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WILLEM

IL DISCRETO
EIL
CONTINUO
COMPLEME NTARITA
IN MAT EMATICA
BORINGHIERI
PrO'IJe
Willem Kuyk

Il discreto e il continuo
Complementarità in matematica
© 1982 Editore Boringhieri società per azioni
Torino, corso Vittorio Emanuele 86
Stampato in Italia dalla tipografia Gravinese di Torino Marzo 1 982
CL 61-8878-8

Titolo originale
Complementarity in Mathematics
A First Introduction to the Foundations
of Mathematics and Its History
© 1977 Reidel Publishing Company - Dordrecht

Traduzione di Simona Panattoni


Indice

Prefazione all'edizione italiana 7


Prefazione all'edizione originale 9

l Aspetti semantici e sintattici delle teorie matematiche ele­


mentari 13
1. Introduzione al calcolo dei predicati elementare senza identità 2. In­
terpretazione semantica del calcolo proposizionale 3 . Interpretazione se­
mantica del calcolo dei predicati elementare 4. Procedura di decisione
per il calcolo dei predicati elementare 5. Calcolo dei predicati. La teo­
ria Z 6. Teorema di incompletezza di Godei 7. I teoremi di incom­
pletezza e la semantica 8. Osservazioni sulla matematica non standard

2 Rassegna storica degli aspetti epistemologici della mate­


matica 57
9. La filosofia della matematica nella storia 10. Transizione al secolo
attuale 1 1 . Indirizzi principali nella filosofia della matematica del ven­
tesimo secolo

3 Lineamenti di una concezione complementarista della ma­


tematica 114
1 2. Aspetti e metodi di una filosofia della matematica 1 3 . Due tipi di
esistenza matematica 14. Linguaggio, teoria degli insiemi e complemen­
tarità matematica 1 5 . Lineamenti di una teoria degli insiemi comple­
mentarista 1 6. L'unità della matematica: algebra e topologia 17. Un
ponte sull'abisso tra il discreto e il continuo

4 Complementarità degli aspetti soggettivi e oggettivi della


matematica 153

Bibliografia 175
Ulteriori letture 180
Indice analitico 183
Prefazione all'edizione italiana

La presente edizione italiana si distingue dall'edizione originale


per due caratteristiche. Innanzitutto i primi tre capitoli, rispetto
all'edizione inglese, sono stati corretti e leggermente estesi perch é
risultino di più facile lettura allo studente.
In secondo luogo, è stato aggiunto il quarto capitolo, che è
nuovo e tratta della relazione tra gli aspetti soggettivi e quelli
oggettivi del fare matematica con riferimento a problemi didat­
tici. Si tratta in sostanza del contenuto di una comunicazione
presentata al congresso dell'ICMI a Helsinki nell'estate del1978.
E nella natura delle cose che il lavoro dei docenti di matema­
tica contrasti con l'attività e l'interesse dei ricercatori nella pra­
tica matematica. Mentre il didatta tratta della "fondazione" della
conoscenza matematica collegando, nella mente dello studente,
ogni nuova nozione ad altre vecchie e familiari, il ricercatore in­
daga nuove nozioni per presentare fatti vecchi e familiari in una
nuova luce e in un nuovo contesto (nella propria mente) .
Per anni, durante il regno delle ormai classiche filosofie dei
fondamenti della matematica (logicismo, formalismo ecc.), i do­
centi di matematica potevano tranquillamente riecheggiarne gli
slogan fondamentali se volevano instillare negli studenti l'idea
che la matematica è la sola branca sicura e indubitabile della
conoscenza. Ma diventava sempre più chiaro che nessuna di que-
8 Prefazioni

ste filosofie era in grado di soddisfare una simile opinione e che


la matematica rientrava pertanto tra le altre scienze (perché an­
ch'essa fallibile), sicché un numero sempre crescente di docenti
di matematica doveva cercare nuove motivazioni. Il quadro è
ulteriormente complicato dal fatto che, a partire dalla seconda
guerra mondiale, la matematica si è sviluppata così rapidamente
che, per quanto riguarda la stesura dei programmi scolastici, si
sono dovuti porre e risolvere problemi di fondo. L'atteggiamento
prevalente tra i ricercatori, tuttavia, che è quello di considerare la
didattica matematica nient'altro che una parte della matematica
in posizione subordinata rispetto alla ricerca, non porta a un
giusto rapporto fra insegnanti e ricercatori.
Ciò di cui c'è più bisogno è una (ri)valutazione del fare mate­
matica nella sua globalità, dei suoi scopi e delle applicazioni cui
è destinata così come dell'interazione "dialettica" che ha luogo
tra il matematico (con il suo linguaggio, la sua logica e creatività)
e i "campi oggettuali" o "modelli" ed esempi (che devono la loro
definizione al matematico il quale, a sua volta, dalla loro osser­
vazione cerca di derivare conoscenza teorica).
I capitoli 3 e 4 offrono, mi auguro, qualcosa di più che una
terminologia con cui compiere tale rivalutazione. In essi si af­
ferma che ogni attività matematica presenta un certo numero di
aspetti soggettivi contrastanti (culturali e mentali) che, unita­
mente a quelli oggettivi (e complementari) del discreto e del
continuo, ne formano il lato analizzabile. Ci sono molti modi di
fare (di scoprire) e presentare la matematica e ciascuno comporta
una scelta degli aspetti che si ritiene svolgano un ruolo predo­
minante, scelta che può dipendere dall'intento didattico che si ha
in mente. La filosofia che sottende questi capitoli è un primo
tentativo di concezione complementarista della matematica; deve
essere ulteriormente elaborato sia da un punto di vista storiogra­
fico sia allo scopo di giungere a un modo più soddisfacente di
considerare le questioni didattiche e quelle della matematica in
quanto opera del pensiero.
W.K.
Prefazione all'edizione originale

Questo libro trae origine da una serie di lezioni che tenni alla
McGill University di Montreal, alla Libera Università di Amster­
dam e all'Università di Anversa, e che dovevano rivolgersi con­
temporaneamente a studenti di matematica e a studenti di filo­
sofia. Poiché non trovai, nella letteratura esistente, un testo
introduttivo adatto allo scopo, che fondesse cioè la prospettiva
filosofica, quella storica e quella puramente matematica, decisi di
provare a buttar giù io stesso degli appunti, dai quali poi il libro
si è sviluppato. Mi auguro che esso possa offrire sia informazioni
matematiche espresse in termini non matematici sia informazioni
sulla filosofia della matematica di un qualche interesse per la ma­
tematica intesa come scienza specialistica.
Un libro che si propone lo stesso obiettivo è l'enciclopedico
The Foundations of Mathematics del mio vecchio professore, il
defunto E. W. Beth. Ricordo molto chiaramente e con gratitu­
dine alcuni suoi corsi. Egli affermava spesso che se soltanto i
giuristi e i politici e, più in generale, gli studiosi delle artes
humaniores si sforzassero di pensare maggiormente in termini di
logica matematica (e formale), il mondo sarebbe un posto mi­
gliore per viverci. Forse è proprio così; questo libro, comunque,
riserva un ruolo più modesto al metodo formale e agli schemi
generali creati dal pensiero matematico. Secondo il punto di
10 Prefazioni

vista espresso nel libro, la logica matematica e i metodi formali


sono modi specifici di operare della mente umana quando vuole
comprendere gli aspetti spaziali e quantitativi del mondo. Così,
dopo aver formato, attraverso un complicato processo di appren­
dimento, i concetti di continuo (le "entità" geometriche) e di
discreto (le "entità" dei numeri naturali), la mente umana gode
di una grandissima libertà nell'operare con essi come "materiale
base" per la costruzione di "strutture" quali, ad esempio, parti­
colari geometrie o gruppi, anelli e campi. Quindi scoprire gli
aspetti spaziali e quantitativi del mondo significa non solo appren­
dere ma anche creare. Poiché c'è libertà di scelta per quanto
riguarda gli assiomi delle strutture, dalla natura della materia
base e dall'informazione che deriva dall'esperienza generale la
nostra mente è guidata verso strutture che sono utili sia all'in­
terno della matematica stessa sia per applicazioni ad altri campi
di indagine quali la fisica. Il metodo formale può essere consi­
derato un mezzo per esprimere in simboli sulla carta le ipotesi
logiche e matematiche (assiomi ecc. ) e i processi di pensiero che
vengono utilizzati in una teoria matematica spontanea. Così non
è impossibile che, per esempio, certe parti della scienza giuridica
possano essere formalizzate. Data però l'attuale tendenza a tener
conto dell'uomo, stando bene attenti al rischio che gli elabora­
tori e altri strumenti scientifici regnino sulla sua vita, sembra
appena necessario definire ridicole le applicazioni formalizzate
delle teorie giuridiche.
Il libro consta di tre capitoli. Il secondo, che è il più ampio
e tratta della storia dei fondamenti della matematica, si inserisce
tra il primo, che descrive le teorie formali, e quello finale, che
delinea la concezione "complementarista" dell'autore. In quest'ul­
timo, infatti, si sostiene che un "principio di complementarità"
sta alla base della matematica e della fisica. Si tratta del principio,
noto in fisica come "principio di complementarità di Bohr" , che
afferma tra le altre cose che il discreto e il continuo sono due
differenti aspetti del mondo, tra loro in competizione, considerati
dal punto di vista delle scienze matematiche e fisiche (come pure
Prefazioni 11

delle altre scienze). Perciò le sottodiscipline matematiche si clas­


sificano in due categorie, e precisamente la categoria di quelle
che hanno la loro origine epistemologica e il loro scopo finale
nel dominio del discreto e della teoria dei numeri e la categoria
di quelle discipline che sono originate dal dominio del continuo
e della geometria (e ad esso si indirizzano). Nello stesso capitolo
si sostiene, più in generale, che nel pensiero matematico sponta­
neo ci sono parecchi aspetti (l'aspetto psicologico, quello appli­
cativo, quello di teoria degli insiemi, di logica ingenua, di logica
formale, l'aspetto costruttivo ecc.) complementari uno all'altro e
tutti contribuiscono a comporlo nella sua globalità; sono aspetti
che nessuna filosofia della matematica dovrebbe ignorare senza
correre il rischio di peccare di un qualche tipo di riduzionismo.
La filosofia del logicismo, la filosofia del formalismo e quella
del neointuizionismo sono descritte appunto come riduzioni di
questo genere. Viene dato un sistema di assiomi di teoria degli
insiemi che, si spera, corrisponda il più possibile alla concezione
complementarista.
Nel primo capitolo vengono trattati a grandi linee i teoremi
di completezza e incompletezza di Godel che rappresentano i
risultati più incisivi degli ultimi quarant'anni per i fondamenti
della matematica. Di questi teoremi sono disponibili versioni sem­
plificate (si veda ad esempio La prova di Godei di Nagel e New­
man). Abbiamo descritto tutto l'apparato logico necessario per le
dimostrazioni di Godel tranne la numerazione godeliana e quindi
è stato possibile dare anche una descrizione della stessa dimo­
strazione finale. L'autore ritiene che non siano state ancora per­
fettamente elaborate tutte le conseguenze filosofiche generali di
questi teoremi: nel testo si trovano solo alcune conclusioni che
è possibile trarre da essi. Nello stesso capitolo si accenna anche alla
matematica non standard, che è un argomento ricorrente nell'at­
tuale dibattito sui fondamenti della matematica.
Nel secondo capitolo diamo un quadro della storia dei fon­
damenti della matematica da Talete fino ad oggi, prendendo in
considerazion e tutta, o in parte, l'opera delle figure più impor-
12 Prefazioni

tanti. A questo proposito ci siamo attenuti al criterio che gli


autori stessi hanno adottato nel render conto dei diversi aspetti
complementari dell'attività matematica menzionati in precedenza,
ma non è stato possibile entrare in certi particolari cercando di
comporre le ben note controversie esistenti sull'interpretazione di
queste figure: ad esempio, ci sono differenti interpretazioni della
concezione kantiana della matematica per quanto riguarda i suoi
giudizi analitici e sintetici a priori (si veda l'opera citata di Beth).
Bisogna quindi considerare il presente testo come una prima let­
tura da sviluppare.
W.K.
Capitolo 1
Aspetti semantici e sintattici delle teorie matematiche
elementari

... come se i discorsi abbiano qualche parentela con


le cose, delle quali sono interpreti. Pertanto quelli
intorno a cosa stabile e certa e che risplende all'in­
telletto, devono essere stabili e fermi e, per quanto
si può, inconfutabili e immobili, e niente di tutto
questo deve mancare.
Platone, Timeo, 29b

l. Introduzione al calcolo dei predicati elementare senza


identità
Il nostro linguaggio familiare (naturale) è, da un punto di
vista scientifico, impreciso e i pensieri che con esso esprimiamo
sono generalmente plurivoci. Per questa ragione il linguaggio
familiare non è adatto per la formulazione precisa di teorie scien­
tifiche. Inoltre, discipline scientifiche differenti usano ciascuna il
proprio linguaggio specialistico. Si tratta di linguaggi che si di­
stinguono da quelli naturali per la loro maggiore precisione con­
cettuale e, molto spesso, per il fatto che limitano notevolmente
il campo familiare a cui specificamente si riferiscono.
In generale, in un linguaggio si possono distinguere diversi
aspetti (a questo proposito si veda Morris, 1 93 8) :
l ) sintassi, cioè la grammatica;
2 ) logica, cioè la teoria del ragionamento conclusivo (teoria del­
l'inferenza) ;
3 ) semantica, detta anche "teoria del riferimento" (Quine) ;
Tarski così descrive questo aspetto: "Intenderemo per seman­
tica la totalità delle considerazioni riguardanti quei concetti
che, grosso modo, esprimono certe connessioni tra le espres-
14 Capitolo primo

sioni di un linguaggio e gli oggetti e stati di cose cui queste


espressioni si riferiscono" (Tarski, 1 956, p. 40 1 ) ;
4) pragmatica, cioè l'uso che si fa del linguaggio.
In un linguaggio naturale tutti questi aspetti si intrecciano in
modo molto complesso. Essi sono presenti anche in un linguag­
gio specialistico come quello matematico; ciò che però distingue
un linguaggio matematico da quello naturale è non soltanto la
sua maggior precisione, ma anche il fatto che esso nasce dal­
l'eliminazione di tutto quanto nel vocabolario familiare non è
matematicamente pertinente. Inoltre, abbastanza spesso si cerca
di eliminare uno o più degli aspetti menzionati; all'interno della
matematica, per esempio, si distingue una matematica pura, tra­
scurando l'aspetto pragmatico (applicativo) . Si potrebbe anche
escludere l'aspetto semantico del linguaggio matematico e otte­
nere così quel che viene chiamato linguaggio formale.
Ammettendo che tutto ciò che viene comunemente denotato
dal termine "matematica" possa essere espresso all'interno di
un linguaggio formale, sarebbe possibile dire che la matematica
è una scienza puramente formale e che, per conseguenza, la ve­
rità matematica non è altro che "derivabilità formale da un certo
insieme di assiomi". Ipotesi rigorosamente formaliste di questo
tipo eliminano l'aspetto semantico e l'aspetto pragmatico del lin­
guaggio matematico complessivo, non tanto a scopo di ricerca
o per un rinnovamento dell'attività matematica, ma per ridurre
la matematica ai suoi aspetti formali. Il formalismo, inteso in
questo senso (filosofico) , non esiste quasi più per le difficoltà
che ha generato (vedi oltre, i paragrafi 5, 6 e 1 1 . 3 ). Quindi, lo
scopo per cui noi eliminiamo gli aspetti semantici e pragmatici
della matematica è solo quello di ottenere una maggiore penetra­
zione dell'aspetto formale del linguaggio matematico. Eliminare
la semantica da una teoria matematica significa creare un lin­
guaggio formale senza un concetto di verità perché in un
linguaggio formale non si può dire se una cosa è vera o no.
Compito della logica non è determinare ciò che è vero, in quanto
Teorie matematiche elementari

essa, essendo solo una "teoria dell'inferenza", esplica le modalità


secondo cui un ragionamento arriva a conclusione a partire da
enunciati dati, prescindendo dalla loro verità o falsità (ad esem­
pio modus ponens, modus tollens ecc.) . Il vecchio formalismo
filosofico ha ridotto la ricerca (semantica) della verità di una
teoria matematica alla ricerca (logica) della coerenza intrinseca di
quella teoria, cioè alla verifica del fatto che la teoria non giunga
a conclusioni contraddittorie.
In questo paragrafo presenteremo un linguaggio formale, nel
secondo e nel terzo vi aggiungeremo l'aspetto semantico. Il lin­
guaggio risultante, fatto di aspetti sintattici, logici e semantici,
sarà detto, per semplicità, linguaggio logico.
Prima di attuare il nostro programma, dimostreremo, con due
esempi, che esistono differenze essenziali tra il linguaggio natu­
rale, il linguaggio formale e quello logico, facendo riferimento
ai risultati di Noam Chomsky e Alfred Tarski.

l. Accade spesso che la struttura di un linguaggio formale


venga programmata per un elaboratore (vedi Cohen, 1 966, p. 1 1 ) .
Il linguista Noam Chomsky, nel suo Le strutture della sintassi
( 1 957), esamina alcuni modelli di grammatiche, tra cui la prima
è la cosiddetta "grammatica a stati finiti", presentata nel 1 949
da Shannon e Weaver come un modello capace di generare le
frasi di un linguaggio naturale, ad esempio l'inglese. Il modello
si basa su un procedimento stocastico e produce frasi (catene di
Markov) nel modo seguente: dopo aver liberamente scelto un
primo simbolo, le scelte possibili per il simbolo successivo sono
sempre funzioni del simbolo iniziale o dei simboli iniziali e del
loro ordine.
Una grammatica che produca frasi seguendo questo modello
si può programmare per un elaboratore. Chomsky però dimostra
che tale "grammatica a stati finiti" non riesce a generare neppure
tutte le frasi grammaticalmente corrette di un linguaggio collo­
quiale (ad esempio l'inglese) . Egli deriva questa convinzione dal
fatto che in una "grammatica a stati finiti" si può produrre solo
16 Capitolo primo

un numero finito di formule, dato che le frasi vengono costruite


necessariamente in modo lineare. Egli dice: "Se una grammatica
di questo tipo producesse tutte le frasi dell'inglese, produrrebbe
anche molte non-frasi. Se producesse solo frasi dell'inglese, pos­
siamo essere sicuri che vi sarebbero un numero infinito di frasi
vere, di frasi false, di domande ragionevoli ecc., che essa sempli­
cemente non produrrebbe" (Chomsky, 1957, p. 3 0 ; vedi anche
Nivette, 1 970) .
In modo analogo sembrano essere inadeguati anche altri tipi
di modelli per generare un linguaggio naturale. Generalizzando,
potremmo dire che il nostro linguaggio colloquiale è così "ricco"
da non potersi riprodurre con mezzi meccanici. Anche Chomsky
condivide questa opinione quando mette in luce il sostanziale
abisso qualitativo esistente tra la capacità di linguaggio dell'uomo
e quella di un automa (Chomsky, 1 968, p. 1 3 7) . In questo libro
non seguiremo oltre le ricerche di Chomsky.

2. Rifacendoci al concetto tarskiano di "linguaggi semantica­


mente chiusi", possiamo mettere in luce una differenza essen­
ziale tra linguaggio naturale e linguaggio logico. Ogni linguaggio
naturale ha la proprietà di poter analizzare dall'interno il signi­
ficato dei suoi termini e delle sue frasi, cioè un linguaggio natu­
rale ci permette di formulare o esprimere la sua semantica con i
suoi stessi termini. Tarski definisce un linguaggio di questo
genere, cioè contenente la propria semantica, "semanticamente
chiuso" (in Tarski, 1 969: "semanticamente universale" ) . Egli di­
mostra che tali linguaggi, nel caso sia possibile formalizzarli, sono
incoerenti (vedi Tarski, 1 944; si veda anche oltre, il paragrafo 7 ) .
(La possibilità d i formalizzazione è i n questo caso u n requisito
necessario perché la coerenza, in un linguaggio colloquiale,
impreciso, onnicomprensivo, non è un concetto ben definito.)
Esporremo più avanti in questo capitolo il risultato di Tarski.
All'interno di un linguaggio logico si possono distinguere di­
versi "sottolinguaggi", quale il linguaggio del calcolo proposizio­
nale, quello del calcolo dei predicati ecc. Presenteremo ora la
Teorie matematiche elementari 17

sintassi (grammatica) del calcolo dei predicati (o classi) elemen­


tare, del quale il calcolo proposizionale è una parte.

DEFINIZIONE 1 . 1 . Il linguaggio del calcolo dei predicati ele­

mentare comprende i simboli seguenti:


(1) connettivi proposizionali o enunciativi: .... , 1\, V, �.-;
(2) quantificatori: 3, V;
(3) parentesi: (, ) ;
(4) variabili: x, y, z, . . . ;
(5) predicati: A, B, C, . . .

In teoria, sarebbe sufficiente in un linguaggio formale intro­


durre semplicemente questi simboli; tuttavia, per rendere più
chiara la nostra discussione su di essi e per mostrare la relazione
tra linguaggio formale e linguaggio naturale, esprimeremo il si­
gnificato di questi simboli: " " ( negazione) e " A " ( congiun­
,..,

zione) significano rispettivamente "non" ed "e" ; il simbolo "V"


(disgiunzione) viene descritto nel modo migliore come "o" . Nel
linguaggio naturale, tuttavia, la parola "o" viene usata in due
sensi distinti e, precisamente, in senso esclusivo e in senso non
esclusivo: la logica usa quest'ultimo senso. La parola latina vel
ha pressappoco il significato di "o" in senso non esclusivo e noi
conveniamo, una volta per tutte, di servirei del segno "V" per
la disgiunzione non esclusiva. Il simbolo "�" (detto implica­
zione) può essere descritto nel linguaggio naturale con "se ...
allora ... " Nel linguaggio naturale noi intendiamo di solito con
ciò un'implicazione formale, mentre la logica usa questo con­
nettivo nel senso di un'implicazione materiale. (La distinzione
tra queste due forme di implicazione diverrà evidente quando
avremo presentato le "tavole di verità" del calcolo dei predicati
elementare.) Il simbolo "-" è il segno per il bicondizionale, cioè
un'implicazione nei due sensi che nel linguaggio naturale si può
descrivere con "se e solo se ... " (vedi Suppes, 1 964, cap. l , per
una descrizione più esplicita di tutto quest'argomento) .
18 Capitolo primo

Questi connettivi e le parentesi, insieme ai simboli come P,


Q . . . , che denotano proposizioni o giudizi, formano l'insieme
,
di simboli della logica proposizionale o enunciativa. (Nel para­
grafo 2 presenteremo la semantica della logica proposizionale.)
I quantificatori " V " e " 3 " significano, rispettivamente, "per
tutti" ed "esiste". Vengono introdotte le parentesi per garantire
univocità di lettura alle espressioni, eliminando ogni pericolo
di confusione.
Mostriamo ora come, con questi simboli, si possano formare
le formule. Servendoci di una definizione ricorsiva, saranno suf­
ficienti poche regole precise per definire una formula ben formata
(che abbrevieremo in fbf) .
Dato che, in questa sede, ci interessa solo l'univocità di let­
tura, l'uso delle parentesi può essere talora soppresso.

DEFINIZIONE 1.2. Le seguenti regole determinano quando una

serie di simboli forma una fbf del calcolo dei predicati elementare:
Regola l. Se A è un simbolo di predicato e t è una variabile,
allora A(t) è una fbf.
Regola 2. Se U e V sono fbf, allora lo sono anche ...... U, (U 1\ V),
( UVV), ( U�V) e ( U�V) .
Regola 3 . Se U è una fbf, x è una variabile, allora (Vx) U e
( 3 x) U sono Thf.
Si noti che nel calcolo dei predicati elementare un predicato
A può essere una funzione con al massimo una variabile, cioè
A è della forma A (t) . Nel calcolo dei predicati (paragrafo 5)
un predicato A può essere una funzione con più di una varia­
bile, ad esempio A(x, y, z) . Questo significa tra l'altro che nel
calcolo dei predicati sono esprimibili relazioni quali x<y, dove
x e y sono variabili, mentre nel calcolo dei predicati elementare
non lo sono . Un esempio di fbf del calcolo dei predicati ele­
mentare è:
(V x ) ( 3 y) (A (x)�(B(y) V ( ( 3 x) C (z) ) ) ) .
Teorie matematiche elementari 19

Infatti, per la regola l ,


A(x), B(y) e C(z)
sono fbf; inoltre,
( 3 z)C(z)
è una fbf per la regola 3 ; allora
B(y) V ( ( 3 z)C(z))
è una fbf per la regola 2, come lo è anche
A (x)�(B(y) V (( 3 z)C(z))).
Infine, la regola 3 garantisce che

( 3 y) (A(x)�(B (y)V (( 3 z)C(z))))


e
(V x) ( 3 y) (A (x)� (B(y) V ( ( 3 z)C(z))))
sono fbf.
Si noti che, se P e Q sono proposizioni, allora una formula
del tipo
( (P�Q) V (QVP))� (P�Q)
è una formula del calcolo proposizionale, mentre una formula
del tipo
(V x) (P�Q)
non lo è.
Si noti inoltre che la regola 3 permette di considerare fbf
espressioni come (V x) A(y). Il significato intuitivo di quest'ul­
tima espressione è che, se (V x) o ( 3 x) ricorrono davanti a una
fbf A che non contenga x, allora l'effetto del quantificatore è
nullo e lo si può omettere. Ciò porta a fare una precisa distin­
zione tra variabili vincolate e variabili libere. L'occorrenza di una
variabile in una formula può essere di uno dei due tipi seguenti:
20 Capitolo primo

o è sottoposta all'azione di un quantificatore o non lo è. Defini­


remo ora questa distinzione avvalendoci della definizione 1 .2.

DEFINIZIONE 1 . 3 . Si definisce nel modo seguente la nozione di

occorrenza libera o vincolata di un simbolo di variabile in


una fbf:
(l) ogni variabile che ricorra in una formula del tipo stabilito
dalla regola l è libera;
(2) le occorrenze libere e vincolate di variabili nelle fbf definite
nella regola 2 sono esattamente le stesse che per U e V
prese separatamente;
( 3 ) le occorrenze libere e vincolate di una variabile in una for­
mula (V x) U o ( 3 x) U sono le stesse che per U, solo che
ogni occorrenza libera di x è ora considerata vincolata.

DEFINIZIONE 1 .4. Un enunciato è una fbf senza variabili libere.


Una teoria matematica può essere considerata un insieme di
enunciati collegati da regole di deduzione.

2. Interpretazione semantica del calcolo proposizionale

Nel primo paragrafo abbiamo visto che il calcolo proposi­


zionale costituisce una parte del calcolo dei predicati elementare;
esso riguarda solo enunciati e la loro composizione tramite i
connettivi (definizione 1 . 1 ) . La logica si occupa dei suoi enun­
ciati o proposizioni, veri o falsi, indipendentemente dal fatto
che esista o meno una procedura di decisione in grado di deter­
minare se una particolare proposizione è in effetti vera o falsa.
Questo "valore di verità" della proposizione composta nella lo­
gica proposizionale è determinato dal "valore di verità" delle
proposizioni componenti. A livello semantico si può determinare
il valore di verità di una proposizione composta mediante le
cosiddette "tavole di verità" . (Per un'introduzione più formale
Teorie matematiche elementari 21

e più generale alle tavole di verità o tavole delle funzioni pro­


posizionali, vedi Cohen, 1 966, pp. 1 6 sgg. ; Tarski, 1 965, pp. 63
sgg.; e, più avanti, il paragrafo 3 .)
Le regole vero-funzionali usate per la negazione, la con­
giun zione, la disgiunzione, l'implicazione e il bicondizionale
si possono riassumere sotto forma di tavole. Queste tavole di
verità fondamentali ci dicono immediatamente in quali condi­
zioni la negazione di un enunciato è vera se conosciamo la verità
(denotata con una V) o la falsità (F) dell'enunciato; lo stesso
vale per la congiun zione, la disgiunzione o l'implica zione di due
enunciati.

Negazione Congiunzione Disgiunzione

p ..... p p Q PI\Q p Q PVQ


--- --- - -

v F v v v v v v
F v v F F v F v
F v F F v v
F F F F F F

Implicazione Bicondizionale

p Q P�Q p Q P �Q
- - - -

v v v v v v
v F F v F F
F v v F v F
F F v F F v

Da queste "tavole di verità fondamentali" si possono deriva re,


in modo ricorsivo, le tavole di verità per le proposizioni com­
poste, ad esempio per

((( ..... p) VQ)�R )


22 Capitolo primo

come segue

p Q R ,..,p ((,.., p) VQ) ( ( (....P


., ) V Q)�R)
- - -

v v v F v v
F v v v v v
v F v F F v
F F v v v v
v v F F v F
F v F v v F
v F F F F v
F F F v v F

Una proposizione che è sempre vera, indipendentemente dai


valori di verità delle sue lettere proposizionali, è chiamata una
tautologia. Una proposizione falsa per tutti i possibili valori di
verità delle sue lettere proposizionali è chiamata una contraddi­
zione (vedi anche Suppes, 1964; Mendelson, 1965) .
L'implicazione (formale) , la più usata nel linguaggio collo­
quiale, presuppone implicitamente, in contrasto con l'implica­
zione materiale, che l'antecedente dell'implicazione sia sempre
vero . Di conseguenza, la sua "tavola di verità" dovrebbe essere
la seguente:

P Q se P allora Q
-- 1 ------

v v v
V F F

In generale, si può dire che il lin guaggio naturale non usa


l'implicazione in modo definito, essendo ciò inutile dato il col­
legamento che esiste tra la semantica delle espressioni del lin­
guaggio naturale e il contesto immediato (vedi anche Beth, 1940,
e Tarski, 1969) . Tuttavia, nella logica matematica, non si usa
considerare l'implicazione formale un connettivo proposizionale .
Teorie matematiche elementari 23

3 . Interpretazione semantica del calcolo dei predicati


elementare
Nel paragrafo l abbiamo formulato la sintassi del calcolo dei
predicati elementare, cioè abbiamo dato i simboli e le regole per
connetterli, senza esprimere né l'aspetto logico (le regole di de­
duzione ) né l'aspetto semantico di questo linguaggio formale.
Nel paragrafo 2 abbiamo semplicemente introdotto le "regole di
verità" (semantiche) per il calcolo proposizionale. In questo para­
grafo affronteremo la semantica del più ampio calcolo dei predi­
cati elementare. Iniziamo, a tal fine, presentando l'interpretazione
semantica di una fbf logica U del calcolo dei predicati (o delle
classi) .
Possiamo fissare (il significato di) un certo predicato o simbolo
predicativo allo stesso modo in cui si fissa una variabile in un
"universo di discorso" o "campo di verità", ad esempio nell'in­
sieme di tutte le persone o nell'insieme dei numeri interi. Così
la formula
(V x)(A(x)�B(x))
potrebbe significare: ogni numero maggiore di 3 è maggiore di 2.
In questi casi, parliamo di interpretazione di una formula.

DEFINIZIONE 3 . 1 . Se il campo di verità delle variabili di una

formula U è S, e se a, b, c, ... sono proprietà denotate da A, B,


C, ... , allora chiamiamo il sistema [S; a, b, c, ... ] un'interpreta­
zione della formula U.
E evidente che una formula può avere molte interpretazioni.
La formula data sopra
(V x)(A(x)�B(x))
potrebbe essere interpretata anche nell'insieme di tutti i mammi­
feri, cioè in un altro universo di discorso, in cui A potrebbe
significare "è una tigre" e B "ha una sola zampa" . Questo esem-
24 Capitolo primo

pio mostra come non tutte le interpretazioni di una formula


devono essere vere.
Una funzione proposizionale è una formula che non contiene
quantificatori, cioè non contiene V né 3 . Vogliamo ora asso­
ciare a ciascuna formula un valore di verità, che dipende da una
data interpretazione. Faremo questo per induzione sulla lun­
ghezza delle formule.

DEFINIZIONE 3 .2. Sia U una formula le cui variabili libere

siano tra x�, . . . , Xn (n> O) e siano Xt, . . . , Xn elementi dell'uni­


verso S dell'interpretazione. Definiamo come segue il valore di
verità di U (in S) per x�, . . . , Xn :
(l) se U è A(x) , dove A è un simbolo predicativo e x è uno
degli x�, . . . , Xn, allora U è vero per Xt, . . . , Xn se x (uno
degli X t, . . . , Xn) ha la proprietà a, cioè a(x);
(2) se U è una funzione proposizionale di formule, la verità
di U per x�, . . . , Xn è determinata mediante le tavole di
verità per il calcolo proposizionale;
( 3 ) se U ha la forma ( Vy) V(y, Xt, . . . , Xn) [rispettivamente
( 3 y) V(y, X�t . . . , Xn) ] allora U è vera per X t, . . . , Xn se, per
tutti gli y in S [rispettivamente per qualche y in S], la for­
mula V(y, X!, . . . , Xn) è vera per y, x1, X2, . . . , Xn.

Si noti che se V è un e nunciato, possiamo prendere n = O


e la nostra definizione è appunto verità in S sotto l'interpreta­
zione data. Una fbf con variabili libere sta per una relazione
sull'universo di discorso dell'interpretazione e può quindi essere
soddisfatta (vera) in qualche "luogo" dell'universo ma non essere
soddisfatta (falsa) in qualche altro "luogo" .

DEFINIZIONE 3 . 3 . Chiamiamo un'interpretazione [S; a, b , c , .. . ]

di un enunciato U un modello per U se U è vero in quell'inter­


pretazione.
Teorie matematiche elementari 2)

In linea generale, non tutte le interpretazioni di un enunciato


costituiranno un modello per U . Abbiamo costatato questo fatto
in una precedente interpretazione (falsa) della formula
(Vx)(A(x)�B(x)).

DEFINIZIONE 3.4.
(a) Se ogni interpretazione [S; a, b, c, . . . ] di U è un modello
per U, allora U è detta un'identità logica o tautologia.
(h) Se nessuna interpretazione di U è un modello per U, allor a
U è detta una contraddizione logica.
(c) Se U non è né un'identità logica né una contraddizione
logica, allora U è detta logicamente neutra.
Ecco alcuni esempi di tautologie :
( Vx)(A(x)�A(x));
(Vx)(A(x)V -A(x));
( Vx)(A(x) 1\B(x) 1\C(x))V ( 3 x)( -A(x) V -B(x) V
V -C(x)).
L'ultimo enunciato è una tautologia perché per ogni interpre­
tazione è vero . (Assumiamo che il nostro universo non sia vuoto .)
La nozione intuitiva che abbiamo dell'identità logica è che
un'identità sarà vera in tutti i "mondi possibili" (vedi i paragrafi
9 . 1 e 9.3 su Leibniz) .
Possiamo anche formulare concetti di identità e di contrad­
dizione più deboli limitando tutti i "mondi possibili" a un certo
"universo di discorso" S. Parliamo allora di S-identità, S-con­
traddizione e S-neutro.

DEFINIZIONE 3 .5 . Se ogni interpretazione [S; a, b, c, . ] di


..

un enunciato U, con un determinato universo di discorso S, è


un modello per U, allora U è una S-identità.
Definizioni analoghe possono essere formulate per i concetti
di S-contraddizione e S-neutro.
26 Capitolo primo

Dalle definizioni precedenti possono essere derivati i seguenti


teoremi.
(a) U è un'identità se U è una S-identità per ogni scelta del­
l'universo S.
(b) U è una contraddizione se U è una S -contraddizione per
ogni scelta dell'universo S.
(c) Se, per almeno una scelta di S, U è S-neutro, allora U è
neutro.
Le relative dimostrazioni sono molto semplici, come il lettore
può facilmente verificare da solo.

4. Procedura di decisione per il calcolo dei predicati


elementare
Una procedura che ci metta in grado di stabilire se una for­
mula è un'identità logica, una contraddizione logica o è logica­
mente neutra, è detta una procedura di decisione. In questo para­
grafo dimostreremo che una procedura di questo tipo esiste per
il calcolo dei predicati elementare. Fu Behmann a formularla per
la prima volta nel 1922.

TEOREMA 4. 1. Sia [S; a, b, c, . . ] un modello per U e sia S' un


.

insieme equipotente a S; possiamo allora scegliere proprietà a',


b', c', . . in S' in modo tale che anche [S', a', b', c', . . . ] sia un
.

modello per U.
Dimostrazione. Dato che S è equipotente a S', c'è una corri­
spondenza biunivoca tra gli elementi di S e gli elementi di S'.
Se prendiamo una particolare corrispondenza biunivoca, allora
o gni elemento q di S' è correlato a un elemento p di S. Deno­
tiamo quest'ultimo elemento con p (q) . Costruiamo ora il pre­
dicato a' in modo che l'elemento q di S' abbia la proprietà a'
solo se l'elemento p (q) di S, correlato a q, ha la proprietà a. In
modo analogo, costruiamo le proprietà b', c', ... per gli elementi
Teorie matematiche elementari 27

di S'. L'interpretazione [S'; a', b', c', ... ], costruita in questo modo,
è allora un modello per U "omomorfo" al modello [S, a, b, c, ... ]
per U.
Con l'aiuto anche del teorema 4. 1, è facile dimostrare che
un enunciato rimane una S-identità, una S -contraddizione o un
S -neutro per ogni interpretazione rispetto a un universo di di­
scorso equipotente a S; ciò significa che una formula è un'iden­
tità, una contraddizione o è neutra, non in dipendenza dalla
natura degli elementi di un universo, ma solo dall' "estensione"
dell'universo.
f. ora possibile ottenere una reale procedura di decisione me­
diante la quale, analizzando un modello finito per una formula,
si può decidere se una formula è un'identità, una contraddizione
o è neutra.
Nel seguente teorema, con U[A, B, C, D] intenderemo un
enunciato che contenga, come simboli predicativi, solo A, B,
C e D.

TEOREMA 4.2a. Sia [S; a, b, c, d] un modello per U[A , B, C , D].

Esiste allora anche un modello [S'; a, b, c, d] per U, per il quale


S' contiene non più di 24 = 16 elementi.
Dimostrazione. Diamo solo le linee generali della dimostra­
zione. Sia [S; a, b, c, d] un modello per U. Allora gli elementi di
S possono formare, al massimo, 16 classi. Ogni elemento di S
appartiene a una sola delle seguenti classi:
Classe 1: i suoi elementi hanno le proprietà a, b, c e d;
Classe 2 : i suoi elementi hanno le proprietà a, b, c non d;

Classe 16: i suoi elementi non hanno le proprietà a, b, c o d .


Per ogni classe, la verità di U è determinata in modo unico e
non ambiguo dall'interpretazione [S; a, b, c, d] .
Può capitare in certi casi che le classi siano vuote. Questo si
verificherebbe, ad esempio, se ogni elemento di S avesse la pro­
prietà d, cioè se nessun elemento di S avesse la proprietà non -d:
28 Capitolo primo

almeno le classi 2 e 1 6 sarebbero vuote. (f:. per questo che di­


ciamo "non più di" nella formulazione del teorema.) Scegliamo
ora, come rappresentante di ciascuna classe non vuota, un ele­
mento per ciascuna classe. In questo modo, possiamo formare
un insieme S' con non più di 1 6 elementi. f:. chiaro che [S'; a, b,
c, d] è ora un'interpretazione di U[A, B, C, D]. Dato che [S; a,
b, c, d] è un modello per U, lo è anche [S'; a, b, c, d] (a causa
del definito omomorfismo che mantiene inalterata la verità) .
Possiamo anche formulare il teorema in forma più generale:

TEOREMA 4.2b. Sia [S; al, , an] un modello per l'enunciato


•••

U[At, . . . , An] , dove At, . . . , A n sono simboli predicativi. C'è


allora anche un modello [S'; a�, . . . , a"] per U con S'eS e con
cardinalità :;:; 2n.
Questo teorema ci dà immediatamente un importante risultato.
Da esso segue infatti che la teoria dei numeri non può essere for­
mulata nella logica delle classi elementare. In caso contrario, per
ogni enunciato della teoria dei numeri vero nel modello standard
ci sarebbe un modello finito, e quindi esisterebbe in tutti i casi
una procedura di decisione. Ma le cose non stanno così; basta
pensare all'irrisolto problema di Fermat: trovare degli interi x,
y e z che soddisfino
xn + y n = zn, per n> 3 (vedi oltre, paragrafo S).
Osservazione. Un sottoinsieme arbitrario dell'universo di un
modello non genera necessariamente un nuovo modello. Ad
esempio,
( ( 3 x)A (x)) 1\(( 3 y) ""A (y) )
h a u n modello, [{ O, ± l , ± 2 , . . . }; <O] ; anche l a coppia [ { O,
± l }; <O ] è un modello. Ma la coppia [{ O, l }; <O] evidente­
mente non lo è .

TEOREMA 4.3 . Se l'interpretazione [S; a, b, c, d] non è un mo­


dello per U, allora è un modello per l'enunciato ...., U.
Teorie matematiche elementari 29

Dimostrazione. Segue direttamente dalla definizione di nega­


zione e dal fatto che l'interpretazione di un enunciato deve es­
sere o vera o falsa.

TEOREMA 4.4. Un enunciato U con 4 simboli predicativi è


un'identità (rispettivamente una contraddizione) se e solo se è
una S-identità (rispettivamente una S-contraddizione) per tutti
gli universi di non più di 1 6 elementi.
Dimostrazione. Si utilizzino i teoremi 4. 1 e 4.2.
In linea generale, non è per una formula che vogliamo un
modello ma per un'intera teoria (cioè un insieme di enunciati) .
Per essere in grado di formulare questa nozione, diamo qualche
altro teorema e definizione.
Possiamo estendere la nozione di interpretazione interpre­
tando un insieme di enunciati, cioè interpretando tutti i predicati
delle formule in un universo di discorso.

DEFINIZIONE 4. 1 . [S; a, b, c, ... ] è un modello per un insieme


di enunciati a, se ogni enunciato di a è vero in [S; a, b, c, ... ] .

DEFINIZIONE 4.2. Un enunciato W è una conclusione dagli

enunciati U e V se ogni modello comune per U e V è anche


un modello per W.

TEOREMA 4.5. Un enunciato W è una conclusione dagli enun­

ciati U e V se e solo se l'enunciato (U 1\ VJ-�W è un'identità.


Dimostrazione. (a) Supponiamo che ( U 1\ V)-+ W non sia
un'identità. Esiste allora un'interpretazione [S; a, b, c, . .. ] che
non è un modello per ( U 1\ V)-+ W; cioè, (U 1\ V)-+ W interpre­
tato in questo modo è falso; ciò significa che (U 1\ V), e quindi
U e V, è (solo) vero(i) in questa interpretazione ma W è falso
(secondo la definizione di verità dell'implicazione) . Ma allora
[S; a, b, c, . . . ] è un modello per U e V, ma non per W. Di con­
seguenza, per definizione, W non è una conclusione da U e V.
30 Capitolo primo

(b) Supponiamo che ( U 1\ V)� W sia un'identità è che [S; a,


b, c, ... ] sia un modello per U e V. Allora è anche un modello
per (U 1\ V)� W (il modello interpreta anche i predicati di W!)
secondo la definizione di identità logica. Se ( U 1\ V)� W e
( U 1\ V), una volta interpretati entrambi in [S; a, b, c, . ] , sono
. .

veri, allora anche W è vero. Questo significa che [S; a, b, c, . ] . .

è un modello per W.

TEOREMA 4.6. L'enunciato W non è una conclusione da U e V

se U, V e "" W hanno un modello comune.


Dimostrazione. Semplice.
Osservazione. La logica di Aristotele comprende la cosiddetta
logica modale, cioè una logica che include giudizi in cui com­
paiono termini come probabile, necessario, possibile ecc. Stori­
camente, dopo Aristotele sono state rivolte molte critiche a
questa parte della sua logica. Non sorprende allora che l'atten­
zione si sia rivolta tutta sulla "logica assertoria" di Aristotele,
che può essere facilmente formulata nel calcolo dei predicati
elementare. La forma standard del giudizio aristotelico, infatti,
è lo schema S-P (soggetto-predicato) (ad esempio, "tutte le cose
sono estese"), che nel nostro linguaggio logico può essere formu­
lato come A(x), cioè x ha la proprietà A. Rimangono però dif­
ferenze essenziali tra le forme classiche di ragionamento sillogi­
stico e il calcolo dei predicati elementare, che è strumento spe­
cifico delle teorie matematiche.
Così, per esempio, la tradizionale forma di ragionamento sil­
logistica nota con il nome di Barbara è valida anche nel calcolo
dei predicati elementare:
Tutti gli ateniesi sono uomini
Tutti gli uomini sono mortali
Tutti gli ateniesi sono mortali_!

1 [Abbiamo leggermente variato l'esempio originale per renderlo immedia­


tamente adeguato alla "traduzione" formale che segue.]
Teorie matematiche elementari 31

La sua formulazione nel calcolo dei predicati elementare è la


seguente:
U: ( 'v' x) (A(x)�B(x) )
V: ( 'v' x) (B(x)�C(x))
W: ( 'v' x) (A (x)�C(x) )
e in effetti W è una conclusione da U e V.
Risulta, però, che le forme sillogistiche note come Felapton e
Fesapo non sono, nella nostra terminologia, forme di ragiona­
mento conclusive. Ecco la formulazione di Fesapo nel calcolo dei
predicati elementare:
U: ( 'v' x) (B(x)�A (x) )
V: ( 'v' x) (B(x)�-C(x) )
W: ( 3 x) (A (x)�-C(x) ) .
Che W non sia una conclusione da U e V segue dalla defini­
zione (secondo la tavola di verità) di implicazione materiale. La
logica moderna usa l'implicazione materiale e non quella formale
(vedi paragrafo 2 ) .

DEFINIZIONE 4.3 . U n insieme d i enunciati u�, . . . ' Un è detto


non-contraddittorio quando non ha una conclusione contraddit­
toria.

TEOREMA 4.7. Gli enunciati U�, . . . , Un sono non-contraddit­

tori se e solo se possiedono un modello comune.


Dimostrazione. Semplice.
Tutto il complesso di teoremi affrontati finora ci mette in
grado di risolvere il cosiddetto Entscheidungsproblem [problema
della decisione] per il calcolo dei predicati elementare, vale a
dire : abbiamo a disposizione un'infallibile procedura per stabi­
lire, in un numero finito di passi, se:
(1) un certo enunciato è un'identità,
32 Capitolo primo

(2) un certo enunciato è una conclusione dagli enunciati U�,


. . . , Un,
( 3) un certo insieme di enunciati U�, . . . , Un è contraddittorio.
La cosa è facilmente verificabile. U contenga n simboli di pre­
dicato: allora, per un'ovvia estensione del teorema 4.4, U è
un'identità se è un'identità in tutti i modelli con al più 2" ele­
menti. f:. chiaro che il numero di modelli con al più 2" elementi
è limitato da un numero computabile, diciamo g(n ) . Controllando
la verità di U in ognuno di questi g(n) modelli (il che richiede
un numero finito di passi in ogni modello) abbiamo in un numero
finito di passi una verifica per la verità di U. Così, il caso (l) è
determinato con l'aiuto del teorema 4.4; il caso (2) può essere
ridotto al caso (l) chiedendosi se (Ut 1\ ... 1\ Un )�U è un'iden­
tità (teorema 4.5) ; analogamente si procede per il caso ( 3) chie­
dendosi se ""'( Ut 1\ ... 1\ Un) è un'identità (teorema 4.7 ) .

