).

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Sembra impossibile, ma è difficile per molti riflettere su un fatto


semplicissimo e inequivocabile: se davvero questi rimedi producessero gli
effetti vantati, non ci sarebbe più motivo di utilizzare i costosissimi e nocivi
farmaci di sintesi. Inoltre, se davvero la cura di tutti i disturbi per i quali
vengono suggerite piante o altri rimedi (“noti fin dallʼantichità per le loro
proprietà curative...ecc”) fosse efficace, essi non esisterebbero più, debellati
dalla semplice somministrazione di poche gocce di questi rimedi.
Il che non significa, naturalmente, che essi non abbiano proprietà
terapeutiche, ma solo che non le hanno, nella maggior parte dei casi, per i
disturbi per cui vengono indicati, e per le dosi e le modalità di preparazione
e di somministrazione consentite dalla legge e dalla pratica clinica. Eʼ
sorprendente, poi, notare come si faccia finta di non osservare che da
quando si somministra, per esempio, ribes nigrum per la cura delle
cosiddette intolleranze alimentari, il fenomeno che si cerca di curare,
anziché ridimensionarsi, cresce a dismisura, al punto che, a detta di coloro
che sostengono di poterle diagnosticare, le cosiddette intolleranze sono un
disturbo che interessa praticamente tutta lʼumanità, perché ognuno di noi,
prima o poi, soffre di qualche intolleranza. Ma non bastava qualche goccia
di ribes nigrum per risolvere la questione? Non ci è stato detto in tutte le
maniere che “questi rimedi sono utilizzati fin dallʼantichità”?
Purtroppo, con buona pace dei seguaci di tutto quello che non serve a
nulla, lʼutilizzo, per quanto diffuso e da tempi immemorabili di un qualsiasi
strumento, non è per niente sinonimo di sua utilità per lo scopo dichiarato,
ma può essere molto più semplicemente segno di interpretazione di quello
strumento in termini simbolici, o funzionali ad altri scopi, come quello della
perpetuazione di antiche credenze e di mantenimento di meccanismi di
difesa inconsci.
Per esempio, il fatto che da sempre milioni di persone in tutto il
mondo, in forme e modalità diverse, utilizzino amuleti o eseguano pratiche
magiche per allontanare il malocchio, non significa né che queste pratiche

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Fitoterapia e scienze erboristiche

siano efficaci, né che il malocchio esista effettivamente. Significa soltanto


che la debolezza mentale e la mancanza di strumenti culturali e cognitivi
impedisce di accedere a una mentalità razionale di confronto con la realtà.
Allo stesso modo, il fatto che da sempre lʼumanità abbia fatto uso della
guerra e della violenza per risolvere i suoi problemi, non significa né che
questi strumenti siano sempre stati efficaci, né che debbano essere
raccomandati come utili rimedi.
La storia dellʼumanità non è fatta soltanto di conquista progressiva di
conoscenza che, man mano che veniva acquisita nel patrimonio culturale,
eliminava automaticamente quella inutile, o gli errori e le false credenze.
Purtroppo, lʼevoluzione procede per sovrapposizione su basi
precedenti, e non elimina mai ciò che possa eventualmente tornare utile in
futuro. Le false credenze, le illusioni cognitive, continuano a svolgere un
compito fondamentale anche nella moderna società ipertecnologica, perché
assolvono alla funzione di proteggere gli individui più deboli
psicologicamente dalla paura dellʼignoto.
Solo chi è forte e coraggioso può permettersi di affrontare ciò che non
conosce, mentre le anime più semplici, i gregari, coloro che sono vittime del
loro passato, preferiscono costruirsi una realtà virtuale, nella quale tutto è
possibile: lʼomeopatia funziona sempre, i fantasmi esistono, la Madonna
ama mostrarsi a persone semianalfabete che vivono in paesi con una forte
connotazione religiosa, e i rimedi naturali di solito non servono a niente,
ma “sono utilizzati fin dallʼantichità”.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Lʼinsegnamento tradizionale della fitoterapia

Nella maggior parte delle scuole di medicine naturali la fitoterapia


viene insegnata per quello che è, e cioè una materia di competenza medica,
elencando un prontuario di rimedi per ogni diversa patologia, dalla “a” di
asma allergica alla “z” della puntura delle zecche.
I terapeuti così istruiti, una volta mandati allo sbaraglio sul mercato,
evitano di essere denunciati per esercizio abusivo della professione medica
solo per il fatto che i rimedi erboristici non sono farmaci e per legge,
quindi, non possono essere considerati espressamente rimedi soggetti a
prescrizione del medico. Il problema è che una nota sentenza della
Cassazione, pur riconoscendo il fatto che non esiste una efficacia
terapeutica scientificamente dimostrata nei rimedi omeopatici, assegna alla
sola classe medica la possibilità di prescriverli, facendo leva sul fatto che essi
sono comunque rivolti alla cura di una malattia. Spero che questa

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Fitoterapia e scienze erboristiche

interpretazione, a mio parere almeno formalmente corretta, possa


estendersi a qualunque rimedio, indipendentemente dalla sua efficacia
scientificamente dimostrata, il quale abbia lo scopo di modificare il nostro
metabolismo a fini terapeutici.
Mentre le prospettive di ricerca e di terapia tramite la fitoterapia
medica sono sicuramente ampie ed entusiasmanti, il mondo
dellʼerboristeria e delle piante medicinali è talmente legato al passato
(perché sente di non avere prospettive future), che il richiamo dogmatico
alle tradizioni popolari di ogni paese e di ogni tempo e a nozioni obsolete
mai confermate scientificamente conduce ad affermazioni quantomeno
azzardate da parte dei suoi sostenitori, quandʼanche essi siano biologi,
medici, farmacisti o erboristi.
Si osservi come, sistematicamente, ogni “prontuario” o “repertorio
terapeutico fitoterapico” segua la tradizione di riportare un elenco di piante
in ordine alfabetico descritte ciascuna con riferimento alle patologie su cui
andrebbero ad agire e un elenco di patologie a fianco delle quali si
riportano i rimedi più efficaci per la loro cura. In questo corso di studi,
forniremo un prontuario di questo tipo, elaborato sulla base delle più
recenti risultanze scientifiche, perché riteniamo fondamentale, per un
naturopata scientifico, la conoscenza dei meccanismi di azione di queste
piante. Ma mai suggeriremo la loro prescrizione, quanto piuttosto la
necessità di illustrare al cliente i loro reali benefici e possibili effetti
collaterali, il tutto in unʼottica genuinamente naturopatica, legata cioè a un
programma di vita che non si limita certo allʼassunzione del rimedio.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Le strategie di vendita e di marketing dei prodotti


fitoterapici

Si tratta di una prassi diffusa anche da parte di aziende che vogliono


diffondere una cultura spagirico-alchemica, che, come tale, dovrebbe essere
destinata alla cura dellʼanima piuttosto che alla terapia clinica di
impostazione allopatica. Per esempio, lʼazienda Herboplanet fornisce a
medici e naturopati un pregevole prontuario, disponibile anche come
software, dove troviamo le indicazioni terapeutiche per ogni malattia,
dallʼacrocianosi agli acufeni, dallʼAlzheimer allʼartrite reumatoide fino alla
vascolopatia diabetica o alla granulomatosi di Wegener. Ciò induce
indiscutibilmente a credere che i relativi rimedi siano utili per la cura delle
malattie per cui sono indicati. Per quale altro motivo, altrimenti, le aziende
fornirebbero prontuari come questi?

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Quindi, e il passaggio logico mi sembra corretto e incontestabile, se


nelle intenzioni dei compilatori del prontuario questi rimedi sarebbero
dotati di virtù terapeutiche, allora essi devono essere prescritti dal medico
ed essere fondati su sufficienti sperimentazioni scientifiche, in modo da non
indurre in facili illusioni (si veda in proposito il già citato art. 12 del codice
di deontologia medica).
In realtà, nessuno dei rimedi presentati in questo, come in altri
prontuari alternativi, si riferisce a un solo rimedio qualificabile come
farmaco, e quindi riconosciuto scientificamente e legalmente come tale, ma
ognuno di questi, secondo quanto discende logicamente dal prontuario
stesso, dovrebbe svolgere una attività di cura medica allopatica nei
confronti delle patologie indicate, come se fosse un farmaco, ma senza
averne le caratteristiche che la legge richiede per essere qualificato come
tale. Un bellʼequivoco, mantenuto astutamente in vita per permettere alle
migliaia di grandi e piccole aziende di produzione e commercializzazione
di rimedi naturali di sopravvivere. A fronte di tali prospettive terapeutiche è
poi spontaneo chiedersi se questo approccio, tipicamente medico allopatico,
non sia in aperta contraddizione con lʼapproccio alternativo, olistico e non
medico che una medicina alternativa, e specialmente una fondata su
principi esoterici e non scientifici dovrebbe coerentemente avere.
La pretesa di curare tutte le malattie del mondo con le piante, come se
esse fossero nientʼaltro che farmaci sintetizzati dalla natura appositamente
per la cura delle malattie dellʼessere umano, è la caratteristica di ogni
erborista o fitoterapeuta, nel più evidente disprezzo dei principi
fondamentali che regolano e distinguono queste discipline, delle quali solo
la seconda permette la somministrazione di piante ad uso terapeutico.
Nel caso dellʼerboristeria, invece, la conoscenza delle caratteristiche delle
piante non dovrebbe limitarsi a quelle biochimiche e dovrebbe essere
depurata dal virus delle credenze popolari circa i pretesi innumerevoli
effetti miracolosi di ciascuna di esse. Lʼuso di preparati a base di erbe che

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Fitoterapia e scienze erboristiche

non siano fitoterapici potrebbe avere una certa validità se inserito nel
contesto più ampio di una cura complementare o indipendente da una cura
medica, che sia rivolta alla presa in carico professionale degli aspetti
biopsicosociali della salute. Il blando effetto che rimedi a base di erbe o
piante medicinali possono produrre sul metabolismo potrebbe essere
utilizzato come “starter” o supporto psicologico che mette in moto i
meccanismi di autoguarigione, se nel contesto di un sistema di cura ben più
articolato. In altre parole una terapia non diretta alla cura delle malattie,
ma alla cura della persona.
Tutto ciò richiederebbe nel terapeuta una cultura, una formazione e
unʼesperienza che la quasi totalità di essi non possiede, e che comporterebbe
perlomeno lo studio approfondito di diverse scienze e discipline, dalla
chimica alla filosofia. Ma poiché quello delle medicine alternative si
conferma anche in questo caso come un sistema di vendita e non un
sistema terapeutico, è molto più comodo fornire agli aspiranti terapeuti una
informazione agile e sintetica, arricchita di alcuni riferimenti colti ad
antiche credenze, in modo da permettere loro di prescrivere prodotti senza
chiedersi tanti perché. Tanto, nella maggior parte dei casi questi rimedi
presentano una composizione e una posologia che li rende innocui e
inefficaci, permeabili solo allʼeffetto placebo, per cui tutti questi prodotti,
immessi sul mercato per la pretesa cura di tutte le malattie, perlomeno male
non fanno. Il principio del “Primum non nocere”, perlomeno, resta così
soddisfatto.
Quando poi la fitoterapia alternativa (cioè quella che non si basa sui
soli dati scientifici di efficacia clinica), dopo aver descritto le patologie che
essa andrebbe a curare (con un approccio non diverso da quello del medico
e del farmacista), si trova costretta a fornire qualche giustificazione in
ordine allʼefficacia di ogni pianta sulle patologie stesse, ecco che scatta la
contraddizione che già conosciamo bene: a differenza del medico e del
farmacologo, essa non fa riferimento a studi clinici sullʼessere umano, a

