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LE SETTE MERAVIGLIE DEL MONDO ANTICO

Le testimonianze letterarie

La più antica ci giunge da un poeta di Sidone, Antipatro, che nel II secolo a. C., in un
epigramma dell’Antologia Palatina, ci restituisce quasi intatto lo stupore, l’incredulità, il senso
di meraviglia che come in un crescendo passa dalla Mesopotamia al Peloponneso, dal Mar Egeo
all’Egitto, fino alle coste dell’Asia Minore.
Cercando di recuperare la purezza di quel primo sguardo proviamo ripercorrere, con la sua
guida, quel viaggio nel mondo delle sette meraviglie del mondo antico.

1. Le mura di Babilonia

La storia della civiltà babilonese

La civiltà babilonese si sviluppa sulle sponde dell’Eufrate e si contende con quella assira il
dominio della Mesopotamia. Nell’ottavo secolo a. C. l’Impero Assiro prevale e mantiene il
dominio sul regno babilonese per almeno un secolo. Nel 626 a. C. è la riscossa, guidata dal re
Nabopolassarre restituisce ai babilonesi l’indipendenza e segna l’inizio dell’espansione e del
massimo splendore del regno.
Potenza, ricchezza, dominio su tutta la mezzaluna fertile si manifestano nelle imprese
edilizie del grande Nabucodonosor II che regna tra il 605 e il 562 a. C.

Descrizione delle mura di Babilonia

Per prima cosa il re si dedica alla ricostruzione delle mura di Babilonia, la capitale, che
vengono ampliate e fortificate, dotate di nuove torri e di otto splendide porte decorate.
Queste sono considerate, oggi, una delle sette meraviglie del mondo antico.
Il tracciato sopravvive ancora nel sito archeologico che si trova a circa 80 km da Bagdad. Tra
le porte, l’unica ad essere giunta fino a noi è quella di Ishtar, dedicata all’omonima dea. Posta
nel settore nord della città ne costituiva l’ingresso monumentale. Recuperata all’inizio del
‘900, nel corso di una campagna archeologica tedesca è oggi in parte ricomposta e conservata
nel Pergamonmuseum di Berlino.
La porta originaria era costituita da due strutture parallele, una minore orientata all’esterno e
una più grande orientata verso l’interno della città. Sebbene quella berlinese sia la più piccola
delle due, stupisce per le imponenti dimensioni: un’altezza di 14,73 m per una larghezza di
15,70.
A colpire lo spettatore è poi l’elemento colore. L’intera struttura è infatti rivestita di
maioliche smaltate in lapislazzulo. Sul fondo blu, intenso e brillante, si stagliano poi, realizzate
sempre mediante l’accostamento di piccole tessere in maiolica, centinaia di figure
animali (tori, leoni, draghi), nelle tonalità dell’oro.
La cinta muraria con le sue porte è quindi non solo struttura difensiva, ma anche affermazione
di potere sulle altre civiltà mesopotamiche, simbolo del prestigio del re, omaggio alle
divinità.

2. La statua di Zeus a Olimpia

La scultura e l'architettura di Fidia

Nulla rimane putroppo, se non nelle fonti, delle statue criso-elefantine realizzate da Fidia, il
più grande scultore greco dell’età classica.
Intorno al 430 a. C. porta a termine l’impresa di ricostruzione dell’Acropoli di Atene dove,
oltre a ricoprire il ruolo di episkopos, Fidia realizza la decorazione scultorea del Partenone e
la statua colossale della dea Atena posta all’interno dello stesso tempio. Quindi si reca a
Olimpia dove, per il tempio di Zeus, la cui edificazione era stata conclusa almeno venti anni
prima, realizza la gigantesca statua del dio seduto in trono, considerata oggi una delle sette
meraviglie del mondo antico. Non abbiamo certezze sulle dimensioni ma l’altezza doveva
aggirarsi attorno ai dodici metri.