Abbiamo già ricordato che il calcolo dei predicati elementare


non può fornire una base sufficiente per la teoria dei numeri.
Ci vuole un linguaggio più forte per formulare, ad esempio, il
problema di Fermat. Introdurremo ora un linguaggio di que­
sto tipo.

5 . Calcolo dei predicati. La teoria Z

Nel calcolo dei predicati elementare non possiamo formulare


il problema di Fermat perché, per la sua formulazione, abbiamo
bisogno di un simbolo di relazione. Nel calcolo dei predicati
elementare incontriamo predicati con una sola variabile, ossia
predicati monadici, mentre nel calcolo dei predicati operiamo
con predicati poliadici, o relazioni. Questo significa che si pos­
sono ora formulare relazioni numeriche come x<y, xfy ecc.
(x e y sono variabili) . (Si noti che nel paragrafo precedente
abbiamo considerato come predicato monadico la "relazione"
x<O, dove O è una costante.} L'insieme dei simboli del calcolo
Teorie matematiche elementari 33

dei predicati sarà un'espansione di quello del calcolo dei pre­


dicati elementare (vedi sopra, definizione 1 . 1 ) .

DEFINIZIONE 5 . 1 . Il linguaggio del calcolo dei predicati contiene

i seguenti simboli:
(l) virgole, connettivi, quantificatori, parentesi e variabili come
nel linguaggio del calcolo dei predicati elementare;
(2) simboli di relazione A�, A2, . . . A ciascun A; è assegnato un
intero n;� l, dove n, indica che la relazione rappresentata
da A; è una relazione tra n; oggetti (simbolo di relazione
n;-aria) ;
( 3 ) il simbolo di identità: "= " ;
( 4) costanti: Ct, c2, C3, •••

DEFINIZIONE 5 .2. Regole per formule ben formate:


Regola l. x = y, x = Ct, Ct = c2 sono fbf, dove x e y sono
simboli di variabile e Ct e c2 sono simboli di costante.
Regola 2. Se A è una relazione n-aria e ciascun elemento di t�,
... , tn è un simbolo di variabile o un simbolo di
costante, allora A(tt, ... , tn) è una fbf.
Regola 3 . Se U e V sono fbf, allora lo sono anche U, ( U 1\ V),
(UV V), ( U-+V) e ( U �V).
Regola 4. Se U è una fbf, allora lo sono anche ( 3 x) U e (V x) U.

Come già nel calcolo dei predicati elementare, anche nel cal­
colo dei predicati possiamo introdurre i concetti di variabile
libera e variabile vincolata, enunciato, interpretazione e modello,
e per incorporarli non sono necessari cambiamenti essenziali.
La definizione ricorsiva di interpretazione deve essere estesa
in modo che si possano interpretare nell'universo di discorso
anche i simboli di costante. L'interpretazione di "= " sarà l'iden­
tità. Rispetto al concetto esteso di interpretazione, è molto sem-
34 Capitolo primo

plice introdurre il concetto esteso di modello (vedi Cohen, 1 966,


pp. 20 sg. ) .
Prima d i proseguire con l a relazione tra l a struttura formale
del calcolo dei predicati e i suoi modelli, dobbiamo ricordare
che le regole date in precedenza per la formazione di formule
nel calcolo dei predicati non sono sufficienti per la diretta tradu­
zione della totalità di ciò che viene abitualmente chiamato "teoria
elementare dei numeri" (cioè la teoria dei numeri con solo +
e X). Abbiamo l'esempio dell'ultima congettura di Fermat, la
quale afferma che per tutti gli interi positivi n (n� 3 ) , l'equa­
zione xn+yn = zn non ha soluzioni se x, y e z sono interi. Come
si possono esprimere enunciati di questo tipo nel formalismo del
calcolo dei predicati? Osserviamo innanzitutto che una relazione
aritmetica come x y = z è in realtà un predicato temario, di­
·

ciamo A(x, y, z) . Inoltre, anche a+b = c è un predicato tema­


rio, diciamo B (a, b, c) . Così, per esprimere l'esistenza di interi
x, y e z che soddisfano l'equazione x2+y2 = z2, dobbiamo scrivere
( 3 x) ( 3 y) ( 3 z ) ( 3 a) ( 3 b) ( 3 c) (A (x, x, a) 1\ A( y, y , b ) 1\
1\A(z, z, c) 1\B(a, b, c) ) .
:t subito chiaro che, per esprimere direttamente l'enunciato
generale di Fermat, è necessario far variare una variabile, diciamo
n, sul numero delle variabili libere che occorrono in un predicato
n-ario. Dato che ciò non è possibile, possiamo formulare l'ultima
congettura di Fermat nel calcolo dei predicati solo consideran­
dola un numero infinito di enunciati. (Anzi, non è per niente
un fatto banale della teoria della computabilità che relazioni come
(V n) (y = xn ) possano essere formulate nel linguaggio del cal­
colo dei predicati. In effetti, attraverso la teoria delle funzioni
ricorsive si può trovare nel calcolo dei predicati una formula
U(x, n, Zt, . . . , Zn) tale che
( 3 Zm ) U ( x, n, y, Zt, . . . , Zm )
esprima la relazione y = xn, con m indipendente da n. Si è così
codificato il numero infinito di triple di interi (x, n, y) (n> O) in
Teorie matematiche elementari 35

una formula del calcolo dei predicati ed è quindi divenuto molto


semplice formulare come segue in esso l'ultimo teorema di Fer­
mat. Chiamando P(x, n, y) la precedente espressione per y = xn,
osserviamo dapprima che la formula
( 3 Yt ) ( 3 y2) ( 3 Y3) (P(xt , n, Yt ) 1\ P(x2, n, y2) 1\
/\ P(x3, n, Y3) /\ (Yt+Y 2 = Y3) )
esprime che per n qualunque, x� +x� = x�. Ma dato che ora n
è divenuto un coefficiente in P, con P facente parte del calcolo
dei predicati, ponendo (Vn ) davanti all'ultima espressione que­
sta si trasforma in un equivalente della formula di Fermat nel
calcolo dei predicati.) Vedremo che lo stesso avviene se cer­
chiamo di formulare l'assioma di induzione (della teoria dei nu­
meri) nel calcolo dei predicati. Il fatto, però, che il calcolo dei
predicati sia nondimeno notevolmente "più forte" del calcolo
dei predicati elementare è facilmente verificabile se si considera
che nel calcolo dei predicati ricorrono enunciati che ammettono
modelli infiniti e nessun modello finito. Prendiamo, ad esempio,
l'enunciato di Schiitte:
(Vx) ( ,..., A (x, x) 1\ ( 3 y) (A(x, y) 1\ ( Vx) (A(z, x)-+
-+A(z, y)))).
Esso dice che:
( l ) nessun elemento p di un modello S (per questo enunciato)
è nella relazione A con sé stesso (cioè, - A(x, x) );
(2) per ogni p di S, esiste un q di S tale che p è nella relazione
A con q ;
(3) ogni r in S che sia nella relazione A con p, è anche nella
relazione A con q.
A questo modo, se S ha almeno un elemento, otteniamo una
successione infinita di elementi in S.
Nel nostro linguaggio colloquiale abbiamo una nozione di
verità a cui si rifà ancora fortemente il concetto di verità del
calcolo proposizionale. Nel calcolo dei predicati elementare ab-
36 Capitolo primo

biamo introdotto il concetto di verità attraverso un modello, e


questo era un'estensione del calcolo proposizionale. Tutte queste
definizioni di verità sono definizioni semantiche. Risulta che in
logica - nell'aspetto logico di un linguaggio formale - ci sono
nozioni la cui portata corrisponde fortemente a quella del con­
cetto semantico di verità. Abbiamo detto in precedenza che la
logica è una "teoria dell'inferenza", quindi le nostre regole di
inferenza per il calcolo dei predicati devono essere tali che siano
derivabili solo formule vere da formule vere. Giungiamo così al
concetto di "enunciato valido" (vedi Cohen, 1 966, pp. 1 5 sgg.),
tramite il quale vogliamo che l'insieme degli "enunciati veri"
(semanticamente determinati) coincida con quello formato dagli
"enunciati validi" (determinati logicamente) ; proprio come nel
caso delle regole di inferenza del calcolo proposizionale. f: per­
tanto attraverso il calcolo proposizionale che stabiliamo una
correlazione tra identità logiche ( tautologie) ed enunciati validi.
Questo è espresso dalla prima regola di inferenza del calcolo dei
predicati. Ci sono in tutto sette regole di inferenza.

DEFINIZIONE 5 . 3 . Regole di inferenza del calcolo dei predicati:


Regola l . Se U è una tautologia (nel senso del calcolo proposi­
zionale) costruita con le proposizioni V�, . . . , Vn,
allora il risultato della sostituzione di ogni V, con un
enunciato qualsiasi del calcolo dei predicati è un enun­
ciato valido.
Regola 2. (Modus ponens) Se U e u�V sono enunciati validi,
allora lo è anche V.
Regola 3 . ( Regole di identità)
( l ) c, = c� , (ct = c2) � (c2 = c,) e ( (c, = c2) A (c2 =
= c3) )�(c, = C3) sono enunciati validi, dove Ct,
c2 e C3 sono tre simboli di costante qualsiasi;
(2 ) s e U è un enunciato, c, e c2 simboli di costante,
e se U' rappresenta U con ogni occorrenza di c,
Teorie matematiche elementari 37

sostituita da c2, allora (c1 = c2)-+ ( U-+U') è un


enunciato valido.
Regola 4. (Sostituzione di variabili). Se U è un enunciato qual­
siasi e U' risulta dalla sostituzione in U di ogni occor­
renza del simbolo x con il simbolo x', dove x e x'
sono due simboli di variabile qualsiasi (x' non ha
occorrenze in U), allora l'enunciato U-+U' è un
enunciato valido.
Per la regola successiva, poniamo che U(x) rappresenti una
formula con una variabile libera e in cui ogni occorrenza di x sia
libera e poniamo che U(c) rappresenti il risultato della sostitu­
zione di ogni occorrenza di x con il simbolo di costante c.
Regola 5. ( Regola di specializzazione). ((V x)U(x)-+U(c) è un
enunciato valido, dove c è un qualsiasi simbolo di
costante.
La regola successiva può risultare un po' fuorviante e richiede
qualche spiegazione. Spesso nei ragionamenti diciamo: "Sia c un
intero arbitrario ma fissato." Proseguiamo poi a ragionare a pro­
posito di c e arriviamo a una certa conclusione A ( c). Possiamo
allora dedurre che (V x)A(x), dato che non usiamo alcuna par­
ticolare proprietà di c. In realtà abbiamo trattato c come una
variabile, anche se l'abbiamo chiamata una costante: ecco la ra­
gione per cui i nostri enunciati validi saranno veri in ogni inter­
pretazione della costante e dei simboli di relazione. Potremmo
così esprimere questo fatto: se A(c) è un enunciato valido, allora
lo è (Vx)A(x). La regola 6, comunque, porta agli stessi risultati
in una forma più adeguata�
Regola 6. Sia V un enunciato in cui non compaiano c o x. Se
U(c)-+V è valido, allora lo è anche ( 3 x)U(x)-+V.
Regola 7. Poniamo che U(x) abbia x come unica variabile libera
e che ogni occorrenza di x sia libera. Sia V un enun­
ciato che non contiene x. Allora i seguenti sono enun­
ciati validi:
38 Capitolo primo

( ,.., ( 'v x) U(x)) �( ( 3 x) ,.., U(x) )


( ( ( V x) U(x) ) 1\ V) �( ( V x) U(x) 1\ V)
((( 3 x) U(x) ) 1\ V) �( ( 3 x) U(x) 1\ V) .

DEFINIZIONE 5 .4. Sia � un insieme di enunciati. Diciamo che


U è derivabile da � se, per qualche V., . . . , Vn in �. l'enunciato
( Vt 1\ . . . 1\ Vn) -+U è valido.
Esercizio. Dimostrare che U(c) è valido se ( 'v' x ) U(x) è valido.
Dopo aver dato le regole per formare enunciati validi, pas­
siamo al problema dell'identificazione di questi enunciati con gli
enunciati veri.

DEFINIZIONE 5 . 5 . Un insieme di enunciati � è detto coerente se,

per qualsiasi U, l'enunciato (U 1\ ,.., U) non può essere derivato


da �.
La correttezza del seguente teorema è immediatamente evi­
dente se lo si verifica per le differenti regole del calcolo dei pre­
dicati (noioso) .

TEOREMA 5 . 1 a. Se U è un enunciato valido, allora è vero in

ogni modello.
Quindi, l'insieme delle identità logiche è un sottoinsieme del­
l'insieme degli enunciati validi.

TEOREMA 5 . 1b. Se un insieme di enunciati a. ha un modello,


allora è coerente.
Dimostrazione. Supponiamo che a. abbia un modello ma non
sia coerente. C'è allora una formula U in a. tale che (U 1\ ,.., U)
è vera in quel modello. Ma ciò significa che U e U sono en­
,..,

trambi veri in quel modello, il che è impossibile.


Vale anche l'inverso di questo teorema.
Teorie matematiche elementari 39

TEOREMA 5 . 2 . (Teorema di completezza di Godel) . Sia (I un

qualsiasi insieme coerente di enunciati. Esiste allora un modello


per (I la cui cardinalità non supera la cardinalità del numero degli
enunciati di (I se (I è infinito, ed è numerabile [countable] se
a. è finito.

Non daremo la dimostrazione completa di questo teorema


(vedi Cohen, 1 966, o, per una trattazione più esplicita, Kleene,
1 95 2 ) . La dimostrazione fa uso dell'assioma di scelta e della teo­
ria elementare degli insiemi. La dimostrazione consiste in un me­
todo di produzione del modello richiesto; essa è però non co­
struttiva, nel senso che la costruzione del modello per (I può
richiedere l'esame di un numero infinito di possibilità. Il primo
passo sarà la dimostrazione della completezza di un sottosistema
del calcolo dei predicati.

TEOREMA 5.3 . ( Completezza del calcolo proposizionale ) . Se (I

non contiene quantificatori ed è coerente, allora esiste un mo­


dello per (I.
Il modello costruito per dimostrare il teorema 5.3 può essere
esteso a un modello che serva a dimostrare il teorema di com­
pletezza di Godei (teorema 5.2). Ci limiteremo a formulare e
dimostrare un lemma che viene usato nella dimostrazione del
teorema 5 . 3 .

LEMMA. S e (I è un msteme coerente di enunciati e U è un

enunciato arbitrario, allora o (I U { U } o (I U { "" U } è coerente.


Dimostrazione. Se (I U { U } non è coerente, allora, per dei V;
in a., U A V1 A ... A Vn)�(W A "" W) , per qualche W, è valido.
Se è contraddittorio (I U { ,.... U }, allora per dei v; in (I, ( ( "" U) A
A V� A ... A V� )�(W' A "" W') è valido. Ora, il calcolo proposi­
zionale implica che (V1 A ... A V"A V� A ... A V'm)�( W A "" W) V
V ( W' A W') è valido e quindi che a. deve essere contrad­
""

dittorio.
40 Capitolo primo

Dopo aver costruito un linguaggio formale vogliamo ora mo­


strare come in esso si possa formulare una teoria matematica,
quale ad esempio l'aritmetica elementare. Il sistema del calcolo
dei predicati diviene concreto nel momento in cui i predicati
A, B , C , ... ora rappresentano relazioni nella teoria elementare
dei numeri; allo stesso modo, le costanti Ct, c2, CJ, rappresen­
•••

teranno elementi definiti, ad esempio Ct = O ecc. In tal modo for­


muliamo una teoria matematica elementare, la teoria dei numeri
Z, dando semplicemente un certo numero di assiomi, che riflet­
tono le regole per operare con i numeri naturali all'interno del
calcolo dei predicati.
Non daremo una completa formalizzazione di questo sistema
introducendolo nella notazione del calcolo dei predicati, perché
vogliamo rimanere aderenti a ciò che si potrebbe chiamare
aritmetica intuitiva. Gli elementi di Z devono essere considerati
gli interi non negativi. Introduciamo le relazioni ternarie R1 e
R2 corrispondenti, rispettivamente, all'addizione e alla moltipli­
cazione. Per una maggiore leggibilità delle nostre formule, scri­
veremo x + y = z e x · y = z invece di R1 (x, y, z) e R2(x, y, z) .
Usiamo due simboli di costante, O e l . Inoltre, introduciamo la no­
tazione ( 3!x)A(x) come abbreviazione per ( ( 3 x) ( V y) A(y) ) ­
- (x = y). (Questo mostra che abbiamo formalizzato la nozione
"esiste un unico x tale che A(x) ".)

DEFINIZIONE 5.6. Gli assiomi per Z sono i seguenti:

l. ( V x, y) ( 3 !z) (x + y = z) ;
2. ( V x, y) ( 3 !z) (x · y = z) ;
3. ( V x) (x + O = x) /\ (x · l = x) ;
4. ( V x, y) ( (x + (y + l ) ) = ( (x + y) + l ) ) ;
5. ( V x, y) ( (x · (y + l ) ) = ( (x · y) + x) ) ;
6. ( V x, y) ( (x + l = y + l )-+(x = y)) ;
7. ( 'v' x) ( ,.... (x + l = O) ) .
Teorie matematiche elementari 41

Il nostro ottavo assioma consiste in realtà in un numero infi­


nito di assiomi ed è più adeguato chiamarlo uno schema d'as­
sioma. Per formularlo, enumeriamo le infinite formule del nostro
sistema che contengono almeno una variabile libera, Um(x, t�,
. . . , h ), dove naturalmente k dipende da m. Non ha alcuna im­
portanza la particolare enumerazione che scegliamo.
8m. ( 'V t t , ... , tk) ( ( Um ( O , t� , ... , h) /\ ( V y) ( Um (y, t� , ... , tk)�
�Um(Y + l , t, , ... , tk) ) )�( 'V x) Um (x, t� , . . . , h)) .
L'ottavo assioma può essere visto come una formulazione del
principio di induzione matematica.
Questi assiomi costituiscono una possibile formalizzazione
degli assiomi di Peano, che sono considerati un insieme di assiomi
adeguato per la teoria elementare dei numeri naturali.

6. Teorema di incompletezza di Godel

Mentre con il teorema di completezza si dimostrava che le


regole del calcolo dei predicati sono complete, il teorema
di incompletezza dimostra che all'interno di ciascuna teoria che
includa Z e sia basata sul calcolo dei predicati, il problema della
decisione (esiste un algoritmo per decidere se un enunciato è
valido o no ?) è irrisolvibile.

TEOREMA 6. 1 . ( Primo teorema di incompletezza di Godei.) Se

Z è coerente, allora esiste in Z un enunciato tale che n é l'enun­


ciato n é la sua negazione sono dimostrabili in Z.
Daremo solo alcune indicazioni schematiche sulla dimostra­
ziOne.
Ci si potrebbe chiedere che cosa sia computabile e che cosa non
lo sia nel sistema dei numeri naturali. In ogni caso, tutte le fun­
zioni ricorsive primitive, cioè funzioni opportunamente definite
su interi (o su n pie di interi) e che assumono valori interi,
-

possono essere computate. Si può facilmente definire l'insieme di


42 Capitolo primo

queste funzioni mediante sistemi di equazioni (vedi Cohen, 1 966,


pp. 34 sgg., e anche, per una formulazione più ampia, Davis,
1 95 8 ) . La maggior parte delle funzioni elementari sono ricorsive
primitive; ad esempio l'addizione, la moltiplicazione e l'eleva­
zione a potenza. Le funzioni ricorsive primitive che siano co­
struibili formano un sottoinsieme di tutte le cosiddette funzioni
effettivamente computabili. La "tesi di Church" è che la classe
delle funzioni effettivamente computabili coincida con la classe
delle cosiddette funzioni ricorsive generali. Questa tesi non può
essere dimostrata matematicamente perché il concetto "effetti­
vamente computabile" non è un concetto matematico. Si pos­
sono però portare a suo sostegno un certo numero di argomen­
tazioni; risulta, ad esempio, che tutte le spiegazioni del concetto
di "computabile" date dai matematici sono equivalenti alla no­
zione matematicamente definita di "ricorsività" .
L a definizione data d a Godei nel 1 9 3 4 dice essenzialmente che
una funzione è ricorsiva generale se esiste un qualche insieme
finito di equazioni, che includa la funzione stessa e funzioni
ausiliarie, che definisca la funzione in modo univoco. Turing
equiparò "ricorsività generale" a "computabile con una macchina
di Turing" , cioè una macchina ideale per il calcolo (ideale nel
senso che la sua memoria è sempre capace di estendersi) .
Per dimostrare il teorema si procede secondo il seguente me­
todo (metodo diagonale) :
( l ) Il primo problema è l'aritmetizzazione di Z . Intendiamo
con questo l'assunzione che le formule di Z siano enumerate in
modo naturale (ad esempio contandole) . Fatto questo, le varie
operazioni elementari quali la negazione e la congiunzione di
formule, il vincolo di variabili libere ecc., divengono semplici
funzioni ricorsive primitive sugli interi corrispondenti alle for­
mule. Questi interi sono chiamati i numeri di Godel delle for'­
mule. Ora, le regole del calcolo dei predicati sono date in modo
effettivo, sebbene vi sia un numero infinito di assiomi in Z.
Questo perché essi sono generati da una semplice regola e si
Teorie matematiche elementari 43

possono facilmente enumerare i loro numeri di Godei. Ciò si­


gnifica che, enumerando tutte le possibili dimostrazioni, vediamo
che gli enunciati dimostrabili costituiscono il codominio di una
funzione ricorsiva primitiva. Possiamo dire di avere interpretato
la sintassi di Z, che indicheremo con Sin (Z ) , in Z.
(2) Enumeriamo ora le funzioni ricorsive primitive contando
i sistemi di equazioni che le definiscono. Possiamo costruire una
funzione ricorsiva primitiva F il cui codominio non sia ricorsivo.
Più precisamente, F avrà la proprietà che se f, è la funzione
ricorsiva primitiva definita dall'r-esimo insieme di equazioni,
allora r + l è nel codominio di F�f,(r + l ) = O. La funzione
F(x) può essere rappresentata in Z nel senso che esiste una for­
mula in Z che dice F(x) = y. Poniamo che Vn denoti l'enun­
ciato "n è nel codominio di F" . I numeri di Godei di V,. e ....., Vn
sono funzioni ricorsive primitive di n.
( 3 ) Per ogni n, scorriamo l'elenco di enunciati dimostrabili
ordinati finché incontriamo una dimostrazione di vn o di ....., vn o
Se la incontriamo, il calcolo finisce e poniamo g(n) = l nel
primo caso, g(n) = O nel secondo. Se non si può dimostrare né
Vn né ....., Vn, allora g(n) rimane indefinito. La funzione g, che
è stata così definita in modo totalmente esplicito, deve essere una
f, per un particolare r (che si può trovare esplicitamente) . Sia U
l'enunciato "r + l è nel codominio di F" .
(4) F è definito in modo che f,(r + l ) :;é x(r + l ) , dove x è la
funzione caratteristica del codominio di F. Cioè, x(n) = O o l,
se e solo se, rispettivamente, n non è nel codominio di F o n è
nel codominio di F.
(5) Vale ora quanto segue: se la dimostrazione di U ricorre
prima di una dimostrazione di ....., U, allora r + l non è nel codo­
minio di F; nel caso contrario, r + l è nel codominio di F.
( 6) Ora un enunciato dimostrabile in Z è naturalmente vero
nel modello degli interi. Se assumiamo che Z sia coerente, allora
44 Capitolo primo

non sono dimostrabili né U né ""' U. Quindi, l'asserzione che U


è dimostrabile implica che r + l non è nel codominio di F (per il
precedente ( 5 ) ) . Ma se U è dimostrabile, allora U è vero e r + l
è nel codominio di F; una contraddizione. Se ""' U è dimostrabile,
allora, per (5), r + l è nel codominio di F. Ma se ""' U è dimo­
strabile, allora ""' U è vero e r + l non è nel codominio di F; di
nuovo una contraddizione. Di conseguenza, non si può dimo­
strare né U né ""' U, e il nostro teorema è dimostrato.

COROLLARIO. U è falso negli interi.


Dimostrazione. Se r + l fosse nel codominio di F, allora, per
qualche m, F(m) = r + l . Dato che F è ricorsiva, possiamo scri­
vere tutti i passi del calcolo di F(m) . Questi calcoli costitui­
rebbero poi una dimostrazione in Z di F(m) = r + l e quindi una
dimostrazione di U. Ma U non è dimostrabile in Z. (Dimostra­
zione informale.)
Riassumendo: ""' U non è dimostrabile in Z, eppure abbiamo
appena dato una dimostrazione informale che ""' U è vero. Que­
sto suggerisce, come unica conclusione, che il nostro ragiona­
mento informale utilizza un principio naturale che non può
essere formalizzato in Z. In altre parole, il sistema Z è così sin­
tatticamente povero che non può racchiudere il nostro modo di
ragionare naturale. Per un resoconto semplificato dei risultati di
Godei si può consultare anche Nagel e Newman ( 1 958).
Il metodo usato da Godei nella sua dimostrazione è essen­
zialmente il metodo diagonale di Cantor. Con esso, Cantor
dimostrò che esistevano insiemi non numerabili. Egli arrivò a
questo risultato mostrando la necessaria esistenza di un ele­
mento che era chiaramente un elemento dell'insieme dei nu­
meri reali sul continuo (l'intervallo unitario (0, l ) ) ma non
poteva essere contato in una possibile enumerazione degli ele­
menti di questo insieme in notazione decimale (vedi Kamke,
1 965, pp. 1 2 sgg.) .
Teorie matematiche elementari 45

Chomsky usa un metodo analogo quando rileva che la gram­


matica a stati finiti (vedi sopra, paragrafo l ) non può generare
tutti gli enunciati di un linguaggio naturale: "il punto essenziale
è che vi sono procedimenti di formazione della frase che le gram­
matiche a stati finiti non sono intrinsecamente in grado di trat­
tare" (Chomsky, 1957, p. 3 0) .
Il teorema di incompletezza di Godei h a molte conseguenze.
Da un lato, significò la fine delle ipotesi sulla macchina di Turing
come macchina pensante o come macchina mediante la quale si
potesse adeguatamente simulare il pensiero matematico (vedi,
per questo problema, Beth, 1 940, in particolare il cap. 5 : "Over
de zogenaamde denkmachine" ) . Infatti il teorema di Godei dice
che esistono enunciati dei quali, all'interno del sistema, non si
può dimostrare né l'affermazione né la negazione. Ciò significa
che ci sono formule vere che non possono essere dedotte in Z.
Così una macchina di Turing non sarà in grado di generare ogni
formula vera di un sistema (in cui è formulato Z).
I l risultato d i Godei pose anche fine a l programma formali­
stico di Hilbert, che aveva come obiettivo la dimostrazione della
coerenza dell'intera matematica, e utilizzava la nozione di equi­
valenza tra verità matematica e deducibilità in un sistema for­
male (vedi paragrafi l e 1 1 .3 ) . La fine del programma fu imme­
diata conseguenza del secondo teorema di incompletezza di Go­
del (la cui dimostrazione segue in modo non banale da quella del
primo teorema) :

TEOREMA 6.2. Se Z è coerente, allora la coerenza di Z non può

essere dimostrata all'interno di Z.


Il formalismo, dopo il l93 1 (anno di pubblicazione dei risul­
tati di Godei), si è trasformato nella cosiddetta teoria dei modelli,
nel tentativo di condurre in porto il programma in forma più
debole, attraverso dimostrazioni di coerenza relativa. Se si inter­
preta una teoria ex in una teoria � e se questa interpretazione
'
costituisce un modello per ex, allora si è dimostrata la coerenza
46 Capitolo primo

di a, partendo naturalmente dal presupposto che la teoria � sia


coerente (vedi teorema 5 . 1b). In tal modo, nella geometria eucli­
dea (tridimensionale) esiste un modello per la geometria ellittica,
in particolare interpretando le linee su una emisfera come geo­
detiche in geometria ellittica. Se la geometria euclidea è coerente,
allora anche la geometria ellittica lo è .
Un tipo analogo di dimostrazione di coerenza relativa si ot­
tiene come segue. Siano U�, ... , Un gli assiomi di una certa
teoria matematica 1-l· Supponiamo che tutti gli assiomi tranne
uno, diciamo U1, ... , Un-t, formino un sistema logicamente coe­
rente. Si sviluppano poi metodi per mostrare che l'aggiunta del­
l'assioma Un al sistema U�, ... , Un-l non porta a una contraddi­
zione. Le dimostrazioni di coerenza di questo tipo procedono
spesso costruendo un modello M per la sottoteoria assiomatica
di 1-t, definita da U�, ... , Un-l, e poi manipolando, interpretando o
modificando il modello M in modo che tutti gli assiomi U�, ... , Un
siano in esso soddisfatti. (Ad esempio: la cosiddetta ipotesi del
continuo della teoria degli insiemi è coerente con i consueti
assiomi della teoria degli insiemi e lo sono pure un certo numero
delle sue negazioni; vedi Cohen, 1 966; Rosser, 1 969.)
Ci riferiamo ora al concetto di indipendenza di un certo as­
sioma dagli altri assiomi di una teoria �-t: usando la notazione
precedente, diciamo che l'assioma Un è indipendente dagli assiomi
U�, ... , Un-l se esiste un modello per il sistema U�, ... , Un-l in
cui Un non è soddisfatto. Così, ad esempio, nella geometria eucli­
dea classica !"' assioma delle parallele" è indipendente dagli altri
assiomi, a causa dell'esistenza di modelli per le geometrie non
euclidee in cui quell'assioma non è soddisfatto. Per un ulteriore
studio dell'indipendenza di certi assiomi della teoria degli in­
siemi, si consiglia nuovamente il lettore a consultare Cohen
( 1 966) e Rosser ( 1 969) . Si richiama l'attenzione del lettore anche
sulla serie "Studies in Logic and the Foundations of Mathema­
tics" (pubblicata dalla North-Holland ) in cui si possono trovare
parecchi libri su argomenti di questo tipo.
Te orie matematiche elementari 47

7. I teoremi di incompletezza e la semantica

I teoremi di Godei hanno conseguenze anche per la semantica.


Supponiamo di voler formulare (analogamente a quanto fatto
nel paragrafo 6 per Sin(Z)) la semantica di Z, denotata con
Sem(Z) ; assumiamo, cioè, l'esistenza di una o più condizioni
che, in Z, esprimono il concetto ''numero di Godei di un enun­
ciato vero in Z " . Possiamo formulare, analogamente alla dimo­
strazione del primo teorema di Godei, un teorema di incomple­
tezza semantica.
Prima di procedere in questo senso, formuliamo la dimostra­
zione di Godei in un'altra forma. Definiamo in Z una formula
S(x) contenente una variabile libera x con la seguente proprietà
(e lo si può fare perché Sin(Z) può essere interpretata in Z) :
S(n') è vera se e solo se n' in Z è il nome di un numero
(#) di Godei n di una formula U(x), che contien e solo x
come variabile libera e per la quale U(n') non è di­
mostrabile in Z.
Sia s il numero di Godei di S(x) . Assumiamo che S(s') sia dimo­
strabile in Z ; allora S(s') è certamente vero e quindi s deve essere
il numero di Godei di una formula U(x) con le due proprietà
espresse in ( # ) . Inoltre, la formula deve essere la stessa S(x) per­
ché ciascun numero è il numero di Godei di una sola formula;
quindi U(s') = S(s') non è ancora dimostrabile, benché, secondo
la proprietà ( # ), S(s') sia vera. (Si noti l'analogia con il metodo
diagonale di Cantor.)
In modo analogo, otteniamo per Sem(Z) che, in Z, si può
trovare una formula S(x) con una variabile libera e con la se­
guente proprietà (vedi anche Beth, 1 965, pp. 3 3 5 sgg.) :
S(n') è vera se e solo se n' in Z è il nome di un nu­
(# #) mero di Godel n di una formula U(x), che contiene
solo x come variabile libera e per la quale U(n') non
è vera in Z.
48 Capitolo primo

Per la definizione di questa S (x) dobbiamo usare natural­


mente il fatto che Sin(Z) è già interpretata in Z. Sia s il numero
di Godei di S(x). Assumiamo inoltre che S(s') sia vera in Z. Al­
lora s deve soddisfare la proprietà ( # # ) , col risultato che S(s')
è nuovamente non vera; una contraddizione ! Supponiamo che
S(s') non sia vera; allora S(x) deve avere la proprietà ( # # ) e
quindi s deve essere sostituito a x in S(x) , rendendo vera la for­
mula S(s') . Di nuovo una contraddizione.
La nostra conclusione generale è questa: il concetto "numero
di Godei di un enunciato vero" non può essere definito in Z !
Inoltre, se denotiamo con Met(Z) le due teorie assiomatizzate
che abbiamo denotato con Sin(Z) e Sem(Z) , allora quanto si è
visto in questo paragrafo, insieme a quanto visto in precedenza,
giustifica che Met(Z) non può essere inglobato nella nostra teo­
ria formale Z, tanto per la forza dimostrativa quanto per la capa­
cità espressiva.
Così, in altri termini, se assumiamo che un sistema (potente
almeno quanto Z) sia coerente, Sem(Z) non può essere interpre­
tata in Z. Ossia, nella terminologia di Tarski: se un linguaggio
formale è "semanticamente chiuso", allora è contraddittorio. Se
vogliamo introdurre una definizione accettabile di verità per un
linguaggio formale, dobbiamo formularla in un altro linguag­
gio, il cosiddetto metalinguaggio. Il metalinguaggio è per sua
essenza più ricco del linguaggio-oggetto, deve cioè contenere va­
riabili di un "tipo logico" superiore a quello delle variabili del
linguaggio-oggetto. In questo metalinguaggio possiamo parlare
del primo linguaggio - il linguaggio-oggetto - per il quale vo­
gliamo dare una definizione di verità. Quando il linguaggio­
oggetto e il metalinguaggio sono identici, come nel caso del lin­
guaggio naturale, allora abbiamo un linguaggio semanticamente
chiuso. In questi linguaggi compaiono paradossi; ad esempio, il
paradosso del mentitore: "Il cretese Epimenide afferma che i cre­
tesi mentono sempre" (si veda Quine, 1 96 3 , p. 1 3 3 ) , e in modo
analogo il paradosso di Grelling. Un altro paradosso dello stesso
Teorie matematiche elementari 49

tipo, ma che ha a che fare con la teoria della definizione, è quello


di Berry: "Il numero di Berry è il primo numero nell'ordine
naturale dei numeri naturali che non può essere definito mediante
un enunciato che contenga non più di cinquanta parole della
lingua italiana." Si può facilmente verificare che l'enunciato che
definisce il numero di Berry contiene meno di cinquanta parole.
Questo paradosso può essere ripetuto in ogni sistema formale
che, ad esempio, consenta di scrivere i numeri reali in notazione
decimale.
Ciò che caratterizza tutti questi paradossi è il fatto che essi
sono espressi sotto forma di enunciati autoriferentisi. Lo stesso
valeva anche per gli enunciati da noi costruiti in linguaggio
logico per dimostrare il teorema di Godei. Analogamente, il sot­
totitolo dell'articolo di Tarski, Verità e dimostrazione (in Tar­
ski, 1 965) è il seguente: "L'antinomia del mentitore, un ostacolo
fondamentale a un'adeguata definizione di verità nei linguaggi
naturali, riappare nei linguaggi formalizzati come argomento co­
struttivo che dimostra come non tutti gli enunciati veri possano
essere dimostrati." Questi cosiddetti paradossi semantici com­
paiono perché si identifica il concetto di verità di un linguaggio­
oggetto con quello di un metalinguaggio; cioè, la distinzione
operata tra un linguaggio-oggetto e un metalinguaggio è insuf­
ficiente.
Seguendo I fondamenti della matematica di Ramsey, del 1 926,
si fa ora normalmente una distinzione tra due tipi di paradossi,
quelli logici e quelli semantici. I primi, quale il paradosso di
Russell, possono essere eliminati con adeguate modificazioni degli
assiomi o della sintassi del linguaggio in causa. Il paradosso di
Russell (l'insieme di tutti gli insiemi che non contengono sé
stessi come elemento contiene o non contiene sé stesso ?) metteva
in luce una contraddizione del sistema logico sviluppato da Frege.
Russell cercò di prevenire la comparsa di paradossi di questo
tipo introducendo la teoria dei tipi (vedi oltre, paragrafo 1 1 . 1
su Russell) . Si ricordi che in forza del teorema d i Godei non si
50 Capitolo primo

può mai dimostrare l'assenza di paradossi in una teoria formaliz­


zata con metodi finitistici. Ciò suggerisce che si possa solo con­
trollare che certi paradossi (noti) siano, per principio, esclusi
da una teoria mediante una sua adeguata formalizzazione.
Torniamo brevemente sulle ricerche di Tarski nel campo
della semantica. La definizione di verità deve essere formulata
nel metalinguaggio. Ma quali condizioni devono essere rispet­
tate ? Tarski postula che la definizione debba essere "material­
mente adeguata" (Tarski, 1 944; 1 969) . Vale a dire che la
definizione di verità deve corrispondere il più possibile alla no­
stra nozione intuitiva di verità quale viene usata nel linguaggio
naturale. Questa nozione, secondo Tarski, concorda pienamente
con la nozione aristotelica di verità, che nel Medioevo venne for­
mulata come adaequatio intellectus et rei. Oggi ci si riferisce a
questa teoria della verità come alla teoria della corrispondenza.
Il pensiero di Tarski, con la sua sottile distinzione tra lin­
guaggio formale e ciò che esso denota, è spesso definito reali­
stico. Egli stesso afferma che "la ricerca della verità è ( ... ) l'es­
senza delle attività scientifiche" (Tarski, 1 969) .
I linguaggi scientifici sono costruzioni che stanno tra la realtà
e il linguaggio naturale; un linguaggio scientifico, cioè, è in certo
modo separato non solo dalla realtà, ma anche dal linguaggio
naturale. Si distingue da quest'ultimo per la mancanza di uni­
versalità (nel senso di onnicomprensività) : può solo rivendicare
una grande esattezza e generalità specifica in qualche piccolo
dominio o aspetto della realtà. Leibniz ricercava una characteri­
stica universalis, cioè un linguaggio che fosse universale ed esatto,
che ci potesse servire in ogni scienza. Questo ideale non si può
sempre realizzare, perché un linguaggio che abbracci ogni cosa
dovrebbe essere "semanticamente chiuso" e quindi darebbe luogo
ad antinomie. E sono proprio le antinomie ciò che la scienza non
può tollerare. Ogni linguaggio scientifico "significa" solo una
piccola parte della realtà. Le scienze naturali usano il linguaggio
congeniale alla realtà scientifica naturale, una parte dell'intera
Teorie matematiche elementari H

realtà. La matematica "fa" o "costruisce" in parte la sua stessa


realtà, costruendo nuovi oggetti o cose da un dato "materiale di
base" (numeri, continuità), cui è congeniale il linguaggio mate­
matico. Cos'è la realtà per scienze quali l'antropologia o le
scienze umane ? Nelle scienze naturali la realtà è più o meno indi­
pendente dall'uomo; nelle scienze umane non lo è, in quanto in
questo campo si ha a che fare con la realtà dell'uomo nella sua
libertà. Sartre fa consistere l'essenza dell'uomo in una libertà esi­
stenziale. Se si insiste a voler definire l'oggetto delle scienze
umane, si può solo dire, seguendo Sartre, ciò che l'uomo non è.
Infatti solo di ciò che è costante si può parlare: attraverso questo
processo di néantisation, di annullamento, l'uomo rimane come
le Néant, il Nulla.
Alcuni pensatori vedono !' "essenza" dell'uomo estendersi, al
di sopra della realtà e in questa luce ritengono possibile una cono­
scenza scientifica anche nei confronti dell'uomo. Altri conside­
rano trascendentale la personalità dell'uomo e ritengono che
l'uomo non possa raggiungere una completa autoconoscenza e
neanche la conoscenza scientifica. Eppure costoro continuano a
difendere la concezione che sia possibile una conoscenza scien­
tifica della �toria dell'uomo. Ci sembra che il teorema di incom­
pletezza semantica, descritto in precedenza, ci ponga di fronte
all'impossibilità pratica di una conoscenza completa e coerente
in antropologia. Se già il linguaggio autoreferente dà luogo a
paradossi, tanto più sarà fonte di paradossi un linguaggio che si
riferisca all'uomo, il creatore del linguaggio. Siamo indotti in
modo del tutto naturale, per così dire, a considerare le teorie
scientifiche come sistemi di pensiero "locali" che necessariamente
affrontano, in modo teorico, una parte di esperienza, più o meno
ben descritta, ponendo limiti e sistematizzando. Accanto e in
opposizione ad esso, il linguaggio colloquiale continua ad essere
un linguaggio, diretto e paradossale, eppure utile perché serve
come veicolo per la diffusione di conoscenze, per accompagnare
l'edificazione pratica, attiva della storia.
Capitolo primo

8. Osservazioni sulla matematica non standard

Nei precedenti paragrafi abbiamo trattato di quella che viene


spesso chiamata "teoria dei modelli" . I modelli che sono stati
presentati erano costruiti per chiarire alcune questioni di logica
formale (vedi paragrafi 4 e 5 ) . A tal fine, avevamo bisogno di
una formalizzazione dell'aritmetica elementare (definizione 5 .6),
vale a dire dell'aritmetica degli interi standard non negativi. Così
la formalizzazione dell'aritmetica serviva allo studio della logica
formale e i modelli sono a volte chiamati modelli logici; essi
non servono a estendere la matematica propriamente detta.
Contrapposti ai modelli logici abbiamo anche i modelli mate­
matici. Nati dalla teoria logica dei modelli, essi estendono, com­
pletano e a volte sostituiscono il modello standard impiegato in
quegli argomenti matematici che delineano ed estendono le disci­
pline matematiche classiche. Per una corretta comprensione di
questi cosiddetti "modelli non standard" si deve ricordare che
esistono due tipi di formalizzazione in logica e in matematica. Si
può, in un primo caso, cercare di formalizzare e assiomatizzare
una certa disciplina in modo che il sistema ottenuto caratterizzi
uno e un solo "modello" , che già si ha in mente e in vista del
quale si opera l'assiomatizzazione. In quel caso si cerca di dare
un insieme completo di assiomi e un linguaggio che ambedue
insieme, e ci si augura in modo dimostrabile, ammettano uno e
un solo modello matematico a meno di isomorfismi. Tutto ciò
è a volte possibile, ma non è il tipo di assiomatizzazione e for­
malizzazione che ricorra più di frequente. La completezza a cui
qui ci si riferisce è chiamata nella letteratura "categoricità" . Un
classico risultato di Leon Henkin dice che una dimostrazione di
categoricità per una teoria significa che solo i suoi cosiddetti
"modelli standard" sono isomorfi, mentre non riguarda i cosid­
detti "modelli non standard" per quella teoria. Il matematico
interessato al pensiero generalizzato è ben soddisfatto se il si­
stema d'assiomi da lui concepito racchiude o comprende il mag-
Teorie matematiche elementari 53

gior numero possibile di "modelli" utili in differenti campi della


matematica. Nella maggior parte dei casi, questi matematici non
procedono a una completa formalizzazione dei loro sistemi e non
esplicitano quale parte della logica formale utilizzano. I modelli
non standard della matematica, quindi, sono modelli, costruiti
con cura utilizzando il linguaggio del calcolo dei predicati e la
teoria degli insiemi, che soddisfano tutti gli assiomi (o un sotto­
insieme dell'insieme degli assiomi) che governano certi modelli
standard dell'Analisi classica, dell'algebra e della teoria dei nu­
meri, in particolare i numeri reali R e il loro sottoanello Z di tutti
gli interi. In questo modo si ricreano nuove branche della mate­
matica, principalmente per il fatto che il classico campo, dotato
di ordine archimedeo, dei numeri reali R è sostituito da un
nuovo tipo di campo (dei cosiddetti numeri reali "non standard")
che soddisfa gli stessi assiomi di R, ad eccezione dell'assioma di
Archimede; in modo del tutto analogo si costruiscono modelli
per geometrie non euclidee a partire dallo (o all'interno dello)
spazio euclideo. Risulta che il nuovo campo, sebbene non archi­
medeo, mantiene un numero di proprietà sufficiente a riscrivere,
con esso come campo base, ampie parti dell'Analisi classica.
Diamo una sommaria descrizione di come ciò possa avvenire.
La costruzione di un modello non standard per R procede
come segue. Si usa il concetto di filtro e di ultrafiltro. Sia I un
insieme qualsiasi; un sottoinsieme D dell'insieme potenza P(I)
di I (cioè dell'insieme di tutti i sottoinsiemi di I) è detto un
filtro se risultano soddisfatte le seguenti condizioni:

l. 0 �D 2 . A, B e D implica A n B e D
3. AED e AcBci implicano B E D.

D è detto un ultrafiltro se è massimale nell'insieme dei filtri su I ;


cioè, se non esiste un filtro D' con D c D', D � D'. Sia dato un
insieme A; per ogni i e i, e sia D un filtro su I. Esaminiamo il
prodotto diretto (cartesiano) di insiemi 1tA; (i E I). Esso consiste
di tutti i vettori (f(i) ) con componenti f(i) in A;. Chiamiamo
54 Capitolo primo

D-equivalenti due vettori f, g di questo tipo se { i l f(i) = g ( i) } e


e D. Riduciamo poi 1tAi modulo questa relazione per ottenere
A(D) = 1tAi J D. Quest'ultimo è detto un ultraprodotto se D è
un ultrafiltro che è anche libero (o non principale) nel senso che
l'intersezione di tutti i suoi membri è vuota. Il nucleo centrale
della teoria non standard è il seguente. Supponiamo di avere per
ciascun Ai una teoria matematica Ti, formulata in termini del
calcolo dei predicati (spesso chiamato, nella letteratura, calcolo
dei predicati del primo ordine, per indicare che in esso non vi
possono essere variabili, occorrenti in predicati e funzioni, che
variino su predicati) . Si ha allora a disposizione un metodo per
trasferire su 1tA1 j D la teoria-prodotto su 1tAi. Diciamo che A(D)
è elementarmente equivalente ad A(D') (dove D' è un filtro su I)
se ogni formula vera in A (D) è vera in A(D') e viceversa.
Come esempio particolare prendiamo Ai = A per tutti gli
i e i e D un ultrafiltro non principale. Allora A(D) = A1JD
è un'ultrapotenza. Una proprietà P di A è detta del primo ordine
se è anche una proprietà di A(D) . Con un'ulteriore specializza­
zione costruiremo ora un modello non standard dei numeri
reali R e mostreremo che la proprietà "ordine archimedeo"
su R non è trasferibile a un ultraprodotto di R. Così, pren­
diamo A = R, I = N, i numeri naturali, e D un qualsiasi ultra­
filtro su N che contenga tutti quegli insiemi di N che hanno un
complemento finito. Così D è un ultrafiltro non principale e R(D)
è ora un ultraprodotto. Due successioni di numeri reali (an) e (bn)
in RN sono equivalenti se e solo se { n l an = bn } E D. Esiste una
rappresentazione c:p: R�R (D) data da c:p(r) = (r, r, r, ... ) . Questa
rappresentazione è iniettiva (banale) ma non suriettiva perché,
ad esempio, la classe dell'elemento d = (0, l , 2, 3 , . . . ) non è
un'immagine rispetto a cp (dato che { i l r = i } � D per qualsiasi
r e R, abbiamo che cp(r) :;.!: classe di d) . Denotando la classe di un
elemento a di RN con a, osserviamo che per ogni r e R abbiamo
{ i l r < i } e D, il che equivale a dire che cp(r) < à, e ciò significa
che R (D) non è archimedeo. D'altra parte, si può facilmente
Teorie matematic1Je elementari 55

vedere che - à <fP(r), per tutti gli re R (si noti che - d = (O,
- 1 , - 1 , ... ) ) . Possiamo ora dimostrare che la proprietà "essere
archimedeo" (indicata con Arch) non è una proprietà del primo
ordine per la struttura dei campi.
[Dobbiamo dare un'ulteriore spiegazione di questo enunciato
prima di fornire lo schema della dimostrazione. Innanzitutto, la
struttura R(D) è un campo. Per verificarlo occorrono tutte le
proprietà definitorie di D come ultrafiltro non principale. Ad
esempio, la somma e la moltiplicazione di elementi in R(D) è
definita prendendo per componenti la somma e la moltiplicazione
in RN ; si controlla poi che la relazione mod D conservi queste
operazioni e che si possano verificare gli assiomi per un anello
commutativo. Rimane allora da dimostrare che una successione
(iin) è invertibile se non è equivalente alle O-successioni (O, O,
.. ) = (0) . La non-equivalenza di (iin) e (0) equivale a dire che
.

