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L’uomo rientra in questo campo di studio sotto un duplice aspetto:

in primo luogo egli è sensibile – nel modo di distribuirsi sulla Terra e nella estrinsecazione della sua attività
– all’influenza dell’ambiente fisico in cui vive, dato che questo può essere più o meno ostile alla sua vita e
alla sua diffusione: si ha un adattamento all’ambiente.
I fattori fisici più rilevanti per l’uomo: clima, idrografia (studio delle acque del globo), orografia (studio dei
rilievi montuosi).
Ma i gruppi umani non sono passivi e reagiscono modificando l’ambiente in cui vivono. Divengono
protagonisti di profonde trasformazioni delle “offerte” o possibilità naturali, in quanto le piegano a
soddisfare i loro bisogni: bisogni che sono un prodotto della storia, in quanto legati a una determinata fase
dello sviluppo. La presenza e l’attività dell’uomo si inscrivono sulla Terra con segni più o meno evidenti.

Geografia umana
o La geografia umana studia anzitutto la varia distribuzione degli uomini e la dinamica demografica in
rapporto alle risorse disponibili e alle strutture socio-economiche; questo filone di studi si
denomina “Geografia della popolazione”.
o Poi la geografia umana si occupa dei segni che gli uomini imprimono sulla Terra. Studia pertanto i
tipi e la distribuzione delle dimore a seconda dei modi di vita e delle forme di organizzazione
economica e sociale; questo filone viene denominato “Geografia dell’insediamento”.
Il mondo si va appiattendo?
Secondo un orientamento della letteratura scientifica contemporanea, in specie di quella economica, la
geografia ha oggi una minore importanza che in passato. Soprattutto l’avvento di nuove tecnologie rende
accessibili comunicazioni a distanza, cosicché, secondo gli autori che seguono tale impostazione, diventa
sempre più irrilevante e ridondante il significato di localizzazione e luogo. Thomas Friedman scrive nel 2006
il libro «The World is Flat».
Già nel passato diversi autori avevano parlato di «mondo senza confini», o di «processo di
deterritorializzazione» o di «scomparsa della distanza», ma egli categorizza i fattori determinanti del
cosiddetto progressivo «appiattimento» del mondo.
Perchè il mondo sembra piatto secondo Florida
Dunque, le rafforzate interazioni sociali permettono, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione, di
avvicinare le aree “aguzze” del pianeta, ossia le aree di concentrazione.
Le interrelazioni sociali in effetti si stanno accorciando dove possibile. L’accesso alle informazioni non è
equo e se ci sono parti più aguzze ce ne sono anche di vallate che non riescono ad interagire e ad esempio
c’è il problema delle periferie. Il Mondo si restringe su alcuni aspetti ma si può vedere anche come i
fenomeni siano distribuiti equamente o meno. Le periferie devono avere maggiore attenzione, in senso
largo, tutto ciò che è lontano dalle aree di maggiore sviluppo devono avere maggiore attenzione,
avvicinando zone lontane.
Sistema complesso
Il substrato fisico ovviamente deve essere valutato e ormai è condizionato dalle impronte lasciate nel corso
dei secoli dagli umani. Gli aspetti mutano nel corso del tempo.
Gli esseri umani fino alla scoperta dell’America o dal 1800 erano fortemente condizionati dagli eventi
naturali ma anche in maniera marcata dalle situazioni circostanti. I territori diventano più importanti
quanto riescono a condizionare l’ambiente.
I fattori più importanti per l’uomo
clima è importante perché ha sempre influenzato l’insediamento umano (temperatura e umidità)
anche per il ciclo vegetativo. La produzione agricola è fondamentale. Abbiamo varie fasce climatiche:
- equatoriale (piovosa) è importante dal punto di vista dell’ecosistema. (Ci sono alcune delle foreste più
grandi al mondo ma con insediamenti difficili da attuare.)
- intertropicale è caratterizzata da climi secchi come parte dell’Africa.
-temperata è quella attorno al Mediterraneo.
-i climi freddi arrivano fino a temperature estreme, non facilitando l’insediamento umano.
idrografia è fondamentale la presenza di acque potabili, come i fiumi e dove ci sono grandi bacini la
popolazione è maggiore, molte città sono attraversate da fiumi. E’ importante anche la geografia marittima
perché i mari sono sia un fattore di freno delle relazioni umane sia di contatto.
ortografia studia pianure e basse colline, la tipologia terreno fisico. In passato erano scelte anche
zone meno accessibili, è importante anche per altri fenomeni naturali che possano condizionare o meno la
vita umana come vulcani e terremoti.

Geografia della popolazione


Il termine Ecumene, già adoperato dai Greci per indicare la terra conosciuta ed abitata, venne ripreso dal
Ratzel nel senso di “territorio in cui l’uomo è a casa sua”. Possiamo più ampiamente definire l’ecumene
come lo “spazio terrestre esteso fin dove l’uomo, grazie alla sua adattabilità all’ambiente e al progresso
delle sue tecniche di sfruttamento del suolo, riesce ad abitare durevolmente in normali condizioni di vita”.
Per contrapposto si chiama Anecumene l’insieme delle aree permanentemente disabitate.
L’anecumene può essere utile per i seguenti parametri:
 limiti di temperatura
 limiti di altitudine
 limite di aridità
 altri limiti (luoghi insalubri).
La ecumene è un luogo che permette di sviluppare le giuste condizioni per vivere. Ci sono terre abitate e
terre inabitabili, molto dipende dalle condizioni del terreno.
Il limite tra ecumene ed anecumene non è una linea, ma una fascia più o meno larga, in cui sono presenti
gruppi di uomini senza abitazioni stabili; a tale fascia si dà il nome di Subecumene. Secondo il Ratzel i popoli
qui presenti sono “popoli marginali” (Randvölker), che possono vivere o in condizioni divenute stabili nel
tempo, oppure tendere all’estinzione.
In alta montagna, tra il limite dell’ecumene (che coincide più o meno col limite delle colture) e le aree
sommitali prive di vegetazione, si interpongono fasce subecumeniche, cui i pastori fanno salire le mandrie e
le greggi in estate per sfruttare i pascoli, e ne ridiscendono col sopravvenire della cattiva stagione.
Sin dagli antichi Greci, una delle prime discipline della metà del 1800 e dell’età moderna, persa nel
Medioevo fu la cartografia. La cartografia è sempre più precisa, soprattutto per i Continenti. I mezzi di
comunicazione si evolvono, come le migrazioni. La valutazione della popolazione avviene tramite la filosofia
positivista, scientifica e tramite il darwinismo. Si studia il passaggio dall’ambiente naturale a quello
moderno tramite il clima. Lo sviluppo economico fu importante per lo sviluppo del periodo. All’inizio ci
furono scuole tedesche che usano il termine ecumene: è usato in tanti modi, significa storico, luogo dove
l’uomo si sente a casa, usato nell’antica Grecia per le terre utilizzate e scoperte in Europa, Asia e Africa.
Erano luoghi dove l’uomo potevano vivere civilmente. Andavano a usare un termine per indicare lo spazio
terrestre dove gli esseri umani riescono ad adattarsi per migliorare le condizioni di vita, avendo dei terreni
da coltivare per nutrirsi e per vivere. Bisogna abitare in posti vivibili e avere un suolo per sfamare la
popolazione che ci vive.
In normali condizioni di vita c’è anche la parte anti-ecumenica, dove gli uomini non hanno un’abitazione
vivibile. In Antartide non si può abitare normalmente, ma con la ricerca ci si può stare con un’alta
temperatura e con cibo il esportato.
Ci sono terre abitate e terre inabitabili, molto dipende dalle condizioni del terreno. Alcune terre non si
possono abitare per limiti diversi: limiti assoluti come temperatura e aridità.
 La temperatura dipende dal fattore climatico e locale, come la presenza o assenza di montagna o
corsi d’acqua. Le zone migliori sono quelle con un clima temperato con 25-32°C.
 L’aridità ha un 70% di acqua nel corpo umano, è un limite assoluto nei deserti e nelle aree aride. Il
limite di eccessiva piovosità come in India crea molti problemi superabile.
 Il limite di altitudine è relativo, varia in base al luogo e alle montagne: 1°C ogni 150 metri di
dislivello, in Italia è sui 2000 metri, in Himalaya è 5000 metri.
 Il limite vegetazionale dipende dall’altitudine della montagna.
 Il limite dei luoghi inscindibili può essere aggiustato con tecniche e opere per rendere i posti vivibili.
C’è una fascia ampia dove si parla di sotto ecumene, dove la popolazione vive lì solo quando è possibile. Si
tratta di popoli marginali nomadi, si spostano in continuazione. Chi vive al circolo polare artico si spostava
per far pascolare le renne, poi tornavano sotto il circolo polare artico. I beduini del deserto si muovono fra
le zone costiere dell’Africa nel Nord e nel deserto. In asia ci sono i Pastori, come in Italia i pastori
dell’alpeggio, vivevano fra montagna e sotto valle. Al Sud c’è la transumanza. I popoli erranti esistono
sempre meno, le economie della pastorizia ormai sono rare. In montagna c’è l’area ecumenica.
La popolazione nel Mondo vive distribuita in modo ineguale:
innanzitutto, quasi tutta la popolazione vive nell’emisfero boreale, gran parte di essa si concentra nella
zona temperata e in quella sub-tropicale.
Dopo considerazioni la geografia classica negli ultimi anni viene messa in dubbio: il maggior numero di terre
emerse è nell’emisfero boreale, rispetto all’australe, c’è anche più popolazione.
Nell’emisfero settentrionale come Cina e Mediterraneo il mondo si sta sviluppando, in particolare negli
Stati Uniti: siamo a 7/8 miliardi di abitanti nel mondo. L’incremento è sorto negli ultimi 10 anni. L’Europa ha
perso tanto negli ultimi anni. In Africa c’è il 17% è della popolazione totale.
Un primo indicatore: la densità di popolazione
Per densità della popolazione si intende il rapporto tra il numero degli abitanti e la superficie che essi
occupano: generalmente la si esprime in abitanti per chilometro quadrato.
Avere alta densità non è un problema per settori economici.
Gli Stati Caraibici hanno avuto un maggior benessere politico ed economico.
Lo Stato con la maggiore densità al mondo è il Principato di Monaco.
In campo geografico viene generalmente adottata la seguente classificazione:
 aree ad alta densità (più di 100 abitanti per kmq)
 aree densamente popolate (tra 50 e 100 abitanti per kmq)
 aree a mediocre densità (da 10 a 50 abitanti per kmq)
 aree a bassa densità (da 1 a 10 abitanti per kmq)
 aree a bassissima densità (meno di 1 abitante per kmq).
In effetti la densità è un indice molto semplice, che però spesso non fornisce una vera misura della capacità
di carico del territorio.
La densità realmente sopportabile da un territorio dipende dall’entità del reddito degli abitanti.
Ci sono altri fattori da considerare.
Si parla di un minimo e massimo di popolamento nel vedere se la popolazione sta prosperando o
regredendo.
Minimo di popolamento
Il minimo di popolamento è definibile nelle due forme di minimo biologico e minimo economico:
 il minimo biologico è il numero al di sotto del quale una collettività chiusa non può scendere senza
che si generi la sterilizzazione del gruppo. Un esempio sono le specie in via di estinzione. Riguarda
gli umani che vivono stabilmente in determinate regioni: comunità vissute nelle isole, tipo l’isola di
Pasqua dove la popolazione ha abbandonato l’isola.
 il minimo economico è quel numero di abitanti al di sotto del quale la capacità di lavoro diventa
insufficiente a trarre, dall’ambiente in cui la comunità vive, le risorse indispensabili a garantire la
conservazione del gruppo. Riguarda il settore economico. Il rapporto del lavoro sufficiente deve
generare ricchezze e produzioni, anche in base all’età: in Italia c’è grande percentuale di anzianità,
è una località chiusa dove si arriva al minimo economico, la comunità non riesce a produrre
ricchezza per la mancanza di lavoratori.
Ci fu un’epidemia dovuta alle piante in molti paesi che si devono sviluppare economicamente. A volte
l’economia non riesce a produrre abbastanza classi o posti di lavoro, non dà la possibilità di lavorare. La
ricchezza viene data a una determinata fascia di lavoro, nel mondo si parla di 5% di disoccupazione, in
Italia è circa al 12% soprattutto per il Covid-19. Ci sono delle situazioni culturali dove si hanno delle
flessioni lavorative ed economiche, anche antropiche. Si valuta sovrappopolamento o sotto-popolamento.
Massimo di popolamento
Esso è visto sotto due forme diverse a seconda che si consideri la situazione di un paese a economia di
sussistenza o quella di un paese a economia di scambio:
 Nel paese a economia di sussistenza il massimo è raggiunto quando ogni accrescimento numerico
pone la popolazione in una situazione di equilibrio instabile, in cui le carestie e la fame
costituiscono una minaccia costante.
 Nel paese a economia di scambio, il massimo sembra oltrepassato quando non può essere
occupata tutta la manodopera ed il livello di vita va diminuendo rapidamente.
In entrambi i casi, comunque, non si possono stabilire valori assoluti invariabili nel tempo; ma il massimo di
popolamento si presenta particolarmente soggetto a “congiunture” nei paesi industriali.
Sottopopolamento e sovrapopolamento
 Per sottopopolamento si intende ogni occupazione di territorio a livello inferiore al minimo di
popolamento. Tuttavia, se il limite biologico appare intangibile, il limite economico può essere
modificato da una più efficace attrezzatura e da tecniche più progredite.
 Il sovrapopolamento si definisce come superamento dei valori massimi. In genere, si
considerano sovrappopolati quei territori in cui i beni prodotti non bastano a fornire adeguati
mezzi di sussistenza per tutta la popolazione.
L’evoluzione della popolazione mondiale
La popolazione mondiale che contava, all’inizio dell’era cristiana, quasi 250 milioni di abitanti, aveva
raggiunto lentamente i 500 milioni intorno al 1650. Verso la metà dell’Ottocento superava il miliardo, nel
1940 era già di 2 miliardi. Nel 1975 si sono raggiunti i 4 miliardi. Attualmente la popolazione mondiale è
poco meno di 7,4 miliardi di individui. Nel 2050, secondo le proiezioni ONU si dovrebbero raggiungere i 9,7
miliardi. Nel 2100 si dovrebbe avere una popolazione di circa 11,2 miliardi.
La rivoluzione demografica
L’accelerazione del ritmo di incremento, nota col nome di rivoluzione demografica, fu dovuta soprattutto
alla «ritirata della morte», ossia alla riduzione del tasso di mortalità, soprattutto infantile, cui hanno
contribuito in notevole misura i progressi della medicina e il miglioramento delle condizioni di vita a partire
dalle regioni più evolute.
I movimenti della popolazione: natalità e mortalità
La natalità si definisce in valore assoluto come “numero dei nati in un anno solare” e in valore relativo
come rapporto fra il numero dei nati in un anno e il totale della popolazione residente moltiplicato per mille.
Quasi ovunque nel mondo è più elevata la natalità maschile, ma poiché i maschi accusano una più forte
mortalità, nelle classi adulte si stabilisce un certo equilibrio, mentre nelle classi anziane il rapporto tende
addirittura a capovolgersi per effetto della maggiore longevità femminile.
Per analizzare la natalità è importante il tasso di fecondità (numero dei nati per mille donne in età feconda,
fra 15 e 40 anni).
I movimenti naturali di popolazione: la mortalità
Con una tipologia di calcolo simile si può calcolare l’indice di mortalità. Particolarmente rilevante per
osservare le condizioni di salute di una popolazione è il calcolo dell’indice di mortalità infantile (fino a 5
anni di vita), ossia il rapporto fra il numero di bambini morto a meno di un anno di vita sul totale dei
neonati. Anche il tasso di mortalità a meno di 5 anni di vita è particolarmente preso in considerazione nelle
statistiche ufficiali internazionali, soprattutto dall’Onu. La mortalità neonatale si indica con lo stesso
calcolo, considerandola sotto il primo anno di vita.
La transizione demografica
Secondo questa teoria, basata su dati osservati, il tasso naturale (ovvero il saldo tra indice di natalità meno
l’indice di mortalità) si sviluppa con una funzione simile a quella della curva logistica.
La prima fase
Nella prima fase si ha il tipo primitivo, caratterizzata da un’elevata natalità, legata al settore primario
società rurali, forza lavoro). È caratterizzato da una mortalità molto alta per carenza di esigenze igieniche.
Le classi giovanili sono molto più numerose di quelle anziane e la durata della vita è molto bassa.
La seconda fase
Il tipo in via di evoluzione è proprio delle popolazioni che da non molto tempo e soltanto parzialmente si
vanno modernizzando e manifestano oggi i più vistosi incrementi naturali. La natalità si mantiene molto alta
e la mortalità ha iniziato una rapida curva discendente grazie alla lotta contro le malattie endemiche e alla
progressiva introduzione della medicina moderna.
Sono le popolazioni destinate nei prossimi anni a conoscere un boom spettacolare, poiché la ritirata della
morte può venire ulteriormente accelerata, mentre è difficile una sostanziale diminuzione delle nascite.
La terza fase
Si può distinguere un tipo ad uno stadio di sviluppo avanzato, in quanto, il tasso di mortalità scende di
molto, cosicché i tassi di incremento naturale sono elevatissimi, che però sono sul punto di ridursi piuttosto
che di crescere. Si considerano il maggior benessere dei Paesi in cui la donna ha messo in atto
rivendicazioni sindacali sul suo ruolo, così come la sua entrata nel mondo del lavoro. Lavorando fanno
meno figli.
La quarta fase
Tipo a natalità diminuita e bassissima mortalità, nella quale diminuisce sempre più il tasso naturale e hanno
politiche sul controllo delle nascite.
La Zero Population Growth
Nell’ultimo stadio della transizione demografica, come si è visto, vi è un ritorno a un incremento
demografico vicino allo zero (ZPG=Zero Population Growth), simile a quello della fase pre-transitoria, con
l’abbassamento dei tassi di natalità.
All’inizio del 1900 sono state mosse alcune critiche riguardo il fatto che si tratti di una teoria meccanicista,
che lascia al “normale corso degli eventi” il compito di ristabilire l’equilibrio demografico, sarebbe a dire che
coloro che fanno uso della teoria della transizione demografica per spiegare lo sviluppo demografico a
livello globale, lasciano implicitamente intendere che, tutto sommato, i Paesi che oggi si trovano in una
situazione demografica in piena fase di transizione e con alti tassi di incremento della popolazione, presto o
tardi cominceranno a vedere scendere i loro tassi di natalità, come è già avvenuto per i paesi industrializzati.
La teoria della transizione
Effettivamente, la teoria della transizione demografica fu elaborata sul calco dello sviluppo demografico dei
Paesi occidentali (e dell’Europa, in particolare). Per questa ragione si tende a diffidare della sua portata
“globale”, specie per quanto riguarda la sua capacità di lettura e di interpretazione dei fenomeni
demografici in atto nei PVS.
Il timore è quello che, a causa delle oggettive condizioni di degrado economico-sociale e ambientale, si
possa instaurare in diversi di questi Paesi uno sviluppo demografico che prescinda dalla transizione
demografica “classica”, per portarsi verso una transizione demografica “maligna”, che sostituisce il terzo
stadio con uno in cui i tassi di mortalità raggiungono nuovamente i tassi di natalità, tornando a una
situazione simile a quella del primo stadio della transizione. In tal modo si avrebbe una ZPG, ma dovuta a
un netto peggioramento delle condizioni di vita.

La natalità sta scendendo in maniera brusca in alcuni paesi: per l’ipotesi delle Nazioni unite ci sarà un anno
X, nel 2100 in cui la popolazione non crescerà più.
A causa delle oggettive condizioni di degrado si ha una transizione demografica maligna, che sostituisce il
terzo stadio (avendo meno persone che possono produrre redditi) con una situazione in cui i tassi di
mortalità raggiungono i tassi di natalità.
I limiti dello sviluppo demografico
Il primo approccio sistematico al rapporto fra incremento demografico e scarsità delle risorse (alimentari)
lo si ha già nell’opera di Thomas Malthus (1766-1834), secondo il quale poiché la popolazione ha un
incremento esponenziale, mentre la produzione di alimenti ha una crescita lineare, ben presto la
popolazione non potrà più crescere ulteriormente, in quanto verrebbero a mancare gli alimenti (la capacità
di carico sarà raggiunta). Ben presto la popolazione non potrà crescere ulteriormente.
Thomas Malthus si ispira alla teoria Darwiniana. Lui era un predicatore inglese e viveva in uno dei periodi
più particolari (1766-1834), nel mezzo della Rivoluzione Francese e dell’espansionismo napoleonico. Lui
pensa in maniera semplice, mette in atto ipotesi teoriche.