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Fitoterapia e scienze erboristiche

sperimentazioni rigorose tali da permettere la classificazione del rimedio


come farmaco.
Fino a che si tratta solo di pubblicizzare i suoi effetti, la fitoterapia
descrive le malattie secondo la patologia occidentale di più chiaro stampo
allopatico; quando si tratta di agire su queste malattie, viene
immediatamente a mancare la relativa documentazione scientifica e allora
la fitoterapia alternativa stupisce con effetti speciali e sfoggio di potenzialità
straordinarie, adottando una prima strategia che consiste nel mero
riferimento a tradizioni popolari, a richiami storici, antropologici, filosofici,
esoterici, biblici o legati alla tradizione religiosa e filosofica dellʼEstremo
oriente.
La seconda strategia è normalmente utilizzata in abbinamento alla prima
dai produttori di rimedi fitoterapici e dai loro informatori medico-scientifici
per giustificare lʼefficacia di questi prodotti, e consiste nel sommergere lo
sprovveduto terapeuta alternativo di ricerche e nozioni di biochimica e
farmacologia, in modo che sappia almeno rispondere qualche cosa di
sensato nell’eventualità di richiesta di delucidazioni da parte del paziente.
In questo modo si raggiunge lo scopo di dirottare lʼattenzione dalla
pratica clinica (indispensabile ma inesistente in questi casi) alla tradizione e
agli studi teorici, i quali non dimostrano e non possono dimostrare
lʼefficacia e lʼutilità o i meccanismi di azione del rimedio sulla fisiologia
umana, ma almeno possono dare una parvenza di scientificità e di
presupposti teorici, sufficienti per giustificare le ipotetiche virtù terapeutiche
dei rimedi agli occhi delle menti deboli o dei consumatori.
Ad eccezione di poche aziende caratterizzate da una impostazione
scientifica orientata al futuro (come lʼamericana Solgar, per esempio,
peraltro non specializzata in fitoterapia), le aziende che producono o
commercializzano prodotti fitoterapici seguono sempre, come strategia di
vendita, lo stesso copione: ogni pianta viene descritta sempre come dotata
di virtù straordinarie, spesso misconosciute o misteriosamente dimenticate,

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Fitoterapia e scienze erboristiche

e utile per una vasta gamma di patologie. Questo riferimento sembrerebbe


e si dimostra in effetti sufficiente per convogliare nelle deboli menti dei loro
prescrittori lʼassoluta convinzione di una efficacia pari o superiore a quella
del farmaco, che motivi insondabili e complotti internazionali
impedirebbero di far conoscere al mondo. In effetti, leggendo i prontuari o
le indicazioni terapeutiche dei rimedi fitoterapici, viene spontaneo chiedersi
perché mai esista ancora la medicina e la farmacologia, dal momento che
tutto, ma proprio tutto ciò che ci può far male, può essere combattuto
efficacemente con la fitoterapia. Ciò induce a pensare che il mondo sia
popolato di perfetti imbecilli, i quali, anziché rivolgersi al medico,
dovrebbero semplicemente consultare il loro erborista, per qualsiasi
malattia. Eppure, questo non accade. Proviamo a spiegare il perché.
Questa inconsapevole ma consolidata strategia di marketing su sui si
fondano le medicine alternative gioca su sottili meccanismi psicologici
inconsci, inducendo nelle menti più deboli lʼidea suggestiva di essere entrati
a far parte di un circolo esoterico di individui superiori. Questa ipotesi mi
sembra evidente nell'atteggiamento di medici e terapeuti alternativi, i quali,
forti di questa suggestione e convinti inconsciamente di appartenere a una
élite di intellettuali e pensatori illuminati, novelli Custodi del Santo Graal, si
sentono votati alla missione di conservare per lʼumanità a venire questi
reperti e testimonianze sacre del passato.
Si veda, per esempio, come vengono descritte le virtù terapeutiche di
alcune piante da parte di alcune aziende del settore.
La Pegaso, azienda che distribuisce prodotti vari per la salute, vende un
integratore alimentare a base di uncaria tomentosa, astragalus
membranaceus, boswellia serrata e vitis vinifera. Di ognuna di queste
piante si evidenziano le proprietà biochimiche dei principi attivi, ma questa
azienda si spinge più in là facendo riferimento a studi clinici sullʼessere
umano che dimostrerebbero capacità terapeutiche eccezionali. L’uncaria,
per esempio, “grazie alla soppressione dellʼintervento patologico da NF-KB,

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Fitoterapia e scienze erboristiche

al miglioramento della risposta dei linfociti T e b e dellʼinterleuchina IL1 e


IL 6 ed alla stimolazione della fagocitosi “ sarebbe caratterizzata da una
azione immunomodulante che la renderebbe “utile nellʼinfezione da HIV.”
Siamo di nuovo di fronte allo sfruttamento commerciale di studi che non
provano affatto ciò che si dà a intendere. Lʼuncaria produce sicuramente un
effetto immunomodulante, e probabilmente, anche se un solo studio non
sembra sufficiente per accertarlo, può anche essere utile nellʼinfezione da
HIV. Ma attenzione: utile, non efficace. Utile teoricamente, nel senso che
favorisce una risposta immunitaria scientificamente superiore a quella del
placebo, ma lo studio non afferma che essa può migliorare la situazione
clinica, soggettiva ed oggettiva del paziente, ma solo quella del suo sistema
immunitario. La differenza non è di lana caprina: perché un qualunque
rimedio possa definirsi efficace, non è sufficiente che esso si dimostri attivo a
livello fisiologico su una certa patologia. È necessario che ripetute,
concordanti, controllate e rigorose sperimentazioni cliniche abbiano
evidenziato un miglioramento soggettivo e oggettivo della condizione di
salute del paziente.
Il fatto che i parametri clinici di quest’ultimo siano migliorati in base
alla misurazione clinica stessa non significa né che il paziente ne abbia
percepito il benché minimo effetto, né tanto meno che sia guarito. In altre
parole, per fare un esempio più semplice: data la soglia di 240 ml. oltre la
quale i valori di colesterolo ematico diventano preoccupanti, il fatto che un
paziente con colesterolo a 380 ml. assuma un rimedio che glielo riduce a
350 significa che in termini assoluti il rimedio si è dimostrato efficace e
mostra di avere un azione specifica contro lʼeccesso di colesterolo totale, ma
relativamente alla situazione specifica esso è assolutamente inutile. In altre
parole: ai pazienti non interessa che un rimedio agisca positivamente contro
una certa patologia a livello cellulare, se ciò non produce risultati
significativi a livello dellʼorganismo e della salute globale del paziente.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

E questo è quanto di solito avviene solo a seguito di sperimentazioni in


cui (le aziende non lo rivelano) la quantità di principio attivo necessaria per
produrre lʼeffetto positivo di cui si parla è molto superiore a quella
contenuta nel rimedio e tale comunque da rendere il rimedio efficace solo
se assunto sotto controllo medico costante, in quantità tali che a lungo
termine possono risultare tossiche e con costi improponibili.
Più avanti leggiamo che “ i risultati di due prove cliniche condotte su
pazienti affetti da colite ulcerosa o cronica indicano che lʼestratto di
Boswellia può essere efficace tanto quanto sulfasalazina e mesalazina per
bloccare lʼinfiammazione nel tubo digestivo, senza provocare tuttavia gli
effetti indesiderabili legati allʼassunzione di questo antinfiammatorio”.
Anche qui la notizia dei due studi clinici in questione è tale da destare
stupore e sensazione, ma se il risultato evidenziato e riferito dalla Pegaso
fosse stato davvero confermato in studi successivi, è chiaro a chiunque che
lʼestratto di boswellia avrebbe dovuto da subito soppiantare qualunque altra
cura.
Se ciò non è avvenuto, spetterebbe alla stessa Pegaso chiarire a cosa
serva il riferimento allʼefficacia clinica, pari a quella dei farmaci, di questa
pianta, dal momento che essa non ha prodotto mai i risultati sperati. Si
consideri inoltre che questi principi attivi sono contenuti in un integratore
in libera vendita, che non richiede prescrizione medica e che è anzi
qualificato come integratore alimentare, come potrebbe essere un succo di
frutta.
È credibile che un rimedio utile contro lʼHIV e contemporaneamente
contro tutte le malattie del sistema immunitario, e in più specificamente per
la colite ulcerosa e il morbo di Chronn, non sia un farmaco, ma venga
venduto sostanzialmente come tale in qualsiasi erboristeria? E perché fare
riferimento a studi che ne comproverebbero lʼefficacia clinica, se poi questi
effetti non si sono mai prodotti, né sono documentati? In base a quali dati
lʼazienda in questione può affermare che i rimedi utilizzati non presentano

31
Fitoterapia e scienze erboristiche

effetti collaterali? Esistono sperimentazioni cliniche condotte per anni


(come è richiesto per ogni farmaco, prima di essere immesso sul mercato) su
centinaia o migliaia di persone, che lo provino? Certamente no. E allora,
perché illudere i consumatori?
Solo i farmaci riconosciuti e approvati come tali dal Ministero
competente possono legittimamente vantare proprietà terapeutiche, in
quanto essi sono stati testati secondo protocolli rigorosi che ne hanno
dimostrato lʼefficacia e gli effetti, compresi specialmente quelli indesiderati.
Tutto ciò che viene venduto come se fosse un farmaco, ma senza esserlo,
potrà tuttʼal più essere potenzialmente utile, ma non potrà produrre lʼeffetto
terapeutico per cui spesso è pubblicizzato, o perché preparato in dosi
volutamente troppo ridotte per produrre effetto sullʼessere umano, o perché
non esistono prove sufficienti per affermare la sua efficacia nei confronti di
alcuna patologia.
Ma accanto a evidenze biochimiche e a quelle rare cliniche (solo
queste ultime sarebbero necessarie e sufficienti per giustificare lʼefficacia di
un farmaco o di un qualunque rimedio) le aziende che producono e
commercializzano rimedi a base di piante utilizzano sempre la strategia che
configura un tipico errore cognitivo: lʼerrore storico: poiché da sempre una
certa pianta è stata utilizzata per la cura di certe patologie, allora (errore
logico) deve essere efficace. A questo tipico errore cognitivo si abbina
abitualmente lʼerrore della presunta efficacia del rimedio legata alla sua
rarità o provenienza da luoghi lontani e misteriosi. Qui gli esempi si
sprecano. Alcune aziende, come la Pegaso o la Promopharma si sono
addirittura specializzate nella commercializzazione di piante provenienti da
altri continenti, come se lʼefficacia di esse potesse dipendere in maniera
direttamente proporzionale dalla distanza, in termini geografici, tra il luogo
di crescita spontanea e quello di somministrazione del prodotto finito.
Non cʼè azienda che nel pubblicizzare i suoi prodotti fitoterapici non
dedichi ampio spazio alla rievocazione di antiche tradizioni popolari di

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Fitoterapia e scienze erboristiche

paesi lontani e pratiche pseudo mediche obsolete. Si spera in questo modo


di distrarre lʼattenzione dei già peraltro distratti terapeuti alternativi,
interessati al ritrovamento della pietra filosofale o in seconda battuta a
rimedi miracolosi più che alla ricerca scientifica.
Si consideri per esempio questo breve brano: ”Il maitake è una rara
varietà di fungo che cresce in limitate aree nella regione Nord orientale del Giappone. La
tradizione dice che i nativi di questa regione compivano grandi sforzi per trovare il
Maitake nel profondo delle montagne, non solo per il suo sapore delizioso e per i benefici
effetti sulla salute, ma anche perché poteva essere scambiato per un uguale peso in
argento”. Tutto molto affascinante e pittoresco, ma si sta evidentemente
confondendo la semplice descrizione storica con la cura delle malattie: si
tratta di due aspetti molto diversi. Se soffro di un disturbo per il quale la
tradizione indica lʼefficacia del maitake, non mi interessa nulla che esso
valesse come oro presso alcune popolazioni: mi interessa sapere se esistono
studi controllati che confermino la sua efficacia su un numero di pazienti
sufficiente a dare validità alla ricerca.
Oppure: “Oltre 2000 anni fa alcuni erboristi cinesi compilarono un
catalogo di preparazioni botaniche, concentrandosi principalmente su
quelle che aiutavano a mantenere la buona salute, il buon umore e che
riavvivavano lo spirito e il cervello. Fra quella selezionate cʼera il Gingko
biloba”. Nessun medico, ma anche nessuna persona di buon senso potrebbe
pensare di utilizzare simili istruttive e pittoresche informazioni come
giustificazione scientifica dellʼefficacia e dellʼutilità dei rimedi in questione.
Eppure ciò è praticamente tutto quello che deve bastare, secondo le aziende
del settore, perché le persone debbano assumere i loro prodotti, illudendosi
di risolvere senza fatica e a poco prezzo i loro problemi di salute.
Per concludere questa carrellata, è interessante notare come quasi
tutte queste piante vantano tali e tante proprietà terapeutiche, da far
logicamente ritenere poco credibile, sul piano scientifico e pratico, che esse
possano davvero essere efficaci nella cura di tutte le malattie per le quali