{ n l an = O } (jié D. Usando la massimalità di D si può ora facil­


mente dimostrare che la successione (bn) con b n = an·1 se an ;r!: O,
e bn = O se an = O è l'inverso di (iin) in R (D) . In secondo luogo,
per mostrare che Arch non è una proprietà del primo ordine
abbiamo bisogno di un altro lemma che qui non sarà riportato.
Esso dice che se A è un'ultrapotenza, allora per un qualsiasi in­
sieme I la potenza A1 è anch'essa un'ultrapotenza elementarmente
equivalente ad A.]
Supponiamo che nel calcolo dei predicati esista un enunciato
ARCH il quale esprime che la proprietà Arch è una proprietà del
primo ordine. Allora in qualsiasi modello A, che sia dotato di
ordine archimedeo, ARCH è vero e viceversa. In particolare, pren­
dendo A = R, otteniamo che ARCH è vero in R. R(D), però, è
un'ultrapotenza di R; quindi "ARCH è vero in R " equivale a dire
"ARCH è vero in R (D)", il che è una contraddizione perché R(D ),
come abbiamo visto, non è dotato d i ordine archimedeo. Allo
stesso modo si può dimostrare che non può essere dato un nu­
mero finito di assiomi che descriva campi di caratteristica zero.
Nella stessa prospettiva, la proprietà "ben ordinabile" della teoria
56 Capitolo primo

degli insiemi risulta non essere una proprietà del primo ordine.
Per ulteriori letture sulla matematica non standard si rimanda a
Luxemburg ( 1 97 3 ) , Robinson ( 1 966) , Hurd e Loeb ( 1 974) . Dalla
costruzione precedente, il lettore può ricavare che la matematica
non standard non è costruttiva; vale a dire, anche i numeri interi
non standard zNJD, D come specificato sopra, non possono essere
costruiti con una procedura che assomigli alla costruzione passo­
per-passo degli interi; questo perché non si conosce alcuna pro­
cedura che ci metta in grado di compattare passo-per-passo in
un insieme un ultrafiltro non principale D su N (vedi anche pa­
ragrafo l O) .
Capitolo 2
Rassegna storica degli aspetti epistemologici
della matematica

Coloro che parlano con l'aiuto dell'intuizione, biso­


gna che traggano forza da ciò in cui si concatenano
tutte le cose, proprio come la città trae vigore
dalla legge, e assai più fortemente.
Eraclito (fr. A 1 1 Colli = DK B 1 14)

Dopo esserci soffermati sui momenti strutturali (cioè seman­


tici e sintattici) di una teoria matematica, allargheremo ora la
nostra prospettiva mostrando come le teorie matematiche siano·
collegate a questioni filosofiche più generali, essenzialmente di
tipo epistemologico, ma a volte anche antologico. Questo am­
pliamento di prospettiva richiederà tuttavia qualche conoscenza
di questioni di natura filosofica. Sarebbe però prematuro entrare
immediatamente nel merito dell'attuale dibattito sulla filosofia
della matematica; inizieremo quindi col volgerei indietro nel
tempo per vedere come siano sorti i problemi attuali, riuscendo
in tal modo ad approfondire l'origine delle discussioni odierne e
nello stesso tempo a far venire alla ribalta i problemi filosofici ad
esse connessi. In questo modo il dibattito sulla filosofia della
matematica sarà inquadrato nel suo retroterra storico e le que­
stioni filosofiche ad esse collegate diverranno un poco più
familiari.

9. La filosofia della matematica nella storia


9. 1 . La matematica greca
Non si può parlare di una storia distinta e specifica per la
filosofia della matematica: fin da quando il pensatore e mistico
58 Capitolo secondo

greco Pitagora (circa 5 70-500 a. C.) individuò nel numero e nella


figura gli elementi necessari all'indagine speculativa sulla strut­
tura del mondo, le entità fondamentali della matematica e il me­
todo matematico hanno acquisito una posizione solida e irri­
nunciabile nella filosofia. Non tutti i filosofi, però, considerano
positivo questo fatto: alcuni di essi, come Platone, Leibniz,
Kant ecc., sono aperti alla matematica; altri, come Aristotele, gli
scolastici, Hegel, Heidegger ecc., denunciano come deviante la
sua decisiva influenza sulla filosofia. Prima di procedere a ricor­
dare altri nomi e movimenti storici, sarà bene soffermarci dap­
prima sui problemi filosofici su cui i matematici furono chiamati
a dare il loro contributo, problemi che a loro volta esercitarono
grande influenza su quel che si riteneva fosse in sostanza la
matematica.
Il più importante problema filosofico al quale si suppose che i
matematici potessero recare il loro contributo fu il problema
della costanza e del mutamento; problema non solo importante
ma anche tra i più antichi che i filosofi si siano posti. Entrambi
i poli del problema ebbero i loro difensori tra i primi pensatori
greci. Talete (circa 624-545 a. C.), per citare un sostenitore di
uno dei due estremi, concluse che ogni cosa è acqua, sottoli­
neando con ciò non tanto che l'acqua è un fluido e quindi può
scorrere e cambiare, ma che ogni cosa aveva tratto dall'acqua la
sua origine e la sua costituzione : in tutte le cose c'è una struttura
e il miglior modo per spiegarla sta, secondo Talete, nel conside­
rarla (modificazioni dell') acqua.
Il massimo sostenitore del cambiamento e del flusso fu Eraclito
(circa 540-480 a. C.) . "Tutto scorre" era la sua massima. Il mondo
era per lui un incessante fluire: nulla è, solo il cambiamento è
reale. L'essere aveva per Eraclito un carattere dinamico che non
poteva avere per Talete né, dopo di lui, per Parmenide né per
Zenone (al quale si .devono i paradossi che cercano di dimostrare
come il cambiamento in realtà non esista) . Ecco il fondamentale
risvolto epistemologico di questo dilemma: dove e come arrivare
a una conoscenza vera se il conoscibile è effimero ? Oltre alle
Rassegna storica 59

conseguenze per l'epistemologia (scienza della conoscenza) è qui


messo a nudo il cuore di ogni antologia (scienza dell'essere) .
Risulterà chiaro il posto che la matematica occupa in questa
problematica se prendiamo prima in considerazione uno sviluppo
successivo al dilemma enunciato. I primi pensatori greci avevano
trattato il mondo e gli esseri in sé stessi. Gli esseri erano com­
posti di quattro (più tardi cinque) elementi universali - terra,
acqua, aria e fuoco (poi fu aggiunto l'etere) - e tutte le modifi­
cazioni andavano interpretate in termini di questi elementi. Ma
in seguito sorse un nuovo movimento che non respinse le idee
dei predecessori e contemporanei, ma introdusse nelle loro di­
scussioni sull'essere una nuova "entità" , e precisamente le qualità:
il caldo e il freddo, il secco e l'umido ecc. Un essere, secondo
i pensatori di questo movimento, non era semplicemente un ag­
gregato di elementi cosmici in certe proporzioni, ma possedeva
anche qualità che servivano ad arricchirlo e ad aumentarne la
conoscibilità. Le qualità persistono mentre gli esseri scompaiono.
Nel dibattito costanza-cambiamento le qualità vennero assu­
mendo un'importanza molto maggiore degli elementi cosmici e
divennero i componenti strutturali delle cose.
Fu in questo clima intellettuale che la filosofia della matema­
tica trovò le sue origini. Tra i pensatori che privilegiavano la
qualità in opposizione al "nudo" essere sorse una disputa riguardo
alla seguente questione: per la conoscenza e la determinazione
delle cose è sufficiente vederle unitamente con l'infinita varietà
di qualità non specificate o si deve porre qualche limite e misura
a questa infinita varietà ? Il problema divise il movimento. Alcuni
(ad esempio Parmenide e Anassimene) ritenevano che le cose
potessero trovare una sufficiente spiegazione nella Joro qualità
non specificata, mentre altri (Pitagora e i suoi seguaci) pensa­
vano fosse necessario restringere le infinite qualità entro limiti.
Fu in ossequio a quest'ultimo modo di vedere che si introdussero
i numeri e le forme geometriche, in quanto determinazioni me­
triche di qualità indeterminate.
60 Capitolo secondo

Ora, per la prima volta, le entità matematiche venivano ad


avere un ruolo speculativo. Le qualità possono presentare diffe­
renti gradi di intensità e quindi essere determinate numerica­
mente. I colori poi hanno la proprietà aggiuntiva di delimitare
la frontiera o superficie delle cose. Si trovò che la qualità
"suono", in tutte le sue gradazioni, era armonica o disarmonica
a seconda della lunghezza e dello spessore di una corda sottoposta
a tensione costante: ecco come si giunse a una semplice e feconda
applicazione del numero in musica. In breve, le qualità studiate
dai filosofi in vista di una fondata conoscenza della natura delle
cose diventavano via via più numerose per questa "quantifica­
zione del predicato" . Ed è così che il pensiero speculativo iniziò
a introdurre c;: interpretare le entità matematiche, intese in senso
geometrico, nel campo della filosofia. Questa filosofia di carattere
matematico venne chiamata pitagorismo, in quanto introdotta da
Pitagora e dalla sua scuola.
Si noti che nella matematica greca fu la geometria a costituire
il ponte tra matematica e filosofia. Una spiegazione sta nel fatto
che il numero era subordinato alla forma: il numero veniva in
ausilio alla forma nella denotazione della lunghezza e nel calcolo
di lunghezze, aree e volumi. Le stesse relazioni numeriche erano
analizzate attraverso forme geometriche. Dice Heath ( 1 92 1 ) ,
un'autorità in fatto d i matematica greca: "Salvo rare eccezioni
( ... ) la teoria dei numeri era trattata solo unitamente con la geo­
metria; per questa ragione si usava solo la forma geometrica della
dimostrazione, indipendentemente dal fatto che le figure pren­
dessero la forma di punti individuanti quadrati, triangoli, gno­
moni ecc., o di linee rette" (vol. l , p. 1 6 ) . Inoltre, poiché la
filosofia richiedeva determinazioni metriche di qualità che, a loro
volta, servivano a determinare i corpi dotati di superficie, la ma­
tematica del tempo era del tutto adeguata alle esigenze. Un'altra
ragione di questa "geometrizzazione dell'aritmetica" sta nella
scoperta delle grandezze incommensurabili. Ma di questo parle­
remo più avanti.
Rassegna storica 61

Sulla nascita della filosofia della matematica va spesa qualche


al tra parola per poteme intendere meglio il significato e le con­
seguenze. Nessuno può minimizzare la fecondità della nuova
alleanza, fecondità che molteplici dati della storia stanno a testi­
moniare: il legame tra filosofia e matematica permise all'una e
all'altra di esercitare reciproci stimoli e influssi. Per fare un
esempio, l'Accademia di Platone divenne un punto d'incontro
per matematici e filosofi. Ma pur con tutto il dovuto riconosci­
mento per la fecondità di questa cooperazione, non si può tacere
anche un suo aspetto decisamente negativo. Mentre la matema­
tica prepitagorica si basava interamente sul calcolo pratico - con­
tare e misurare - e lì esauriva il suo significato, i pitagorici tra­
sformarono questo significato e questo metodo in qualcosa di
molto differente. La matematica si allontanò dal mondo della
pratica - ad esempio del commercio - e fu costretta ad asservirsi
al pensiero speculativo. Dato che le entità matematiche erano
interpretate come ultime e definitive determinazioni del mondo,
si veniva a stabilire una cosciente separazione tra matematica pura
e matematica applicata. Quest'ultima continuava ad essere "nel"
mondo, ma la matematica pura, a causa di questo definitivo status
ontologico delle sue entità, non poté rimanervi. Dell'accentua­
zione e dell'ulteriore sviluppo di tale posizione si parlerà pren­
dendo in considerazione Platone. La separazione tra matematica
pura e matematica applicata contribuì a turbare l'intrinseco svi­
luppo della matematica come interrelazione tra geometria e teoria
dei numeri.
Non si deve dimenticare il tipo di pensiero in cui la mate­
matica venne ad inquadrarsi. Ne risultò, prima di tutto, la già
ricordata preferenza per la geometria e le sue forme rispetto al­
l' aritmetica (e algebra) e relative operazioni numeriche. Si può
certamente dire che i greci hanno dato al mondo occidentale la
geometria, ma l'algebra e il sistema numerico dovevano venire
dal mondo indiano e arabo. F. ragionevole sostenere che i greci
respinsero coscientemente l'algebra, in quanto non " adeguata" al
tipo di filosofia cui avevano subordinato la matematica.
62 Capitolo secondo

In secondo luogo, va tenuto presente che fu il necessario carat­


tere metrico delle forme geometriche, e di conseguenza il ricono­
scimento della sola geometria metrica euclidea che frenò lo
sviluppo della matematica come scienza pura. Non è necessario
ricordare quanto ci volle per arrivare prima a una relativizza­
zione del ruolo della geometria euclidea - e delle geometrie non
euclidee nella metà del diciannovesimo secolo - e più tardi all'ab­
bandono della sua priorità (nella geometria proiettiva e in topo­
logia) . Ecco la conseguenza di questo fatto per la visione dello
spazio ereditata dal mondo moderno: diminuendo la presa della
geometria metrica sullo spazio, è possibile vedere più chiaramente
la differenza tra, da una parte, la geometria e il suo carattere co­
struttivo e, dall'altra, il continuo e il suo carattere non costrut­
tivo. Riprenderemo più avanti tale questione (nel paragrafo 1 2) .
Torniamo ai greci e alla loro filosofia della matematica. Dopo
il pitagorismo, si ebbe un importante sviluppo della filosofia della
matematica con Platone ( 4 2 8 l 7 - 3 48 l 7 a. C.) . Un brano della
Metafisica di Aristotele è illuminante per intendere il significato
di questo sviluppo, la sua connessione con le posizioni preceClenti
e una difficoltà ad esso inerente.
Egli (Platone) familiarizzatosi fin da giovine con Cratilo e con le dot­
trine eraclitee, secondo cui le cose sensibili tutte quante sono in continuo
fluire, onde di esse non può esserci scienza, mantenne questo modo di
vedere anche in seguito. Quanto a Socrate, questi trattò, non di que­
stioni riguardanti la natura in generale, bensì di cose morali, ma in­
tanto cercò in queste l'universale e per primo rivolse il suo pensiero
alla ricerca delle definizioni. Platone approvò il modo di ragionare di
lui e reputò, quindi, che il definire non riguardasse alcuna delle cose
sensibili, ma altre, poiché gli parve impossibile che il concetto espresso
dal termine comune appartenesse ad alcuna delle cose sensibili, le quali
sono in continua mutazione. E però quelle altre, diverse dalle sensibili,
appellò Idee, e pose le cose sensibili fuori di esse e tutte da esse deno­
minate, poiché non per altro che per partecipazione di esse è la molte­
plicità delle cose che han comune il nome con la specie. Quanto alla
partecipazione, egli mutò soltanto il nome: ché i Pitagorici dicono che
Rassegna storica 63

le cose sono per imitazione dei numeri, e Platone, con nome nuovo,
dice che sono per partecipazione; ma poi, che cosa mai fosse questa
partecipazione o imitazione, essi, egualmente, non curarono di doman­
darsi (Aristotele, La metafisica, libro 1, cap. VI 987b).

Risulta chiaro da questa citazione che Platone si preoccupava


della fondazione della conoscenza vera, fondazione che egli - e
tutti i pensatori presocratici - cercavano nella natura delle cose
(ontologia) . Ma qui Platone introduce l'elemento nuovo: quelle
entità intorno a cui abbiamo conoscenza vera non possono essere
"in" o "su" le cose del mondo sensibile, dato che queste ultime
sono in costante fluire. Né è sufficiente cercare la costanza nelle
caratteristiche metriche delle qualità, come facevano i pitagorici,
dato che con quel metodo possiamo solo raggiungere una cono­
scenza relativa delle relative relazioni metriche. Combinando ma­
tematica e studio dell'uomo (etica) , Platone arrivò a postulare
"l'esistenza dell'assoluta bellezza, bontà e grandezza" ( Fedro,
l OOb) , in un mondo accessibile solo all'intelletto che nel con­
tempo fungeva da fondazione per le cos e del mondo sensibile.
La "partecipazione" era la relazione intercorrente tra il mondo
sensibile e le entità statiche e assolute del mondo intellegibile. Il
Bene in sé, il Vero in sé e il Bello in sé - come più tardi furono
chiamate le Idee da Platone - costituivano la base per l'esistenza
dell'anima umana; i Numeri in sé e le Forme geometriche - come
furono più tardi chiamate le grandezze matematiche - costitui­
vano il fondamento per il mondo sensibile e anche per l'esistenza
corporea dell'uomo. Dato che per Platone le entità intellegibili
hanno un'esistenza reale, in un mondo distinto da quello sensi­
bile, la sua dottrina filosofica è stata definita "realismo" .
Vanno ricordati altri due fattori che c i permettono d i capire
meglio perché Platone assunse questa posizione. Prima di dive­
nire realista, egli aveva già accettato la dottrina dell'assoluto dua­
lismo tra corpo e anima. Il corpo era per lui la prigione dell'anima,
la fonte del male nel mondo; l'anima era pura, immortale, il prin­
cipio di ogni bene. Inoltre - e questo è il secondo punto - l'epi-
64 Capitolo secondo

stemologia di Platone non poteva non tener conto sia della sua
antropologia sia della sua lotta contro i sofisti del tempo. La co­
noscenza dell'uomo, sosteneva Platone, è fondamentalmente una
reminiscenza.
Da questi due fattori risulta che l'anima, essendo immortale,
deve essere esistita prima di essere imprigionata nel corpo. E
l'ignoranza dell'anima deriva proprio dall'essere imprigionata nel
corpo, principio del male. L'anima, che prima della nascita ha
posseduto una conoscenza vera e certa, deve ora riconquistarla a
fatica nel corso della vita: deve scacciare l'influenza del mondo,
del corpo e dei sensi, per poter ricordare qualcosa del suo stato
precedente. Ma dove era situato questo stato ? A questo Platone
non rispose nei primi dialoghi ( Gorgia, Menone ecc.), ma trovò
la risposta una volta divenuto realista: l'anima ricorda lo stato
precedente quando si trova nel regno dei puri intellegibili - le
Idee, i Numeri in sé e le Forme. Per il resto della vita Platone
rimase un realista, anche se la sua visione della struttura del­
l'uomo e del mondo sensibile doveva ancora attraversare molte
fasi (che qui peraltro non ci interessano direttamente) .
L a posizione di Platone è molto importante, d a u n punto di
vista storico, in quanto successivi pensatori, rivedendo di poco il
realismo di Platone, introdussero la dottrina della conoscenza a
priori. Questa dottrina ha esercitato una grande influenza sulle
concezioni moderne, anche per quanto riguarda la filosofia della
matematica. Ma su ciò diremo di più in seguito.
Prima di passare al più importante tra gli allievi di Platone,
Aristotele, dobbiamo ricordare un altro aspetto nella concezione
delle entità matematiche di Platone. Negli ultimi anni della sua
vita, in un discorso intitolato Del Bene, Platone cercò di attenuare
la netta separazione tra mondo sensibile, con oggetti e determina­
zioni sensibili (cosa questa che aveva in comune con il pitago­
rismo dell'epoca), e mondo intellegibile con Idee, Numeri in sé
e Forme. La separazione di questi due "mondi" comportava un
grosso problema: come possono esempi sensibili, poniamo, della
dualità e della circolarità partecipare tutti delle singole entità
Rassegna storica 65

ideali "due in sé" o "cerchio in sé" ? Le cose sensibili sono limi­


tate nel tempo, mutevoli e molteplici, mentre le entità intellegi­
bili sono eterne, immutabili e uniche : è evidente che i due tipi
di entità hanno proprietà distinte. Dalla testimonianza di Ari­
stotele sappiamo che Platone introdusse come intermedio un
terzo tipo di entità, che chiamò "oggetti matematici, i quali diffe­
riscono dai sensibili perché sono eterni e immobili, e dalle specie
perché ce ne sono molti di simili" (Metafisica, I, cap. VI, 987b8) .
F. da qui che trae ispirazione la definizione di numero data da
Frege e Russell, di cui parleremo in seguito.
Aristotele (3 84-3 22 a. C.) trovò inadeguata questa concezione e
rifiutò radicalmente la separazione tra mondo intellegibile e
mondo sensibile. Ciò di cui la matematica o la scienza in generale
si occupano deve in qualche modo risiedere "all'interno" delle
cose sensibili, anche se non nel modo in cui lo intendevano i pen­
satori precedenti a Platone. Di conseguenza, spinto anche dalle
sue ricerche nel campo della biologia, Aristotele considerò le cose
come sostanza, un'unità di due componenti, materia e forma. La
"materia", pura e in sé, era del tutto informe e inerte; la "forma"
aveva il carattere di un principio attivo ed era chiamata entelechia.
Questo concetto di "forma" era di tipo teleologico, perché, nelle
cose, l'entelechia era il principio che guidava la materia verso il
suo fine appropriato (in greco telos) o scopo. Ad esempio, il seme
di una quercia diviene esso stesso una quercia perché la materia
che compone il seme ha come forma un principio interno che
garantisce che il seme diventerà effettivamente una quercia; in
breve, esso ha la forma "quercia" . F. facile rendersi conto che la
"forma" aristotelica non coincide con la nozione pitagorico-plato­
nica di "figura" ma piuttosto con quella di scopo.
Su questa base teleologica, le entità matematiche risulteranno
evidentemente di difficile definizione. Dato che solo di ciò che è
nelle cose si può parlare e pensare, la matematica si deve allora
occupare di approssimazioni delle cose in quanto tratta delle cose
sensibili. Di conseguenza, questo aspetto della concezione aristo­
telica della matematica fu definito, nella storia successiva, come
66 Capitolo secondo

una concezione a posteriori o empiricistica, contraddistinta dalle


concezioni a priori di ispirazione platonica.
Con la messa in ombra da parte di Aristotele delle implicazioni
antologiche della matematica, venne automaticamente a ricevere
una maggiore accentuazione il risvolto epistemologico e logico­
formale di essa. Come fondatore della scienza della logica, Ari­
stotele prestò maggiore attenzione alla struttura della scienza in
generale e alla struttura di tutte le teorie scientifiche. Egli operò
una chiara distinzione tra:
(a) i princìpi comuni a tutte le scienze (assiomi o nozioni co­
muni) ;
(h) i princìpi speciali presi per assodati dai matematici nella
dimostrazione di teoremi (postulati) ;
(c) le definizioni, che non presuppongono l'esistenza di ciò che
è definito (definizioni) ; e
(d) le ipotesi esistenziali, che presuppongono l'esistenza di ciò
che è stato definito (unità - monade - e grandezza, punti e
linee: tutto il resto deve essere costruito !)
F. quindi nel pensiero greco che si trovano le prime formu­
lazioni delle questioni fondamentali che riguardano le teorie ma­
tematiche. Aristotele non costituisce l'unico esempio a questo
proposito: nell'Accademia di Platone erano già sorte discussioni
sull'argomento tra gli immediati successori di Platone. Si discu­
teva se la matematica si occupasse solo di teoremi, cioè di dedu­
zioni (o più letteralmente, investigazioni) - come riteneva Speu­
sippo - o se solo i problemi, cioè le costruzioni, fossero propri
della matematica - come riteneva Menecmo. Altri concedevano
spazio sia ai teoremi sia ai problemi, come Euclide in epoca di
poco successiva. In questo periodo vennero anche enunciati
esplicitamente i componenti necessari di una proposizione com­
pleta (un teorema o un problema) e della sua dimostrazione. Si
distinguevano non meno di sei parti: enunciazione in termini
generali, esposizione di dati particolari, definizione (o specifica­
zione) dei problemi generali in termini dei dati specifici, costru-
Rassegna storica 67

zione, dimostrazione e conclusione. Inoltre venne enunciato nei


particolari il metodo della dimostrazione. Una dimostrazione era
sempre sintetica, cioè procedeva dal noto al non noto, dal sem­
plice e particolare al più complesso e generale. Il processo oppo­
sto, cioè quello per cui si parte dal non noto, assumendolo come
vero, poi riducendolo a proposizioni più semplici e fermandosi
solo quando si giunga a una proposizione vera nota, veniva chia­
mato analisi. L'analisi vera e propria non aveva posto nella dimo­
strazione di un teorema, benché potesse svolgere un importante
ruolo nella scoperta delle dimostrazioni. L'analisi dava al massimo
un'indicazione sulla verità della proposizione, ma non era accet­
tabile finché non veniva fornita una corretta dimostrazione sin­
tetica. (Per maggiori particolari, si veda Heath, 1 92 1 , vol. l ,
p . 3 70, 66.)
Questa esclusione dell'analisi dal campo della matematica ebbe
conseguenze molto interessanti. A eccezione di un manoscritto di
Archimede (trovato solo nel 1 906) non si hanno chiare notizie
sul modo in cui i matematici greci conducessero in realtà l'ana­
lisi nella ricerca di dimostrazioni dei loro teoremi. L'analisi con­
tenuta in alcune dimostrazioni di Euclide ha solo il compito
secondario di determinare alcuni dei dati inclusi nel teorema.
Ogni analisi doveva essere ripercorsa all'indietro col metodo della
sintesi. La discussione condotta da Archimede sul metodo d'ana­
lisi da lui usato si trova in una lettera indirizzata a Eratostene,
dove egli afferma tra l'altro che tale metodo fornisce solo indica­
zioni sulla possibilità che un teorema sia vero: l'effettiva dimo­
strazione deve poi essere data per via sintetica. La peculiarità di
questo metodo sta nel fatto che esso utilizza la meccanica. Il
non noto è posto "in equilibrio" con un fattore noto, quindi
"riducendo" il non noto al noto. Il trucco stava nell'utilizzare
elementi infinitesimali nel compiere la riduzione, in modo che
nella sintesi che seguiva si potesse usare il metodo di esaustione,
precursore del calcolo integrale. Dato che la primitiva "differen­
ziazione" qui utilizzata era un metodo analitico, essa non subì
ulteriori sviluppi fino alla ripresa fattane da Newton e Leibniz.
68 Capitolo secondo

Per inciso, il ben noto metodo della reductio ad absurdum era


per il matematico greco un tipo di analisi, così che anch'esso
non poteva entrare in una valida dimostrazione sintetica (Heath,
1 92 1 , vol. l , p. 5 7 2 ) .
I l predominio del metodo sintetico aveva a che fare con il
timore che i greci provavano per l'infinito. Questo sgomento era
loro venuto con la scoperta fatta dai pitagorici della grandezza
irrazionale V2. Il loro lavoro sui numeri li aveva convinti che
tra duè numeri interi qualsiasi c'era sempre un'unità comune e
che quindi essi erano commensurabili. Quando si scoprì che la
relazione tra grandezze non era sempre commensurabile, cioè che
pur continuando a suddividere non si trova mai una grandezza
comune, si dovette rinunciare a lavorare sulle linee nello spazio
attraverso le loro lunghezze (numeri) . L'unico modo per control­
lare le grandezze era trattarle come segmenti da utilizzare per
ulteriori costruzioni. Ogni tentativo di "aritmetizzazione" della
geometria venne radicalmente eliminato, provocando ripercus­
sioni sul metodo della dimostrazione. Sappiamo che i primi teo­
remi venivano dimostrati per analisi, ma con la scoperta di gran­
dezze incommensurabili questo metodo divenne inadeguato: in­
fatti era ora possibile che l'analisi non fosse in grado di ridurre il
non noto, assunto come vero, a qualcosa di noto, in quanto po­
teva capitare che l'analisi dovesse essere portata avanti ad infi­
nitum. Il metodo sintetico, dominando il non noto a partire dal
noto, divenne l'unico metodo affidabile in geometria. Quando si
presentavano nozioni come "l'infinitamente grande e l'infinita­
mente piccolo" , venivano di solito sostituite da: "maggiore o
minore di qualsiasi grandezza assegnata" (come si legge a
p. CXLII dell'edizione delle "Opere" di Archimede curata da
Heath, 1 897) .
Detto ciò, torniamo un'ultima volta ad Aristotele e vediamo il
contributo da lui dato alla questione dell'infinito. Nel terzo libro
della Fisica, egli compie una distinzione tra infinito come pro­
cesso, cioè accrescimento o suddivisione senza fine, e infinito
come totalità completata, cioè come infinità attuale. Abbiamo qui
Rassegna storica 69

una chiara distinzione tra infinità potenziale e infinità attuale.


Dato che questo punto è diventato forse il punto centrale della
disputa tra i matematici del ventesimo secolo, citiamo l'argo­
mentazione seguita da Aristotele per accogliere il primo tipo di
infinità e respingere il secondo.
Comunque, questo nostro discorso non intende sopprimere per nulla
le ricerche dei matematici per il fatto che esso esclude che l'infinito
per accrescimento sia tale da non poter essere percorso in atto. In realtà,
essi stessi, allo stato presente, non sentono il bisogno dell'infinito (e in
realtà non se ne servono), ma soltanto di una quantità grande quanto
essi vogliono, ma pur sempre finita ( ... ) Sicché, ai fini delle loro dimo­
strazioni, a loro non importerà affatto la presenza dell'infinito nelle
grandezze reali (Fisica, m, cap. 7, 207b 27).

Ci siamo soffermati abbastanza a lungo sul periodo greco della


storia della filosofia della matematica perché molti degli attuali
problemi della filosofia della matematica hanno avuto origine in
quel periodo o sono stati sfiorati dai greci. Le questioni che
concernono lo status dell'infinità, l'importanza fondamentale
dell'analisi per la matematica, il ruolo della costruzione e della
sintesi, la natura delle teorie matematiche, il significato della ma­
tematica per la filosofia e per la certezza della scienza e della co­
noscenza ecc., sono tutti temi che ricorrono nei secoli successivi.

9.2. Dalla filosofia ellenistica al razionalismo moderno


La filosofia ellenica (della Grecia classica ) è stata eccezional­
mente feconda per la matematica e per la riflessione sulla mate­
matica, mentre lo sviluppo dei secoli successivi è molto più lento.
Buona parte di questo periodo, il cosiddetto Medioevo, non di­
mostra quasi nessun interesse, a parte la naturale evoluzione,
per tutta la matematica. Non si perde nulla se, ricordate le scuole
filosofiche del periodo ellenistico (cioè postellenico) - natural­
mente solo per ciò che concerne l'argomento che stiamo affron­
tando - saltiamo immediatamente al periodo moderno del pen­
siero occidentale.
70 Capitolo secondo

Il più importante sviluppo avvenuto nella filosofia post­


ellenica, con notevoli conseguenze per la filosofia della matema­
tica, è la comparsa del tema della conoscenza a priori. Alla fine
del periodo greco classico, un'ondata di scetticismo e perfino di
agnosticismo percorse le scuole filosofiche. Si cominciò dapprima
a mettere in dubbio la conoscibilità delle entità che Platone aveva
posto nel suo mondo intellegibile; poi si arrivò a negarne addi­
rittura l'esistenza. Ciò ebb e drastiche conseguenze pratiche: ve­
nivano accantonate sia le Idee che Platone aveva assunto come
entità stabili (il Bene ecc.) necessarie a guidare la condotta umana,
sia i limiti metrici (numeri in sé e forme geometriche) che aveva
ritenuto necessari alla fondazione degli oggetti cui la scienza
(matematica) fa riferimento in ultima istanza. La società non
aveva valori e la scienza non aveva basi ! In quest'epoca di crisi
prese corpo una concezione secondo la quale le Idee e le entità
matematiche devono avere natura concettuale e quindi devono
risiedere non fuori della mente umana - come avevano sempre
sostenuto i pensatori greci - ma all'interno di essa, come parte
integrante della sua struttura innata. La fondamentale conoscenza
delle Idee ecc. venne così considerata non come originata dal­
l'esperienza - in quanto come tale avrebbe potuto essere messa
in dubbio o perfino negata - ma come costituente essa stessa del­
l'indubitabile esperienza.
f. ovvio che tale trasformazione non avvenne da un giorno
all'altro, ma ai nostri fini non ha particolare importanza una
ricostruzione accurata della sua storia. Ciò che ci preme sottoli­
neare è il fatto che il tema dell'a priori ha fortemente influenzato
il pensiero moderno, da Galileo ai giorni nostri. Prima però di
passare a questo periodo, ricorderemo brevemente il ruolo svolto
dalla scuola pitagorica nella trasformazione a cui abbiamo fatto
cenno.
Anche la scuola pitagorica, da chiamarsi ora neopitagorica,
seguì l'esempio di costruire numeri e forme metriche a priori.
Per giungere a una conoscenza esplicita, consapevole di queste
entità, non erano necessarie istruzioni, informazioni dal mondo
Rassegna storica 71

esterno. Bastava volgere lo sguardo dentro di sé per avere una


compiuta conoscenza matematica. Nel senso letterale della parola,
si arrivava alla conoscenza matematica attraverso una in-tuizione,
attraverso un atto di autoriflessione, di autoinsegnamento.
Questo fatto rese possibile unire al lavoro positivo, scientifico,
un misticismo religioso. Mentre per i primi pitagorici i numeri e
le forme costituivano un mondo, ora venivano ad assumere una
funzione più spirituale: si creava lo spazio per un misticismo del
numero e per la fantasia numerica. Questa scuola esercitò un tale
richiamo da riuscire a far sentire la sua influenza per secoli. Il
Rinascimento è pieno di elementi delle sue teorie - si vedano ad
esempio i cabalisti - e lo stesso Keplero non ne fu immune. Ad
ogni modo, i pensatori moderni (razionalisti) considerarono parte
del proprio compito sbarazzare la matematica dagli elementi mi­
stici per conservarne il contenuto scientifico. A tale scopo com­
binarono matematica e fisica, riportando alla ribalta l'astronomia
matematica in opposizione all'astrologia, e svilupparono una teo­
ria del moto matematico. Il neopitagorismo, con il rifiuto delle
tendenze cabalistiche e alchimistiche pur germogliate sotto la sua
tutela, fu così privato della sua forza mistica e spirituale.

9.3 . Gli inizi della filosofia moderna


:e il razionalismo quel che dà alla filosofia moderna la sua
forza. Si tratta della dottrina che propugna la nozione di ragione,
intendendo per ragione la comprensione legata e inerente a una
conoscenza a priori. In tutti i casi la conoscenza a priori include,
in qualche misura, le nozioni matematiche di numero e figura
spaziale. Lo spirito di questo modo di condurre la ricerca filoso­
fica e la relazione tra filosofia e matematica che esso implica è
colto con precisione da E. W. Beth: "La risposta ai problemi dei
fondamenti della matematica presuppone e include la risposta
alle principali domande poste dalla filosofia. Solo chi ha com­
preso l'essenza della struttura del pensiero matematico coglie l'es­
senza della mente pensante" (Beth, 1 969, pp. 91 sg.) .
72 Capitolo secondo

Vedremo ora la formulazione data a questo e altri punti sa­


lienti della filosofia della matematica da alcuni singoli pensatori.
Cartesio (1596-1650}
Cartesio fu tra i primi a elaborare una filosofia e una cosmo­
logia strutturate secondo un modo di pensare di tipo matematico.
Egli concepì l'essenza delle cose nella loro estensione, e le loro
modificazioni - figura, movimento, momento - come funzioni
dell'estensione. Le qualità delle cose (colore, temperatura, du­
rezza ecc.) , che erano sempre state considerate inerenti alle cose
stesse, venivano ora concepite, sulla scorta di Galileo che per
primo aveva proposto questo cambiamento, come invenzioni sog­
gettive. Parallelamente, veniva formulata la dottrina delle qualità
primarie e secondarie, secondo la quale le proprit.tà matematiche
delle cose vanno considerate primarie ed essenziali per la strut­
tura delle cose stesse, mentre le qualità sensibili sono secondarie
e nominali. Per Cartesio tutte le cose - tranne l'anima e Dio -
erano caratterizzate dalla proprietà matematica "estensione" .
Dato che l'estensione era considerata come primaria e fonda­
mentale, indipendente da ogni altra proprietà, Cartesio la con­
cepì come una sostanza. La sua fisica e la sua cosmologia furono
elaborate interamente sulla base della geometria.
Dio e l'anima (mente ) formavano un'altra sostanza, distinta
dalla sostanza estensione. La loro essenza stava nel pensare, ter­
mine con il quale Cartesio intendeva il dubitare, il capire, l'af­
fermare, il negare, il volere, l'immaginare, il percepire, l'amare
e odiare (si vedano delle sue Meditazioni, la seconda e la terza) .
Pensando che la maggior parte di queste facoltà della mente
inducano a una conoscenza confusa, e volendo arrivare a circo­
scrivere una conoscenza chiara e distinta, Cartesio porta una divi­
sione nella mente, introducendo l'intuizione, a proposito della
quale dice:
Per intuito intendo non la incostante attestazione dei sensi o l'inganne­
vole giudizio dell'immaginazione malamente combinatrice, bensì un con­
cetto della mente pura ed attenta tanto ovvio e distinto, che intorno a
Rassegna storica 13

ciò che pensiamo non rimanga assolutamente alcun dubbio; ossia, il che
è il medesimo, un concetto non dubbio della mente pura ed attenta, il
quale nasce dalla sola luce della ragione, ed è più certo della stessa dedu­
zione (Regola terza, p. 23 ) .

F. questa intuizione, in quanto frutto di una mente pura e


attenta, scaturente solo dalla luce della ragione, che Cartesio vo­
leva sviluppare e distinguere dalle altre fonti di (non così chiara)
conoscenza. La teoria risultante doveva essere una mathesis uni­
versalis (dove qui mathesis sta per conoscenza teorica in gene­
rale) . Le sue più importanti componenti dovevano essere l'aritme­
tica, la geometria, la musica, l'astronomia e la fisica. Il Discorso
sul metodo fu la realizzazione più coerente di questo piano.
In quest'opera Cartesio conduceva una lunga difesa dell'esi­
stenza del sé (mente) e della sicura e indubitabile conoscenza
che ne abbiamo, anche quando siamo fortemente spinti a dubi­
tarne. Il dubbio metodico era usato da Cartesio per giungere a
una conoscenza di cui non si potesse dubitare. Il dubbio spariva
solo quando con esso si arrivava all' "indubitabile concezione di
una mente pura e attenta" . Da quest' unico punto di partenza,
questo sicuro "punto archimedeo" (si veda la Meditazione se­
conda) , dove solo la sicura luce della ragione splende, la cono­
scenza umana poteva trarre avvio. In appendice al Discorso, come
esemplificazioni di questa impostazione, Cartesio pubblicò il suo
lavoro sulla geometria (analitica) , l'ottica e la meteorologia.
Al punto di partenza del pensiero costituito dall'intuizione,
Cartesio aggiunse un'altra modalità per raggiungere la cono­
scenza: la deduzione. La deduzione non è sullo stesso piano del­
l'intuizione, in quanto essa ha sempre bisogno dell'intuizione
mentre non vale il viceversa. La deduzione è quel procedimento
per cui "molte cose vengono conosciute con certezza, anche se
in sé non evidenti, semplicemente perché dedotte da princìpi
veri e noti dai continui e ininterrotti movimenti di una mente
che chiaramente intuisce ciascun passo" (Regola terza, p. 24
passim) .
74 Capitolo secondo

L'intero metodo di Cartesio era chiaramente modellato sulle


scienze matematiche: aritmetica e geometria. :R qui che Cartesio
trovò concetti chiari e distinti, perché i concetti di queste scienze,
ovvero "i primi semi della verità", erano "sparsi dalla natura nella
mente umana" . Abbiamo con ciò una chiara riaffermazione di
quella tradizione a priori che Cartesio vuole continuare.
La scoperta della geometria analitica è strettamente connessa
al monismo metodico di Cartesio. Partendo da un punto intuiti­
vamente chiaro ed estendendolo in modo da includere tutte le
scienze, Cartesio fu in grado di mettere in rilievo la correla­
zione esistente tra algebra e geometria. Unendo il meglio dei
due campi di studio, non solo i difetti venivano a correggersi
reciprocamente, ma nasceva anche la geometria analitica come
sc1enza.
:R chiaro che tra i due metodi matematici alternativi, analisi e
sintesi, Cartesio scelse il primo. Il metodo sintetico o assioma­
tico, data la sua natura di metodo deduttivo, poteva solo aiutare
a costruire e ampliare la conoscenza intuita. Ne risulta che nella
geometria di Cartesio non si cita o si dimostra nessun teorema.
Egli lavora solo su problemi e costruzioni che, assunti per veri
e analizzati nelle loro parti e relazioni chiare e distinte, non
avevano bisogno di alcun elaborato metodo sintetico per con­
fermare la loro verità, come avveniva nella geometria greca.
L'intuizionismo e il razionalismo a orientamento platonico fe­
cero sì che Cartesio vedesse nella matematica una scienza a priori
e preferisse il metodo analitico a quello assiomatico.