Nonostante l’aumento di popolazione potrebbe significare un aumento di forza lavoro e dunque una
messa a colture di maggiori quantità di terre, in realtà un aumento di uno dei fattori della produzione (in
questo caso, il lavoro) non dà un aumento proporzionale della produzione, anche perché – nel caso delle
risorse alimentari – avendo bisogno di produrre più di quanto si produca normalmente, si mettono a
coltura terre marginali con scarsa fertilità. Per evitare un collasso di proporzioni disastrose, bisogna limitare
l’incremento della popolazione, secondo il massimo carico possibile, e far assumere alla popolazione la
forma S della curva logistica. Le tre forze essenziali: guerra, vizio, indigenza. Quando la popolazione nasce
troppo si creano dei conflitti per il terreno accanto. In un peggioramento delle condizioni sanitarie e salutari
la povertà eliminava le classi sociali meno ricche e più svantaggiate.
In caso contrario, dice ancora Malthus, sarà la Provvidenza a fare in modo che venga riportato al punto di
partenza il livello di popolazione, attraverso “guerre, vizio, indigenza”.
La teoria malthusiana funziona con la popolazione nello stesso modo in cui un termostato funziona per la
regolazione della temperatura.
Come il termostato, il demostato malthusiano regola la quantità di popolazione in base alla presenza di
sottopopolazione o sovrapopolazione.
Malthus, più che su previsioni di lungo periodo, si basava su dati relativi a brevi periodi e a situazioni locali.
Ciò è potuto accadere perché Malthus non ha tenuto conto dello sviluppo tecnologico che ha traslato in
alto la capacità di carico, ossia aumentato la soglia critica di popolamento. In altre parole, vi è una maggiore
efficienza del modo di trarre sostentamento dall’ambiente.
La teoria di Malthus viene accantonata sulla base di una fiducia nello sviluppo della tecnologia
(tecnocentrismo), sulle capacità dell’uomo di trovare soluzioni ai problemi della sovrappopolazione
(antropocentrismo) e sulla sostituibilità delle risorse naturali con quelle prodotte dall’uomo.
Nel 1972 un gruppo di studiosi del MIT su commissione del Club di Roma pubblicò uno studio sui limiti dello
sviluppo. Nella Massachusetts University presero in considerazione cinque variabili:
 popolazione
 produzione industriale pro capite
 produzione alimentare pro capite
 risorse naturali
 inquinamento.
Il risultato finale di tale ricerca mostrò come, agli attuali tassi di crescita della popolazione,
dell’inquinamento, della produzione di alimenti e industriale, e di decremento delle risorse, si sarebbe
avuto, entro il primo cinquantennio del XXI secolo, un repentino calo degli alimenti pro capite e della
produzione industriale, nonché un più veloce calo delle risorse naturali; la popolazione e l’inquinamento
avrebbero continuato a crescere, secondo il loro andamento esponenziale, ancora qualche decennio per
poi calare bruscamente.
I ricercatori del MIT dicono che sono tre i modi principali per rispondere a un segnale di superamento dei
limiti di sostenibilità:
 ignorare il problema o scaricarlo sugli altri,
 alleviare le pressioni mediante artifici tecnici o economici che non modificano le cause sottostanti,
 fare un passo indietro e cambiare la struttura del sistema socioeconomico umano.
Nel 2004 vi è stato un nuovo aggiornamento, “I nuovi limiti dello sviluppo”, in cui gli autori sostengono, in
sintesi, che si deve accettare l'idea della finitezza della Terra, che è necessario intraprendere più azioni
coordinate per gestire tale finitezza, che gli effetti negativi dei limiti dello sviluppo rischiano di diventare
tanto più pesanti quanto più tardi si agirà.
Questo aggiornamento riguarda la sostenibilità, come nella Rivoluzione Francese (prinicipi) si sviluppa la
necessità di una UNA SOCIETA’ SOSTENIBILE.
Essi prospettano quindi una rivoluzione sostenibile: di lunga durata come le precedenti, per nulla simile a
cambiamenti repentini come la Rivoluzione Francese, in grado di dare nuove risposte al problema
millenario della vita umana sulla Terra.
Notano che la rivoluzione sostenibile dovrà essere accompagnata ben più delle precedenti dalla
consapevolezza della sua necessità e degli obiettivi di massima da raggiungere.
Una società sostenibile deve anche essere una società solidale e con diseguaglianze contenute:
 ricchezze eccessive inducono comunque un consumo sostenuto delle risorse naturali ed un
crescente inquinamento,
 una povertà diffusa esporrebbe il pianeta al peso insostenibile di una crescita esponenziale della
popolazione.
Gli autori rifiutano l'obiezione secondo la quale la tecnologia ed i meccanismi automatici del mercato sono
sufficienti ad evitare il collasso del sistema. Propongono al riguardo l'esempio della pesca: lo sfruttamento
sempre più intenso di una risorsa naturale di per sé rinnovabile ha condotto al depauperamento della fauna
ittica, al punto che il prodotto della pesca comincia a diminuire, incidendo sull’ecosistema marino.
La tecnologia ha reso la pesca sempre più aggressiva (sonar, individuazione di branchi tramite satelliti), il
mercato ha reagito alla scarsità aumentando il prezzo, trasformando così un alimento per poveri in un
alimento per ricchi. Quella attuale usa un business molto aggressivo, anche il mercato ha reagito.
La natalità scende e poi risale nel 2100 (natalità e mortalità sono di pari passo).
La piramide demografica
La piramide demografica è un particolare diagramma a barre, che ci permette di visualizzare la struttura
della popolazione in base alle classi di età di cui è composta e il genere.
La speranza di vita alla nascita, quanti anni si può vivere in un determinato contesto. L’Africa passa dal 37%
al 62% (incremento importante). Il 2100 è l’anno preso come riferimento.
I movimenti migratori
I movimenti migratori influiscono sulla consistenza numerica e sulla distribuzione territoriale dei gruppi
umani. Li si potrebbe classificare in base all’entità:
 emigrazioni di massa: il secondo dopoguerra, la rivoluzione dei trasporti, le rivoluzioni digitali).
Queste migrazioni con nuclei consistenti di popolazione incidono sulla comunità ospitante e sulle
minoranze di un territorio.
 emigrazioni per infiltrazione: riguarda i nuclei singoli, le ragioni lavorative, in Inghilterra i
pensionati dei Settlers migrati si amalgamano nella comunità ospitante, i pescatori tunisini.
La migrazione è un procedimento lungo nei secoli. Un’altra classificazione riguarda i moventi:
 migrazioni spontanee
 migrazioni organizzate
 migrazioni coatte.
Un esempio sono le migrazioni di massa. Infine, un’altra classificazione attiene alla durata:
 migrazioni permanenti: gli ebrei nelle navi in Israele si muovono per ragioni umanitarie
 migrazioni temporanee;
 spostamenti pendolari residenza-luogo di studio o di lavoro.
Migrazioni di popoli
Agli spostamenti di gruppi umani più o meno compatti, o addirittura di interi popoli, si devono imputare i
grandi incroci, le sovrapposizioni e interposizioni di gruppi etnici in tutti i continenti e particolarmente
nell’Eurasia in epoca remota.
 Migrazione degli Indoeuropei o Ariani dall’altopiano iranico.
 Colonizzazione dei Greci e dei Romani.
 Migrazioni germaniche e celtiche.
 Conquista araba.
 Invasione dei “popoli cavalieri” uralo-altaici.
Nell’età moderna dopo la scoperta dell’America e dell’Australia, le grandi migrazioni avvennero per via di
mare e iniziò, con l’estendersi dello sfruttamento coloniale, anche la migrazione coatta di popolazione
africana (in particolare dal Golfo di Guinea fino all’Angola), ossia la tratta degli schiavi olandesi e
portoghesi. Essa fu avviata dai Portoghesi fin dalla metà del Quattrocento per fornire manodopera alla
madrepatria, mai poi assunse proporzioni enormi, trasferendo forzatamente nelle colonie americane,
prevalentemente giovani uomini da adibire nelle piantagioni in America del Sud. Era la terra principale di
schiavi: Brasile e Caraibi ebbero un flusso migratorio dal mare, come le popolazioni indigene. Si tratta di
popolazioni tenaci e cannibali.
Vi sono molti esodi forzati causati da motivazioni di ordine politico, etnico e religioso.
La “geografia dello sradicamento” include soprattutto i rifugiati, ossia coloro che abbandonano il proprio
luogo di origine per situazioni problematiche.
L’UNHCR e altre agenzie distinguono tra rifugiati internazionali, che hanno attraversato uno o più confini
nel corso del viaggio e si sono accampati in un Paese diverso dal proprio, e rifugiati intra-nazionali, che
hanno abbandonato la propria casa, ma non il proprio Paese. Inoltre, si possono avere rifugiati permanenti
e rifugiati temporanei.
I rifugiati presentano almeno tre caratteristiche, che si trovano singolarmente o insieme:
 la maggioranza si sposta senza avere alcuna proprietà tangibile oltre a quella che è in grado di
portare con sé
 la maggioranza percorre il primo tratto con mezzi di trasporto non tecnologici (a piedi, con carri,
ecc.)
 i rifugiati si spostano senza documenti ufficiali che accompagnano le migrazioni regolari.
Un esempio è quello dell’Isola di Lesbo, in Grecia, nel campo di Moria che ospita i rifugiati dalla Siria). La
maggioranza si sposta senza avere i documenti (dissoluzione ex Iugoslavia dopo la guerra).
Altri esempi riguardano:
 il Sud America con la crisi venezuelana
 la Siria dal 2011 con primavera araba causò un forte incremento dei rifugiati,
 il Sudan ha ottenuto l’indipendenza da poco, è uno stato molto povero.
I profughi ambientali
Lo spostamento delle comunità come risultato dei cambiamenti ambientali non è un fenomeno nuovo.
Nella storia della vita umana, le persone si sono da sempre spostate per andare alla ricerca di un luogo più
adatto alla vita. A differenza del passato, però, la continua crescita dell’impatto dei cambiamenti climatici,
sta costringendo intere popolazioni ad abbandonare le proprie case, per non farne più ritorno. Questi
prendono il nome di migranti ambientali. Termini e concetti inerenti questo tema sono stati ripresi dalla
letteratura, ma cercando di dare una definizione, possiamo dire secondo l’OIM (Organizzazione
internazionale delle migrazioni) che i migranti ambientali sono:
persone o gruppi di persone che, per pressanti ragioni di un cambiamento ambientale improvviso o
graduale che influisce negativamente sulle loro vite o sulle loro condizioni di vita, sono costretti a lasciare
le loro dimore abituali o scelgono di farlo, temporaneamente o per sempre, e che si spostano sia
all’interno del loro paese che oltre confine.
I cambiamenti climatici contribuiscono senz’altro alla crescita sempre maggiore delle migrazioni; ma per
poter parlare di questo tema, bisogna innanzitutto fare una distinzione tra eventi a rapida e lenta
insorgenza, e soprattutto evidenziare i fattori critici che li caratterizzano quali:
 la natura del pericolo in questione
 gli effetti del disastro
 la percezione delle persone riguardo il cambiamento e la capacità di adattamento e la mitigazione
del rischio.
I pericoli che si presentano all’improvviso o la cui presenza non può essere facilmente prevista in anticipo,
come terremoti, cicloni, tempeste, frane, valanghe, incendi, inondazioni ed eruzioni vulcaniche sono
solitamente classificati come “rapid-onset disaster” o disastri a rapida insorgenza.
Altri cambiamenti ambientali invece i cui risultati catastrofici si evincono dopo mesi e a volte anni, come la
siccità, la deforestazione, le carestie e l’inquinamento, vengono classificati come “slow-onset disaster” o
disastri a lenta insorgenza.
I rapid-onset disaster sono spesso il prodotto degli slow-onset disaster e dell’attività umana. La presenza di
tali disastri ambientali è dovuta principalmente alla cattiva gestione delle risorse naturali e alla distruzione
dell’ecosistema da parte dell’uomo. Basti pensare alla rimozione di alberi o vegetazione in generale (al fine
di cementificazione o altre attività commerciali), che può creare condizioni nella quale l’acqua non più
trattenuta nel terreno, può provocare inondazioni e frane.
Sia in caso di disastri a rapida insorgenza che di disastri a lenta insorgenza gli effetti possono essere tragici,
a partire dalla distruzione di beni e mezzi di sussistenza, perdite economiche, agli scompensi sociali e
psicologici e alla perdita di vite umane. Naturalmente sia gli eventi improvvisi, sia i processi graduali,
possono spingere le persone a migrare.
Nel 1985 il ricercatore egiziano Essam El-Hinnawi, autore di vari rapporti UNEP (Programma delle Nazioni
Unite per l’Ambiente), ha fornito per la prima volta dei criteri distintivi per i rifugiati ambienti,
distinguendone tre tipi:
 Gli individui che si spostano temporaneamente a causa di stress ambientali, ma successivamente
fanno ritorno nei luoghi di provenienza per iniziarvi la ricostruzione.
 Gli individui che si spostano in maniera permanente e vengono ricollocati in altre aree. Questi tipi
di rifugiati subiscono l’effetto dei grandi progetti di sviluppo (come le grandi dighe) e dei disastri
naturali.
 Gli individui che si spostano permanentemente perché non possono essere sostenuti dalle risorse
delle loro terre a causa del degrado ambientale.
Importante fu la nuova definizione dei confini dopo la Seconda Guerra Mondiale. Altri esempi: la guerra
greco-turca; la scissione dell’India e del Pakistan; la costituzione dello Stato di Israele.
Se le migrazioni di popoli e gli esodi coatti hanno avuto un’importanza notevole nelle variazioni del mosaico
etnico di vasti territori, i movimenti di colonizzazione hanno contribuito all’espansione umana sulla Terra.
Nell’età moderna l’Europa avvia un processo di progressiva “europeizzazione” dell’America e dell’Australia.
Le cause che spingevano gli emigrati non erano sempre le stesse. Nella maggior parte vi era un eccesso di
popolazione nel Paese natale. Un esempio riguarda la storia degli Irlandesi nel nord America, durante la
carestia del 1850.
Fattore importante per la migrazione negli Stati Uniti fu per esempio l’abolizione della schiavitù, con
l’impiego progressivo di manodopera europea. Il miglioramento dei trasporti marittimi (navi a vapore)
contribuì notevolmente all’immigrazione nel Nord America. La migrazione cinese risale all’apertura della
California, erano discriminati dagli europei e trattati come schiavi nelle ferrovie. In Argentina ci fu la
costruzione di uno Stato moderno.
La mobilità della popolazione all’interno di un territorio nazionale è quasi sempre connessa a incentivi di
ordine economico e sociale.
Le migrazioni interne rispondono ai bisogni dell’organizzazione del territorio nazionale. A seconda dello
stadio di evoluzione demografica ed economica delle diverse parti del Paese, la ricerca di un equilibrio può
comportare lo spostamento di famiglie da aree sovrappopolate verso zone da bonificare e colonizzare,
l’abbandono delle montagne povere e delle campagne arretrate per aree più progredite; il fenomeno
dell’inurbamento.
Distribuzione geografica dei lavoratori migranti di sesso maschile
Profilo prevalente di genere maschile (lavoro all’estero per erogare lo stipendio alla madre patria in senso
patriarcale), se il lavoro fosse diventato permanente avrebbero fatto arrivare tutta la famiglia (esempio in
America), ora sono quasi in parità con le donne in Europa e negli Stati Uniti, negli Stati Arabi prevale il
genere maschile. Paesi che inviano le rimesse (soldi alla madrepatria).
La Repubblica di Corea attrae lavoratori del sud est asiatico. In alto alla classifica ci sono Cina, India,
Messico e Le Filippine.
Migrazioni interne
La mobilità della popolazione all’interno di un territorio nazionale è quasi sempre connessa a incentivi di
ordine economico e sociale. Le migrazioni interne rispondono ai bisogni dell’organizzazione del territorio
nazionale. A seconda dello stadio di evoluzione demografica ed economica delle diverse parti del Paese, la
ricerca di un equilibrio può comportare lo spostamento di famiglie da aree sovrappopolate verso zone da
bonificare e colonizzare, l’abbandono delle montagne povere e delle campagne arretrate per aree più
progredite; il fenomeno dell’inurbamento. Birmingham è un esempio. In Italia dopo l’Unità fu molto
importante nelle problematiche nel “Meridione”: i contadini andavano a lavorare nelle industrie del nord.
Un esempio sono i parigini nella seconda casa nella Costa Azzurra.
Il Pendolarismo: movimento a pendolo, si parte da una località per raggiungere un’altra con la partenza. Si
va avanti nel luogo di studio, si va indietro verso la residenza. I raggi di pendolarismo sono di 30 km x 2. Il
treno ad alta velocità rende molto pendolarismo fra Torino e Milano. In una ricerca ogni 10 anni: si è
spostato nel giorno tot? I flussi migratori più ricorrenti ci sono il mercoledì e il giovedì.
La città nell’attualità. Concetti e prospettive
Le città si formano quando si realizzano alcune condizioni sociali, politiche e soprattutto materiali a ciò
favorevoli. Esiste in primo luogo un fattore alimentare che alle origini limita non poco il formarsi di
aggregazioni di tipo urbano. Nutrire una popolazione fortemente concentrata è possibile solo disponendo
di riserve di cibo consistenti, trasferibili, accumulabili e conservabili.
Esiste però anche una condizione politica non trascurabile: la città deve poter esercitare una forma di
egemonia sulle campagne, poiché queste non avrebbero interesse a rifornirla spontaneamente.
Complementare a ciò è l’esistenza di una reta di comunicazioni, centrata sulla città, efficiente e adatta
anche a trasporti di grandi dimensioni. Le città sin dall’antichità vivevano di terra, fanno il passaggio alla
sedentarizzazione. Gli uomini sviluppano la necessità di vivere insieme e organizzarsi, nasce la cura dei
campi.
La città più antica è la città di Uruk, di cui sono stati scoperti ben 11 strati, in Mesopotamia. Le case sono
fatte con mattoni di fango, senza cotture. Il vivere insieme permette la gestione della difesa. La città deve
sviluppare un collegamento fisico e di comunicazione.
Il processo di formazione viene denominato SINECISMO URBANO: elezione di un domicilio comune. Esempi
nell’antichità sono quelli Egizi, Mesopotamici, Etruschi, fino all’antica Roma.
La città viene costruita per l’organizzazione del lavoro (ognuno fa una sua attività, in base alle abilità per
mestieri più rari), suddivisioni in classi sociali e gerarchia sociale. Ci sono riflessioni religiose anche nella
preistoria: sciamanesimo. Le persone che lavoravano i metalli erano le più in vista nella società.
Se il sinecismo si pone all’origine della formazione della città, in termini materiali o quanto meno politici e
amministrativi, la crescita degli agglomerati urbani e il loro mantenimento nel tempo possono dipendere da
cause anche totalmente estranee rispetto alle motivazioni iniziali. Si parla allora di “inerzia urbana” per
sottolineare un fenomeno abbastanza consueto: quando una città ha preso a esistere si comporta come un
essere vivente, nel senso che diventa capace di rinnovare continuamente le sue cellule pur conservando e
ripetendo certi caratteri originari. La città è come essere vivente: ha esigenze materiali e politiche. La città
avere diversi motivi di attrazione per la popolazione.
L’inerzia urbana non è mai stata moto uniforme o uniformemente accelerato. Una delle caratteristiche
pressoché costanti di un organismo urbano è la necessità di rinnovarsi dal di dentro. Per questa ragione si
usa dire che la città è un palinsesto, come una rappresentazione teatrale. La città deve stare al passo dei
secoli.
Molto raramente una città è monofunzionale: anche quando nasce con queste caratteristiche ben presto si
modifica in senso polifunzionale: se cresce la popolazione cresce la possibilità di attivare nuovi modi di
gestire, e se non lo fa muore. La necessità degli abitanti crea un “effetto città”: attrarre nuova popolazione
che fermenta la cultura e la società, agisce in ogni epoca della storia urbana. La necessità degli abitanti
richiama il formarsi di servizi, i quali traggono a loro volta vantaggio dal fatto di trovarsi inseriti in una vasta
aggregazione di persone che li richiedono. È un meccanismo di continua crescita fra città e popolazione.
L’economia della città aumenta, la città si rafforza. Ci sono anche lenti fenomeni di declino delle città.
La vicinanza dei servizi e delle abitazioni fa creare una suddivisione, ma è un vantaggio a cui nessuno
rinuncia facilmente. Si creano in corrispondenza delle aree che ne sono meglio dotate e quindi di regola in
corrispondenza di centri cittadini, rendite di posizione che favoriscono in termini finanziari il recupero degli
spazi già edificati e il rinnovo dei vecchi fabbricati rispetto alla costruzione di nuovi fabbricati in aree
periferiche. Le città nordamericane si sono sviluppate prima: Philadelphia fine 1600.
Nelle città europee è difficile riscontrare un’evoluzione. In America fra 700 e 800 c’è una fase
preindustriale, di pianure e di fiumi: nel centro il commercio del ceto medio-basso, senza mezzi di
trasporto; all’esterno i ceti più agiati (carrozze). Anche in Inghilterra.
La città statunitense dopo l’introduzione del pubblico trasporto e prima della diffusione dell’automobile. Le
attività artigianali e commerciali al centro. Quartieri dedicati alle industrie, necessità di avere vicino le
industrie, sviluppo di residenze operaie. Il ceto medio va verso l’esterno lungo le vie di comunicazione e
principali. Le città hanno forme più allungate.
La città statunitense dopo la diffusione del mezzo proprio e fino all’attuazione del programma autostradale.
Le residenze agiate si spostano all'interno della città. La città con la realizzazione di autostrade. Le aree
industriali creano borghi più piccoli. In prima approssimazione la città si distingue per 2 caratteri
quantitativi:
-la concentrazione, cioè densità demografica è più alta del territorio circostante (densità di costruito e
demografica). I censimenti sono come tessere del mosaico, divise in aree di espansione sul territorio e
disposte in forme differenti.
-la dimensione, ossia il livello di espansione fisica, si basa con la costruzione verticale come New York,
Tokyo e Singapore.
L’espandersi della città nella campagna circostante, fino a inglobare altre municipalità e a connettersi:
conurbazione. La si vede quando le città si sviluppano in fretta, con l’avvento delle industrie, attiravano
molta manodopera.
Quando invece si ha un’espansione a macchia d’olio di un centro urbano ingloba progressivamente i
comuni limitrofi in contemporanea si parla di agglomerazione. Si parla di suburbanizzazione con la
conseguente crescita di sempre più vaste “corone periferiche” urbanizzate.
Gana, Aka, porto schiavi: scambia merci con portoghesi. Piccola città portuale e di scambi. Cresca sia in
edificazione che popolazione. Nella morfologia prima come piccolo porto, poi lungo la costa. Oggi verso le
aree interne.
Milano ha un sito raccolto di insediamento, popolazioni galliche in origine, sviluppa le attività industriali e
nei piccoli comuni a nord (aeroporti), poco a sud. Il prezzo diventa elevato e si spostano verso la periferia.
Ora c’è un processo di suburbanizzazione.
Philadelphia ha corsi d’acqua correnti a disposizione e terre fertili con boschi. Le capitali europee si
sviluppano lungo il fiume, presentano un’espansione allungata.
L’espansione della popolazione urbana fino al 2050, molto concentrata su alcuni centri, avviene sin
dall’antichità (agricoltura e industria). Città fungo (città sudamericane, africane). Le città più espanse sono
le città in asia (2 miliardi). Aree urbane popolazioni sopra 300.000 residenti. ¾ della popolazione europea
vive in città superiori ai 300.000 abitanti.
Popolazione più rilevante: New York, Tokyo, Londra, Parigi, Chicago, Shangai.
La magnitudo della popolazione, nelle prime 30 posizioni non ci sono città italiane.
Le mega-città, saranno sopra i 10 milioni di abitanti nel 2030.
La città nell’attualità. Concetti e prospettive
Negli 1990 si intensifica la crescita in Cina, Africa e Penisola Araba. L’Amazzonia è vuota, aumenta negli
Stati Uniti. Nel 2018 si intensifica in Europa Occidentale, Russia e Medio Oriente, l’india è molto densa,
anche l’Africa. Nel 2030 ci sarà forte concentrazione in Cina e Texas.
I dati relativi al numero di abitanti sono stimati nel 2030
Le principali agglomerazioni urbane africane comprendono: Il Cairo a nord (città di Giza, conurbazione sui
20milioni si residenti, andamento costante), Johannesburg in sud Africa (andamento simile alle grandi città
occidentali). Lagos in Nigeria, ex capitale, superata da Kinshasa in Congo. Al-Khartûm in Sudan. Sono città
sopra i 10 milioni.
In Asia è Tokyo la città più grande (35 milioni di residenti). Il Giappone ha un grande grado di anzianità.
Delhi ha circa 45 milioni di residenti. Mumbai in India ha 27 milioni di abitanti, Pechino ha 25 milioni di
residenti.
In Europa cresce Mosca: centro di un grande territorio, mezza europea, 13 milioni di residenti. Parigi
continua a crescere fino a 12 milioni di residenti. Londra ha un periodo di flessione, con dieci milioni di
residenti. Madrid e Barcellona hanno un andamento simile (differenza 500.000 abitanti).
Nel Sud America Città del Messico ha 12 milioni di abitanti e Buenos Aires 17 milioni. San Paolo e Rio si
stanno sviluppando (Brasile) circa 25 milioni di abitanti.
In America New York ha 21 milioni di abitanti. Los Angeles 14 milioni. Chicago 10 milioni.
In Oceania circa sei milioni di residenti.
Le funzioni urbane
Per funzione urbana si intende un’attività che risponde a esigenze sia interne che esterne alla città, che in
tal modo giustifica l’esistenza della città stessa come unità sociale organizzata nei suoi rapporti con più
vaste entità regionali, statali, internazionali. Bisogna soddisfare le esigenze degli abitanti: un mercato a
livello commerciale.
La funzione essenziale della città è il controllo dell’ambito territoriale: regolare e coordinare un ambito
territoriale ben determinato, su cui si instaura una società ben delineata. Le classificazioni in uso nella
geografia urbana combinano 2 criteri: quello del tipo di attività e quello della loro portata o raggio d’azione
territoriale.
Suddivisione in fasce
ordini di grandezza inferiori
Livello territoriale Ambiti territoriali
raggio (km) superficie (kmq)

Unità di vicinato, quartiere o


settore urbano, città, comune
urbano, agglomerazione
Micro-regionale 0,1 0,01
urbana, regione funzionale
urbana, area metropolitana,
comprensorio

Provincia, Regione, aggregato


Regionale 30 700
di Regioni, piccolo Stato

Stato, insieme di più Stati,


Macro-regionale grande regione continentale o 150 100.000
intercontinentale, pianeta

Tipologie di attività.
Livello territoriale
Livello territoriale
Micro-regionale Regionale Macro-regionale
1 Culturale
Elaborazione,
Centri di elaborazione
conservazione e Istruzione primaria e Compagnia teatrale,
artistica, grandi Università,
trasformazione di secondaria, museo locale Università
festival internazionali
informazioni
Religione Luoghi di culto a diverso raggio
Istituti di ricerca, grandi
Ricerca scientifica e
- - Università e politecnici,
tecnologica
grandi ospedali
network televisivo nazionale
quotidiano a diffusione
Mass media, editoria TV locale e internazionale, grande
regionale
editoria

Prima: funzioni culturali, sono le più rilevanti per le città importanti a livello mondiale. La funzione culturale
si modifica nel corso del tempo, attrazione persone e interscambio cultura. Manifestazioni tenute nel
controllo pubblico come università e teatri, anche sviluppi spontanei come i mass media. I centri religiosi
non sono uguali, la cristiana cattolica ha sedi con gerarchie a Roma.
Livello territoriale
Livello territoriale
Micro-regionale Regionale Macro-regionale
2 Direzionale
Governo nazionale,
Governo e amministrazione Amministrazione provinciale
Amministrazione municipale organizzazioni internazionali,
pubblica o regionale
ambasciate
Sedi locali, regionali e nazionali di partiti politici, sindacali, associazioni di categoria e
Apparati politici e sindacali
professionali
Difesa Polizia locale Comando territoriale Basi aeree e navali
Sedi centrali delle grandi
banche, società di
Credito, assicurazioni e
Agenzie locali Agenzie regionali assicurazione e immobiliari,
servizi finanziari
Borsa valori e servizi
connessi
Direzione di piccole e medie
Direzione e gestione delle Uffici direzionali di grandi
- imprese, uffici decentrati di
imprese e servizi connessi imprese, Ricerca e Sviluppo
grandi imprese

La funzione direzionale, funzione principale. È la parte visibile della funzione culturale: l’aspetto culturale si
vede in Italia in base al tipo di governo unitario, Italia e Germania stati più fratturati. Le aziende private o
istituti bancari conferiscono alla città un certo potere.
Livello territoriale
Livello territoriale
Micro-regionale Regionale Macro-regionale
3 Produttiva
Impianti di grandi imprese
Artigianato, Piccole e Medie Imprese con mercato dei
Industria manifatturiera esportatrici, Piccole e Medie
prodotti da locale a regionale
Imprese innovative
Domanda (imprese) e offerta (famiglie) di lavoro entro i Domanda e offerta di lavoro
Mercato del lavoro urbano
raggi di pendolarità giornaliera altamente qualificato

Terza fase: produttiva. La città nasce per sostenere la popolazione residente. Nelle prime fasi
dell’industrializzazione: quando le industrie sono nelle grandi città. Hanno bisogno di costanti spazi in
crescita. Le funzioni produttive tendono a spostarsi fuori le città. Questa funzione è la meno necessaria.
Livello territoriale
Livello territoriale
Micro-regionale Regionale Macro-regionale
4 Distributiva
Azienda trasporti urbani,
Aeroporto internazionale,
stazione ferroviaria, reti
Trasporti Aeroporti (di breve raggio) grande porto e servizi
locali di distribuzione di
connessi
energia, gas
Nodi di comunicazione
Telecomunicazioni Nodi locali e regionali di reti telefoniche, telematiche, ecc.
internazionali
Commercio internazionale Imprese di import-export,
- Mercati generali, grossisti
e all'ingrosso Fiere, Mostre, ecc.
Commercio al dettaglio e Commercio al dettaglio specializzato e non, mercato
Offerta di beni e servizi rari
servizi privati immobiliare locale, professionisti
Servizi sanitari,
Ambulatorio Ospedale regionale Ospedale specialistico
assistenziali
Turismo e tempo libero Palestre, discoteche, cinema Agenzie turistiche, alberghi, gestori di impianti