La descrizione di Pausania

L’aspetto ci è noto attraverso alcune monete ma soprattutto dal racconto di Pausania: «Il dio,
in oro e avorio, siede in trono; ha in testa una corona in forma di ramoscelli d’olivo. Con la
destra regge una vittoria, anche questa d’avorio e d’oro, che ha una benda sul capo e una
corona; nella mano sinistra è uno scettro intarsiato d’ogni sorta di metalli: l’uccello che posa
sullo scettro è l’aquila. D’oro sono anche i calzari del dio e altrettanto il mantello; sul mantello
sono rappresentati animali e fiori di giglio. Il trono è variamente ornato d’oro e di pietre,
d’ebano e d’avorio; su di esso sono sia figure dipinte che statue scolpite. Quattro vittorie in
atteggiamento di danzatrici sono rappresentate su ciascun piede del trono e altre due si
trovano sul collo di ogni piede. Sopra entrambi i piedi anteriori sono dei fanciulli tebani rapiti
da sfingi e sotto le sfingi Apollo e Artemide colpiscono con i dardi i piedi di Niobe. […] Pur
sapendo che sono state prese le misure in altezza e in larghezza dello Zeus di Olimpia, non mi
metterò a lodare coloro che l’hanno misurato, dal momento che anche le misure da essi date
sono molto inferiori all’impressione che suscita la statua in chi la guardi, tanto che si dice che
lo stesso dio rese testimonianza all’arte di Fidia . Infatti, quando la statua era già stata
portata a termine, Fidia implorò il dio che gli inviasse un segno di conferma se l’opera fosse di
suo gradimento: immediatamente, dicono, cadde un fulmine in quel punto del pavimento sopra il
quale ancora ai miei giorni era posta un’idrìa di bronzo». (V, 11.1-10)

L'espressione di Zeus

Pausania, insolitamente, trascura la descrizione del volto, nulla dice sull’espressione del dio,
che pure doveva essere benevola, trovandosi nella sua casa e nel suo santuario, ma l’ecfrasi
restituisce in pieno il senso di potenza che da essa doveva emanare.
Trasportata a Costantinopoli al tempo di Teodosio II, la statua, dopo otto secoli di vita,
finisce distrutta nel grande incendio del 475 d.C.

Curiosità

La statua di Zeus a Olimpia fu realizzata in oro e avorio dallo scultore Fidia nel 436 a.C. La
statua aveva una base di sei metri e un’altezza di circa dodici metri; la testa di Zeus sfiorava
il soffitto del tempio. A tal proposito, il geografo e storico greco Strabone disse: “se si fosse
alzato in piedi avrebbe scoperchiato il Tempio”.

3. Il colosso di Rodi

La descrizione di Plinio il Vecchio

Anche questa meraviglia, una gigantesca statua di bronzo, ci è nota solo attraverso le fonti.
Per conoscerla ci affidiamo a Plinio il Vecchio: «Il più ammirato di tutti fu il colosso del Sole a
Rodi, opera di Chares di Lindo, discepolo del suddetto Lisippo. Questo simulacro era alto
settanta cubiti, dopo sessantasei anni cadde per un terremoto, ma anche a terra esso è un
miracolo. Pochi riescono ad abbracciare il suo pollice e le sue dita sono più grandi di molte
statue intere. Enormi cavità si aprono nelle sue membra spezzate; al suo interno sono visibili
pietre di grande mole, il cui peso gli dava stabilità durante la costruzione. Fu costruito in
dodici anni e costò trecento talenti, ricavati da quanto era stato abbandonato dal re Demetrio
che, stanco, tolse l’assedio da Rodi».
Ciò che sappiamo sulla statua grazie a Plinio