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Fitoterapia e scienze erboristiche

sembrerebbero indicate. Per esempio, il biancospino vanterebbe le seguenti


azioni: protettiva del cuore, di regolazione del ritmo cardiaco, di riduzione
del colesterolo, antiossidante, ipotensiva, sedativa. La camomilla troverebbe
invece indicazioni nelle seguenti patologie: gastroduodenite, ulcera
gastroduodenale, intestino irritabile, amenorrea, dismenorrea, turbe della
menopausa, eruzione dentaria, iperestesia al dolore, nevralgie (Brigo,
p.133).
Gli esempi potrebbero continuare allʼinfinito, e riguardano
praticamente tutte le piante esistenti in natura. Si noti soltanto come sia
evidente che gli effetti riportati di queste piante si riferiscono a un mix
inestricabile di tradizioni popolari e di rigorosi studi farmacognosici. È
sufficiente il ricorso al semplice spirito critico per comprendere come, se
anche una stessa pianta produce scientificamente gli effetti che le sono
attribuiti, ciò non comporta automaticamente che la sua somministrazione,
in qualsiasi forma, dosaggio e condizione di salute del paziente, possa
produrre effetti rilevabili e positivi.
Nella maggior parte dei casi questi dati si riferiscono a studi effettuati
soltanto in laboratorio e non a studi clinici. Inoltre, lʼefficacia documentata
a livello biochimico delle sperimentazioni in vitro di una certa sostanza non
esclude, come più volte abbiamo osservato, che essa possa risultare inutile
per la terapia umana, a causa di effetti collaterali o legati alla necessità di
assunzione di quantità eccessive affinché tali effetti si producano in maniera
utile ed efficace.
Mentre le ricerche e le cure mediche e psicologiche non hanno
sufficienti risorse economiche per far fronte alle necessità di chi soffre
davvero, milioni di euro sono spesi ogni anno solo in Italia per acquistare
rimedi fitoterapici dei quali non si conosce lʼefficacia. Come Firenzuoli e
altri scienziati esperti in fitoterapia insegnano, le supposte qualità
terapeutiche delle erbe, sottoposte a verifica scientifica, si sono dimostrate
spesso pura suggestione popolare, mentre hanno rivelato in molti casi

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Fitoterapia e scienze erboristiche

inaspettatamente una efficacia terapeutica per patologie cui lʼerboristeria


non aveva mai neppure pensato.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

I rimedi fitoterapici in naturopatia e medicine


alternative

I rimedi fitoterapici che sono quindi oggetto di studio e di applicazione


nella medicina alternativa possono essere ricondotti fondamentalmente a
due categorie:
• quelli realmente fitoterapici, cioè dotati di una efficacia terapeutica
dimostrata per la cura
di certe patologie (e che normalmente, per la loro alta concentrazione
necessaria per produrre lʼeffetto terapeutico voluto, e per le
controindicazioni che si portano dietro, sono o stanno trasformandosi in
farmaci, di competenza medica)
• quelli che “possono rivelarsi utili” per riattivare lʼenergia vitale o la
funzionalità di determinati organi o apparati, ma di cui non si
conoscono con precisione caratteristiche ed effetti e che quindi non
hanno una efficacia terapeutica dimostrata.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Questʼultima affermazione non significa affatto che essi non servano a


niente. Anzi, è certo che essi producono un qualche effetto, di solito
benefico sullʼorganismo. Il problema è che, a mio parere, essi non
andrebbero utilizzati mai per curare una malattia perché nessuno è in
grado di dimostrare quali effetti producano esattamente sullʼorganismo,
specie se chi li prescrive non è un medico.
Perché allora questa diffusione di rimedi fitoterapici in assenza di
regolamentazione e di precise garanzie per il cittadino? Semplicemente
perché rendono. Non essendo pericolosi per la salute (il che dimostra
implicitamente che non sono però neanche particolarmente utili), la
complicità, di solito in buona fede, tra il fitoterapeuta, guaritore,
naturopata, omeopata, erborista, osteopata, farmacista e le centinaia di
aziende produttrici di rimedi crea un giro dʼaffari non indifferente sul nulla,
o meglio su una rispettabilissima esigenza del cittadino di curarsi in modo
dolce e senza lʼassunzione di sostanze chimiche e tossiche.
Se andiamo però più a fondo, cosa che gli stessi esperti di erbe curative
non fanno quasi mai, si scopre che i rimedi che essi suggeriscono sono sì, in
molti casi, teoricamente utili per la cura delle patologie (che essi, lo ricordo,
non possono curare con nessun mezzo, se non sono medici), ma se lo sono e
quando lo sono, hanno probabilmente un efficacia minima, di poco
superiore al placebo. In mancanza di studi seri in proposito, le affermazioni
disinvolte circa lʼefficacia della maggior parte dei rimedi suonano
perlomeno superficiali e azzardate, quando non perfino condizionate dallʼ
interesse personale ed economico.
Se scorriamo lʼelenco dei rimedi fitoterapici scopriamo che sono quasi
assenti dalla letteratura del settore gli studi seri condotti sullʼessere umano
in ordine alla loro efficacia, mentre essi sono suggeriti, prodotti e venduti
solo per tradizione e superstizione popolare o supportati da pochissimi studi
condotti in vitro o sui topi. Ciò significa, in altre parole, che sarà pur vero
che un certo rimedio è efficace, per esempio, per ridurre il dolore da artrosi,

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Fitoterapia e scienze erboristiche

ma è anche vero, e questo non lo dice quasi nessuno, che per ottenere
questo effetto sarebbe necessario somministrare una quantità di rimedio
tale che il suo costo e il disagio nella sua assunzione sarebbe spesso
insostenibile.
Si consideri il caso dellʼiperico: è evidente la sua efficacia e il suo
effetto sul sistema nervoso e sullʼumore, come seri e numerosi studi
scientifici dimostrano. Il problema è che esso è efficace in quantità decine di
volte superiori a quelle dei rimedi che lo contengono, per cui la spiegazione
della sua apparente efficacia nella cura degli episodi depressivi di minore
gravità si fonda proprio sulla caratteristica fluctuating del disturbo: se si
coglie la coincidenza tra il momento dellʼassunzione del rimedio e quello
della remissione ciclica dei sintomi depressivi, il gioco è fatto.
Altro caso interessante è quello di un antinfiammatorio naturale come
lʼarpagophitum procumbens, o artiglio del diavolo. La sua efficacia è
dimostrata da alcuni studi scientifici condotti sullʼessere umano, ma solo se
assunto per lungo tempo in quantità di almeno uno-due grammi al dì di
estratto secco. A questi dosaggi, però, il rimedio diventa mal tollerato,
specialmente per la mucosa gastrica, per cui viene a cessare il vantaggio di
utilizzare un rimedio naturale (per definizione popolare innocuo) al posto di
un farmaco gastrolesivo. Ma quello che è paradossale è che nonostante
quelle citate siano le uniche prove a sostegno dellʼefficacia del rimedio, esso
è comunemente inserito nel repertorio di centinaia di aziende produttrici di
rimedi naturali, in dosaggi tali da essere praticamente inutile, e cioè in
quello di poche decine di milligrammi.
Fino a qualche anno fa il prodotto che ne conteneva la massima
concentrazione in estratto secco era lʼAllya della Pascoe, che vantava un
dosaggio per compressa di ben 240 mg. di estratto secco. Poiché la
confezione standard è da 20 compresse e la quantità minima per produrre
un reale effetto antidolorifico è di 1-2 g tre volte al giorno, cioè pari a quella
contenuta in 12-24 compresse, si comprende lʼassurdità di dover assumere

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Fitoterapia e scienze erboristiche

più di una intera confezione al giorno, per un costo di alcune centinaia di


euro alla settimana, perché si produca un effetto significativo (ma con
altrettanto significativi effetti collaterali).
Forse proprio per il fondato rischio di produzione di effetti collaterali
questo rimedio è stato ritirato recentemente dal mercato, per cui quelli
attualmente esistenti a base di arpagofito ne contengono una quantità
ancora inferiore rendendoli praticamente privi totalmente di efficacia.
Eʼ il mercato, quindi, ancora una volta, e non la salute, che guida le
nostre scelte nel settore delle medicine alternative. Il mercato introduce
ogni anno decine di nuovi prodotti, tutti accomunati dallʼesigenza di
vendere seguendo la moda del momento, e non certo allo scopo di alleviare
le sofferenze dellʼumanità.
Linfa di betulla o succo di melograno, aloe o noni, ginseng o spirulina,
non passa giorno senza che qualche azienda non immetta sul mercato un
qualche nuovo e rivoluzionario rimedio naturale che vanterebbe effetti
fitoterapeutici, essendo costrette ormai ad andare a scovarlo in capo al
mondo e dimostrando perlomeno una fantasia inesauribile.
Ma mentre le aziende produttrici non sono tenute, ovviamente, a
lavorare per la gloria, medici e “fitoterapeuti” non dovrebbero, se ancora
esiste un codice deontologico e il senso della dignità e della correttezza nella
professione, continuare a suggerire lʼassunzione di costosi rimedi senza
essere supportati da prove sufficienti circa la loro efficacia. Il che è invece
esattamente ciò che fanno e continuano a fare. Nella maggior parte dei casi
per semplice insipienza, superficialità, ignoranza (il che, per chi si occupa
della salute delle persone, è già di per sé piuttosto grave), in altri casi, in
mala fede, e cioè al solo scopo di ricavare un guadagno dallʼignoranza
altrui.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Il caso del cranberry

“Il cranberry in ginecologia” è un articolo che riporta i risultati degli


studi condotti su questa varietà di mirtillo, considerato utile per la cura di
un disturbo diffusissimo, cioè le infezioni urinarie. Nessuno ovviamente fa
notare che la moda di rimedi a base di cranberry deriva dalla diffusione
della sua produzione, specialmente negli Stati Uniti, resa molto
remunerativa per la facilità ed economicità della sua coltivazione, lʼalta resa
e la sua elevata concentrazione di principi attivi antiossidanti. In altre
parole, prima si è cercato la fonte di approvvigionamento più economica e
redditizia, e poi si è cercato a tutti i costi di trasformarla in un rimedio utile
per la salute.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Che questo frutto contenga composti organici di indubbia efficacia


terapeutica non è contestabile; che le antocianine abbiano importanti
attività terapeutiche antitumorali antiossidanti e antiflogistiche è
certamente vero. Ma, attenzione, solo sul piano teorico. Tantʼè vero che
lʼarticolo citato a dimostrazione dellʼefficacia antitumorale si riferisce a un
singolo studio effettuato solo ed esclusivamente su cellule in vitro. Del resto
(è persino ridicolo doverlo ricordare) nessuna persona di normale
intelligenza può pensare che le migliaia di scienziati che stanno lavorando
alla ricerca di farmaci antitumorali si sarebbero fatti sfuggire questo tipo di
rimedio se solo esso avesse dimostrato anche il pur minimo effetto sullʼessere
umano.
Affermare, quindi, come è costume degli autori di articoli scientifici,
che queste sostanze abbiano un “importante attività terapeutica
antitumorale” è un atto gravissimo e irresponsabile, perché di attività
terapeutica è corretto e ha senso parlare solo con riferimento allʼessere
umano, non certo a cellule osservate al microscopio. Quindi, a rigor di
logica, le antocianine contenute nel mirtillo coltivato hanno soltanto
dimostrato, in uno studio isolato, di inibire la crescita di cellule tumorali in
laboratorio, in condizioni protette e isolate, in condizioni insomma non
riproducibili e non assimilabili a quelle dellʼorganismo dellʼessere umano.
Quindi, a rigor di logica, le antocianine non hanno dimostrato alcun
effetto terapeutico antitumorale sullʼessere umano, anche se può essere
molto utile farlo credere. Ma andiamo avanti. Lʼarticolo mi è stato
gentilmente procurato da un collega informatore medico, in quanto
utilizzato a supporto della sua attività di informazione/vendita di un
prodotto a base di cranberry, finalizzato alla cura delle infezioni del tratto
urinario. La sua clientela è composta, per sua ammissione, esclusivamente
di medici ginecologi, i quali quindi prescrivono questo rimedio naturale in
alternativa ad altri farmaci; ma poiché il medico, per legge (ma anche per
buon senso) non può prescrivere cure la cui efficacia non sia supportata da