La funzione distributiva che resta nella città, a breve raggio. Un’altra si sposta lontano come i grandi centri
commerciali.
Le attività produttive nascono in base ad una richiesta della popolazione. Le culturali-direzionali sono
manifestazioni spontanee dell’intelletto. Bisogna avere dei servizi (terziario) che si trovano distribuiti,
quando sono rare si parla di quaternarie.
Le funzioni della città non consistono tanto nella produzione di beni materiali, quanto in attività di per sé
“immateriali”, che si situano a monte e a valle della fase propriamente produttiva. Anzi, quest’ultima,
rappresentata dall’industria manifatturiera, può anche non essere presente nella città, ma è, in ogni caso,
strettamente dipendente dalle funzioni della città.
Fra le attività che si collocano a monte delle produzioni, quelle culturali e direzionali hanno un ruolo
particolare e diverso da quelle di servizio, appartenenti al gruppo delle funzioni distributive. Esse non sono
propriamente servizi, nel senso che non rispondono necessariamente a una “domanda”.
Le funzioni di orientamento, direzione e gestione, che fin dall’inizio del fenomeno urbano hanno
caratterizzato la città e ne sono state la principale ragione d’essere, vengono dette “quaternarie”, per
distinguerle da quelle “terziarie” che sono le altre attività non direttamente produttive, rivolte a fornire
servizi e a facilitare i consumi finali.
Il prevalere sulla funzione “passiva” terziaria di quella “attiva” quaternaria è il criterio funzionale
fondamentale che permette di distinguere il concetto funzionale di città da quello di metropoli.
Se sono relativamente poche le città che presentano la gamma completa o quasi delle funzioni, sono
ancora meno quelle che le esercitano a livello macroregionale. Le poche metropoli o regioni metropolitane
con raggio di influenza a scala planetaria vengono dette città mondiali o città globali. In greco il termine
‘Megalopoli’ significa città grande, ora si utilizza per far vedere l’evoluzione delle città moderne: in Italia
una città con un tot di abitazione. In altri casi: Strasburgo ha funzioni del parlamento che la collocano a
grandi livelli mondiali di metropoli (città globali). New York è una città globale per Wall Street, Los Angeles
per Hollywood.
Le città si specializzano, dialogano fra di loro. Hanno centri che si legano a loro: reti urbane. Queste sono
materiali: come in Lombardia, in Emilia-Romagna lungo la via Emilia. Le connessioni con i circuiti nazionali,
come le borse: si individuano dei nodi e delle polarizzazioni. Le reti immateriali si sviluppano, i legami fisici
sono altrettanto importanti. Le città, però, funzionano come sistemi aperti, che intrattengono con il resto
del territorio interscambi di materia, energia. Esse inoltre sono collegate tra loro da analoghe interazioni e
in questo senso si parla di reti urbane. Come infrastruttura connettiva territoriale la rete urbana svolge due
azioni essenziali:
-la valorizzazione delle risorse locali;
-il miglioramento dell’efficienza delle interconnessioni con i circuiti nazionali e internazionali, individuando
dei nodi e delle polarizzazioni.
A partire delle reti, dai sistemi territoriali urbani, si possono creare interconnessioni maggiori tra alcuni di
essi, venendosi a creare un unico mega-sistema urbano: le megalopoli. Un esempio è quella che collega
Boston a Washington.
In base alle funzioni urbane si creano metropoli nazionali e metropoli urbane. I centri rurali non esprimono
funzioni rilevanti, vengono incluse nei reticoli più grandi e perdono la loro centralità. I piccoli borghi non
vengono incluse nei reticoli più grandi.
La formazione urbana
Capacità delle città di organizzare uno spazio e funzioni in ampi raggi.
Le radici delle principali città moderne risalgono ad aggregazioni di case che hanno rappresentato ovunque
la regola nella costituzione di un insediamento umano. Tutte nascono da un piccolo raggruppamento di
abitazioni, da membri di uno stesso gruppo (clan) familiare. Ancora oggi, nella maggior parte del mondo,
chi vive in zone rurali risiede in insediamenti formatisi attorno a un nucleo centrale, poi sparso nel gestire i
campi agricoli, i villaggi e i borghi, piuttosto che in case disperse sul territorio o in fattorie isolate.
La definizione geografica di “centro” è: “un agglomerato più o meno grande di case che sia un luogo di vita
socialmente organizzata, in modo da svolgere funzioni di interesse pubblico (amministrative, religiose,
commerciali, culturali).
I villaggi sono centri rurali, abitazioni di comunità contadine, la cui vita è dedita all’utilizzo del suolo.
Demangeon sviluppa un metodo di analisi che si fonda su 3 aspetti fondamentali. Bisogna isolare alcuni
elementi fondamentali tramite carta d’identità, valutando:
- il sito riguarda gli aspetti fisici di prossimità
- l’origine indaga perché si è creato il centro urbano, per creare aree agricole, di difesa e per la presenza di
risorse d’acqua
- la forma studia come si è sviluppato il centro urbano, nelle sue forme particolari o caotiche.
In pianura l’elemento fisico da tener presente è l’acqua. I centri sono attratti dai corsi d’acqua, ma se questi
sono instabili, allora cercano i luoghi un poco elevati (dossi, argini). I centri di ponte sono attraversati da un
fiume che consente la creazione di un nucleo urbano tramite l’utilizzo di un ponte per imporre tributi e
pedaggi. Centro di confluenza triangolare, per difesa. Sono situati nel punto di incrocio di un fiume con una
strada e generati dal congiunto richiamo dell’acqua e delle vie di comunicazione. I centri di confluenza
stanno nel punto fra due fiumi confluenti, che garantiscono una buona difesa naturale. I centri di pianura
lontani dai corsi d’acqua sono attratti dalle vie di comunicazione (centri di strada, centri di crocicchio). I
fiumi hanno la funzione di barriera naturale. La necessità di vicinanza alle vie di comunicazione si è sentita
in seguito all’evoluzione tecnologica: centri di strada o a nastro, città costruite ai lati delle città importanti,
attraversate da strade. I centri di crocicchio nascono alla confluenza fra due strade.
Più si accentuano le forme sui rilievi, più si hanno diverse tipologie di adattamento ad esso. In pianura c’è
maggiore disponibilità di espansione. Lungo le coste del Mediterraneo ci furono incursioni di pirati turchi. In
seguito, si è sviluppata la funzione difensiva. Centri:
- di fondovalle
- di pendio
- di ripiano d terrazzo orografico
- di sommità o di poggio di cocuzzolo
- di sella
- di sprone
- di dorsale
Diversi tipi di villaggi, fatti in Germania:
-Il villaggio agglomerato, in cui le case, tutte dotate di un piccolo orto, si creano a partire da un’area
centrale, piccole porzioni di città autosufficienti, con piccoli interscambi.
-Il villaggio rotondo, in cui le case di dispongono ad anello a formare un compatto cerchio difensivo attorno
ad uno spiazzo, mentre gli orti sono disposti verso l’esterno, come le mura protettive intorno alle città.
-Il villaggio di strada, in cui le case sono allineate lungo una via di comunicazione con gli orti alle spalle,
tipologia aperta verso l’esterno.
-L’insediamento sparso sorge quando non ci sono più pericoli dall’esterno e si necessita di continue cure
dei campi e della mezzadria. I campi agricoli gestiti dalla comunità sono detti “open field”.
Le forme di insediamento fondamentali sono basate su sistemi ortogonali, cardo e decumano (tradizione
romana). I più piccoli aggregati rurali organizzati comprendono i borghi e non superano i 15 edifici. I villaggi
sono come cittadine urbane.
Quando si sviluppano commerci tra due o più insediamenti rurali, questi ultimi iniziano ad acquisire
tratti fisici nuovi via via che i loro abitati intraprendono nuovi tipi di occupazione. I villaggi perdono così
il carattere puramente sociale e residenziale tipico degli insediamenti fondati sull’agricoltura. Gli
insediamenti non sono quasi più del tutto autosufficienti, ma diventano parte di un sistema di comunità.
L’inizio del processo di urbanizzazione è visibile nei tipi di edifici che vengono eretti e nella maggiore
importanza assunta dalle vie principali e dalle strade che conducono ad altri insediamenti.
Si genera una gerarchia urbana:
-borgata rurale: nella geografia di inizio 900, dai francesi. Primo censimento italiano, centro al servizio di un
piccolo nucleo, ha forti vincoli nella comunità, non ha funzione di centro urbano. Unico motivo è per
coltivare i campi intorno e stretti legami fra gli individui.
-villaggio: è come una piccola cittadina urbana.
-paese: è un sinonimo errato di stato, per i francesi ha una funzione amministrativa. Ci sono interrelazioni
con piccole borgate intorno, hanno forma più sparsa con un villaggio al centro.
-città: quartieri del nucleo più grande, tramite il processo di urbanizzazione e di espansione sul territorio.
-metropoli: passaggio delle funzioni.
-area metropolitana: influenza su altre città, metropoli e città intorno.
-megalopoli: non c’è continuità fisica fra le varie metropoli.
I termini città e cittadina indicano insediamenti sviluppatisi attorno a un nucleo centrale, il Central Business
District (CBD) di carattere multifunzionale, nel quale l’uso del territorio è sia residenziale che non
residenziale. Le cittadine sono più piccole e hanno un grado di complessità funzionale inferiore alle città.
Il termine sobborgo contraddistingue un’area secondaria, un segmento insediativo specializzato
funzionalmente e appartenente a un complesso urbano più ampio.
Quando la città si espande in molti sobborghi, la parte dell’area urbana contenuta all’interno dei confini
ufficiali del nucleo principale attorno al quale si sono sviluppati i sobborghi è comunemente denominata
città centrale.
Alcuni o la totalità di questi tipi urbani possono unirsi formando unità paesaggistiche più grandi. Il termine
area urbanizzata designa un paesaggio caratterizzato da edificazione continua, definito dalla densità di
edifici e popolazione senza alcuni riferimenti a confini amministrativi. Un’area metropolitana indica invece
un’entità funzionale su larga scala, che può contenere molte aree urbanizzate, a edificazione discontinua
ma comunque operanti come un insieme economico integrato. Originariamente sono stati prodotti due
termine per classificare gli ambiti di influenza di una città, dalla geografia di porto:
-Hinterland (per definire l’area di import-export delle aree portuali)
-Umland (per sottolineare l’area di influenza di una città non portuale).
Madrid ha un’area metropolitana intorno, le vie di comunicazioni circolari attorno alla città.
Il corridoio urbano statunitense che si estende a nord-est da Boston a Norfolk comprende le megalopoli
originari più grandi, oltre a racchiudere il cuore economico, politico e amministrativo degli Stati Uniti.
L’ambito urbano è la denominazione entrata in uso per descrivere i componenti spaziali che formano la
metropoli moderna, ovvero le tante entità economiche, sociali e politiche contenute entro la cornice
urbana. In epoca recente sono emersi nuovi quartieri commerciali che contribuiscono fortemente allo
sviluppo economico dei sobborghi rispetto alla città centrale. Spesso situati in raccordi stradali strategici, si
configurano come centri commerciali regionali, stimolando lo sviluppo di poli tecnologici, complessi di
uffici, alberghi, ristoranti, luoghi di divertimento.
Così il modello degli ambiti urbani dimostra come alcune città periferiche di oggi, non sono satelliti della
città principale, ma tendono ad avere un ruolo attivo nel plasmare una metropoli policentrica.
Gli ambiti urbani di Los Angeles comprendono porto, aeroporto, Beverly Hills, centro storico, aree rurali:
ognuno ha una funzione differente. Il modello degli ambiti urbani comprende il quartiere centrale, la città
centrale, il nuovo centro e il suburbano.
Per poter funzionare in modo efficace, la città ideale è circolare. Il punto raggiungibile da tutti gli altri
punti è il centro. Finché le funzioni erano ridotte e la popolazione di dimensioni modeste, gli spostamenti
pedonali e l’utilizzo di animali da soma o da traino per i trasporti erano sufficienti a consentire
l’integrazione efficace della comunità urbana. Con l’avvento dell’attività manifatturiera su vasta scala e
l’accelerazione della popolazione aumentò, superando le possibilità di interazione consentite dai soli
spostamenti pedonali.
Furono introdotti sistemi di trasporto pubblico sempre più efficienti e costosi, ma solo i terreni
raggiungibili a piedi dalle stazioni o dai capolinea dei mezzi di trasporto pubblico potevano essere
integrati senza problemi nella struttura urbana in espansione. Il terreno accessibile rimaneva così una
risorsa scarsa, che aveva quindi un elevato valore di mercato e imponeva un impiego intensivo del
suolo. I lotti di terreno erano allocati tra i potenziali utilizzatori alternativi in base alle abilità che questi
dimostravano nel fare un’offerta superiore a quella dei concorrenti per aggiudicarsi un certo sito. Di fatto il
meccanismo appare simile a quello di una asta aperta. A causa della limitata disponibilità di terreno
utilizzabile, la città industriale tipica del periodo di diffusione del trasporto pubblico era compatta,
contraddistinta da un’elevata densità residenziale e edilizia, con una netta contrapposizione fra usi
urbani e non urbani nelle aree periferiche.
Nelle città provviste di sistemi di trasporto pubblico, i lotti di terreno erano allocati tra i potenziali
utilizzatori alternativi in base all’abilità che questi ultimi dimostravano nel fare un’offerta superiore a quella
dei concorrenti per aggiudicarsi un certo sito. Di fatto il meccanismo appare simile a quello di una “asta
aperta”, in cui gli utilizzatori si stabilivano su un lotto, si trasferivano o venivano sostituiti a seconda della
loro capacità di “pagare la rendita”.
Il prezzo massimo è la massima accessibilità in una città, tutti sono disposti a pagare una cifra per stare in
quell’aria, se la aggiudica chi offre la cifra più alta. L’organizzazione degli spazi dipende da chi governa e
alcune aree vengono dedicati ad alcune funzioni specifiche, per evitare sovraffollamento urbano.
L’ubicazione più interessante ed efficiente per tutte le funzioni e per i residenti di una città
sarebbe quella in corrispondenza del punto che consente di realizzare il massimo livello di interscambio
possibile. Ma una simile compresenza di attività è ovviamente impossibile. Pertanto, giacché i vari usi
devono essere organizzati dal punto di vista spaziale, l’appetibilità di un lotto viene valutata in base alla sua
accessibilità relativa rispetto a tutti gli altri usi del territorio urbano. Poiché quel sistema convergeva nel
centro della città, a quest’ultimo corrispondeva il massimo livello di accessibilità e di appetibilità nonché, di
conseguenza, il massimo valore del terreno nell’intera area edificata. I punti di incrocio delle vie di
trasporto erano accessibili a segmenti più ampi della città di quanto non lo fossero le ubicazioni
situate lungo le singole vie; queste ultime erano a loro volta più appetibili rispetto ai lotti meno vicini alle
linee di trasporto radiali.
La forma urbana
Nella società odierna chi è vuole vivere o stare in centro, è disposto a pagare grandi cifre, come se stesse
partecipando a un’asta in senso astratto. Alcune aree urbane delle città sono riservate solo a particolari
funzioni determinate dai piani regolatori. La società, tuttavia, ritiene che alcune funzioni siano desiderabili
indipendentemente dalla loro competitività sul piano economico; si presume, dunque, che a scuole, parchi
ed edifici pubblici venga assegnato lo spazio necessario senza ricorrere al sistema dell’asta per
l’aggiudicazione dei terreni.
Per altri usi, gli spazi vengono assegnati dalle forze di mercato attraverso il sistema della competizione.
In un grafico sull’asse x è indicata la distanza dal centro, sull’asse y la resa dei vari terreni e la capacità di
offrire una determinata rendita. Vi sono diverse fasce di livello:
-al centro sono poste le funzioni commerciali importanti di alto livello a uso intensivo (non residenzialità):
presentano un segmento inversamente proporzionale per stare a una distanza media;
- il terreno ad uso residenziale intensivo (complessi di appartamenti e condomini destinati a fasce di
reddito alto nonché case fatiscenti e appartamenti abitati da cittadini con un reddito basso);
- uso residenziale intensivo, sviluppo dei palazzi in verticale. Unità unifamiliari con reddito medio elevato,
compensare con una maggiore mobilità;
- i terreni agricoli non vengono utilizzati.
Il decadimento della distanza racchiude ogni fenomeno che tende a cedere con la distanza, il terreno perde
il proprio valore. Vi è un ristretto centrale di affari, come conseguenza i prezzi calano in modo brusco. Ci
sono due modelli di decadimento con la distanza distinti ma interconnessi: l’uno relativo ai valori dei terreni
e l’altro riferito alla densità di popolazione.
Il tratto dominante è un generale declino dei prezzi rispetto all’aumentare della distanza rispetto
all’ubicazione ottimale all’interno del CBD (central business district). I prezzi calano in modo brusco già a
breve distanza lineare dal punto centrale; in seguito la curva di discesa dei prezzi si addolcisce man mano
che ci si avvicina ai margini dell’area edificata.
La curva della densità di popolazione evidenzia anche essa un andamento comparabile di decadimento con
la distanza con un’importante eccezione, ossia una caduta in corrispondenza del centro, poiché di recente
la popolazione tende a spostarsi verso l’esterno.
La curva dell’andamento della densità di popolazione: via via che la distanza dall’area occupata da
condomini a più piani aumenta, la densità di popolazione diminuisce. Con il fenomeno di immigrazione le
aree del centro vengono occupate, i palazzi degradati che presentano uno stato di conservazione pessimo
presentano prezzi molto bassi rispetto alla media.
Lo svuotamento del centro storico crea molti problemi, i palazzi che si degradano hanno bisogno di
essere riqualificati. Si creano i cosiddetti vuoti urbani. Negli ultimi anni le amministrazioni municipali hanno
preso alcune misure per contrastare la decadenza del centro cittadino, come la costruzione di nuovi
appartamenti nella speranza di propiziare il ritorno dei residenti di classe media e alta.
L’edilizia residenziale e non nei pressi del centro si è tradotta in architetture di forte impatto visivo con
moderne comodità e in posizione privilegiata. Il risanamento delle aree centrali decadute prende il nome di
gentrification (Glass, 1964). Questo fenomeno si diffuse già alla fine del 1700: la piccola nobiltà terriera in
Gran Bretagna si spostava per avere una piccola residenza a Londra. Per risanamento si intende il restauro
delle abitazioni fatiscenti e spesso abbandonate del centro, situate in posizione favorevole per chi lavori nel
quartiere commerciale centrale.
Altre tipologie di progetto per la rinascita del centro sono legate allo sfruttamento commerciale, anche in
chiave turistica, di una parte di esso. Di conseguenza si vanno a riqualificare vecchie abitazioni, aree vicino
al porto o magazzini come nel caso di New York. Per risanamento si intende il restauro delle abitazioni
fatiscenti e spesso abbondano dal centro, situate in posizione favorevole
Il modello concentrico, zona applicata a Chicago. Discorso economico
A partire dagli anni Venti, si provano a formulare dei modelli globali di utilizzazione del suolo urbano. I
principali sono:
-il modello concentrico (Burgess, 1925) è costruito in base all’ipotesi che i valori del suolo urbano declinino
regolarmente a partire dal centro della città e, perciò, i tipi di uso del suolo si distribuiscano sistemandosi in
zone concentriche intorno al centro. Il modello stabilisce che, ad un momento dato, i diversi tipi di
utilizzazione del suolo urbano sono organizzati in zone caratterizzate per età e tipologia topografica.
Furono individuate cinque zone a partire dal centro: zona interna centrale (CBD); zona di transizione mista;
zona residenziale delle classi lavoratrici; zona residenziale di tipo medio-superiore e di lusso; zona di frangia
suburbana. Una delle caratteristiche più interessanti e discusse del modello è il fatto, apparentemente
anomalo, che una parte della popolazione a basso reddito viva vicino al centro urbano; in realtà, in tale
modo essi ottengono risparmi sui costi di trasporti, ma anche su quelli abitativi, assumendo l’ipotesi di
occupazione di case con marcate caratteristiche di declino edilizio. A Chicago è stato applicato il modello
concentrico per un discorso prettamente economico.
Un’interessante rielaborazione critica di tale modello è stata proposta da Hoyt (1932) sulla base dell’ipotesi
che la struttura interna della città sia condizionata dalla disposizione delle vie radiali, da nuclei abitativi
preesistenti nei confronti della città, dall’esistenza di ostacoli naturali (rilievi, corsi d’acqua, vie di
comunicazione). Si applica settorialmente andando ad aggregare popolazione di ceto vicino: e un discorso
di tipo sociale, basato sulla differenziazione su base sociale. Queste infrastrutture ed elementi fisici
differenziano l’accessibilità e la desiderabilità delle diverse aree urbane, secondo “settori” piuttosto che
“zone”. Questi settori tenderanno a caratterizzarsi a partire dalle scelte degli abitanti a reddito più elevato,
che hanno maggiore propensione al trasferimento e, quindi, maggiore capacità di esprimere sul mercato
dei suoli le loro scelte. Il settore tenderà poi a caratterizzarsi stabilmente nell’ambito della struttura
urbana, attraverso un “effetto-vicinato”, tanto più importante quanto più quanto più le utilizzazioni
saranno percepite come antagoniste.
La struttura urbana spesso non si costruisce attorno ad un solo centro, come postulato nei modelli discussi,
ma si sviluppa piuttosto intorno ad un certo di numeri di centro entro l’area urbana. Questa è la base del
modello a nuclei o multicentrico, con forme circolari (Harris e Ullman, 1945). Le ragioni nel modello per
l’esistenza di nuclei separati e funzionalmente separati si possono far risalire: alla richiesta specializzata di
suolo da parte di certe attività (commercio, turismo); alla tendenza all’agglomerazione da parte di certe
attività; alla conflittualità fra alcune attività per l’uso del suolo; alle conseguenti differenze di rendita, a
compenso della capacità di forzare certe attività ad agglomerarsi in parti definite dell’area urbana. Ne
derivano marcate differenze nel tipo di utilizzazione del suolo nei vari distretti urbani, tanto più numerosi e
caratterizzati quanto più l’area urbana è vasta.
I tre modelli classici di struttura urbana sono il modello delle zone concentriche, il modello dei settori e il
modello dei nuclei multipli.
Questi modelli sembrano contrapporsi fra di loro per il periodo, ma possono coesistere fra di loro. Si era
pensato di sovrapporli. Alcune tracce di questi modelli classici sono presenti nelle moderne interpretazioni
della struttura urbana, fondate sui fenomeni di segregazione sociale rilevati all’interno delle città. Maggiori
sono le dimensioni e il livello di complessità economica e sociale delle stesse, più forte risulta la tendenza
dei loro abitanti a separarsi in gruppi basati sullo status sociale, sullo status familiare e sull’etnicità.
Lo status sociale di un individuo è determinato dal reddito, dal livello di istruzione, dal tipo di occupazione e
dal valore dell’abitazione.
Inoltre, man mano che la distanza dal centro città aumenta, l’età media dei residenti adulti scende o i loro
nuclei familiari diventano più numerosi, oppure si registrano entrambi i fenomeni.
Nella geografia sociale della città le aree etniche omogenee appaiono come aggregati o nuclei ben distinti,
che ricordano la concezione della struttura urbana come realtà a nuclei multipli. Nel caso di alcuni gruppi
etnici la segregazione culturale è voluta e vigorosamente difesa, anche di fronte alle pressioni a cambiare
quartiere da potenziali concorrenti interessati all’utilizzo dello spazio abitativo.
La geografia sociale delle città americane e canadesi. Lo spazio sociale comprende: lo status sociale, lo
status familiare e lo status etnico. La struttura fisica comprende le strade e i sistemi di trasporto. A Los
Angeles si sono aggregati dei negozi con immigrati dalla Corea: Corea Town.
Le città europee generalmente si formano e iniziano la loro evoluzione in epoca molto precedente
rispetto alla realtà, nordamericana, nascendo e sviluppandosi attraverso la sedimentazione di culture,
economie e società che si sono succedute in tempi lunghissimi. Questo processo fa sì che all’interno dello
stesso contesto europeo sussistano differenze sostanziali nell’urbanistica delle diverse città appartenenti
alle molteplici identità culturali presenti nell’odierna Europa. La città dell’Europa Occidentale ha spesso
conservato tracce che ci permettono di risalire alle loro antiche origini e che hanno parzialmente
determinato la forma e l’ubicazione della città moderna. Le città europee hanno tanta evoluzione: tutte
hanno una piazza principale, ci sono edifici simbolo (municipio, castello, cattedrale). Il centro storico (che
viene museificato) ha strade strette e palazzi vecchi. Le mura racchiudevano il cuore della città, ora sono
sostituite da anelli di strade che ripercorre l’andamento antico delle mura. C’è un netto stacco fra la città
preindustriale e la moderna. Le aree verdi sono collocate all’esterno.
Le new towns sono città interamente e attentamente pianificate con il primario scopo di fungere da
satellite residenziale alle grandi metropoli europee. I primi esempi, derivati da una forte concezione
utopistica, sono quelli dei primi del Novecento delle città giardino (la prima edificata è stata Letchworth nel
1903). Esse derivano da una concezione idealistica propugnata soprattutto da Ebenezer Howard, in cui si
ipotizzava una concezione del costruito molto ridotta e a bassa densità, mentre grandi spazi dovevano
essere riservati al “verde pubblico”, per ovviare al congestionamento urbano e alla vita caotica della città.
I centri storici delle città europee sono congelati. Ci fu un periodo di sovrappopolamento. Era successo a
Londra: c’era l’ipotesi che si costruissero centri residenziali con abitazioni dilatate e con molti spazi verdi, in
cui si ipotizzava una concezione del costruito.
L’uso esclusivo delle new towns per scopi puramente abitativi si è ridotto nelle più recenti generazioni delle
stesse, laddove si hanno anche motivazioni economiche per la costruzione delle stesse, come pure per la
redistribuzione delle funzioni amministrative.
Il processo più interessante delle città nord-americane è senz’altro quello della suburbanizzazione, iniziata
con lo spostamento delle industrie in periferia e successivamente quello dei servizi anche commerciali
(shopping malls).
Le fasce di reddito medio e medio
basso e basso si sistemano in altrettante aree della zona periferica, separate in base al loro reddito. Le
minoranze etniche vengono spesso relegate nel centro città o in alcune vecchie periferie industriali, pur se
gli immigrati scelgono sempre più i sobborghi come prima sistemazione quando entrano nel Paese e anche
una percentuale crescente di minoranze autoctone opta per la suburbanizzazione. Diversamente da quanto
accade nei depressi quartieri segregati delle città centrali, tuttavia, la segregazione suburbana all’interno
degli ethnoburbs appare essere una scelta abitativa da parte di minoranze più abbienti.
A partire dagli anni Novanta, con la crescente espansione incontrollata e l’aumento dei costi impliciti nella
separazione spaziale sempre maggiore tra i vari segmenti funzionali della periferia, il processo di espansione
delle zone periferiche si è rallentato. I sobborghi cominciano a rinascere come entità urbane indipendenti,
autosufficienti e slegati dalla grande città. Nel momento in cui le outer cities cominciano a competere con
i ruoli funzionali chiave della metropoli, esse diventano nodi di strutture concentrate adibite a uffici e ad
attività commerciali e si caratterizzano per il fatto di ospitare al proprio interno più posti di lavoro che
residenti. Tale tipologia di città viene chiamata edge city.
La metropoli è dunque oggi diventata una realtà a più nuclei e le regioni urbane sono sempre più “galattiche”,
organizzate principalmente ai sistemi delle vie di comunicazione. Ai margini di tale modello vi sono i
sobborghi esterni, non ancora strutturati, chiamati exurbs.
La città galattica nell’area metropolitana degli Stati Uniti: alcuni aspetti delle strutture concentriche a
nuclei multipli sono evidenti e costituiscono la periferia suburbana. I principali centri commerciali regionali
appartengono a un modello piuttosto vecchio risalente al 1970.
Nelle città latino-americane le aree centrali continuano a mantenere quella forza d’attrazione che invece
hanno in gran parte perso nelle città statunitensi. L’intero sistema di trasporto converge infatti nel centro,
dove si concentrano quasi tutti i posti di lavoro. Il centro è animato e moderno, con numerosi alti palazzi
occupati da uffici ed esercizi commerciali. Nei condomini abitano i cittadini abbienti che preferiscono la
maggiore comodità del vivere in centro. Vi sono rilevanti flussi di pendolarismo, alcuni provenienti dai
margini più esterni della città, i quartieri più poveri. La mescolanza di usi del centro città si manifesta nel
fatto che quest’ultimo è sempre più nettamente separato in due parti: da un lato il CBD in via di
modernizzazione; dall’altro il segmento tradizionale “di mercato”, più vecchio con piccole attività
economiche e negozi sulla strada.
Due elementi tipici al modello di città presente in America Latina sono degni di nota. Uno è l’arteria
commerciale, ovvero un’area che rappresenta la continuazione del centro città verso l’esterno, lungo la
quale si trovano le abitazioni delle classi più elevate della popolazione. Il secondo elemento è la presenza
dei quartieri residenziali disposti ad anelli concentrici attorno al nucleo centrale e abitati da fasce sempre
più povere allontanandosi dal centro, fino agli slum e agli insediamenti abusivi (barrios, favelas).
La nuova città asiatica, specialmente quella dell’area sud-orientale di recente espansione, si sviluppa a
partire dalla zona del vecchio porto commerciale che è il cuore del nucleo urbano insieme con il grande
quartiere commerciale circostante. Benché non esista un vero e proprio quartiere commerciale centrale, se
ne ritrovano gli elementi raggruppati qua e là nella fascia oltre il porto: la zona amministrativa, la zona
commerciale occidentale e quella straniera, di solito dominata da mercanti cinesi, con abitazione attigua
all’impresa, e la zona caratterizzata dall’uso misto del suolo, con varie attività economiche anche con
industrie di piccole dimensioni. Le altre aree non residenziali sono le distese di orti alla periferia urbana e,
ancora più lontano, un polo industriale di recente costruzione. Alla periferia della città si hanno
insediamenti abusivi dei ceti a basso reddito.
La città africana comprende il quartiere commerciale centrale (Il Cairo) risalente all’epoca delle colonie, il
quartiere commerciale centrale tradizionale e la zona del mercato. In generale presenta un centro urbano
suddiviso in tre quartieri commerciali centrali: le vestigia di quello dell’epoca coloniale, la zona del mercato
informale e, con carattere di transizione, un centro degli affari affollato di venditori ambulanti, bancarelle e
negozi. Gli edifici elevati compaiono soprattutto nel vecchio quartiere commerciale centrale risalente
all’epoca del colonialismo; il nucleo commerciale tradizionale è di solito occupato da costruzioni a un solo
piano o due nello stile tradizionale, e il mercato si svolge all’aperto. La zona circolare dei quartieri etnici
caratterizzata dallo sviluppo di settori; più si trovano localizzate attività industriali ed estrattive.
Infine, molte città africane sono circondate da sobborghi satelliti, effettivamente insediamenti abusivi
(bidonvilles).
Geografia delle lingue
La geografia delle lingue si occupa dello studio delle funzioni più elevate degli esseri umani, del confronto e
del loro sviluppo di idee. Sin dall’antichità si produce un sistema immateriale di cultura, prodotto
dell’interazione sociale nei secoli. Grazie alla cultura si diversifica l’umanità.
Nella cultura le lingue sono il primo tentativo di sviluppare un a cultura: si ha una prima interazione
sociale. I gruppi di uomini capiscono di avere necessità di avere un modo proprio e universale di
comprendersi. I primi termini sono i nomi di piante, di animali, di fenomeni metereologici.
La geografia delle religioni, dopo aver soddisfatto i bisogni materiali degli uomini ed aver stabilito la
sedentarietà, in una società che ha raggiunto un certo benessere si hanno speculazioni teoriche importanti.
L’ambiente e la cultura
Tutti noi siamo immersi in un ambiente di prossimità, ora è un ambiente globale. In antichità era più
limitato, interagendo con culture differenti abbiamo un’espansione dell’ambiente di contatto. L’ambiente
di prossimità da bambini è limitato alla propria abitazione. In età scolare ci si allarga nell’adolescenza, già si
possiede una conoscenza del vicinato e della cittadina. Oltre l’età dipende dal grado di istruzione e dal
grado di cultura di una persona.
L’ambiente rappresenta il teatro dell’agire umano, da cui l’uomo si distacca man mano che avanza nel suo
processo di sviluppo, pur avendo un dialogo con l’ambiente ed operando all’interno delle potenzialità da
esso offerte. Non c’è più dipendenza dall’ambiente, ma interrelazione: la cultura è un filtro che permette di
dialogare con l’ambiente.
La cultura come insieme
La cultura finisce per avere così valore di insieme, che caratterizza il gruppo e contribuisce a dare
“organicità” e “specificità” al territorio. Di questo “insieme” fa parte il linguaggio come elemento
essenziale per la trasmissione di quei valori che costituiscono la “cultura”.
Ci sono due situazioni antietetiche: le culture sono specifiche di alcuni territori, ma diventano globali se
vengono accettate da altre comunità. Gli elementi sono specifici di un territorio: la lingua è un mezzo di
comunicazione univoco, che sia scritta a orale. Bisogna mantenere alcuni elementi mantenuti o gettati nel
tempo affinché insieme questi diversi elementi possano proseguire. In Italia alcune civiltà hanno poche
tracce, gli Etruschi sono stati assorbiti o eliminati. Possono esserci eventi drammatici che possono
modificare le traiettorie naturali di una cultura. La globalizzazione è un fenomeno molto complesso,
permette di accettare o meno un elemento culturale da parte di altre culture: il cibo orientale è un veicolo
di spostamento, è un fenomeno globale degli ultimi anni. Alcuni valori sono condivisi globalmente e altri
chiusi nei territori limitrofi. Una cultura per rimanere tale deve avere rappresentanti di coloro che
portano quegli elementi culturali distintivi e la continuazione nel tempo.
Il linguaggio
Tutti esprimono la necessità di voler parlare con gli altri. Da piccoli veniamo canalizzati in alcune lingue che
siano standardizzate. Non c’è una libera scelta, si viene canalizzati sin dall’inizio in una direzione precisa.
L’aspetto identitario consiste nel potersi esprimere liberamente. Il significato sociale determina come ci
rapportiamo con gli altri.
La più grande conquista dell’uomo è il linguaggio. Infatti, impariamo a pensare, a sentire, a giudicare
attraverso e nei limiti che le parole, gli idiomi e la sintassi della nostra lingua ci impongono.
Esso rende possibile la comunicazione dei significati e la partecipazione attiva all’interno di un gruppo, in
modo tale da renderlo capace di formare una società stabile, di creare e di trasmettere una propria
identità; ed in questo contesto il linguaggio viene ad assumere una funzione sociale ed espressione di
comportamento interpersonale.
Il linguaggio e il suo ambiente
Il comportamento linguistico dell’individuo riflette necessariamente le caratteristiche più importanti della
sua personalità, ma anche gli elementi specifici di un dato ambiente, perché esso ha preso origine e si è
sviluppato in un particolare contesto culturale e ambientale.
Il concetto di etnia
Nel 1800 il darwinismo fu fondamentale per informarsi del pensiero scientifico moderno fra cui la
geografia. Andò incontro alla classificazione scientifica ad una classificazione su basi scientifiche tutt’altro
che veritiere. In quegli anni ebbe una grande diffusione la letteratura coloniale. Uno dei prodotti più
erronei fu quello di razza, come veniva insegnato in Italia negli anni ‘60: la prevalenza della razza caucasica.
Nel passare del tempo ci furono campagne di esploratori per fare una classificazione dei parametri. Ancora
oggi si parla di razzismo, non a livello scientifico ma morale e fisico.
Il concetto di etnia si basa su una serie di caratteri comuni della diversa comunità che possono dare vita a
una nazione. Nella forma più semplice si può avere un’etnia, linguistici. Uno sviluppo di una comunità
stabile, fino a organizzarsi in un sistema complesso, valori culturali fondanti della società. Ogni comunità si
evolve nel corso dei secoli. Ogni persona produce cultura in forma più o meno marcata. Vi è un momento in
cui alcuni elementi della cultura vengono preservati o cancellati. Quelli cancellati potrebbero essere
recuperati. Nell’Ottocento è stato introdotto il termine etnia. L’etnia viene definita come un gruppo di
individui legati da un complesso di caratteri comuni (antropologici, linguistici, politico-storici, ecc.), la cui
associazione costituisce un sistema vero e proprio, una struttura di natura essenzialmente culturale.
L’etnia di Breton