Il terremoto di cui parla Plinio risale al 228 a.C., stando alle sue indicazioni cronologiche la
statua è stata quindi realizzata tra il 304 e il 293 a.C. per celebrare la vittoria sul re
macedone Demetrio Poliorcete, o meglio l’abbandono del campo da parte di quest’ultimo, dopo
che l’impiego di diverse macchine belliche si era rivelato inefficace.
L’autore latino è preciso nelle misure (32 m) ma non fa cenno alla posizione della statua, non
chiarisce cioè se essa si trovi in origine all’interno della città fortificata, come sembra più
probabile o, come vuole una antica ma non documentata tradizione, all’imbocco del porto.
Plinio, sfortunatamente vede il colosso già a terra e ridotto in pezzi, ma un epigramma greco
più antico fornisce un altro utile elemento di ricostruzione: «A te, o Sole, le genti di Rodi,
innalzano questa statua bronzea che raggiunge l’Olimpo, dopo aver calmato le onde della
guerra e incoronato la città con le spoglie del nemico, non solo sui mari, ma anche in terra essi
accendono la torcia della libertà».

La copia del Colosso di Rodi

La statua impugnava quindi una torcia, simbolo della luce solare e della ritrovata libertà dopo
la fine dell’assedio.
Di recente una scultura conservata nel Museo Archeologico di Civitavecchia è stata ritenuta
copia tratta dal Colosso di Rodi. Si tratta di un giovane uomo nudo le cui fattezze, nel volto,
nei capelli, nel modellato morbido del corpo, appaiono di chiara ispirazione lisippea. La statua
è mutila ma quanto resta non lascia dubbi circa la posizione sollevata del braccio destro.
Nel 653 d. C. i pirati arabi fanno irruzione sull’isola, i frammenti del Colosso vengono fatti a
pezzi, portati via e venduti.

4. I giardini pensili di Babilonia

La più problematica tra le sette meraviglie del mondo antico

Tra tutte le sette meraviglie del mondo antico si tratta di quella più problematica. Gli scavi
condotti a Babilonia non hanno fornito finora una collocazione certa e le fonti letterarie non
sono dirette, gli autori che li descrivono cioè non li vedono personalmente ma si rifanno a
tradizioni e fonti più antiche non pervenute.
È lecito supporre che anche i giardini dovessero rientrare nella grande opera di riassetto
urbanistico promossa da Nabucodonosor II e che quindi, come le mura e la porta di Ishtar
essi risalgano al VI secolo.
Giuseppe Flavio, che si basa su una fonte del tempo di Alessandro Magno così racconta
l’origine dei giardini: «Al suo palazzo egli fece ammassare pietre su pietre, fino ad ottenere
l'aspetto di vere montagne, e vi piantò ogni genere di alberi, allestendo il cosiddetto "paradiso
pensile" perché sua moglie, originaria della Media, ne aveva grande desiderio, essendo tale
l'usanza della sua patria».

La ricostruzione di Debora Barbagli

Componendo le informazioni a disposizione, Debora Barbagli tenta un’ipotesi ricostruttiva dei


giardini, secondo cui essi sarebbero disposti su cinque o sei livelli e costituiti da terrazze
disposte l’una sull’altra ad andamento piramidale. Ogni terrazza doveva essere sostenuta da
pilastri i quali, al livello inferiore, generavano un porticato. Il pavimento di ciascuna terrazza
doveva essere adeguatamente isolato, con piombo o altro materiale, per poter accogliere i
grandi quantitativi di terra su cui coltivare piante e fiori.
L’acqua giungeva da fiume Eufrate, trasportata in alto da un sistema di pompe.
Dunque un luogo di delizie dove si coniugano alla perfezione architettura e natura, tecnologia e
poesia.