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Fitoterapia e scienze erboristiche

evidenti prove scientifiche, mi aspetto di trovare in questo articolo tali


prove.
Invece lʼarticolo riporta testualmente le seguenti affermazioni: “Attualmente
è noto che occorrono grandi quantità di succo di cranberry per abbassare
lievemente il PH, senza però conferire alle urine significativa attività
batteriostatica”. In pratica, anche assumendo quantità assurde di succo di
mirtillo, questo serve poco o persino nulla contro la proliferazione batterica.
Dopodiché, citati alcuni studi, sempre in vitro, prosegue: “non sono stati
trovati studi randomizzati che ne dimostrino lʼefficacia nel trattamento delle
infezioni urinarie. In realtà, alcune evidenze sono emerse da studi di buona
qualità che mostrano come i cranberries possono ridurre il numero di
infezioni sintomatiche dopo 12 mesi di trattamento”.
Per chi non sia addentro a questo tipo di studi, faccio notare lʼuso di
termini tipicamente precauzionali: “possono ridurre”, non significa
assolutamente che riducono, ma che forse, in certi casi, in certe condizioni,
in certi soggetti, ciò può avvenire (analogamente, quando si legge
sullʼetichetta di un acqua minerale che può avere effetti diuretici, significa
solo che essa può, non ha, e proprio questa sottile ma importante differenza
è ciò che fa di quellʼacqua acqua e non un farmaco). Inoltre, a leggere
attentamente, questi frutti non riducono lʼentità e la gravità del disturbo in
tutti, o nella maggioranza dei soggetti testati (ciò che sarebbe il risultato che
ci si aspetta), ma riduce il numero di infezioni, senza specificare se, come
sospetto, si tratta solo di una esigua minoranza.
Per cui, in conclusione, se qualche persona di chiare tendenze
masochiste volesse sottoporsi per un anno intero a una cura quotidiana di
assunzione di succo e capsule di mirtillo, se avrà pazienza di attender dodici
mesi, può ragionevolmente aspettarsi che forse, con una probabilità
imprecisabile, il suo disturbo può regredire. Si consideri che questi dati
indicano che quello su cui il nostro paziente può contare è solo la speranza
di risolvere questa fastidiosa infiammazione urinaria solo a livello

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Fitoterapia e scienze erboristiche

sintomatico (non certo di risolvere la causa del problema, che quindi si


ripresenterà probabilmente appena cessata lʼassunzione del prodotto). Deve
però considerare, oltre alla spesa non indifferente e allʼovvio disgusto che lo
assalirà necessariamente quando dopo centinaia di giorni, dovrà apprestarsi
a bere ancora la sua razione giornaliera di succo di mirtillo, che “il largo
numero di interruzioni del trattamento indica che il cranberry non è ben
tollerato per lunghi periodi”.
Insomma, la sua assunzione costante e in forte quantità non produce il
minimo beneficio, va protratta a lungo perché si possa avere qualche
probabilità di riduzione del disturbo, ma se la cura viene protratta per il
tempo necessario a offrire la probabilità che faccia effetto, è molto più
probabile che si manifestino reazioni di intolleranza. E così, dopo aver
volutamente trascurato i risultati di altri studi che “erano poco affidabili, in
parte per le modalità con cui erano stati eseguiti”, lʼarticolo conclude : “Non
vi sono studi di buona qualità sullʼefficacia del cranberry nel trattamento delle infezioni
del tratto urinario”.
Ora: se fosse vero che la sete di denaro è inferiore alla sete di conoscenza, e
che lʼessere umano persegue il nobile scopo del benessere dellʼumanità,
lʼarticolo in questione avrebbe dovuto produrre lʼovvia conseguenza di
sospendere la produzione di rimedi a base di cranberry per manifesta
inefficacia, e di rivolgere lʼattenzione di ricercatori e di aziende produttrici
verso altri rimedi.
Contemporaneamente gli informatori medici, che non sono
fruttivendoli che vendono una certa qualità di mirtillo, che può piacere o
non piacere, ma professionisti che devono informare sulle reali qualità di
rimedi che servono a curare delle malattie, dovrebbero immediatamente
smettere di propagandare un rimedio a base di cranberry, su precise
indicazioni delle aziende per cui lavorano.
I medici, a loro volta, informati (si spera, non solo da questo articolo)
circa la reale efficacia del rimedio, dovrebbero ammettere la sua sostanziale

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Fitoterapia e scienze erboristiche

inutilità e cercare altri rimedi da prescrivere, supportati da maggiori


evidenze circa la loro efficacia. Invece? Invece centinaia di aziende al
mondo continuano a produrre rimedi a base di cranberry propagandando
la sua efficacia nelle affezioni del tratto urinario, sulla base di studi che
dimostrano il contrario e sulla base delle solite tradizioni popolari che,
come per la maggior parte dei rimedi, lo danno come utile un poʼ per tutto
ciò che affligge lʼessere umano, e cioè come antibiotico naturale, nelle cistiti,
nelle ferite, in affezioni epatiche, gastriche e renali.
Quel che è più grave è che anche un numero imprecisato di medici
(ma certamente consistente visto che è sulle loro prescrizioni che si fonda la
sopravvivenza sul mercato di questo e altri prodotti simili), prescrivono
questi rimedi naturali senza aver accertato, come è loro preciso dovere,
quale sia la loro reale efficacia.
Non è facile dire cosa li spinge a un comportamento così palesemente
contrario ai principi della loro professione, offensivo per lʼintelligenza dei
loro colleghi che invece pretendono che i rimedi che prescrivono siano
supportati da evidenti prove scientifiche e cliniche, e offensivo nei confronti
dei loro pazienti, i quali hanno almeno il diritto che il medico prescriva loro
rimedi efficaci e non vere e proprie bufale. Rispondere a questi interrogativi
facendo il solito riferimento allʼinteresse economico che qualche medico
possa ricavare dalla loro prescrizione, è una volgarità che non prendiamo
neppure in considerazione (e poi, non si può fare di ogni erba un fascio,
come amano ripetere coloro che osservano che non ci sono più le mezze
stagioni). Molto più probabile il fatto che alcuni medici, troppi, a mio
parere, prendano troppo alla leggera il loro lavoro di aggiornamento e di
approfondimento dei rimedi più utili per le patologie che essi curano,
facendosi spesso colpevolmente ingannare dal fascino e dallʼattrattiva di
rimedi naturali, di solito molto più graditi ai loro pazienti rispetto ai
farmaci di sintesi.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Lʼeventuale obiezione secondo la quale non sarebbe credibile che


questo rimedio sia privo di efficacia, dal momento che è così diffuso nel
mondo, è facilmente superabile facendo riferimento alla caratteristica
tipicamente fluctuating del disturbo per cui il rimedio è indicato, e per la
necessità, opportunamente sbandierata da chi vende questi rimedi, di
protrarre la cura per tempi lunghissimi, nel corso dei quali alte cure o altri
fattori possono condurre a un alleviamento dei sintomi. A questo punto chi
ha prescritto il rimedio può, per ignoranza o in mala fede, comunque
colpevolmente, sottolineare un apparente ma indimostrabile collegamento
di causa /effetto tra somministrazione del rimedio e alleviamento del
sintomo, e la leggenda della sua efficacia può mantenersi viva ancora per
qualche tempo. Nel frattempo le aziende che producono rimedi naturali
individueranno altri alimenti o altre sostanze naturali cui attribuire
straordinarie virtù terapeutiche, pronti da immettere sul mercato quando le
esigenze di marketing lo imporranno.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

La leggenda del Ribes Nigrum

I frutti di bosco, e in particolare i mirtilli, sembrano godere di un


particolare fascino sulle menti più deboli. È a tutti noto il mito dellʼefficacia
del Ribes nigrum, cioè il mirtillo nero, nei confronti di tutte le patologie
allergiche. Ormai da decenni generazioni di erboristi, naturopati,
fitoterapeuti e medici “naturali” prescrivono il ribes nigrum senza che sia
mai stato dimostrato alcun effetto positivo sulle patologie per cui è indicato.
Anzi, da quando si è diffusa la moda della sua prescrizione, le patologie e i
disturbi di tipo allergico sembrano essersi diffusi sempre più. Il fatto è che il
blando effetto antiinfiammatorio delle sue parti aeree, definito effetto
cortison like, cioè similcortisonico, ma solo in prove di laboratorio, è

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Fitoterapia e scienze erboristiche

apparso così suggestivo e di così dirompente impatto sulle menti ingenue


dei terapisti alternativi, da trasformare questo rimedio in un vero e proprio
best seller, senza che nessuno si accorgesse che esso non guarisce proprio
nulla, tanto meno nelle dosi in cui è somministrato.
Si consideri poi che secondo la ricerca scientifica (Firenzuoli, 2000)
solo particolari estratti dei semi di questo frutto svolgono in dosaggi e
concentrazione particolar mente elevati una qualche funzione
antinfiammatoria, non certo la quantità poco più che virtuale di ribes
contenuta nel macerato glicerinato, che è la forma galenica molto diluita
con cui è abitualmente venduto, e che è prodotta con gemme e non con i
semi.
Anziché insospettirsi di fronte ai rimedi che sembrano francamente
dotati di effetti miracolosi per troppi tipi di malattie, la strategia mentale
adottata da terapisti e sostenitori dei rimedi naturali consiste nel persistere
inconsapevolmente nellʼerrore cognitivo fondato sullʼargomento storico o ad
populum: “se questo rimedio serve per così tanti disturbi, e se lo usavano
anche gli indiani dʼAmerica, un fondo di verità ci sarà”.
Non è obbligatorio essere terapeuti ignoranti, superficiali e di scarse
capacità speculative per operare con successo nel campo delle medicine
alternative, però queste caratteristiche aiutano.
Quello che è particolarmente grave è che anche alcuni medici, che non
devono vendere niente, ma devono solo prescrivere il rimedio che più di
altri sembra utile per curare la patologia diagnosticata, rifiutando i rimedi
privi del necessario supporto di evidenze scientifiche, continuano a
prescrivere rimedi che, se non producono effetti indesiderati, quantomeno
sono praticamente inutili, ingannando così sé stessi, i loro pazienti e
favorendo la crescita o la sopravvivenza di un mercato parassitario e inutile.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

La divulgazione in materia di piante medicinali

Il libro di cui è sopra riportata l’immagine della copertina è uno


straordinario esempio di come la materia sia stata ridotta a una disciplina di
facile presa sulle menti più deboli al pari dell’astrologia. A prescindere che
non si capisce quale “Signore” sia proprietario del giardino coltivato
dall’autrice, si osservi che le piante sono anche qui indicate come farmaci
per la cura delle malattie, per cui solo una mente disturbata può descrivere
un libro sulle piante medicinali come contenente consigli per la salute e il

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Fitoterapia e scienze erboristiche

benessere. O si curano le malattie, ossia con farmaci di qualsiasi tipo, o ci si


prende cura della salute e del benessere, e allora le erbe medicinali non
hanno più alcuno scopo.
Mentre la ricerca scientifica circa lʼefficacia delle piante sullʼessere
umano è ridotta ai minimi termini, la fitoterapia resta quindi
sostanzialmente un mercato interessante per molta parte delle aziende che
operano nel campo delle medicine alternative. Se il fiume di denaro che
scorre per alimentare lʼintero mondo della fitoterapia alternativa e
dellʼerboristeria fosse convogliato nella ricerca scientifica, avremmo
probabilmente a disposizione una serie di nuovi rimedi fitoterapici efficaci
su tante patologie serie. La sopravvivenza della fitoterapia alternativa,
fondamentalmente di autoprescrizione, è dovuta principalmente allʼattività
di propaganda delle scuole di naturopatia e di omeopatia, e a quella di
riviste a target prevalentemente femminile, quelle scandalistiche, e quelle
che fanno capo al gruppo Riza. Tra queste ultime mi limito solo a citare
alcuni esempi di pessima divulgazione “scientifica”:
• Ritenzione: spirea scioglie gonfiori e cuscinetti.
• Intestino: anice e cumino vincono stipsi e colite (salute febbraio
2004, n°58)
• Lʼaltea spegne tutte le infiammazioni. Nel bidet risolve pure le
vaginiti. (settembre 2001, n°29)
• Mirtillo nero disinfiamma. Escolzia antispasmi. Tiglio e passiflora,
mal di stomaco k.O. (febbraio 2005, n°70).
Proviamo a comprendere quali processi mentali, quali suggestioni, quali
errori cognitivi possano nascere dalla lettura di queste notizie.
Per esempio, ci imbattiamo, nel n°72 del 2005 di Riza salute naturale,
nella rubrica che si intitola “i vostri successi”: già il titolo la dice lunga su
come la ricerca della salute venga concepita come una battaglia dove
quello che conta è vincere, non importa con che mezzo. Nel numero della
rivista in questione lʼarticolo recita: “guarita la gastrite grazie a