La composizione raziale è una definizione sbagliata (etnica). Parte da una pre-struttura, prima che si forma
una società si ha la lingua: è il primo fondamento che permette lo scambio di idee e comunicazioni. C’è una
diretta influenza sulla demografia, costituita da insediamenti piccoli. L’arrivo di popolazione è bidirezionale
verso la lingua. Si collocano nell’infrastruttura di riferimento. Il territorio di base è neutro: originariamente
l’Italia non era considerata come oggi, oggi è connotata sulla popolazione e sullo sviluppo della lingua
(superstruttura). La demografia emerge nel corso del tempo. La lingua produce una certa cultura, la cultura
fa emergere le differenziazioni della cultura. Ogni territorio produce una certa economia. La combinazione
di questi due produce una differenziazione, dal punto di vista etnico e delle classi sociali. Dopo aver
aggregato i centri di potere che detenevano una certa cultura, permettono la creazione della sede urbana.
Di conseguenza si sviluppò la gerarchizzazione del territorio. Poi ci fu la creazione di una metropoli.
L’elemento finale è che, a partire dalla lingua, si crea la cultura. Si sviluppano modi per governare. Alla fine
si creano le istituzioni politiche per permettere l’organizzazione della cultura, l’istruzione per ogni ordine e
grado; una fase di irrigidimento della cultura.
La toponomastica
Espressione di questo rapporto con l’ambiente è la toponomastica, un campo di indagine di indubbio
interesse in quanto contribuisce a dare un non trascurabile contributo di conoscenza dei rapporti uomo-
ambiente. I termini geografici dialettali riconducono infatti alla umanizzazione attiva dello spazio,
delimitano l’area di intervento dell’uomo, consentono di indagare sulle cause, i nessi tra ambiente naturale
e gruppo umano, rendendo più agevole la comprensione della percezione che l’uomo ha avuto
dell’ambiente nel tempo, della utilizzazione economica delle risorse disponibili e quindi della
organizzazione territoriale di una regione data.
In Europa i toponimi più antichi hanno una radice indoeuropea, sono quelli dei fiumi e delle montagne.
Lingua e società
La toponomastica permette solo di valutare il corso del tempo. Bisogna valutare come la lingua si va a
collocare in base alla società. L’utilizzo della lingua standard è più formale, in un contesto familiare si usa
una lingua non formale, si usa lo stesso linguaggio a seconda degli stati d’animo. La lingua si evolve nel
corso del tempo, ogni anno si introducono parole nuove, con l’utilizzo di termini stranieri, alcune parole
sono del tutto desuete, non si utilizzano più. Parole inventate o prese in prestito. Si vede come la società
forma la lingua, ma anche come la lingua forma la società: è un rapporto bidirezionale.
Si possono individuare quattro aspetti principali sul rapporto tra lingue e società in cui queste sono parlate
o scritte:
 diversi gruppi umani usano diverse varietà della lingua, in rapporto alle diverse classi e ai contesti
sociali,
 gli stessi gruppi umani utilizzano “registri” differenti per esprimere diversi stati d’animo, emozioni,
 la lingua rispecchia la società e la cultura nella quale è usata,
 la lingua forma la società nella quale è usata.
I tipi di linguaggio
Il linguaggio elementare è quello che si usa in un piccolo contesto sociale, i dialetti erano linguaggi
vernacolari, si formano spontaneamente. Tutte le società inglobano altre comunità, nel corso del tempo si
sceglie un linguaggio veicolare: regionale, nazionale. In genere si va verso il linguaggio veicolare. Il latino è
la lingua ufficiale dello Stato del Vaticano. Il linguaggio mitico è espressione di sacralità. Il fatto di avere
alcune espressioni che sono usate per limitare il cerchio della diffusione, è riferita a poche persone.
Secondo H. Gobard per ogni specifica area culturale si possono individuare quattro tipi di linguaggio,
indipendentemente dalla lingua utilizzata:
 un linguaggio vernacolare, locale, parlato spontaneamente, legato all’esigenza di un gruppo di
sentirsi in comunione;
 un linguaggio veicolare, nazionale o regionale, imparato per necessità e destinato alla
comunicazione a scala urbana;
 un linguaggio referenziale, legato alle tradizioni culturali, orali o scritte, espressione di continuità di
valori mantenuta viva attraverso la rivitalizzazione della cultura classica;
 un linguaggio mitico, magico, apparentemente incomprensibile, espressione di sacralità.
La lingua standard
Nelle società tecnologicamente avanzate è probabile che esista una lingua standard, la cui qualità è materia
di identità culturale e interesse nazionale. In genere, la scelta della lingua standard di un popolo è legata ai
gruppi di potere e a scelte politiche. I dialetti si possono concepire come varianti regionali di una lingua
standard. La lingua viene consolidata in regole ben precise, si mantiene come un elemento che interessa un
grande numero di popolazione ne unifica diverse. È fissata da alcuni gruppi di potere e dalle scelte
politiche. L’italiano standard è un sistema di linguaggio che si è creato alla fine del 1800, sulla base del
dialetto fiorentino. Le lingue vernacolari sono variazioni di una lingua standard. Le lingue sarde si sono
perse nel corso del tempo. Si tende a perdere la specificità delle minoranze linguistiche.
L’evoluzione delle lingue
Nessuna lingua è realmente stabile nel tempo del lungo termine. Esistono lingue che avanzano
diffondendosi su vaste aree per poi indietreggiare, lingue che sono parlate da un numero limitato di
persone che ma si mantengono stabili nel tempo. L’egiziano antico era solido, poi per una serie di motivi si
è perso del tutto. Bisogna considerare le traiettorie geografiche della stessa lingua.
La cartografia e la diffusione linguistica
Si possono tracciare carte tematiche riguardanti la diffusione di un certo linguaggio o di una ben
determinata parola, che avrà dei confini immaginari, dette linee di “isoglossia”. Le “isoglossie” sono linee
che vanno a congiungere i luoghi in cui si parla una certa lingua. Le linee sono enormemente difficili da
tracciare, in genere si usano sugli atlanti continentali. Bisogna avere un contesto più piccolo per essere
precisi. Le isoglosse si spostano con il tempo. L’uso di “herd” (mandria) è arretrato cedendo a “flock”
(gregge).
I gruppi etno-linguistici
Dal punto di vista numerico la geografia delle lingue è complicato dal punto di vista delle statistiche.
Possiamo valutare la standardizzazione in Europa dove si è avuta un’evoluzione delle lingue da tempo. In
Asia; Africa e Oceania vi è una grossa frammentazione linguistica.
Le lingue più diffuse
Fra questi gruppi, le lingue diffuse in più Paesi sono soltanto un centinaio. In particolare:
 l’inglese (lingua ufficiale o in situazione privilegiata in quarantasette Paesi);
 il francese (parlato in ventisei Paesi);
 l’arabo (parlato in ventuno Paesi);
 lo spagnolo (parlato in venti Paesi);
 il portoghese;
 il tedesco.
Le lingue coloniali si sono imposte in lingue standard, poi riscoperte dopo la Seconda guerra mondiale.
L’inglese è la lingua globale per eccellenza. La seconda è il francese, i francesi soprattutto in Africa e Nord
America. Il Portoghese in Brasile, lo spagnolo in Sud America. L’arabo è parlato in Medio Oriente e in Africa,
è l’unica lingua coloniale non europea.
Le lingue principali
Appena 12 lingue sono parlate da più di cento milioni di persone:
 cinese
 inglese
 hindi-urdu
 russo
 spagnolo
 arabo
 indonesiano-malese
 portoghese
 bengali
 francese
 giapponese
 tedesco.
Le famiglie linguistiche
Le circa tremila lingue parlate sulla Terra hanno in comune analogie più o meno accentuate di fonetica, di
grammatica, di vocabolario o di parentela storica accertata e sono divise in gruppi:
 lingue indo-europee;
 lingue sino-thai;
 lingue ugro-finnico-uralo-altaiche;
 lingue malesi-polinesiane;
 lingue semite-camitiche;
 lingue dravidiche;
 lingue bantu;
 lingue indigene d’America.
I livelli qualitativi delle lingue
Rispetto al livello di sviluppo qualitativo raggiunto da una lingua, Breton (1976) individua cinque stadi:
 al primo livello si trovano le lingue prive di scrittura, di tradizione orale e uso locale;
 al secondo livello vi sono le lingue locali (o vernacolari) entrate in uno stadio di “letterizzazione”,(le
lingue con uno stadio di forma scritta);
 al terzo livello si hanno le parlate “veicolari”, che all’inizio erano lingue vernacolari, ma poi elevate
a lingua relazionale (le parlate veicolari vanno ad avere interfaccia, possono essere comprese da
altre comunità: una lingua prevale sull’altra);
 al quarto livello si collocano le lingue nazionali, espressione di un gruppo etnico ormai consolidato
(la lingua è resa stabile nel corso del tempo, solo alcune diventano internazionali);
 all’ultimo livello si collocano le lingue internazionali.
Le mutazioni delle lingue
Le lingue sono sottoposte a continui cambiamenti lessicali e morfologici, attraverso semplificazioni e
arricchimenti, dovuti alla comparsa di nuove parole (neologismi) o all’abbandono di termini non più attuali.
Esse sono interessate essenzialmente a due tendenze opposte che sono alla base della evoluzione
linguistica:
 la differenziazione dialettale, riconducibile a un fenomeno di dispersione, con lingue appartenenti
alla stessa famiglia che si modificano nel tempo;
 l’unificazione, per esigenze di rapporti sociali, di relazioni su più vasto raggio.
Le mutazioni delle lingue: diglossia e fossilizzazione
Le modificazioni che interessano una lingua possono anche portare a una qualche forma di diglossia tra la
lingua colta ufficiale e la parlata popolare, che può anche determinare la “fossilizzazione” della lingua colta.
Le cause che portano alla scomparsa di una lingua sono diverse, per lo più di natura extra-linguistica, come
nel caso della prevalenza di una etnia su un’altra, sia per motivi culturali che numerici, della dipendenza
economica, o di etnocidio o genocidio.
Talvolta può accadere anche che una lingua che rimanga immobile per conservare la sua purezza finisca per
essere superata, per perdere la sua funzione di comunicazione.
La difesa della lingua
Di fronte alla scomparsa di una lingua, altre se ne affacciano: sono le lingue emergenti, espressione di
gruppi e di entità statali che raggiungono l’indipendenza, che promuovono a lingue ufficiali parlate locali
attraverso una politica linguistica volta alla loro unificazione, standardizzazione e arricchimento. Questi
obiettivi sono raggiunti attraverso:
 la naturalizzazione (il ricorso sistematico alle sole radici nazionali);
 la classicizazzione (il recupero delle radici classiche);
 la occidentalizzazione (l’adozione di forme internazionali).
I linguaggi artificiali
Si possono poi avere delle lingue “resuscitate”, ossia lingue morte riportate in uso da un gruppo etnico
come espressione di una identità ritrovata. L’unica è l’esperanto, non ha sortito l’effetto di essere la lingua
per mettere in comunicazione tutti i popoli.
La politica linguistica
Quasi tutti i Paesi hanno una politica linguistica, a volte palese, altre volte meno, a volte imposta, altre volte
stabilizzata da lungo tempo, con la quale si tende a privilegiare l’uso di una lingua a discapito di un’altra,
per ridurre le differenze, per omogeneizzare la popolazione, al fine di rendere più semplice il controllo
politico e sociale, in una parola per esercitare il potere in maniera meno conflittuale.
La geografia linguistica
Lo studio della distribuzione territoriale delle lingue e dei loro meccanismi di diffusione nello spazio e nel
tempo hanno dato vita alla “geografia linguistica” (o geolinguistica, o linguistica spaziale).
Le regole di Bartoli
Il Bartoli formulò una serie di considerazioni che, pur non avendo l’assolutezza delle leggi (l’Autore preferì
chiamarle norme) avevano interessanti contenuti geografici, esempio di linguistica che diventa geo-
linguistica, applicata alla geografia:
- Norma dell’area isolata: se di due forme linguistiche una si trova in un’area isolata e l’altra in un’area più
accessibile ai mezzi di comunicazione, la prima è più antica (si preserva la lingua antica, il senso di piccola
comunità è molto più forte. Nelle aree isolate, la lingua non si evolve più di tanto, resta quella della
comunità);
- Norma dell’area centrale: se di due forme di una stessa lingua una si trova nelle aree periferiche della
regione che usa quella lingua e l’altra nelle aree centrali, la prima è più antica (le aree più centrali hanno
maggiore sollecitazione a evolversi, le aree marginali hanno meno stimoli. L’evoluzione della lingua
romena, sono le ultime terre in cui si sono insediate le lingue latine, le forme grammaticali che rimandano
al latino);
- Norma dell’area vasta: se di due forme linguistiche una è usata in un’area più ampia dell’altra, allora la
prima è la più antica (sembra in contraddizione sulle precedenti. Se una lingua si è diffusa in maniera più
ampia, una lingua che parte sempre da piccoli nuclei tende a espandersi, è di norma più debole delle prime
due)
- Norma dell’area seriore: Nelle zone in cui la lingua è arrivata più tardi, tende a conservarsi la fase più
antica.
Il prototipo europeo e le lingue indoeuropee
IL PROTOINDOEUROPEO
“La lingua sanscrita, quale che sia la sua antichità, è una lingua di struttura meravigliosa, più perfetta del
greco, più copiosa del latino, e più squisitamente raffinata di ambedue, nonostante essa abbia con
entrambe una affinità più forte, sia nelle radici dei verbi sia nelle forme della grammatica, di quanto
probabilmente non sarebbe potuto accadere per puro caso; così forte, infatti, che nessun filologo potrebbe
indagarle tutt'e tre, senza credere che esse siano sorte da qualche fonte comune, la quale, forse, non
esiste più.” (William Jones)
Andremo a vedere come una cultura può svilupparsi nel mondo, nelle colonie africane e americane. Le
lingue indoeuropee sono la famiglia di lingua più ramificate, sebbene non si sia arrivati a un punto univoco
sulla diffusione di queste lingue.
Origine ed evoluzione
Rilevazione di somiglianze linguistiche tra sanscrito, il greco, il latino, il gotico e le lingue celtiche a cura di
William Jones.
Franz Bopp (1791-1867) e Rasmus Rask (1787-1832) comprovano per primi le relazioni tra le suddette
lingue attestando numerose corrispondenze sui differenti livelli di analisi (fonetico, fonologico, morfologico,
lessicale e sintattico).
Il criterio dell’albero genealogico poneva le basi per un antenato comune, una lingua madre che veniva
parlata comunemente da tutte le popolazioni parlanti delle lingue indoeuropee. Da questa lingua madre
nacquero altre lingue figlie con una più marcata differenziazione. Si calcano le teorie del darwinismo e del
positivismo, individuando una lingua comune che partisse dall’antichità e permettesse di tracciare una
lingua continua in futuro. La stessa cosa avviene con gli studi antropologici. Bisognava trovare gli elementi
comuni nelle lingue e andare a ritroso per risalire alla lingua madre. È una teoria contrastata e molto rigida,
dato che alcune lingue si sono mutate nel tempo.
L’idea che contrastava, il modello era del tutto alternativo e prende spunto dalla fisica dalla teoria delle
onde: lo studioso tedesco Johannes Schmidt.
Se si butta un sasso in uno specchio d’acqua si creano dei cerchi concentrici. Nelle lingue il raggio d’azione
di questo centro iniziale è pari alla sua massa, alla sua potenza. Bisogna vedere il peso del masso e la forza
con cui viene lanciato. Laddove ci sono più centri di diffusione si può avere contrapposizione o contrasto fra
culture. Uno dei centri di rilevanza nel mediterraneo fu Biblos, l’area della Siria. I centri di irradiazione sono
differenti e sorgono e fanno irradiare la loro cultura.
Le due teorie contrapposte sono osservate e continuano a essere presenti per linguisti e geografi.
Entrambe cercavano l’origine della cultura o il primo centro dove si sono prodotte le idee iniziali, il centro
delle lingue indoeuropee: protoindoeuropeo.
Il metodo comparativo
Il metodo principale usato per la ricostruzione di questa lingua originaria e per l’analisi delle somiglianze
attestate nelle lingue figlie è il metodo comparativo. Si tratta di un metodo di ricostruzione di tipo
deduttivo: esso consiste nel confrontare sistematicamente tra loro tutti i dati disponibili, individuare le
regolarità e in base a esse ricostruire una forma che spieghi attraverso gli esiti attestati i mutamenti
regolari. Questo metodo viene utilizzato principalmente in chiave diacronica all’interno di uno stesso
idioma ma può essere utilizzato anche confrontando idiomi differenti.
Metodi di ricostruzione e di analisi
Le lingue indoeuropee avevano una radice comune. Queste tipologie di analisi hanno permesso
l’attestazione di concordanze soprattutto per quanto riguarda le corrispondenze fonetico-fonologiche. La
parola “novem” ha tracce in tutte le lingue indoeuropee: in inglese nine. Si trovano legami in ambito di
toponimi e zoonimi.
Condizioni
Ovviamente questi studi presuppongono un cospicuo numero di condizioni, una delle quali consiste nel
dover analizzare elementi caratterizzati da una spiccata propensione alla conservatività. Questo
rappresenta uno dei principi fondamentali per l'autenticità della ricostruzione. Elementi di neoformazione
linguistica determinano una ricostruzione senza fondamento storico. Si tratta di un fenomeno a cui
prestare molta attenzione in quanto è possibile che lingue non imparentate tra loro manifestino
somiglianze nel lessico derivanti da condizioni differenti come il contatto per prossimità geografica e
dunque non come risultato di parentela linguistica. È il caso dell’italiano e del turco. (italiano: bagaglio-
turco bagaj).
Lingua ricostruita ma non attestata
Ogni aspetto finora emerso deve essere contestualizzato nella visione che il protoindoeuropeo è una lingua
non attestata ma ipotetica. Essa non corrisponde ad una lingua reale; dobbiamo sempre tener presente che
le corrispondenze sopra citate rappresentano forme ricostruite. La ricostruzione, dunque, può e deve
perseguire una verosimiglianza, ma deve al contempo abbandonare l'idea di raggiungere una spiegazione
univoca di fenomeni. È quella della ricostruzione: non sarà mai coincidente al massimo. Ci saranno
interpretazioni credibili e contrastate.
Il problema dell’Urheimat (TERRA DI ORIGINE)
L’obiettivo non era un lavoro speculativo, ma una questione che sorge nel 1800. Tutte le terre del mondo
erano diventate note: si potevano tracciare le estensioni dei continenti. Ci furono molte esplorazioni, tutte
le terre emerse erano conosciute. Prima bisognava trovare l’ecumene, ora bisognava trovare le terre di
origine. La terra di origine viene definita Urheimat, tedesca e non traducibile: è una parte dove ci si trova
familiare, un luogo originario dove ci si trova in massime condizioni di confort.
Ipotesi iniziale: l’India come terra d’origine
La prima idea è stata fatta con mezzi comparativi scarsi: provare a pensare come terra d’origine l’India,
condizioni per poter sviluppare una società florida, una varia vegetazione, dei bacini fluviali estesi. Lo
sviluppo del senso del sacro faceva già pensare alla diffusione della cultura dall’antico, dopo i primi bisogni.
Bisogna partire dal sanscrito, una lingua molto complicata: ci sono radici e fonemi con le lingue
indoeuropee. Non c’erano evidenze scientifiche, ma solo una comparazione.
La cultura Kurgan e le steppe PONTICO-CASPICHE come terra d’origine
Si sviluppano altre teorie, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una delle prime teorie è dovuto a Marija
Gimbutas, lituana emigrata negli Stati Uniti. La sua teoria è scientifica, si parte dai dati linguistici: bisognava
osservare alcuni elementi archeologici interessanti che perdurasse nel tempo, come le tombe e i corredi
funerari e poterli datare. In base a questa teoria sono state ritrovate delle tombe a tumulo che sono
nell’area centro-asiatica, vicino bacini fluviali importanti. Si sono diffuse anche in altri contesti come in
Normandia e In Bretagna. La cultura kurgan ha imposto l’espansione a danno di altre popolazioni partendo
dalla steppa russa. C’è un’area di una cultura madre che nel corso del tempo sia andata a espandere, non
c’è una continuità basata sulla lingua ma sull’archeologia. Marija Gimbutas: “la cultura dei Kurgan sembra
l'ultima candidata rimasta a poter essere definita protoindoeuropea”.
La Gimbutas riuscì a far conciliare il dato archeologico con le realtà linguistiche per ricostruire l'habitat e la
cultura del popolo in questione. In base agli studi condotti, indicò come territorio di origine degli
indoeuropei la steppa euroasiatica, o meglio, la zona compresa tra il Volga e il Dnepr nel periodo 4500-3000
a.C. Successivamente le popolazioni indoeuropee si sarebbero spostate sia verso l’Europa Occidentale sia
verso l’India sovrapponendosi alle popolazioni neolitiche preindoeuropee imponendo la loro lingua, la loro
religione e la loro struttura sociale.
Ci sono delle problematiche: i popoli cavalieri per spostarsi in aree molto estese dovevano usare i cavalli
come mezzi di locuzione. Nell’ultima ipotesi erano pastori nomadi. Come numero non erano elevati, era
difficile sovrastare gli altri popoli.
Terra d’origine: COLIN RENFREW e il modello NEOLITICO-ANATOLICO
Colin Renfrew. È molto più probabile che non ci sia un’imposizione ma un avanzamento pacifico delle
lingue, lui mette in evidenza le culture agricole. Ci fu un’area di diffusione dell’agricoltura, i cui prodotti
agricoli in surplus erano forma di baratto. Le popolazioni che si spostavano insegnavano consigli su come
sviluppare l’agricoltura. Si crea un contatto fra le comunità e una lingua standard. Le lingue possono
svilupparsi quando c’è un certo benessere. L’area di sviluppo è la penisola anatolica, ponte fra Asia ed
Europa. Gli Urali sono la catena montuosa di diffusione, in geografia fisica la Turchia è in Asia, ma nella geo-
politica è in Europa. Da una parte le prime diffusioni fanno sì che le aree di contatto fossero nella mezza
luna fertile, fra Tigri ed Eufrate. Contribuirono anche l’evoluzione nella Grecia Antica e la civilizzazione
nell’Egitto. L’Anatolia è l’area centrale di diffusione. È da precisare come questo modello sia stato oggetto
di modifiche fin da subito. Esso venne infatti articolato due rami:
 IPOTESI A
 IPOTESI B
IPOTESI A
Renfrew in un primo tempo affermò che si trattò di una diffusione sia verso oriente sia verso occidente
dell'economia neolitica, ovvero dall'Anatolia verso l’Europa occidentale e verso l'India e che le aree in
questione avessero semplicemente accolto l'ondata di avanzamento delle popolazioni neolitiche.
La diffusione fu accolta perché portava dei benesseri per il sostentamento della popolazione.
L’Anatolia è un’area di ponte, ma non è un’area di stabile civilizzazione nell’interno: è un’area montuosa
con scarsi fiumi, poca disponibilità di acqua, c’è il maggiore lago salato del mondo. Non è un’area di
stabilizzazione potenziale: non è favorevole allo sviluppo umano.
IPOTESI B
Successivamente, l'analisi di ulteriori fonti archeologiche, condusse lo studioso a formulare un'ipotesi
alternativa a rispetto alla precedente. Renfrew rielaborò il suo pensiero ipotizzando che il nomadismo delle
tribù indoeuropee si mosse dalle steppe asiatiche, in particolare dalla pianura sarmatica, verso Sud, ovvero
verso i territori meridionali dell'Asia Centrale e dell'Indo, attraverso un'espansione semi-violenta, in un
periodo molto più tardo rispetto a quello neolitico che portò l'agricoltura in Europa.
Renfrew abbandonò l'ipotesi A in favore dell'ipotesi B.
La pianura sarmatica è un’area che va dalla Finlandia agli Urali. È un’area appiattita con laghi importanti,
favorevole allo sviluppo di una cultura. L’area di sviluppo si colloca a Nord dell’Anatolia e poi si diffonde
verso Sud. Questa ipotesi si collega a quella di Marija Gimbuta.
Ipotesi di REMCO BOUCKARET
La terra di origine è stata fissata in Anatolia, agli inizi del Neolitico (settimo millennio A.C) con espansioni
sia verso Occidente che verso Oriente, in Europa, sia verso Oriente in Asia, tuttavia non necessariamente
connesse all'iniziale diffusione dell'agricoltura. Ha fatto elaborazioni al computer per vedere la diffusione
fino al celtico, nelle isole britanniche.
Modello dei Vicino Oriente
Il modello del vicino Oriente vede come suoi maggiori rappresentati i linguisti Tamez Gamkrelidze e
Vyacheslav Ivanov (1984). In base a questo sistema la terra di origine è individuata nel Sud del Caucaso. Per
quanto riguarda le caratteristiche della sua diffusione esso si differenzia rispetto al modello Neolitco-
Anatolico in quanto viene a realizzarsi in un periodo successivo (Età del bronzo) a questo e lo sviluppo
dell'agricoltura non è un elemento fondante della sua espansione. La parte attorno al Caucaso colloca in
avanti la diffusione delle lingue. Il Mar Caspio è un lago relitto, è un mare chiuso (Mar Nero e Mar Caspio
erano uniti).
LE LINGUE INDOEUROPEE
La famiglia linguistica indoeuropea si concentra maggiormente in Europa ma attraversa anche il Caucaso e
l’Asia Centrale fino ad arrivare al subcontinente indiano. Ricordiamo che appartengono alla famiglia
linguistica indoeuropea la lingua Tocaria parlata nella regione autonoma dello Xinjiang (Cina nord-
occidentale), la lingua armena parlata nella regione del Caucaso, e le lingue indoiraniche parlate in India, in
Pakistan, in Bangladesh, in Iraq, in Siria e in Afghanistan. In termini di numero di parlanti delle lingue
indoeuropee ricordiamo inoltre come queste si siano diffuse anche nelle Americhe, in Australia, in Nuova
Zelanda, in Siberia e in alcune regioni dell’Africa in seguito a esplorazioni geografiche, migrazioni e
colonizzazioni.
Le lingue romanze
 PORTOGHESE,
 FRANCESE,
 SPAGNOLO,
 RUMENO,
 ITALIANO,
 LATINO,
 CATALANO,
 FRANCO-PROVENZALE,
 SARDO SETTENTRIONALE,
 SARDO,
 OCCITANO,
 ROMANCIO,
 FRIULANO.
Queste lingue rappresentano l’evoluzione diretta del latino volgare sviluppatosi in seguito all’espansione
dell’Impero Romano per questioni commerciali nel bacino mediterraneo. La linea di demarcazione si pone a
nord con le lingue germaniche, fin dove l’Impero Romano ha avuto una presenza stabile, fino al bacino del
Reno. In seguito al colonialismo del XVI e del XVIII secolo, all’espansione delle potenze europee nel corso
del 1800 si diffusero anche in America, in Asia, in Africa e in Oceania.
 Dal punto di vista dei locutori madrelingua lo spagnolo è l’idioma più parlato, seguito dal portoghese e
dal francese.
Per quanto riguarda invece il numero di Paesi in cui è parlata, la lingua più diffusa è quella francese,
presente in Francia, Svizzera, Belgio, in Canada, nei Caraibi, in molti stati dell’Africa e negli arcipelaghi
dell’Oceano Pacifico. Lo spagnolo è parlato in Spagna e nell’America Latina, il Portoghese, oltre che in
Portogallo, è parlato anche in Brasile e in alcune aree dell’Africa. Segue il romeno parlato, oltre che in
Romania, anche in Moldavia, e l’italiano, presente in Italia, ma anche in Svizzera (Canton Ticino).
Le lingue germaniche
 INGLESE,
 TEDESCO,
 OLANDESE,
 DANESE,
 SVEDESE,
 NORVEGESE.
Prima dell’Era Cristiana le lingue relative al gruppo germanico vissero un periodo di ipotetica omogeneità e
questa fase linguistica viene definita come protogermanico. Le popolazioni germaniche in quel dato
periodo erano essenzialmente stanziate nella cerchia Nordica, ovvero, la zona compresa tra la fascia
meridionale della Scandinavia e l’estrema Germania settentrionale.
Le lingue germaniche sono molto rilevanti, il gruppo germanico si è evoluto tanto in posti molto lontani fino
a scomparire. I Goti si sono estinti. Le migrazioni sono state da Nord verso Sud. Dal punto di vista coloniale
l’inglese fu importante. Il dialetto del capo era una lingua tedesca/olandese.
Successivamente, con l’avvento dell’Era Cristiana e delle successive migrazioni le popolazioni germaniche
iniziano a dirigersi in alter direzioni conseguendo quello che poi sarebbe stato il raggruppamento
convenzionale dei rami del germanico, ovvero:
 Germanico orientale: gotico
 Germanico settentrionale: antico nordico (che si è evoluto nelle lingue scandinave ovvero danese,
islandese, norvegese e svedese)
 Germanico occidentale (inglese, tedesco, frisone).
Le lingue slave
Le lingue slave sono distinte in tre differenti gruppi in relazione alle posizioni geografiche delle lingue
stesse:
 Slavo orientale: russo, ucraino, bielorusso.
 Slavo occidentale: polacco, ceco, slovacco.
 Slavo meridionale: sloveno, bulgaro, macedone, serbocroato, bosniaco.
Parlate all’incirca da 315 milioni di persone nell’Europa orientale, centro-orientale e nell’Europa balcanica.
Ci sono alfabeti differenti: ad esempio lo sloveno ed il croato utilizzano l’alfabeto latino con alcuni segni
diacritici mentre il bulgaro ed il serbo utilizzano l’alfabeto cirillico.
Le lingue celtiche
Le lingue celtiche sono idiomi derivanti dal proto-celtico. Nell’I millennio a.C queste lingue erano parlate in
tutta Europa, mentre oggi ricoprono unicamente l’area della Gran Bretagna e della Bretagna in Francia.
Il proto-celtico era diviso in quattro gruppi:
 il gallico (parlato in un vasto spazio che andava dalla Francia fino alla Turchia, dal Belgio fino
all’Italia settentrionale);
 il celtiberico (parlato nella penisola iberica);
 il goidelico (irlandese, gealico scozzese ed il mannese);
 il brittonico (gallese, bretone, cornice, cumbrico).
L’irlandese è una delle lingue ufficiali, le lingue celtiche hanno perso molta importanza.
La lingua armena
La lingua armena è principalmente parlata nella regione del Caucaso, in particolare nella Repubblica
Armena. Essa è presente in altri stati del mondo come conseguenza della diaspora armena avvenuta per
opera dei turchi ottomani.
L’armeno è diviso in due grandi dialetti, ovvero, l’armeno orientale che è la lingua parlata nell’odierna
Repubblica Armena e l’armeno occidentale che era parlato dagli armeni in Anatolia ma che scomparve da
questa zona in seguito al genocidio armeno. In seguito alle varie vicissitudini, si sono sviluppati diversi
dialetti della lingua armena, alcuni dei quali non sono mutualmente intellegibili.
È una lingua completamente diversa da quella originaria, c’è un trasloco della lingua.
L’albanese è un elemento indipendente, in Italia ci sono aree isolate di minoranze.
 La lingua albanese è parlata principalmente in Albania, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro.
Essa è anche diffusa in alter aree dell’Europa come Grecia, Balcani, Bulgaria, Italia.
 Comunità arbereshe in Italia (fuga all’invasione turca e al consolidamento dell’Impero Ottomano
1478).
 Varietà ghega (parlata nella parte settentrionale dell’Albania) e varietà tosca (parlata nella parte
meridionale dell’Albania).
 Ramo linguistico indipendente all’interno della famiglia linguistica europea
 Due dei suoi possibili gruppi originari, ovvero, il gruppo illirico e il gruppo linguistico daco-trace.
Possibile affiliazione alle lingue romanze balcaniche (Matteo Bartoli).
Le lingue indoiraniche
Tre sottofamiglie:LINGUE INDOARIE, LINGUE IRANICHE, LINGUE NURISTANI.
 Maggior numero di parlanti all’interno della famiglia linguistica indoeuropea.
 Nel gruppo iranico ricorrono alcune delle lingue di più antica attestazione all’interno della famiglia
indoeuropea, ovvero, l’avestico, l’antico persiano, sanscrito, vedico.
 Tra le lingue più note appartenenti alla famiglia linguistica indo-iranica ricordiamo: l’hindi e l’urdu
(India e Pakistan), il Bengalese (India e Bangladesh), il curdo (Turchia, Iraq, Iran e Siria), il persiano
(Iran, Afghanistan).
Sono parlate dove lo sviluppo della popolazione è molto ampio, l’indi e l’urdu. Il curdo è la lingua diffusa di
uno Stato che non esiste. Nel gruppo iranico c’è anche il sanscrito.
La lingua greca
 Ramo linguistico indipendente all’interno della famiglia linguistica indoeuropea.
 Parlato all’incirca da 13 milioni di persone, principalmente in Grecia, nell’isola di Cipro dove la
stessa è riconosciuta come lingua ufficiale (a Cipro a fianco del turco) ed in Albania dove è
riconosciuta lingua minoritaria.
 Parlato anche in Bulgaria, in Turchia, in Romania, in Italia meridionale, in Egitto, in Libia e in Siria.
 Scrittura fenicia all’origine dell’alfabeto greco, a sua volta all’origine dell’alfabeto latino e
dell’alfabeto cirillico.
La lingua greca ha avuto un’evoluzione importante nel corso del tempo, al centro del Mediterraneo. Ha
subito molte invasioni, fino al Medioevo era importante e ha avuto una grande diffusione dal periodo
miceneo al greco moderno. Nell’antichità il greco era considerato lingua franca nel mondo mediterraneo e
nell’Asia occidentale. Essa fu inoltre la lingua ufficiale dell’impero bizantino.
Dialetti e idiomi estinti
Appartengono a questa grande famiglia anche lingue ormai estinte, tra il tocario (documentato nel
Turkestan cinese intorno al 1000 d.C.), il venetico (lingua a sé parlata nell'antico Veneto), le lingue
anatoliche (parlate in Anatolia già nel XIX- XVIII sec a.C.) ed inoltre una serie di parlate estinte, isolate e
poco note, come il frigio, il tracio, il daco-misio, il messapico, i dialetti macedoni.