5. Le piramidi di Giza

La piramide di Cheope

Le più antiche tra le sette meraviglie del mondo antico, le piramidi di Giza sono anche le
uniche che ancora possiamo vedere con i nostri occhi. Esse risalgono alla IV dinastia, un
periodo che si aggiro intorno al 2.550 a.C.
La prima e più grande ospita la tomba del faraone Cheope. Il quadrato di base misura 230 m e
il vertice raggiungeva in altezza i 147 m (oggi 138 per l’effetto di erosione). Il monumento
occupa una superficie di 4 ettari. La gigantesca costruzione, realizzata in enormi blocchi di
pietra calcarea, è un segno tangibile della potenza e della natura divina del faraone nella
cultura egizia. L’edificio, perfetto e semplice nella sua forma chiusa è concepito per
essere osservato dall’esterno, fatto per accogliere e sigillare per sempre il corpo del dio-re.
All’interno poche semplici stanze di cui la più importante, quella che contiene il sarcofago è
sormontata da nove monoliti tagliati a spioventi e collocati in compartimenti sovrapposti e
separati, per proteggere il prezioso contenuto in caso di crollo.
Erodoto racconta che per costruirla furono al lavoro centomila uomini per venti anni ma si
ritiene oggi che il tempo impiegato possa essere almeno il doppio.

Le piramidi di Chefren e Micerino

Pressoché identica la piramide di Chefren, figlio di Cheope. Le sue dimensioni sono di poco
inferiori, 215 m il lato della base, 136 m l’altezza. Decisamente più modesta la struttura del
successore Micerino: 106 m alla base per 62 di altezza.
Nonostante l’inviolabilità fosse nelle intenzioni dei faraoni e dei costruttori, le piramidi di
Giza sono state depredate già in epoca antica, sicché nulla dei corredi è giunto fino a noi.

Il mistero della costruzione delle piramidi di Giza

Il basamento

L'area selezionata per la costruzione è un basamento di roccia sul quale è stato posto un
primo strato di pietre intagliate per poi proseguire a strati orizzontali; secondo l’ipotesi più
accreditata sembra che siano stati utilizzati degli argini di mattoni, terra e sabbia intorno alla
piramide, che venivano accresciuti mano a mano che procedevano i lavori e permettevano di
trasportare i blocchi mediante slitte e rulli.

La tecnica di costruzione

Non è possibile individuare con certezza l’esatta tecnica di costruzione che, visto i decenni
occorsi per l’edificazione, potrebbe essere variata nel tempo.

La forza lavoro impiegata

Rispetto alla versione di Erodoto sembra che la forza lavoro impiegata sia stata di
qualche migliaio di operai stabilmente assunti per lavorare alle piramidi e non contadini con
incarichi stagionali, quando le piene del Nilo non permettevano di lavorare i campi.

L'orientamento delle piramidi

Le tre piramidi hanno le quattro facce perfettamente orientate in direzione dei punti
cardinali: per la piramide di Cheope, le pietre usate per i corridoi interni sono state cavate
vicino al sito, mentre lo strato più esterno era composto da uno strato di calcare di colore
chiaro, proveniente dall'area del Nilo che nel corso dei secoli è stato prelevato per altre
costruzioni ed è rimasto solo sulla punta della piramide.
6. Il mausoleo di Alicarnasso

Un'immensa struttura sepolcrale

Con la grande tomba di Mausolo torniamo ancora nel mondo persiano. Egli è infatti
il satrapo della provincia di Caria e governa questa regione dal 377 al 353 a. C. Alla sua morte
la moglie Artemisia gli dedica questa immensa struttura sepolcrale, tanto ammirata e famosa
che ancora oggi il termine “mausoleo” è assunto nel linguaggio comune per indicare la sepoltura
di un re o di un imperatore.
L’edificio, oggi tra le sette meraviglie del mondo antico, aveva dimensioni impressionanti se si
pensa che il solo basamento misurava alla base 47 per 41 m, e si elevava per 22 m.
Su questo alto parallelepipedo era la cella, circondata da una peristasi di ordine ionico con
nove colonne sui lati minori e undici su quelli più lunghi), e coperta da un tetto a piramide, sulla
cui cima svettava la quadriga del re, con i quattro destrieri scalpitanti, realizzata a tutto
tondo. L’altezza totale sfiorava i 50 metri. In questo edificio sembrano fondersi elementi
greci (l’ordine architettonico e il fregio scolpito) e orientali (il basamento e la piramide
sommitale). La cella ospitava le statue di Mausolo e di sua moglie Artemisia. Altre
innumerevoli statue decoravano poi gli spazi tra le colonne e il basamento.