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Fitoterapia e scienze erboristiche

passiflora”. Insomma, in evidente spregio ai principi della psicosomatica


cui pure questa rivista si ispira, la gastrite è considerata allopaticamente
come una semplice infiammazione della mucosa gastrica e trattata con
una tisana a base di menta, melissa e passiflora. Nessun accenno al fatto
che salute naturale non significa curare le malattie con tisane anziché con
farmaci, ma consapevolezza del significato della malattia e ricerca della
salute attraverso la correzione del nostro atteggiamento e del nostro stile
di vita.
È pur vero che di solito i medici che scrivono sulla rivista si
preoccupano di segnalare lʼimportanza di abbinare alle cure indicate anche
abitudini di vita diverse, ma tutto lo spirito della rivista è, in maniera
spudorata, di tipo scandalistico e il peso che viene dato ai proclami
miracolistici è chiaramente superiore a quello dei consigli fondati su serie
acquisizioni scientifiche. Nel caso specifico tutto viene ridotto banalmente
allʼassunzione di una tisana, inducendo i lettori a pensare che questo sia il
modo corretto di affrontare i nostri problemi, e cioè rivolgendoci alla
farmacia della natura in alternativa a quella chimica.
La stupidità di un simile atteggiamento è oltretutto aggravata dal fatto
che, come è ovvio se solo ci si riflette un attimo, non è affatto vero, come
lʼarticolo induce a pensare, che la gastrite possa essere “spenta” con una
tisana (proprio così). Unʼaffermazione di questo genere su una rivista diretta
e redatta da medici e psicoterapeuti non può non influenzare il giudizio del
lettore suggestionabile e sprovveduto (come devʼessere, a mio parere, il
lettore di simili riviste), facendogli ritenere che ci siano basi scientifiche che
confermino lʼefficacia di queste piante nella cura della gastrite.
È verissimo che sul piano biochimico i principi attivi contenuti in
queste piante agiscono positivamente sulle mucose infiammate, ma sul
piano clinico, cioè nella sperimentazione sulle persone e non su cellule
osservate al microscopio, le scarse ricerche al riguardo testimoniano la
necessità di dosaggi talmente alti, per essere efficaci, da richiedere una

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Fitoterapia e scienze erboristiche

prescrizione e un controllo medico, comportando tra lʼaltro effetti collaterali


non insignificanti (Firenzuoli, 2000).
In ogni caso, come ogni persona di buon senso può intuire, la gastrite
non si cura con una tisana, la quale, tuttʼal più, può alleviare i sintomi solo
nei casi meno gravi. Si consideri inoltre che la gastrite è evidentemente solo
lʼaspetto più evidente ed esteriore di un disagio che non può essere così
sbrigativamente risolto nella maniera indicata dalla rivista in questione.
Indurre lʼillusione che sia possibile curarsi con il fai da te supportato dalle
stupidaggini schiaffate in copertina da simili riviste per fare presa sulle
persone più deboli culturalmente e più sprovvedute lascia aperta la
conseguente pericolosa possibilità che lʼeventuale temporaneo sollievo
prodotto da questi rimedi possa condurre a trascurare la vera causa del
problema, mentre resta evidente che la tisana consigliata non può definirsi
di provata efficacia terapeutica nella cura della gastrite.
Del resto, tutta la rivista non è altro che un insieme di affermazioni e
proclami privi di fondamento logico e scientifico, come è buona norma
commerciale per ogni rivista rivolta a un target culturalmente medio basso
del tipo delle riviste scandalistiche. Chiunque leggesse “guarita la gastrite
grazie a passiflora” dovrebbe infatti aspettarsi che di lì a poco venga
assegnato il premio Nobel per la medicina allo scopritore di questo
straordinario rimedio, e che i milioni di medici che hanno curato la gastrite
in altro modo cadano nella più cupa prostrazione, realizzando di aver usato
farmaci spesso inefficaci quando il rimedio era lì a portata di mano, in una
semplice tisana.
Insomma, se dobbiamo metterci nei panni dellʼaffezionato lettore di
queste riviste, dovremmo pensare che se solo medici, scienziati e farmacisti,
invece che perdere tempo a svolgere le loro ricerche scientifiche e a fare il
loro lavoro, leggessero e applicassero i consigli contenuti in questi articoli,
noi potremmo in breve tempo alleviare praticamente tutti i mali
dellʼumanità.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Per fare un altro esempio, titolare un articolo “la zinnia rasserena il


pensionato depresso” può autorizzare a pensare che da questo momento i
depressi di tutto il mondo possono buttare nella spazzatura i loro
psicofarmaci, e gli psichiatri possono smettere di studiare la farmacologia,
perché è sufficiente somministrare poche gocce di fiori californiani per
risolvere uno dei problemi di salute che maggiormente assillano lʼumanità.
Se il mago Gabriel, in una delle sue memorabili trasmissioni televisive,
dichiarasse che è possibile alleviare i sintomi della depressione mettendo in
immersione alcuni petali di un fiore e lasciandolo alla luce del sole per
qualche ora, per poi berne alcune gocce tre volte al giorno, la maggior
parte di coloro che si affidano alle cure alternative prenderebbe la cosa per
una stupidaggine. Ma se a fare una affermazione è un medico, magari
allʼinterno di un convegno che riunisce gli appassionati del settore, o dalle
pagine di una rivista diretta da medici, allora la stupidaggine diventa una
terapia seria, magari non da seguire, ma “da provare”.
Personalmente, mi offende e mi turba pensare che questo
comportamento, a mio parere censurabile e stigmatizzabile sotto tutti i
punti di vista, possa essere portato avanti impunemente da anni solo per
lʼarroganza del potere della classe medica. Altre riviste, come “Lumen”,
oppure “Scienza & Conoscenza”, o ancora “Nexus”, vivono anche su
proclami e affermazioni prive di fondamento ma di forte presa sul pubblico
più sprovveduto, ma la loro diffusione è ridottissima, limitata quasi
esclusivamente agli operatori del settore o agli appassionati di tutto ciò che
è alternativo.
Riviste come “Riza Salute naturale”, invece, si presentano come riviste
di medicina, alternativa, ma pur sempre medicina; esse mirano al pubblico
più vasto possibile e approfittando della suggestione che la professione
medica di chi le dirige induce nel pubblico più suggestionabile e
sprovveduto, infarciscono la rivista di affermazioni presentate come dati di
fatto perlomeno incaute e illusorie, che a nessunʼ altra categoria di persone,

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Fitoterapia e scienze erboristiche

che non siano medici, sarebbe permesso pubblicare. Il fatto cioè che medici
e non semplici giornalisti di giornali scandalistici siano responsabili di tali
affermazioni non è solo grave perché esse sono prive di quelle cautele e
prove scientifiche che la medicina pretende, ma perché induce a pensare
che, proprio perché provengono da figure professionali di così alto prestigio,
esse non siano prive di fondamento, come in effetti sono, ma siano
corredate di sufficienti dimostrazioni circa la loro validità e veridicità.
È proprio grazie alla responsabilità di quella parte della classe medica che
diffonde notizie prive di basi scientifiche sulle medicine alternative che
queste riescono ancora a sopravvivere, insieme alla complicità della parte
sana, maggioritaria della classe medica stessa, che per motivi di gestione del
potere interno preferisce lasciar correre nascondendosi dietro la
giustificazione che compito del medico è anche quello di sperimentare ogni
rimedio utile per la salute dellʼessere umano. Che è appunto ciò che la
medicina fa quando effettua sperimentazioni condotte secondo criteri
scientifici, e non quando pubblica e diffonde affermazioni prive di ogni
fondamento.
Nessuno dovrebbe permettersi di affermare che “i ricostituenti salva
vita (guaranà, rodiola e ginseng) fanno ringiovanire e ricaricano dʼenergia, e
in dieci giorni rigeneri pelle e cervello”. Come è possibile annunciare
impunemente simili stupidaggini? Affermazioni di questo tipo non
potrebbero essere pubblicate su una rivista scientifica seria, ma quella da
cui abbiamo tratto queste ennesime perle è rivolta a un pubblico di normali
consumatori che non hanno gli strumenti culturali per potersi difendere da
notizie presentate come fatti scientificamente supportati.
Il rischio di illudere sul fatto che ci sia un fondo di verità in
affermazioni come queste: “Guaranà migliora la memoria, Rodiola
antidepressiva, Ginseng annienta lo stress” è un rischio reale. Che il
guaranà migliori la memoria è tutto da dimostrare, che la rodiola sia da
considerare un farmaco antidepressivo è invece una emerita stupidaggine,

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Fitoterapia e scienze erboristiche

priva di ogni fondamento e di ogni dimostrazione nella pratica clinica.


Quanto al ginseng, si afferma che esso “annienta lo stress”. Lʼespressione è
suggestiva e richiama quelle in uso in altre riviste dello stesso livello
culturale, come “Pugilato oggi” oppure “Culturismo e arti marziali”. Si
osservi come le espressioni utilizzate riconducano a una visione della vita
infantilmente dicotomica, coi buoni da una parte e i cattivi dallʼaltra,
nonché meccanicista e riduzionista, secondo la quale i nostri disturbi
possono essere aggrediti e annientati secondo un banale rapporto di causa
effetto.
Sul piano logico e neurologico, poi, ci si chieda quale deficit di
conduzione degli impulsi nervosi può condurre a pensare che lo stress, il
quale è una condizione legata a una situazione esterna, possa essere
annientato senza agire sul comportamento, lʼatteggiamento e lo stile di vita
delle persone e come possa essere annientato dal momento che gli stressor
non sono anomalie organiche asportabili come cisti, ma situazioni
ambientali e relazionali sulle quali lʼassunzione di una compressa di ginseng
non ha nessun effetto. Inoltre, è vero che il ginseng ha una discreta azione
tonica sul sistema nervoso. Ma questa azione, per produrre veramente
effetto, dovrebbe essere supportata da una diagnosi medica circa la
condizione di salute psicofisica della persona, da una valutazione circa la
necessità di utilizzare un rimedio che, se pur naturale, non è certo privo di
controindicazioni.
Solo dopo queste valutazioni mediche dovrebbe eventualmente seguire
il suggerimento relativo a un opportuno dosaggio e alla durata della
somministrazione. Tutto questo non va lasciato al fai da te implicitamente
suggerito dalla rivista, ma solo ed esclusivamente affidato a un medico.
Anzi, una rivista che si occupi seriamente di salute naturale, al contrario,
anziché magnificare gli effetti di un certo rimedio, dovrebbe evidenziare i
suoi limiti, le controindicazioni, gli effetti indesiderati, mettendo bene in

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Fitoterapia e scienze erboristiche

evidenza che tutto ciò che assumiamo per produrre una modificazione nel
nostro metabolismo è potenzialmente nocivo o dannoso.
Non mi pare che questa sia la linea seguita da queste riviste. Ma un
altro punto mi preme sottolineare, perché costituisce un lampante esempio
di come le medicine naturali siano utilizzate da o con la complicità di parte
della classe medica, tradendo e contraddicendo gli stessi principi su cui si
fonda questa professione. Tornando al ginseng, infatti, non solo è fuorviante
e illusorio (ricordo che non parliamo della bontà di un prodotto dolciario,
che può piacere o meno al palato, ma di un rimedio per la salute) affermare
che esso annienta lo stress, ma questa affermazione è in piena
contraddizione con lo spirito su cui si fondano tutte le discipline che non si
riconoscono nella medicina allopatica, pur anche se siano solo
complementari ad essa.
Eʼ proprio la medicina allopatica quella che utilizza farmaci o rimedi
di altro tipo per combattere la malattia, senza preoccuparsi più di tanto
della salute in senso globale della persona.
Ed è proprio per ovviare a questo limite insito nelle cure allopatiche
(che per loro natura sono rivolte solo alla malattia diagnosticata) che è nata
e si è sviluppata la medicina alternativa, complementare e naturale, quella
cioè di cui si occupa proprio la rivista in questione. La quale dovrebbe
perseguire lʼintento di aiutare a ritrovare una buona condizione di
benessere in maniera naturale, alternativa allʼuso di un farmaco. Qui
invece, in maniera rozza e becera, il ginseng viene ridotto al rango di un
potente farmaco che, allopaticamente, mira solo ed esclusivamente a
combattere il male, come qualsiasi altro farmaco ansiolitico o sedativo. Cʼè
di più, naturalmente.
Eʼ molto grave che proprio una rivista diretta da psichiatri e
psicoterapeuti non si preoccupi, in primo luogo, del benessere psicofisico
della persona, limitandosi a suggerire di “annientare lo stress”. Lo stress è
parte della nostra vita, non è un agente infestante o infettivo proveniente