N ewton (I 642-1727)
Isaac Newton verrà brevemente ricordato per poter capire
meglio sia Leibniz, che assunse posizioni antitetiche a quelle di
Newton, sia Kant, che cercò di superare questa antitesi con un
metodo di ragionamento trascendentale.
Benché non si possa dire che Newton abbia una filosofia della
matematica in senso stretto, le sue idee su spazio e tempo sono
di notevole importanza. Non solo egli ci offre una visione alter-
Rassegna storica 75

nativa riguardo a questi concetti per la fondazione della mecca­


nica (al contrario di Leibniz di cui parleremo in seguito) , ma tocca
anche il carattere dell'analisi sviluppandola in correlazione con i
problemi fisici. Poiché l'Analisi matematica, che ha a che fare
con l'infinito, attraverso il meraviglioso sviluppo del calcolo dif­
ferenziale e integrale aveva trovato diretta applicazione in fisica,
veniva direttamente chiamato in causa lo status dell'infinito.
Certo, era scomparsa la "paura" che i greci provavano per l'infi­
nito, ma continuava a mancare la chiarezza concettuale. Come
vedremo, Newton mette in relazione le sue nozioni di spazio e
tempo con l'esistenza di Dio; Leibniz si rivolge alla logica simbo­
lica per cogliere, non foss'altro che simbolicamente, ciò che solo
Dio può realmente giungere a conoscere. Ma queste sono anti­
cipazioni.
L'opera di Newton si discosta notevolmente da quella di Car­
tesio. Mentre quest'ultimo faceva partire la scienza da concetti
a priori, conoscibili attraverso un'autoriflessione intuitiva, New­
ton procede sul piano empirico. Egli compie una fondamentale
distinzione tra i fenomeni e le "cose stesse", vedendo in queste
ultime la causa dei primi. I fenomeni devono essere descritti,
mentre le cose stesse offrono spiegazioni per i fenomeni. L'intera
scienza (equivalente a una filosofia naturale) si deve occupare dei
fenomeni. In questo dominio noi percepiamo qualità come la
durezza, l'estensione, l'impenetrabilità, la mobilità e l'inerzia, e
per induzione concludiamo che queste qualità si applicano a tutti
i corpi. Newton spiega di aver trovato in questo modo le sue
leggi del moto: esse erano state inferite dai fenomeni e gene­
ralizzate per induzione. Esse non sono altro che descrizioni di
ciò che si osserva e non intendono spiegare niente (si veda anche
Bunge, 1 962).
Per spiegare le cose si devono formulare ipotesi sulla natura
delle cose stesse e ciò era chiaramente contrario al metodo scien­
tifico proposto da Newton: Hypotheses non fingo era la sua
massima. Ma anche Newton cercò di formulare ipotesi che ren­
dessero conto dei fenomeni. Queste "speculazioni" , però, erano
16 Capitolo secondo

da lui nettamente distinte dal suo lavoro inteso come filosofia


naturale e non si deve quindi vedere in ciò una contraddizione.
Le "speculazioni" portarono Newton a ben precise concezioni
sulla natura di Dio e a varie teorie alchimistiche.
La concezione newtoniana che considera lo spazio e il tempo
come assoluti vieta di vedere Newton come un coerente empi­
rista. Lo spazio e il tempo assoluti, da una parte, devono essere
distinti dallo spazio e il tempo relativi, percepibili dai corpi, e
dall'altra sono nozioni necessarie per la fisica. Gli assoluti non
sono né empirici - altrimenti sarebbero relativi - né ipotetici
- altrimenti non apparterrebbero alla scienza. La soluzione new­
toniana stava nel metterli in correlazione con l'essere divino, così
che lo spazio diveniva il sensorium Dei. In effetti ne deriva che
lo spazio e il tempo sono strutture a priori, necessarie per giun­
gere a qualsiasi teoria empirica o ipotetica sulla struttura delle
cose.
Leibniz (1 646-1 11 6)
Nel pensiero che caratterizza la maturità di Leibniz troviamo
un sistema saldamente integrato in cui le idee metafisiche, logi­
che, fisiche, biologiche e matematiche svolgono tutte un ruolo
vitale. Bisogna esaminare in breve ciascuno di questi punti se si
vuole arrivare a comprendere il pensiero di Leibniz e indivi­
duare il retroterra della sua filosofia della matematica.
Leibniz rifiutò l'atomismo, anche se in gioventù ne era stato
un difensore. F. incomprensibile, egli dice, come si possa parlare
delle cose se, come gli atomi, esse si distinguono solo per il nu­
mero (due cose, tre cose ecc.) e per il resto sono del tutto iden­
tiche: ciò è assolutamente contrario alla ragione. Ci deve essere
una ragione sufficiente per fare una distinzione tra le cose. Dire
che ci sono due foglie e considerarle poi peraltro identiche, si­
gnifica in realtà non distinguerle affatto.
Intervengono qui due princìpi ontologici: il principium iden­
titatis indiscernibilium (il principio dell'identità degli indiscerni­
bili, per il quale le cose sono identiche se non si possono discer·
Rassegna storica 77

nere differenze) e il suo corollario, il principium rationis sufji­


cientis (il principio di ragion sufficiente, per il quale ci deve
essere una ragione sufficiente perché le cose siano come sono,
distinte da altre che sono anch'esse come sono) . Ne segue che
ogni cosa distinta da un'altra deve avere con quest'ultima una
differenza intrinseca.
Leibniz operò una generalizzazione di tutto ciò a un principio
generale di individualità. Ogni cosa, incluse quelle non viventi,
deve avere un principio interno distinto che la rende differente
dalle altre. Tutte le cose organiche hanno un principio vitale
che nelle piante è chiamato entelechia, negli animali anima
(psiche) e nell'uomo anima razionale o mente. Questi princìpi
degli esseri organici fan sì che essi siano dei soggetti e abbiano
percezioni. Ciò che distingue ogni essere è il grado di chiarezza
delle sue percezioni. Per percezione non si intende un sentire
qualcosa dall'esterno, ma una guida interna che si manifesta at­
traverso il grado di attività del soggetto. Così le piante percepi­
scono in modo molto indistinto e mostrano un'attività minima
(sforzo, lotta) . Gli animali possiedono una soggettività più svi­
luppata in quanto hanno una memoria e di conseguenza manife­
stano un'attività molto maggiore. In più, l'uomo possiede nella
sua anima (animale) idee che la rendono anima razionale o
mente: egli è dunque capace di conoscere le verità eterne e di
entrare in relazione (sociale) con Dio. Tutti questi princìpi della
soggettività sono eterni e indistruttibili.
Le cose fisiche non possiedono questa caratteristica, anche se
le si può vedere come specie degeneri dei princìpi vitali. L'atti­
vità delle cose fisiche non si distingue per una immutabile lotta
interna ma per mutue interazioni energetiche. La quantità di
energia cinetica, come ha scoperto Leibniz, rimane costante in
ogni interazione, e in ciò egli vide un'analogia con l'indistrutti­
bilità dei princìpi vitali. Leibniz chiamò forme questi aggregati
di energia cinetica costante, che non sono viventi, anche se mo­
strano un'analogia con la vita. Leibniz nega recisamente che una
pietra, ad esempio, abbia un'anima o sia in qualche modo vivente.
78 Capitolo secondo

La metafisica di Leibniz, proseguendo su questa stessa diret­


trice, afferma che ogni principio vitale (o anima) è un'attività
intrinseca che genera le proprie percezioni; ha un carattere so­
stanziale ed è chiuso a ogni influenza esterna: Leibniz lo chiamò
monade. Tutto, nell'universo, è fatto di monadi e per poter ve­
dere l'universo di monadi nella sua coerenza, in quanto cosmo,
Leibniz postulò un'armonia prestabilita che collega tutte le mo­
nadi tra loro. A tal fine, Leibniz dice che le percezioni di ogni
monade sono, in realtà, una rappresentazione, immagine o pro­
spettiva dell'universo totale considerato dal punto di vista della
monade stessa. Così il cambiamento interno in ogni monade si
trova immediatamente in armonia, o correlazione, con lo stato
dell'universo. Ogni cosa è un singolo individuo perché la sua
monade (dominante) riflette, dal suo punto di vista, l'universo,
mentre allo stesso tempo - e questo costituisce l'armonia del
tutto - le riflessioni dell'universo in ogni monade sono le perce­
zioni che la monade stessa produce (più o meno chiaramente) .
Questo universo armonioso di monadi non è altro, in definitiva,
che le percezioni o folgorazioni di una monade suprema. E que­
sta monade è Dio.
I corpi, o oggetti, all'opposto delle monadi, o soggetti, non
sono altro che composti di monadi; non hanno un vero carattere
individuale e sono di conseguenza considerati fenomenici; hanno
un'estensione a causa della molteplicità delle monadi che essi
contengono. Le monadi sono in sé prive di estensione. Ogni
corpo è un'infinità attuale di monadi (punti-monadi) . Anche
l'estensione, il movimento, la posizione, il tempo ecc., che sono
modi d'essere dei corpi, non hanno un carattere essenziale; la
loro funzione è unicamente quella di ordinare le monadi. Il tempo
è definito come "l'ordinamento di ciò che non esiste simultanea­
mente", e lo spazio come "l'ordinamento di ciò che coesiste" ,
ovvero d i ciò che esiste simultaneamente. Questa concezione
relativa dello spazio e del tempo portò Leibniz a una totale op­
posizione alle nozioni assolute di spazio e tempo formulate da
Newton. Grande è anche il distacco da Cartesio, dalla sua qua-
Rassegna storica 79

lificazione dei corpi attraverso l'estensione e dalla conseguente


sostanzializzazione di quest'ultima. Mentre Cartesio considerava
le qualità sensoriali come secondarie, nell'accezione peggiorativa
del termine, e le qualità matematiche come primarie, Leibniz
afferma che anche queste ultime sono secondarie e sono prodotti
della mente; con ciò non intendeva minimizzarle ma porre sem­
plicemente l'accento là dove, secondo lui, doveva andare. Anche
per Leibniz il punto focale è la mente, ma in quanto la mente
è la sede di un ordinamento (razionale) che costituisce l'espe­
rienza nella sua interezza, quindi anche nei suoi aspetti mate­
matici.
:e questa la ragione per cui viene data minor enfasi all'an­
tologia delle entità matematiche e maggior rilievo al loro aspetto
epistemologico. Fermiamoci su questo punto.
Fedele alla sua concezione della mente come monade, vista
cioè come un soggetto che suscita le sue stesse percezioni (in
questo caso concetti e nozioni) , Leibniz è convinto che ogni
proposizione logica segua lo schema soggetto-predicato, dove il
predicato è sempre contenuto nel soggetto. Ogni proposizione è
quindi una proposizione analitica e la sua verità è completamente
determinata secondo il principio di contraddizione o identità,
cioè (A non è non-A) o (A è A ) . Si noti bene: questo è un prin­
cipio logico e va distinto dal principio ontologico di indiscerni­
bilità, anche se vi è un ovvio parallelo tra i due.
Queste "verità di ragione" (come Leibniz chiamava le propo­
sizioni che cadono sotto il principio di contraddizione) sono
necessarie in quanto il loro opposto è impossibile. La matematica
è interamente compresa in questo regno a priori della ragione. Le
definizioni possono essere scomposte, per analisi, nelle loro idee
più semplici e, in mancanza di ulteriore definizione, devono es­
sere date a priori. I teoremi e i problemi della matematica sono
ridotti, per analisi, a definizioni, assiomi primitivi e postulati, i
quali assiomi e postulati non hanno bisogno di dimostrazione
perché sono proposizioni identiche.
80 Capitolo secondo

Ci sono poi anche "verità di fatto". Anche queste sono pro­


posizioni in forma analitica, ma i loro predicati richiederebbero
un'analisi infinita per derivarle dal soggetto. Si tratta, quindi, di
verità non necessarie, bensì contingenti e i cui opposti sono pos­
sibili. Esse sono governate dal principio di ragion sufficiente, in
virtù del quale nessun fatto può essere reale o esistente (nel senso
antologico del principio) e nessun enunciato vero (nel senso lo­
gico del principio), se non ha una ragione sufficiente per essere
così e non altrimenti. Come si è affermato, l'analisi non può mai
scoprire quale possa essere questo principio in ogni caso con­
creto, in quanto avrebbe a che fare con monadi realmente esi­
stenti aventi un'infinita varietà di percezioni, e con corpi che sono
infinità attuali di monadi e quindi infinitamente divisibili. Per
usare le parole dello stesso Leibniz, un'analisi del genere è simile
a quei rapporti irrazionali in cui "la riduzione comporta un pro­
cesso infinito eppure si approssima a una misura comune tanto
da ottenere una successione definita ma senza fine, allo stesso
modo quelle verità contingenti richiedono un'analisi infinita che
solo Dio può compiere" . Solo Dio può stabilire quale sia la
ragion sufficiente perché solo lui possiede percezioni così chiare
da avere, con un semplice atto di intuizione, una completa e
corretta conoscenza esistenziale dell'intero universo e quindi
di ogni sua parte. Così verità di ragione e verità di fatto esi­
stono veramente; Leibniz non è nominalista ! Ma per la sua
natura finita, l'uomo riesce solo a raggiungere una conoscenza
simbolica di queste verità. Soltanto nel caso dei numeri l'uomo
dispone di una specie di intuizione che allo stesso tempo gli
fornisce un'adeguata conoscenza della verità. In ogni altro caso,
invece, l'uomo deve ricorrere a modi inadeguati di pervenire
a quella conoscenza, come avviene ad esempio nell'algebra. Siamo
così giunti ad analizzare il contributo dato da Leibniz alla lo­
gica simbolica.
Leibniz concorda con Cartesio sul fatto che la conoscenza può
essere chiara e distinta oppure oscura e confusa, ma se ne allon­
tana quando afferma che, al di là di questo criterio, ci si deve
Rassegna storica 81

chiedere come sia stato possibile quel che ci si è sforzati di cono­


scere. Questa era una questione posta, ad esempio, dalla mate­
matica. Leibniz aveva trovato che il concetto di numero massimo
era autocontraddittorio e quindi impossibile. Anche in altri
campi, come in fisica e teologia, egli aveva trovato concetti im­
possibili che, stando ai criteri di chiarezza e distinzione, sembra­
vano veri. A tale scopo, Leibniz cercò di impostare un calcolo o
metodo di combinazione di simboli che fosse in grado di giusti­
ficare ogni verità, cioè di mostrare come ciascuna verità fosse
possibile.
La sua impostazione passava attraverso rappresentazioni con­
crete che, espresse adeguatamente in simboli, costituiscono il "filo
d'Arianna" per giungere alla mente. Nel suo programma veniva
in primo luogo l'individuazione di un metodo per formare e di­
sporre caratteri e segni in modo che rappresentassero pensieri, in
modo cioè che fossero correlati tra loro come i corrispondenti
pensieri. Una volta in possesso di questa characteristica univer­
salis, bisognava trovare un metodo di ragionamento o calcolo
simbolico, il calculus ratiocinator. Si trattava di un calcolo che
doveva includere ogni forma valida di ragionamento, con lo stesso
grado di certezza ed esattezza di un calcolo algebrico. Ci doveva
poi essere un'ars combinatoria, un modo per definire nuovi sim­
boli a partire da quelli precedenti.
Il contributo di Leibniz alla logica simbolica sta nel fatto che
egli fu il primo a formulare ciò che era necessario per un sistema
logico completo. Il suo era un programma, e molto più in là
della sua formulazione Leibniz non andò.
Il significato della sua logica simbolica, comunque, deve essere
visto in rapporto alla natura finita dell'uomo. Teoricamente tutte
le verità hanno esistenza reale, anche se solo Dio può conoscerle
pienamente in virtù della sua pura percezione (intuizione) . :t
facile rendersi conto che, con la diminuita popolarità della spe­
culazione teologica, questo lato realistico del pensiero di Leibniz
venne sottoposto a diverse reinterpretazioni mentre veniva in
82 Capitolo secondo

primo piano il lato logicista nelle sue componenti simbolico-for­


mali. Spettò a Bertrand Russell, che seguì Leibniz lungo questo
filone, portare avanti il programma logicista.

Kant (1724-1804)
Fu Kant a cercare di superare le differenze esistenti tra la
concezione di Newton e quella di Leibniz a proposito delle
scienze naturali (e quindi della matematica), proponendo un
terzo modo di considerarne i concetti fondamentali. Kant cercò
anche di gettare un ponte tra una concezione che vedeva la
ragione far perno esclusivamente sulle scienze naturali e sulla
matematica - che egli chiamava ragion pura - e una conce­
zione che vedeva la ragione impegnata nella vita pratica - la
ragion pratica. A tal fine egli introdusse una problematica "tra­
scendentale", cioè studiò le condizioni necessarie ( a priori) che
rendono possibili entrambi i tipi di ragione. La concezione
kantiana della ragione divenne una teoria critica, in quanto
doveva fornire una critica tanto della ragion pura quanto di
quella pratica. Dato che Kant vedeva nella matematica (e nella
fisica matematica) il prototipo di una critica generale della cono­
scenza umana (metafisica), ciò che maggiormente ci interessa è
proprio il suo modo di concepire la natura dei concetti e dei
giudizi (proposizioni) matematici. Ovviamente noi ci occupe­
remo solo della soluzione del problema matematico, non di quello
metafisica.
Il metodo kantiano parte da una distinzione dei giudizi a priori
in tipi. Da Leibniz tutti i giudizi a priori erano considerati ana­
litici, cioè rispondenti alla legge di contraddizione. Gli empiristi
si rifacevano a un altro tipo di giudizio, quello sintetico, in cui
l'esperienza insegna che la mente mette in relazione due concetti
semplicemente perché essi compaiono sempre insieme: non c'era
alcuna necessità in questa correlazione. Kant sostenne ora anche
l'esistenza di giudizi sintetici necessari, cioè giudizi a priori che
erano sì capaci di "dire qualcosa", nel senso di essere non riduci-
Rassegna storica 83

bili a un'identità (e di non cadere quindi sotto la legge di con­


traddizione) , ma che nondimeno connettevano concetti in modo
necessario. Per chiarire questo problema, Kant si volse alla mate­
matica, a un campo cioè in cui egli riconosceva l'esistenza di
tali giudizi.
La matematica, secondo Kant, si basa su giudizi sintetici a
priori. Egli non intendeva negare la validità della legge di con­
traddizione in matematica, ma riteneva che essa si applicasse solo
in quanto si traevano conclusioni e deduzioni dagli assiomi ini­
ziali. I giudizi come "il tutto è uguale alla somma delle sue parti"
erano considerati analitici a priori. Gli assiomi iniziali, invece,
erano ritenuti di natura sintetica. Ecco, di seguito, la giustifica­
zione che Kant ne dava.
Si prenda il giudizio "5 + 7 = 1 2 " . Esso è sintetico perché,
se si considera la somma del concetto " 5 " e del concetto " 7 " ,
non è evidente quale numero coincida esattamente con questa
somma. Uno dei due numeri deve essere intuitivamente rappre­
sentato con punti, dita, o quel che si vuole, e poi queste unità
intuitive si devono aggiungere al concetto dell'altro numero; in
questo modo, si calcola qual è il numero uguale alla somma
degli altri due numeri. Analogamente, l'intuizione è necessaria in
geometria per vedere la necessaria connessione tra i concetti
"linea retta" e "linea più breve tra due punti". Infatti il concetto
"linea retta" è puramente qualitativo, secondo Kant, mentre il
secondo concetto è quantitativo e deve quindi essere rappresen­
tato in un'intuizione perché si possa vedere il carattere necessario
del giudizio "la linea retta è la linea più breve tra due punti".
L'intuizione svolge qui un ruolo essenziale perché "la questione
non è di vedere che cosa dobbiamo aggiungere col pensiero al
concetto dato, ma che cosa realmente noi già pensiamo, sia pure
confusamente, in esso; e allora si vedrà che il predicato inerisce
a quel concetto necessariamente, bensì, ma per mezzo d'un'in­
tuizione sopravveniente, non immediatamente" (Kant, 1 7 8 3 ,
p. 3 5).
84 Capitolo secondo

Ecco come Kant intende la matematica pura:


Il carattere essenziale che distingue la conoscenza matematica pura da
ogni altra conoscenza a priori è che essa deve del tutto procedere non
da concetti ma sempre e soltanto con · la costruzione dei concetti. Do­
vendo essa adunque, nelle sue proposizioni, passare oltre il concetto a
ciò che contiene l'intuizione che gli corrisponde, non possono e non
devono mai queste proposizioni sorgere da una scomposizione di con­
cetti, cioè analiticamente, e perciò sono sempre sintetiche (Kant, 1 7 8 3 ,
p. 2 1 ) .

Una volta spiegato il carattere della conoscenza matematica,


Kant procede ponendosi la domanda trascendentale: Quali sono
le condizioni necessarie che rendono possibile la conoscenza ma­
tematica (cioè i giudizi sintetici a priori) ? Kant cerca la risposta
nell'analisi della nozione di intuizione, una nozione cui si fa ri­
corso nei fondamenti della matematica.
Prima di tutto, l'intuizione deve essere pura, cioè a priori.
Un'intuizione non pura o empirica è contingente perché con­
tiene sensazioni provenienti dal mondo esterno. L'intuizione pura,
in cui si possono trovare o costruire tutti i concetti matematici,
è la "chiave per arrivare alla prima e più alta condizione della
sua possibilità".
L'intuizione pura, essendo a priori, deve essere preordinata a
ogni reale intuizione di un oggetto. Ma cos'è che viene intuito
in questa intuizione pura? "In un solo modo è quindi possibile
che la mia intuizione anteceda la realtà dell'oggetto ed abbia
luogo come conoscenza a priori: quando non contiene altro che
la forma della sensibilità, la quale nel mio soggetto antecede tutte
le reali impressioni che io ricevo dagli oggetti" (Kant, 1 7 8 3 ,
p. 64) . Per Kant, l a forma della sensibilità per impressioni esterne
è lo spazio, e quella per le impressioni interne è il tempo.
Così, le intuizioni poste dalla matematica pura a fondamento
di tutte le sue cognizioni e giudizi sono lo spazio e il tempo. La
geometria si basa sull'intuizione pura dello spazio. L'aritmetica
arriva al concetto di numero attraverso successive addizioni di
Rassegna storica 85

unità di tempo. Questi sono i fattori puri e apodittici che ren­


dono possibile la matematica.
Dato che ai tempi di Kant non si conoscevano altre geometrie
oltre a quella euclidea, è naturale che Kant identificasse la forma
spaziale della sensibilità con la geometria di Euclide. Si pensa
comunemente che con la comparsa della geometria non euclidea,
l'intera nozione kantiana di geometria come sistema di giudizi
sintetici a priori venga ad essere contraddetta. Ciò non è corretto.
Intanto il carattere euclideo della geometria non ha nulla a che
fare con le argomentazioni di Kant a sostegno del suo modo di
concepire la sola geometria con lo spazio come forma della sensi­
bilità a priori; inoltre, pensatori successivi non ebbero grandi
difficoltà a reinterpretare le idee di Kant per geometrie diverse.
Bertrand Russell, nella sua tesi di laurea, reinterpretò Kant in
relazione alla geometria proiettiva, così come più tardi fece Poin­
caré in relazione alla topologia (Poincaré, 1 9 1 3 ) .
Per finire vogliamo dire qualcosa sullo status dell'infinito nel
pensiero di Kant. Si può dire che Kant fu uno dei primi a "debel­
lare" il pericolo derivante dal modo spregiudicato in cui i pen­
satori del diciassettesimo e diciottesimo secolo avevano affrontato
le nozioni di infinità (attuale) e infinitesimo (attuale) . (In pre­
cedenza, Berkeley aveva semplicemente ridicolizzato tali no­
zioni.) A questo risultato Kant arrivò attraverso l'analisi dello
status dell'infinito nei problemi antologici (cosmologici) . Anche
a questo proposito Kant si differenziò sia da Newton sia da
Leibniz, per i quali l'infinito aveva un significato costitutivo. Il
sostrato del mondo, per Newton, era dato da strutture assolute
di spazio (infinito) e tempo (infinito) . In Leibniz, ogni monade
aveva un'infinità attuale di percezioni e ogni corpo era un'infinità
attuale di monadi. Kant scoprì la presenza di antinomie in questo
senso costitutivo di infinito (si veda la sua prima e seconda anti­
nomia della ragion pura), che si riducevano alla seguente: quando
il mondo, o qualsiasi cosa in esso contenuta, è considerato finito,
la mente è capace di pensarne un'estensione; quando il mondo, o
qualsiasi cosa in esso contenuta, è considerato attualmente infi-
86 Capitolo secondo

nito, la mente non può pensarlo affatto. In entrambi i casi, la


mente è incoerente con il mondo: il finito è troppo piccolo per la
ragione e l'infinito (attuale) è troppo grande (vedi Kant, 1 7 8 1 ,
A 4 8 5 sgg.) .
L a soluzione proposta d a Kant consisteva nel considerare l'in­
finito non in senso costitutivo, ma in senso regolativo. Così
spiega Kant ( 1 78 1 , A 509) :
( ... ) [è] pertanto un principio della ragione che, in quanto regola, po­
stula il nostro comportamento nel regresso, ma non anticipa ciò che è
dato in sé nell'oggetto, anteriormente a ogni regresso. Lo chiamo per­
tanto principio regolativo della ragione, mentre il principio della totalità
assoluta della serie delle condizioni, in quanto data in sé nell'oggetto
( ... ) varrebbe come principio cosmologico costitutivo.

Con questo spostamento di significato, la nozione di infinito


passa dall'antologia all'epistemologia. Come vedremo, non tutte
le scuole matematiche del ventesimo secolo lo accetteranno.

1 0. Transizione al secolo attuale

Nell'opera di Kant veniva introdotto il tipo di speculazione


filosofica chiamato idealismo trascendentale. :E: l'idealismo che
dominò il mondo accademico fino alla morte di Hegel ( 1 8 3 1 )
e che era il risultato finale di una concezione della ragione come
portatrice di concetti e giudizi (matematici) statici a priori. La
nascita delle scienze sperimentali - biologia, psicologia, termodi­
namica - insieme con lo sviluppo della tecnologia portò nel
mondo filosofico una nuova concezione della natura della ragione.
Nacque il positivismo. Si impose la concezione secondo cui la
ragione contiene, a priori, i metodi con cui raggiungere la cono­
scenza scientifica. Ciò diede ai matematici una specie di "libertà"
consistente nel non dover più necessariamente considerare a
priori i concetti numerici e spaziali. Si impose quindi, anche in
virtù del lavoro sperimentale compiuto, una concezione empiri­
stica della matematica. Soprattutto la geometria si sviluppò come
Rassegna storica 87

scienza empirica, sotto la spinta, tra gli altri, di Gauss, Riemann,


Pasch, Helmholtz ecc. Con Helmholtz, ad esempio, assistiamo al
tentativo di fondare la geometria sulla meccanica ! Assunsero
importanza le tecniche di misurazione, che, in un certo modo,
toccarono l'apice in geometria con Riemann che ebbe l'idea di
introdurre una metrica dipendente dalla massa; tale concezione
portò Einstein a considerare il campo gravitazionale un campo
metrico, chiaramente dipendente dalla massa in qualsiasi punto
dello spazio.
F. ben nota la rapida espansione della matematica e della
logica che ebbe luogo nel corso del diciannovesimo secolo. Nel
campo della geometria metrica la comparsa delle geometrie di
Lobacevskij e di Riemann rimossero dal loro piedistallo gli as­
siomi di Euclide. Anche la geometria proiettiva venne considerata
a pieno diritto una geometria non metrica indipendente. In alge­
bra, inoltre, si arrivò alla scoperta delle strutture dei gruppi e
degli anelli. La struttura di gruppo, attraverso la teoria degli
invarianti, contribuì ampiamente alla sistemazione delle varie
geometrie. Anche la logica venne vista maggiormente dal lato
matematico. Nello spirito del leibniziano calculus ratiocinator,
Boole, De Morgan e Schroder svilupparono un'algebra della lo­
gica (una forma di logica delle classi) . In questa proliferazione
di idee, venne ad assumere importanza la questione della rela­
zione tra matematica e logica.
Nel tentativo di superare i problemi posti da questa relazione,
per la prima volta ci si trova di fronte direttamente all'intera­
zione tra le precedenti filosofie della matematica e i problemi
dei fondamenti. Prima di allora, i matematici avevano lavorato
senza avere coscientemente come obiettivo una filosofia della ma­
tematica. (In linea generale, i presupposti dei matematici erano
di natura realistica; ma molti matematici non erano sempre sicuri
di che cosa ciò significasse.) Erano stati i filosofi, sempre in linea
generale, a formulare una filosofia della matematica. Ma nel
momento in cui i matematici si volgevano verso una ricerca sui
fondamenti del loro lavoro, non si poteva più ignorare il punto
88 Capitolo secondo

di vista filosofico del ricercatore. Nessuna sorpresa, dunque, se


le posizioni filosofiche assunte erano, grosso modo, o leibni­
ziano-logicistico-realistiche o cartesiano-kantiano-intuizionistico­
costruttivistiche (idealistiche) .
Frege e Peano, con il loro lavoro nel campo della logica
simbolica, sostennero la tesi secondo cui la matematica non è
che un capitolo nel libro della logica. Frege si occupò dell'arit­
metica e Peano cercò di inserire in un simbolismo logico l'in­
tero corpo della matematica. Ma fu solo con la pubblicazione dei
Principia mathematica, dovuti all'opera congiunta di Russell e
di Whitehead, che la tesi logicistica si sviluppò nella sua inte­
rezza mostrando tutta la sua potenza - e debolezza !
Un altro tentativo di unificazione prese il via con il metodo
costruttivo. Secondo la teoria dei numeri di Kronecker, tutti i
tipi di numero, razionali, reali, complessi ecc., derivavano dai nu­
meri naturali, i quali, a loro volta, erano riconosciuti a priori e
per intuizione. Il nocciolo di questo tentativo è racchiuso nella
frase: "Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera del­
l'uomo." Borel, Lebesgue, e specialmente Poincaré, proseguirono
su questa via e divennero noti come intuizionisti. Con Brouwer,
il programma intuizionistico si radicalizzò in un più stretto co­
struttivismo (finito). La sua concezione, insieme con quella dei
suoi seguaci, è detta neointuizionismo.
Va ricordato a questo punto Cantor ( 1 845- 1 9 1 8) . Partendo
dalle ricerche sull'Analisi, in particolar modo sull'Analisi di Fou­
rier, Cantor giunse alla seguente definizione generale di insieme:
"Per 'insieme' intendiamo ogni riunione in un tutto M di oggetti
determinati e distinti (che sono detti gli elementi di M) della
nostra intuizione o del nostro pensiero (Cantor, Beitriige zur
Begrundung, paragrafo 1 ) .
L'importanza storica d i Cantor risiede soprattutto nel fatto
che è in conseguenza della sua teoria degli insiemi che vennero
scoperti i famosi paradossi dell' "insieme di tutti i numeri cardi­
nali", !' "insieme di tutti i numeri ordinali" ecc. (Da qui discese
anche il paradosso logico di Russell sull'insieme di tutti gli in-
Rassegna storica 89

siemi normali.) Mai come allora, matematici e logici si trovarono


a fronteggiare gravi problemi. Di pari, se non maggiore, impor­
tanza è l'aspetto sistematico dell'opera di Cantor. Mentre le varie
concezioni dell'infinito erano state il pomo della discordia per i
filosofi - si ricordi la differenza tra Kant e Leibniz su questo
punto - e le antinomie della ragione erano state di tipo filosofico,
ora sorsero nella stessa matematica e nella logica problemi più
o meno identici. Fu proprio la ben nota nozione di insieme a
causare questa trasformazione. La teoria degli insiemi si pose a
definitivo e più general e fondamento dell'Analisi e della nozione
di infinità. La problematica relativa allo stattis dell'infinito era
ora quella, mutatis mutandis, dello status della nozione di insieme.
Dopo questa carrellata sui problemi nel loro complesso, pren­
diamo ora in considerazione in modo particolareggiato le posi­
zioni dei portavoce più autorevoli delle varie correnti sui fonda­
menti.

1 1 . Indirizzi principali nella filosofia della matematica del


ventesimo secolo

1 1 . 1 . Logicismo
Le tesi logicistiche sono state così riassunte da Carnap ( 1 964,
p. 3 1 ) :
( l ) i concetti della matematica possono essere derivati da con­
cetti logici attraverso definizioni esplicite;
(2) i teoremi della matematica possono essere derivati da assiomi
logici attraverso deduzioni puramente logiche.
Ci rendiamo immediatamente conto delle differenze dall'em­
pirismo e dall'intuizionismo. L'empirismo considera le entità ma­
tematiche dipendenti da un sistema di leggi fisiche o psichiche e
ritiene che queste scienze siano nel loro complesso a posteriori.
L'intuizionismo sostiene che i concetti matematici sono costruiti
e che la scienza, nel suo complesso, è sintetica. Nel logicismo, i
90 Capitolo secondo

concetti matematici ricevono una definizione esplicita e i teoremi


sono analitici; dato che la logica è a priori, tale è anche necessa­
riamente la matematica, in quanto da essa derivata.
Per dare impulso a questo programma, bisognava rendere la
logica più potente di quanto non lo fosse quella aristotelica.
La sintassi (la characteristica universalis di Leibniz), il calcolo
del ragionamento (calculus ratiocinator) e le definizioni (ars com­
binatoria) dovevano ricevere maggiore estensione. Il "calculus ra­
tiocinator" fu il primo ad essere sviluppato, nella forma delle
algebre logiche di Boole, De Morgan e Schroder. La logica delle
relazioni venne sviluppata da De Morgan e Peirce e, in seguito,
ancor più da Russell e Whitehead. La logica proposizionale, la
vera pietra miliare della logica del logicismo, fu elaborata da
Peirce, Frege e Russell.
Russell e Whitehead, nei loro Principia mathematica, porta­
rono il programma quanto mai vicino al suo completamento.
L'unica branca fondamentale della matematica ancora non inse­
rita nella visione logicista era la geometria. A questo proposito
Russell, in occasione della morte di Whitehead avvenuta nel 1 94 7
rivela: "Whitehead avrebbe dovuto scrivere un quarto volume
(dei Principia mathematica) sulla geometria, che sarebbe stato
interamente opera sua. Buona parte del lavoro è stata compiuta
e spero che esista ancora. Ma i suoi interessi filosofici lo porta­
rono verso un altro lavoro più importante: egli propose di trat­
tare uno spazio come campo di una singola relazione triadica,
tetradica o pentadica; a questa idea era giunto, secondo le sue
parole, leggendo Veblen" (citato da Wilder, 1 965, p. 242 ) .
Jlrege (1848-192J)
Frege stabilisce una fondamentale distinzione tra il Sinn e là
Bedeutung dei simboli completi, per usare i suoi termini. Il Sinn
si riferisce al modo in cui un oggetto (Gegenstand) è espresso o
al modo in cui ad esso si fa riferimento, mentre la Bedeutung di
un simbolo completo è il Gegenstand effettivo. Così " 2 + 2 " e
"4" hanno la stessa Bedeutung ma sono distinti in quanto a Sinn.
Rassegna storica 91

Anche ogni enunciato è un simbolo completo. Il suo Sinn è iden­


tico al pensiero che esso contiene; la sua Bedeutung è il suo
valore di verità. Il segno che Frege usa per l'asserzione, " 1- " , è
costruito sulla base di queste distinzioni:
"a" : il Sinn di un enunciato, simbolizzato con "a", indipen­
dente dal suo valore di verità.
" -a" : la Bedeutung di un enunciato. Può solo significare
"vero" o "falso".
" 1-- a" : l'enunciato quando è vero. Significa che "a" viene asse­
rito. Esprime un riconoscimento di verità.

Frege simbolizzò anche l e operazioni logiche: negazione, im­


plicazione, disgiunzione e congiunzione. Introdusse poi la sua
fondazione logica del concetto di numero, fondazione di cui da­
remo qui di seguito una descrizione approssimativa.
Il punto di partenza è il semplice fatto che la cardinalità di
due insiemi può essere espressa in modo relativo senza usare il
concetto di numero. Ora un insieme, per Frege, è l'estensione di
un concetto, denotata con F o G. Noi parleremo semplicemente
dei concetti F e G, intendendo l'estensione di questi concetti.
F e G sono equipotenti se esiste una corrispondenza biunivoca
R tra gli oggetti che cadono sotto F e quelli che cadono sotto G.
Il concetto "cardinalità di F" ha lo stesso significato di "equipo­
tente a F". Una n minuscola denoterà la cardinalità di un con­
cetto se e solo se esiste un concetto F tale per cui il concetto n
ha lo stesso significato di "equipotente a F".
Questo per dire ciò che la cardinalità è, ma la cardinalità esi­
ste ? Per dimostrarlo, consideriamo il concetto "non identico a
sé stesso" . Questo significa che un concetto non ha estensione;
denotiamo la sua cardinalità con O.
Definiamo ora "identico a O" . L'estensione di questo concetto
comprende solo O e la sua cardinalità è l .
Definiamo ora "identico a O o l " . L'estensione di questo con­
cetto comprende O e l e la sua cardinalità è 2 .
92 Capitolo secondo

:t facile rendersi conto che in questo modo tutti i numeri


naturali possono essere ricavati da concetti logici. Qualsiasi nu­
mero naturale può essere definito, ma questo non ci dà il concetto
generale "numero naturale" .
Per definire i l concetto "numero naturale" , s i procede come
segue: Sia "F" un concetto e "a" un oggetto che non cade sotto
F. Definiamo F' come "tutto ciò che cade sotto F o è identico
ad a". Se n è la cardinalità di F, allora n ' è la cardinalità di F'.
Definiamo ora una funzione h da cardinalità a cardinalità: se da
F si può definire F' per mezzo di un oggetto a che non cade sotto
F, allora dalla cardinalità n di F ricaviamo la cardinalità n ' di F',
vale a dire h (n) = n' ; se non esiste alcun oggetto "a", allora
h (n) = n. Finché esistono oggetti che non cadono sotto i con­
cetti in questione si può costruire una catena di h a partire da O.
Il concetto "numero naturale" coincide, per Frege, col concetto
"appartenente alla catena h di O" . Da questa definizione si può
derivare la consueta descrizione dei numeri naturali (assiomi di
Peano) : non c'è quindi bisogno di procedere oltre.
La battaglia che Frege condusse contro lo psicologismo (in­
cluso l'empirismo) dei suoi tempi lo spinse a dare un'interpre­
tazione non psicologica della sua nozione di asserzione, e quindi
dell'uso che egli faceva della nozione di concetto o insieme. In­
trodusse pertanto un realismo platonico nel suo logicismo al fine
di garantire che i concetti non erano costruzioni o finzioni della
mente, bensì entità non arbitrarie. Ma dato che i concetti sono
entità "non fisiche" , non si poteva attribuire loro esistenza
effettiva.
La soluzione di Frege è espressa nella frase: "Io riconosco un
dominio dell'obiettivo non reale." (Qui si può vedere l'influenza
di Lotze; vedi Beth, 1 965, p. 3 5 3 .)
La novità introdotta da Frege per l'interpretazione del con­
cetto di numero sta nel fatto che un numero è una proprietà dei
concetti oggettivi, non reali. Si capisce immediatamente come
questa concezione contrasti con l'empirismo o l'intuizionismo : in
essa il numero è considerato un attributo di cose reali, mentre
Rassegna storica 93

l'empirismo e l'intuizionismo considerano il numero soggettivo,


in quanto costruzione della mente. (Quest'ultima posizione la
chiameremo anche idealismo.)

Russell (1872-1970)
Ci è impossibile prendere in considerazione il pensiero di Rus­
sell in tutti i suoi sviluppi. Ricorderemo solo la svolta che im­
presse al programma logicistico nel tentativo di superare le anti­
nomie logiche inerenti all'impostazione di Frege e scoperte dallo
stesso Russell.
Il carattere problematico del paradosso trovato da Russell,
e di cui daremo una breve formulazione, può essere direttamente
attribuito al realismo di Frege, alla sua convinzione che esistano
entità in un regno accessibile solo al pensiero. Questa convinzione
lo portò a sostanzializzare e a considerare entità tutto ciò che la
mente pensava. Un insieme, in quanto entità astratta, godeva an­
ch'essa di una sua propria esistenza. Se ne poteva parlare senza
fare riferimento a nient'altro: era un "simbolo completo" . Che ciò
sollevi difficoltà lo si capisce chiaramente esaminando il "para­
dosso di Russell" . Tutti gli insiemi che non contengono sé stessi
come elementi sono detti normali mentre tutti gli insiemi che
contengono sé stessi come elementi sono detti non normali. !.
ovvio che ogni insieme o è normale o è non normale. Conside­
riamo ora l'insieme di tutti gli insiemi normali. Questo insieme
è normale o non normale ? Se è normale, allora non può contenere
sé stesso come elemento. Ma ciò lo rende un possibile elemento
dell'insieme di tutti gli insiemi normali; quindi contiene sé stesso
come elemento ed è non normale. Con ragionamento analogo,
se l'insieme di tutti gli insiemi normali è non normale, deve
essere normale. In entrambi i casi risulta una contraddizione. Il
punto stava, come capì Russell, nel passare troppo facilmente
dal riferirsi a un insieme al sostanzializzarlo, cioè a renderlo atto
a servire da elemento per un altro insieme. Ovvero, riferendosi
alla definizione cantoriana di insieme, risultava non essere del
tutto chiaro in che senso la "riunione di oggetti determinati e
94 Capitolo secondo

distinti" fosse effettivamente un tutto, una nuova entità, una


nuova verità.
La soluzione definitiva proposta da Russell per uscire da que­
sto imbarazzante stato di cose faceva ricorso alla formulazione
del minimo necessario di restrizioni per evitare i paradossi. Rus­
sell non era disposto a rinunciare al realismo. Il rimedio per la
logica matematica da lui presentato nei Principia mathematica fu
la teoria dei tipi, che è innanzitutto una disposizione gerarchica
degli insiemi. Gli insiemi sono ordinati in tipi. Il tipo O, il primo,
contiene solo individui. Il tipo l contiene proprietà di questi in­
dividui, quindi anche insiemi i cui elementi sono di tipo O. Il tipo
2 contiene proprietà delle proprietà del tipo l , ovvero insiemi i
cui elementi sono insiemi del tipo l . E la cosa può andare avanti
a piacere. Questa teoria eliminava la possibilità di formulazioni
che consentissero a un insieme di appartenere a sé stesso come
elemento. Ora, infatti, l'insieme e i suoi elementi appartengono a
tipi differenti impedendo quindi che un insieme possa essere ele­
mento di sé stesso. Gli insiemi appartenenti a un tipo k possono
diventare elementi di un altro insieme solo se quest'ultimo appar­
tiene al tipo k+ l .
Una conseguenza di questa teoria è che anche l a nozione di
insieme è un simbolo incompleto: infatti ci vuole qualcosa di
esterno all'insieme stesso per stabilire se l'insieme in questione
denota un'entità dotata di significato, cioè vera o falsa. Per Rus­
sell, un insieme - o classe, come viene abitualmente chiamato -
è definito contestualmente, mentre secondo Frege ogni insieme
è un'entità, completa in sé stessa. Per questo motivo, Russell
definì la sua teoria una "teoria senza classi". Solo per proposi­
zioni complete si può parlare significativamente di verità o fal­
sità. Russell non negava, in questa fase del suo pensiero, che
esistesse una verità matematica; negava soltanto la sua significa­
tività in riferimento a nozioni incomplete.
Con questa proliferazione di tipi, era necessario legittimare
una qualche forma di riduzione. Ad esempio, dalla teoria con­
segue che ogni tipo richiederebbe un suo peculiare sistema nu-
Rassegna storica 95

merico. Cose che sembravano identiche non lo erano più se fini­


vano in tipi differenti. L"'assioma di riducibilità" introdotto da
Russell era, come egli dice nei Principia mathematica, una ver­
sione della leibniziana identità degli indiscemibili. Se l'estensione
di due nozioni appartenenti a tipi differenti è la stessa, allora
deve essere consentito considerare le nozioni "formalmente equi­
valenti", e questo è reso possibile dall"'assioma di riducibilità". La
sua concordanza col principio di Leibniz sta nel fatto che due
cose risultano indiscernibili se hanno esattamente gli stessi pre­
dicati.
Tarski ha così formulato l'assioma: Sia U(xk) una formula
della classe Xk nel tipo k. Si assuma che U non contenga variabili
che variano nel tipo k + l . Allora l'assioma dice: esiste un Xk+1
tale che, per tutti gli Xk(U(xk) ++ Xk+1(Xk) ) , dove XkH(Xk) si­
gnifica che al livello (k + l ) si può determinare che cosa siano
gli U al livello k.
Questo principio, pur costituendo un punto su cui discorda­
vano altri logicisti, aveva un posto importante nella filosofia di
Russell. Era un'applicazione del "rasoio di Occam" (non molti­
plicare gli enti più del necessario), che Russell formulò nel se­
guente modo: " Ogniqualvolta è possibile, si sostituiscano a infe­
renze, che portano a entità ignote, costruzioni fatte di cose
note." Ciò dava, tra l'altro, una differente interpretazione della
definizione logicistica di numero. Mentre Frege considerava un
numero come un attributo di un concetto, deducendo cioè da
concetti equipollenti il fatto che l'entità n deve esistere (Angelelli,
1 970), Russell stabilì un'equivalenza tra il numero n e la classe
di tutte le classi che hanno quella cardinalità. Un altro esempio
di questo principio lo si vede nella definizione di numero reale.
Mentre Cantor definiva un numero reale come il limite di una
successione convergente di numeri razionali - quindi inferendo
l'esistenza di un'entità ignota da entità note - Dedekind identi­
ficava un numero reale, utilizzando la nozione di sezione, con
l'insieme inferiore di razionali formato dalla sezione. Inutile dire
che Russell scelse la seconda definizione.
96 Capitolo secondo

La piena realizzazione della tesi logicistica secondo cui la ma­


tematica è derivata dalla logica richiedeva, oltre agli assiomi della
logica, un assioma dell'infinito, l'assioma di scelta e il sopra ricor­
dato assioma di riducibilità. Questi ultimi assiomi sono di portata
esistenziale, al contrario degli assiomi logici che possono fare
asserzioni solo su ciò che è possibile. F. sorta l'obiezione: fino a
che punto si può ancora sostenere che la matematica è derivata
dalla logica ? Gli assiomi esistenziali, infatti, sono in realtà assiomi
matematici; o comunque vennero introdotti per rendere possi­
bile l'ulteriore derivazione della matematica. Le successive ricer­
che su queste questioni interne al logicismo, quali quelle condotte
da Carnap e Quine, hanno portato a differenti sviluppi del pro­
gramma. Ma in nessun caso si è riusciti ad arrivare a un comple­
tamento del programma logicistico, come formulato da Leibniz,
Frege e Russell, che fosse anche libero da difficoltà interne o da
tratti innaturali.
La posizione logicistico-realistica ebbe ulteriori sviluppi filo­
sofici. Un esempio si ha con Whitehead. Dalla logica delle re­
lazioni sviluppata nei Principia mathematica, egli giunse a una
concezione della realtà in cui le relazioni svolgevano un ruolo
fondamentale. Non ci addentreremo però nell'analisi di questa
linea di pensiero, in quanto si tratta di influenza della logica
matematica sulla filosofia e non viceversa.
Un altro sviluppo, che concerne maggiormente l'aspetto epi­
stemologico della scuola logicistica, si ebbe con Wittgenstein, il
quale convinse Russell che la logica matematica è una grande
tautologia. Ciò significava che "verità" e "significato" non ave­
vano alcun ruolo nella matematica. I logicisti furono così indotti
a considerare maggiormente il loro lavoro sotto il profilo lingui­
stico. In un certo senso il passaggio operato da Wittgenstein è
analogo all'approccio di Russell alla nozione di classe come no­
zione nominale, in contrapposizione alla nozione realistica che
ne aveva dato Frege. Questo spostamento dalla logica al lin­
guaggio, da un minor realismo a un maggior nominalismo, è ciò
Rassegna storica 97

che caratterizza il movimento "neopositivistico" , il quale ha con­


seguentemente indagato su nuovi aspetti semantici e sintattici
delle teorie nella loro relazione con la vita.

1 1 . 2 Intuizionismo
L'intuizionismo si colloca in posizione diametralmente oppo­
sta, o quasi, al logicismo. Usiamo qui il termine "intuizionismo"
per indicare ogni concezione per la quale né il logicismo né il
formalismo riescono a cogliere il carattere essenziale del pen­
siero matematico spontaneo. Gli intuizionisti, nell'accezione am­
pia sopraddetta, attribuiscono quindi minor valore e importanza
al ruolo svolto nella matematica dalla logica formale. Questo non
significa necessariamente che essi respingano l'assiomatizzazione
e la formalizzazione delle discipline matematiche. Il portavoce
più autorevole dei primi sviluppi di questo movimento nella filo­
sofia della matematica fu Poincaré. Inizieremo quindi col pren­
dere in considerazione la sua posizione, prima di esaminare gli
ulteriori sviluppi del movimento operati dal matematico olandese
Brouwer e da altri.
Poincaré (1 854-1912)
Poincaré non fu solo un brillante matematico; mostrò anche
un grande interesse per la ricerca sui fondamenti del proprio
lavoro e fu il più serio tra i primi avversari del logicismo. Il
peso della sua autorità fu tale che per molti decenni dopo la
sua morte la Francia non dette più contributi allo sviluppo della
logica matematica. Basta questo per giustificare una più accurata
analisi del pensiero di questo scienziato.
Era ferma opinione di Poincaré che la matematica non deri­
vasse dalla logica; e questo valeva per i due principali domini
della matematica: il numero e lo spazio. Ma innanzitutto, che
cos'è la logica ?
Il campo della logica, per Poincaré, è soltanto il finito e il suo
compito consiste essenzialmente nel classificare. Nel ragiona­
mento sillogistico, in cui si pongono le cose su cui si ragiona in
98 Capitolo secondo

classi prestabilite, si giunge alle conclusioni sulla base delle rela­


zioni tra queste classi. Ogni tentativo di introdurre nella logica
un "assioma dell'infinito" costituisce un tradimento: non si può
ragionare di oggetti che non possono venir definiti in un numero
finito di parole (Poincaré, 1 9 1 3 ) . Solo in matematica si può fare
riferimento all'infinito (potenziale) , perché il ragionamento ma­
tematico può essere ricorsivo. Il principio dell'induzione matema­
tica, strumento principale del ragionamento ricorsivo, è distinto
dalla logica proprio perché questo principio ha a che fare con un
processo senza termine. La base di questo processo sta nell' in ­

tuizione.
L'intuizione e la logica hanno bisogno l'una dell'altra. Mentre
la logica può solo analizzare e combinare, l' intuizione fornisce
l'unità o armonia della dimostrazione. La logica dà rigore e cer­
tezza ma è tautologica. L'intuizione fornisce i dati iniziali, in­
venta e unifica (Poincaré, 1 905 ) . La logica separa una comples­
sità nei suoi elementi e ne studia le relazioni; può anche indagare
sui modi in cui questi elementi si possono combinare in nuovi
aggregati. Ma l'intuizione individua quali sono le combinazioni
pertinenti, scegliendo proprio quelle combinazioni che mostrano
un'analogia con altri fatti. La costruzione, così, è solo un fattore
necessario, ma non sufficiente, per l'avanzamento della matema­
tica (Poincaré, 1 902).
Poincaré distingue due tipi di intuizione pertinenti per la ma­
tematica: l'intuizione del puro numero e l 'intuizione attraverso
i sensi e l'immaginazione. La prima è indubitabile e " al di là"
dei sensi e ci dà la base dell'aritmetica; la seconda è meno certa
e ci dà la base per la geometria. Poincaré sottolinea la differenza
essenziale tra queste intuizioni: "Esse non hanno lo stesso og­
getto e sembrano mettere in gioco due facoltà differenti del
nostro spirito; si direbbero due proiettori fissati su due mondi
stranieri l'uno all'altro" (Poincaré, 1 905, p. 46) . Diremo ora
qualcosa a questo proposito.
L'intuizione del puro numero non prende nulla in prestito dal
mondo esterno; è a priori. Questo carattere a priori dei numeri
RAssegna storica 99

naturali non è ciò che interessa Poincaré. (Vedremo più avanti


il criterio da lui adottato per l'esistenza matematica.) Più rile­
vante è la natura del ragionamento operante quando si lavora con
i numeri. Poincaré non ha difficoltà ad ammettere che un'equa­
zione numerica, ad esempio 2 + 2 = 4, è analitica (contraria­
mente a quanto sostenuto da Kant) , e pertanto logica. Ma per
passare dall'aritmetica all'algebra si devono dimostrare proprietà
che valgano per tutti i numeri naturali: per non introdurre la
nozione di infinito attuale, una proprietà può essere provata solo
se, per induzione matematica, si dimostra che essa vale per ogni
numero. Così, se si dimostra che vale per qualsiasi numero, essa
varrà per tutti. Il ragionamento per induzione matematica è un
processo di ripetizione della stessa operazione con ogni numero e,
non essendoci ragione (sufficiente) per fermarsi a un certo nu­
mero, ci si rende conto che il ragionamento per ricorrenza è
"l'unico strumento che ci permette di passare dal finito all'infi­
nito" (Poincaré, 1 902, p. 2 1 ) . Dato che la logica si può occupare
solo di ciò che è finito, questo principio dell'induzione mate­
matica è irriducibile alla legge di non-contraddizione. f: un prin­
cipio matematico a priori e non analitico; è sintetico a priori
Ma non è un giudizio, come riteneva Kant, bensì un'intuizione.
Il suo carattere inoppugnabile sta nel fatto che "esso non è se
non l'affermazione della potenza dello spirito, il quale sa bene di
poter concepire la reiterazione indefinita di un medesimo atto,
dal momento che questo atto è possibile una volta. Lo spirito
ha di questa potenza un'intuizione diretta ( ... ) L'induzione mate­
matica s'impone in maniera necessaria poiché essa è semplice­
mente l'affermazione d'una proprietà dello spirito stesso" (Poin­
caré, 1902, pp. 2 3 sg.).
La scienza dello spazio, cioè la geometria, deve avere un
mondo esterno per rendere possibile il vero e proprio sapere
della geometria. Poincaré è dunque un empirista in geometria?
Non del tutto.
Poincaré spiega come, attraverso l'intuizione dei sensi, giun­
giamo alla nozione di uno spazio di rappresentazione empirico,
1 00 Capitolo secondo

cioè allo spazio che viene rappresentato nelle nostre sensazioni.