Il mosaico delle lingue indoeuropee ha dei blocchi tripartiti. Abbiamo anche alcune lingue che stanno per
estinguersi: il tocario era parlato in Cina. Alcune lingue sono solo dialettali invece che standard. Ancora oggi
non abbiamo una certezza delle lingue indoeuropee. L’area fra la Mesopotamia e il Caucaso è l’area
centrale di diffusione. Molte lingue coloniali sono ancora utilizzate, in molti Paesi africani sono rifiutate
formalmente con l’acquisizione dell’indipendenza.
L’EUROPA DEL MULTILINGUISMO
Confini
Per Europa intendiamo il territorio che si estende dall’Oceano Atlantico ai Monti Urali. I confini relativi a
questa parte della massa continentale dell’Eurasia sono delineati dalle regioni artiche nella parte
settentrionale, dal fronte atlantico nella parte occidentale, dal bacino del Mediterraneo nella parte
meridionale e dai monti Urali nella parte orientale, anche se la zona adiacente agli stessi è considerata la
periferia del territorio europeo essendo questa uno spartiacque tra Europa ed Asia.
L’Europa presenta delle particolarità, fasi di prestiti linguistici, di arricchimento culturale. L’Europa è una
penisola del continente euroasiatico. Si stratifica in 3 categorie: parte più antica dell’Europa, terre emerse,
terre non emerse.
L’Europa linguistica
 Numerose differenze a livello politico, linguistico e culturale (soprattutto tra Europa occidentale ed
Europa orientale) come conseguenza dei numerosi movimenti avvicendatisi sul territorio (uso di
alfabeti differenti).
 Si contano all’incirca sessanta lingue statuarie.
 Alto livello di omogeneità dovuta all'appartenenza della gran parte stesse alla famiglia linguistica
europea.
 Lingue estranee alla famiglia indoeuropea: il basco (le cui origini sono ancora ignote e sicuramente
antecedenti al periodo di indo europeizzazione del continente), l'ungherese, il finnico, l'estone e il
lappone (appartenenti alla famiglia uralica o ugrofinnica), la lingua maltese (lingua semitica),
varietà di arabo maghrebino, il turco (appartenente alla famiglia altaica). A ciò si aggiungono inoltre
minoranze paleosiberiane e il calmucco, lingua mongola.
Dal punto di vista geografico-linguistico possiamo affermare che ogni Stato è rappresentato da una propria
lingua ufficiale che lo simboleggia ma oltre ciò si possono riscontrare dei caratteri di multilinguismo e di
contatto linguistico tra idiomi differenti all’interno di uno stesso territorio a dir poco affascinate.
Ci sono 3 penisole:
 iberica,
 italiana,
 balcanica.
La Turchia è inglobata nelle lingue europee. È una situazione fisica delimitata, nelle lingue è più complicata.
Gli assetti attuali delle lingue, nonostante avessero tutte delle radici indoeuropee, hanno una stabilità. Gli
stati unitari hanno permesso una standardizzazione delle lingue.
In Europa ci sono anche lingue non europee. La lingua basca è nel nord della Spagna, confine Francia, in
Spagna si sta riducendo ma ha un’origine poco certa. Sono in un’area scomoda montana, stanno sul mare e
sono un’area di passaggio sin dall’antichità (pellegrinaggio di Santiago da Compostela). È una lingua molto
antica perdurata nei secoli, un’idea è che può derivare da lingue celtiche dalle isole britanniche tramite vie
marittime. I baschi erano importanti pescatori, rinomati per la caccia alle balene. La loro lingua ha un
mescolamento con l’islandese. Mantengono la propria identità nei secoli.
L’ungherese e il finnico son due lingue molto simili, non sono indoeuropee: famiglia ugrofinnica, frutto di
invasioni di popoli cavalieri. La Finlandia è una terra marginale nel contesto Europeo, l’Ungheria è rimasta
una lingua identitaria. Il Turco ha avuto un forte espansionismo con l’impero ottomano e ha dominato per
secoli. La lingua maltese ha avuto un effetto isola, crocevia a livello europeo, rientra nelle lingue
canitico/semitiche.
Evoluzione linguistica nelle isole britanniche
 Il millennio a.C: fuga delle popolazioni celtiche dall’Europa centrale a causa dell’invasione delle
popolazioni germaniche provenienti dall’Est e le popolazioni latine provenienti dal Sud.
 Stanziamento delle popolazioni celtiche nelle attuali isole britanniche.
 Consolidamento delle prime parlate celtiche: il britico e il godelico.
 Dal britico si svilupparono, successivamente, il gallese, il cornico e il bretone, e dal godelico il
gaelico irlandese ed il gaelico scozzese.
Le lingue germaniche (non organizzano piani di conquista) partono dal sud Svezia e fino al Mar Baltico
(pomerania), verso le isole britanniche.
Il gaelico scozzese
Il gaelico scozzese subì un processo molto travagliato in seguito alla sua sopraffazione da parte della lingua
inglese. Lingua maggioritaria della regione scozzese nel III sec. d.C, iniziò ad essere represso durante la fine
del Medioevo quando la lingua degli angli si impose come lingua dominante; essa divenne la lingua del
potere e lingua di prestigio. Nel 1707 in seguito all'unificazione tra Scozia ed Inghilterra il governo di Londra
vietò l'uso della lingua gaelica e la manifestazione di pratiche culturali relative alla stessa.
Il gaelico irlandese
Per quanto riguarda il gaelico irlandese, questo si consolidò nella zona attuale dell'Irlanda. Così come
solitamente accade nel processo di sviluppo ed evoluzione linguistica, le condizioni caratterizzanti il
territorio si ripercossero sull'idioma. La dominazione inglese che interessò questa zona conseguì una
situazione di estremo disagio per il gaelico irlandese, sia in quanto la lingua inglese iniziò ad insediarsi
rapidamente nella regione, sia in quanto essendo espressione della religione cattolica, venne combattuta in
tutti i modi dagli inglesi. Un altro importante fattore che contribuì a determinare l’indebolimento della
lingua irlandese fu la rivoluzione industriale del XVIII secolo, in seguito alla quale, l’irlandese assunse la
sfumatura di lingua secondaria.
 Nel 1921, nel momento in cui l’Irlanda raggiunse l’indipendenza, figurò tra gli obiettivi principali
quello di ristabilire l'uso della lingua gaelica.
 Istituzioni scolastiche di primo e di secondo in cui le lezioni vengono impartite esclusivamente in
irlandese, favorendo così l'apprendimento della lingua grazie al metodo dell'immersione linguistica.
Inoltre, proprio per incrementare il numero di locutori gaelici, il governo irlandese ha varato nel
2010 la cosiddetta strategia ventennale per la lingua irlandese 2010-2030, che punta a
raggiungere i 250.000 parlanti entro il 2030.
 In alcune zone dell’Irlanda, in particolare in prossimità delle coste occidentale e settentrionali e
meridionali vi sono zone che, a differenza del restante territorio, viene parlato quasi
esclusivamente l’irlandese, queste aree sono chiamate gaeltacht.
 Irlandese prima lingua ufficiale (seconda l’inglese) ma, nonostante ciò, ad eccezione dei gaeltach,
l’uso del inglese riveste una posizione più alta rispetto all’uso dell’irlandese.
Il bretone e il cornico
 Il Cornico è una lingua derivante dal britico ed è considerata una lingua estinta dal diciottesimo
secolo. Nel Novecento si sono avuti vari movimenti che hanno cercato di restaurare la lingua
cornica che tutt’oggi però è conosciuta e parlata a livello elementare da un numero esiguo di
persone stanziate in prevalenza in Cornovaglia.
 Il Bretone è la lingua caratterizzante la Bretagna, regione a Nord-Ovest della Francia. Questa lingua
ha subito, durante la prima metà del Novecento un calo di all’incirca di un milione di parlanti. Si
stima che, attualmente, 270.000 persone conoscono il bretone ma i locutori attivi che la utilizzano
quotidianamente sono solo 35.000. Lo Stato francese non riconosce il Bretone come lingua ufficiale.
Il gallese
Il gallese ha subito un corso differente rispetto agli idiomi riportati antecedentemente. Esso è ancora
diffuso nel suo territorio di origine, ovvero la regione del Galles. Numerosi accorgimenti sono stati messi in
atto per preservare la lingua, come l'istituzione di scuole che hanno contribuito alla diffusione della forma
scritta e standardizzata del gallese. Malgrado ciò, gli effetti della rivoluzione industriale, della posizione
dominante assunta dalla lingua inglese con lo scorrere del tempo, ha portato inevitabilmente una riduzione
dell'uso del gallese. I gallesi hanno tentato in svariati modi di respingere questa pressione, ad esempio,
mediante l'istituzione di associazioni culturali volte alla difesa della lingua e delle antiche tradizioni culturali
non riuscendo, però, a porre freno alla decadenza della lingua. Le lingue romanze partono da Roma, la
parte orizzontale va a suddividere il limite massimo dell’espansione del latino con le lingue germaniche.
In Spagna
La Spagna è caratterizzata da cinque contesti linguistici, ovvero, il gallego, l'asturiano, il castigliano, il basco
ed il catalano.
 CASTIGLIANO: L'affermarsi del castigliano come lingua dominante si ebbe con Alfonso X e con
l'ascesa del potere della casa reale castigliana nel XIII secolo. Con la definitiva caduta di Granada nel
1592, la lingua castigliana divenne lingua dello Stato.
 ASTURIANO: lingua caratterizzante la regione costiera atlantica settentrionale, perse gradualmente
la sua affermazione in seguito all’ascesa della casata reale castigliana. In seguito a ciò a lingua si
avviò verso un rapido declino, nonostante i tentativi di rafforzare il suo valore. Questa condizione
sfociò in una situazione di diglossia, dalla quale l'asturiano divenne lingua dei poveri e dei contadini.
Tutt’oggi essa non gode di alcuno status di ufficialità.
 IL GALLEGO: lingua parlata nella Galizia, l'estrema punta atlantica del territorio spagnolo. Il gallego
è la lingua romanza più affine al portoghese. Nonostante essa sia parlata ancora oggi, ha subito e
sta continuando a subire un processo di indebolimento dovuto all'estendersi della dominazione
castigliana.
 IL BASCO: rappresenta ancora oggi un enigma per numerosi linguisti date le problematiche relative
alla definizione delle sue origini. Il basco è parlato nella regione che si affaccia sul Golfo di Biscaglia,
regione di congiunzione tra la penisola iberica e la Francia. Nonostante sia parlata come
madrelingua dal solo 20% della popolazione basca, essa è protetta da un forte senso di
appartenenza che ha determinato la sua sopravvivenza fino ai giorni nostri, causando, allo stesso
tempo, numerosi scontri con il potere centrale.
 LINGUA CATALANA: La lingua catalana, in età medievale lingua della corte d’Aragona, caratterizza
la Catalogna (nord-est della Spagna), Isole Baleari, principato di Andorra e il territorio italiano di
Alghero, in Sardegna. Il catalano manifesta alcune differenze con le altre lingue ibero-romanze e
manifesta alcune affinità con il Francese e alcuni dialetti del Nord Italia in quanto molto del suo
lessico è di origine gallo-romanza.
I differenti fenomeni linguistici caratterizzanti il territorio furono repressi in seguito alla guerra civile
durante il periodo di Francisco Franco (1936-75), al fine di evitare forme di insurrezione etnica. Durante il
periodo della restaurazione questo regime assai rigido si indirizzò verso un orizzonte più pacifico, fino ad
arrivare alla carta costituzionale del 1978, la quale, riconosce lo spagnolo (il castigliano) come lingua
nazionale, accettando le differenti comunità linguistiche che caratterizzano la Spagna.
In Francia
L'area linguistica della Francia è basata su una visione fortemente fondamentalista, ovvero, il francese è
stato da sempre considerato l'unica lingua della nazione. Questo forte legame con la propria lingua
nazionale ha conseguito, molte volte, il considerare le comunità allofone come anomalie da risanare. Tali
considerazioni hanno portato una fortificazione del concetto di francophonie facendo sì che questa
resistesse anche a momenti di decadimento. Il francese è lingua ufficiale in Belgio, in Canada, nella
Confederazione elvetica e in molti territori africani in seguito a situazioni coloniali.
Il caso della Bretagna
Un caso degno di nota è rappresentato dalla Bretagna, penisola che si estende verso l'Oceano Atlantico,
situata all'estremo nord-ovest della Francia. In questo territorio sopravvive una comunità di lingua celtica,
che si stanziò nella penisola all'epoca dell'invasione dei Sassoni tra il V e il VI secolo. Le popolazioni del
territorio ebbero sempre una posizione di chiusura con il resto della Francia, nonostante l'unificazione con
la stessa nel 1532. Tutt'oggi la Bretagna può essere suddivisa ideologicamente in due regioni: la bassa
Bretagna e l'alta Bretagna.
 La bassa Bretagna rappresenta la sezione che si affaccia sull'Atlantico, in cui la lingua celtica è
sopravvissuta lasciando l'utilizzo del francese in alcuni centri. Sebbene la lingua celtica continui a
sopravvivere è da ricordare come questa in realtà rappresenti un numero sempre più esiguo della
popolazione.
 Nell'alta Bretagna, invece, si è creata una situazione di diglossia, in cui la lingua celtica sopravvive
negli strati più poveri della popolazione.
In Belgio
Nel 1830 esso si distaccò dal regno dei Paesi Bassi, creando un nuovo confine che da est a ovest tagliò i
due territori oltre che dal punto di vista linguistico anche dal punto di vista economico e culturale.
La Vallonia, situata a sud del Belgio, di lingua francofona, iniziò ad incentrare la propria economia
principalmente sul settore secondario, ed in modo particolare, sull'industria siderurgica, mentre a nord del
Belgio sopravviveva la lingua fiamminga e la popolazione era per lo più adagiata sul settore primario. I
fiamminghi, essendo numericamente superiori ai valloni, tentarono più volte di ribellarsi a questo crescente
uso della lingua francese ma con risultati nulli date le condizioni di arretratezza. Squilibri sociali, economici
e culturali si ravvisarono durante il periodo nazista, giungendo, tra il 1970 ed il 1980, all'idea di una
soluzione federale per il Belgio con larghissima autonomia delle due regioni in materia economica e sociale.
Oggi il Belgio si presenta come uno stato caratterizzato da due lingue contrapposte più che da una
situazione di bilinguismo.
Alsazia-Lorena
 Convivenza di parlate germaniche e parlate francesi, le cui popolazioni fino al 1871 sembravano
convivere pacificamente in questa condizione.
 Guerra franco-prussiana, affermazione dell’Impero tedesco, annessione delle due regioni alla
Germania, imposizione del tedesco come lingua ufficiale senza proibire l’uso del francese.
 1918 variazione dei confini (trattato di Versailles) l'Alsazia e la Lorena tornano a far parte della
Francia, francese lingua dominante
 Germania nazista 1940, rapida Germanizzazione di entrambe le regioni.
Con il termine del secondo conflitto mondiale, la Francia si riappropriò di entrami i territori, proibendo
l'utilizzo del tedesco fino agli 50, quando venne reinserito come seconda lingua nelle scuole.
Oggi la situazione linguistica procede su questa linea, anche grazie ai numerosi rapporti venutisi a creare
nell'ambito dell'Unione Europea, che hanno permesso di scavalcare sempre di più limiti linguistici, culturali
e ideologici.
Confederazione elvetica
La Confederazione elvetica spicca per la situazione mite e serena che la caratterizza, nonostante la pluralità
linguistica che le appartiene. La lingua tedesca detiene la supremazia per numero di parlanti, nonostante
ciò le lingue romanze rappresentate dal francese e l'italiano detengono il loro potere rispettivamente nelle
zone di Ginevra (per il francese), e di Canton Ticino per l'italiano.
 Altre varietà linguistiche: LADINO (lingua retoromanza) parlato nel Cantone Dei Grigioni (Svizzera
orientale).
 FRANCOPROVENZALE (lingua galloromanza) parlato Svizzera Romanda (Svizzera occidentale).
 ROMANCIO (lingua retoromanza) parlato in alcuni territori della parte orientale del Cantone Dei
Grigioni (Svizzera orientale).
In Italia
Avvicendarsi di numerose varietà linguistiche.
 Esclusivamente lingue indoeuropee, alternarsi di varietà romanze, germaniche, slave, greco ed
albanese.
 Varietà romanze: il Franco-provenzale, l'Occitano, il Piemontese, il Ligure, il Lombardo, l'Emiliano, il
Romagnolo, il Gallo-Italico di Basilicata, il Gallo-Italico di Sicilia, il Veneto, il Catalano, il dialetto
toscano, i dialetti italiani mediani, i dialetti italiani meridionali, il Sassarese ed il Gallurese, il Sardo,
il Ladino, il Friulano, il Siciliano.
 Varietà germaniche: il Sudtirolese, il Bavarese centrale, il Cimbro, il Mòcheno, il Walser.
 Varietà slave: Sloveno ed il Serbo-croato.
 1861 in poi: le lingue minoritarie divennero sempre più marginali.
 Oggi l'articolo 6 della Costituzione italiana si impegna a tutelare tutte le minoranze linguistiche.
 Le minoranze presenti sul suolo italiano possono essere sistemate in tre categorie linguistiche: le
parlate italo-romanze, le parlate relative ad insediamenti successivi nel territorio italiano e gruppi
alloglotti subentrati nel territorio italiano in seguito alle variazioni dei confini.
 Alle parlate italo-romanze appartengono quelle lingue che, nonostante i fattori volti all'unificazione
linguistica, hanno mantenuto una propria identità, ovvero, il Sardo, l'Occitano, il Franco-provenzale,
il Ladino dolomitico, il Veneto, il Siciliano, il Romagnolo ed il Napoletano.
 Per quanto riguarda la seconda categoria relativa ai gruppi stanziati sul territorio italiano in periodi
successivi, appartengono a questa classe i catalani di Alghero, i mòcheni del Trentino ed i cimbri di
Asiago.
Nell’area centro orientale
Continua contrapposizione da parte di popoli differenti nel corso della storia a causa della sua posizione di
collegamento con l’Asia Minore e con la pianura Sarmatica.
 XIII le popolazioni germaniche si stabilirono in questo territorio andando a sovrapporsi a genti
slave, magiare e dacoromene. Conseguenza: forte frammentazione linguistica.
 Al termine del XIX secolo, con la costituzione della Monarchia Austro-Ungarica, il tedesco divenne
lingua del potere. Situazione ancora più difficile in quanto questo andò a sovrapporsi alle varietà
esistenti.
 Trattato di Versailles: nuovi confini che non rispettano lo stanziamento delle varietà etno-
linguistiche presenti sul territorio. Nel nuovo stato austriaco rimasero inglobate comunità slovene,
croate ed ungheresi.
 Periodo nazista e ambivalenza culturale delle comunità slovene, croate ed ungheresi.
Spostamento forzato delle comunità germanofone stanziate in stati di lingua slava. Esempio: comunità
germanofone in Ungheria sono state spostate coattivamente dall'area del loro insediamento storico ai
territori degli Stati tedeschi.
Europa orientale
La situazione linguistica della parte orientale dell'Europa ha risentito molto di quelle che sono state le
vicende storico-politiche che l'hanno caratterizzata. Fino allo scoppio delle guerre balcaniche del 1912-1913
il territorio in questione era controllato da tre forze principali, ovvero, l'impero zarista, l'impero asburgico e
l'impero ottomano. La forte pressione esercitata da questi tre poteri funse da contenitore per quelli che
erano i fermenti nazionalistici delle differenti popolazioni del territorio. Al momento del crollo degli stessi si
creò la condizione ideale per l’insurrezione di movimenti nazionalistici volti all’affermazione delle differenti
comunità etniche. Sfaldamento che non ha più la definizione di confini etno-geografici.
Le minoranze linguistiche assorbite per variazioni relative a confini nazionali sono, ad esempio, quelle
tedesche acquisite nel territorio italiano in seguito ai cambiamenti dei confini dopo la pace di Versailles del
1919. Esse sono tutt'oggi tutelate dal diritto internazionale.
Le lingue slave vanno fra Polonia e Ucraina, ricche di acque: vanno a oriente senza contrapposizioni. Il
massimo sviluppo va nella Polonia attuale, Repubblica Ceca e Slovacchia. In Romania hanno resistito le
lingue romanze.
Le lingue baltiche hanno una storia propria.
La lingua greca non ha avuto grande espansione, è stata conquistata dall’Impero Romano.
Le lingue in Spagna sono 5. Il castigliano è diventata la lingua della casa regnante da Alfonso X. Forte
espansione a sud per la conversione religiosa. La cultura è radicalmente differente.
L’asturiano è la costa a nord, un’area rurale e classi meno abbienti.
La lingua catalana è una lingua del Regno degli Aragona, si diffonde ad Alghero in Sardegna, lessico di
origine gallo romanica. L’area di Barcellona è più sviluppata rispetto alla Spagna. Gli indipendenti baschi ora
sono in una situazione pacifica.
Le minoranze francesi in Belgio e Svizzera. Il bretone resiste. Il provenzale è di confine fra italia e francia.
Passaggio da occidente a oriente.
Al di là della Francia si vengono a creare delle sovrapposizioni di lingue. Il Belgio è uno stato recente,
all’inizio dell800 si divide in 2 province: Fiandre (centro di sviluppo dei tessuti nel rinascimento, il
fiammingo) e Vallonia (scopre il carbone, industria siderurgica). L’adesione fra due aree diverse
culturalmente. I fiamminghi cercano di prevalere, ma non riuscirono.
Sono aree legate a giacimenti minerari, il primo fatto traumatico fu la guerra franco prussiana, la Francia fu
costretta alla capitolazione. Qui si impone la lingua tedesca come lingua ufficiale, effetti distruttivi della
Prima guerra mondiale nel 1918. Il francese diventa la lingua dominante. La germanizzazione verso la
Seconda guerra mondiale, nascita della CEE. Oggi è un’area bilingue. C’è anche Strasburgo, fra le più
travagliate: si cambiava modo di avere la cultura, contrapposizione nel tempo.
L’Italia è unificata a livello linguistico, ci sono varietà romanze in Piemonte e valle d’Aosta. Lingue tedesche
in Alto Adige, inglobato dopo la sconfitta dell’Austria nella Prima Guerra Mondiale. Lingue slave nel Friuli.
Albanese, greco serbo croato al sud.
Geografia nelle lingue del mondo (esclusa Europa)
Le lingue dell’Asia
In Asia si parlano circa 2.000 lingue raggruppate in diverse famiglie linguistiche, alcune delle quali si
trovano solo nel continente asiatico mentre altre stabiliscono un collegamento tra questo continente e il
resto del mondo. È uno dei continenti più popolosi e densi, alcune si trovano solo nel continente asiatico,
altre verso l’Africa e l’Oceania. L’Asia è stata la prima culla per i linguaggi del mondo.
Tra quelle che troviamo solo nel continente asiatico vi sono:
 la famiglia altaica, che comprende lingue come il turco, il mongolo o il manciù. Si sviluppano nelle
aree meno ospitali della steppa, popoli nomadi;
 la famiglia dravidica, presente nell'India meridionale e nello Sri Lanka, che comprende lingue come
il tamil o il malayalam;
 la famiglia sino-tibetana, che comprende, tra l'altro, il cinese, il birmano e il tibetano;
 la famiglia austroasiatica, che comprende il vietnamita, il laotiano o il khmer; alcuni autori la
mettono in relazione con la famiglia austronesiana e con quella daica (thailandese) e propongono
un grande gruppo austrico;
 le lingue chukchi-kamchadal, praticamente estinte.
Quelle altaiche, fino alla Mongolia, quella sinotibetana è nata sulle montagne del Tibet più a meridione, La
raticica nell’india meridionale.
Le famiglie che si estendono oltre il continente sono:
 la famiglia afroasiatica e semitico-camitiche, con l'arabo come legame più evidente con l'Africa;
 la famiglia indoeuropea, con lingue come il farsi, il curdo, l’hindi, il bengali, l’urdu, il pashto, il
nepalese, ecc., che, insieme alla famiglia uralica – ossetico, mansi, hanti –, costituiscono il legame
linguistico con l'Europa;
 la famiglia eschimo-aleutina – yupik –, che collega l'Asia all'America;
 la famiglia austronesiana, che comprende, tra l'altro, lingue quali l'indonesiano, il malay, il tagalog
o il giavanese, e che collega il continente asiatico all'Oceania.
L’Asia è il centro di irradiazione, di legame con tutti gli altri continenti. Molti stati asiatici sono da
intendersi come multilinguistici, come in India. Altri sono mono-linguistici come la Cina.
Le lingue dell’India
In tale Stato vi sono comprese quattro famiglie linguistiche di cui le due più rilevanti numericamente sono:
 la famiglia indoeuropea;
 la famiglia dravidica (più antica).
In tale stato, con l’Arabia, sembrano separate dal resto dell’Asia, c’erano due grandi continenti:
euroasiatico e Africa più America Meridionale. Quando si sono spostaste le popolazioni l’India a nord ha
delle cime molto elevate. È stato un terreno molto attrattivo per scambi commerciali e cultura. C’è stata
anche una frammentazione interna e ogni regione può scegliere la lingua tradizionale.
La parte settentrionale è costituta dalle lingue indoeuropee, nei bacini fluviali con maggiore influsso. L’hindi
è la lingua principale, il bengali è al confine con il Bangladesh.
La parte meridionale presenta la lingua dravitica. Ci sono delle lingue abbastanza marginali: la lingua sino-
tibetana e la lingua austro-asiatica.
Le lingue della Cina
Il cinese non è una lingua sola, bensì un insieme, dove prevale il mandarino, seguito dal wu e dallo yue
(cantonese). Nel corso del Ventesimo secolo si sono fatti vari sforzi per creare una lingua standard. L’ultimo
è il cosiddetto pinyin, sistema di notazione fonetica (in scrittura latina) basato sulla pronuncia dei caratteri
cinesi del mandarino del nord.
La Cina ha fatto difficoltà a standardizzare la cultura: la lingua standard deriva dal mandarino tradizionale,
poi si è avuto un sistema di notazione fonetica in scrittura latina. Si razionalizza la grande varietà linguistica.
Lo sviluppo più importante si è avuto lungo la costa, come Shangai. Nelle aree interne ci sono zone
disabitate, il mongolo e il turco sono poco parlate, fenomeno di diglossia, si stimola il processo verso il
cinese.
Le lingue del Sud est asiatico
L’Asia Sud Orientale è una regione di grande diversità linguistica e geografica dove centinaia di linguaggi,
appartenenti a cinque differenti famiglie sono parlati. Nella parte principale dell’Asia di Sud-Est predomina
 il Mon-Khmer,
 al centro il Tai-Kadai,
 nell’occidente il Tibeto-Birmano,
 nella parte peninsulare e insulare l’Austronesiano.
Nella parte costiera, la più abitata, ci sono differenti lingue con una certa diffusione. Sono lingue del Mon-
Khmer. La seconda è più diffusa in un’area al nord.
La teoria della diffusione linguistica nel Pacifico
La teoria della diffusione da un’area centrale è stata proposta anche per le famiglie linguistiche del
Pacifico. Le lingue sono arrivate più tardi nel pacifico, sono partite sud est dell’asia, e poi sono arrivate alle
coste. Erano popoli di pescatori. Quando si iniziano a spostare si ha l’effetto isola, si ha una forte
diversificazione linguistica. La differenziazione presuppone enormi distanze di navigazione, sembra molto
complicato che si siano spostate le popolazioni con barche modeste in aree più lontane.
Le lingue austronesiane
 Le lingue australiane sono quelle parlate dagli abitanti indigeni dell'Australia che arrivarono nel
continente dell'isola almeno 40.000 anni fa. Rimasero isolati, con pochi o nessun contatto con altri
popoli e culture, fino all'arrivo degli inglesi nel tardo XVIII secolo. A quel tempo c'erano 250 lingue
parlate da 300.000 a un milione di persone. Come risultato dell'emarginazione culturale subita
dagli indigeni australiani, metà delle lingue indigene si è estinta e il numero di parlanti ridotto a soli
45.000 unità.
 Probabilmente, tutte le lingue australiane sono geneticamente collegate anche se la loro unità non
è stata formalmente dimostrata, e ricostruire il protoaustraliano è un compito arduo considerando
il grande lasso intertemporale trascorso. A causa del loro lungo isolamento geografico, le lingue
indigene dell'Australia presentano alcune caratteristiche uniche. Non sono collegate ad altre
famiglie linguistiche.
Ci sono espansioni fino alle Hawaii e alla nuova Zelanda. Molte lingue sono poco diffuse per gli effetti isole.
Taiwan è il centro di diffusione, si sono inserite alcune lingue in una grande dispersione geografica.
Da Taiwan verso sud si è diffusa verso le Filippine, poi nell’oceano Indiano fino al Madagascar e poi fino
all’isola di Pasqua.
Le lingue australiane hanno una visione differente, sono parlate dagli indigeni dell’Australia. Li c’erano 250
lingue, poi arriva la Gran Bretagna che impone ed emargina gli indigeni australiani nelle aree più deserte.
Molte lingue si sono perse e non ci sono testimonianze scritte, è difficile capire la lingua protoaustraliana.
Le lingue dell’Africa
Nell’Africa subsahariana si parlano più di mille lingue, per la maggior parte non scritte.
Le lingue dell’Africa sono raggruppate in quattro grandi famiglie,
 la più grande delle quali è quella del Niger-Congo (circa il 60% della popolazione).
 La famiglia Afro-asiatica o semitico-camitica è la seconda per rilevanza (circa il 35%).
 Le altre famiglie linguistiche tipicamente africane sono la Nilo-sahariana e la Khoisan.
A nord fino al Sahara c’è la famiglia afroasiatica, una intermedia la nilo-sahariana intorno al Nilo.
Le lingue afroasiatiche
Le lingue afroasiatiche sono parlate da più di 400 milioni di persone che vivono in Africa del Nord, Corno
d’Africa e Vicino e Medio Oriente.
Esse sono divise in sei gruppi:
 semitico (arabo, ebraico, ecc.);
 berbero (diversi dialetti del Nord Africa);
 egiziano (egiziano antico non più esistente);
 ciadico (fra il Lago Ciad e l’Africa Occidentale, fra cui l’Hausa);
 cuscitiche (nel Corno d’Africa, fra cui il somalo);
 omotiche (in Etiopia, si discute se facciano parte delle lingue afroasiatiche);
La lingua araba è molto diffusa arrivata dall’Asia, le altre sono tipiche dell’Africa.
Le lingue nilo-sahariane
Le lingue nilo-shahariane sono lingue di cuscinetto, si sono sviluppate in poche aree. Le sorgenti del Nilo
fanno instaurare delle civiltà permanenti intorno al bacino fluviale. Sono parlate da più di 46 milioni di
persone che vivono in una fascia centrale che va dal Lago Vittoria, coinvolge le aree meridionali del Sudan e
del Ciad, parti del Niger e della Nigeria fino al Mali. Esse sono divise in undici gruppi e circa 130 linguaggi
fra cui il più importante è il gruppo Sudanico Orientale.
Le lingue del Niger-Congo
 Le lingue del Niger-Congo comprendono più di 1.000 linguaggi che tradizionalmente vengono
suddivisi in 9 gruppi.
 La più importante è la Benue-Congo divisa fra linguaggi Bantu e non Bantu.
 Le più importanti lingue Bantu sono lo Swahili, il Rwanda e lo Zulu.
 Linguaggi legati a clan e tribù che si stanno imponendo in maniera rilevante. Le lingue del Sud Africa
sono fra le più importanti, sono sviluppate lungo la costa orientale e meridionale.
La diffusione delle lingue nelle Americhe
Particolarmente interessante da un punto di vista geografico è l’ipotesi di diffusione delle lingue nelle
Americhe formulata da Greenberg, in cui si riconducono tutte le lingue tranne il na-dene e l’eschimo-
aleutino sotto una grande famiglia detta amerindio, di antica immigrazione dall’Asia attraverso lo stretto di
Bering che separa l’Asia dall’Alaska, difficile da attraversare a piedi. Le lingue poi si sono frammentate, oggi
abbiamo perso quasi tutto. Si erano frammentate per l’organizzazione in clan, il continente era molto
grande. Ci furono altre ondate, na-dene nel Canada occidentale ed eschimo-aleutino nei circoli polari.
La colonizzazione europea del continente americano e la conseguente creazione di nuovi organismi politico-
amministrativi hanno portato alla pressoché totale scomparsa delle lingue indiane d’America. Si
calcola infatti che erano circa novecento le lingue che nel XVI secolo venivano parlate dai quasi quindici
milioni di indigeni. Erano lingue usate ciascuna da poche migliaia di persone, distribuite su vasti spazi
con densità molto basse, la cui frammentazione territoriale ha portato all’affermarsi della cultura europea.
Oggi sono rilevanti soprattutto il quechua (Inca) e il maya in Messico.
Le lingue indigene dell’America settentrionale
 Quando gli europei arrivarono nel Nord America c'erano forse da 300 a 400 lingue parlate da
diversi milioni di nativi. A causa di continue guerre, malattie, sfollamenti forzati e marginalizzazione
culturale, solo circa la metà o meno delle lingue indigene del Nord America sopravvive oggi. La
maggior parte di questi sono in pericolo e molti hanno solo pochi parlanti rimasti.
 Le lingue native nordamericane appartengono a diversi titoli che non sembrano condividere
un'origine comune. Si ritiene che il Nord America fosse popolato da persone etno-linguisticamente
diverse che emigrarono in varie ondate dall'Asia attraverso lo Stretto di Bering. L'estinzione di così
tante lingue rende difficile una classificazione accurata ma la maggior parte degli studiosi concorda
di essere divisa in circa una dozzina di phyla.
Fra le più importanti oggi si hanno il Na-Dene (210.000 parlanti), l’Algonchino (180.000 parlanti) e
l’Eschimo-Aleutino (100.000 di cui 50.000 in Groenlandia).
Ci fu un isolamento delle popolazioni indigene. A nord in Ontario c’erano le zone montuose, in Alaska non
c’era un favorevole ecumene così come le altre aree. Solo l’Alaska quando è stata venduta dalla Russia agli
Stati Uniti.
Le lingue indigene del centro America