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Fitoterapia e scienze erboristiche

dallʼinferno, e la sua pericolosità dipende non dalle sue caratteristiche


intrinseche, ma dal modo in cui noi gestiamo la nostra vita. Lo stress non va
annientato, in primo luogo. Eʼ questa stessa espressione che turba chiunque
creda in una medicina preferibilmente dolce, non violenta, rispettosa
dellʼessere umano. Ma anche se volessimo porci nellʼottica contraria a quella
naturale, dovremmo riconoscere che lo stress non è annientabile, e tanto
meno è possibile farlo assumendo ginseng, né in piccole, né in megadosi.
Proprio psichiatri e psicoterapeuti dovrebbero saperlo ed educare i loro
lettori a utilizzare i rimedi solo come supporti a quella che è la vera cura del
loro disagio, non certo per annientare violentemente il loro nemico.
Ma in questʼopera poco meritoria, le riviste del gruppo Riza sono in
buona compagnia, anche se di pubblicazioni specialistiche riservate solo
alla classe medica. La rivista “Medicina funzionale” n° 1 del 2006, riporta
per esempio un articolo a sostegno dellʼefficacia antiossidante dellʼestratto
secco di tè verde, un prodotto commercializzato dalla stessa azienda che
edita la rivista. In pratica, lʼunico motivo per cui una persona dovrebbe
assumere questo rimedio, qualora soffra di debilitazione dovuta a
invecchiamento, stress, probabile eccesso di radicali liberi (cioè tutti noi) sta
nel fatto che il tè verde si è dimostrato efficace persino nella cura di una
patologia grave come il morbo di Alzheimer.
Peccato che, a sostegno di questa rivoluzionaria affermazione,
destinata a indurre illusorie speranze in migliaia di ammalati, cʼè solo
lʼarticolo in questione. “Lʼepigallocatechin-3-gallato del tè verde (EGCG)
modula il clivaggio delle proteine precursori dellʼamiloide e riduce
lʼamiloidosi cerebrale nel topo transgenico con Alzheimer”. Eʼ chiaro, il
linguaggio è molto tecnico, ma non è in grado di nascondere, anche ai non
addetti ai lavori, la povertà patetica delle prove addotte a sostegno
dellʼefficacia di questo prodotto. Infatti: “Come validazione di questi
risultati in vivo, abbiamo trattato con EGCG il topo transgenico Tg APPsw
ipersecernente Abeta e abbiamo rilevato una diminuzione dei livelli di

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Abeta e delle placche associate alla proporzione del meccanismo


proteolitico delle alfa-secretasi non amiloidogeniche”.
In altre parole, un piccolo gruppo di ricercatori ha trattato un topo
transgenico affetto da probabile Alhzeimer, ha rilevato una diminuzione di
certi valori collegati alla presenza del morbo stesso, e in base a queste
straordinarie osservazioni ricollegherebbe una ipotetica efficacia
dellʼestratto di tè verde come antiossidante anche sullʼessere umano.
Qualunque persona di buon senso non può che ridere di questa
affermazione. Che è però drammatica, perché questo articolo viene citato
ad esempio e a dimostrazione scientifica dellʼefficacia di questo preparato:
“funziona anche sullʼAlzheimer, figurarsi su una semplice condizione di
stress”.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Quando la disinformazione viene da chi vuole


informare

Medici, naturopati, erboristi, tutti coloro che hanno a che fare a


diverso titolo con erbe e rimedi fitoterapici sono tenuti costantemente
informati da unʼinformazione scientifica data dalle stesse aziende
produttrici. Così, leggo sulle schede tecniche dellʼazienda Sangalli le
caratteristiche e proprietà dei rimedi che vende, e sotto il titolo: “sintesi dei
lavori scientifici e delle pubblicazioni monografia Vidal” mi aspetto
appunto di trovare quello che viene promesso. Invece a proposito delle virtù
terapeutiche del tiglio, scopro che gli studi scientifici consistono solo ed
esclusivamente nelle parole seguenti. “ il tiglio esisteva già nella farmacopea
di Schroder nel 1665, indicato come calmante per le cefalee e in caso di
vertigini, epilessia e apoplessie. Lemery nel 1690 fu il primo a prescrivere

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Fitoterapia e scienze erboristiche

lʼuso delle infiorescenze.” Lʼunico accenno a una parvenza di studio


scientifico è nella frase seguente, in cui, dopo aver elencato le sue pretese
virtù terapeutiche, si afferma che “questa azione è stata messa in evidenza
anche sugli animali, a livello sperimentale (in particolare sono stati studiati i
pesci rossi) utilizzando un idrolato di tiglio”. Nientʼaltro. Che gli studi
scientifici sullʼefficacia calmante del tiglio siano limitati a quelli di questi
oscuri personaggi della fine del settecento, quando ancora la scienza come
oggi la intendiamo non poteva neppure dirsi esistente, è perlomeno curioso.
Che su queste basi, e cioè sul fatto che si è dimostrato efficace sui pesci
rossi, si debba prescrivere il tiglio anche allʼessere umano, mi sembra
francamente irresponsabile. Del resto, questo articolo dimostra, al
contrario, proprio lʼinefficacia del tiglio, a meno che qualcuno non mi
dimostri che in qualche parte del mondo esso sia ancora oggi utilizzato per
curare lʼepilessia e prevenire i colpi apoplettici.
Logica, buon senso e assenza di prove scientifiche dimostrano che, se
un rimedio era utilizzato alcuni secoli fa per curare certe malattie, a quanto
pare senza successo al punto da non essere più stato utilizzato allo scopo da
secoli, sorge il dubbio legittimo che esso possa essere ugualmente inefficace
anche per patologie meno gravi, come quelle per cui ancora oggi viene
utilizzato, cioè come sedativo del sistema nervoso e regolatore del ritmo
veglia-sonno. Non mi conforta, non so voi, il fatto che seri studi
sperimentali siano stati condotti sui pesci rossi. Eʼ vero che lʼintelligenza e il
senso critico di molti operatori delle medicine alternative sono sicuramente
paragonabili a quelli di queste simpatiche creature, ma non mi sentirei di
affermare che i loro processi fisiologici siano così affini a quelli di un essere
umano, né che sia così facile verificare lʼeffetto del tiglio sul loro stato di
salute.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Amore per le piante o amore per se stessi?

La conoscenza del mondo delle erbe e delle piante rappresenta da


sempre uno dei temi di maggiore interesse per tutti coloro che amano
lʼapproccio naturale alla salute. Corsi di fitoterapia, di riconoscimento delle
erbe, di erboristeria applicata alla salute quotidiana sono seguiti con
interesse e passione da milioni di persone, tutte pronte a dichiarare un
amore puro e incondizionato per il mondo vegetale.
Siamo sicuri che sia proprio così? Bene, noi vi proponiamo una diversa
lettura del fenomeno. Al di là delle dichiarazioni formali, tese ad
accreditare una immagine di sé come di persona colta e specialmente
fornita di una illuminata mentalità ecologica ed ecologista, è evidente, se
solo riflettete un attimo, che lʼinteresse per le piante officinali o medicinali
non ha niente, ma proprio niente a che vedere con la natura e il rispetto
delle sue risorse. Al contrario, esso si configura molto più prosaicamente

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Fitoterapia e scienze erboristiche

come interesse egoistico per la propria salute, perseguito a spese di altre


forme di vita.
A nessuno di coloro che proclamano il loro amore per la fitoterapia,
interessa nulla della vita delle piante nel senso etologico, ecologico o
culturale del termine: che una certa pianta viva e si riproduca secondo certe
caratteristiche, che instauri una particolare relazione con lʼambiente e con
le altre forme di vita, che abbia o meno una sua storia indipendente o
legata alla storia dellʼuomo interessa soltanto nei limiti in cui essa possa
essere utilizzata per la cura della patologie umane.
Lʼamore per il mondo vegetale dei naturopati ed erboristi in genere è
solo egoistico amore per sé stessi, talmente egoistico che queste persone non
si sono mai chieste come mai, per curare il loro disturbo, esse dovessero
uccidere una forma di vita vegetale. Perché di questo si tratta: le piante non
sono amate per se stesse e per il piacere che donano a chi, come alcuni
esseri umani tra cui chi scrive, amano godere della loro presenza, della loro
vista, dei loro profumi.
Tutti i cultori delle erbe sono interessati ad esse solo ed esclusivamente
per le loro virtù terapeutiche, proprio come i cacciatori sono
particolarmente attenti al benessere della cacciagione per poterla
sterminare. Non ci si faccia ingannare dai patetici richiami storico-
mitologici, spesso citati in spagiria, con i quali le aziende del settore
infarciscono i loro prontuari terapeutici. Si tratta solamente di un
strumento in più per vendere un prodotto, attraverso la suggestione indotta
dalla sua storia relativa ai benefici che la tal pianta ha portato allʼuomo nel
corso della sua storia.
Chi mai frequenterebbe un corso che insegna a riconoscere le piante,
ne illustra le caratteristiche per il solo piacere di arricchire la propria
conoscenza? Non certo tutti coloro che affollano i corsi di erboristeria,
spagiria e fitoterapia organizzati dalle scuole di naturopatia, i quali non

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Fitoterapia e scienze erboristiche

desiderano altro che sapere per la cura di quali disturbi ogni pianta è
indicata.
Questa concezione del ruolo delle piante affonda le sue radici in una
mentalità prescientifica e medievale che solo la naturopatia tradizionale e le
medicine alternative si ostinano a mantenere in vita per puri scopi
commerciali. Essa, infatti, è ancora legata a una visione della vita che è
stata ormai rifiutata da secoli e che era all'origine della cosiddetta "Teoria
della grande catena dell'essere" utilizzata dai primi naturalisti per
giustificare l'idea che vi fosse un disegno divino alla base del mondo
naturale (Si veda in proposito: Smith, C.M., Sullivan, C. (2008). I falsi miti
dell'evoluzione. Bari:Dedalo Edizioni, www.edizionidedalo.it). L'intero
universo era considerato invariabilmente fisso e si attribuiva alla volontà di
Dio la creazione di qualsiasi essere vivente, ognuno dei quali aveva uno
scopo ben preciso, ma sempre funzionale all'interesse dell'uomo.
Sembra impossibile che ancora oggi, quando la scienza e la teoria
evoluzionistica hanno fatto piazza pulita di queste concezioni contrarie
persino alla dignità dell'uomo, si continui a diffondere un'idea
antropocentrica aberrante della natura posta al servizio dell'uomo. Eppure,
solo le nostre Scuole (si veda anche : http://
www.scuoladicounselingtorino.it/) propongono una visione delle cure
naturali come eticamente ed ecologicamente corretta, mentre tutte le
Scuole di naturopatia tradizionale continuano a sostenere una concezione
medievale ed eticamente primitiva della relazione uomo/ambiente (si veda,
tra gli altri siti in proposito: http://www.naturopatia.it/; http://
www.naturopataonline.org/; http:// www.naturopatiaitaliana.it/; http://
www.naturopatia.org/;)
Creazionismo ed evoluzionismo sono dʼaccordo su pochissimi punti:
uno di questi è che lʼuomo, per sopravvivere, ha bisogno di uccidere altre
forme di vita. Ci sono voluti decine di migliaia di anni perché una
minoranza di persone, i vegetariani, che si credono, spesso, elette, abbia