Noi abbiamo sensazioni tattili, visive e di sforzo muscolare, e
dalla loro combinazione formiamo una nozione di spazio - o
estensione - dovendo compiere movimenti col corpo per rag­
giungere - o immaginare di raggiungere - gli oggetti rappresen­
tati nelle nostre sensazioni. In questo spazio di rappresentazione
formiamo una geometria indagando sul modo in cui le sensazioni
si succedono una all'altra. Quindi, senza corpi esterni in movi­
mento, non saremmo in grado di formare una nozione empirica
di spazio né di geometria. Nel farlo i nostri corpi fungono da
assi di riferimento, sono l'origine della coordinazione.
Dallo spazio di rappresentazione passiamo a uno spazio mate­
matico ragionando sugli oggetti nello spazio di rappresentazione
come se fossero dati in uno spazio matematico (o continuum) .
I corpi esterni diventano figure rigid e e il movimento di questi
corpi, cioè la successione di sensazioni, è rappresentata concet­
tualmente nell'idea matematica di gruppo di movimenti. Ma sono
molte le possibili leggi per la successione di sensazioni; di conse­
guenza, non esiste una geometria che "vada bene" per il mondo.
Tutto quel che può essere spiegato con la geometria euclidea può
esserlo anche con una geometria non euclidea. Ciò significa al­
tresì che non c'è una geometria i cui assiomi godano di uno
status privilegiato. Gli assiomi non sono giudizi sintetici a priori;
bensì definizioni mascherate di come noi idealizziamo il nostro
spazio di rappresentazione in uno spazio matematico. Dato che
si possono usare numerose geometrie, la scelta di una certa geo­
metria è puramente convenzionale. Semplicità ed eleganza sono
le norme a cui abitualmente ci si riferisce.
Poincaré prosegue mostrando come le nostre nozioni di punto,
retta, piano, dimensione ecc. siano tutte idealizzazioni di sensa­
zioni. Un completo empirismo non è tuttavia possibile. Poin­
caré ritiene che alla fine ci debba essere una forma di sensibilità
(kantiana) che consenta il perfetto ordinamento delle sensazioni
in uno spazio, e una forma di comprensione che renda possibile
la perfetta nozione di geometria; quest'ultima è la nozione di
Rassegna storica 1 01

gruppo : "Nel nostro sptnto preesiste l'idea latente di un certo


numero di gruppi" (Poincaré, 1 902, p. 9 1 ) .
Sulla forma di sensibilità, Poincaré ( 1 9 1 3 ) dice:
C'è in tutti noi una nozione intuitiva del continuo a un numero qualun­
que di dimensioni perché possediamo la capacità di costruire un con­
tinuo fisico e matematico (questa capacità esiste in noi prima di ogni
esperienza perché senza di essa l'esperienza sarebbe, propriamente par­
lando, impossibile, si ridurrebbe a sensazioni brute e sfuggirebbe a ogni
organizzazione) e perché tale intuizione è semplicemente la consape­
volezza di possedere questa facoltà. Eppure questa facoltà si potrebbe
usare in modi differenti: ci potrebbe permettere di costruire uno spazio
a tre dimensioni. E il mondo esterno, è l'esperienza che ci induce a
servircene in un modo piuttosto che nell'altro.

In questa nostra sintesi della filosofia della matematica di


Poincaré, ricorderemo brevemente la sua polemica con il logi­
ctsmo.
Data la sua radicale opposizione a tutto ciò che si riferisca a
un infinito attuale, manca in Poincaré qualsiasi indulgenza verso
una visione di tipo realistico dell'esistenza matematica. Poincaré
sottolinea che l'unico criterio necessario per l'esistenza matema­
tica è che i concetti matematici e il sistema in cui essi figurano
siano liberi da contraddizioni. Questa impostazione ha svolto un
ruolo fondamentale nella fondazione delle geometrie non eucli­
dee. Come è noto, verso la fine del diciannovesimo secolo si
scoprì che esiste un isomorfismo della geometria non euclidea
nella struttura della geometria euclidea. Ciò significava che se
fosse sorta una contraddizione nella prima, anche l'altra ne
avrebbe mostrata una. Ora Hilbert, nelle sue Grundlagen der
Geometrie del 1 899, aveva dimostrato che un isomorfismo ana­
logo esisteva tra la geometria euclidea e il sistema dei numeri
reali. Dato che quest'ultimo poteva essere costruito a partire dai
numeri naturali (insieme a un'adeguata teoria degli insiemi) , se
l'aritmetica ordinaria è libera da contraddizioni, allora l'intera
matematica può avere un buon diritto di esistere. Su questo
sarebbe naturalmente d'accordo qualsiasi logicista. Ma Poincaré
1 02 Capitolo secondo

prosegue sostenendo che è impossibile dimostrare che l'aritme­


tica è libera da contraddizioni, in quanto per arrivare a una
simile dimostrazione si dovrebbe dimostrare l'assenza di contrad­
dizioni in un numero infinito di teoremi e sarebbe possibile farlo
solo dimostrando passo a passo, per induzione matematica, che il
sistema è libero da contraddizioni. Ma, poiché si richiede il
vero principio che è allo stesso tempo incluso nell'aritmetica
come suo assioma, per affermare quest'assenza di contraddizioni
si incorrerebbe in una petitio principii. Sebbene il logicismo in­
tendesse fondare anche l'aritmetica su princìpi logici e con ciò
darle una solida base, Poincaré vede in questo un ragionamento
circolare in quanto l'assioma di riducibilità non è che una forma
mascherata del principio di induzione matematica.
La prima colpa del logicismo è di non aver dimostrato che i
suoi assiomi sono liberi da contraddizioni - e invero non avrebbe
potuto farlo a causa della sopracitata petitio principii. Solo appel­
landosi all'intuizione si può individuare la vera base della ma­
tematica.
La seconda colpa del logicismo è di supporre che, una volta
date le iniziali nozioni logiche primitive, la matematica possa
procedere senza fare ulteriore ricorso all'intuizione. Per Poincaré,
invece, uno degli obiettivi di ogni dimostrazione è di dare unità
alla dimostrazione stessa. E questa unità, quest' "anima" della
dimostrazione, è anch'essa una questione di intuizione.
La terza colpa del logicismo è il suo realismo. Quando la logica
viene estesa a collezioni infinite, le regole abituali della logica
formale, cioè lo studio delle proprietà comuni a tutte le classifi­
cazioni (Poincaré, 1 9 1 3 , p. 45), non possono essere utilizzate
senza modificazioni. Questo perché con collezioni infinite la
classificazione non cambia con l'introduzione di nuovi elementi;
ciò avviene quando ogni elemento di una collezione è definito
in termini di quella collezione. Una classificazione di questo
genere è impredicativa, in quanto ad ogni introduzione di un
nuovo elemento la classificazione deve essere modificata per il
fatto che l'intero è cambiato. Poincaré riconosce solo le classi-
Rassegna storica 1 03

ficazioni predicative. La classificazione impredicativa sfocia in


quel tipo di ragionamento a circolo vizioso che porta alle anti­
nomie in teoria degli insiemi e in logica. Poincaré ( 1 9 1 3 , p. 6 3 )
suggerisce l e seguenti regole come guida in matematica e logica :
(a) non prendere mai in considerazione oggetti che non si possano defi-
nire in un numero finito di parole;
(h) non perdere mai di vista il fatto che ogni proposizione che con­
cerne l'infinito deve essere la traduzione, la puntuale formulazione
di proposizioni relative al finito;
(c) evitare classificazioni e definizioni non predicative.

La preoccupazione di Poincaré di partire sempre dal finito è


motivata dal fatto che la mente umana (l'intuizione) è presente
in tutto il lavoro matematico. I realisti negano questo fatto e si
immaginano alle prese con un regno staccato dalla soggettività
dell'uomo. Essi procedono dall'infinito al finito e ammettono per­
tanto definizioni e classificazioni impredicative. Dato che questa
differenza tra realismo e idealismo (come egli definì la sua posi­
zione) risiede nei fondamenti filosofici della matematica, Poin­
caré dubitava di veder mai risolta completamente questa antitesi.
Sulla nozione di insieme, che costituisce il più grosso problema,
Poincaré si esprime nei seguenti termini ( 1 9 1 3 , p. 6 1 ) :
Se consideriamo un insieme e vogliamo definirne gli elementi possiamo
naturalmente dividere la definizione in due parti: la prima parte, co­
mune a tutti gli elementi dell'insieme, ci insegnerà a distinguerli dagli
elementi esterni all'insieme e sarà la definizione dell'insieme; la seconda
parte, invece, ci insegnerà a distinguere gli elementi dell'insieme uno
dall'altro.
Ciascuna delle due parti sarà costituita da un numero finito di parole.

E perché un insieme abbia un qualche significato, bisogna che


entrambe le parti siano espresse esplicitamente.

Brouwer (1881-1966)
Come per il logicismo, ci occuperemo principalmente del re­
troterra e delle implicazioni filosofiche del lavoro di Brouwer,
104 Capitolo secondo

senza entrare nei particolari della sua matematica e logica intui­


zionistica.
t: più esatto riferirsi alla posizione di Brouwer, e a quella
dei suoi seguaci, come a un neointuizionismo, in quanto si tratta
di una concezione che radicalizza in numerosi punti cruciali l'in­
tuizionismo di Poincaré. Il primo punto riguarda la natura stessa
della matematica. Mentre nella concezione di Poincaré la mate­
matica rimaneva vicina alla fisica, e parzialmente in contatto con
essa, Brouwer pone la matematica in un più ampio contesto
umano e culturale. La scienza, in generale, è considerata più dal
punto di vista delle sue implicazioni sociali:
Per scienza intendiamo la catalogazione sistematica dei fenomeni in
base a un rapporto causale che tiene conto delle leggi di natura, ossia
delle successioni di fenomeni che per scopi individuali o sociali è con­
veniente considerare come ripetentisi identicamente, - e più in partico­
lare di quelle successioni causali che hanno importanza nelle relazioni
sociali (citato da Benacerraf e Putnam, 1 964, p. 66) .

Che il ruolo della matematica sia di tener conto dell'uomo


era già stato rivendicato da Brouwer in una delle tesi sostenute
al suo esame di laurea:
La comprensione fra gli uomini è basata sulla costruzione di sistemi
matematici comuni, e sull'assegnazione, da parte di ogni individuo, di un
elemento vitale allo stesso elemento dei sistemi di questo tipo ( enun­
ciato vm) .

Dato che la matematica deve svolgere un ruolo fondamental­


mente sociale, è naturale che Brouwer cerchi la base della mate­
matica nella soggettività dell'uomo, giungendo così a differen­
ziarsi da Poincaré per un secondo punto. Mentre quest'ultimo
attribuisce al mondo esterno una parte importante nella genesi
del concetto di continuo, e fa derivare dall'interno solo il con­
cetto di numero, Brouwer vuole avere una sola origine per la
matematica, che sia fonte tanto del numero quanto del continuo.
A tal fine egli respinge la nozione (propria di Kant e Poincaré)
di una forma spaziale di sensibilità per le sensazioni provenienti
Rassegna storica 105

dal mondo esterno e pone tutto l'accento su una forma interna


di sensibilità, vale a dire sull' esperienza del tempo. Se la mate­
matica deve essere pura, questa esperienza interna va liberata
da qualsiasi passaggio di sensazioni presenti nella nostra psiche.
Ne risulta una nozione di cambiamento nel tempo di tipo pura­
mente intellettuale e formale. Su questa base la matematica ha la
garanzia di essere completamente a priori e completamente
libera.
Tale nozione puramente astratta di cambiamento costituisce
la base sia dei numeri ordinali sia del continuo (del primo or­
dine) ; infatti l'io individuale, divenendo cosciente di cambiare,
intuisce sé stesso nel cambiamento (ovvero nella propria varietà
e pluralità) . Il divenire consapevoli del cambiamento presuppone
una dualità nell'unico e medesimo io - perché il divenir consa­
pevoli dell'io che cambia significa essere consapevoli di come era
"allora" e di come è "adesso". Questa intuizione della semplice
duo-unità è ciò che Brouwer chiama l'intuizione originaria
( oerintuitie) . Attraverso la ripetizione di questo atto intuitivo di
base - "si può pensare a uno degli elementi della duo-unità come
a una nuova duo-unità" (Benacerraf e Putnam, 1 964, p. 69) -

qualsiasi numero ordinale può essere contato, ovvero costruito.


I numeri naturali ordinali sono i puri costrutti dell'intelletto che
intuisce. Il continuo lineare (del primo ordine) è costruito inter­
ponendo ripetutamente nuove unità "fra" la dualità data. A que­
sto modo viene costruito il continuo lineare: come non esiste
l'ultimo numero, così c'è sempre un altro numero "fra". A pro­
posito di questa comune origine, Brouwer afferma:
Dato che nell'intuizione originaria il continuo e i l discreto compaiono
come complementi inseparabili, ambedue con lo stesso diritto e la stessa
chiarezza, è dunque impossibile separarne uno come entità di base e
costruire da questo l'altro con una sua propria singolarità; proprio per­
ché è impossibile separare l'altra entità (Brouwer, 1 907, p. 8).

Facendo della costruzione mentale una condizione sia neces­


saria sia sufficiente per l'atto matematico puro - ciò che costi-
106 Capitolo secondo

tuisce un terzo punto di differenza da Poincaré - Brouwer non


introduceva la logica come complemento necessario all'intui­
zione. In realtà, ogni atto umano, in quanto attuato nel tempo,
deve fare ricorso all'intuizione base della matematica. Di con­
seguenza, la logica e il linguaggio sono al più un aiuto e un
mezzo per rendere chiaro agli altri un atto matematico. In nessun
modo la logica e il linguaggio possono integrare la matematica.
Quindi non esiste alcuna "verità" fuori da ciò che la mente co­
struisce in termini matematici. Ciò condusse Brouwer, dopo il
1 9 1 2, a trarre conclusioni che ebbero conseguenze devastanti, in
quanto la legge logica del terzo escluso veniva in gran parte pri­
vata della sua funzione. Una volta legata l'esistenza matematica
alla costruzione matematica, non era più legittimo collocare un
oggetto in una di due categorie mutuamente esclusive se non
c'era modo di costruire l'oggetto. La legge del terzo escluso
aveva sempre svolto un ruolo vitale nei cosiddetti teoremi "di
esistenza", dove spesso, attraverso un processo di eliminazione,
si poteva stabilire l'esistenza di un oggetto fondandosi intera­
mente su detta legge. È ovvio che gran parte della matematica
superiore - ad esempio quella che si basa sui cardinali e ordinali
transfiniti di Cantor - era considerata priva di significato da
Brouwer. Per verificare la propria posizione, che datava fin dalla
sua discussione di laurea, Brouwer dedicò gran parte della pro­
pria attività alla ricostruzione della matematica su base costrutti­
vistica. Per farsene un'idea precisa si veda Heyting ( 1 956).
Il gruppo 'Bourbak1�
Il gruppo "Bourbaki", formato da matematici francesi che
presero nome da un generale del secolo scorso, opera nello spi­
rito di Poincaré.
Parliamo di questo gruppo nel paragrafo dedicato all' "intui­
zionismo" non perché Bourbaki si consideri intuizionista, ma
soprattutto perché ha in comune con l'intuizionismo, generica­
mente parlando, un'attenzione per la funzione naturale del pen­
siero nella scienza matematica.
Rassegna storica 107

Una delle principali linee guida di questo gruppo è il pro­


blema dell'unità della matematica. All'inizio del ventesimo secolo
la matematica era costituita da una serie di discipline, fondate
su particolari nozioni e delimitate con precisione; tra di esse
esistevano connessioni di molteplice natura che consentivano
scambi fruttuosi tra un'area e l'altra. In seguito, la ricerca ha
mostrato l'esistenza di un nucleo centrale che collega le diverse
parti. L'essenza di questa unità venne riconosciuta nella progres­
siva sistematizzazione delle relazioni esistenti tra le diverse teorie
matematiche ed è oggi nota (almeno per il gruppo Bourbaki)
sotto il nome di "metodo assiomatico" .
L'espressione "metodo assiomatico" indica abitualmente un'ap­
plicazione della logica formale, ossia del ragionamento deduttivo.
Ma quest'ultimo è considerato dal gruppo Bourbaki nient'altro
che una forma esterna data dal matematico ai propri pensieri.
Serve per comunicare ed è utile analizzarne con chiarezza il voca­
bolario e la sintassi, ma è pur sempre solo la superficie della
matematica e ne costituisce l'aspetto meno interessante.
Secondo i matematici del gruppo Bourbaki, l'assiomatica co­
glie ciò che la logica formale non afferra, vale a dire la profonda
intellegibilità della matematica. Là dove un osservatore super­
ficiale vede due teorie del tutto distinte, il genio matematico
riesce improvvisamente a ravvisare tra di esse una chiara analogia
di struttura. Obiettivo del metodo assiomatico è la ricerca di tali
comuni strutture in teorie apparentemente differenti.
Fino ad oggi, tutte le strutture note sono state ridotte a tre
strutture "madre" fondamentali. Esse sono:

(a) strutture algebriche, ossia strutture che comportano una


legge di composizione, come gruppi e anelli;
(b) strutture d'ordine (parziale), ossia strutture definite da una
relazione tra due elementi;
(c) strutture topologiche, cioè formulazioni astratte delle no­
zioni intuitive di intorno, limite, continuità.
108 Capitolo secondo

A partire da queste strutture e dalle loro combinazioni si può


dar conto di tutte le discipline della matematica. Queste strut­
ture sono gli strumenti fondamentali del matematico.
Nella ricerca matematica, l'intuizione - non l'ordinaria intui­
zione sensibile - con una divinazione diretta coglie le entità ma­
tematiche prima di qualsiasi ragionamento. E sono le entità che,
data la frequenza con cui occorrono, hanno lo stesso diritto di
esistenza degli esseri appartenenti al mondo esterno. Le strutture
intuite portano con sé il loro proprio linguaggio, fatto di parti­
colari dati intuiti. Un'analisi assiomatica libera dal linguaggio che
la circonda l'effettiva struttura matematica intuita. La scoperta
di tale struttura dà al pensiero del ricercatore un'improvvisa
modulazione, in cui l'essenziale è distinto dal periferico. La ma­
tematica è meno che mai un gioco di formule puramente mecca­
niche; essa è sempre più il campo in cui regna l'intuizione nella
genesi della scoperta.
Il fatto che queste strutture fondamentali si ritrovino anche
nelle scienze non matematiche, ad esempio strutture di gruppo
nella meccanica dei quanti, indica che non ci può essere una netta
separazione tra mondo sperimentale e mondo della matematica: le
strutture matematiche sono solo parte della più generale natura
delle cose.
F.. chiaro che il significato di "intuizione" , per il gruppo Bour­
baki, non esclude in alcun modo l'importanza del linguaggio e
della logica. Di conseguenza, vediamo nuovamente che tra intui­
zione e logica c'è più che un'integrazione. Ma, per il fatto che
il vero e proprio oggetto intuito è avvolto in una rete assioma­
tica, il gruppo Bourbaki ha dato l'impressione di essere estre­
mamente formalista. Che si tratti soltanto di un'impressione
risulta evidente quando venga chiarito - come si è spiegato in
precedenza - il compito del metodo assiomatico.
Riassumendo, si può dire che il gruppo Bourbaki condivide
con Poincaré l'intendimento che la matematica non è una parte
(o un derivato) della logica (o della teoria degli insiemi) e che
la logica non ricade sotto le scienze matematiche. Anch e la ten-
Rassegna storica 109

denza a non tracciare una artificiale separazione tra matematica


pura e matematica applicata è ereditata da Poincaré. La richiesta
che le scienze matematiche vengano formulate nella prospettiva
delle "strutture madre" , mette ancora una volta in rilievo la no­
vità di questa impostazione. Il lettore può consultare la pubblica­
zione originale del programma di Bourbaki ( 1 948) e anche l'inter­
pretazione che di Bourbaki dà J e an Piaget.

1 1 . 3 Formalismo
La nostra esposizione non sarebbe completa se non ricordas­
simo il terzo distinto orientamento della filosofia della matema­
tica del ventesimo secolo: il formalismo. Per formalismo inten­
diamo qui la posizione sostenuta da Hilbert ( 1 862-1943 ) . Dato
che anche in questo caso sarebbe facile dilungarsi troppo, centre­
remo la nostra attenzione più sull'aspetto filosofico che su quello
matematico di questa scuola e restringeremo la discussione al
punto di vista del solo Hilbert.
Il formalismo hilbertiano scaturì in modo abbastanza naturale
dal lavoro svolto dallo stesso Hilbert in geometria. Come si è
accennato in precedenza, egli introdusse un sistema completo di
assiomi come fondamento per la geometria euclidea e ne dimostrò
poi la coerenza utilizzando come modello il sistema dei numeri
reali. La geometria era ora considerata altrettanto coerente
quanto il (le operazioni del) sistema dei numeri reali. Per fon­
dare l'intera matematica su una base libera da contraddizioni, si
doveva dimostrare la coerenza delle operazioni aritmetiche. Il
logicismo cercò di raggiungere questo scopo prendendo la logica
come modello per l'aritmetica, ma si arenò sulla necessità di ac­
cettare assiomi di natura più matematica che logica. L'intuizio­
nismo contestava invece al logicismo che era per principio im­
possibile fornire una dimostrazione di coerenza e che solo il
ragionamento intuitivo, basato sull'evidenza e non su assiomi,
poteva essere una garanzia per la verità matematica.
Ora, Hilbert non voleva affatto dimostrare che Brouwer sba­
gliava: la sua teoria parte dal riconoscimento che la matematica
110 Capitolo secondo

così come viene generalmente accettata non è costituita da


enunciati il cui significato e la cui verità si fondino sull'evidenza.
A questo punto, però, si trova in posizione opposta rispetto a
Brouwer. Invece di respingere tutto ciò che in matematica non
può rivendicare un chiaro significato basato sull'evidenza intui­
tiva (costruzione) , Hilbert propone di sbarazzare l'intero corpo
della matematica da qualsiasi significato. Tutti gli enunciati mate­
matici vanno ridotti a pure formule, quali la formula algebrica
a + b = b + a. Procedendo in questo modo, Hilbert riusciva a
salvare quegli enunciati matematici che Brouwer aveva respinto
in ragione della loro incostruibilità, ad esempio quegli enunciati
che concernono in qualche modo la nozione di infinito. Questi
enunciati "non reali" funzionano, secondo Hilbert, come "pro­
posizioni ideali", e di essi è piena la matematica. Sono necessari
perché danno una certa "completezza" ai sistemi matematici. Una
volta svuotata la matematica di ogni significato, svanisce anche la
distinzione tra enunciati reali ed evidenti ed enunciati ideali: ciò
che rimane da dimostrare non è più che certe formule sono vere
o false, come è sempre accaduto, ma che l'intero sistema di for­
mule è coerente. A tal fine, il sistema stesso deve divenire l'og­
getto di indagine e la natura di quell'oggetto è semplicemente
costituita da segni simbolici sulla carta.
Per quanto strano possa sembrare, a questo punto Hilbert
mostra nuovamente di aver imparato da Brouwer; ma anche qui,
come prima, ne rovescia la posizione. Ora Hilbert, infatti, af­
ferma la necessità di un rigido intuizionismo nella ricerca della
coerenza di questo sistema di vuote formule. La "teoria della
dimostrazione", come egli chiamò questa ricerca, doveva stabi­
lire la coerenza assoluta di un sistema matematico e a tal fine
sono essenziali i metodi finitistici (vedi Hilbert, 1926). La com­
prensione della coerenza deve essere raggiunta col ragionamento
intuitivo, in quanto non si conosce alcun altro dominio coerente
che possa servire da modello per il sistema. Ma "intuizione", qui,
non ha lo stesso significato che aveva per Brouwer. A Hilbert
interessa la completa esplicazione delle regole di deduzione che
Rassegna storica 111

si applicano nella deduzione di una formula da un insieme di


altre formule, indipendentemente dal contenuto. Si tratta di re­
gole che devono essere dette ad altri e comunicate con parole. Il
linguaggio pertanto - al contrario che per Brouwer - forma la
base intuitiva della teoria della dimostrazione (o metamatema­
tica, come la chiama Hilbert) ; il linguaggio è parallelo alla tecnica
stessa del pensiero.
Il gioco di formule che Brouwer giudica con tanto disprezzo ha tuttavia
un importante significato filosofico generale, al di là del valore mate­

matico. Esso si compie infatti secondo certe regole determinate, in cui


viene espressa la tecnica del nostro pensiero. Queste regole formano un
sistema chiuso, che si può trovare ed esplicitare. L'idea fondamentale
della mia teoria della dimostrazione è nient'altro che quella di descrivere
l'attività del nostro intelletto e ricavare un protocollo delle regole se­
condo le quali il nostro pensiero procede effettivamente. II pensiero
procede appunto parallelamente al parlare e allo scrivere, formando e
allineando proposizioni (corsivo mio; citato da Beth, 1 969, p. 1 4 1 ) .

Ecco come lo stesso Hilbert descrive il tipo di intuizionismo


presente nella sua concezione:
Quale ulteriore condizione preliminare per compiere deduzioni ed ese­
guire operazioni logiche, si deve dare qualcosa per concepito, vale a
dire certi oggetti extralogici concreti che vengono intuiti direttamente
prima di qualsiasi riflessione intellettiva. Perché la deduzione logica sia
certa dobbiamo vedere ogni aspetto di questi oggetti e devono essere
date le loro proprietà, differenze, successioni e affinità unitamente agli
oggetti stessi come qualcosa che non si può ridurre a qualcos'altro e che
non ha bisogno di nessuna riduzione. Questa è la filosofia base che io
ritengo necessaria non solo per la matematica ma per qualsiasi scienza e
forma di comunicazione. Oggetto della matematica sono, secondo que­
sta teoria, i simboli concreti la cui struttura è immediatamente chiara e
riconoscibile (corsivo mio; Hilbert, 1926).

La novità dell'impostazione di Hilbert è innegabile. Lo stesso


Hilbert sperava "di far scomparire una volta per tutte le que­
stioni sui fondamenti" . Ridotti gli enunciati matematici a for-
112 Capitolo secondo

mule vuote e reso immediatamente chiaro ed evidente il ragio­


namento metamatematico finito, Hilbert pensò di aver fatto della
matematica una scienza libera da ogni congettura, tanto da poter
fiduciosamente affermare:
Fin da ora potrei enunciare quest'affermazione come risultato finale: la
matematica è una scienza senza presupposti. Per la sua fondazione non
ho bisogno del buon Dio, come Kronecker, né dell'ipotesi di una parti­
colare capacità del nostro intelletto fondata sul principio di induzione
completa, come Poincaré, né dell'intuizione originaria di Brouwer e
infine non mi occorrono neppure, come a Russell e Whitehead, gli
assiomi dell'infinito, di riducibilità o di completezza; che in effetti sono
presupposti realmente contenutistici e non compensabili mediante una
dimostrazione di non-contraddittorietà (citato da Beth, 1 969, p. 1 4 1 ) .

Che questa impostazione si sia dimostrata "troppo bella per


essere vera" è ora storicamente assodato. Nel necrologio per Hil­
bert, Weyl descrive questo fatto con chiarezza e completezza.
Terminiamo la nostra analisi del formalismo di Hilbert citando
un brano di quel necrologio (David Hilbert and His Mathema­
tical Work) :
II simbolismo per la formalizzazione della matematica così come lo
schema generale e i primi passi della dimostrazione di coerenza sono
dovuti a Hilbert stesso, mentre l'ulteriore avanzamento del programma
si deve ai suoi più giovani collaboratori, Paul Bernays, Wilhelm Acker­
mann, Johann von Neumann. Gli ultimi due dimostrarono la coerenza
dell' "aritmetica", di quella parte in cui non è però ammesso il perico­
loso assioma sulla trasformazione dei predicati in insiemi. Rimase una
lacuna che al momento parve irrilevante mentre erano già stati stilati
piani dettagliati per !' "attacco" all'Analisi. Poi venne la catastrofe:
dando per stabilita la coerenza, Kurt Godei dimostrò come costruire
proposizioni aritmetiche che sono evidentemente vere e tuttavia non
deducibili all'interno del sistema formale. Il suo metodo si applica al
formalismo hilbertiano come a qualsiasi altro formalismo non troppo
limitato. Nessuno dei due campi, quello delle forme ottenibili nel si­
stema formale hilbertiano e quello delle proposizioni reali che sono
evidentemente vere, contiene l'altro (dando per scontato che la coerenza
Rassegna storica 113

del sistema formale si possa rendere evidente) . Ovviamente non si po­


teva più parlare di completezza di un sistema formale nel senso assoluto
in cui Hilbert l'aveva definita. Quando poi Gerhard Gentzen riuscì a
colmare la lacuna esistente nella dimostrazione di coerenza dell'aritme­
tica, di cui la scoperta di Godei aveva rivelato la serietà, ciò gli riuscì
proprio in quanto egli abbassò sostanzialmente il criterio di evidenza
hilbertiano. La linea di confine tra ciò che è intuitivamente accettabile
e ciò che non lo è divenne nuovamente vaga. Dato che si dovette dedi­
care ogni sforzo a difendere l'aritmetica non venne mai realizzato l'at­
tacco dell'Analisi per non dire della teoria generale degli insiemi.
Così stanno attualmente le cose. Non c'è in vista nessuna soluzione defi­
nitiva ma qualsiasi cosa ci riservi il futuro, si può dire senza ombra di
dubbio che Brouwer e Hilbert hanno innalzato a un nuovo livello il
problema dei fondamenti della matematica. Un ritorno ai Principia
mathematica di Russell e Whitehead non sarebbe neppure pensabile.

Il lavoro di Godei a cui Weyl si riferiva sono i teoremi di


Godei che abbiamo cercato di illustrare nel primo capitolo di
questo libro.
Capitolo 3
Lineamenti di una concezione complementarista
della matematica

Nessuno, fra tutti coloro le cui espressioni ho


ascoltato, si è spinto sino a questo: riconoscere che
la sapienza è separata da tutte le cose.
Eraclito (fr. A 17 Colli = DK B 108)

1 2 . Aspetti e metodi di una filosofia della matematica

Nel trarre le conclusioni dalla storia dei fondamenti della ma­


tematica, si può tranquillamente affermare che il dibattito tra le
varie scuole di pensiero sulle differenze fondamentali (filosofiche)
esistenti non è terminato.
Anzi, consultando gli atti di qualche recente congresso di filo­
sofia della matematica (vedi Lakatos, 1 967) è facile distinguere
i punti di vista intuizionista-costruttivista, formalista e can­
toriano.
Oggi, però, la situazione non è più quella, diciamo, degli anni
trenta, quando il lavoro di Godei stava solo iniziando a far sen­
tire i suoi effetti e il contrasto tra le scuole aveva toccato il suo
punto massimo. Riprendendo là dove si è concluso il capitolo
precedente, e tenendo conto dei risultati di Godei (e di altri)
esposti nel primo capitolo, si può dire che attualmente c'è una
concordanza maggiore di tre decenni fa. Almeno tre sono le ra­
gioni di questo sviluppo.
In primo luogo, i risultati di Godei e della sua scuola, in par­
ticolare i risultati di Cohen sull'ipotesi del continuo, hanno mo­
strato che il tradizionale sistema assiomatico per la teoria degli
insiemi e le discipline da esso dipendenti sono ben lungi dall'es­
sere completi. Ciò significa che i risultati dimostrabili o formula­
bili in un'impostazione assiomatica di queste discipline sono ben
Concezione complementarista 115

lontani da ciò che è formulabile nel linguaggio naturale (sponta­


neo) delle versioni non assiomatiche di esse (vedi paragrafo 7 ) .
Così i l punto d i vista intuizionista sul ruolo limitato del linguag­
gio è ribadito dai risultati della scuola formalista.
Brouwer in particolare ha sostenuto che l'attività matematica
naturale e diretta non può essere interamente formalizzata e as­
siomatizzata. Evidentemente Brouwer rimase costernato quando
il suo discepolo Heyting formulò un sistema di assiomi per la
logica intuizionista. Heyting, comunque, dal punto di vista ma­
tematico si mantiene nella prospettiva brouweriana, sia pure
in forma leggermente modificata: è sul piano filosofico che i
due autori mostrano maggiori divergenze (vedi Beth, 1 965,
pp. 618 sg.).
In secondo luogo, si va facendo strada una sempre maggior
consapevolezza del fatto che gli antichi dilemmi tradizionali, quali
quelli tra apriorismo ed empirismo, realismo e idealismo ecc.,
sono falsi e fuorvianti. Su questi argomenti, comunque, non si è
ancora raggiunta sufficiente chiarezza. Certo è che sta afferman­
dosi un ritorno a un moderato realismo, come nel caso di Tarski,
Bernays ecc. (vedi Beth, 1 965, pp. 6 1 2 sgg.) .
Sempre tenendo presente il punto precedente, va ricordato in
terzo luogo che sono stati formulati altri numerosi punti di vista
che si collocano in posizione intermedia fra le tre tendenze gene­
rali rappresentate dal logicismo, dall'intuizionismo e dal forma­
lismo (vedi Benacerraf e Putnam, 1 964) . Ciò è dovuto alla con­
cezione pluralista della scienza che si è venuta affermando dopo
la seconda guerra mondiale e che ha favorito la formazione di
molte scienze interdisciplinari, tra cui la teoria dell'informazione,
la cibernetica e la scienza degli elaboratori; e tipico di questo
atteggiamento è il ripudio di ogni dogmatismo che possa pre­
cludere lo sviluppo di una qualsiasi branca della scienza. Il plu­
ralismo, tuttavia, non elimina il fatto che rimangono problemi
filosofici all'interno della matematica, anche se un numero sem­
pre minore di matematici crede nell'esistenza di un unico tipo di
matematica e di un unico tipo di teoria degli insiemi.
116 Capitolo terzo

Lo scrivente ritiene che la storia dei fondamenti della mate­


matica possa essere considerata come la somma dei tentativi, tutti
tra loro correlati, tendenti a unificare i vari e molteplici aspetti
dell'attività matematica (classica) , espressi nei punti seguenti:
( 1 ) il ruolo della "logica", o "logica ingenua", come innata e
spontanea capacità dell'uomo di formare concetti di cose e
un'infinita varietà di concetti di cose, concetti di concetti di
cose ecc.;
(2) il ruolo del linguaggio come strumento di comunicazione,
portatore di informazione;
( 3 ) il ruolo della logica (formale) come insieme storicamente
determinatosi di regole di pensiero (più o meno formaliz­
zate), creato allo scopo specifico di ordinare e organizzare,
coerentemente e deduttivamente, i concetti appartenenti a
specifici domini del pensiero (come la matematica, la fisica
ecc.) ;
( 4) il ruolo del pensiero costruttivo, inteso come costruzione di
nuove entità da entità date in modo che le proprietà delle
nuove entità si possano derivare dalle proprietà delle vec­
chie, senza utilizzare una terminologia che (pre)supponga
l'esistenza di un mondo "platonico" di tutte le proprietà di
qualche tipo;
(5) il ruolo dell'intuizione, intesa come immediato cogliere l'evi­
denza delle cose, cioè come modo di arrivare alla conoscenza
indipendentemente dalla deduzione;
( 6) la valutazione del problema dell'esistenza in matematica di
una "conoscenza prima" contrapposta a una " conoscenza
derivata", o "conoscenza secondaria" (ad esempio, è prima­
rio il concetto di numero o il concetto di "insieme" sta alla
base di tutta la matematica, come sostengono i cantoriani ?
Qual è la natura della nostra conoscenza dei numeri? ) ;
( 7 ) una spiegazione del fatto che, seguendo percorsi deduttivi,
l'applicazione di metodi matematici porta spesso a una co­
noscenza (approssimata ma) vera del mondo, cioè del fatto
Concezione complementarista 117

che le proprietà matematiche fondamentali del numero e la


conoscenza della topologia e dell'Analisi possono trovare ap­
plicazione in domini non matematici (ad esempio, è "acci­
dentale" il fatto che il concetto di gruppo sia applicabile in
fisica, oppure le strutture matematiche devono esser viste
come parte di un più ampio modello di pensiero, che include
anche il pensiero applicabile nelle scienze (naturali) ? )
L'autore sostiene che d i tutti questi aspetti s i deve dare una
spiegazione in una filosofia della matematica degna di questo
nome. Ci sono però due differenti modi di occuparsi di tali que­
stioni, uno implicito e uno esplicito.
Eplicitare la funzione dei diversi fattori sopra citati è fare
della filosofia o teorizzare sulla matematica. Nel passato, la mag­
gior parte delle teorie sui fondamenti hanno valutato i differenti
aspetti dal punto di vista di uno solo o di pochi di essi, con ciò
sopprimendo, negando o disconoscendo il ruolo degli altri. Inol­
tre, la maggior parte delle teorie esistenti sui fondamenti pren­
dono in considerazione tutto ciò che viene chiamato matematica,
vale a dire tutte le discipline matematiche, anche quelle che più
divergono, dal punto di vista di una disciplina centrale e unifi­
cante. Quando tale disciplina o alcune delle sue caratteristiche
salienti sono state considerate tipiche del far matematica nella
sua totalità, ha avuto luogo un riduzionismo filosofico.
Ecco alcuni esempi. Il forte accento posto da Brouwer sulla
matematica pura come "pensiero costruttivo scaturente dall'in­
tuizione originaria", lo portò a trasferire la geometria classica
(sintetica ) dal dominio matematico a quello delle scienze fisiche
sperimentali, lasciando così alla matematica in quanto tale il solo
punto di vista discreto. Un altro esempio, sul quale Bemays ha
attirato ripetutamente l'attenzione (vedi la sua analisi dell'opera
di Wittgenstein in Benacerraf e Putnam, 1 964) , è costituito dal
fatto che la tendenza formalista nella matematica e nelle teorie sui
fondamenti ha portato a trascurare la (filosofia della) geometria.
Bernays, nel lavoro citato, osserva che, contrariamente a quanto
118 Capitolo terzo

pensano i filosofi della matematica di orientamento linguistico


(come Wittgenstein), è pur vero che il classico teorema "la
somma dei tre angoli di un triangolo è uguale a 1 80 gradi" può
essere verificato "sperimentalmente" da un sempre più raffinato
sistema di misurazione. In Lakatos ( 1 967), Bemays ricorda che
qualsiasi somma, esercizio o calcolo possono essere visti come un
"esperimento" in Analisi astratta o in algebra, anche se il termine
"esperimento" deve essere in qualche misura ridefinito per di­
stinguerlo dagli esperimenti fisici.
Più in generale, ogni teoria tende in un certo senso alla sem­
plificazione. F. inevitabile che là dove un campo di interesse pre­
senti maggiore complessità, si abbia una maggior spinta verso la
semplificazione. Avviene così che si accentuino certe caratteri­
stiche mentre altre vengono annullate. F. anche comprensibile
che le principali correnti del formalismo e del logicismo scelgano
come terreno privilegiato gli aspetti logico formali della mate­
matica piuttosto che quelli sperimentale-intuitivo-costruttivi.
Cercando di spiegare questa tendenza, comunque, ci troviamo
nuovamente di fronte al problema di fondo, già ricordato nel­
l'analisi delle idee di Cartesio, costituito dalla distinzione tra me­
todi sintetici e metodi analitici, tra costruzione e deduzione.
Il metodo implicito di affrontare gli aspetti fondamentali della
matematica nasce nella pratica matematica. Un matematico che
operi in campi quali la teoria dei numeri, la topologia, la geome­
tria algebrica ecc., non può mai evitare qualcuno degli aspetti
sopra ricordati: sono tutti presenti in ciò che egli fa, nel senso che
egli se ne occupa spontaneamente, specialmente quando si tratta
di discipline che costituiscono una diretta estensione delle disci­
pline matematiche classiche. F. ad esempio impensabile che uno
che lavora sui problemi della teoria (algebrica) dei numeri non usi
la sua "intuizione" di grandezze minori-e-maggiori. Di conse­
guenza, il ragionamento matematico che egli "applica" è più
vicino a ciò che abbiamo chiamato "logica" nel senso del
punto ( l ) che alla logica formale come intesa al punto ( 3 ) . Na­
turalmente, come lascia vedere lo sviluppo storico della materna-
Concezione complementarista 119

tica moderna, questi differenti modi di applicare la logica non


possono essere completamente separati. Ma qui ci preme sotto­
lineare che l'attività di coloro che lavorano nei settori classici
estesi, anche se devono scegliere di volta in volta quale teoria
degli insiemi (debole o forte) usare, ha ancora un carattere par­
ticolare che viene troppo facilmente trascurato quando si cerca
di semplificare la molteplicità di discipline matematiche con
una loro ben definita fisionomia in una circoscritta filosofia (for­
malista o intuizionista ecc.) . Il pensiero matematico creativo,
"ingenuo" e spontaneo, va nettamente distinto dalla ricostruzione
logico-formale e fondazionale di ciò che deriva dal pensiero
spontaneo.