La Meso-America è un'area storica, culturale e linguistica che comprende il Messico centrale e meridionale,
il Guatemala, il Belize, il Salvador e parti dell'Honduras e del Nicaragua. Comprende anche parti del Messico
nord-occidentale. Lì, fiorirono diverse civiltà che iniziarono con gli Olmechi nella costa del Golfo del Messico
nel 1500 AC e continuarono con i Maya del Messico meridionale e del Guatemala, la cultura del Monte
Albán a Oaxaca, Teotihuacan, Toltec e Aztec nel Messico centrale. Quando gli spagnoli conquistarono il
Messico nel 1519, potevano esserci venti milioni di persone in Meso-America. Entro un secolo dalla
conquista, la popolazione indigena era diminuita dell'80% a causa di guerre, malattie, lavori forzati e fame.
Molte lingue si sono estinte ma circa settanta sono sopravvissute fino ad oggi.
La famiglia più importante è quella Uto-Azteca, in cui il Nahuatl o Azteco è parlato da circa 1,5 milioni di
persone in Messico.
La famiglia Maya si estendeva da quello che oggi è il nord del Salvador e dell'Honduras, attraverso il
Guatemala e il Belize fino al Messico meridionale. Con 24-30 lingue e oltre 5 milioni di parlanti, è la famiglia
linguistica più diversificata e popolata della Meso-America. Due milioni di parlanti Maya vivono ora in
Messico, 3.2 milioni in Guatemala, 20.000 in Belize e pochi altri in El Salvador e in Honduras.
Fra Amazzonia e altre che sono delle montagne. Per la grande barriera delle foreste amazzoniche, la
colonizzazione stabile si limitò alla costa orientale.
Le lingue dell’America Meridionale
 Circa 300 lingue indigene sono parlate oggi in Sud America, rendendola una delle aree linguistiche
più complesse del pianeta. Ancor di più furono parlati prima della conquista europea ma a causa di
malattie introdotte da spagnoli e portoghesi, lavori forzati, massacri, emarginazione e oppressione,
molte comunità indigene furono spazzate via e altre indebolite con la conseguente estinzione delle
loro lingue.
 Le lingue sudamericane sono molto diverse a livello fonologico, grammaticale e lessicale. Il loro
studio è ancora incompleto e una loro corretta classificazione non è possibile. Circa 50 lingue non
sono state correlate geneticamente ad altre e sono considerate isolate. Le restanti fanno parte di
circa 50 famiglie, 43 delle quali sono piccole (con 6 membri o meno). Alcune di queste famiglie
possono far parte di raggruppamenti più ampi, ma, poiché spesso mancano informazioni adeguate,
le attribuzioni rimangono controverse.
Geograficamente, le lingue indigene sudamericane possono essere suddivise in montane o Andine e di
pianura distribuite in Amazzonia, Chaco e Pampa-Patagonia. Fra le lingue amazzoniche si evidenziano
l’Arawak (Venezuela, Colombia) e il Tupi-Guarani (fra cui il Guaranì una delle lingue ufficiali del Paraguay,
con 6,3 milioni di parlanti). Fra le lingue andine si segnalano le lingue Quechua (ufficiale in Bolivia, Perù ed
Ecuador, con circa 7,5 milioni di parlanti) e Aymara (in Bolivia e Perù, con circa 2 milioni di parlanti).
Le lingue “franche”
Le lingue “franche” (dall’arabo “al farang”) sono linguaggi di contatto che richiamano il nome con cui era
indicato l’idioma fatto di elementi lessicali arabi, italiani e spagnoli introdotto durante gli scambi
commerciali medioevali nel Mediterraneo.
Tra le più importanti si ricordano:
 lo swahili;
 il malese;
 il tagalog;
 l’hausa.
In africa gli Arabi seguono la rotta lungo il Mar Rosso fino alla Tanzania. Dall’altra parte vi è una via che
passa fino al golfo di Guinea. Le lingue africane vengono usate per lo scambio commerciale.
Le lingue “creole”
Il termine “creolo” deriva dallo spagnolo “criadillo” (nativo del luogo) era riferito in origine ai nati nelle
colonie da genitori spagnoli, per distinguerli dai nati dai coloni nati nella madrepatria, a cui erano riservate
le cariche più importanti. Successivamente venne ad indicare tutti i linguaggi di origine europea parlati sia
in America che in Asia e in Africa, per esigenze di comunicazione fra persone di origini diverse, tanto che
questi linguaggi si presentano molto più vicini tra di loro che alla lingua madre dalla quale derivano.
Questo termine ebbe significato per tutti quelli di discendenza europea.
 Oggi si possono distinguere tre aree linguistiche principali del creolo:
 creolo francese (Caraibi, Guyana, Antille, Maurizio, Réunion, Seychelles);
 creolo inglese (Caraibi, Guyana, Belize, Sierra Leone, Nigeria, Nuova Guinea);
 creolo portoghese (Caraibi, Antille, Africa Occidentale, Goa, Macao).
Il creolo riesce a sostituire le lingue preesistenti fino a diventare la lingua madre di una popolazione.
Interessante è il papiamento, miscuglio di spagnolo, portoghese e olandese.
Le lingue “pidgin”
I pidgin sono linguaggi nati dalla mescolanza fra l’inglese e idiomi locali (africani, caraibici, del Pacifico), con
regole molto semplificate di norma e una utilizzazione legata ai rapporti fra persone che, in ambito
familiare, conservano l’uso della lingua originaria. La parola pidgin è nata dalla pronuncia deformata
dell’inglese business, ed indica appunto l’origine commerciale di questi linguaggi.
L’UNESCO
L’UNESCO - Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, istituita a Parigi 4
novembre 1946, è nata dalla generale consapevolezza che gli accordi politici ed economici non sono
sufficienti per costruire una pace duratura e che essa debba essere fondata sull'educazione, la scienza, la
cultura e la collaborazione fra nazioni, al fine di assicurare il rispetto universale della giustizia, della legge,
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli,
senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione.
Gli Stati appartenenti alle Nazioni Unite hanno voluto aprire il preambolo che istituisce l’UNESCO con la
seguente affermazione:
“I Governi degli Stati membri della presente Convenzione, in nome dei loro popoli, dichiarano: che, poiché le
guerre nascono nella mente degli uomini, è nello spirito degli uomini che devono essere poste le difese della
pace.”
L'UNESCO, s’impegna a costruire i presupposti per garantire la pace internazionale e la prosperità dei popoli
promuovendo il dialogo interculturale, il rispetto dell’ambiente e le buone pratiche dello Sviluppo Sostenibile
nel perseguimento dei seguenti obiettivi:
-Promuovere l’educazione in modo da avere accesso ad un'istruzione di qualità come diritto umano
fondamentale e come requisito essenziale per lo sviluppo della personalità;
-Costruire la comprensione interculturale anche attraverso la protezione e la salvaguardia dei siti di
eccezionale valore e bellezza iscritti nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità;
-Perseguire la cooperazione scientifica per rafforzare i legami tra le nazioni e le società al fine di monitorare
e prevenire le catastrofi ambientali e gestire le risorse idriche del pianeta;
-Proteggere la libertà di espressione come condizione essenziale per garantire la democrazia, lo sviluppo e
la tutela della dignità umana.
Il termine "patrimonio culturale" ha cambiato notevolmente il contenuto negli ultimi decenni, in parte a
causa degli strumenti sviluppati dall'UNESCO. Il patrimonio culturale non si ferma ai monumenti e alle
collezioni di oggetti. Include anche tradizioni o espressioni viventi ereditate dai nostri antenati e trasmesse
ai nostri discendenti, come tradizioni orali, arti dello spettacolo, pratiche sociali, rituali, eventi festivi,
conoscenze e pratiche riguardanti la natura e l'universo o le conoscenze e le abilità per produrre
tradizionale artigianato.
Sebbene fragile, il patrimonio culturale immateriale è un fattore importante per mantenere la diversità
culturale di fronte alla crescente globalizzazione. La comprensione del patrimonio culturale immateriale di
diverse comunità aiuta il dialogo interculturale e incoraggia il rispetto reciproco per altri modi di vita.
L'importanza del patrimonio culturale immateriale non è la manifestazione culturale in sé, ma piuttosto il
patrimonio di conoscenze e competenze che viene trasmesso attraverso di esso da una generazione
all'altra. Il valore sociale ed economico di questa trasmissione di conoscenza è rilevante per i gruppi
minoritari e per i gruppi sociali tradizionali all'interno di uno Stato, ed è importante tanto per gli Stati in via
di sviluppo quanto per quelli sviluppati.
L’UNESCO – Il Patrimonio intangibile
Il patrimonio culturale immateriale è:
 Tradizionale, contemporaneo e vivente allo stesso tempo: il patrimonio culturale immateriale non
rappresenta solo tradizioni ereditate dal passato ma anche pratiche rurali e urbane contemporanee
a cui prendono parte diversi gruppi culturali;
 Inclusivo: possiamo condividere espressioni di patrimonio culturale immateriale simili a quelle
praticate da altri. Che provengano da un villaggio vicino, da una città dall'altra parte del mondo, o
siano stati adattati da popoli che sono emigrati e si sono stabiliti in una regione diversa, sono tutti
espressione di un patrimonio culturale immateriale: sono stati tramandati da una generazione a un
altro, si sono evoluti in risposta ai loro ambienti e contribuiscono a darci un senso di identità e
continuità, fornendo un collegamento dal nostro passato, attraverso il presente e nel nostro futuro.
Il patrimonio culturale immateriale non solleva interrogativi sul fatto che determinate pratiche
siano specifiche o meno di una cultura. Contribuisce alla coesione sociale, incoraggiando un senso
di identità e responsabilità che aiuta gli individui a sentirsi parte di una o diverse comunità ea
sentirsi parte della società in generale;
 Rappresentante: il patrimonio culturale immateriale non è valutato semplicemente come un bene
culturale, su base comparativa, per la sua esclusività o il suo valore eccezionale. Vive sulla base
delle comunità e dipende da coloro la cui conoscenza di tradizioni, abilità e costumi viene
trasmessa al resto della comunità, di generazione in generazione o ad altre comunità;
 Basato sulla comunità: il patrimonio culturale immateriale può essere patrimonio solo quando è
riconosciuto come tale dalle comunità, dai gruppi o dagli individui che lo creano, mantengono e
trasmettono - senza il loro riconoscimento, nessun altro può decidere per loro che una data
espressione o pratica è loro eredità.
Il progetto UNESCO
Nel 2002-2003, l'UNESCO ha chiesto a un gruppo internazionale di linguisti di sviluppare un quadro per
determinare la vitalità di una lingua al fine di assistere nello sviluppo delle politiche, nell'identificazione dei
bisogni e nelle misure di salvaguardia appropriate. Questo gruppo di esperti ad hoc sulle lingue a rischio di
estinzione ha elaborato un documento concettuale di riferimento intitolato "Vitalità e minaccia linguistica",
che ha stabilito nove criteri di riferimento.
Nessun singolo fattore è sufficiente per valutare lo stato della lingua di una comunità. Tuttavia, presi
insieme, questi nove fattori possono determinare la vitalità di una lingua, la sua funzione nella società e il
tipo di misure necessarie per il suo mantenimento o rivitalizzazione.
Geografia delle religioni
La religione e la cultura
Nelle società non dominate dalla tecnologia, la religione è la grande forza vincolante, la regola che guida la
vita quotidiana. In molte parti del mondo, specie extra occidentali, la religione è componente così
essenziale della cultura che in pratica la costituisce.
All’inizio gli esseri umani hanno necessità di avere interdipendenza con altro perone, hanno la necessità di
sviluppare un linguaggio per capirsi fra di loro. Nella società sedentaria, dopo aver raggiunto un certo
equilibrio nei bisogni primari, si sviluppano ragionamenti speculativi su necessità più ampie (sulla propria
esistenza). Le prime religioni nascono per spiegare questioni primarie, l’origine degli esseri umani non è
ancora stata spiegata, se non in parte dalla scienza. Anche le cosmogonie antiche avevano degli dèi per i
fenomeni naturali (il dio del tuono). Questo fa sì che si cerchi di comunicare con un piano che vada oltre
l’umano. Il formarsi di alcune dottrine, tramandate in forma orale, costituiscono le fasi di letterizzazione dei
testi sacri, consolidando sulla carta le credenze comuni. Se non possiamo darne una definizione precisa,
siamo almeno in grado di osservarne alcune caratteristiche chiave.
Alcune caratteristiche delle religioni
 Ci sono insiemi di dottrine (riti di passaggio) e credenze concernenti una o più divinità, e anche
alcuni riti per esprimere e talvolta scandire i fatti importanti della vita: nascita e morte,
raggiungimento della vita adulta, matrimonio attengono alla fase biologica degli esseri umani.
 Rito consueto è la preghiera. Le pratiche rituali implicano spesso l’uso di scritture sacre. La
preghiera fa da tramite nelle formule magiche. È un linguaggio che si distingue da quello della vita
quotidiana.
 Le festività sono collegate ai cicli della natura, con i periodi di semina e raccolta nell’agricoltura, a
fenomeni astrologici come solstizi.
 Nella religione cattolica i riti religiosi erano esclusivamente in lingua latina prima del Concilio
Vaticano II. Dal punto di vista societario si formano delle suddivisioni che permettono di creare
delle persone (funzionari) che fungono da interfaccia fra i fedeli e la comunità, in questo modo si
creano delle caste sacerdotali.
La gerarchizzazione delle religioni si crea un’interfaccia con persone preposte ai riti religiosi.
La diffusione delle religioni
Frequente è la distinzione tra monoteismo e politeismo, ma questa macro-suddivisione non appare
particolarmente significativa a livello territoriale.
Più interessante appare la suddivisione delle religioni in categorie:
 Religioni universali;
 Religioni etniche;
 Religioni tribali o tradizionali.
Le religioni universali
Sono 3 le principali: cristianesimo, islamismo e buddhismo. Tutti gli insegnamenti che diffondono sono
applicabili a tutti gli esseri umani, secondo le sacre scritture: nessuno viene escluso a causa della
nazionalità, dell’etnia o della precedente adesione a una diversa confessione religiosa. I propri insegnamenti
sono per aver il maggior numero possibile di sostenitori. La missione fondamentale è quella di diffondere i
propri insegnamenti al maggior numero possibile di individui attraverso opere missionarie e di conversione.
La conversione può essere effettuata da chiunque: evangelizzazione o islamizzazione in base alla religione
di appartenenza. Le opere missionarie permettono di sostenere altre persone e portale in qualche modo
dentro la propria religione. Da un punto di vista geografico possono diffondersi più ampiamente.
Le religioni etniche
Le religioni etniche sono identificate territorialmente i un gruppo etnico, si possono diffondere solo alle
comunità che si riconosce in un certo gruppo. Non vi è grande opera di espansione. Sono tramandate nei
secoli. Solitamente si diventa seguaci di una religione etnica per nascita o mediante l’adozione di un
complesso stile di vita, non attraverso una semplice professione di fede. Queste religioni di norma non
ricorrono al proselitismo e i loro fedeli formano comunità chiuse e identificabili con un particolare gruppo
etnico o politico. Una religione etnica, come per esempio l’ebraismo, l’induismo e lo shintoismo,
rappresenta uno degli elementi integranti di una cultura specifica, un’immersione nella totalità della stessa.
Le religioni tribali
Nascono per un piccolo gruppo di fedeli, ad oggi sono in diminuzione. Hanno dimensioni limitate, si
focalizzano nei gruppi limitati (clan). Hanno due forme di espressione:
 Il termine animismo indica la credenza che la vita animi, tramite uno spirito o un’anima dei defunti,
tutti gli oggetti inanimati. Era diffusa in Asia e in Africa.
 Il termine sciamanesimo è una forma di religione tribale che prevede l’accettazione, da parte della
comunità dei fedeli, di uno sciamano, di un leader religioso (personalità forte), guaritore ed esperto
di arti magiche, che, attraverso speciali poteri, è in grado di intercedere con il mondo degli spiriti,
interpretandone i segni. Originariamente le religioni etrusche e romane avevano gli auri che
interpretavano i segni dal volo degli uccelli.
Nel mondo moderno le religioni tribali tendono a restringere il loro campo.
Le culle delle religioni
Le «culle» delle principali religioni sono state ben stabilite attraverso ricerche storiche ed archeologiche.
Ci sono due culle importanti:
 L’India Settentrionale è una di queste, non a caso è stata individuata come culla delle lingue,
studiando dei testi sacri dal sanscrito. L’Induismo nel Punjab, il Buddismo (nato dall’Induismo) nella
Piana del Gange, attorno ai due fiumi Indu e Gange. È il cuore delle religioni orientali. Ma
l’Induismo (una religione etnica) si è espanso poco oltre, mentre il Buddhismo (religione universale)
si è diffuso attraverso molte aree dell’Asia centrale e orientale.
 La Palestina è la culla del Giudaismo e del Cristianesimo, mentre l’Islam (in parte basato sul
Giudaismo e sul Cristianesimo) si sviluppò nell’Arabia Occidentale (nel deserto della Giordania).
Il Cristianesimo si diffuse soprattutto in Europa, mentre l’Islam nell’Africa settentrionale e orientale, ma
anche ad oriente verso l’Asia centrale e meridionale.
La Mecca e Medina sono nella penisola araba, sul Mar Rosso. Altre città importanti sono Gerusalemme e
Roma.
Le caratteristiche dei cuori della religione
Broek e Webb (1973) descrivono le due aree dove si sono originate le principali religioni come «cuori
religiosi», il «Cuore Indo-Gangetico» e il «Cuore Semitico».
I cuori, nella terminologia inglese ha un significato doppio. Loro hanno trovato interessante un
collegamento. La Mesopotamia, il Nilo e la Valle dell’Indo sono considerate le culle delle civiltà antiche,
sono anche le prime aree dove si sviluppa l’agricoltura in senso stabile, Uruk è la prima ad essere chiamata
“città”. Nella prima fase gli esseri umani diventano sedentari, suddividendosi i compiti di caccia e raccolta.
Poi si sviluppa un linguaggio codificato, si iniziano a produrre prodotti artigianali e alimentari e si entra a
contatto con altre civiltà, dando inizio a un vero e proprio processo di espansione.
Se è vero che le prime aree sono queste, come possono essere così desertiche o montuose e aver ospitato
grandi religioni come queste?
-La civilizzazione parte dai mari, vicino al fiume Nilo. Le comunità entrano in contatto e si stabilizzano. La
civiltà del regno di Palmira nacque come area di sbocco fra Mediterraneo e Asia.
-Le religioni non nascono nelle aree più fertili, ma in aree di interscambio fra i diversi popoli.
-Le religioni sono emerse ai margini e non al centro delle stesse civilizzazioni.
Questa seconda notazione conduce a un più complesso ruolo di interscambio fra cultura e religione,
coinvolgendo fattori come l’innovazione e la diffusione culturale, l’adattamento religioso, gli scambi di idee,
credenze e valori lungo le rotte di migrazioni e scambi commerciali.
Le dinamiche localizzative della religione
Le tipologie standard dei processi di diffusione possono essere sostanzialmente di due tipi:
 Le religioni si diffondono per espansione. La prima forma è il contatto diretto, cresce il numero
degli informati. Le religioni hanno un’area di diffusione compatta: il numero delle persone che
adottano l’innovazione cresce per contatto diretto, solitamente «in situ» (per esempio
comunicazione di idee);
 La diffusione per rilocalizzazione coinvolge nel movimento il gruppo iniziale dei portatori di idee,
che si diffondono nel tempo e nello spazio in nuove località (per esempio migrazioni, missionari).
Le persone iniziano ad essere dinamiche, la forma di espansione è la più diffusa.
Può essere una migrazione pacifica commerciale, per scopi religiosi nelle colonie, come la religione
cristiana. In California le città hanno un nome che richiama la religione cattolica: San Francisco prende il
nome dai francescani, Los Angeles ha un nome lunghissimo con in nome di Maria. Ci sono anche questioni
violente legate alle guerre.
Le dinamiche localizzative della religione: la diffusione per espansione
La diffusione per espansione, per contatto, è quella che avviene più facilmente:
 diffusione per contagio: diffusione attraverso la popolazione per contatto diretto. Questo tipo di
diffusione si espande sempre, ma è influenzato fortemente dall’effetto frizionale della distanza.
Questa opera come una serie di onde concentriche. Le informazioni decadono con la distanza. Con
le comunicazioni recenti c’è sempre un piccolo decadimento. A partire da un emettitore, si
emettono le onde concentriche, come nella diffusione iniziale delle lingue, in un territorio continuo
dello spazio.
 diffusione gerarchica: l’idea è radicata nei vertici della società e viene diffusa verso il basso nel
tempo. Per esempio, nel caso della religione, i missionari hanno dapprima cercato di convertire i re
e i leader tribali, nella speranza che essi poi diffondessero le idee nei loro popoli. Applicato spesso
dalla religione cristiana In Bretagna e nella Scandinavia: si costringevano prima i re alla conversione,
in maniera da riuscire a convertire i sudditi.
Per la diffusione delle religioni non ci sono delle statistiche ufficiali, ma vengono fatte valutazione recenti di
anno in anno. C’è un’area del cristianesimo iniziale in Europa, le colonizzazioni in America settentrionale, in
Australia, in Africa meridionale. In Africa c’è una netta separazione fra il cristianesimo e l’islamismo,
scandita dal deserto del Sahara. Negli Stati Uniti c’è una grande percentuale di islamismo: ha espansione
nella penisola araba, fino all’India. Il buddismo ha come centro di diffusione il Sud est Asiatico. La religione
in Cina è stata fortemente avversata, ci sono diverse religioni non affiliate.
L’induismo
L’induismo è la più antica tra le principali religioni del mondo. L’induismo non è solo una religione ma una
rete complessa e articolata di elementi religiosi, filosofici e sociali connessi a una civiltà specifica. È nata
come forma di gestione delle società, nella suddivisione delle caste. Il fedele indù non è definito da un credo
comune, una singola dottrina o un’organizzazione ecclesiastica centrale. L’induismo accetta e incorpora
tutte le forme di credo religioso; i suoi seguaci possono scegliere di credere in un unico dio, in più dei o
nessuna divinità. Tutte le creature sono suddivise in categorie, la più elevata delle quali è occupata dagli
esseri umani suddivisi in caste. Le caste è un’espressione dell’eterna trasmigrazione delle anime; l’attuale
casta è frutto del karma, legato alle azioni compiute dal singolo individuo nelle vite precedenti.
Nella vita attuale ci si deve conformare a un complesso preciso di norme e doveri individuali, il dharma . Dal
punto di vista sociale ci sono regole molto rigide, si tratta di per sé di una religione chiusa, si tratta di una
diffusione di contagio su base etnica. L’induismo deve il proprio nome alla valle dell’Indo da dove si
cominciò a propagare mediante diffusione per contagio verso est lungo le rive del Gange e verso sud.
Le prime sono migrazioni forzate: gli anglosassoni avevano necessità di manodopera nelle colonie africane,
spostarono interi gruppi di indiani in Africa (migrazione di tipo coatto). Nelle migrazioni di tipo economico,
dopo l’indipendenza dell’India dal Regno Unito, gli indiani hanno iniziato a lavorare nei settori medico,
matematico e scientifico. In tempi recenti la crescente presenza nell’Europa occidentale e nel Nord
America riflette la diffusione mediante migrazione dei suoi seguaci, a volte forzata come nel caso delle ex
colonie britanniche (Africa Orientale e Meridionale, Caribi, Fiji).
L’induismo è localizzato in Asia e nel Pacifico, costituisce il 15% della popolazione mondiale. I paesi più
importanti sono l’India, il Nepal, il Bangladesh e l’Indonesia. Il 94% degli induisti si trovano in India. È una
religione ben inquadrata geograficamente.
Il Buddhismo
Dall’induismo sono scaturiti numerosi movimenti di riforma nel corso dei secoli, alcuni dei quali sono
sopravvissuti fino ai nostri giorni come religioni forti e seguite, diffuse su scala regionale o mondiale
(buddhismo, sikhismo, giainismo). Fra i tanti movimenti nati in contrasto all’induismo, quello che ha
esercitato maggiore influenza è stato il buddhismo, una confessione di fede universale fondata nel VI
secolo a.C. nell’India settentrionale dal principe Siddharta, detto il Buddha (l’illuminato). Si è andata
espandendo rapidamente, avendo meno regole fisse, senza la categorizzazione sociale, trasmettendo un
messaggio universale uguale per tutti gli esseri umani. La strada per l’illuminazione e la salvezza risiede
nella comprensione di “quattro nobili verità”. Il fine ultimo della strada dell’illuminazione è il nirvana, ossia
la condizione di perfetta illuminazione spirituale e la cessazione del ciclo delle perpetue rinascite. Questo
sistema di credenze religiose si è propagato attraverso la diffusione per contagio attraverso l’India. Vi sono
differenti correnti o scuole. Le principali sono:
 theravada (“la scuola degli anziani”), diffusa nello Sri Lanka e nell’Asia Sud-Orientale;
 mahayana (“grande veicolo”), nell’Asia Orientale (Cina, Giappone e Corea);
 vajrayana (“veicolo di diamante”), diffusa in Tibet.
Essendo una religione universale non ha avuto una grande diffusione, fino al Tibet. In Medio Oriente è stata
repressa dall’espansionismo islamico, è una diffusione per contagio. Le conversioni non hanno funzionato
con il buddhismo. Nella popolazione mondiale conta il 7% sul totale. Gli stati di maggiore diffusione sono la
Cina, la Thailandia e il Giappone.
Il sincretismo asiatico (ma avviene in tutte le parti del mondo)
Nasce perché diverse religioni si vanno a incontrare/scontrare: un esempio sono le crociate fra
cristianesimo e islamismo. Ci sono fenomeni in cui si vanno a sovrapporre i generi religiosi, cercando di
creare una religione nuova dalle diverse sfaccettature.
Nel tempo il buddhismo fu la prima religione a mescolarsi ad altre credenze popolari regionali nel sud-est
asiatico, creando i primi casi di sincretismo religioso. Tra i più importanti credi sincretici dell’Asia orientale
si hanno:
 confucianesimo;
 taoismo;
 shintoismo è legato ad alcune credenze animiste locali, come la divinizzazione dell’imperatore del
Giappone.
Il sincretismo si genera anche dal mescolamento di islamismo e cristianesimo.
Le religioni sincretiche sono presenti anche in altri e differenti contesti, soprattutto nelle aree di contatto
tra differenti religioni; esempio di tale tipo è la fede drusa, diffusa in Libano, Siria e Israele, partendo dalla
setta ismailita musulmana (eretica) e incorporando elementi della religione ebraica e cristiana. I drusi sono
considerati negativamente da tutti, numericamente inferiori.
 Religioni sincretiche sono anche quelle derivanti dall’animismo e da altri culti tribali africani nel
momento dell’incontro con i principi cristiani imposti dai colonizzatori: ne sono derivati culti molto
eterogenei, come il vodoo o il rastafari, diffusi soprattutto in America Caraibica. Haiti fu importante
per la diffusione del vodoo. Il rastafati nasce nell’America Caraibica, in Jamaica: bisognava cercare
un nuovo messia per la società, un movimento di riscatto della popolazione in seguito alla
colonizzazione inglese. Il Messia era uno dei leader d’Etiopia, prima dell’invasione italiana che lo
aveva deposto dal trono.
L’ebraismo
Nella Palestina si diffuse l’ebraismo o giudaismo, la cui fede in un unico dio ha creato le basi per la
nascita del cristianesimo e dell’islamismo. L’ebraismo ebbe origine 3000-4000 anni fa nei territori del
Vicino Oriente. C’era un unico dio, le altre religioni della Mesopotamia erano politeiste. L’ebraismo si è
radicato nella cosiddetta “Terrasanta”, anche in Europa nel periodo medievale, nonostante la
diffusione del cristianesimo. La convinzione degli israeliti di essere il popolo eletto, legato a Dio
attraverso un patto di fiducia e lealtà reciproche e guidato da complesse regole formali di
comportamento, li distinse da altri popoli del Vicino Oriente. Quella ebraica divenne una religione
etnica a tutti gli effetti, i cui fattori determinanti sono la discendenza da Israele (terra del patriarca
Giacobbe), la Torah (leggi e scritture) e le tradizioni della cultura e della fede. L’elemento etnico era
molto marcato, ancora oggi lo è.
In epoca medievale in Europa si svilupparono due distinte ramificazioni del dogma.
 Gli ebrei sefarditi occupavano la penisola iberica, da cui vennero espulsi alla fine del XV secolo;
legati agli ebrei babilonesi e nordafricani, riuscirono a preservare la propria cultura e la propria
lingua ebraico-ispanica (ladino o yiddish).
 Tra il XIII e XVI secolo gli ebrei ashkenaziti, in cerca di rifugio dalla persecuzione subita nell’Europa
centrale e occidentale, si stabilirono in Polonia, Lituania e Russia. Da questi territori e da aree di
lingua germanica nel XIX e XX secolo molti ebrei emigrarono negli Stati Uniti. Oggi gli ashkenaziti
rappresentano circa l’80% degli ebrei nel mondo.
C’erano oltre la Terrasanta altre due aree: Spagna ed Europa orientale. Poi ci furono varie persecuzioni da
parte della Chiesa cattolica: la ghettizzazione in aree confinate della città, Roma e Venezia.
In Europa orientale c’è una maggiore tolleranza, tranne nella Seconda Guerra Mondiale.
La maggior percentuale di Ebrei si trova negli Stati Uniti e in Israele.
Il cristianesimo
Il cristianesimo si è discostato dall’ebraismo, ha delle norme meno rigide e non ha una base etnica: è una
religione universale. Si ha una forte area di diffusione accanto a Roma. Il cristianesimo nacque in Palestina
dalla radice ebraica, non come rifiuto totale dell’ebraismo, ma differiva da esso per l’universalità del
messaggio, che si basava sulla promessa della salvezza per tutta l’umanità e non solamente per il popolo
eletto. La missione del cristianesimo è incentrata sulla conversione e l’attività missionaria si è sempre
posta come elemento chiave della sua diffusione. La diffusione per espansione si verificò successivamente
alla creazione di missioni e di colonie di convertiti in luoghi lontani dalla regione in cui nacque. Importanti
furono le aree urbane che divennero sedi amministrative della nuova religione. È stato fondato su 7 chiese
che avevano la stessa rilevanza, avevano patriarchi importanti, come in Africa. Dopo la dissoluzione
dell’Impero romano, la funzione non era solo religiosa ma anche politica. Ha avuto molte suddivisioni, la
religione cristiana permetteva diverse scelte, nonostante alcune eresie. Intorno all’anno 1000 ci fu il primo
scisma tra la chiesa occidentale legata a Roma e la chiesa orientale (ortodossa). Per la Chiesa occidentale
Roma fu ed è ancora, attraverso la diffusione gerarchica, il principale centro di diffusione del culto. A
partire dagli snodi urbani e dai monasteri edificati nelle aree pagane rurali, la diffusione per contagio
disseminò il cristianesimo in tutto il continente europeo. All’interno della Chiesa si verificarono numerose
scissioni, tra cui occorre evidenziare quella ortodossa, diretta conseguenza della suddivisione tra Impero
Romano d’Occidente e d’Oriente (e poi Impero Bizantino), quella luterana e quella anglicana. La diffusione
mediante migrazione, dovuta agli sforzi dei missionari e alla colonizzazione europea, portò all’introduzione
della fede cristiana anche nel Nuovo Mondo e in un areale sempre più vasto. La chiesa d’Etiopia è una
sotto-religione ortodossa, come la cristiana-egiziana che ha sede in un centro del Cairo. Nell’epoca
moderna in base alla modifica degli assetti istituzionali, dopo la scoperta dell’America, arrivarono nuove
potenze, come Spagna e Regno Unito. I re di spagna imposero la protezione e la preserva del cristianesimo.
Si tratta di fenomeni regionali. Il luteranesimo deriva da una reazione dei contadini nei confronti dei più
ricchi. Ci sono oltre 2 miliardi di cristiani diffusi, con il 50% di fede cattolica.
Negli Stati Uniti d’America, per le isoglosse è complicato far vedere delle aree di diffusione delle religioni.
Hanno avuto diversi tipi di colonizzazione. Nel Sud America hanno una predominanza cattolica, al Nord
America i protestanti e anglicani.
Gli Stati Uniti sono frutto di diverse tipologie di colonizzazione. Nelle aree a nord, le più fredde e inospitali,
c’è stata una forte migrazione dai paesi Scandinavi di luterani. Nel Sud c’è un’area di immigrazione forzata:
la religione è stato motivo di comunicazione e unificazione fra le popolazioni, anche per i bianchi. La
religione battista nacque in Europa ma non ebbe grande diffusione, come negli Stati Uniti. La religione
Amish è nata in Svizzera, ma era censita una sola persona. Nella costa occidentale si è diffusa la religione
mormona, a partire dalla religione cristiana. Gli Stati Uniti per gli europei erano una terra promessa, da
dover organizzare dal punto di vista religioso, sulla base di modelli ideali con missioni nuove.
Gli Ortodossi sono In Europa orientale, incluse quella etiope e quella egiziana.
L’islamismo
L’islamismo (o sottomissione alla volontà di Dio) scaturisce dalle medesime radici ebraiche del