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Fitoterapia e scienze erboristiche

preso in considerazione la possibilità di non alimentarsi con alimenti che


richiedevano il sacrificio di animali. Le piante, invece, possono essere
sterminate senza pietà. E infatti, perché dovremmo provare pietà per le
piante? Conosco molti vegetariani che non sopportano il pensiero di far
soffrire gli animali, e che quindi mangiano pesce e non carne. La sfortuna
dellʼevoluzione! Se i pesci avessero imparato a urlare sputando sangue,
invece che limitarsi a dimenarsi in silenzio quando sono catturati, forse
godrebbero di maggiore rispetto. Ma che dire delle piante? Molti animalisti
e vegetariani si stupiscono di notare che anche esse sono forme di vita. Ma
la vita, contrariamente a quanto essi proclamano, non è, a quanto pare, un
valore assoluto.
In un film di Woody Allen una ragazza che a tavola aveva dichiarato
di essere vegetariana risponde allʼinterlocutore che le chiede se la sua scelta
è motivata dallʼamore per gli animali: “No, è che io odio i vegetali”.
Pensateci.
Ci rendiamo conto che, almeno fino ad oggi, e probabilmente ancora per
molti anni, la sopravvivenza dellʼuomo non potrà essere garantita attraverso
unʼ alimentazione di sintesi, che faccia uso di sostanze prelevate dal mondo
minerale come gli idrocarburi, per costruire artificialmente cibo che non
abbia una origine organica. A quel punto il problema etico si sposterà verso
la tutela del mondo minerale, il quale a tuttʼoggi non gode di alcun
particolare interesse morale e non sembra creare particolari problemi etici.
Tuttavia, una cosa è cercare di soddisfare un bisogno biologico
primario legato alla sopravvivenza con rispetto e intelligenza, cercando di
evitare sofferenze e soppressioni di vite inutili, e altra cosa è non
interrogarsi neppure sul significato del gesto con cui, per curare un disturbo
non grave e non mortale come una moderata ritenzione idrica, per
esempio, sia necessario e anzi ammirevole uccidere delle forme di vita
vegetali.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Anche se può sembrare strano, le piante, come gli animali, non sono
per nulla state messe a disposizione dellʼuomo da Dio, perché egli ne facesse
quello che voleva. Tutte le forme di vita, compreso lʼuomo, sono il frutto di
un processo evolutivo in relazione allʼambiente, del quale tutti fanno parte
con uguale “dignità” e diritti”.
Le piante non sono nate e non si sono diffuse ovunque per soddisfare
un bisogno dellʼuomo: questa visione che mutua il più superficiale
antropocentrismo con la più bieca propaganda religiosa, costituisce lʼalibi
pseudoculturale di tutti coloro che nascondono la loro paura per la propria
salute dietro uno sbandierato e falso amore per la natura. La “superiorità”
in senso evolutivo dellʼuomo sulle altre forme di vita è tale solo se essa tiene
conto delle esigenze di queste ultime a godere (a modo loro, naturalmente)
dellʼambiente in cui si sono evolute. In questo ambiente lʼuomo ha preso il
sopravvento, ma è giunto a un limite storico-evolutivo in cui è ora che
cominci a prendere in considerazione il fatto di liberarsi dalla schiavitù
dello sterminio di altre forme di vita per garantire la propria sopravvivenza.
In conclusione, ci stupisce profondamente come un legittimo interesse
verso la cura di patologie umane, di per sé ovvio e banale nella sua
caratteristica di bisogno naturale primario, debba essere mascherato con
una squallidissima propaganda ideologica diffusa tra i sedicenti amanti
della natura. Se davvero amassimo la natura e il mondo delle forme di vita
vegetale cercheremmo di evitare, dove e quando possibile, di dover uccidere
altre forme di vita, dal momento che la maggior parte dei malanni che
vengono curati con la fitoterapia sarebbero prevenibili ed evitabili
adottando uno stile di vita più sano e corretto. E invece, persone che non si
curano della salute del loro corpo, della mente e dello spirito, sono sempre
pronte a suggerire e a fare uso di piante per qualsiasi disturbo, anche il più
stupido e lieve. E si fanno chiamare naturopati.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Il ruolo della fitoterapia nella naturopatia ad indirizzo


di Scienze naturopatiche

Da questi brevi accenni alle cautele metodologiche, etiche e filosofiche


nellʼuso delle piante a scopo terapeutico si comprende la nostra perplessità
di fronte a una naturopatia commerciale che vorrebbe utilizzarle per la cura
di ogni nostro disturbo, sostituendosi alla medicina e persino alla
psicoterapia.
Da quando esiste lʼuomo, esiste la sua ricerca di un rimedio per tutti i
mali che lo affliggono. Da sempre le piante rappresentano lo strumento
principale per alleviare il dolore, curare ferite e malattie. Fino a pochi secoli
fa, e cioè fino alla nascita della chimica, lʼuso a scopo terapeutico delle
piante era riservato ad erboristi ed alchimisti, i quali riconoscevano nelle
piante funzioni legate simbolicamente alla loro forma, al loro colore, sapore

65
Fitoterapia e scienze erboristiche

o odore, cioè al loro significato legato a una concezione magica e analogica


del rimedio.
Dalla teoria spagirica delle “segnature” di Paracelso, alla ricerca del
loro significato trascendente da parte di Steiner o di Bach, si è arrivati alla
loro analisi biochimica, che ha permesso di isolarne i principi attivi e di
accertarne la potenziale tossicità o pericolosità. Ne sa qualcosa lʼalfiere della
crociata per la sottrazione della fitoterapia alle discipline non convenzionali,
e cioè lʼonnipresente Dott. Firenzuoli, il quale cerca da anni, in tutti i modi
e con tutti i mezzi leciti a sua disposizione, di dimostrare i rischi connessi
allʼutilizzo di piante di uso comune da parte di personale non medico. In
tutti i suoi libri egli cerca di dimostrare, accanto allʼefficacia terapeutica di
molte piante, anche la loro potenziale pericolosità. Questo argomento, che
Firenzuoli ritiene possa giocare a suo favore nella battaglia per portare la
fitoterapia in ambito esclusivamente medico, costituisce, in realtà un
argomento contrario, aprendo le porte a un uso etico, professionale e non
clinico delle piante, secondo lʼindirizzo di Scienze naturopatiche. Vediamo
perché.
Tutte le piante dotate di provata attività terapeutica presentano effetti
collaterali nocivi (come tutti gli studi scientifici dimostrano); per avere
effetto, devono essere prescritte in quantità oggettivamente tali da essere
antieconomiche e di disagevole assunzione; in queste quantità gli effetti
indesiderati cessano di essere solo potenziali per diventare una certezza.
Non si vede, quindi, perché, come si è sempre fatto, non possano diventare
una specialità medicinale sotto forma del principio attivo isolato, lasciando
lʼuso di quelle non tossiche ad altre categorie di operatori (erboristi e
naturopati).
Ma in realtà è proprio questo il punto. Firenzuoli e i pochi medici che si
sono dedicati allo studio della fitoterapia, non vogliono che ciò che è
utilizzato a scopo terapeutico possa essere utilizzato da personale non
medico, anche se in altra forma e in diversa quantità. Essi sostengono che

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Fitoterapia e scienze erboristiche

se una sostanza è capace di produrre modificazioni sullʼomeostasi e sul


metabolismo, significa che ha una efficacia terapeutica, cioè legata alla cura
di una malattia, e questo è compito esclusivamente del medico. Siamo
perfettamente dʼaccordo. Resta da vedere cosa significa modificazione del
metabolismo, perché, come sopra ampiamente dimostrato, tutto ciò che
interagisce con il nostro organismo lo modifica, dalle parole che state
leggendo al sorso dʼacqua.
Dovʼè la soglia oltre la quale la spremuta dʼarancia cessa di essere un
alimento piacevole, dissetante e nutritivo e diventa terapeutico per il suo
contenuto di flavonoidi e di vitamina C?. E “nutritivo”, non significa forse
terapeutico? Se sperduto nel deserto, disidratato, incontro una carovana di
nomadi, uno dei quali mi offre dellʼacqua, egli sta compiendo un atto
medico, in quanto sta intervenendo su una precisa patologia, la
disidratazione, o sta solo nutrendomi? E lʼacqua, può essere considerata un
nutriente? E poiché questʼacqua è ricca di minerali, cioè di micronutrienti
che influiscono sul metabolismo, va prescritta dal medico?
Vediamo di chiarire la questione.
I fitoterapici non sono nutrienti essenziali. Questi ultimi (lipidi, protidi,
glucidi, vitamine, minerali, acidi grassi, fibre) vanno invece assunti, col cibo
o in integrazione, in quantità ponderali tali da soddisfare il fabbisogno
calorico minimo individuale, o da permettere lʼattivazione di processi
metabolici (plastici o energetici) essenziali per la vita.
Il fabbisogno di nutrienti essenziali può essere scientificamente determinato
(RDA, Larn) così come la dose minima di principi attivi necessaria per
ottenere un certo risultato terapeutico.
Quindi, se i principi attivi fitoterapici non sono essenziali, non esiste la
possibilità che lʼorganismo soffra per carenza di principi contenuti nelle
piante. Se non sono essenziali, non richiedono la loro presenza ponderale,
in quantità precise, ma possono pur sempre avere una funzione specifica
sullʼorganismo, se assunti in certe quantità oltre le quali gli studi scientifici

67
Fitoterapia e scienze erboristiche

hanno accertato la produzione di effetti, o avere solo un ruolo informativo


se assunti al disotto di questa soglia. Ben diverso è invece il ruolo dei
nutrienti essenziali che vanno assunti in quantità ponderali: non ha senso
somministrare questi ultimi in dosi omeopatiche, perché, ammettendo che
la teoria omeopatica abbia un senso, le cellule riceverebbero il segnale, ma
non potrebbero sintetizzarli.
Dopo ripetute sollecitazioni a sintetizzare nutrienti essenziali (cosa che
non possono fare perché la loro caratteristica è proprio quella di non poter
essere sintetizzati dallʼorganismo), senza che essi siano forniti in quantità
ponderali, lʼorganismo stesso, disorientato, aggrava le sue condizioni.
Lʼipericina, invece, per esempio, che costituisce il principale principio attivo
ricavato dallʼiperico, agisce impedendo la ricaptazione della serotonina o
aumentandone il numero di recettori: non ha una sola funzione che abbia
nulla a che vedere direttamente con funzioni essenziali per la
sopravvivenza: né plastiche, strutturali, né coenzimatiche o energetiche.
Se i principi attivi hanno quindi una efficacia informazionale, non
richiedono dosi ponderali. Le dosi ponderali sono richieste nella terapia
medica che mira a combattere una patologia. Nellʼattività di consulenza
fondata sulle scienze naturopatiche non occorre somministrare la dose
clinicamente testata, ma solo lʼinformazione che avvia il processo di
autoguarigione con lʼattivazione di meccanismi fisiologici per i quali il
rimedio non si sostituisce allʼorganismo stesso.
Il processo di autoguarigione non può attivarsi in carenza di nutrienti
essenziali, (per questo essi devono essere somministrati in dosi ponderali),
ma ciò non vale per i fitoterapici, perché lʼorganismo può attivarsi in altro
modo.
Quindi, i primi (i nutrienti essenziali) hanno un ruolo strutturale e
ponderale. Essendo essenziali, devono essere somministrati così come sono
e in quantità ponderali precise. Rappresentano, su un ideale campo di
battaglia, lʼesercito e le sue armi. Di essi e della loro corretta assunzione si

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Fitoterapia e scienze erboristiche

occupa il counselor in naturopatia nel predisporre un programma dietetico


(inteso, si intende, come programma personalizzato di abitudini corrette, e
non un programma dietetico di tipo medico)
I secondi, i fitoterapici, non sono essenziali ma funzionali e
permettono allʼorganismo di migliorare la sua funzionalità ed efficienza, a
condizione che i nutrienti essenziali ne garantiscano lʼintegrità e la
completezza strutturale. Essi rappresentano, sullʼideale campo di battaglia
cui abbiamo fatto riferimento, la strategia, immateriale, ma assolutamente
indispensabile per combattere.
In realtà, lʼorganismo può attivare altri processi per ottenere risultati
funzionali: i principi attivi attivano infatti solo funzioni specifiche che non
hanno a che vedere direttamente con la patologia. Del resto è evidente che
il farmaco è il risultato di una ricerca dellʼuomo volta a conseguire un
risultato specifico nei confronti di una malattia.
La pianta, come ogni entità naturale, non si è evoluta nel corso di
milioni di anni allo scopo di fornire allʼuomo sé stessa come strumento per
combattere una malattia, ma solo per sopravvivere interagendo con
lʼambiente. Eʼ proprio per questa affinità tra lʼattività di interazione della
pianta e dellʼuomo con lʼesterno che le piante, almeno secondo gli studiosi
di impostazione non biomedica, possono essere utilizzate dallʼuomo in
campo terapeutico. Non però, come dicevamo, per combattere una
malattia: questo è un uso distorto, utilitaristico della pianta, che non tiene
conto di essa come essere vivente e come tale dotato di innumerevoli
caratteristiche.
Presa nella sua interezza di essere vivente, essa può aiutarci a
interagire con lʼambiente rinforzando le nostre difese e le nostre funzioni
vitali. Non per niente, fino allʼavvento dello studio medico delle piante, le
loro funzioni non erano mai collegate a precise patologie, per cui, sotto il
profilo logico e scientifico, affermare che una pianta abbia un effetto
antidepressivo o antiartritico, è una vera e propria assurdità, perché