1 3 . Due tipi di esistenza matematica


Vorremmo ora esprimere la nostra opinione sul modo in cui
in matematica gli aspetti sopra ricordati si fondono tra loro. In
prima approssimazione, diciamo che i risultati saranno differenti
a seconda delle discipline.
I seguenti esempi chiariranno il concetto. Si è già osservato
che dando una coerente priorità agli aspetti costruttivo-intuizio­
nistici della matematica (Brouwer) si arriva necessariamente al­
l'abbandono della geometria sintetica e del concetto classico di
continuo geometrico. (Il formalismo e il logicismo non intesero
mai abolire il concetto classico di continuo e la stessa cosa si può
dire del pensiero cantoriano; quest'ultimo, però, cercò di derivare
il concetto classico di continuo dal concetto di insieme discreto.)
Ciò considerato, non è forse giustificato affermare che l'idea di
costruttività sostenuta da Brouwer si applica solo a quelle disci­
pline che partono dal discreto, come la teoria dei numeri, l'alge­
bra, l'analisi numerica ecc. ? F. noto che Brouwer rigettava ogni
riferimento a un continuo "completo" come concetto utilizzabile,
definendolo "teologico" o "metafisico" .
Allo stesso modo, l'osservazione d i Bernays a proposito della
mancanza di interesse per la geometria da parte dei logici e dei
120 Capitolo terzo

filosofi non è forse indicativa del fatto che non vi è un unico


tipo di esistenza in matematica e che vedere l'intera matematica
alla luce di un solo concetto di esistenza snatura quelle discipline
che dipendono da altre ? Se si risponde affermativamente a questa
domanda, allora si può apprezzare la critica di Brouwer nei con­
fronti dell'Analisi classica e della geometria, ammettendo che in
matematica sono legittimamente presenti due differenti tipi di
esistenza mischiati tra di loro, uno "geometrico" e uno "di­
screto". Se si assume questa posizione, si è obbligati a rispondere
alle seguenti domande:
( l ) Ai due differenti tipi di esistenza matematica corrispondono
due differenti teorie degli insiemi ? :t chiaro che tale que­
stione è collegata alla cosiddetta teoria dell' "aritmetizza­
zione della geometria" , la quale afferma che a ogni enun­
ciato geometrico classico ne corrisponde uno aritmetico. Si
nota immediatamente che questa teoria è un corollario del­
l'ideale cantoriano di ricostruire concetti continui a partire
da concetti discreti, ossia ricostruire concetti geometrici a
partire dal concetto di insieme.
(2) Se nella geometria classica e in Analisi operano due differenti
tipi di teoria degli insiemi, queste teorie degli insiemi dipen­
dono dalla "natura" delle entità che vengono raccolte in un
tutto ? Come si possono distinguere i concetti di insieme ?
Prima di delineare il modo in cui riteniamo si debba rispon­
dere a queste domande, vorremmo ricordare un altro motivo
per giustificare il nostro punto di vista sui problemi dei fonda­
menti della matematica. Leggendo attentamente gli articoli di
Hermann Weyl, specialmente quelli sul formalismo di Hilbert
(vedi Weyl, 1 969), va detto che egli non poteva concordare con
Hilbert nell'analisi finale, proprio perché Hilbert riteneva che,
al di là del dominio (intuizione) del discreto, esiste un dominio
del continuo altrettanto raggiungibile e utilizzabile dalla mente
matematica (Weyl, 1 969, vol. 4, pp. 3 3 0 sgg., 599 sgg.) . (:t noto
che la crescente sfiducia di Weyl in tale dominio lo portò a
Concezione complementarista 121

sostenere le tesi brouweriane sulla costruttività. F. altrettanto


noto che Brouwer definì vago il mondo fisico del cambiamento
e del moto continuo, in quanto manca la chiara esattezza dell'in­
tuizione di duo-unità.) Questa concezione di Hilbert sembra tanto
più importante in quanto per Hilbert il concetto puro di conti­
nuità forniva un legame connettivo tra matematica pura da un
lato e matematica applicata e fisica dall'altra. In realtà, secondo
Brouwer e Weyl, parlare di un concetto puro di continuo
(lineare) vuoi dire introdurre in matematica l'infinito attuale.
Essi concepiscono il continuo come qualcosa di potenzialmente
costruibile da nozioni discrete (come mezzo di libere scelte) .
Anzi, questo concetto di continuo coincide con quello cantoriano
per il fatto che anche Cantar riteneva il continuo costruito a
partire da nozioni discrete, ma ne differisce in quanto Cantar
accettava l'ipotesi della capacità da parte della mente umana di
costruire, oltre all"'infinito potenziale", l'infinito attuale.
Ora, spinti dal desiderio di collegare gli aspetti geometrici
"applicati" e classici della matematica alla matematica pura,
avanziamo l'ipotesi che si possa parlare del concetto di continuo
geometrico senza postulare la capacità da parte della mente
umana di costruire infiniti attuali. A tal fine, dobbiamo sempli­
cemente attenerci all'idea che i concetti di punto, linea (retta) ,
piano ecc., possano essere direttamente concepiti come "entità
geometriche" e che la loro sia un'esistenza sui generis, cioè indi­
pendente da qualsiasi capacità costruttiva di ottenere linee da
punti e così via. Perciò non diciamo che le entità di tipo geo­
metrico si possano "ricavare" dal mondo fisico come le (il con­
cetto di) cose fisiche; sembra invece che questi ultimi concetti
siano almeno altrettanto "derivati dal mondo" quanto i concetti
aritmetici elementari. Ciò nonostante noi diciamo di poter "rica­
vare" dal mondo i concetti fisici ! L'ipotesi che ci siano (almeno)
due differenti modi fondamentali per ottenere i concetti base
di discreto e continuo trova pieno sostegno in ricerche episte­
mologiche quali quelle di Jean Piaget (vedi Piaget, 1 969) . Queste
ricerche confermano come le cosiddette intuizioni spaziali si svi-
122 Capitolo terzo

luppino, in modo relativamente indipendente dal concetto di nu­


mero naturale, durante il processo evolutivo. Anzi, Piaget chiama
una linea, una curva ecc. "simboli spaziali", che stanno al posto
di reali trasformazioni corporee di tipo fisico-spaziale. Se ab­
biamo ben capito quel che intende, Piaget ritiene le concezioni
puramente spaziali della nostra mente il risultato di moti e tra­
sformazioni fisiche. Non è questo il luogo per entrare nei dettagli
dell' "epistemologia genetica" di Piaget; ci limitiamo a sostenere
che le scoperte di Piaget legittimano da sole l'ipotesi che la mate­
matica si basi su almeno due intuizioni fondamentali, l'intuizione
del discreto e l'intuizione del continuo, ciascuna delle quali cor­
risponderebbe a un particolare tipo di esistenza, vale a dire l'esi­
stenza nel senso del numero e del discreto e l'esistenza nel senso
del continuo e della spazialità.
Siamo ora in grado di formulare la concezione complemen­
tarista riguardo all'esistenza delle "entità" fondamentali numero
e continuo. Noi sosteniamo che esse sono qualità del mondo in
cui viviamo. Naturalmente bisogna spiegarsi meglio, perché è
ovvio che non intendiamo dire che ci sono qualità sensoriali di
un tipo o di un altro. E nemmeno diciamo che ess e esistano in un
mondo platonico di entità perfette, perché non sono entità, og­
getti, sostanze o "cose " . A tutti i fini pratici, non c'è nulla da
obiettare alle teorie matematiche che le trattano, o ne parlano,
come " entità", anche se la loro origine genetica non giustifica
questa terminologia. Così, il numero " 5 " è certamente una qua­
lità, per esempio, dell'insieme { a, b, c, d, e }. Se i segmenti di retta
non fossero qualità di cose, anche le osservazioni di Bemays a
proposito degli "esperimenti" sui triangoli (vedi paragrafo 1 2 )
non avrebbero alcun senso. Detto in altri termini, il modo d'es­
sere dei numeri e delle linee ecc. è quello di una qualità. Riser­
viamo loro il termine qualità analitica per denotare il fatto che
ricavarle dal mondo presuppone un'attività analitica da parte
della nostra mente, sebbene qualsiasi epistemologia che spieghi
il loro processo d'apprendimento sembri solo sfiorare ciò che
realmente avviene. Essendo il loro modo d'essere quello delle
Concezione complementarista 123

qualità, rimangono escluse domande (platoniche) quali: dove esi­


stono, sono deperibili ecc. ? Si potrebbe dire che finché c'è ma­
teria esistono il continuo e il discreto, anche se non ci fosse
nessuno a concepirli. Il concetto che se ne ha, a sua volta, non è
a priori, bensì a posteriori, mentre la capacità mentale di cogliere
queste qualità è innata (e differisc e da persona a persona) .
M a che cosa dire, ad esempio, dell'esistenza di linee, curve ecc.
nel contesto di una teoria geometrica (che le tratta come "en­
tità") ?
Innanzitutto, ai fini della costruzione di una teoria puramente
matematica, è del tutto legittimo considerare queste "entità"
come oggetti, in quanto non rientra negli scopi di una teoria
matematica pura mantenere tali oggetti, se intesi come qualità,
costantemente collegati al mondo. Sono piuttosto i matematici
applicati che tendono a cercar di seguire il significato fisico dei
parametri contenuti nelle loro formule, trattando quindi numeri
ed entità geometriche come qualità. La storia della matematica,
come storia dell'emancipazione della matematica pura dalle
scienze applicate, è segnata dai tentativi dei geometri di giusti­
ficare le "geometrie" da essi definite o in termini di applicazione
fisica o in termini di nuovi "modelli" costruiti utilizzando le
entità geometriche come una sorta di materiale da costruzione.
In secondo luogo, sembra del tutto errato restringere il con­
cetto "entità geometrica" alle entità tridimensionali, perché anche
la fisica ci fornisce una gran quantità di esempi di grandezze
dipendenti da più di tre variabili, consentendoci così di conce­
pire qualità con un numero di dimensioni superiore a tre. Questo
non toglie il fatto, comunque, che passando da una geometria a
tre dimensioni a una geometria a n dimensioni (n > 3 ) , la nostra
mente si rende conto di poter fare un uso molto minore di rap­
presentazioni attraverso i sensi.
In terzo luogo, stando alla storia dell'empirismo sembra neces­
sario mettere in evidenza il fatto che la nostra mente ha un'in­
nata capacità di servirsi mentalmente delle entità geometriche
fondamentali e operare liberamente con esse. In genere non le
124 Capitolo terzo

tratta come sorgenti autonome di conoscenza, ma sembra mo­


strare una preferenza a costruire, partendo da esse, "modelli"
geometrici in cui siano soddisfatti gli assiomi di geometrie parti­
colari; passa così a nuovi tipi di esperienza e sperimenta in un
mondo che ha essa stessa contribuito a creare, relativamente
indipendente dal mondo fisico.
[Incontriamo qui una situazione comune a tutte le discipline
matematiche pure. Un sistema di assiomi, che definisce una par­
ticolare "struttura" matematica (una geometria non euclidea, un
fascio, una varietà, anelli, gruppi ecc.) ammette in genere più di
un "modello" costruttivo, anche se gli assiomi sono stati formu­
lati in vista di uno solo o di alcuni importanti esempi di modelli,
che possono o meno avere un legame con la fisica. F. una carat­
teristica tipica della matematica pura non avere per le entità indi­
viduali con cui i modelli sono costruiti lo stesso interesse che per i
modelli nella loro globalità. Così, se in teoria degli anelli sono
oggetto di studio i numeri individuali o le entità discrete con essi
costruite (polinomi, funzioni, laterali ecc.) , allora l'interesse nei
loro confronti conduce, o è subordinato, allo studio delle pro­
prietà più generali dei modelli costruiti con questi numeri ed
entità. F. una delle caratteristiche che distinguono la matematica
dalle scienze naturali. Il fisico ha un profondo interesse per la
struttura dell'atomo (e quindi di ogni atomo) . Non possiamo dire
che il matematico abbia un analogo interesse per la struttura di
un segmento di retta, di un numero, polinomio o funzione. Al
contrario, le strutture a cui si rivolge l'interesse dei matematici
sono insiemi di rette, numeri ecc., dove le entità che formano
l'insieme sono interpretate dalle regole che valgono per l'insieme
(campo, anelli, geometrie particolari ecc.) . A prima vista non
sembra però essere vero il fatto che le due principali discipline
fisiche, la meccanica dei quanti e la teoria della relatività, abbiano
a che fare con la struttura di atomi ecc. Lo sviluppo storico di
queste due branche di studio, tuttavia, mostra che il sempre mag­
gior impiego dei metodi matematici astratti fu imposto più dai
limiti degli esperimenti e delle misurazioni fisiche che dalla con-
Concezione complementarista 125

vinzione della mancanza di strutture per atomi, molecole ecc.


Nella teoria dei quanti, i fisici furono obbligati (relazione di
Heisenberg) a ricorrere a metodi probabilistici, che in qualche
caso li mettevano in grado di convertire informazione su molti­
tudini di particelle in informazione sulla struttura della particella.
La teoria della relatività, fondamentale per il tentativo di Einstein
di giungere a una teoria unificata dei campi, ha come idea di
fondo la convinzione che tutti gli eventi fisici possano essere ri­
dotti e descritti in termini di spazio (fisico) e di "geometria
fisica" (vedi Wheeler, 1 970), quindi in termini di continuo: le
particelle vengono concepite come particolari configurazioni to­
pologiche discrete di spazio fisico ch e soddisfano certe equazioni
differenziali della geometrodinamica. Si vuole qui ricordare che
la decennale disputa tra i sostenitori della meccanica dei quanti e
quelli della teoria della relatività è stata risolta solo dal principio
di complementarità di Bohr, principio per cui il continuo e il
discreto sono visti come due differenti aspetti di un unico e me­
desimo mondo fisico, entrambi concorrenti a formare il punto
di vista della teoria fisica.]
Accenniamo ora, per concludere il paragrafo, allo status dei
numeri reali; finora, infatti, abbiamo avuto a che fare solo con gli
interi positivi e con i numeri naturali intesi come qualità. Per
rendersi conto che i numeri reali possono essere visti come "qua­
lità di qualità", e che quindi essi partecipano del modo d'essere
delle qualità, si fissi un intervallo unitario su una retta. Secondo
la definizione di misura di Lebesgue, questa retta diviene il con­
sueto asse dei numeri reali. Alla luce di quanto detto in prece­
denza, il numero " 5 " è allora una qualità di un punto ben defi­
nito (o di un ben definito segmento di retta) . Dato che, anche dal
nostro punto di vista non cantoriano, si può dire che "la retta
contiene l'insieme dei suoi punti" (vedi paragrafo 14), la prece­
dente affermazione sul numero " 5 " può così essere generalizzata:
un qualsiasi numero reale (come per esempio una successione
convergente di numeri razionali; o come una frazione decimale)
è una qualità di un ben definito punto sul nostro asse numerico.
126 Capitolo terzo

Si potrebbe parlare qui di una "qualificazione di qualità". Un


ragionamento analogo si applica ai numeri complessi e allo spazio
euclideo a n dimensioni, dove n pie di numeri reali possono essere
-

considerate come qualità di punti.


Prima di cercare di rispondere alle due domande poste all'ini­
zio di questo paragrafo, dobbiamo esaminare più nei particolari
la relazione tra il continuo e il discreto.

1 4. Linguaggio, teoria degli insiemi e complementarità


matematica
Nell'affrontare la discussione circa la relazione che lega i due
differenti concetti fondamentali della matematica, spendiamo
qualche parola a proposito del ruolo del linguaggio. Abbiamo
detto che formulare un sistema di assiomi per una particolare
disciplina significa creare un linguaggio che è relativamente in­
dipendente dal dominio delle entità ( ''modelli") a cui quel lin­
guaggio si può applicare. In realtà, con questo non vogliamo
intendere che consideriamo i modelli qualcosa di prelinguistico,
nel senso che il pensiero matematico ad essi relativo, e il lin­
guaggio della teoria assiomatica in cui quel pensiero è formulato,
segue la costruzione dei modelli secondo un modo che a volte è
chiamato "la funzione naturale del pensiero" (vedi Beth, 1 965,
ultimo capitolo) ; ma, al contrario, si tratta di una relazione effet­
tiva fra le tre funzioni ricordate - "costruzione", "pensiero o in­
tendimento non ancora formulato" e "linguaggio assiomatico" -
in cui di volta in volta ciascuna di esse precede le altre. Un ottimo
esempio di ragionamento assiomatico formale che precede la
costruzione di modelli è dato naturalmente dalla storia della geo­
metria non euclidea. Ma, anche se in modo leggermente diffe­
rente, ogni sistema di assiomi che definisce una struttura gene­
rale solleva la questione di quale sia il modello in cui quegli
assiomi vengono soddisfatti. Parliamo, in questo caso, di una
funzione anticipatoria del linguaggio. Questa "fuga in avanti" del
linguaggio è evidente anche quando l'operare su di una formula
Concezione complementarista 127

(o su un insieme di formule ) porta a un risultato che non si


poteva pensare come vero prima dell'operazione. Questo può
avvenire ad ogni livello del pensiero matematico. !. stato Brou­
wer ad avanzare le obiezioni più dure contro questo ruolo del
linguaggio, tanto da richiedere che il linguaggio segua soltanto le
costruzioni (prelinguistiche) e che esso debba essere bloccato una
volta che non segua più passo per passo il cammino tracciato
dalle operazioni costruttive. Arriviamo così a prendere in consi­
derazione il punto contro cui era indirizzata la critica di Brouwer,
e precisamente la sua affermazione che gli enunciati di esistenza
dell'Analisi (classica), finché non vengono "coperti" da enunciati
costruttivo-aritmetici, sono di origine geometrica nel senso clas­
sico. Teoremi come "una funzione continua su un intervallo
chiuso raggiunge il suo valore massimo", il teorema di Bolzano­
Weierstrass ecc. fanno uso di quantificatori che si riferiscono a
insiemi infiniti di intervalli e punti, indipendentemente dal fatto
che si possano o non si possano costruire questi insiemi. Sono
esempi di teoremi che secondo il neointuizionismo andavano mo­
dificati. Un esempio più efficace si ha quando si consideri "l'in­
sieme F di tutte le funzioni continue sull'intervallo unitario (con
valori, cioè, nell'intervallo unitario) " . Non c'è alcun espediente
aritmetico costruttivo che produca "tutte" le funzioni con questa
proprietà, se si intende per "espediente aritmetico" un modo per
stilare effettivamente una "legge numerica" che (si suppone) ge­
neri le singole espressioni numeriche per "tutte" le funzioni sul­
l'intervallo unitario che l'intuizione geometrico-classica può im­
maginare. Per di più, non si conosce nemmeno alcun espediente
geometrico che sia capace di generare tutte queste funzioni. Sorge
allora la domanda: quando si può dire che un certo insieme di
oggetti (geometrici) è stato formato, così da poterlo concepire
come una nuova entità matematica ?
[Restringiamo per un momento l'attenzione agli insiemi di
oggetti geometrici e spieghiamo brevemente la differenza che
intercorre tra il costruire continui, da un lato, partendo dal di­
screto e, dall'altro, concependoli direttamente attraverso la geo-
128 Capitolo terzo

metria cinematica e la fisica (e magari, in seguito, applicare loro


nozioni algebriche discrete) . Per quanto riguarda quest'ultimo
tipo di costruzioni, non esiste un elenco completo di funzioni
ottenibili come composizioni di moti di un punto, ad esempio
nel piano, ma è possibile darne degli esempi: le rette, il cerchio,
il seno, la funzione esponenziale e alcuni tipi di funzioni polino­
miali. (Il lettore può convincersi che la composizione perpendi­
colare di due moti, uno uniforme e l'altro uniformemente acce­
lerato in modo opportuno, dà luogo a un tipo di funzioni della
forma y = xn ecc.) Per quanto riguarda poi il primo tipo di
costruzioni, cioè la costruzione di continui a partire dal discreto,
se per una funzione reale f è data esplicitamente la formula
y = f ( x ) , allora la si può rappresentare graficamente nel piano e
si dice che essa definisce una funzione piana (eventualmente sotto
certe condizioni che restringono il campo della variabile x ) . ]
Ora, per quanto concerne la formazione di insiemi, il punto
che maggiormente ci interessa è il seguente requisito epistemolo­
gico: si deve chiarire in anticipo la forma degli oggetti che vanno
a costituire un insieme. La parola "forma", poi, può essere presa
tanto nel senso geometrico-cinematico quanto in quello aritme­
tico. Nel primo caso, ad esempio, le "figure" piane quali punti,
rette, cerchi, il seno, il polinomio ecc. hanno una forma ben defi­
nita, ottenuta a partire dalla geometria cinematica. Allo stesso
modo, nel secondo caso, si definiscono funzioni piane a partire
da ben definite espressioni del calcolo usando simboli numerici,
variabili e varie proprietà dei numeri (reali) ed è chiaro che si
possono definire un numero maggiore di funzioni piane mediante
il calcolo che a partire dalla cinematica. (Detto per inciso, questa
può essere una delle ragioni per cui la geometria nel senso clas­
sico è stata messa in ombra; confronta l'osservazione di Bernays
citata nel paragrafo 1 2 .) In entrambi i casi si possono solo aggre­
gare in un insieme funzioni piane che siano casi speciali (o specia­
lizzazioni) di costruzioni generali di forme, rispettivamente in
geometria (cinematica) o nell'Analisi.
Concezione complementarista 129

Un esempio di costruzione generale di forme in geometria è


la circonferenza (cioè il luogo di tutti i punti del piano aventi
una determinata distanza da un dato punto) . La sinusoide, poi,
può essere considerata come la composizione di due moti, uno
dei quali uniforme lungo una retta e l'altro uniforme su una cir­
conferenza. Queste costruzioni generali di forme contengono
variabili (una distanza data ma non specificata, un punto dato
ma non specificato ecc.) che possono essere specializzate e dare
costruzioni particolari. In ragione di quanto detto prima, è allora
consentito da un punto di vista epistemologico parlare dell'in­
sieme di tutte le costruzioni di questo genere, e quindi dell'in­
sieme di tutte le circonferenze sul piano, dell'insieme di tutte le
curve sinusoidali sul piano ecc., mentre non si può parlare del­
l'insieme F definito prima. Analogamente, un esempio di costru­
zione generale di forme in aritmetica o Analisi è la funzione
polinomiale, diciamo con coefficienti interi e di grado n.
La sua forma generale potrebbe essere definita, ad esempio,
dall'espressione
('��< ) ao + atx + ... + anxn ,
dove a; (O ::s; i ::s; n) varia sui numeri reali e x è la variabile poli­
nomiale. Allora, dato che i numeri interi formano un insieme, si
può parlare dell'insieme di tutti i polinomi di grado n con coef­
ficienti interi. Il lettore può facilmente trovare altri esempi e
noterà anche che la nozione di fbf (formula ben formata, vedi
paragrafo 5) del calcolo dei predicati è un esempio di "costru­
zione di forma", in questo caso in logica formale. Si può allora
parlare dell'insieme di tutte le fbf e operare controlli su una lista
infinita di fbf, come nella dimostrazione dei teoremi di Godei
(vedi paragrafo 7 ) .
Ora, mettendo a confronto i l modo complementarista d i for­
mare insiemi con quello cantoriano( -realistico) e costruttivista
(-idealista) , come prima cosa osserviamo che le totalità canto­
dane come "tutte le funzioni" ecc. possono essere chiamate in­
siemi perché è disponibile l'assioma estremamente potente del-
130 Capitolo terzo

!' "insieme potenza" (il quale dice che se V è un insieme, allora


l'insieme di tutti i sottoinsiemi di V è un insieme) . Questo as­
sioma non segue in alcun senso né dall'epistemologia della
costruzione di funzioni piane a partire dai continui né, indiret­
tamente, a partire dal discreto. D'altra parte, la richiesta che per
concepire un insieme sia necessario dare prima una costruzione
generale di forme non è affatto costruttivista, proprio perché c'è
ancora una differenza tra "esistenza" e "costruibilità", come è
stato spiegato in precedenza. Allora, dato che esiste ancora un'in­
colmabile lacuna epistemologica tra il discreto e il continuo, è
una caratteristica del complementarismo considerare epistemolo­
gicamente valida solo quella parte della matematica che rispetta
la relativa indipendenza del discreto e del continuo nelle scienze
naturali. (Una teoria assiomatica che usi strumenti più potenti
di quelli impliciti in quanto detto può, mutatis mutandis, essere
chiamata deduttivamente valida, a condizione che non contenga
contraddizioni.) Questo significa che è una caratteristica tipica
del pensiero complementarista considerare il discreto e il continuo
come aspetti complementari del mondo, in modo del tutto ana­
logo al principio di complementarità in fisica: a seconda del tipo
di problemi che si affrontano in matematica, tendiamo a presup­
porre l'esistenza sulla base del modo geometrico-continuo o a
considerare l'esistenza o la computabilità nel senso del discreto­
numerico. Ne è un esempio il fatto che alcune discipline mate­
matiche dipendono in larga misura dal "trattamento" (intuitivo)
di continui geometrici (la topologia euclidea a n dimensioni, le
geometrie classiche ecc.) , mentre, all'altro estremo, alcune disci­
pline si occupano solo di (insiemi di) entità discrete (teoria alge­
brica dei numeri, Analisi numerica ecc.) (vedi anche oltre, para­
grafo 1 7 ) . Nel paragrafo 1 7 divideremo le principali sottodisci­
pline matematiche in due categorie, vale a dire la categoria di
quelle che hanno la loro origine (epistemologica) e il loro obiet­
tivo finale nel dominio del discreto e della teoria dei numeri, e
quelle che provengono dal (e riguardano il) dominio del conti­
nuo e della geometria.
Concezione complementarista 131

La questione principale da esaminare ora è il ruolo che spetta


alla teoria degli insiemi. Dato che la teoria degli insiemi non ri­
duce il continuo al discreto, non ci rimane che considerarla una
teoria che formula regole per trattare entità sia geometriche che
aritmetiche. In questa prospettiva, quindi, la teoria aegli insiemi
regola l'uso del linguaggio matematico in quanto ha a che fare
con la formazione di nuove totalità di entità a partire da totalità
di entità date. La teoria degli insiemi ottiene così un carattere
normativa che è proprio del linguaggio matematico.
Che la teoria degli insiemi formuli una norma per l'uso del
linguaggio risulta evidente già dal fatto che la teoria degli insiemi
è l'unica disciplina matematica in cui, nel corso della sua storia,
siano sorti problemi del seguente tipo: "Fino a che punto si può
presupporre l'esistenza di entità matematiche ? " Fondamental­
mente, le risposte date a questa domanda andavano in due diffe­
renti direzioni: (a ) posizione cantoriano-realista-formalista, che
sostiene che ci si può spingere fin dove si vuole; e (h) le altre
posizioni, incluse quelle idealiste-intuizioniste e quelle logiciste­
realiste, che stabiliscono limiti per il linguaggio e fanno dipen­
dere la teoria degli insiemi da considerazioni cosmologiche (vedi
paragrafi 1 1 . 1 e 1 1 .2 ) .
D a quanto detto è ovvio che, s e volessimo formulare più
esplicitamente una teoria degli insiemi che soddisfi il principio
di complementarità, dovremmo essere collocati nella seconda ca­
tegoria, quella designata con (b) .
Inoltre, il nostro desiderio di adottare un punto di vista che
equilibri i sette aspetti dell'attività matematica precedentemente
ricordati, in modo che nessuno sia soppresso in favore degli altri
(paragrafo 1 2 ) , ci fa ritenere che la teoria degli insiemi debba
rendere esplicita l'implicita "teoria ingenua degli insiemi", che
opera al livello (epistemologico) dell'esperienza matematica non
ancora totalmente formalizzata. Questo significa, ancora una
volta, che noi aderiamo al punto di vista a posteriori di Piaget,
secondo il quale, durante il processo di apprendimento materna-
132 Capitolo terzo

tico, la mente di ogni individuo passa attraverso un insieme di


livelli naturali di astrazione, in modo che ogni "successivo" livello
è dipendente da quelli "precedenti" (più o meno analogamente
allo sviluppo storico della matematica) . In effetti, se volessimo
stabilire ciò che rende la matematica una scienza così "sicura" e
indubitabile, dovremmo mettere in evidenza che la sua indubi­
tabilità non discende semplicemente dal metodo astratto, formale
o assiomatico, ma che le stesse astrazioni sono rese possibili e
debbono la loro esistenza all e relativamente semplici e chiare
(se comparate ai concetti delle scienze naturali) intuizioni mate­
matiche fondamentali del continuo e del discreto. Gli sviluppi di
cui abbiamo parlato al paragrafo 8 non hanno fatto nulla per
rinsaldare la fiducia logicista e formalista nei metodi assiomatici
e formali, anche se si tratta di metodi del tutto appropriati per
la formulazione di teorie puramente matematiche.

1 5. Lineamenti di una teoria degli insiemi


complementarista

L'orientamento complementarista si rifà al desiderio di rispet­


tare la teoria degli insiemi ingenua e spontanea del livello epi­
stemologico e della matematica classica e, ipso facto, di rispettare
l'originaria unità della scienza pura e applicata. Nel paragrafo
precedente si è spiegato che è una caratteristica dell'impostazione
matematica classica far seguire la definizione di insiemi di entità
a una costruzione generale di forma piuttosto che definire gli
insiemi dandone una proprietà, e considerare poi un insieme
come elemento di un altro insieme ecc. Da un punto di vista
storico, solo quando la matematica divenne più astratta e crebbe
la tendenza a costruire insiemi di insiemi di insiemi ecc. di in­
siemi di, diciamo, numeri naturali, divenne evidente che coloro
che optavano per una concezione a priori della matematica erano
costretti a fare una scelta tra un atteggiamento (filosofico) che li
portasse o in una direzione cantoriano-realista o in una costrut-
Concezione complementarista 133

tivista-idealista (vedi paragrafo 1 0 ) . Per dirla con Poincaré (vedi


paragrafo 1 1 .2 ) : sembrava che la concezione a priori costringesse
i matematici-filosofi, almeno per quanto riguarda i problemi di
esistenza in matematica, a dirigere la propria ricerca o verso il
mondo del continuo e della geometria (cantorismo ecc.) o verso
il mondo del discreto e della teoria dei numeri (costruttivismo
ecc.) . Il matematico di ispirazione complementarista, che con­
sidera la matematica a posteriori, costruita a partire da una "ma­
teria prima" (numeri naturali e continuo come qualità analitiche
del mondo) e che per di più concepisce la teoria degli insiemi come
formulazione di una norma di linguaggio, non si trova costretto
a scegliere tra le due posizioni. E questo perché l'espressione
"costruita a partire da una materia prima" non significa far
coincidere esistenza e costruibilità (come nel costruttivismo, vedi
paragrafo 1 0), e perché le "costruzioni generali di forme" non
danno origine a strani predicati o proprietà epistemologici (come
nel realismo-cantorismo) .
Prima di affrontare e discutere la questione se è possibile una
assiomatizzazione, osserviamo innanzitutto che abbiamo già dato
di sfuggita una risposta alle due domande poste nel paragrafo 1 3 .
In e ffetti, nel corso del paragrafo 14, descrivendo il modo in cui
erano costruiti gli insiemi nel dominio del continuo (attraverso
la geometria cinematica) o nel dominio del discreto (attraverso
espressioni formali) , abbiamo discusso lo schema epistemologico
generale comune a entrambi i domini. Da qui discende una rispo­
sta negativa per entrambe le domande poste nel paragrafo 1 3 .
La posizione complementarista non porta a due differenti tipi di
teoria degli insiemi, uno proprio del discreto e uno del continuo.
Segue allora la domanda: è possibile formulare la posizione com­
plementarista in modo assiomatico ? :f: chiaro che, a causa della
natura totalmente differente della teoria degli insiemi rispetto
alle altre discipline matematiche, non ci si può aspettare una
teoria assiomatica ben precisa che dia totalmente conto del com­
plementarismo. Detto per inciso, le ben delineate assiomatizza-
134 Capitolo terzo

zioni cantoriane della teoria degli insiemi (ad esempio il sistema


ZF di Zermelo-Fraenkel e il sistema GB di Godel-Bemays) erano
intese a colmare la frattura epistemologica tra discreto e conti­
nuo; si tratta di teorie che possono essere deduttivamente valide
(vedi paragrafo 14), anche se ciò non è dimostrabile in forza
dei risultati di Godei; sono stati il costruttivismo, e specialmente
il neointuizionismo, ad aver per primi avanzato seri dubbi sulla
possibilità di una completa e adeguata assiomatizzazione di qual­
siasi teoria matematica e, in particolare, della teoria degli in­
siemi. Queste circostanze, comunque, non ci hanno impedito di
portare avanti il nostro tentativo di indicare un sistema di assiomi
che rifletta il più possibile i tratti principali della concezione
complementarista quale è stata delineata nei paragrafi pre­
cedenti.
Prima di ricapitolare gli assiomi che potrebbero servirei, ricor­
diamo che, in linea generale, per definire un insieme è necessaria
una costruzione generale di forma (vedi paragrafo 14). Sorge la
domanda se per esempio i numeri reali formano un insieme. La
risposta è sì, perché, prima di tutto, gli interi (positivi) formano
un insieme in quanto costituiscono, come primitivi aritmetici, la
"materia prima" in aritmetica. Poi, come costruzione generale di
forma per i numeri reali si può prendere n, a1a2a3, .. , dove n è
.

una variabile per numeri interi e a�, a2, a3 sono variabili (decimali)
aventi come campo l'insieme { 0, l, 2, .. , 9 }. Ci sono, natural­
.

mente, altri modi di dare costruzioni di forma per i numeri reali:


possiamo considerarli anche come successioni convergenti di
razionali ecc. In modo analogo si può parlare dell'insieme di
tutte le rette nel piano, dell'insieme di tutti i punti nello spa­
zio tridimensionale ecc., semplicemente perché sappiamo cos'è
una retta, un punto ecc. : un concetto geometrico primitivo
che non può essere ridotto a qualcos'altro né spiegato in altri
termini.
Per tutte queste ragioni non sorprende che il punto di maggior
differenziazione tra complementarismo e sistema Zermelo-Fraen­
kel (ZF) sia l'assioma dell'insieme potenza. La costruzione dei
Concezione complementarista 13)

numeri reali a partire dagli interi e dai razionali a cui si è accen­


nato suggerisce di sostituire l'assioma dell'insieme potenza con il
seguente:

A,: Assioma di specializzazione.


Se X è un insieme non vuoto, allora esiste un insieme Po(X)
formato da tutti i sottoinsiemi contabili (cioè finiti o nume­
rabili) di X.
Il fatto che questo assioma rifletta la costruzione dei numeri reali
risulta più chiaro se lo formuliamo, in forma equivalente, in ZF:
Sia X = { xo, Xt, X2, . .. } un insieme di insiemi numerabile non
ordinato dove X; :;:6 X; per i � j. Sia f: x� Y una biiezione
di insiemi. Allora esiste un insieme Po(X, Y ) formato da
tutti gli insiemi (non ordinati) di forma { zo, Zt, z2, ... } dove
Z; E f (x; ) per tutti gli i E N .
Il ruolo degli insiemi X; è analogo al ruolo svolto prima dalle
variabili decimali. Elenchiamo ora gli altri assiomi, in forma non
del tutto formalizzata (nel calcolo dei predicati) perché in questa
sede non è necessario. Per un'analisi completa degli assiomi for­
malizzati il lettore può far riferimento a Cohen ( 1 966, cap. 2 ) .

At: Assioma di estensionalità.


Un insieme è determinato dai suoi elementi:
V x, y ( 'V z(z E x� z E y)�x = y).

A2: Assioma dell'insieme nullo ( = insieme vuoto) .


L'insieme nullo 0 è definito da 3 x 'V y ( ...... y E x) .

A3: Assioma delle coppie non ordinate.


Dati gli insiemi x e y, la coppia non ordinata è denotata
da { x, y } e definita dalla formula
V x, y 3 x 'V w (w E z�w = xVw = y).
136 Capitolo terzo

A!: Assioma dell'insieme somma o unione.


Dato un insieme x (i cui elementi sono insiemi), si può for­
mare l'unione di tutti questi elementi secondo la formula
'v' x 3 y 'v' z(z E y � 3 t (z E t l\ t E x ) ) .

As: Assioma dell'infinito.


3 x(0 E x /\ 'v' y (y E x�y U { y } E x) ) .
f. l'assioma che garantisce effettivamente l'esistenza degli in­
teri in ZF, perché in ZF gli interi vengono identificati con
l'insieme
0, 0 U { 0 }, 0 U { 0 } U { 0 U { 0 } } ecc.
Così va completamente perduta la natura degli interi posi­
tivi come qualità, ma non vediamo come poterla salvaguar­
dare in qualsiasi versione assiomatica della teoria degli
mstemt.

�: Assioma di rimpiazzamento.
Non diamo una versione formalizzata in ZF di questo as­
sioma. Il suo contenuto è completamente in accordo con
l'idea di costruzioni generali di forma. L'assioma dice che,
data una formula A (x, y; tt. ... , h) nel calcolo dei predicati
che contenga almeno due variabili libere e che definisca y
univocamente come funzione di x (diciamo y = <p (x) ) , allora
per ogni insieme u il codominio di <p in u è anch'esso un in­
sieme. La costruzione generale di forma è qui la funzione
<p(x) che è data implicitamente dal predicato A.

As: Assioma di regolarità.


Questo assioma afferma che ogni insieme non vuoto x con­
tiene un elemento che è minimale rispetto alla relazione E ,
e può essere formalizzato come segue:
\f x 3 y (x = 0 V (y E x /\ \f z( Z E X� ....., z E y) ) ) .
Concezione complementarista 137

A9: Assioma di scelta.


Sia X un insieme contabile, aeX. Se a1-4Aa � 0 è una fun­
zione definita per tutti gli a, con Aa insiemi, allora esiste
un'altra funzione f(a) e f(a) EAa.

Non è il consueto assioma di scelta che si incontra nella teoria


degli insiemi di Cantor perché è posta la condizione che X sia
contabile [ossia finito o numerabile] . L'assioma qui presentato si
accorda con quanto si dice nei paragrafi 1 5, 16 perché, di fatto,
la funzione f definisce un vettore (f(a))aEK per il quale si può
dare una costruzione generale di forma (ad esempio (xa)aEN, con
Xa variabili) , mentre non si può vedere che una costruzione del
genere sia possibile per insiemi X infiniti che non siano contabili:
quando si costruiscono simboli su un foglio di carta sembra che
si possa costruire solo un numero contabile di simboli o variabili
distinguibili.
Ogniqualvolta si dà un sistema di assiomi per la teoria degli
insiemi, sorge la seguente domanda fondamentale: fino a che
punto si possono formulare le discipline matematiche esistenti con
l'aiuto di quella teoria degli insiemi ? Per quanto riguarda la teoria
degli insiemi basata sugli assiomi At-A9, non si sa molto. Ì. noto
che con essa si può derivare tutto quanto va sotto il nome di "Ana­
lisi classica", ma rimangono tuttora molte questioni aperte, come
quella ad esempio relativa a che cosa si possa mantenere della
teoria generale delle varietà analitiche e differenziali. La diffi­
coltà sta nel fatto che non si ha ancora un'idea sufficientemente
esatta di quali funzioni (ad esempio su R) si possano definire con
gli assiomi At-A9, all'interno della gerarchia Po(N ), PoPo(N),
PoPoPo( N ) ecc. Allo stesso modo, sul versante algebrico, non è
del tutto chiaro quali parti si possano mantenere della geometria
" astratta" e della teoria "astratta" delle algebre di Banach, so­
prattutto perché a partire dagli assiomi At-A9 non si può formu­
lare un adeguato indebolimento del lemma di Zom (che, nella
teoria degli anelli, assicura che ogni ideale è contenuto in almeno
un ideale massimale) . Si noti che con gli assiomi A1-A9 non neces-
138 Capitolo terzo

sariamente ogni insieme induttivamente ordinato di sottoinsiemi


di un insieme ha un elemento massimale, così che anche in que­
sto caso sembra inevitabile sacrificare parte della teoria generale
restringendo la sua validità a schemi e funzioni dell'algebra che
si possano costruire attraverso gli assiomi A1 -A9. Sia nel caso ana­
litico che in quello algebrico, comunque, nessuna tecnica essen­
ziale alle diverse discipline viene ad essere minacciata da questa
teoria degli insiemi "più debole" . Prima di discutere la suddivi­
sione delle discipline matematiche in algebriche e analitico-topo­
logiche, spendiamo qualche parola a proposito dell'unità della
matematica.

1 6 . L'unità della matematica: algebra e topologia


La teoria degli insiemi basata sugli assiomi A1 -A9 formula una
norma epistemologica nel senso che rende possibile concepire
l'unità di quella parte della matematica (pura e applicata) che ha
rilevanza epistemologica: se si sostituiscono gli assiomi A1 e A9
con assiomi più forti - quali ad esempio l'assioma non ristretto
dell'insieme potenza e l'assioma (non ristretto) di scelta - allora,
per costruire l'unità della matematica a partire da essi, è difficile
non ricorrere alla concezione che vede nella matematica solo
una scienza deduttiva, a priori rispetto ad ogni esperienza.
I costruttivisti, naturalmente, tenderebbero ad aderire a que­
st'ultima concezione, ma cercherebbero di salvare la posizione a
priori della matematica affermando che, dato che le entità mate­
matiche sono costruzioni della mente, non c'è alcuna epistemo­
logia alla bas e della matematica e che quindi ci si dovrebbe aste­
nere dal credere nell'esistenza di una connessione intrinseca tra
aspetti puri e aspetti applicati della matematica; infatti l'ordine
in natura è frutto della nostra mente ordinante piuttosto che
viceversa.
Il complementarismo sta in bilico tra un cantorismo-realismo
non ristretto e un rigido costruttivismo, senza abbandonarsi al
desiderio di costringere tutta la matematica nei limiti di un si-
Concezione complementarista 139

stema assiomatico. Così, esso non cred e che ci sia un unico


livello di esattezza matematica, ma che siano molti i modi e i
livelli in cui si possano sviluppare particolari branche della mate­
matica, proprio perché le fondamentali entità matematiche (o,
meglio, le qualità; vedi paragrafo 14) e le loro regole di compo­
sizione, accessibili a tutti o quasi, non hanno bisogno di essere
chiarite o giustificate da alcuna teoria, mentre non esiste alcun
problema di esistenza al loro riguardo. Il complementarismo ri­
tiene che la prima parte costitutiva dell'attività matematica pura
consista nel procedere costruttivamente prendendo queste qualità
fondamentali come "materiale di edificazione" e crede che il
modo d'essere delle costruzioni risultanti (funzioni, spazi, fa­
sci ecc.) , per la maggior parte prodotto dell'attività umana, sia
derivato dal modo d'essere delle qualità fondamentali. In termini
di teoria degli insiemi questo significa che, in tale prospettiva, alle
entità derivate non può essere assegnato uno status esistenziale
che vada oltre lo status delle qualità fondamentali dei numeri
reali; ne consegue il sistema di teoria degli insiemi delineato nel
paragrafo 1 5 . Così, a livello dell'esistenza delle entità matema­
tiche, si potrebbe dire che le costruzioni matematiche portano
a un'esistenza derivata mentre le qualità fondamentali portano a
un'esistenza originaria.
Secondo il complementarismo, inoltre, la seconda parte costi­
tutiva dell'attività matematica consiste nella formulazione di una
forma specifica di conoscenza, ossia conoscenza delle costruzioni
matematiche (incluse le qualità fondamentali) come pure cono­
scenza del mondo (fisico, biologico ecc.), per quel tanto che i
risultati matematici, attraverso le qualità fondamentali, possono
essere connessi (o riconnessi) al mondo (fisico ecc. ) .
La formulazione d i questa specifica conoscenza avviene tra­
mite schemi deduttivi e ne risulta una conoscenza principalmente
indiretta. Si prenda ad esempio la teoria degli anelli. Dagli assiomi
per un anello e con l'aiuto di definizioni opportunamente scelte
si può derivare deduttivamente la conoscenza teoretica degli
anelli. Sia in questo caso, sia in generale, il sistema di assiomi e
140 Capitolo terzo

le definizioni che si impiegano sono dati tenendo presente uno o


più esempi particolari o casi speciali (di anelli ecc.) . E non è in­
consueto che si tenga a mente quel particolare caso nel corso
di tutto il processo deduttivo in modo analogo a ciò che Car­
tesio concepiva essere il ruolo dell'intuizione (vedi paragrafo 9.3 ) :
si procede nell'intuizione del caso particolare. Il risultato del pro­
cesso deduttivo è spesso una conoscenza valida per una grande
varietà di casi, incluso quello originale, così che si può dire di
essere arrivati a una conoscenza più generale di quella che si
aveva in precedenza. Il darsi da fare con gli esempi particolari o
i casi speciali che si hanno in mente, può essere descritto propria­
mente come sperimentazione matematica, ed era forse questo
il tipo di esperimenti che aveva in mente Bernays quando parlava
di esercizi matematici come esperimenti (vedi paragrafi 1 2 e 1 3 ) .
L a storia della matematica degli ultimi cento anni, ad ogni modo,
è uno sviluppo storico di processi deduttivi di questo tipo, in cui
le due parti costitutive dell'attività matematica svolgono un ruolo
complementare: i casi particolari o i modelli di cui si occupa la
teoria deduttivamente formulata sono costruzioni elaborate con
la teoria degli insiemi; il complementarismo è particolarmente in­
teressato a mettere in luce il fatto che quelle teorie che ammet­
tono solo modelli che possono essere formulati con teorie degli
insiemi più forti di quella basata sugli assiomi A1 -A9 hanno una
rilevanza epistemologica minore di quelle teorie che ammettono
modelli costruiti sulla base degli assiomi A1 -A9. Ne è un esempio
tipico l'Analisi non standard (paragrafo 8 ) .
Così, s e i l complementarista concepisce l'unità della matema­
tica non come "costruzioni dal discreto" (come nel costrutti­
vismo) né come "deducibilità da sistema di assiomi", allora
cos'è che secondo lui rende la matematica quel fenomeno unita­
rio che appare essere ? Ecco la risposta: la matematica è la scienza
esclusiva che studia l e connessioni tra le qualità mutuamente irri­
ducibili del discreto e del continuo, del numero e della spazia­
lità. Si tratta di connessioni che non sono fornite da decreti as­
siomatici quali l'assioma dell'insieme potenza e l'assioma di scelta,
Concezione complementarista 141

ma stabilite dalle discipline matematiche stesse con i loro metodi


e risultati. Per comprendere tutto ciò basta richiamare alla mente
la profonda differenza esistente in matematica tra metodi alge­
brici e metodi di natura analitico-topologica.
Da quanto detto, risulta chiaro come non per caso la geome­
tria algebrica sia la branca della geometria più idonea ad appli­
cazioni nella teoria dei numeri algebrica. Allo stesso modo, è
stata la geometria dei numeri ad aver fornito, stabilendo la con­
nessione tra reticoli (discreto ) e funzioni analitiche (continuo) ,
il legame storico tra teoria dei numeri algebrica e teoria dei nu­
meri analitica. Non è nemmeno un puro caso che ci siano una
topologia combinatoria (approccio discreto) e una topologia ana­
litica (approccio continuo) , una teoria combinatoria della proba­
bilità e una teoria analitica della probabilità (vedi anche Freuden­
thal, 1 9 3 2 ) . Si potrebbero aggiungere molti altri esempi ma qui ci
preme piuttosto ricordare il famoso lavoro di Pierre Deligne
( 1 9 7 4) che ha fornito una dimostrazione delle congetture di Weil
(vedi Serre, 1 9 7 3 / 74; Dieudonné, 1 975) : è un eccellente esempio
di come la matematica evidenzi la correlazione e lo scambio di
metodi tra discipline appartenenti al dominio del discreto e al
dominio del continuo (con lo scopo ultimo di ottenere conoscenza
aritmetica) . I metodi topologici che svolgono un ruolo essenziale
nella dimostrazione delle congetture sono adattamenti al domi­
nio teoretico dei numeri della cosiddetta topologia di Zariski, che
è a sua volta una topologia adeguata al dominio dell'algebra com­
mutativa. !. la cosiddetta topologia étale sul fascio definito da una
ipersuperficie proiettiva non singolare definita su un campo finito.
Le congetture di Weil riguardano la funzione � di tali varietà e
cercano il numero di soluzioni di un insieme di equazioni defini­
torie di tali varietà, dove questi numeri stessi figurano come punti
fissi delle potenze dell'automorfismo di Frobenius che agisce sui
punti (algebrici) dell'ipersuperficie.
In termini più generali, la contrastante composizione delle
teorie superiori suffraga la concezione che le discipline matema­
tich e standard, cioè quelle sorte dalle discipline classiche, forni-
142 Capitolo terzo

scono esse stesse gli strumenti per edificare ponti che superino
l'abisso tra il discreto e il continuo. Il complementarismo è perciò
incline ad affermare che la "dualità" discreto-continuo, algebrico­
topologico, numero-spazialità ecc. è strutturale, dato come il
mondo si presenta alla nostra mente. La teoria degli insiemi
definita dagli assiomi At-A9 può essere vista come un tentativo
di fornire un'espressione formalizzata di dove giaccia il confine
tra la parte epistemologicamente valida e quella deduttivamente
valida della matematica (vedi paragrafo 14).
Terminiamo questo paragrafo con due osservazioni intese a
chiarire il linguaggio della posizione complementarista-filosofica
per quanto si riferisce alla storia della matematica. La prima os­
servazione riguarda i termini "discreto" e "continuo" . Inizial­
mente li abbiamo usati (paragrafi 1 2-14) nel senso (genetica­
mente) originale, identificandoli rispettivamente col numero e il
continuo (lineare). Nel corso del capitolo, invece, li abbiamo
quasi in modo surrettizio cambiati, rispettivamente, in "alge­
brico" e "topologico" . La ragione deve essere spiegata e può es­
sere chiarita partendo dalla storia della matematica. Così i primi
due termini, che designano le entità "statiche" della matematica
classica, ci ricordano i tempi in cui l'atteggiamento classico-rea­
lista prevaleva ancora nella pratica matematica (e i ricercatori,
per la natura della loro matematica, rimanevano il più possibile
vicini alla matematica applicata, interpretando le entità fonda­
mentali come qualità che si applicano al mondo) . I termini "alge­
brico" e "topologico", invece, sottolineano l'attività operativa del
matematico : le "leggi" di composizione interne ed esterne tra
elementi discreti di insiemi sono operazioni di natura algebrica,
mentre la topologia è un "calcolo" con intorni (aperti o chiusi)
di elementi di insiemi. La storia della matematica ci insegna che,
nella prima metà di questo secolo, i principali argomenti alge­
brici (teoria algebrica dei numeri ecc.; si veda più avanti il para­
grafo 1 7) si sono potuti sviluppare in modo significativo solo
imponendo adeguate topologie sulle strutture ad essi pertinenti,
dato che queste topologie svolgono un ruolo essenziale ma spesso
Concezione complementarista 143

solo ausiliario per la soluzione di problemi puramente algebrici


(ad esempio il cosiddetto principio di Hasse nella teoria delle
forme quadratiche, i metodi locali-globali della geometria alge­
brica ecc.) . Analogamente, la definizione di adeguate leggi alge­
briche di composizione di funzioni in spazi topologici hanno con­
dotto non solo alla nascita di intere discipline (Analisi lineare,
algebre di Banach ecc. ; si veda più avanti il paragrafo 1 7) , ma
anche ad applicazioni in fisica (attraverso la teoria degli opera­
tori, la teoria delle distribuzioni, la teoria analitica della proba­
bilità ecc.) . Per capire questo sviluppo storico dal punto di vista
della "dualità" discreto-continuo, è bene notare che punti, discon­
tinuità, singolarità, eventi, probabilità, trasformazioni ecc. nel
dominio dell'Analisi e della topologia sono entità discrete come
lo sono i numeri e le funzioni nel dominio della teoria dei numeri
e dell'algebra. Inoltre, sul versante topologico, è necessario notare
che il concetto che si aveva nel diciannovesimo secolo di con­
tinuo e continuità (ad esempio delle funzioni) , nel ventesimo se­
colo è stato elevato al livello topologico; così da soddisfare la
natura manifestamente più operativa e costruttiva della mate­
matica pura. Allora, nel contesto topologico, una funzione conti­
nua venne a configurarsi come una rappresentazione adeguata­
mente descritta di uno spazio topologico in un altro. Operando
così con il concetto di "intorno aperto" come pietra da costru­
zione di uno spazio topologico, le classiche geometrie sintetiche
(assiomatiche) euclidee e non euclidee potevano armonizzarsi con
la topologia, con il risultato che, ai nostri giorni, si tende nella
didattica matematica a trascurare queste discipline, benché in
molte tecnologie applicate la geometria euclidea sia ancora un
fondamentale strumento operativo (si veda l'osservazione di Ber­
nays citata nel paragrafo 1 3 ) . Ad ogni modo, nessuno vorrà ne­
gare che lo sviluppo della teoria degli insiemi e della topologia
sistematica sia stato il principale responsabile dell'impetuoso af­
fermarsi di quelle discipline che, in una forma o nell'altra, impie­
gano il concetto di "varietà" o "schema". Ancor meno si può
negare che sia del tutto adeguata la caratterizzazione basata sul
144 Capitolo terzo

termine "topologico" di tutto ciò che, in linea con la geometria


classica e con l'Analisi, conduce un'esistenza derivata.
L'osservazione finale riguarda l'eventuale compito di una filo­
sofia della matematica. Ammesso che tale compito esista, dal
punto di vista complementarista si tratta certamente di un com­
pito modesto o limitato. In effetti, da quanto detto in precedenza
consegue che il modo implicito o "spontaneo" (vedi paragrafo
1 2 ) in cui i matematici hanno affrontato i sette aspetti menzionati
dell'attività matematica mette in rilievo quali connessioni e quali
ponti si possano tracciare tra il discreto e il continuo. Avvalen­
doci dei termini adottati nel paragrafo l si può concludere: la
filosofia della matematica impiega necessariamente un linguaggio
che è un misto di linguaggio naturale e di linguaggio formale o
linguaggio logico, e per tale natura è aperto a inesattezze e con­
traddizioni (vedi paragrafo 7 ) ; tuttavia esso può servire a fondere
le esperienze parziali del matematico, del fisico e dello scien­
ziato in un'unità sperimentale. Ovviamente, sarà di grande im­
portanza a questo proposito un approfondito studio della storia
delle discipline matematiche. Per quanto risulta all'autore, finora
non si è mai tentato di scrivere una storia della matematica in­
centrata in modo specifico sulla relazione tra il discreto e il con­
tinuo. Va però ricordato che S. Bochner in varie occasioni ha
attirato l'attenzione su una dualità "discreto-continuo" in mate­
matica e in situazioni non matematiche: alcuni dei suoi esempi,
che sembrano adattarsi allo schema che abbiamo cercato di deli­
neare in questo capitolo, verranno citati nel prossimo paragrafo,
anche se probabilmente Bochner non li aveva concepiti per soste­
nere la posizione più radicale qui adottata.