cristianesimo. Nasce intorno al 600 d.C. Essa trae origine dagli insegnamenti di Mohammad. A seguito di
una serie di rivelazioni provenienti di Allah, egli scrisse il testo sacro (Qur-an), in cui si fissano i “cinque
pilastri” dell’Islam. Ha una prima diffusione per migrazione di due tipi, si ebbe da una parte in maniera
pacifica grazie al commercio degli Arabi verso l’Africa. A volte fu in maniera violenta come in Spagna. La
nuova religione si diffuse rapidamente dalla regione di origine mediante un processo di diffusione per
espansione in buona parte dell’Asia centrale e dell’India settentrionale. In seguito, attraverso il processo di
diffusione per migrazione, l’islamismo penetrò in Indonesia, nell’Africa meridionale e nell’emisfero
occidentale. Nell’Islam esistono varie correnti. La principale scissione avvenne quasi subito dopo la morte
del profeta, a causa della lotta per la successione.
 Il Sunnismo, orientamento nettamente maggioritario dell'Islam - circa l’80-85% dell'intero mondo
islamico - che prende il suo nome dal termine arabo "Sunna" (consuetudine).
 Lo Sciismo deve il suo nome all'espressione "shīʿat ʿAlī" (fazione di ʿAlī), sovente abbreviata
semplicemente in "Shīʿa". Si sono divisi dai sunniti in seguito all'assassinio di al-Ḥusayn b. ʿAlī
perpetrato dalle forze califfali omayyadi. Gli Sciiti prevalgono solo nell’ex Persia (Iran e parte
dell’Iraq, Afghanistan, Pakistan e Azerbaijan) dove venne adottata come religione ufficiale fin dal
XVI secolo.
Gli sciiti considerano unica legittimata a regnare la famiglia del profeta Maometto, mentre per i sunniti,
non deve essere necessariamente discendente del Profeta. Il numero maggiore è in Indonesia, India,
Pakistan e Bangladesh.
L’islamismo è la religione predominante in oltre 35 Paesi, lungo una fascia territoriale che attraversa l’Africa
settentrionale fino a raggiungere l’Asia centrale, la Cina nord-occidentale e la regione settentrionale del
subcontinente indiano. L’Indonesia ospita la più grande comunità di musulmani del mondo. Il maggiore
sviluppo dell’islamismo si registra in Asia e in Africa, dove potrebbe diventare la religione prevalente.
L’espansione dell’islamismo si rivela particolarmente rapida nell’emisfero meridionale.
Il Sunnismo ha regole meno rigide dello Sciismo.
Le religioni nel mondo attuale: le religioni tribali
Sono in forte diminuzione rispetto a come le pensiamo oggi, sono legata all’animismo e allo sciamanesimo.
Si tratta di religioni minoritarie, si ha una strutturazione rispetto alle principali. C’è un fenomeno moderno:
il pensiero di riflettere su qualcosa che era al di fuori della materialità, dei bisogni essenziali, che causano
riflessioni speculative sulla realtà. Con la rivoluzione industriale si sposta l’attenzione verso il
tecnocentrismo: gli esseri umani confidano nel poter risolvere da soli, grazie alla tecnologia e al progresso
umano, le situazioni che si pongono.
Il secolarismo
Nel mondo moderno si va sempre più diffondendo una tendenza al secolarismo ossia la progressiva
indifferenza fino al completo rifiuto delle idee religiose. Le persone hanno sempre meno confidenza nelle
credenze della religione. È stata un’evoluzione molto rapida. Dal 1800 in poi la vita degli esseri umani è
stata scandita dai ritmi religiosi durante il giorno: nell’islamismo la preghiera andava fatta 5 volte al giorno.
I ritmi di vita sono molto più frenetici, rispetto a come si sono scanditi nei secoli. L’avvento di alcune
ideologie si pongono in contrasto con i riti religiosi. Il secolarismo può essere dovuto a un’imposizione
dall’alto, come accaduto nei regimi comunisti e socialisti, tra cui la Cina, l’ex URSS, il Vietnam, Cuba: ci fu
una sostanziale chiusura verso la religione e un secolarismo di stato. Il mondo cambia molto rapidamente,
così come i ritmi delle innovazioni: le religioni non rispondono alle evoluzioni che ci sono state. La religione
cristiana è stata posta in discussione sul fatto di non modernizzarsi alle istanze attuali. La religione islamica
era rimasta confinata dopo la fine dell’impero ottomano. L’Islam è cresciuto dopo la Seconda Guerra
Mondiale in seguito alle rivendicazioni simbolo della lotta indipendentista verso la ex colonia. La situazione
opposta del secolarismo è data dal rafforzamento del credo religioso, intolleranza religiosa e fanatismo.
La nascita della guerriglia e dell’Isis mette contro sé stessi i musulmani, che vanno a intrepretare
direttamente il messaggio universale delle scritture sacre. In altri casi, si può affermare una forte
correlazione con l’industrializzazione e l’urbanizzazione, riflettendo forse l’incapacità della chiesa di
adattarsi alle società in rapidi mutamenti economici e sociali. Per contro, nelle società rurali, più
conservatrici, la religione resta un forte pilastro culturale.
In effetti, mentre in ambito cristiano si evidenziano la comparsa del secolarismo e la diminuzione
dell’affiliazione religiosa, altrove si delineano tendenze diverse, ma parimenti importanti. Nel mondo
musulmano, il nuovo potere basato sui proventi del petrolio e la rinascita del fervore rivoluzionario hanno
rafforzato la posizione dell’islam.
I concetti del secolarismo
Il secolarismo può essere inteso in tre modi secondo Bullock e Stallybrass (1981):
 fine delle attività che formalmente legano Stato e religione: alcuni stati imponevano una religione
di stato, nella Costituzione Italiana si dice che le religioni diverse dalla cattolica devono avere degli
accordi. L’ambito politico si deve distaccare dall’ambito religioso;
 declino dell’interesse generale nelle tradizioni religiose, che sembrano desuete con il passare del
tempo, non ricorrenti;
 fine di tutto l’interesse nelle questioni e nelle attitudini religiose, scomparsa del misticismo: in caso
prevalga l’antropocentrismo può accadere che non si rifletta più in ambito mistico e “superiore”.
I mutamenti globali e la secolarizzazione
Kong (2010) esamina i seguenti fattori rilevanti nei mutamenti globali:
 Urbanizzazione crescente e ineguaglianza sociale: le città stanno crescendo molto e la popolazione
nei centri urbani va in interazione fra di loro. In epoca storica le ineguaglianze erano marcate ma
definite, adesso le disparità sociali si evidenziano molto di più. Lo sviluppo urbano è un elemento di
forte perturbazione per proseguire le tradizioni religiose.
 Degrado ambientale: la natura è percepita come elemento di mediazione fra gli esseri umani e le
divinità. La tutela ambientale si è ridotta molto, il degrado della natura ha fatto perdere il senso
della sacralità. Nell’antichità le acque erano considerate sacre, i boschi anche. Si perde un piano di
contemplazione della natura.
 Invecchiamento della popolazione: non c’è un tasso di ricambio generazionale. Il rapporto fra
giovani e anziani non è ben equilibrato. Alcuni riti si perdono nel corso del tempo.
 Incremento della mobilità umana: grazie ai mezzi di trasporto la popolazione umana diventa più
mobile, si creano diverse idee.
La religione e i mutamenti contemporanei
Nonostante la crescita del secolarismo (soprattutto nei Paesi del Nord del mondo) si possono anche
evidenziare tendenze (a volte patologiche) in senso opposto:
 l’emergenza di nuove ideologie e nuove visioni etiche nei Paesi più sviluppati, unite al
contemporaneo abbandono delle religioni formali: negli anni 90 si parla di scontro delle
civilizzazioni fra cristianesimo e islamismo. Si creano nuove religioni che hanno una situazione
abbastanza contenuta, con una certa visibilità;
 l’emergenza di nuovi movimenti religiosi e sette;
 l’insorgenza del fondamentalismo.
Nel futuro si ipotizza la crescita di popolazione islamica, come prima religione al mondo. In Asia
cresceranno l’induismo e l’islamismo.
GeoGrafia dell’aGricoltura
La cultura diventa materiale. L’agricoltura è un’attività connaturata con l’uomo. Le attività di convergenza
hanno dei punti in comune, sebbene l’attività fosse sempre la stessa.
 L’ambiente fisico è fondamentale per l’agricoltura, è strettamente connesso con l’evoluzione delle
attività economiche.
 Le strutture culturali sono importanti nel sapere della società, la valutazione delle alternative è un
processo continuo.
 Il livello tecnologico: non tutte le comunità umane raggiungono un eguaglio, nelle attività
economiche si attengono a un piano fisico. Il livello culturale va a variare gli approcci ad alcune
pratiche di produzione: laddove c’era forza lavoro sufficiente bisognava avere grande disponibilità
di manodopera, le attività produttive si differenziano.
 La disponibilità di capitale: qualcuno investe somme sufficienti, fa passare dall’economia di base a
una di capitale. Si sviluppano delle attività produttive che hanno come fine importante il profitto, le
ricadute vanno a benefico di alcune attività locali.
Le categorie di attività economiche
Le condizioni ambientali, culturali, tecnologiche, politiche e di mercato, diverse di regione in regione,
aggiungono connotati territoriali a sistemi più generici di classificazione del lavoro produttivo mondiale.
Un modo per procedere a questa catalogazione consiste nel concepire l’attività economica come distribuita
lungo un continuum nel quale vadano aumentando sia la complessità del prodotto o del servizio, sia lo
svincolarsi di esso dall’ambiente naturale.
In questa prospettiva, è possibile distinguere un numero ristretto di stadi produttivi e attività di servizio:
le attività economiche si sviluppano nel corso del tempo, si diversificano.
 Le attività primarie estraggono dall’ambiente fisico delle risorse. Sono quelle attività che
raccolgono o estraggono qualcosa dalla terra. Si collocano all’inizio del ciclo produttivo, nel quale
gli esseri umani sono in più stretto contatto con le risorse e le potenzialità dell’ambiente. Tali
attività implicano la produzione di generi alimentari di base e di materie prime: esempi tipici sono
la caccia e la raccolta, la pastorizia, l’agricoltura, la pesca, la selvicoltura, l’estrazione mineraria e le
cave.
 Le attività secondarie: manifattura, costruzioni, produzione di energia. Implicano che ci sia una
lavorazione anche minima delle attività estratte dal primario. Quando si creano comunità stabili nel
tempo diventa importante la manifattura. L’alimentare: ci sono dei prodotti che necessitano di una
lavorazione per essere adatti al consumo umano. Sono quelle che aggiungono valore ai materiali,
modificandone la forma o combinandoli, per creare prodotti più utili, e dunque di maggiore valore.
Il modo di conferire ai materiali tale utilità di forma può variare dalla produzione di manufatti in
ceramica o di legno al raffinato assemblaggio di articoli elettronici o di veicoli spaziali. Sono incluse
il procedimento produttivo la fusione del rame, la fabbricazione dell’acciaio, la siderurgia, la
produzione di automobili, le industrie tessili e chimiche, in pratica l’intera gamma delle industrie
manifatturiere e di produzione. Ne fanno parte anche la produzione di energia e l’industria edilizia.
 Le attività terziare possono essere a supporto delle altre attività economiche: il commercio si
sviluppa sin dall’antichità. Impiegano il maggior numero di persone. Consistono in quelle
occupazioni e specializzazioni lavorative che forniscono servizi ai settori primario e secondario e
beni e servizi alla comunità in genere e all’individuo. Comprendono servizi finanziari, commerciali,
professionali, amministrativi e personali e costituiscono il collegamento tra produttore e
consumatore, perché le occupazioni del terziario includono primariamente le attività di commercio
all’ingrosso e al dettaglio, comprese le vendite via internet, indispensabili in società a forte
interdipendenza. I servizi del terziario, inoltre, forniscono ai produttori un’informazione essenziale:
l’entità della domanda di mercato, senza conoscere la quale sono impossibili decisioni produttive
economicamente giustificabili.
 Le attività quaternarie non sono accettate da tutti, sono quelle di alta attività di ricerca, di
informazione, di centri decisionali. Nelle società con economie avanzate, un numero crescente di
individui e intere organizzazioni opera per elaborare e diffondere informazioni e amministrare e
controllare le iniziative proprie e altrui.
Il termine quaternario si applica a una quarta classe di attività economiche, composta dai servizi
resi da professionisti impegnati nel campo dell’istruzione, del governo, della gestione, dei processi
informativi e della ricerca.
 Le attività quinarie servono a evidenziare il ruolo dei centri decisionali ad alto livello, in tutti i tipi di
organizzazioni su larga scala, pubbliche e private.
Le categorizzazioni sono legate da un settore trasversale: trasporti e comunicazioni legano le attività
produttive.
Il valore di materiali lavorati va a crescere il valore intrinseco dei diversi beni, gran parte del secondario
anche come edilizia e produzione di energia. Gli ultimi due vanno a valutare le economie più avanzate, dove
le attività del terziario diventano interessanti.
Tipi di sistema economico
 Economie di sussistenza: il livello tecnico e culturale della comunità non è ancora elevato, si
producono beni sono per le proprie esigenze minime. Quasi tutto ciò che viene prodotto è
consumato al proprio interno, dagli stessi membri della comunità.
 Economie di mercato: si produce più di ciò che necessità la comunità. Potrebbero rivendere una
parte del prodotto al di fuori della comunità. Producono per la comunità più un surplus: offrire a chi
è maggiormente disposto a pagare per l’acquisto.
 Economie pianificate: le economie pianificate derivano dal comunismo: è una forma desueta. La
pianificazione della produzione non era soggetta alle esigenze del mercato, era lo stato dall’alto che
dettava gli ordini. Il surplus veniva prodotto in base a quello che veniva ordinato dall’alto, il surplus
andava allo stato e lo redistribuiva per tutta la comunità in forma indiretta. Le fattorie collettive in
Unione Sovietica: cittadelle dei settori strategici, del ferro e dei macchinari agricoli. Quello che si
guadagna andava solo allo stato.
Le attività economiche «di raccolta»:
 La pesca delle acque interne, (acque interne, allevamento ittico, pesca marittima); gli allevamenti
ittici. Le attività di pesca vengono classificate nelle attività di raccolta di base, non hanno bisogno di
grande tecnologia. Vanno in base alla concentrazione: dipende dalle correnti marine. Sotto le
superfici si muovono delle correnti calde e fredde. Le calde vanno verso nord, le fredde vanno
verso sud. La pesca deriva dalla concentrazione di unione di aree fra correnti calde e fredde. Dal
Canada fino alla Scandinavia. Tutta la costa occidentale del Sud America, le coste del Giappone.
 La selvicoltura per produrre legame è fortemente condizionata dal territorio: 2 aree dei boschi: la
prima nel Nord America, l’altra dalla Scandinavia alla Russia. A sud in Amazzonia e in Africa ci sono
tipologie di legni più robusti. Legno chebrace che rompe le asce, usato per mobili di qualità. Ogni
singola pianta ha una combinazione ottimale di sviluppo: temperatura ideale e umidità. Se voglio
produrre una coltivazione al di fuori dell’area inizio ad avere costi maggiori. Bisogna introdurre il
profitto. Se i costi di produzione sono bassi è inutile produrlo. Per le coltivazioni in serra, ci sono
arie più beneficiate rispetto ad altre.
 La caccia è molto ridotta (carne, animali da pelliccia).
La lunghezza media della stagione valutativa. Le zone con eccessivo gelo non sono ideali per le piante, lo
stesso per le zone asciutte. Le aree migliori per coltivare le piante sono l’area del bacino Mediterraneo, la
costa della Cina, l’area degli Stati Uniti, l’Argentina, le coste dell’Australia. Le aree temperate stanno
nell’emisfero nord, come per la popolazione.
L’agricoltura: rivoluzioni agricole
Nelle aree prospere ebbero origine l’agricoltura, la coltivazione delle piante domesticate e l’allevamento
degli animali. Carl O. Sauer (1969) riteneva che gli esperimenti necessari per creare agricoltura e insediarsi
in un luogo fossero stati condotti in terre abbondanti. Le società diventano più abbondanti, iniziano a
produrre più del loro fabbisogno. Solo qui l’uomo avrebbe potuto permettersi di condurre esperimenti sulla
coltivazione delle piante e avere il tempo per catturare animali e sottoporli a domesticazione.
C’è stata una combinazione di fattori nel corso dei secoli, eventi che hanno cambiato il volto
dell’agricoltura. La sedentarizzazione: ci sono delle comunità che si fermano sul territorio e iniziano a
sperimentare sulle colture. La rivoluzione agricola determina la scelta di alcuni territori.
La domesticazione delle piante
Secondo Sauer l’Asia sudorientale e meridionale è stata la scena, più di 14.000 anni fa, della prima
domesticazione di piante tropicali. In quella regione la combinazione di insediamenti umani, margini
forestali e corsi di acqua dolce può avere dato origine alla prima coltivazione di piante da radice.
La coltivazione pianificata di piante da seme è un processo più complesso, che implica la selezione delle
sementi, la semina, l’annaffiatura e la raccolta in tempi appropriati. Secondo alcuni la prima
domesticazione può essere avvenuta nella valle del Nilo, ma la maggioranza degli studiosi ritiene che
questo sviluppo sia avvenuto in una regione dell’Asia sudoccidentale (la Mezzaluna fertile), attraversata da
due importanti fiumi: il Tigri e l’Eufrate. Ciò segna la Prima Rivoluzione Agricola.
Le aree di sviluppo: l’Endocina circa 14000 anni fa. Vede se ci sono stati tanti insediamenti umani antichi,
se ci sono le foreste, nelle prime fasi si coglievano i frutti dalle foreste, i fiumi di acqua dolce (fiume Giallo e
Azzurro). Asia sud-orientale.
Il Nilo. Bisogna avere dei terreni fertili e corsi d’acqua rilevanti. Queste attività sono sorte in diverse aree
separate fra di loro. Le aree delle Ande non hanno avuto contatto con le altre aree. Dal Mediterraneo al
Sud Est Asiatico c’è stato uno scambio di sapere.
La migrazione delle piante e degli animali è dettata da scambi, importanti per altre comunità. Ci sono delle
piante portate dalle Americhe: il pomodoro.
Il capitale e la manodopera impiegata nella coltivazione delle piante vengono abbandonati alle aree più
fertili. L’agricoltura, dopo la rivoluzione industriale, inizia a declinare. Nell’Africa Intertropicale c’è
un’abbondanza di manodopera, l’agricoltura pur essendo essenziale, coinvolge la maggior parte della
popolazione, ma non la vende.
Le tipologie di agricoltura
L’agricoltura di sussistenza
Un sistema economico di sussistenza implica la quasi totale autosufficienza da parte dei suoi membri. La
produzione destinata allo scambio è minima e ciascuna famiglia o gruppo sociale coeso conta su stesso per
il cibo e le altre esigenze fondamentali. La coltivazione dei campi per soddisfare gli immediati fabbisogni
della famiglia costituisce a tutt’oggi l’occupazione dominante dell’umanità.
Si possono individuare due tipi fondamentali di agricoltura di sussistenza:
 estensiva: occupa grandi superfici di territorio ma con poca manodopera
 intensiva: piccole superfici ma grande manodopera.
La sussistenza è legata a quella africana e indiana, anche negli altopiani Asiatici e nelle aree di margine
vicino ai deserti in Africa.
L’agricoltura di sussistenza estensiva
L’agricoltura di sussistenza estensiva coinvolge vaste aree di superficie e minima concentrazione di
manodopera per ettaro, sia il prodotto per unità di superficie sia la densità di popolazione sono ridotte.
Tra i diversi tipi di agricoltura di sussistenza estensiva – distinti l’uno dall’altro per intensità di sfruttamento
del suolo – due sono di particolare interesse:
 il nomadismo pastorale;
 l’agricoltura itinerante.
Il nomadismo pastorale
La pastorizia nomade è scelta obbligata, governata dalle precipitazioni scarse e stagionali o dai regimi
climatici rigidi, tuti fattori che comportano una presenza intermittente della vegetazione pascolabile, per
cui lunghe permanenze in una data località sono non desiderabili, o impossibili.
Uno degli esempi la transumanza e l’alpeggio.
La transumanza è una forma particolare di trasferimento stagionale delle greggi, per sfruttare condizioni di
pascolo localmente variabili. Praticata da pastori o da pastori-agricoltori, la transumanza implica o il
regolare spostamento dai pascoli di montagna in estate a quelli di valle in inverno, o il movimento
orizzontale fra aree di pascolo interamente in pianura, per raggiungere periodicamente pasture divenute
per qualche tempo lussureggianti, grazie alle precipitazioni stagionali.
Ci sono diverse forme che tendono alla sedentarizzazione vicino alle aree deserte. Nelle aree
subecumeniche ci sono i pastori nomadi, marginali, nei mesi estivi si spingono nelle aree sub-ecumeniche.
L’agricoltura itinerante
Si ritrova in tutte le aree caldo-umide alle basse latitudini del mondo, dove molte persone sono impegnate
in una sorta di nomadismo agricolo. A causa della deforestazione e dello sfruttamento intensivo, i terreni di
queste aree perdono molti dei nutrienti – perché le sostanze chimiche vengono dissolte e dilavate via dalle
acque superficiali e sotterranee (lisciviazione), oppure i nutrienti vengono sottratti alla terra dai raccolti – e
gli agricoltori che li coltivano devono spostarsi altrove, dopo aver sfruttato il terreno per alcuni anni; per
mantenere la produttività, essi effettuano una rotazione dei campi anziché delle colture.
Essa viene denominata spesso «taglia e brucia» («slash and burn»).
Il territorio abbandonato viene bruciato: riesce a rigenerare nuovi nutrienti, nell’area inziale diventa di
nuovo utilizzabile, è un percorso circolare. La tecnica del bruciare è stata chiamata in nomi differenti in
base alle aree.
Dopo un incremento demografico notevole, i territori sono meno fertili degli scelti, si sviluppano nuove
attività de territori, la popolazione lavora di più i campi, rispetto a quelle estensive.
Le tipologie più importanti: la policoltura. Crescono le esigenze alimentari, Asia monsonica e sud Orientale.
La tradizionale coltivazione del riso, coltivazione di ortaggi, più colture molto tradizionali.
L’evoluzione nei modi di produzione dell’agricoltura da estensiva a intensiva
Secondo la «Tesi di Boserup» l’incremento demografico comporta necessariamente un maggior impiego di
manodopera e di tecnologia, per compensare la riduzione dei raccolti naturali della coltivazione estensiva:
l’aumento della popolazione costringe a incrementare il ricorso alla tecnologia nella lavorazione della terra
e richiede una conversione da agricoltura di sussistenza estensiva a una intensiva.
L’agricoltura di sussistenza intensiva
L’agricoltura di sussistenza intensiva è caratterizzata dalla grande mobilitazione di lavoro per unità di
superficie, dalla ridotta dimensione degli appezzamenti, dall’uso intensivo di fertilizzanti. Per assicurarsi
comunque del cibo e per tradizioni dietetiche, si pratica la policoltura, ovvero la produzione di molti raccolti
diversi, spesso sul medesimo campo:
 Asia monsonica (sud-est asiatico).
 Agricoltura di sussistenza urbana (anche agricoltura periurbana o suburbana).
L’agricoltura di sussistenza urbana: molti terreni sono diventati non più utilizzati, si scoprono delle tattiche
a km 0, dentro le città. Le generazioni passate di contadini.
Il passaggio da agricoltura di sussistenza ad agricoltura di mercato
Molti studiosi hanno analizzato il processo che ha indotto gli agricoltori a desiderare denaro in seguito alla
disponibilità di beni di consumo:
 food crop, la produzione per sé stessi.
 cash crop, come fanno le grandi aziende.
Secondo Bunting (1970) le società basate sull’agricoltura di sussistenza, dovendo sopportare moltissime
privazioni, sono costrette a essere molto unite e scarsamente dotate di differenze sociali.
L’agricoltura di mercato: quando la comunità diventa in grado di produrre più di quanto è in grado.
Il territorio intorno non riesce più a produrre per tutta la comunità, comprano dalle altre aree. Il caffè viene
dall’Etiopia, ma produce per i territori molto lontani.
La Seconda Rivoluzione Agricola
Nel corso del XVII e del XVIII secolo l’agricoltura europea subì importanti mutamenti. Il commercio
internazionale con le Americhe portò in Europa nuove coltivazioni, quali cereali e patate. Molti dei nuovi
raccolti erano adatti ai climi e ai suoli dell’Europa Occidentale, determinando la coltivazione di terre
precedentemente considerate marginali. I governi europei contribuirono a stimolare questa rivoluzione
agricola approvando leggi che favorivano l’estensione delle fattorie. Migliorarono i modi di preparazione
del terreno, fertilizzazione, cura delle colture e raccolta.
Nuove tecnologie migliorarono anche la produzione fra cui:
macchina seminatrice, selezione delle razze e tecniche di allevamento, nuovi fertilizzanti chimici e mangimi
artificiali (XIX secolo), miglioramento dei trasporti (XIX secolo).
Il modello di Von Thünen
Tale autore nella prima dell’Ottocento studia un modello tipico dell’epoca della Seconda Rivoluzione
Industriale, formato da alcuni assunti di base:
 il territorio è una pianura senza confini e ostacoli al movimento, i costi di trasporto sono
proporzionali alla distanza, le risorse naturali sono equamente distribuite.
 la popolazione è distribuita uniformemente, ha eguali condizioni di reddito, produttori e
consumatori hanno una perfetta conoscenza del mercato.
La sola variabile che ha un’influenza attiva in questo modello spaziale del sistema economico è il costo
necessario a superare la distanza.
RP = R (p-c) – Rtd
dove
RP = Rendita di Posizione
R = Resa unitaria
p = prezzo di mercato
c = costo di produzione
t = tariffa di trasporto
d = distanza dal mercato
La Terza Rivoluzione Agricola
La Terza Rivoluzione Agricola, nota anche come «Rivoluzione Verde», risale agli anni Trenta, quando gli
scienziati agricoli nel Midwest degli Stati Uniti cominciarono a sperimentare sementi geneticamente
modificate per aumentare le colture. Esperimenti importanti furono quelli del mais in Messico (anni
Quaranta) e del riso in India (anni Sessanta, con benefici per Filippine e Indonesia).
L’impatto geografico della Rivoluzione Verde è tuttavia altamente variabile, essendo concentrata
principalmente su riso, frumento e mais, essa ha avuto un impatto limitato in gran parte dell’Africa, dove
l’agricoltura si basa su colture differenti e la bassa fertilità dei terreni richiama meno investimenti
dall’estero. La rivoluzione verde è stata accompagnata dalla nascita di un intero campo della biotecnologia
il cui interesse principale è rivolto agli organismi geneticamente modificati (OGM).
L’intento era del tutto lodevole, assicurare l’auto sufficienza alimentare anche a paesi sottosviluppati.
Essendo limitata a pochi prodotti, uno dei dubbi è quello degli OGM, secondo molti non sono adatti al
consumo umano. L’agribusiness del Nord America, ci sono poche persone che coltivano le terre: per
fertilizzare si utilizzano gli aerei, c’è un insieme di tecnologia e capitale. Si hanno degli stabulati, gli animali
da latte vengono allevati dentro le stalle: hanno un’intera vita bloccata dentro un edificio. L’agricoltura di
mercato estensiva va su vaste aree, legato ai grandi allevamenti nel sud America, la cultura di frumento su
larga scala ma con poca manodopera.
Agricoltura di mercato intensiva
Dopo la Seconda guerra mondiale, nelle economie di mercato dei Paesi sviluppati l’agricoltura si è sempre
più concentrata sull’efficacia dei metodi di produzione. Macchinari, sostanze chimiche, sistemi di irrigazione
e la dipendenza da una gamma più ristretta che in passato di specie e varietà vegetali e animali
attentamente selezionate sono stati tutti elementi impiegati di concerto nello sforzo di ottenere una
maggiore produzione per unità di superficie agricola. In questo senso l’intera agricoltura moderna di
mercato è “intensiva”.
Le colture specializzate, producono prodotti con un gran mercato: le colture mediterranee di vino e olio. Le
agricolture di piantagione del sud America.
Esempi di agricoltura di mercato intensiva:
 Agricoltura commerciale intensiva (lattiero-casearia, ortofrutticola);
 Cerealicoltura finalizzata all’allevamento.
L’agricoltura pianificata è molto marginale, legata ad Israele, con coltivazioni collettive.
Un villaggio africano ruota le tre tipologie di coltivazione. Quando si comincia a sfruttare uno spazio
agricolo nelle aree di oasi, di ingegno umano. I canati, canali, sono importanti perché danno un’idea su
come insediarsi nelle zone marginali.
Il terreno è delimitato, soprattutto al sud Italia, si nota una frammentazione di questi terreni.
Agricoltura di mercato estensiva
Più lontano dai mercati, su terreno meno costoso, vi è minore necessità di sfruttare il suolo in maniera
intensiva. La terra più a buon mercato origina unità rurali più vaste. Nelle fasce temperate dei due emisferi,
l’agricoltura di mercato estensiva è caratterizzata da grandi fattorie produttrici di cereali e/o
dall’allevamento di bestiame brado al pascolo.
Esempi di agricoltura di mercato estensiva:
 Coltura di frumento su larga scala;
 Allevamenti allo stato brado di bestiame.
Gli open-field sono usati soprattutto per i cereali, le case sono in piccoli villaggi, ci sono in Pianura Padana, i
campi sono suddivisi ma non visibili. C’è un villaggio centrale e le case intorno.
Lo spazio agricolo in Cina è tutto strettamente pianificato dallo Stato. Esempio di policoltura differente.
I piccoli orti intorno alla città, lo spazio agricolo negli Stati uniti, Belt. Spostamento verso le colture nella
California, si produce latte intorno ai grandi laghi e al confine con il Canada, nel sud c’è il cotton-belt,
cotone e tabacco. L’area del frumento. C’è una marcata zona di carne, a minore intensità di coltivazione. Si
sono rifatti alla centuriazione, antichi romani. In Canada i francesi hanno fatto le abitazioni vicino le strade
e le coltivazioni dietro.
Ogni appezzamento in 4: porre le abitazioni lungo le strade o agli incroci. Assetto tipico delle città
nordamericane, gli isolati vanno a crearsi fra 4 incroci di strade. Le parallele seguono la caratterizzazione
del Township.
L’agricoltura di piantagione in Israele: tutta l’area delle case forma un recinto difensivo nell’area centrale, i
campi sono all’esterno. Quando si fanno le colonie di difesa, sono state sviluppate in aree di forte
contestazione.
Colture specializzate
La prossimità al mercato non garantisce di per sé la produzione intensiva di colture di elevato valore:
possono essere di impedimento il suolo o le condizioni climatiche.
D’altronde, neppure l’elevata distanza dal mercato fa sì che l’unica opposizione sia l’agricoltura estensiva su
superfici a basso costo. Circostanze particolari, soprattutto climatiche, rendono alcune località lontane dai
mercati aree agricole altamente sviluppate.
Casi particolari:
 agricoltura mediterranea,
 agricoltura di piantagione.
L’agricoltura nelle economie pianificate
Le economie pianificate presentano un alto grado di controllo centrale diretto sulle risorse e sui settori
chiave dell’economia, il che permette di perseguire gli obiettivi stabiliti dal governo.
Quando il controllo si estende al settore dell’agricoltura, Stato, fattorie collettive e comuni agricole
sostituiscono le aziende private, la produzione è separata dal controllo del mercato o dal fabbisogno delle
famiglie e i prezzi vengono stabiliti a priori, invece di essere determinati dalla domanda o dai costi di
produzione.
Costi di terminale: attrezzare delle aree per poter attrezzare un tipo di trasporto. In un porto la
containerizzazione: portare dei container standard, da un camion a una barca.
Ci fu un modello classico nel 1909, in cui parlava di costi relativi al porto, manodopera e porto. I costi di
trasporto fossero quelli più importanti per la localizzazione di un’industria. Faceva delle premesse di base di
evidente semplificazione: triangolo, due materie prime e un mercato. Ogni area attrae verso di se in base a
costi di trasporto, localizzare l’industria verso N. I costi totali dei tre versi del triangolo ha un unico punto di
minimizzazione: baricentro.
GeoGrafia dell’industria
Oltre le attività primarie
Gli stadi successivi delle attività economiche appaiono sempre più svincolati dalle caratteristiche
dell’ambiente fisico. In questo caso, sviluppo, distribuzione, comunicazione e gestione consentono di
localizzare l’impresa in risposta a influenze culturali ed economiche anziché fisiche. Si tratta di attività
mobili non legate solamente allo spazio. Le decisioni assunte in materia di localizzazione e i modelli
economici che ne risultano cambiano con il tipo o il livello di attività economica in questione.
I vincoli alle attività economiche:
 l’intensità dell’interazione spaziale decresce con la distanza;
 importanza della complementarità e trasferibilità per stabilire il valore commerciale di un bene o
una risorsa;
 ipotesi della massimizzazione dei profitti per i produttori;
 meccanismi di mercato ed equilibrio di mercato.
Offerta, domanda ed equilibrio di mercato