69
Fitoterapia e scienze erboristiche

presuppone di piegare caratteristiche vitali di un organismo alle nostre


esigenze.
Tanto più che non bisogna confondere il principio attivo con le
proprietà del fitocomplesso. La medicina può e deve utilizzare il principio
attivo estratto e isolato dalla pianta se questo è utile nella cura di una
malattia, ma la funzione della pianta è ben altra e legata alla presenza
combinata e necessaria di tutte le sue componenti, vitamine, minerali e le
centinaia di altre sostanze che sono presenti o assenti, o in certe quantità,
perché rispondono a un preciso processo evolutivo di sopravvivenza che va
rispettato.
Nel counseling naturopatico sarebbe quindi assurdo e contraddirebbe
gli stessi principi della disciplina fin qui enunciati, parlare dellʼeffetto delle
piante in relazione a patologie, così come invece avviene su ogni buon
prontuario che le case farmaceutiche forniscono (riducendo il ruolo del
naturopata a quello di prescrittore di rimedi).
Nessun naturopata serio potrebbe infatti far riferimento a un
protocollo che da una parte elenchi le principali patologie, e dallʼaltra
enumeri rimedi e piante utili a combattere la malattia stessa. Eppure è
invalsa lʼabitudine, specialmente in ambito medico, di utilizzare piante e
rimedi naturali come se fossero farmaci seguendo un prontuario che,
partendo dalla A di allergia arriva alla V di vitiligine elencando i possibili
rimedi.
Questo modo di concepire la salute e lʼintervento naturopatico è
estraneo alla cultura naturopatica e nasce come un ibrido, da una
“allopatizzazione” della nostra disciplina favorita dallʼapproccio medico e
dagli interessi delle case produttrici.
Ci rivelava il responsabile commerciale di una nota azienda che produce
rimedi naturali e fitoterapici in particolare, di essere stati costretti dal
mercato ad “allopatizzare” il trattamento naturopatico, perché troppo
pochi erano i terapeuti che sapevano guidare il cliente verso

70
Fitoterapia e scienze erboristiche

lʼautoguarigione seguendo passo per passo un programma di


disintossicazione e poi di intervento naturopatico, per sua natura più lento
di quello allopatico. Oggi nessuno ha più tempo di occuparsi di sé stesso, e
si richiede anche alla omeopatia o alla naturopatia di intervenire con effetto
immediato e risolutivo sui sintomi.
In realtà, le proprietà delle singole piante si riferiscono, da sempre,
almeno fino a che il loro uso non è stato stravolto dalla medicina, a funzioni
positive di chiara impronta salutogenica e non certo rivolte alla patogenesi.
Si parla infatti di effetti tonici, immunomodulanti o stimolanti, ipnotici,
sedativi, revulsivi, balsamici, depurativi, remineralizzanti, ecc. In nessun
caso si fa riferimento a una patologia, ma al contrario a una condizione di
salute alterata.
Prendiamo lʼesempio dellʼinsonnia. Al di fuori dei casi limite, essa non può
certo essere definita una patologia, e tantomeno le piante ipnoinducenti
hanno lʼefficacia di un farmaco. Il loro uso si deve accompagnare a una
analisi della condizione generale del soggetto, dei motivi che hanno
condotto a questa situazione di distonia neurovegetativa e a un programma
di riequilibrio e non certo limitarsi alla prescrizione di un farmaco che
obbliga lʼorganismo, contro la sua volontà, a cadere nel sonno.
In conclusione, a nostro parere, nella necessaria evoluzione della
naturopatia in consulenza scientifica in naturopatia, occorre fissare nuovi
criteri per adattare la cura alle esigenze e alle tendenze della società attuale,
nel rispetto delle competenze delle professioni che si occupano di salute e di
malattia e delle relative disposizioni legislative. Quindi il rimedio
fitoterapico deve essere considerato un farmaco in tutti i casi, innanzitutto,
in cui una sua assunzione, se pur nella minima dose contenente il principio
attivo, possa, da sola o in sinergia con altre sostanze, alimentari o no, essere
dannosa per lʼorganismo.
Ciò esclude dallʼambito di competenza del consulente in naturopatia
tutte le sostanze velenose, pur dotate di effetti terapeutici. In secondo luogo,

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Fitoterapia e scienze erboristiche

se il rimedio fitoterapico ha di per sé stesso, anche in quantità minima, una


azione rivolta direttamente e immediatamente ad agire sul sintomo o la
malattia, o viene assunto in quantità tale da produrre un effetto preciso
sulla malattia, esso è agli effetti pratici un farmaco.
Quando il rimedio fitoterapico potrà essere utilizzato dal naturopata?
Solo a condizione che esso sia assunto per agire a favore delle funzioni vitali
dellʼorganismo, e non contro una patologia. Per semplificare, i criteri
distintivi e di riferimento per lʼazione terapeutica del counseling attraverso
lʼutilizzo di rimedi fitoterapici vanno impostati in maniera radicalmente
diversa da quella che è la tendenza allopatica attuale, catalogando i rimedi
non per la loro attività scientificamente provata sulle patologie, ma,
prescindendo da essa, per la loro efficacia in positivo sulla salute e sul
benessere. Gli effetti delle piante sullʼorganismo, secondo la visione
naturopatica del counseling che proponiamo, possono essere così riassunti:

1. Effetto primario: lʼazione svolta dal rimedio sul metabolismo


generale, in senso tonico, sedativo, aperitivo, digestivo, di rinforzo delle
difese ecc.: in questi casi, lʼazione terapeutica non è di tipo medico, perché
rivolta allo stimolo e non alla soppressione di una certa funzione o malattia.
Lo scopo dellʼintervento fitoterapico, in naturopatia, non è quello di
combattere la malattia, e quindi prescinde da posologia e modalità di
assunzione che appartengono allʼuso che altri, i medici, ne possono fare. Il
fitoterapico non deve sopperire a una carenza o sostituirsi a un farmaco,
ma agire riattivando le condizioni generali di tutto il sistema che
conducono lʼorganismo alla salute e al benessere.
In questo senso la quantità consigliata e i tempi e le modalità di
assunzione saranno legati solamente a una valutazione discrezionale e
individuale che il counselor farà, caso per caso, circa il terreno che deve
ricevere questa somministrazione, adattato alle condizioni psicofisiche del
soggetto e alla sua risposta, sempre psicofisica, a tale somministrazione.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Mai, comunque, il counselor consiglierà lʼassunzione di qualsiasi sostanza,


nutrizionale o fitoterapica, in quantità tali da alterare direttamente il
metabolismo nei confronti di una patologia, perché ogni consulto
naturopatico non deve limitarsi allʼinformazione relativa ai rimedi naturali,
ma deve sempre coinvolgere il cliente nella messa in atto di comportamenti
più corretti, sani e virtuosi. Il rimedio che agisce contro lʼinsonnia, la
digestione difficile, la ritenzione idrica, e così via, non agisce infatti contro
una malattia, perché tali non possono essere definiti i disturbi sopraccitati.
A scanso di equivoci, però, è meglio che il counselor si abitui a ragionare in
termini positivi di azione per, anziché negativi di rimedi contro. Per
esempio, non contro lʼinsonnia ma per la regolazione dei ritmi circadiani e
per il riequilibrio neurovegetativo, non contro la cattiva digestione ma per
riattivare la funzione digestiva, non contro la ritenzione idrica, ma per
ripristinare lʼequilibrio idrico-salino e la circolazione linfatica, ecc.

2. Effetto secondario: lʼazione specifica e topica su certi organi o


funzioni, sui quali non si va ad agire in senso terapeutico, e che va
conosciuta per evitare interazioni con farmaci, alimenti o patologie. Per
esempio, il naturopata professionista potrà consigliare una quantità
minima, non terapeutica in senso clinico, di biancospino a chi abbia una
predisposizione familiare a disturbi del ritmo cardiaco, o a chi soffra di
aritmie non patologiche, o ancora a chi percepisca il cuore e il suo battito
come primo destinatario della sua tensione nervosa.
Lo scopo sarà quello di riattivare lʼequilibrio e il fluire dellʼenergia
nellʼorganismo attraverso il messaggio energetico di una pianta con
particolare tropismo per lʼapparato cardiovascolare. Non lo farà certo nei
confronti di una persona sofferente di cuore e in cura da un cardiologo allo
scopo di regolarizzare il ritmo cardiaco, e tantomeno lo farà consigliando
quelle dosi che la letteratura scientifica considera utili, sotto la sorveglianza
medica, per curare le patologie cardiocircolatorie. Al concetto di rimedio

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Fitoterapia e scienze erboristiche

fitoterapico per combattere una specifica patologia, che richiede il rispetto


di precise dosi e regole di somministrazione, il naturopata professionale
sostituisce quello di tropismo per determinati organi, o funzioni, tipico di
molte piante: per esempio lʼippocastano per la riattivazione della
circolazione periferica (e non contro le patologie correlate), il carciofo o il
cardo mariano per favorire il recupero di funzionalità del fegato (e non
contro le relative patologie), la passiflora o la valeriana per riequilibrare il
sistema neurovegetativo (e non per combattere ansia o depressione).

3. Effetti collaterali e precauzioni. Eʼ il caso di tutte quelle piante che


lo stesso Ministero della salute prescrive che non siano assunte in
determinate condizioni o in abbinamento a certe cure farmacologiche,
come i flavonoidi in caso di gravidanza, o quelle piante, in realtà
pochissime, che possono produrre effetti indesiderati anche se assunte
secondo la tradizionale posologia.

Possiamo quindi affermare che lʼindicazione di rimedi da parte del


counselor di formazione naturopatica non possa configurare una invasione
nella sfera di operatività del medico, e tantomeno il reato di esercizio
abusivo della professione medica, purché essa sia svolta proprio secondo
quelli che sono i principi fondamentali di questa disciplina. Il counselor
potrà legittimamente e efficacemente agire in sinergia con lʼattività del
medico, perché opererà nellʼambito della salutogenesi, analizzerà lo stato di
salute, il terreno del soggetto, e non la malattia, e utilizzerà mezzi non
invasivi, in dosi non terapeutiche e con lo scopo di agire riattivando salute e
benessere.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

Conclusioni

Poiché il presente manuale non vuole adempiere alla funzione di


riassumere le linee di intervento terapeutico nella pratica clinica, ma solo
far riflettere sui principi che regolano lʼattività del counselor ad indirizzo
naturopatico, non potevamo esimerci dallʼesporre anche quella che secondo
noi dovrebbe essere la posizione di un serio terapeuta in unʼottica più
strettamente sociale.
Mentre le cure mediche e psicologiche non hanno sufficienti risorse
economiche per far fronte alle necessità di chi soffre davvero, milioni di
euro sono spesi ogni anno solo in Italia per acquistare rimedi fitoterapici dei
quali non si conosce lʼefficacia. Come Firenzuoli e altri scienziati esperti in

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Fitoterapia e scienze erboristiche

fitoterapia insegnano, le supposte qualità terapeutiche delle erbe, sottoposte


a verifica scientifica, si sono dimostrate spesso pura suggestione popolare,
mentre hanno rivelato in molti casi inaspettatamente una efficacia
terapeutica per patologie cui lʼerboristeria non aveva mai neppure pensato.
I rimedi fitoterapici che sono quindi oggetto di studio e di applicazione
nella medicina alternativa possono essere ricondotti fondamentalmente a
due categorie:

1. quelli realmente fitoterapici, cioè dotati di una efficacia terapeutica


dimostrata per la cura di certe patologie (e che normalmente, per la loro
alta concentrazione necessaria per produrre lʼeffetto terapeutico voluto,
e per le controindicazioni che si portano dietro, sono o stanno
trasformandosi in farmaci, di competenza medica)
2. quelli che “possono rivelarsi utili” per riattivare lʼenergia vitale o la
funzionalità di determinati organi o apparati, ma di cui non si
conoscono con precisione caratteristiche ed effetti e che quindi non
hanno una efficacia terapeutica dimostrata. Questʼultima affermazione
non significa affatto che essi non servano a niente. Anzi, è certo che essi
producono un qualche effetto, di solito benefico sullʼorganismo. Il
problema è che, a nostro parere, essi non andrebbero utilizzati mai per
curare una malattia perché nessuno è in grado di dimostrare quali
effetti producano esattamente sullʼorganismo, specie se chi li prescrive
non è un medico con specifica esperienza in fitoterapia.

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Fitoterapia e scienze erboristiche

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