l 7. Un ponte sull'abisso tra il discreto e il continuo


Nella tabella l elenchiamo sotto (a) quelle discipline matema­
tiche standard che sono simili, per quanto riguarda argomento
e metodi, alla teoria classica dei campi e dei polinomi (teoria di
Galois), all'algebra classica, alla teoria delle rappresentazioni e
Concezione complementarista 145

alla teoria elementare della probabilità. Gli argomenti elencati


sotto (b ) sono frutto della teoria classica delle funzioni (com­
plesse), delle geometrie classiche e della fisica. Al di sopra dello
spazio di separazione tra (a) e (b) mettiamo la logica e la teoria
degli insiemi per indicare l'onnipresenza di tali discipline dovuta
al loro carattere normativa: esse enunciano quali ragionamenti
sono consentiti e che cosa vada inteso con insieme (vedi para­
grafo 14). La teoria delle categorie, che ha circa vent'anni, è
posta sotto lo spazio di separazione, in quanto non ha un valore
normativa né, come argomento matematico, si può far rientrare
in una delle due colonne (a) o (b) . Una categoria è formata da
tutti gli oggetti di un certo tipo (gruppi, spazi topologici ecc.) e
delle applicazioni (rispettivamente omomorfismi, mappe conti­
nue ecc. ) che esistono tra ogni coppia di questi oggetti. Si parla
della categoria dei gruppi, della categoria degli spazi topologici
ecc., a condizione che gli oggetti (gruppi, spazi topologici ecc.)
vadano identificati se sono isomorfi (rispettivamente isomorfi,
omeomorfi ecc.) . Un argomento essenziale della teoria delle ca­
tegorie è lo studio di particolari costruzioni (prodotti diretti,
somme, prodotti tensoriali ecc.) che possono essere fatte con
oggetti di categorie individuali, in modo tale che queste costru­
zioni vengano descritte in un linguaggio universale che si adatti
immediatamente a tutte le categorie in cui tali costruzioni sono
possibili. In questo modo si possono definire in termini di cate­
gorie la teoria dell'omologia e della co-omologia, i limiti proiet­
tivi e induttivi ecc., e queste descrizioni possono riguardare cate­
gorie sia con oggetti appartenenti al dominio del discreto sia con
oggetti appartenenti al dominio del continuo. Ne è risultato un
potente linguaggio utile ed economico, in quanto il suo uso fa
riconoscere come analoghe certe procedure di domini della mate­
matica ampiamente divergenti, creando così problemi in certe
discipline per analogia con altre discipline. Dal punto di vista
complementarista, la teoria delle categorie andrebbe vista come
un importante espediente linguistico interdisciplinare che per­
mette un'economia di pensiero matematico, più che come una
146 Capitolo terzo

disciplina paragonabile, diciamo, alla teoria dei gruppi quale si


era sviluppata alla metà del diciannovesimo secolo. L'elenco degli
argomenti matematici non pretende di essere completo, ma cia­
scuno di tali argomenti ha costruzioni e metodi che si possono
descrivere nella teoria degli insiemi definita dagli assiomi At-A9
del paragrafo 1 6 . Abbiamo inoltre cercato per quanto possibile
di elencare su una stessa riga argomenti che siano l'uno la con­
troparte dell'altro nei due domini (a) e (b) .
Ripetiamo che cosa significa affermare che un certo argomento
appartiene a una delle due categorie. Se l'argomento è inserito

TABELLA l Discipline matematiche standard

(a) Discreto (Algebra) (b) Continuo (Topologia)

Teoria degli insiemi Logica


l. Gruppi, anelli, grafi ecc. Gruppi, anelli ecc. topologici
2. Geometria algebrica Geometria analitica
3 . Topologia algebrica Topologia analitica, Varietà
(algebra omologica)
4. Teoria algebrica di Lie Teoria di Lie
5. Teoria algebrica dei fasci Teoria analitica dei fasci
6. Teoria algebrica dei numeri Teoria analitica dei numeri
7. Vari età algebriche Varietà analitiche
(e differenziali)
8. Teoria combinatoria della Teoria analitica della probabi­
probabilità lità (teoria della misura)
9. Teoria della sommabilità Calcolo integrale
(serie)
1 0 . Equazioni alle differenze Equazioni differenziali
finite
1 1 . Algebra lineare Analisi lineare
(algebra di Banach)
1 2 . Geometrie finite Geometrie classiche
1 3 . Scienza degli elaboratori
Teoria delle categorie
Concezione complementarista 147

nella categoria (a) , allora la struttura sottostante (campo, spazio


di soluzioni di equazioni, algebra, fascio, insieme ecc.) è soggetta
a operazioni algebriche, cioè a operazioni che ci permettono di
calcolare, con ogni due elementi dell'insieme, un terzo elemento.
Da un punto di vista epistemologico e genetico, grandi parti di
questi argomenti non si sarebbero potute sviluppare al loro at­
tuale livello sulla sola base della topologia discreta (che considera
ogni punto delle loro strutture base come un intorno base aperto
o chiuso) ; anche se la conoscenza che si cerca è spesso di natura
discreta senza riferirsi a nessun tipo di topologia. Così, come si
può arguire dalla storia di questi argomenti, la natura di ciascuno
di essi e delle entità di cui essi si occupano porta alla definizione
di una topologia (sulle loro strutture ) meno fine della topologia
discreta (essendo quest'ultima la topologia più fine di cui possa
essere dotato un insieme) . Queste topologie impiegano abitual­
mente per la loro definizione quelle proprietà delle entità costi­
tuenti le strutture che sono ad esse più congeniali. Ne sono esem­
pi la topologia di dimensione zero (cioè compatta e totalmente
discontinua) sui gruppi (infiniti) di Galois, che ha origine dal
fatto che qualsiasi estensione infinita di campi algebrici è un
limite diretto di quelle di grado finito; la topologia p-adica (dove
p è un numero primo) sul campo dei numeri razionali, che usa
la proprietà di unicità della divisione degli interi; la topologia di
Zariski sulle varietà algebriche e sui gruppi algebrici, che impiega
le proprietà base degli insiemi di soluzioni di equazioni polino­
mie; l'assenza di topologie meno fini nelle teorie della sommabi­
lità, nella teoria dei gruppi finiti e nella geometria finita, e la
presenza della topologia reale (rispettivamente complessa, p-adi­
ca) nella topologia algebrica euclidea e nella teoria algebrica reale
(rispettivamente complessa, p-adica) di Lie e nelle algebre lineari.
Dopo aver visto come algebra e topologia si colleghino, sor­
gono le domande su che cosa leghi tra loro gli argomenti elencati
sotto (b) e su come essi si connettano col dominio del discreto.
Per quanto riguarda la prima domanda, basta scorrere l'elenco
(b ) per accorgersi che senza eccezioni c'è in ciascun argomento
148 Capitolo terzo

un "calcolo di intomi", cioè una topologia, anche se la topologia


in questione non è resa esplicita nei termini degli assiomi di Ku­
ratowski (ad esempio, le geometrie classiche, incluse le geometrie
di Riemann, e l'Analisi classica facevano originariamente uso del
continuo e di funzioni continue e simili, mentre solo più tardi il
loro linguaggio si elevò a livello di topologia) . Anche le versioni
originali di questi argomenti impiegavano senza eccezioni, in
una forma o nell'altra, quelli che sono oggi chiamati spazi com­
pleti (reali o complessi) . Tranne forse che per le geometrie clas­
siche, la maggior parte delle questioni con cui hanno a che fare
queste teorie riguardano funzioni definite su questi spazi, ed è
superfluo aggiungere che l'interesse classico è soprattutto pun­
tato sulle funzioni continue di questo tipo. Va comunque notato
che, con la nascita e lo sviluppo delle discipline elencate sotto
(b), le funzioni continue non hanno perso nulla della loro im­
portanza, anche se ai nostri giorni le funzioni e operazioni di­
scontinue sono venute sempre più alla ribalta (vedi Bochner,
1 972). I teoremi degli argomenti elencati sotto (b), che trattano
di funzioni discontinue e punti di discontinuità di funzioni, sem­
brano però spesso ricevere interesse sullo sfondo delle loro con­
troparti continue e, ad ogni modo, assumono significato solo in
un contesto topologico: è un esempio di come entità discrete
richiedano speciale attenzione nel dominio del continuo. (Rinun­
ciamo a discutere le costanti naturali discrete, come 1t ed e, che
derivano dalla geometria e dall'Analisi e che svolgono un ruolo
per niente banale in tutti gli argomenti elencati sotto (b).) In
senso più esteso, però, singolarità, probabilità, eventi, "particel­
le", trasformazioni, punti ecc. (vedi paragrafo 1 6) , nel contesto
degli argomenti (b), sono impensabili al di fuori del contesto
topologico in cui sono definiti.
Passiamo ora alle operazioni algebriche nei domini elencati
sotto (b) . Mentre, in generale, gli argomenti elencati sotto (a)
sono di natura algebrica e le operazioni topologich e sono ag­
giunte come mezzi a un fine algebrico, si può dire che gli argo­
menti elencati sotto (b) siano in genere di natura topologica, e
Concezione complementarista 149

ch e le operazioni algebriche vengano aggiunte per servire i fini


di teoria delle funzioni e topologici. In entrambi i casi, si prefe­
risce definire le operazioni algebriche e topologiche in maniera
che si integrino le une con le altre nel senso che si richiede che
le operazioni algebriche - considerate come "funzioni" sulla
seconda potenza cartesiana della struttura sottostante con valori
nella stessa struttura - siano continue. Questa circostanza (cioè
il fatto che in entrambi i domini le operazioni algebriche siano
di solito continue) , insieme con l'impianto assiomatico-formalista
delle discipline, nasconde spesso le differenti origini epistemolo­
giche delle sottodiscipline (è come se di fronte a un ponte che
attraversa un profondo burrone ci si domandasse: da quale dei
due lati è stato costruito il ponte ?) Possiamo rendere più chiara
la cosa con un esempio che riguarda tutti gli argomenti, consi­
stenti in larga parte nell'applicazione della teoria delle funzioni
standard o dell'Analisi su spazi topologici completi (ad esempio
teoria algebrica e analitica di Lie, algebra di Banach ecc.) . L'Ana­
lisi "astratta" su questi spazi può essere allora formulata assioma­
ticamente in modo che non è necessaria alcuna speciale assun­
zione sulla natura dello spazio di cui parla. Si può allora derivare
un considerevole corpo di formulazioni teoriche generali senza
prestare attenzione al fatto che a uno stadio successivo la teoria
si scinde in due parti importanti totalmente differenti tra loro,
vale a dire la teoria non archimedea delle funzioni (su uno spazio
base totalmente sconnesso, o totalmente discontinuo) e la teoria
archimedea (su uno spazio base con norma archimedea) . Nella
maggior parte delle applicazioni quest'ultima teoria riguarda
spazi con topologie derivate dalla topologia naturale dei numeri
reali, mentre l'altra teoria impiega topologie che in una forma o
nell'altra sono derivate da proprietà algebriche di alcuni dei suoi
sottoinsiemi (come, ad esempio, le proprietà della divisibilità
degli interi o dei polinomi nella teoria dei campi locali) . In effetti,
le norme non archimedee danno luogo a una teoria della con­
vessità e a un'Analisi lineare che appare del tutto differente dal­
l' Analisi lineare reale o complessa, e le loro principali applicazioni
150 Capitolo terzo

si hanno nel dominio della teoria dei numeri, nella teoria dei
gruppi algebrici (quindi nella geometria algebrica) e nella teoria
algebrica di Lie.
Si pone ora la seguente domanda: se le topologie totalmente
discontinue sono così preponderanti negli argomenti algebrici,
perché non sostituire le intestazioni delle colonne (a) e (b) ri­
spettivamente con "totalmente discontinuo" e "continuo" ? Con­
tro questa sostituzione ci sono molte obiezioni che prenderemo
in considerazione solo in parte (ad esempio, la topologia di Za­
riski nella geometria algebrica non è totalmente discontinua ecc.) .
La principale obiezione è che con questo procedimento ancora
una volta verrebbe nascosta l'origine genetica degli argomenti,
mentre il desiderio di fondo del complementarismo è seguire le
tracce del costituirsi storico-architettonico dell'edificio della co­
noscenza matematica: il termine "discreto" non è di natura topo­
logica, e anche se è preso come tale ci si può facilmente rendere
conto che la cosiddetta "topologia discreta" su un insieme non è
veramente una topologia.
Un secondo punto che abbiamo promesso di affrontare è co­
stituito dagli esempi portati da Bochner per suffragare la sua
idea che qualcosa come una "dualità" discreto-continuo illumini
tutta la matematica. Egli arriva a ipotizzare che un giorno questa
specie di dualità costituirà un momento centrale della matema­
tica, analogo al principio di complementarità di Bohr. Natural­
mente, non vogliamo affermare che il "principio" di comple­
mentarità che stiamo sostenendo vada visto come il momento
centrale ricercato da Bochner, ma certamente ne avanziamo la
candidatura. Se intendiamo bene quel che dice Bochner, la dua­
lità che egli ha in mente dovrebbe essere molto stretta e riflet­
tersi più in formule che in discipline, come è il caso del comple­
mentarismo. Ad esempio, egli ricorda che nella formula della
somma di Poisson il lato sinistro (una somma) è uno strumento
discreto e il lato destro (un integrale) è uno strumento continuo.
Osservazioni analoghe si possono fare a proposito della relazione
tra una funzione periodica (continua) e il suo insieme di coeffi-
Concezione complementarista 1 51

denti (discreti) di Fourier; a proposito della relazione tra l'in­


sieme delle autofunzioni di un'equazione di Sturm-Liouville e
l'insieme degli autovalori; a proposito della formula del resto di
Cauchy (che calcola la somma discreta dei resti di una funzione
in termini di integrale su una curva chiusa) e della dualità tra
omologia (continuo) e co-omologia (discreto) . Se osserviamo
bene questi esempi, vediamo che tutti, tranne l'ultimo, concer­
nono l'argomento contrassegnato col numero 9 del nostro elenco:
teoria della sommabilità-calcolo integrale. Nelle nostre analisi
precedenti abbiamo dedicato scarsa attenzione a questo argo­
mento, preoccupati come eravamo degli argomenti relativi a
spazi che portano a un'esistenza derivata. La valutazione di
somme (di numeri o funzioni, ad esempio) ha luogo in genere
a un livello molto più originario ed è il problema centrale della
teoria dell'integrazione convertire somme in integrali. Il che si
ottiene generalmente ponendo gli integrali come limite di somme,
ed è notevole nelle "dualità" ricordate prima il fatto che le
somme dei valori di certe funzioni possono essere uguagliate a
integrali di funzioni adeguatamente definite che si possono rica­
vare dagli addendi delle somme in questione. Ci rimane l'esem­
pio finale sulla (co ) omologia. In un senso molto lato, le ope­
razioni di co-omologia decompongono una varietà (topologica)
inscrivendovi dei simplessi nella maniera in cui, grosso modo,
si può inscrivere un poligono in un cerchio. Si tratta di un'ope­
razione discreta applicata a qualcosa di continuo (lo spazio topo­
logico in questione) . Operazioni con l'insieme di tutti i sim­
plessi che possono essere inscritti nella varietà portano a
informazioni essenziali sulla struttura della varietà. In modo del
tutto duale, ma approssimativamente, le operazioni omologiche
misurano la natura della struttura di continuità della varietà
mediante operazioni continue (la cosiddetta contrazione) su
curve chiuse che passano per i punti della varietà. Per ampie
classi di varietà la struttura omologica è determinata una volta
che lo sia la struttura co-omologica e viceversa. Non vediamo,
però, come questo esempio rientri nello schema degli argomenti
1 52 Capitolo terzo

(a) e (b), semplicemente perché ci sono teorie dell'omologia e


della co-omologia per argomenti elencati sotto (a) e sotto (b) ;
queste teorie sono infatti analoghe quanto ad argomenti sulla
stessa riga, ma differenti perché la definizione della (co ) omolo­
gia negli argomenti corrispondenti non è in genere la stessa, in
quanto differiscono considerevolmente le rispettive topologie.
Ne consegue che solo negli esempi tratti dalla teoria dell'inte­
grazione le dualità citate sono esempi di ponti gettati sull'abisso
tra operazioni discrete e operazioni continue. Può allora avve­
nire, dopo tutto, che i matematici concordino sul fatto che la
"dualità" che abbiamo cercato di mettere in evidenza è fonda­
mentale per quanto concerne le discipline matematiche e ri­
vela qualcosa di non banale sulla loro origine epistemologico­
genetica.
Capitolo 4
Complementarità degli aspetti soggettivi e oggettivi
della matematica

Nel capitolo 3 ct stamo soffermati a considerare il ruolo


complementare che in matematica ha ciò che può andare sotto
il nome di "discreto" e "continuo" . 1 Abbiamo descritto la ma-

1 II termine "continuo" non si riferisce a un particolare concetto matema­


tico, come nel caso del concetto "funzione continua" , bensì all'originale (reale)
continuo geometrico, cioè alla connessione geometrica e al concetto ("poste­
riore" o "derivato" da un punto di vista epistemologico-genetico) di spazio
topologico, ossia di un insieme su cui è definita una "struttura di intorni" o
"topologia" . Esempi di concetti fondati nel discreto (tra parentesi è indicata
una controparte continua) : numero (intorno), punto (linea), evento (processo) ,
interruzione (non-interruzione) , maggiore-minore (direzione geometrica), suc­
cessione (suddivisione senza termine) , induzione completa (densità geometrica),
infinito potenziale ("infinito attuale" come coesistenza simultanea di tutti i
punti nello spazio), zero di una funzione (supporto di una funzione), algo­
ritmo (costruzione geometrica) , simbolo algebrico (variabile analitica) .
II lavoro della scuola storica di "geometria (proiettiva) sintetica", operante
secondo la linea di Monge ( 1 746- 1 8 1 8) e rappresentata da Carnot ( 1 7 5 3 - 1 8 2 3 ) ,
Poncelet ( 1 788-1 867), Gergonne ( 1 77 1-1 859), Steiner ( 1 796-1863) ecc., è un
esempio di come si possa sviluppare un argomento esclusivamente dal lato
della continuità (evitando l'aspetto aritmetico-algebrico, cioè discreto) . In
effetti il "principio di continuità" di Poncelet e l'uso del quadrilatero completo
di von Staudt ( 1 856) permisero di ottenere una geometria quasi "senza for­
mule", così da poter eliminare le coordinate e il birapporto. Questioni aritme­
tiche quali quelle che sorgono nella teoria isoperimetrica (ad esempio: dato
un certo perimetro, il cerchio è la figura avente l'area maggiore) non rien­
trarono in questo schema, dal momento che possono essere dimostrate solo
tramite il calcolo e l'algebra (Weierstrass, Caratheodory e Study, vedi M.
Kline, 1972, pp. 8 3 7-40) . Inoltre, in questa scuola non si sarebbe mai potuta
sviluppare una teoria delle misure proiettive. F. degno di nota il fatto che il
154 Capitolo quarto

tematica pura come quel particolare tipo di pensiero che uti­


lizza e mette in relazione "entità" o "momenti" discreti e con­
tinui, e che di conseguenza unisce metodi algebrici e topologici
nello studio delle strutture risultanti da quell'interrelazione.2
Tali strutture o "modelli" vennero determinati utilizzando la
teoria degli insiemi (ingenua o no) e fissando, in linguaggio as­
siomatico, le relazioni che valgono all'interno del modello.
In effetti la scelta del sistema assiomatico definitorio (per
una geometria, un gruppo, un anello, un fascio ecc.) può essere
ispirata (o determinata) da esperienze di natura quanto mai
varia (ad esempio numerica, spaziale, fisica, tecnologica, sociale,

teorico dei numeri Kronecker ( 1 823-1891), partendo dal polo diametralmente


opposto, non considerò matematici (in senso proprio) i teoremi o gli artifici
che non si potessero presentare in termini di numeri naturali. Fortunatamente,
egli "dimenticò temporaneamente la propria filosofia" (come dice Poincaré)
affrontando argomenti quali le formule sui limiti e i numeri di classe. Ad
esempio, il numero di classe di un campo quadratico reale ammette solo
espressioni che comportino funzioni trascendenti. Inoltre, i limiti presuppon­
gono sistemi di intorni, cioè strumenti di non immediata evidenza provenienti
dalla geometria.
2 L'origine duale delle discipline matematiche standard si riflette nei loro
nomi. Elenchiamo sinteticamente un certo numero di discipline che discendono
dal polo discreto ( "aritmetico-algebrico"), indicando tra parentesi le loro
controparti nel continuo: geometrie finite e non archimedee (geometrie clas­
siche), Analisi non archimedea (archimedea) ; gruppi, anelli ecc. discreti (topo­
logici) ; geometria algebrica (analitica) ; topologia algebrica (topologia anali­
tica, varietà) ; teoria di Lie algebrica (analitica) ; teoria dei fasci algebrica (ana­
litica) ; teoria-K algebrica (analitica) ; teoria dei numeri algebrica (analitica) ;
teoria combinatoria della probabilità (teoria analitica della probabilità, teoria
della misurazione) ; teorie della sommabilità (calcolo integrale) ; equazioni alle
differenze finite (equazioni differenziali) ; algebra lineare (analisi lineare, teoria
di Banach) ; scienza dell'informazione (analisi numerica) . In senso lato si po­
trebbe dire che nei settori che discendono dal discreto vengono usati metodi
topologici a fini algebrici, mentre, viceversa, nei settori che discendono dal
polo continuo ("geometrico-analitico" ) si aggiungono operazioni algebriche
al fine topologico (vedi paragrafo 1 7 ) . Si noti che le principali topologie
emergenti dalla teoria dei numeri e basate sulle proprietà di unicità della
divisibilità dei numeri naturali sono "totalmente discontinue" (non connesse) .
Metodi quali quelli della teoria adele, i quali assumono queste topologie e
quelle che si hanno con la topologia sui numeri reali complessi, sono eccel­
lenti esempi di ponti che scavalcano l'abisso tra il discreto e il continuo. Le
funzioni in argomentazioni analitiche dovrebbero essere considerate le entità
che fungono da mediazione tra questi due poli; possono essere infatti entità
algebriche discrete, quali "punti" di spazi, e allo stesso tempo (a pezzi) con­
tinue (quale una rappresentazione di spazi con una certa proprietà) .
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 155

storica ecc.) . Il "determinismo" che questo fatto implica è però


controbilanciato da certe forme di "libertà" consentite al mate­
matico ricercatore. Non solo egli "sceglie" misure, "impone" to­
pologie, "forma" classi di equivalenza, "costruisce" insiemi, "sele­
ziona" elementi, ma anche può "riorganizzare" teorie in modo
che, ad esempio, certi teoremi e certi assiomi si scambino i ruoli.
Dato che i più semplici esempi o modelli che stanno alla base
di ogni argomento della matematica odierna sono miscugli di
numeri e f o spazialità, di nozioni discrete e f o continue, è giu­
stificato chiamare questi due aspetti "antagonisti", il "discreto"
e il "continuo", gli aspetti oggettivi del fare matematica.
A un livello del tutto diverso, ma collegati a questa duplice
sfaccettatura dell'oggetto o campo di interesse matematico,3 si
trovano gli aspetti più soggettivi, mentali e culturali del fare
matematica. Di solito essi non riguardano direttamente il mate­
matico ricercatore anche se in qualche modo sono impliciti in
tutta la sua attività, e non sono tipicamente "matematici" in
quanto sembrano presenti, sia pure in modo rudimentale, in ogni
tipo di pensiero deduttivo. I più importanti sono gli aspetti
logici, linguistici (simbolici o formali), creativo-costruttivi,
deduttivo-assiomatici, insiemistici, psicologici, sociali, applica­
tivi, estetici, filosofici e intuitivo-cognitivi. (Al lettore non sfug­
girà che questo elenco, che non intende essere esauriente, è
leggermente ampliato rispetto a quello dato nel paragrafo 1 2.)
Mentre in un certo senso numero e spazialità, discreto e
continuo, sono aspetti del mondo relativamente indipendenti
dall'uomo, la caratteristica principale degli aspetti mentali-cul­
turali è quella di rappresentare, per così dire, il versante "di
libertà" dell'attività matematica; sono essi che determinano il
modo in cui certi settori della conoscenza matematica - a un
certo punto del corso della storia - sono presentati e (ri-)orga­
nizzati. Ad esempio, agli antichi greci viene generalmente attri-

3 Più avanti daremo un'ulteriore spiegazione del termine "campo di inte­


resse" in matematica.
156 Capitolo quarto

buito il merito di aver inventato il metodo assiomatico-deduttivo


della matematica; furono loro, inoltre, a compiere i primi passi
verso la scoperta della logica, matematica o non, e molto essi
fecero sulla strada delle costruzioni geometriche. f: anche asso­
dato, però, che l'impostazione filosofica prevalente - assieme
alla composizione sociale della polis greca, divisa in Lehrstand
[sapienti] , Wehrstand [guerrieri] e Niihrstand [contadini} - è
responsabile del tipo di matematica a orientamento geometrico,
povero di applicazioni e contemplativo, sorto nell'antica Grecia.
A parte forse l'aspetto psicologico, la seconda importante ca­
ratteristica degli aspetti soggettivi è quella di presentare moda­
lità che permettono all'individuo di esprimersi e comunicare in
modo creativo. (L'elenco, naturalmente, può non essere com­
pleto e va ampliato o modificato.) Ma veniamo rapidamente al
punto essenziale: essi costituiscono differenti aspetti comple­
mentari del fare matematica in quanto fenomeno storico-cul­
turale. Inutile dire che la verifica di questa particolare comple­
mentarità è più intricata che non la verifica di quella esistente
nel campo oggettivo e che, per di più, le due complementarità
sono tra loro strettamente collegate. Cent'anni fa, chi avesse
voluto evidenziare questa complementarità non avrebb e potuto
far riferimento alla storia del logicismo (che cercava di far risa­
lire la matematica interamente alla logica) o a quella del forma­
lismo (che poggiava sulle intrinseche limitazioni del ragiona­
mento simbolico vuoto di contenuti di tipo finitistico) e del
costruttivismo (che è incentrato su costruzioni mentali guidate
da intuizioni) . Storicamente, queste tre tendenze nel campo della
fondazione della matematica non erano nate tanto dal desiderio
di comprendere in tutti i suoi aspetti la natura del ragionamento
matematico, quanto dal tentativo di garantire l'indubitabilità e
la correttezza della matematica pura avvicinandosi alla mate­
matica a partire dai suoi tre aspetti soggettivi più importanti,
rispettivamente il logico, il linguistico e il creativo. Proce­
dendo su questa strada, il logicismo e il formalismo misero in
rilievo ampi strati del versante del discreto del ragionamento
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 1 57

spontaneo che si ha nelle discipline matematiche standard, cioè


la logica matematica (simbolica) , intesa o meno come sistema
formale. Il costruttivismo e soprattutto il (neo-) intuizionismo
olandese misero fin dall'inizio in evidenza il versante del con­
tinuo del pensiero matematico, sottolineando le dinamiche in­
terne del pensiero che spontaneamente concepisce e crea con­
tenuti matematici, relativamente indipendenti dal linguaggio e
dalle forme simboliche esterne (giungendo così a un concetto di
continuo da costruirsi al di fuori delle nozioni discrete, vedi
paragrafo 3 ) . Quindi, per quanto nel campo oggettivo della
matematica non ricorra questo tema dell'opposizione "discreto­
continuo", esso nondimeno ne costituisce, per analogia, un esem­
pio. Infatti la logica formalista (svuotando formule e teorie
matematiche dei loro contenuti; Hilbert, 1 928) non poté infine
garantire su base finitistica la coerenza e la decidibilità della
teoria elementare dei numeri e della geometria classica (Godei,
1 9 3 1 ) e si esaurì nella cosiddetta teoria riduttiva della dimostra­
zione e nella bella teoria dei modelli. (La teoria dei modelli
reintroduce contenuti per sistemi formali "interpretando" il si­
stema simbolico discreto in parti di teorie matematiche intui­
tive di vario tipo. )
In tutt'altra direzione, partendo dalla topologia (continua)
e battendosi per una matematica "senza formule" , il costrutti­
vismo di Brouwer ( 1 9 1 2) corse rischi di solipsismo e oscuran­
tismo. Fu comunque uno degli allievi di Brouwer (Heyting,
1 9 3 0) a riconoscere che ai soli fini della comunicazione (un ele­
mento sociale !) si poteva accettare qualche tipo di formalizza­
zione (discreta) della logica intuizionista, e fu lui a portare a
termine tale compito. Questo ramo dell'intuizionismo ha con­
dotto alla formazione di differenti scuole e versioni del costrut­
tivismo nella matematica odierna (Kleene, Bishop e altri) . Ci
porterebbe troppo lontano l'analizzare qui la teoria riduttiva
della dimostrazione (e la cosiddetta teoria dei sistemi conser­
vativi) come esempi di estensione delle idee formaliste a sistemi,
spesso costruttivistici; voglio però sottolineare che nella teoria
158 Capitolo quarto

dei modelli, del tutto rigorosamente deduttiva e non spontanea,


c'è una componente di continuità, la "continuità di pensiero"
del "movimento di pensiero" (in tedesco Denkbewegung), sotto
la guida della quale l'individuo organizza in uno "spazio
di pensiero" (in tedesco Denkraum) la teoria logico-formale
(considerata semplicemente come insieme di simboli ed espres­
sioni) , contrapponendola ai contenuti essenzialmente non finiti
(il modello) di quella teoria, con l'intento finale di (ri-) connet­
terli; allo stesso modo in cui possiamo collegare insiemi di sem­
plici simboli di numeri reali (decimali) , senza interpretarli ma
con le loro relazioni formali, al continuo geometrico, dove rice­
vono significato e interpretazione.
Naturalmente, ogni attività di pensiero deduttivo o scienti­
fico ha luogo nello "spazio di pensiero", ma il linguaggio della
logica non è stato mai così rigorosamente definito come per il
pensiero matematico e per nessun altro argomento il linguaggio
e il simbolismo logico sono stati così elaborati e così separati
dalle intuizioni e dai contenuti come nelle teorie sui fonda­
menti della matematica elementare. Inoltre, non appena l'uomo
inizia a separare nello spazio di pensiero la teoria formale dai
suoi contenuti, si viene a trovare sulla strada del modo di pen­
sare che è tipico della matematica del ventesimo secolo, e che
invece non è chiaramente rappresentato nella geometria classica
(assiomatica) euclidea, dove "spazio di pensiero" e "spazio"
sembrano coincidere; il che significa, tra l'altro, che la parola
"assiomatico" non basta a caratterizzare l'attuale modo di pen­
sare. Potremmo dire che il concetto classico di continuo (con i
suoi punti, rette, piani, movimenti ecc., ma senza assiomatizza­
zione) è il concetto di spazio originario, considerato dal punto
di vista epistemologico. Ogni altro concetto di spazio (assioma­
tico o meno) lo chiamo derivato, anche se si riferisce a insiemi
semplici di punti, simboli, numeri, formule ecc., sempre che
questi insiemi siano dotati di una topologia o di qualche "cal­
colo degli intorni" . Alla luce di tutto ciò non è certo sorpren­
dente il fatto che certe teorie formali siano aritmetizzabili (la
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 159

"numerazione" di Godei, ad esempio) e topologizzabili (sistemi


aperti e chiusi di espressioni, dimostrazioni topologiche di com­
pletezza ecc.) , proprio perché le categorie matematiche della
misurazione e della numerazione si applicano altrettanto bene
a organizzazioni nello spazio di pensiero. Ricordiamo, per in­
ciso, che esiste tutta una serie di indagini matematiche sulle
strutture linguistiche, quali il linguaggio naturale, il linguaggio di
vari tipi di logica ecc. "Metamatematica" è il termine usato per
definire le ricerche che studiano (matematicamente) la struttura
del linguaggio (a tal fine prima formalizzato) delle teorie mate­
matiche elementari, che comprendono le loro dimostrazioni.
Va rilevato che i movimenti di pensiero hanno una specie di
carattere osservativo: il singolo matematico ha una percezione
globale di intere sezioni del proprio modello4 con le sue rela­
zioni o si indirizza sulle formule linguistiche che esprimono tali
relazioni. Durante questo processo di rapida analisi globale
può fissare la sua attenzione su certe caratteristiche del campo
che sta considerando, con ciò cancellandone altre, e non si può
sempre dire che la comprensione del modello (e l'intuizione che
l'accompagna) preceda il linguaggio che lo formula, dato che
sussiste un intenso interscambio tra linguaggio e modello. A
volte il linguaggio crea e fa scattare le intuizioni; altre volte il
linguaggio vien dopo la comprensione: in tutti i casi il linguag­
gio e il modello hanno bisogno l'uno dell'altro. L'aspetto più
sorprendente delle ricerche sui fondamenti della matematica
compiute negli ultimi quattro decenni è l'aver dimostrato in
molti modi che il movimento (di pensiero) , quando indaga un
modello sufficientemente ricco (ad esempio uno che contenga

4 Molti matematici sembrano inclini a parlare solo di intuizioni spaziali.


Invece qualsiasi oggetto o insieme strutturato di oggetti, rappresentato interna­
mente nella nostra mente, può essere esaminato e "sondato" in un movimento
di pensiero, e può portare a una conoscenza intuitiva; diciamo che gli oggetti
sono organizzati in uno "spazio di pensiero". Un esempio al limite è quello
di sistemi di formule definiti da regole formali di composizione senza un
significato annesso, come campi su cui la mente organizzatrice può esercitare
la propria capacità di teorizzazione, con sorprendenti applicazioni.
1 60 Capitolo quarto

la teoria elementare dei numeri), può andare molto più in là


di quanto non si possa fare con mezzi algoritmici e sintattici
(cioè puramente discreti) .
Fermiamoci ancora un po' su questo punto. Al livello ori­
ginario della geometria cinematica, un esempio è dato dal pa­
radosso "Achille e la tartaruga" di Zenone. Recentemente, Otte
ha dimostrato (ancora una volta) che l'essenza di questo para­
dosso sta nella complementarità tra il discreto e il continuo.5 Un
secondo esempio a livello elementare è il metodo diagonale di
Cantor, che mostra come i punti della retta non siano nume­
rabili.6 Al livello molto meno elementare della teoria dei modelli,
l'esempio è il "teorema di incompletezza" di Godei, con cui si
dimostra, attraverso un'estensione del metodo di Cantor, che
la teoria spontanea elementare dei numeri non può essere forzata
nei confini di una teoria formale (finitistica) . Sembra invero giu­
stificato affermare che i paradossi di Zenone sono esemplari per
la complementarità discreto-continuo a vari livelli.
Invece di soffermarci su questi esempi relativi alla contrappo­
sizione discreto-continuo che uniscono aspetti soggettivi e ogget­
tivi, prendiamo in considerazione alcuni aspetti più ampiamente
culturali del pensiero matematico, vale a dire la matematica ap­
plicata. Non intendo con questo la matematica modellata su sim­
bolismi o pure intuizioni matematiche, bensì la matematica mo­
dellata sui fenomeni della fisica, della biologia, della psicologia,
della scienza sociale ecc. 1?. la matematica che può rappresentare
una sorpresa - quando ad esempio una teoria pura già data si
rivela utilmente interpretabile in fisica e cambia quindi aspetto -
o può consistere in una parte di esperienza esterna cosciente-

5 Per la trattazione di Otte, si veda Otte (1974) pp. 1 84 sgg. Finché non
si hanno a disposizione le equazioni algebriche che rappresentano il movi­
mento totale come "entità" continua, è possibile solo trattare con quelle pro­
prietà del movimento che si possono ottenere con mezzi algoritmici (come la
somma di serie) .
6 Un algoritmo che permetta di contare tutti i numeri reali decreta da solo
il proprio fallimento perché genera numeri reali non compresi tra quelli nu­
merati grazie ad esso.
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 1 61

mente e intenzionalmente matematizzata, divenendo quindi punto


di partenza per una teoria matematica pura. Si tratta dunque di
un tipo di matematica di natura altrettanto costruttiva e dedut­
tiva delle altre teorie matematiche; la differenza sta nel fatto
che alcuni dei parametri e alcuni oggetti matematici (funzioni e
simili) che compaiono nella teoria sono interpretabili come
qualità che si applicano a situazioni empiriche o immaginate (ad
esempio al modello fisico) , in modo che ciò che avviene nelle
situazioni empiriche può essere "descritto" o perfino predetto
mediante gli algoritmi della teoria deduttiva. Concordo con Otte
nel ritenere che è del tutto insoddisfacente parlare a questo pro­
posito di (non costruttiva) "astrazione empirica" (come sembra
fare Piaget) , in contrapposizione alla cosiddetta (costruttiva)
"astrazione riflessiva" (cioè "riflessioni consistenti nel derivare
da un sistema di assiomi o di operazioni appartenenti a un livello
inferiore certe caratteristiche di cui sia garantita la riflessione, nel
senso quasi fisico del termine, su azioni od operazioni apparte­
nenti a un livello superiore", vedi Otte, citato in Beth e Piaget,
1 96 1 ) . Infatti nella misura in cui possiamo concepire nuove teo­
rie matematiche, utilizzando numeri, probabilità, discontinuità,
eventi, punti, linee, catastrofi, funzioni ecc. come "materia prima"
per i loro modelli, possiamo interrogarci sull'utilità di queste
teorie; e in quella misura possiamo scoprire che la nostra attività
di teorizzazione precede il loro uso o anticipare il loro successivo
significato empirico. Ciò è garantito dall'universalità del numero
e della spazialità e dai modi estremamente ricchi in cui essi inter­
agiscono nella vita del cosmo. Non sembra quindi esistere una li­
nea di separazione tra astrazioni empiriche e astrazioni riflessive.
Con questo non si vuole però sostenere che le teorie matema­
tiche pure, per quanto intelligentemente riescano a intrecciare i
momenti discreti e quelli continui, debbano essere considerate
appartenenti a un mondo autosufficiente e separato dal mondo
reale; vogliamo al contrario evidenziare come ci sia ogni ragione
per ritenere che nel cosmo il discreto e il continuo siano intrec­
ciati in modo di gran lunga più proficuo, così che le considera-
1 62 Capitolo quarto

zioni cosmologiche (fisiche, biologiche, sociali ecc.) continue­


ranno per generazioni a costituire fonte di ispirazione per
l'intelletto matematico.
Voglio far notare la molteplicità di modi in èui il "numero"
ricorre nella realtà: il contare, la molteplicità, la misurazione, il
calcolo (per una discussione in proposito vedi Freudenthal, 1 9 7 3 ,
cap. 1 1 ) . Analogamente per i l continuo: i l continuo geometrico,
il moto continuo, le mappe continue, la continuità storica, la
continuità del processo d'apprendimento (nonostante il manife­
starsi del discreto nei salti da un livello all'altro), le onde fisiche,
le emozioni, il movimento di pensiero, la continuità di vari tipi
di tempo ecc. Nessuna delle teorie esistenti sui fondamenti della
matematica ingloba completamente questi diversi significati di
continuità e di numero, o le verità matematiche che si possono
formulare al proposito. Infatti la logica accampa diritti solo su
verità possibili, sulla possibile coerenza delle teorie, sull'indipen­
denza relativa degli assiomi. Allo stesso modo una teoria mate­
matica formale precostituita è sulla carta un possibile strumento,
e diviene uno strumento effettivo non appena risulta nota (o uti­
lizzata) un'applicazione a una costruzione o modello matematico
immaginato 7 - che comporta nozioni base sia discrete che con­
tinue - o a una situazione in cui un modello del genere, mediante

7 Si possono costituire blocchi di teoria matematica spontanea sulla base


di definizioni, conoscendo solo gruppi di esempi (ad esempio teoria delle fun­
zioni o "Analisi" negli anni a partire dal 1 850) . In questo caso non parliamo
ancora di modello per la teoria. Il graduale sviluppo dellQ matematica verso
una più chiara separazione tra linguaggio e contenuti, teoria e modello, ebbe
(e ha) luogo sotto l'influenza di una filosofia che dà ai concetti matematici
una "sistemazione assiomatica". Sussiste anche una chiara influenza da parte
dell'aspetto fondazionale (le Grundlagen di Hilbert, ad esempio) e la teoria
degli insiemi contribuisce ampiamente a ottenere tali sistemazioni. Sono molte­
plici i modi per organizzare una teoria matematica, da quelli "euristici" origi­
nali (in cui esempio e teoria sono inseparabili) a quelli più deduttivi (e dedut­
tivistici) che optano più coscientemente per una separazione tra insiemi strut­
turati di esempi o "modelli" come Gegenstand per la teoria, da un lato, e la
teoria deduttiva come costruzione a livello del linguaggio logico, dall'altro.
Ogni docente di matematica deve operare una scelta responsabile sul modo
di insegnare una teoria facendosi guidare da molti parametri (sociali, psicolo­
gici, applicativi, estetici ecc.).
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 1 63

l'attribuzione di un significato alle nozioni base, è entrato in col­


legamento con la realtà. Solo di strumenti divenuti effettivi si
può dire che siano (o no) utilizzabili o veri; una caratteristica del­
l'attività matematica spontanea, in particolare nel periodo in cui
la teoria è in via di formulazione, consiste nel fatto che i suoi
concetti e le sue costruzioni sono strumenti effettivi; non c'è
alcuna teorizzazione spontanea nel limitarsi a scrivere file di for­
mule secondo certe regole, senza avere sempre in vista un'inter­
pretazione. E senza interpretazione non esiste verità.
In questa prospettiva diviene indispensabile prendere in esame
il ruolo sostenuto dai concetti (quali gruppi, anelli, geometrie
particolari, fasci, spazi topologici ecc., e il concetto di funzione)
nelle teorie matematiche e discutere che cosa significhi parlare
di rigore nella dimostrazione matematica.
La matematica si sviluppa su concetti, e i concetti hanno una
storia dinamica. Nel 1 80 1 Gauss pubblicò le sue Disquisitiones
arithmeticae, in cui, tra l'altro, effettuava calcoli con resti mod m
(dove m è un intero) seguendo ciò che ora chiamiamo le opera­
zioni di anello; ciò nonostante non gli viene attribuita la definizio­
ne del concetto di anello (risalente invece al decennio 1 8 80-1 890) .
Forse che i risultati di Gauss non erano rigorosi per il fatto che i
suoi calcoli (e la dimostrazione, ad esempio, della legge di reci­
procità quadratica) non si collocavano all'interno di una teoria
(assiomatica ) degli anelli ? Al contrario ! Ai tempi di Gauss erano
pochi gli anelli presi in considerazione dai matematici e solo più
tardi, con la scoperta di un numero sempre maggiore di anelli,
divenne opportuno e vantaggioso organizzare in un concetto tutte
le strutture che avevano in comune con gli interi mod m quelle
regole di composizione che ora chiamiamo "assiomi definitori
di un anello". E ogni enunciato che si può ora dedurre da questi
assiomi è necessariamente un enunciato che riguarda ogni anello.
La maggior parte dei concetti matematici, quali anelli ecc., sono
organizzazioni cognitive di insiemi di oggetti che hanno in co­
mune certe caratteristiche (di calcolo) . Facciamo un altro esem­
pio storico: ai tempi di Lagrange si conosceva un numero
1 64 Capitolo quarto

relativamente limitato di funzioni e non si aveva un concetto


chiaro di funzione,8 visto che non era certo abituale considerare
le funzioni come oggetti algebrici, cioè come elementi (discreti)
che formano un anello, un gruppo o un campo. Si sa che Eulero
e Lagrange, prima di Cauchy, volevano definire il concetto di
continuità di una funzion e semplicemente sulla base della forma
possibile di un'espressione algebrica che rappresenti quella fun­
zione: "Una funzione è chiamata continua o discontinua a se­
conda che i valori di quella funzione siano o meno prodotti da
una e una sola equazione" (citato in Otte, 1 974) . (Cauchy, con
la sua corretta argomentazione e definizione più rigorosa di con­
tinuità, diede convincenti controargomentazioni a questo con­
cetto: ibid.) . Forse che Lagrange ed Eulero non erano rigorosi
per il fatto che ponevano l'accento sull'aspetto algebrico e for­
male di una funzione invece che sul suo comportamento topo­
logico ? Non lo erano, infatti, perché tendevano a individuare in
un aspetto algebrico, sensoriale e discreto della funzione l'unica
determinante del suo essere (anche) un'entità topologico-conti­
nua. Cauchy, di conseguenza, non rese più rigorosa la teoria delle
funzioni per il fatto che la slegò dalla geometria (si dice spesso
che egli algebrizzò l'analisi respingendo le argomentazioni geo­
metriche) ; quel che fece in effetti fu di conservare della geome­
tria le argomentazioni topologiche, respingendo quelle sensoriali