Gli artisti e i resti del mausoleo

Il Mausoleo di Alicarnasso è anche uno dei pochi casi in cui ci sono stati tramandati i nomi
degli artisti: Satyros e Pyteos per la parte architettonica, e per il fregio con
l’amazzonomachia viene chiamato il grande Skopas, insieme a Bryaxis, Tomotheos e Leochares.
La presenza di artisti greci e la commistione di stili sembra quasi un indizio della
ricomposizione dell’atavica rivalità tra greci e persiani, un conflitto culturale ancor più che
militare e territoriale, che aveva segnato profondamente la produzione artistica del secolo
precedente.
Di tutto questo oggi resta parte del basamento, frammenti della quadriga e del fregio sono
conservati nel British Museum di Londra. A demolire il tempio-tomba è stato un terremoto nel
XII secolo, il materiale è stato in gran parte riutilizzato nel XV e XVI secolo dai cavalieri
crociati di San Giovanni per l’edificazione dei propri edifici di culto.
7. Il tempio di Artemide a Efeso

L'unica colonna rimasta del tempio di Artemide a Efeso,


una delle sette meraviglie del mondo antico

Una meraviglia in grado di far impallidire tutte le altre

Delle 108 totali solo una colonna, dai rocchi malamente ricomposti, resta oggi in piedi di quella
meraviglia in grado, secondo Antipatro, di far impallidire tutte le altre. La tradizione vuole
che il tempio di Artemide sia il primo edificato in marmo dell’architettura greca. Era
ionico, octastilo e diptero, lungo 115 m e largo 55. Viene edificato tra il 570 e il 560 a.C. e
distrutto per mano di un folle che appicca un incendio nel 356 a. C.
Plinio racconta che per la costruzione di questo tempio immenso il re Creso impiega una
fortuna e ricorda i nomi di ben tre architetti. Teodoro, che aveva realizzato l’Heraion di Samo
e i cretesi Cherdifrone e Megatene. L’opera era nel suo insieme un concentrato di materiali
preziosi e di eleganti decorazioni. Le colonne della facciata, per esempio avevano tra la base e
il fusto un elemento intermedio, scolpito con figure processionali, che arricchiva il fusto
percorso da 48 scanalature.
Tutti gli elementi presentavano poi un’accesa cromia, tale da rendere il monumento splendente
e suggestivo. È quest’ultimo, con ogni probabilità l’elemento che segna lo scarto con le altre
opere, che accende d’entusiasmo la poesia di Antipatro. Noi, oggi, altro non possiamo fare se
non fidarci delle sue parole.

Il Faro d’Alessandria
Anche se sono stati compilati diversi elenchi anche nell'antichità, la lista canonica delle sette
meraviglie del mondo antiche risale al III secolo a.C. e comprende il Faro d’Alessandria
costruito tra il 300 a.C. e il 280 a.C. Fra tutte il Faro era la meraviglia più utile perché
indicava la strada ai mercanti che si avvicinavano al porto della città egiziana. Si stima che la
torre fosse alta 134 metri, una delle più alte costruzioni esistenti per l'epoca, e la sua luce
poteva essere vista da 48 km di distanza, cioè fino al limite consentito dalla sua altezza e
dalla curvatura della superficie terrestre. Era costituito da un alto basamento
quadrangolare che ospitava le stanze degli addetti e le rampe per il trasporto del
combustibile. A questo si sovrapponeva una torre ottagonale e quindi una costruzione
cilindrica sormontata presumibilmente da una statua di Zeus o Poseidone, più tardi sostituita
da quella di Elio. La Meraviglia rimase in funzione fino al XIV secolo quando fu distrutta da
due terremoti.

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