8 La teoria delle funzioni generale o " astratta" non compare nell'elenco


delle discipline standard (vedi nota 2) solo perché il concetto astratto di fun­
zione come relazione speciale appartiene alla teoria degli insiemi, che pure
non compare nell'elenco; insiemi e funzioni sono concetti universali non
specifici alla matematica. Ai giorni nostri vediamo che le varie sottodiscipline
matematiche generano e studiano la loro propria teoria delle funzioni (fun­
zioni razionali nella geometria algebrica, funzioni analitiche nella teoria di
Lie ecc.). Ciò si accorda con la focalizzazione sul concetto che caratterizza
ogni disciplina. Le funzioni su spazi ( topologici) costituiscono i peculiari fili
con cui è intrecciato il tessuto matematico. Stanno attualmente acquistando
maggior importanza le funzioni discontinue o punti di discontinuità (cata­
strofi, rivoluzioni, teoria delle perturbazioni, geometrodinamica ecc.). Questo
significa forse che all'epoca della continuità si sostituisce un periodo di inte­
resse per problemi attinenti maggiormente al discreto. Analogamente, nella
teoria della computabilità è la scienza dell'informazione (discreta) che prende
il sopravvento sul suo precursore continuo: l'Analisi numerica.
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 161

e superficiali, sia che scaturissero dall'osservazione di forme geo­


metriche, sia dall'osservazione sulla carta di forme algebriche
(come fece Lagrange) . :t proprio questa argomentazione di carat­
tere storico sull' "istillazione del rigore in matematica" la migliore
per dare rilievo alla posizione complementarista sulla "matema­
tica come interscambio tra discreto e continuo" . Il discreto, cioè
i numeri e gli altri oggetti che con essi possono essere costruiti
(o da essi indicati) : polinomi, eventi, n-uple di numeri, serie,
funzioni come oggetti puramente algebrici (eventualmente costi­
tuenti spazi) , punti, linee rette ecc. come oggetti inseriti in qual­
che "spazio circostante" . Il continuo, cioè linee e linee rette o
curve o superfici o spazi topologici - ognuno dotato di completa
struttura implicita o esplicita di intomi o topologia - e funzioni
come rappresentazioni di uno spazio topologico su di un altro.
Non si può quindi parlare di un unico tipo di "rigore" in
matematica. Nei campi in cui si costruiscono modelli matema­
tici per l'applicazione (ad esempio nella fisica matematica) il
rigore funziona in modo ben differente che in quei campi in cui
si cerca di organizzare, deduttivamente e in modo generale, larghi
strati di teoria secondo concetti chiaramente definiti. In entrambi
i casi, "rigore" può significare "correttezza di argomentazione" ,
ma in modo differente. Nel primo caso il modello matematico
deve corrispondere il più strettamente possibile alla situazione
fisica di cui ci si sta occupando - anche questo è rigore ! - mentre
rimangono in secondo piano il rigore interno del modello mate­
matico costruito e il suo formalismo. :t l'altro tipo di rigore che
sta a fondamento del pensiero matematico puro del ventesimo
secolo. Se traduciamo il termine "rigore" nella matematica pura
con "disciplina del pensare secondo concetti chiari" , ci appare
subito evidente anche la funzione sociale e locale del "rigore" .
Nell'insegnamento della matematica sussistono vari gradi di ri­
gore, a seconda, tra l'altro, degli scopi didattici. Ad esempio, è
quantomeno inopportuno, oltre che impossibile, adottare in ugual
misura questo tipo di rigore nell'insegnamento sia a chi studia
matematica per le scienze applicate sia a chi studia matematica
1 66 Capitolo quarto

pura, anche se altrettanto sbagliato è non chiarire agli studenti


come a un più alto livello di astrazione la teoria richieda un
atteggiamento più rigoroso. Negare ciò significa aderire alla tesi
che esista un unico livello di rigore in matematica, con la con­
seguente responsabilità di dover definire tale livello. Chi segue
questa via può essere propenso a ritenere che il rigore sia, in
modo puramente formale o formalistico, esclusivamente una ca­
ratteristica del linguaggio matematico; il che presuppone che il
pensiero matematico parta da intuizioni grezze per arrivare, attra­
verso un processo di progressiva chiarificazione, alla vetta della
verità matematica, vale a dire a un sistema deduttivo formalizzato
e precostituito.9 Niente è più lontano dal vero. Il rigore mate­
matico è sullo stesso piano della verità matematica e dell'intui­
zione matematica, almeno in quanto tendono unitamente a
scomparire quando il linguaggio matematico è separato dai mo­
delli (ed esempi) a cui si applica e quando, pars pro toto, quel
linguaggio è preso come l'essenza del pensiero. Il rigore si mani­
festa innanzitutto in fas e di formulazione di teorie ("linguaggio" )

9 F. l a concezione (da u n punto di vista filosofico, elitaria) dei formalisti:


non tengono conto di una storia delle idee, molto meno di una "logica della
scoperta", e ancor meno di una struttura delle rivoluzioni scientifiche (vedi
Kuhn, 1962). C'è anche l'aspetto meno filosofico del formalismo imparentato
alle Grundlagen der Geometrie di Hilbert. Bourbaki (Eléments de mathéma­
tique, in molti volumi) può essere considerato un prosecutore di Hilbert ma
con metodi meno geometrici. Dieudonné parla dell"'assoluta necessità, per ogni
matematico che abbia a cuore l'integrità intellettuale, di presentare i suoi ragio­
namenti in forma assiomatica" (citato da Lakatos, 1976). F. un atteggiamento
che tende a localizzare la verità matematica in sistemi di tipo deduttivo: non
si accorda col complementarismo, che professa l'impossibilità di una localizza­
zione a priori della verità in uno qualsiasi dei tredici aspetti pur lasciando che
i matematici trovino la verità in una coerenza di significato che ha come
centro la situazione stessa da indagare. Secondo il complementarismo, tra
l'altro, in "Bourbaki" mancano gli aspetti applicati della matematica e l'idea
che la logica e i fondamenti svolgano un ruolo importante nella matematica
(didattica) e nella consapevolezza matematica. Il complementarismo, d'altra
parte, è d'accordo nel considerare N, Z, R ecc. strutture base che costitui­
scono il solido terreno a cui tutta la matematica è legata, quantunque la com­
ponente "sintetica" della geometria sia piuttosto sottovalutata. Fortunatamente,
alla difficoltà di assimilare gli Eléments si rimedia con i seminari intuitivi,
come può risultare evidente nelle discussioni matematiche e nella scelta degli
argomenti (vedi, per ulteriori riferimenti bibliografici, Dieudonné, 1978).
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 1 67

e nel momento in cui ci si chiede se questo o quell'insieme di


assiomi definitori riesca a cogliere dagli esempi che si hanno
in mente le caratteristiche per giungere al tipo di risultato a cui
si mira. Il rigore è in quel caso una disciplina della mente. A uno
stadio successivo può essere ancora una disciplina del linguaggio
(logico) , quando si applicano i corretti ragionamenti logici o
quando si trovano e si applicano nuovi algoritmi. Insegnare teorie
puramente formali, slegate da intuizioni, esempi e interrelazioni
con altre teorie, ostacola lo sviluppo matematico perché pone la
teoria matematica al polo discreto della polarità discreto-continuo
e suggerisce che non è necessario il movimento di pensiero (con­
tinuo) per arrivare alla verità matematica. La verità è nella mente
di chi progetta ed esamina modelli ed esempi, mentre cerca di
trovare caratteristiche da poter elevare a livello di teoria. Rigore
e verità sono negli occhi dell'osservatore; i simboli sul foglio,
per fissare nel suo modello gli oggetti matematici con le loro
relazioni; bocca e penna trasmettono il linguaggio, perché altri
possano essere spinti a condividere e verificare le sue intuizioni.
Non c'è matematico che possa dire con convinzione dove ini­
ziano o dove terminano il momento creativo-costruttivo della
matematica, quello cognitivo e quello applicativo; e l'unica spie­
gazione è che tutta l'intelaiatura del pensiero matematico, modelli
ed esempi compresi, è soggetta a trasformazioni storiche. La sto­
ria della matematica abbonda di esempi di teorie (capaci, a un
certo stadio di sviluppo, di dimostrare certi fatti e non altri)
superate da altre che, utilizzando nuovi e più profondi concetti,
riescono a dimostrare nuovi fatti e a stabilire relazioni fino allora
inspiegate, magari ponendo sotto una luce completamente diversa
i "vecchi" fatti delle precedenti teorie. Diversamente da quanto
avviene nelle scienze naturali, però, di rado le nuove teorie ma­
tematiche dimostrano errati i risultati delle teorie precedenti;10

1° Ciò è contrario a quanto Kuhn ( 1 962) rileva a proposito delle scienze


naturali. La mancanza di esperimenti, con i loro errori di misurazione come
accade in fisica, rende la matematica immune da anomalie (osservative) e dai
concomitanti cambiamenti di "paradigma" . Il cambiamento di posizione e di
1 68 Capitolo quarto

nondimeno ne modificano in genere i risultati (costruttivi) e i


momenti cognitivo, denotativo e applicativo. (Il termine "appli­
cazione" è preso qui nella sua accezione più ampia possibile.)
Se così non fosse, non potrebbero essere considerate teorie "mi­
gliori" rispetto a quelle precedenti se non per eventuali vantaggi
didattici e pedagogici o per altri valori. Nuovi fatti o esempi
scoperti nei modelli matematici in esame possono provocare rior­
ganizzazioni cognitive della teoria completamente differenti e
non si tratta mai di una discrepanza tra un fatto osservato e ciò
che la teoria propone come causa del fatto stesso (a meno, natu­
ralmente, che il modello sia una matematizzazione di un'espe­
rienza fisica, biologica ecc.) .
Non si può evitare la domanda: quando si forma una nuova
teoria, è sufficiente che la riorganizzazione migliori solo alcuni
aspetti (e non tutti) della vecchia teoria ? Si ricordi che i costrut­
tivisti non accettano riorganizzazioni che generalizzino la cono­
scenza in senso puramente formale, senza che a quella conoscenza
si affianchino nel modello procedure di costruzione parallele.
Si ricordi anche che nella posizione nominalista-formalista una
generalizzazione è considerata soltanto uno sviluppo formale,
senza contenuti costruttivi o concettuali. Il complementarismo,

organizzazione cognitiva in matematica può essere introdotto da "esperimenti"


che siano adeguati alla matematica, cioè esercizi, formule di rielaborazione per
scoprire certe regolarità o regole, modificazioni o riformulazioni di assiomi e
definizioni che governano blocchi (deduttivi) di teoria per trovare nuovi e
sorprendenti modi di considerare i vecchi argomenti, riconoscimento di carat­
teristiche simili in teorie differenti e scoperta di un punto di vista unitario ecc.
In tutti i casi la creatività matematica richiede una forte immaginazione. Ciò
non toglie che le principali "rivoluzioni" quali la scoperta di rigorose defini­
zioni di "funzioni continue" (un processo che va da Lagrange a Weierstrass)
o l'introduzione di terminologie insiemistiche (protrattasi per più di un cin­
quantennio) potrebbero essere descritte, volendo, nella terminologia di Kuhn.
Cambiamenti come questi non possono essere considerati semplici (ri-)organiz­
zazioni della conoscenza matematica già esistente. Nel testo si usa il termine
"organizzazione della conoscenza" in modo da includere generalizzazioni e
"definizioni creative", che portano i matematici a un maggiore livello di
astrazione e comprensione. Nel complesso, comunque, sembra che le discus­
sioni in matematica intorno ai "paradigmi" innovativi dal punto di vista sto­
rico siano accompagnate da impressioni di crisi e da emozioni controverse in
misura molto minore che le discussioni nelle scienze naturali.
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 1 69

al contrario, interpreta lo sviluppo dinamico della matematica


come il risultato del fatto che, attraverso gli aspetti mentali, la
nostra mente esercita ed esprime la sua libertà di creare campi
oggettuali e di formare conoscenza su di essi, così da poter mi­
nimizzare il ruolo di uno o più degli undici aspetti mentali, con
ciò massimizzando o intensificando il ruolo degli altri. Certi teo­
remi, congetture o "fatti stabiliti" della matematica possono es­
sere espressi, usati o dimostrati in molteplici modi, e si trovano
di solito all'intersezione di varie differenti teorie (ad esempio le
diverse forme delle disuguaglianze di Schwarz e l e proprietà di
unicità della divisibilità degli interi) . All'altro estremo esistono
intere teorie (come la teoria degli ultraprodotti e l'Analisi non
standard), basate su mezzi (non costruttivistici) tratti dalla teoria
degli insiemi, che aspettano ancora un qualche tipo di verifica
(come potrebbe essere quella di dare, utilizzando proprietà dei
numeri naturali, un esempio esplicito di (ultra)filtro massimale
non principale nell'insieme degli interi) .
Siamo indotti ad avere della verità matematica un concetto,
per così dire, dinamico. Da una parte, il ragionamento matema­
tico può essere esteso fino a superare il confine della verifica­
bilità costruttiva (e ne è esempio la teoria astratta degli insiemi) .
D'altra parte, nel campo della matematica applicata e della fisica,
intere teorie possono esistere e venire applicate per lungo tempo
senza essere rese rigorose e matematicamente valide da un punto
di vista logico ... Dal punto di vista complementarista entrambe
le teorie sono "incomplete". Si potrebbe dire che si accosti meglio
alla verità la teoria matematica che affronta tutti gli undici aspetti
mentali ricordati in piena coerenza (di significato), che è cioè
logicamente valida; il suo simbolismo e la sua sistemazione for­
male danno una sensazione di bellezza e stringatezza (teoremi
difficili dimostrati in modo breve ed elegante) ; la teoria degli
insiemi utilizzata è indiscutibile perché gli esempi principali che
formano un modello per la teoria sono costruibili o computabili;
almeno uno dei suoi modelli può essere collegato a situazioni
della fisica, della biologia o delle scienze sociali oppure ammette
1 70 Capitolo quarto

applicazioni in altre parti della matematica; le intuizioni interne


necessarie per comprendere la teoria come un tutto coerente non
sono troppo sofisticate; e infine la teoria è filosoficamente fondata
in quanto lontana da speculazioni.
Una teoria di questo genere forse non esiste. Ma la nostra
descrizione può dare un'idea di quanto possa essere multifor­
me e variegata la verità matematica: ad esempio, essa ha anche
un aspetto sociale (molto trascurato) . Se gli scienziati e i docenti
di matematica di un paese in via di sviluppo con ampie possi­
bilità di installazioni portuali non inseriscono nei programmi sco­
lastici la geometria sferica o una geometria ad essa inerente, al­
lora sono decisamente fuori strada, da un punto di vista mate­
matico e sociale. Allo stesso modo, esistono differenti tipi di
gusto estetico-matematico, e conseguentemente diverse mode.11
La nostra descrizione di una "buona" teoria matematica rispetto
agli undici aspetti complementari dell'attività matematica ci può
ricordare quanto sia sorpassata la concezione della verità che si
aveva un tempo. Secondo il cosiddetto "modello euclideo" della
matematica, esiste soltanto una verità matematica, una geometria
che si adatti al mondo, e la matematica è considerata un sistema
coerente di argomenti la cui verità è ancorata a un mondo dato,
indipendente dall'uomo. Fin dall'epoca della crisi dei fondamenti,
a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale, si comincia a pen­
sare che la verità matematica non sia così immutabile. Questo
era parzialmente dovuto al fatto che le principali dottrine filoso­
fiche emergenti prendevano uno degli aspetti puramente mentali
come punto di riferimento per la ricostruzione della matematica
(pura intuizione, simbolismo finitista o logica pura) . Una causa
più importante del passaggio a un'idea meno statica della verità

11
Altri esempi di mancanza di coerenza di significato matematico sono :
l'insegnamento delle categorie a studenti delle scuole medie superiori, il tra­
scurare i calcoli mentali e la disciplina mentale nelle scuole di qualsiasi livello,
l'eliminazione di tutta la geometria (sintetica) dai programmi delle scuole
medie superiori, il "pensionamento" di Newton in tutti i programmi scolastici
(in favore della relatività) , l'insegnamento delle funzioni modulari agli sprov­
veduti senza scandagliare le implicazioni sociali della matematica.
.Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 171

è stata quindi la storia recente della stessa matematica: una serie


di scoperte nel diciannovesimo secolo atte a dimostrare come si
possono costruire molte altre geometrie oltre a quelle euclidee
e, in breve, la scoperta che si possono costruire in modo del
tutto arbitrario teorie relative a concetti che combinano e orga­
nizzano aspetti delle vecchie teorie in totalità coerenti. Questi
fatti segnano l'emergere della matematica pura come scienza spe­
cifica, indipendente dalla fisica, dalla biologia ecc., dotata di
propri concetti, metodi, mezzi e "campi di interesse".
È necessario che il termine "campo di interesse" sia meglio
precisato, perché non è possibile sottolineare a sufficienza come
gli aspetti mentali formino (soltanto) l'equipaggiamento del fare
matematica. Sono come gli strumenti di manovra di una nave,
senza i quali è impossibile navigare. Lo scafo, invece, è una co­
struzione dell'uomo fatta per vivere e sopravvivere sugli ele­
menti del discreto e del continuo, del numero e della spazialità,
delle particelle e delle onde, degli impulsi e del moto. È forse
necessario spiegare che ci sono velai che per la ricerca della pura
bellezza costruiscono vele che non si adattano a nessun albero
di alcuno scafo, o che, se pure si adattano, non consentono di
navigare in modo accettabile ? "Modo accettabile" può qui stare
a significare solo che la strumentazione (o teoria) è collegata allo
scafo (o modello) in modo che, manovrando la vela, si può strin­
gere il vento meglio ch e con ogni altra precedente strumenta­
zione. Non è necessario dire che ci sono scafi per il trasporto di
merci e altri riservati a scopi più nobili. In tutti i casi, però, la
strumentazione è utile al modello e i mezzi per costruire la stru­
mentazione non sono mai più potenti e solidi dei mezzi con cui
è stato costruito lo scafo. Un campo di interesse è allora una teo­
ria deduttiva unita all'insieme di tutti i possibili modelli per
quella teoria. Costruire una teoria matematica di qualsiasi pro­
fondità è, da un punto di vista storico, un processo comuni­
tario che si prolunga per generazioni di matematici. E anche se
capita che il campo di interesse cambi durante il processo (ad
esempio, affiorano nuovi modelli), la presenza di problemi fon-
172 Capitolo quarto

damentali ( ''in evidenza" ) nel modello originale, e i ricorrenti


tentativi di "farne fuori" alcuni, sta a significare che l'obiettivo
finale della teoria non è stato ancora raggiunto, cioè non si è
ancora raggiunta una completa conoscenza delle relazioni all'in­
temo del campo.
Per finire questo capitolo dedicherò ancora qualche parola
all'aspetto insiemistico. Lo si è ricordato tra gli aspetti mentali
per la buona ragione che esso, insieme con la logica, non appar­
tiene alla matematica standard o alla matematica vera e propria.
Teoria degli insiemi e logica, poi, stanno alla base di ogni attività
scientifica, o in modo implicito ( ''logica ingenua", "teoria inge­
nua degli insiemi" ) o nel modo esplicito ( ''logica", "teoria degli
insiemi" ) che i logici e gli insiemisti del secolo scorso comincia­
rono a formulare. (La matematica è il miglior campo scientifico
in cui la logica e la teoria degli insiemi possono trovare modelli.)
Il complementarismo come è stato fin qui presentato non implica
una scelta prefissata per questa o quella tra le teorie degli insiemi
formulate nel corso degli anni. Tuttavia, l'ideale dell'uomo es­
sendo quello di essere capace (e vincolato) a collegare i suoi
aspetti mentali verso una maggiore o minor coerenza del signi­
ficato matematico, si è giunti a non considerare la teoria degli
insiemi come fine a sé stessa, ma come utile strumento per rispon­
dere a nuove o vecchie questioni in modelli concreti. La maggior
parte dei modelli, poi, sono formulati con i mezzi tratti dalla
teoria degli insiemi (ingenua o meno) che ne devono garantire
l'esistenza. Torno a ricordare che il "materiale di costruzione"
per i modelli è costituito da numeri, simboli, eventi ecc... e no­
zioni continue, o estensioni di esse, ad esempio variabili, entità
n-dimensionali concepite come totalità, eventualmente sotto la
direzione di un "movimento di pensiero" . Dal fatto che "la stru­
mentazione non è più potente dello scafo" segue allora che noi
non possiamo costruire modelli che abbiano una rilevanza esi­
stenziale maggiore di quelli della geometria continua e della
teoria dei numeri naturali, a meno che non ci consentiamo di
estendere il linguaggio e il ragionamento assiomatico al di là
Aspetti soggettivi e oggettivi in matematica 173

delle intuizioni creative interne e delle forme creative esterne.


Ho cercato di dare un sistema di assiomi per insiemi che riflet­
tesse questa posizione ( ''teoria degli insiemi che regola l'uso del
linguaggio in quanto si basa sulla formazione di nuove totalità
di entità da totalità di entità date" ; vedi paragrafo 1 5 ) . Esso
sembra avvicinarsi a una teoria di Spector ( 1 962) e permette di
derivare l'Analisi classica.12 Come sempre avviene con la teoria
degli insiemi (quando si dà un sistema assiomatico che presup­
pone una concezione informale), potrebbe accadere un giorno
che, seguendo percorsi molto meno costruttivi, si possano deri­
vare proprietà matematiche (ad esempio dei numeri) che risul­
tino verificabili come vere con un'indagine passo a passo, mentre
la teoria più costruttiva non garantisce alcuna dimostrazione.
Questa situazione andrebbe a sostenere la concezione - spesso
definita "platonica" - di un dominio di ragionamento al di là
dell'intuizione costruttiva. Ma l'ipotesi filosofica dell'esistenza di
un dominio di questo genere a sé stante è incompatibile con l'idea
della coerenza di significato dei tredici aspetti del fare matema­
tica, anche se quest'ultima idea sottende il fatto che il linguaggio
può a volte andare avanti rispetto all'intuizione in virtù della sua
funzione anticipatoria. In casi quali quelli ricordati saremmo lieti
di sapere che rimane ancora una frattura da colmare tra costrut­
tività e non-costruttività, proprio come nel caso precedente­
mente menzionato in cui rimane da verificare l'esistenza di un
(ultra)filtro massimale non principale nell'insieme dei numeri
naturali.

12
Devo questa osservazione al dottor Heinemann (Kassel, BRD). Egli ha
anche attirato la mia attenzione sulla grande somiglianza esistente tra il com­
plementarismo e la concezione di Brouwer prima del 1 9 1 2, come risulta in
effetti dalla citazione di Brouwer data nel paragrafo 1 1 .2. L'apparente con­
traddizione tra questa citazione e la concezione di Brouwer quale è da me
descritta, nasce dal fatto che Brouwer modificò le sue opinioni dopo il 1 9 1 2
fino a d arrivare a u n radicale "neointuizionismo" . Approfitto d i questa occa­
sione per ricordare il mio defunto amico Herman Dooyerweerd, un giurista
filosofo che mi ha aperto gli occhi sulla "plastica coerenza di significato"
dell'esperienza umana.
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- Specimen Dynamicum, ibid. Ed. or. : 1 695.
- Zur Priistabilierten Harmonie, ibid. Ed. or. : 1 696.
- Betrachtungen uber die Lebensprinzipen und uber die Plastischen Naturen,
ibid., Ed. or. : 1 705.
- Die Monadologie, ibid. Ed. or. : 1 7 14.
- Aus den 'Metaphysischen Anfangsgrunden der Mathematik', ibid. Ed. or. :
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tore, Milano 1 969) pp. 25-74. Ed. or. : 1 944.
Bibliografia 1 79

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Ed. or. : 1969.
Weil A., recensione a J. E. Hofman, Leibniz in Paris, Bull. Am. Math. Soc.,
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Weyl H., Gesammelte Abhandlungen (Springer, Berlino 1 969) .
Wheeler N., Einstein's Vision (Springer, Berlino 1970).
Wilder R. L., Introduction to the Foundations of Mathematics (Wiley, New
York 1965).
Ulteriori letture
I riferimenti dati nel corso del volume riguardano soltanto la precedente
Bibliografia. Può tuttavia essere utile segnalare al lettore, interessato ad appro­
fondire i diversi aspetti dei fondamenti della matematica, alcune altre opere,
suddivise per capitolo.

Capitolo l (Logica)

Bartley W. W., Un libro di logica smarrito di Lewis Carroll, trad. it., Le


Scienze, 34-42 (ott. 1 972). Ed. or. : 1972.
Beli J. L. e Slomson A. P., Models and Ultraproducts (North-Holland, Am­
sterdam 1 969).
Bochenski I. M., Ancient Formai Logic (North-Holland, Amsterdam 1968).
Curry H. B., Outlines of a Formalist Philosopby of Mathematics (North­
Holland, Amsterdam 1 95 1 ) .
Freudenthal H . e altri, The Concept and the Role o f the Model in Matbe­
matics and Natural and Social Sciences (Reidel, Dordrecht 1961).
- Tbe Language of Logic (Elsevier, Amsterdam, Londra e New York 1 966) .
Godei K., The Consistency of the Axiom of Cboice and of the Generalized
Continuum Hypothesis witb tbe Axioms of Set Theory (Princeton 1 940) .
- The Consistency of the Continuum Hypotbesis (ivi, 1 940) .
- Che cos'è il problema del continuo di Cantor?, trad. it. in C. Cellucci (a
cura di), "La filosofia della matematica" (Laterza, Bari 1 967) pp. 1 1 3-36.
Ed. or. : 1 947.
Mostowski A., Tarski A. e Robinson R. M., Undecidable Tbeories (North­
Holland, Amsterdam 1 9 5 3 ) .
Nagel E., Logic without Ontology, i n Y . H . Krikorian (a cura di), "Natura­
lism and the Human Spirit" (Columbia University Press, New York 1 944) .
Quine W . V . O., Manuale di logica, trad. it. (Feltrinelli, Milano 1960) . Ed.
or. riv. : 1959.
Robinson A., Standard and Nonstandard Number Systems. The Brouwer Me­
morial Lecture, Nieuw Archief voor Wiskunde, vol. 2 1 , N. 2 ( 1973 ) .
Rubin H . e Rubin J., Equivalences o f the Axiom o f Cboice, Studies in Logic
(North-Holland, Amsterdam 1 970) .
Ulteriori letture 181

Scholz H. e Hasenjaeger G., Grundzuge der mathematische Logik (Springer,


Berlino, Gottinga e Heidelberg 1961).
Van Dalen D., Doets E. e De Swart J., Sets (Pergamon Press, New York 1 977).

Capitolo 2 (Storia)
Apostle H. G., Aristotle's Philosoph:y of Mathematics (Chicago 1952).
Bochner S., The Role of Mathematics in the Rise of Science (Princeton 1 966).
Bourbaki N., Elementi di storia della matematica, trad. it. (Feltrinelli, Milano
1 963 ) . Ed. or. : 1 960.
Frege G., Die Grundgesetze der Arithmetik (Olms, Hildesheim 1962).
Freudenthal H. e Heyting A. (a cura di), The Collected Works of L. E. '}.
Brouwer, 2 voli. (North-Holland, Amsterdam 1 976; 1977) ;
Heath T. L., A Manual of Greek Mathematics (Dover, New York 1 963 ) .
Kleene S . C . e Vesley R . E., Introduction t o Intuitionistic Mathematics (North­
Holland, Amsterdam 1965).
Kreisel G., Hilbert's Programme, Dialectica, vol. 12 ( 1 958).
Lukasiewicz J., Aristotle's S:yllogistic, from the Standpoint of Modern Formai
Logic (Oxford 1 9 5 1 ) .
Neugebauer 0., Vorgriechische Mathematik (Springer, Heidelberg, 2 " ed. 1 969).
Neumann J. von, Die formalistische Grundlegung der Mathematik, Erkenntnis,
vol. 2 ( 1 9 3 1 ) .
Rényi A., Dialogues o n Mathematics (Holden-Day, New York 1965).
Struik D. J., Matematica: un profilo storico, trad. it. (Il Mulino, Bologna 1 98 1 ) .
Ed. or. : 1 948.
Van Dalen D. e Monna A. F., Sets and Integration. An Outline of the Develop­
ment (Groninga 1 972).
V an der Waerden B. L., Science Awakening (Noordhoff, Groninga 1973).
Weyl H., Filosofia della matematica e delle sue scienze naturali, trad. it.
(Boringhieri, Torino 1 967). Ed. or. : 1 949.

Capitolo 3 (Filosofia e matematica)


Bar-Hillel Y. e Fraenkel A. A., Foundations of Set Tbeor:y (North-Holland,
Amsterdam 1 958).
Bernays P. e Fraenkel A. A., Axiomatic Set Theor:y (North-Holland, Amster­
dam 1 958).
Bochner S., Eclosion and Synthesis (Benjamin, New York 1 970) .
Cohen P. J. e Hersch R., La teoria non cantoriana degli insiemi, trad. it., Le
Science, 86-94 (sett. 1 968). Ed. or. : 1 947.
Halmos P., Teoria elementare degli insiemi, trad. it. (Feltrinelli, Milano 1 970).
Ed. or. : 1 960.
182 Ulteriori letture

Mac Lane S., Categorie nella pratica matematica, trad. it. (Boringhieri, To­
rino 1977). Ed. or. : 1 97 1 .
Neumann J. von, The Mathematician, i n "Collected Works" (Pergamon Press,
New York 1961) pp. 1 -9.
Otte M. (a cura di), Mathematiker iiber die Mathematik (Springer, Heidelberg
1 974).
Steen L. A., New Models of the Real Number Line, Scientific American,
vol. 225 (ag. 197 1 ) .
Weyl H., Il continuo, trad. it. (Bibliopolis, Napoli 1977). Ed. or. : 1932.
Wheeler J. A., Geometrodynamics (Academic Press, New York 1962).

Capitolo 4 (Didattica)
Freudenthal H., Vorrede zu einer Wissenschaft vom Mathematikunterricht
(Oldenbourg, Monaco 1978).
Otte M., Didaktik der Mathematik als Wissenschaft, Zentralblatt fiir Didaktik
der Mathematik, vol. 3, 1 25-28 ( 1 974).
Sneed J. D., The Logical Structure of Mathematical Physics (Reidel, Dor­
drecht 1 9 7 1 ) .
Indice analitico

Ackermann W., 1 1 2 Banach S., 1 3 7, 1 46, 1 49, 1 54n.


Adaequatio intellectus et rei, 50 Barbara (sillogismo) , 3 0
Adele, vedi Teoria adele Behmann H., 2 6
Algebra, 6 1 , 80 sg., 1 3 7 sg., 141 sgg., Benacerraf P., 1 04 sg., 1 1 5, 1 1 7
146 sgg., 1 54n. Berkeley G., 8 5
Analisi, 67 sgg., 1 19 sg., 1 22, 1 2 8 sgg., Bernays P . , 1 1 2, 1 1 5, 1 1 7- 1 9, 1 2 2,
140 sg., 143 sg., 148 sg., 1 7 3 1 28, 1 3 4, 140, 143
non standard, 1 69 Berry, 49
Anassimene di Mileto, 59 Beth E. W., 9, 1 2, 22, 45, 47, 71, 92,
Angelelli 1., 9 5 1 1 1 sg. , 1 1 5, 1 26, 1 6 1
Antropologia, 5 1 Bicondizionale, l 7
Archimede, 5 3 , 6 7 sg. Bishop E., 1 5 7
Aristotele, 3 0, 58, 62-66, 68 sg. Bochner S., 144, 1 48, 1 5 0
Ars combinatoria, 8 1 , 90 Bohr N., 1 0, 1 2 5 , 1 50
Assioma(i) : Bolzano B., 1 2 7
delle coppie non ordinate, 1 3 5 Boole G., 8 7 , 90
dell'infinito, 1 3 6 Bore! F.-E.-E., 88
dell'insieme nullo, 1 3 5 Bourbaki N., 1 06-09, 1 66n.
dell'insieme potenza, 1 29 sg., 1 3 4 Brouwer L. E. J., 88, 97, 103 -06, 1 09-
sg., 1 3 8 13, 1 1 5, 1 1 7, 1 1 9-2 1 , 1 27, 1 5 7 ,
dell'insieme somma, 1 3 6 1 7 3n.
d i estensionalità, 1 3 5 Bunge M. , 75
di regolarità, 1 3 6
di riducibilità, 95 Calcolo dei predicati:
di rimpiazzamento, 1 3 6 del primo ordine, 54 sgg.
d i scelta, 1 3 7 sg. elementare, 1 7 sgg.
di specializzazione, 1 3 5 Calcolo proposizionale, 16 sg.
indipendenza degli, 46 Calculus ratiocinator, 8 1 , 90
schema di, 4 1 Campo( i) :
Atomi e molecole, 76, 1 24 sg. non archimedeo, 53 sgg., 149
1 84 Indice analitico

teoria unificata dei, 1 2 5 Davis M., 42


Cantor G., 44, 4 7 , 8 8 sg., 9 5 , 1 06, Dedekind R., 95
1 2 1 , 1 3 7, 1 60 Deduzione, 66, 73 sg.
Cantorismo, 1 1 9 sgg., 1 25, 1 29, 1 3 1 Definizione impredicativa, 102 sg.
sgg. Deligne P., 141
Caratheodory C., 1 5 3n. De Morgan A., 87, 90
Carnap R., 89, 96 Dieudonné J., 141, 1 66n.
Carnot L. N. M., 1 5 3n. Dimostrazione:
Cartesio (René Descartes), 72-75, 78- sintetica, 67
80, 1 1 8, 140 teoria della, 1 1 O
Categorie, teoria delle, 145 sg. teoria riduttiva della, 1 5 7
Cauchy A.-L., 1 5 1 , 1 64 Disciplina normativa, 1 1 4- 1 9, 1 3 1 ,
Characteristica universalis, 8 1 , 90 1 3 3 , 140 sg.
Chomsky N., 1 5 sg., 4 1 Disgiunzione, 1 7, 2 1
Church A., 4 2 Dooyerweerd H., 1 7 3 n.
tesi di, 42
Coerenza: Einstein A., 87, 1 2 5
di significato, 1 69, 1 70n., 1 7 3 Empirismo, 7 6 , 79, 89, 92 sg., 1 1 5,
relativa, 3 8 sg., 45 sg. 123
Entelechia, 6 5 , 7 7
Cohen P. J., 1 5 , 2 1 , 34, 3 6, 3 9, 42,
Entità:
46, 1 1 4, 1 3 5
aritmetica, 1 2 1 sg., 1 24
Complementarismo, 1 1 4 sgg.
geometrica, 1 2 1 sgg.
Complementarità, principio di:
Enunciato(i) , 20, 34 sg.
in fisica, 1 25, 1 3 0
autoriferentisi, 49
i n matematica, 1 2 2, 1 26 sgg., 1 3 4,
coerenti, 3 8 sg., 41, 45, 109 sg.
1 3 9 sg., 1 5 0, 1 5 3 sgg.
derivabile, 3 8
Congiunzione, 2 1
elementarmente equivalenti, 54 sg.,
Conoscenza : valido, 36 sg.
"prima" e "derivata", 1 1 6, 1 3 9 sg. Epimenide, 48
simbolica, 80 Epistemologia, 58 sg., 66, 1 3 8, 140,
Conoscenza/Giudizi a posteriori, 66, 147, 1 49, 1 5 2
123 genetica, 1 2 2
Conoscenza/Giudizi a priori, 64, 66, Eraclito d i Efeso, 5 7 sg., 1 1 4
70, 82 sgg., 98 sgg., 1 23 , 1 3 8 Eratostene, 67
Continuità, principio di, 1 5 3 n. Esistenza:
Continuo lineare, 62, 1 2 1 sgg., 1 2 5 derivata, 1 3 9
sgg., 1 3 0 sg., 1 3 3 sg., 140 sgg., matematica derivata, 1 3 9, 1 50, 1 5 2
148 sgg. matematica originaria, 1 3 2 sg., 1 3 9
ipotesi del, 46 originaria, 1 3 9
Contraddizione logica, 22, 25 sg., 29, Euclide, 66 sg. , 85, 87
3 1 sg. Eulero (Leonhard Euler), 1 64
Corrispondenza di verità, teoria del­
la, 50 Falsità, 21 sg.
Costruttivismo, 105 sg., 1 1 6, 1 1 8 sgg., Felapton (sillogismo) , 3 1
1 2 3 sg., 1 26 sgg., 1 3 2 sgg., 1 5 6 Fermat A., 28, 3 2, 3 4 sg.
Cratilo, 6 2 Fesapo (sillogismo), 3 1
Indice analitico 185

Filosofia: Godei K., 1 1 , 3 9, 41-45, 47-49, 1 1 2-


della matematica, compito della, 1 4, 1 29, 1 3 4, 1 57, 159 sg.
144 Grelling, 48
naturale, 75 sg. Gruppo (di movimenti ecc.), 1 00,
Filtro/Ultrafiltro, 53 sgg. 1 1 9-26
Fisica, 1 2 1 sg., 124 sg., 1 2 8
Forma( e) : Hasse H., 143
algebriche, 77 Heath T. L., 60, 67 sg.
contrapposta a materia, 64 sg. Hegel G. W. F., 58, 86
costruzioni generali di, 1 2 8 sgg. Heidegger M., 58
Formalismo, 1 09 sgg., 1 14 sgg., 1 1 8 Heisenberg W., 125
sgg., 1 5 6 relazione di, 1 2 5
Formula logicamente neutra, 25 sg. Helmholtz H . , 87
Fourier J.-B.-J., 88, 1 5 1 Henkin L., 52
Fraenkel A., 1 34, 1 3 6 Heyting A. , 1 06, 1 1 5, 1 5 7
Frege G., 49, 65, 88, 90-96 Hilbert D., 45, 1 0 1 , 1 09- 1 3 , 1 20 sg.,
Freudenthal H., 141, 162 1 5 7, 1 62n., 1 66n.
Hurd A., 5 6
Frobenius G. F., 141
Funzione(i) :
Idee, 62 sgg.
continuità delle, 1 5 3 , 1 64, 1 68n.
Identità logica, 25 sg., 3 1
effettivamente computabile, 42
Implicazione, 1 7
piane, 1 28, 1 3 0
Inferenza, teoria dell', 1 5
proposizionale, 2 4
Infinità potenziale e attuale, 68 sg.,
ricorsive, 41 sgg.
86, 98 sg., 103, 1 2 1 , 1 5 3n.
Insiemi, teoria degli, 1 1 5, 1 20, 1 24,
Galileo, 70, 72 1 2 6 sgg., 1 3 2 sgg., 1 3 8 sg., 142
Galois E., 144, 147 sg., 145 sg., 1 54, 1 69, 1 7 2
Gauss C. F., 87, 163 Interpretazione semantica, 23 sgg.
Gegenstand, 90, 1 62n. Intuizione, 7 1 , 80 sg., 83 sg., 88, 98,
Gentzen G., 1 1 3 1 0 1 sgg., 1 10, 1 1 6 sgg., 1 2 1 sg.,
Geometria, 6 0 sgg., 70, 74, 85 1 27, 140
analitica, 73 sg., 1 46, 148 Intuizionismo/Neointuizionismo, 88
aritmetizzazione della, 1 19 sgg., 127 sg., 92 sg., 97 sgg., 1 04, 1 14 sg.,
cinematica, 1 2 7 sg. 1 1 8 sg., 1 2 7, 1 3 4, 1 56, 1 73n.
ellittica, 46
euclidea, 46, 85, 1 09, 1 20, 143 sgg., Kamke E. I., 44
158 Kant 1., 58, 74, 82-86, 89, 99, 104
non euclidea, 46, 5 3 , 6 2 , 1 00 sg. Keplero (Johannes Kepler), 7 1
proiettiva, 62 Kleene S . C., 3 9, 1 5 7
sintetica, 60, 67 sg., 1 1 9, 1 5 3n., Kline M., 1 5 3 n.
1 66n. Kronecker N., 88, 1 1 2, 1 54n.
Geometrodinamica, 1 2 5 Kuhn T. S., 1 66n., 167n., 1 68n.
Gergonne J.-D., 1 5 3n. Kuratowski K. , 148
Giudizi:
analitici, 79 sg., 82 sgg., 99 Lagrange J.-L., 163-65, 1 68n.
sintetici, 82 sgg., 99 Lakatos 1., 1 14, 1 1 8, 1 66n.
186 Indice analitico

Lebesgue H.-L., 88, 125 Neopositivismo, 89 sgg., 97


Leibniz G. W., 25, 50, 58, 67, 74-82, Neumann J. von, 1 1 2
85, 89 sg., 95 sg. Newman J . R., 1 1 , 44
Lie S., 146 sg., 149 sg., 1 54n., 1 64n. Newton l,, 67, 74-76, 78, 82, 85,
Linguaggio: 1 70n.
formale, 1 4 sgg. Nivette ]., 1 6
funzione anticipatoria del, 1 26 sg.
logico, 1 3 sgg., 144 Occam W., 9 5
naturale, 13 sgg. Ontologia, 59
semanticamente chiuso, 1 6, 48, 50 Organizzazioni cognitive, 163
Liouville J., 1 5 1 Otte M., 160 sg., 1 64
Lobacevskij N . 1., 8 7
Loeb P., 5 6
Paradosso(i) :
Logicismo, 8 8 sgg., 97 sg., 1 0 1 sgg.,
di Russell, vedi Russell
1 1 5 sg., 1 1 8 sg., 1 3 1 sg., 1 5 6
semantici, logici, 48 sgg.
Lotze B . , 9 2
Parmenide di Elea, 58 sg.
Luxemburg W . A. ]., 56
Pasch M., 87
Peano G., 4 1 , 88, 92
Markov A. A., 1 5
Peirce C. S., 90
Matematica:
Pensiero costruttivo, 1 1 6, 1 3 2 sg.,
aspetti oggettivi della, 153 sgg.
138
aspetti soggettivi della, 1 5 3 sgg.
Percezioni, 7 7 sgg.
come attività, 1 3 8 sgg., 1 5 5 sgg.
Piaget J., 1 09, 1 2 1 sg., 1 3 1 , 1 6 1
"modello euclideo della", 1 70
Pitagora, 58 sg.,
non standard, 54, 56, 140
Pitagorismo, 59 sg.
storia della, 140, 1 4 2 sgg.
Platone, 1 3, 58, 6 1 -66, 70
unità della, 1 3 8 sgg., 1 50
Poincaré H., 85, 88, 97-104, 106,
Matematizzazione, 1 6 1 , 1 68
108 sg., 1 1 2, 1 3 3 , 1 54n.
Mathesis universalis, 7 3
Poisson S.-D., 1 50
Meccanica quantistica, 1'24 sg.
Poncelet J.-V., 1 5 3 n.
Mendelson E., 2 2
Menecmo, 66 Pragmatica, 14
Metamatematica, 1 1 1 sg., 1 5 9 Principio vitale (Leibniz), 77 sg.
Modello( i) : Procedura di decisione, 26 sgg.
matematico, 24 sg., 3 5 sg., 3 8 sg., Proposizione, 1 8, 22
1 26, 1 40 Putnam H., l 04 sg., 1 1 5, 1 1 7
non standard, 52 sgg.
teoria dei, 45 sg., 5 2, 1 5 6, 1 5 8 Qualità:
Modus ponens, 1 5 , 3 6 analitica, 1 2 2 sg.
Monade, 78 sg. infinita, 59
Monge L., 1 5 3n. metrica, 59
Morris C. W., 1 3 non specificata, 59
Movimento d i pensiero, 1 5 8 sg., 1 67 primarie, 72
Mutamento e costanza, 58 sg. quantificazione di, 60
secondarie, 72
Nagel E., 1 1 , 44 Quantificatore, 1 7, 1 9 sg., 24
Negazione, 1 7, 2 1 , 9 1 Quine W. V. 0., 1 3 , 48, 96
Indice analitico 181

Ragione sufficiente, 76 Study D., 1 S 3n.


principio di, 77 Sturm J.-C.-F. , 1 5 1
Ramsey F. P., 49 Suppes P., 1 7, 2 2
Realismo, SO, 63, 96, 102 sg., 1 1 5,
1 3 1 sgg., 13 8 Talete d i Mileto, 1 1 , 5 8
di Platone, 63, 92 Tarski A., 1 3 - 1 6, 21 sg., 48-SO, 95,
Reductio ad absurdum, 68 115
Relatività, teoria della, 1 24 sg. Tautologia, 22, 25, 96, 98
Relazione, 24, 3 2 sgg., 3 7 Teoria:
Riduzionismo filosofico, 1 1 7 coerente, 3 2-5 1 , 1 09 sg.
Riemann B., 87, 148 deduttivamente valida, 1 3 0, 1 3 4
"Rigore" in matematica, 163-67 epistemologicamente valida, 1 3 0
Robinson A., 56 Teoria adele, 1 54n.
Rosser J. B., 46 Terzo escluso, legge del, 1 06
Russell B., 49, 65, 82, 85, 88, 90, 93- Tipi, teoria dei, 94 sg.
96, 112 sg. Topologia, 1 2 5, 141 sgg., 146 sgg.,
paradosso di, 49, 93 sgg. 1 S 3n., 1 54n., 1 5 8
Turing P., 42, 45
Sartre J.-P. , 5 1
Schema, 143
Ultrapotenza, 54 sg.
Schroder E., 87, 90
Schiitte K., 3 S
Variabili vincolate e libere, 1 9 sg.
Schwarz K. H. A., 169
Semantica, 13 sgg., 18, 20 sgg., 3 6, Varietà (algebrica ecc.), 143
47 sgg. Veblen 0., 90
Serre J.-P. , 141 Verità, 20 sgg.
Shannon C . E., 15 tavole di, 2 1 sg.
Simboli: valore di, 20, 24, 9 1
completi, 90
di costante, 3 3 , 36 sg. Weaver, 1 5
di relazione, 3 3 , 3 7 Weierstrass K., 1 2 7 , 1 5 3 n., 1 68n.
Sintassi, 1 3 , 1 5 , 1 7, 3 3 , 97 Weil A., 141
Socrate, 62 Weyl H., 112 sg., 1 20 sg.
Sofisti, 64 Wheeler N., 1 2 5
Spazialità, 121 sg., 1 25, 1 2 7-29, 1 7 1 Whitehead A . N., 8 8 , 90, 96, l B
Spazio, concetto di: Wilder R. L., 90
derivato, 1 5 3 n., 1 5 8 Wittgenstein L., 96, 1 1 7 sg.
originario, 1 5 8
Spector C., 1 7 3 Zariski O., 141, 1 47, 1 50
Speusippo di Atene, 66 Zenone di Elea, 58, 1 60
Staudt K. von, 1 5 3 n. Zermelo E., 1 3 4, 1 3 6
Steiner J., 1 5 3 n. Zorn, lemma di, 1 3 7
Nato dall'esperienza didattica degli autori più rappresentativi,
dell 'autore , il libro si presenta dai greci a Newton e a Leibniz,
come un testo interdisciplinare di fino alla matematica moderna di
matematica e di filosofia, inteso a Hilbert e Bourbaki .
fornire un quadro complessivo
dello stato attuale dei fondamenti Willem Kuyk, nato nel 1 9 3 4 ad
della matematica. L' idea di Kuyk Amsterdam , dal 1 9 6 8 è professore
è di generalizzare, estendendolo di matematica pura all ' Università
alla matematica, il principio di di Anversa. Membro dell ' Institute
complementarità di Bohr in fisica, for Advanced Studies di
secondo cui il discreto e il Princeton , Premio 1 9 6 5 della
continuo sono visti come due Società matematica olandese , ha
differenti aspetti di un unico e insegnato dal 1 9 64 al 1 9 6 8 presso
medesimo mondo fisico . la McGill University di Montreal .
L' intreccio delle moderne I suoi interessi scientifici vertono
discipline matematiche viene così principalmente sull ' algebra e la
descritto dal punto di vista della teoria dei numeri.
"dualità" tra algebrico e
topologico, in modo da
evidenziare quel che unisce e nello
stesso tempo quel che diversifica
le branche che si dipartono
dall ' uno e dall ' altro dominio .
Kuyk distingue molteplici aspetti
nel pensiero matematico (quello
linguistico , quello logico, quello
costruttivo, quello assiomatico
ecc .) considerandoli
complementari l ' uno all' altro nel
senso che contribuiscono tutti a
comporlo nella sua globalità. In
quest'ottica egli delinea una storia
dei fondamenti filosofici della
matematica attraverso le teorie

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