Le attività secondarie manifatturiere


Se partiamo dal presupposto che i mercati siano liberi, i produttori razionali e i consumatori informati, le
decisioni inerenti la localizzazione della produzione e il marketing dovranno basarsi su un’attenta
valutazione di costi e opportunità spazialmente differenziati.
Sul versante della domanda, a definire le aree in base alle opportunità commerciali è la distribuzione della
popolazione e della capacità di acquisto.
Sul versante dell’offerta, prendere decisioni comporta, per gli industriali, un insieme di scelte più elaborato.
I produttori devono considerare il costo delle materie prime, la distanza tra queste ultime e i mercati, il
costo della manodopera, le spese per il combustibile, la disponibilità e i costi di capitale e una serie di altri
oneri, relativi al processo di produzione e di distribuzione.
Le attività secondarie: definizione
Le attività secondarie prevedono la trasformazione di materie prime in prodotti finiti, che in tal modo
acquisiscono un valore aggiunto.
Nella produzione di beni standardizzati all’interno delle fabbriche, una caratteristica comune a tutte le
tipologie di industrie manifatturiere è l’impiego di energia e di lavoro specializzato, fattore tipico
dell’industria. Le manifatture pongono un problema di localizzazione diverso dall’acquisizione di materie
prime, in quanto presuppongono l’assemblaggio e la lavorazione dei materiali e la distribuzione di quanto
viene prodotto verso altri punti, e dunque presentano il dilemma di dove debba avvenire la trasformazione.
Principi localizzativi: i costi fissi e i costi variabili:
 costi spazialmente fissi (ad esempio i salari all’interno di uno Stato);
 costi spazialmente variabili (con sostanziali differenze fra un luogo e un altro).
Principi localizzativi dell’industria:
 massimizzazione dei profitti (localizzazione del minor costo totale per l’industria);
 minimizzazione dei costi variabili;
 ottimizzazione dei costi di trasporto;
 grado d’interdipendenza con le altre imprese.
L’importanza delle materie prime
Tutti i manufatti traggono origine dalla lavorazione di materie prime grezze, che soltanto in poche
industrie, appartenenti alla prima fase del ciclo produttivo, sono ottenute direttamente dalle aziende
agricole o dalle miniere.
L’attività manifatturiera consiste nell’ulteriore trasformazione di materiali già in qualche modo lavorati in
un precedente stato di fabbricazione, localizzato altrove. Più avanzata è l’economia industriale di uno Stato,
più ridotto è il ruolo svolto dalle materie prime ancora grezze nella struttura economica del Paese.
L’orientamento alle materie prime
Per quei settori in cui il processo produttivo si fonda sulla lavorazione di beni non lavorati, comunque, le
fonti di approvvigionamento e le caratteristiche dei materiali grezzi sono realmente fondamentali.
Qualità, quantità, facilità di scavo o di raccolta di una risorsa possono rappresentare una determinante per
la localizzazione, se il costo del materiale grezzo è la maggiore variabile e se sono disponibili diverse fonti
della materia prima.
I materiali grezzi possono attirare i settori che li lavorano quando sono ingombranti, perdono notevolmente
di peso nel corso della lavorazione o sono altamente deperibili. Tutte queste aziende manifatturiere sono
orientate verso la localizzazione vicino alla ubicazione delle materie prime. La ragione è semplice: è più
facile ed economico trasportare sui mercati il prodotto raffinato, che un prodotto ancora al lordo di scarti,
o soggetto a deterioramento o riduzione di valore.
Le risorse energetiche
Le risorse energetiche inamovibili oppure di limitata trasferibilità possono attrarre alcune industrie da esse
dipendenti.
Così avvenne agli inizi della Rivoluzione industriale.
 energia idraulica (Lombardia);
 fonti energetiche (carbone) (Midlands, Ruhr, Donec).
La manodopera
Anche la manodopera è una variabile spaziale che influenza le decisioni localizzative e lo sviluppo
industriale. Tradizionalmente, si consideravano determinanti per la manodopera tre diversi fattori,
indipendenti o in combinazione:
 il prezzo;
 la specializzazione;
 la quantità.
 Altro fattore importante è la flessibilità lavorativa.
Il mercato
Le merci vengono prodotte per soddisfare una domanda di mercato. Pertanto, dimensione, natura e
distribuzione dei mercati possono influenzare le decisioni localizzative di un’industria quanto le materie
prime. L’attrazione del mercato è espressione del costo di movimentazione del materiale.
Quando i costi di trasporto per immettere sul mercato prodotti lavorati incidono in misura piuttosto elevata
sul valore totale della merce (o quando si possono ridurre in modo significativo con la prossimità al
mercato), l’attrazione di una sede vicina al consumatore è evidente e origina l’orientamento verso il
mercato. Le industrie capillarmente distribuite che non devono sottostare a particolari vincoli localizzativi si
definiscono industrie ubiquitarie.
Il trasporto
Il trasporto è un elemento così unificante di tutti i fattori relativi alla localizzazione industriale che è difficile
isolarne e separarne il ruolo. In realtà, alcune delle precedenti osservazioni sull’orientamento degli impianti
manifatturieri si possono riformulare puramente in termini di costi di trasporto.
 Orientamento verso le materie prime per ridurre il peso del prodotto e il costo di trasporto;
 Orientamenti verso il mercato, per le produzioni che acquisiscono peso durante le lavorazioni.
Struttura dei costi di trasporto:
 costi fissi;
 costi di terminale;
 costi di percorso.
Modello di Weber
Il modello classico di teoria della localizzazione industriale, la teoria del minor costo, si fonda sul lavoro di
Alfred Weber.
Il modello spiega la localizzazione ottimale di uno stabilimento manifatturiero in termini di minimizzazione
di tre spese base:
 costi relativi al trasporto;
 costi di manodopera;
 costi di agglomerazione.
L’agglomerazione si riferisce al raggrupparsi di attività produttive e di individui per un vantaggio reciproco.
Un simile raggruppamento può produrre «economie di agglomerazione», tramite la condivisione di impianti
e servizi. A causa della competizione di queste risorse, tuttavia possono anche sopravvenire delle
diseconomie.
I costi di trasporto nel modello di Weber
Weber conclude che i costi di trasporto sono l’elemento principale nel determinare la localizzazione.
La localizzazione ottimale si troverà laddove sono più contenuti i costi di trasporto delle materie prime
verso la fabbrica e dei beni finiti verso il mercato. Se le variazioni nei costi della manodopera o
dell’agglomerazione sono abbastanza elevate, una localizzazione stabilita soltanto in base ai costi di
trasporto può non rilevarsi ottimale.
Assunti di base nel modello di Weber
 pianura uniforme o isotropica;
 unico prodotto delle attività manifatturiere;
 unico mercato;
 materie prime provenienti da luoghi diversi;
 manodopera disponibile in maniera illimitata ma immobile;
 i percorsi di trasporto ottimizzano la via più breve.
L’interdipendenza delle localizzazioni
Quando la decisione della localizzazione di un’azienda è influenzata dalle ubicazioni scelte dai concorrenti,
esiste una condizione di interdipendenza delle localizzazioni.
Questo fattore influenza il modo in cui imprese in competizione, con identiche strutture dei costi, si
collocano nello spazio, per assicurarsi una quota del monopolio spaziale del loro mercato congiunto.
Nella teoria dell’interdipendenza della localizzazione, l’elemento chiave è l’analisi variabile dei ricavi, non la
variabilità dei costi propria del modello di Weber.
Il «dilemma dei gelatai su una spiaggia» (modello di Hotelling)
All’inizio, in presenza di domanda anelastica, i due gelatai si situeranno al centro di ogni metà della
spiaggia, in modo che lo sforzo totale degli acquirenti per raggiungere il chiosco sia minimo.
Per massimizzare i profitti, uno dei due gelatai potrebbe decidere di “invadere” l’area del mercato
dell’altro, così da avere i ¾ del mercato.
L’altro concorrente potrebbe decidere di “saltare” l’area dell’invasore e portarsi al centro.
Nella fase finale tutti e due i gelatai si collocheranno al centro, massimizzando i profitti, ma gli acquirenti
dovranno in media percorrere più spiaggia per raggiungerli.
Il modello di Hotelling
Un mercato che diventi reattivo al prezzo scoraggerà le vendite ad acquirenti più distanti e i produttori, nel
tentativo di massimizzare le vendite ad acquirenti più distanti, torneranno a separarsi invece che a unirsi.
La conclusione è quindi che la reattività del prezzo (elasticità della domanda) incoraggerà la dispersione
industriale.
La massimizzazione del profitto
La localizzazione ottimale di un’attività produttiva si trova dove è il maggiore profitto netto.
Il principio di sostituzione riconosce che, in molti processi industriali, è possibile compensare la diminuzione
di un fattore produttivo con l’aumento di un altro. Con la sostituzione, una quantità di punti diversi può
risultare appropriata per l’ubicazione delle manifatture. Questi punti indicano il margine spaziale di
profittabilità e definiscono l’area più grande in cui è possibile operare con profitto.
La prima rivoluzione industriale
Durante il XVIII secolo i mercati europei erano in crescita e non c’era manodopera sufficiente per tenere il
passo con il commercio locale e d’oltremare. Urgevano macchine migliori, in specie filatoi e telai meccanici
più efficienti. La prima rivoluzione interessò prevalentemente il settore tessile -metallurgico con
l'introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore nella seconda metà del '700.
All’incirca nello stesso periodo si scopriva di poter trasformare il carbone in coke, che era di gran lunga
superiore al carbone di legno per la fusione del ferro.
La Rivoluzione Industriale interessò anche i trasporti e le comunicazioni (ferrovia, navi a vapore).
In Inghilterra, primo paese nel quale si assiste alla rivoluzione industriale, questo processo ha avuto luogo
nella sua prima fase e secondo la delimitazione di Thomas S. Ashton, fra il 1760 – anno d'inizio del regno di
Giorgio III – e il 1830 – anno d'inizio del regno di Guglielmo IV.
La rivoluzione industriale si è poi estesa ad altri Stati, in particolare Francia e Germania.
La seconda rivoluzione industriale
La seconda rivoluzione industriale è il processo che rappresentò la seconda fase dello sviluppo industriale e
che viene cronologicamente riportato al periodo compreso tra il congresso di Parigi (1856) (per sancire la
fine della guerra di Crimea) e quello di Berlino (1878) (fine della guerra russo-turca e riconoscimento
dell’influenza della Russia sui Balcani) e che giunge a pieno sviluppo nell'ultimo decennio dell’Ottocento.
Dal 1870 in poi, si ebbe in Europa e negli Stati Uniti uno sviluppo tecnologico senza precedenti, che assicurò
ai paesi Occidentali la supremazia tecnica in tutto il mondo. La caratteristica che differenzia maggiormente
la seconda rivoluzione industriale dalla precedente sta nel fatto che le innovazioni tecnologiche non sono
frutto di scoperte occasionali ed individuali, bensì di ricerche specializzate in laboratori scientifici e nelle
università finanziate dagli imprenditori e dai governi nazionali per il miglioramento dell'apparato
produttivo. I settori in cui si ebbero i maggiori risultati furono quello agricolo, quello manifatturiero e
quello alimentare.
I primi Paesi dove si verificò la seconda industrializzazione furono la Germania e la Francia;
successivamente, divennero importanti le scoperte tecnologiche degli Stati Uniti.
Le principali regioni industriali fino alla metà del XX secolo
I processi di industrializzazione dalla prima metà dell’Ottocento alla prima metà del Novecento
evidenziarono quattro aree principali di sviluppo:
 Europa occidentale e centrale;
 Nord America Orientale;
 Russia e Ucraina;
 Asia Orientale.
La terza rivoluzione industriale
Con l'espressione terza rivoluzione industriale si indicano tutta quella serie di processi di trasformazione
della struttura produttiva, e più in generale del tessuto socioeconomico, avvenuti nei paesi sviluppati
occidentali del primo mondo nella seconda metà del Novecento a partire dal secondo dopoguerra, e
caratterizzati da una forte spinta all'innovazione tecnologica e al conseguente sviluppo economico della
società. Tra le cause della terza rivoluzione industriale si possono la crescita, lo sviluppo e l'accumulo delle
conoscenze scientifiche e tecnologiche già a partire dall'inizio del Novecento, spesso nate nel contesto
militare delle guerre mondiali della prima metà del secolo e successivamente in quello della guerra fredda
tra le maggiori superpotenze mondiali del dopoguerra, Stati Uniti d'America e Unione Sovietica.
Condizioni politiche assai più stabili a livello mondiale nei paesi occidentali rispetto a quelle della prima
metà del secolo hanno poi favorito la crescita economica, a partire dalla ricostruzione post-bellica, verso
settori a quel tempo ancora inesplorati, permettendone la diffusione progressiva verso il ceto medio del
modello socio-economico occidentale.
Al centro della Terza Rivoluzione Industriale si sono collocati gli Stati Uniti d’America.
La quarta rivoluzione industriale
Schwab sostiene in un suo recente libro (2016): «Credo che oggi siamo all’inizio di una quarta rivoluzione
industriale. Essa è cominciata al volgere del secolo e si fonda sulla rivoluzione digitale.
È caratterizzata da un sempre più da un internet ubiquitario e mobile, da sensori sempre più piccoli, potenti
ed economici e dall’intelligenza artificiale e macchine cognitive.»
Il termine “Industria 4.0” è stato coniato nel 2011 in Germania alla fiera di Hannover con l’introduzione
delle “fabbriche intelligenti”, che permettono l’organizzazione flessibile della produzione manifatturiera
mediante uno stretto coordinamento fra tutti gli elementi grazie ai progressi delle tecnologie di
comunicazione. Secondo Schwab la quarta rivoluzione industriale riguarderà non soltanto macchine e
sistemi intelligenti e interconnessi.
Egli enumera le nanotecnologie, le tecniche genetiche, le energie rinnovabili e i computer quantistici.
Geografia dei servizi
L’inquadramento del terziario come attività economica
Il primo autore che introdusse il termine terziario nella letteratura economica fu Fischer, che nel 1934
individuò questa componente del sistema economico mondiale. In seguito, Colin Clark (1951) definì con
maggior precisione le caratteristiche dei tre settori dell’economia.
All’inizio aveva un carattere residuale e comprendeva tutte le attività che non facevano parte
dell’agricoltura o dell’industria e doveva comprendere essenzialmente la produzione di beni immateriali.
Senza lo sviluppo di agricoltura e pesca del settore primario, l’umanità non si sarebbe sviluppata,
mancavano altre fonti. Pur rimanendo essenziali in epoca moderna c’è un passaggio di dimensione al
secondario, attività di trasformazione.
Le tipologie del terziario
Esistono almeno due tipi di terziario:
 uno che risponde ai bisogni immediati della popolazione o alle esigenze più banali delle imprese.
Servizio: sono delle attività che aiutano i primi due servizi, diretti alle famiglie. Sono di supporto,
sono connessi con il commercio, con i trasporti, altri si sono evoluti in seguito alla
complessificazione del sistema economico. Sono diventati sempre più rilevanti.
 un secondo tipo che è invece «motore» dello sviluppo insieme e in sintonia con l’industria, con
livelli di produttività spesso molto elevati e con carattere di variabile indipendente del processo
produttivo, capace cioè di creare le condizioni per la produzione diretta, sia in termini di
innovazione di prodotto e di processo sia di organizzazione.
Il terziario ha assunto quindi una nuova caratterizzazione; oltre che spesa di reddito per le
famiglie e fase del consumo diviene investimento e input per il processo produttivo.
Motivi della transizione verso il terziario
 automazione industriale;
 complessificazione del ciclo produttivo;
 crescita di importanza del capitale finanziario;
 maggiore infrastrutturazione materiale, sociale, economica;
 mutamenti nell’organizzazione del territorio.
I settori del terziario
 Commercio all’ingrosso e al dettaglio;
 Trasporto e magazzinaggio;
 Servizi di alloggio e ristorazione;
 Servizi di informazione e comunicazione;
 Finanza e assicurazioni;
 Attività immobiliari;
 Attività professionali, scientifiche e tecniche;
 Servizi di supporto alle imprese, noleggio e agenzie di viaggio;
 Amministrazione pubblica;
 Istruzione;
 Sanità e assistenza sociale;
 Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento;
 Altre attività dei servizi (sindacati e altre organizzazioni associative, riparazione di beni, altre
attività di servizi alla persona, servizi domestici).
Classificazione funzionale del terziario:
 Servizi per le famiglie;
 Servizi per la collettività;
 Servizi per le imprese;
 Servizi quaternari.
I servizi per le famiglie
Tali servizi si presentano come variabile dipendente del reddito disponibile e quindi dello sviluppo
economico raggiunto. Si concentrano nei luoghi più densamente abitati, dove la possibilità di spesa della
popolazione è maggiore oppure nelle aree più ricche. Fanno eccezione a questo schema i servizi delle aree
turistiche che sono anche localizzati, soprattutto nei paesi sviluppati, in posizione periferica rispetto alle
grandi aree urbane.
Tendenze in atto nel commercio
 Sostituzione del piccolo commercio poco specializzato da parte della grande distribuzione
(concentrazione finanziaria, tendenza all’one-stop shop);
 Commercio di beni voluttuari, servizi per la persona, svago, il tempo libero, spesso frammentati e
non facilmente standardizzabile.
Strategia di indipendenza dalle attività. Dagli anni ‘30 si sviluppa il settore terziario vero e proprio, le
attività si vanno a specializzare. Negli anni ‘50 si definiscono i tre settori. Tutto ciò che non è agricoltura o
industria è terziario.
Uno che risponde al mantenimento: il commercio ha una grande diffusione, non evolverà come il boom del
commercio elettronico. Altri si sviluppano in sintonia con l’industria, con le attività economiche più
vendute: settore più sofisticato, professionisti prima, ora tecnologie informatiche. C’è un settore molto
denso, resta costante nel corso del tempo: ci saranno sempre i negozi alimentari perché mangeremo
sempre.
I servizi per la collettività
Rappresentano i servizi gestiti dalla Pubblica Amministrazione (e a volte da privati in accordo con essa) che
sono destinati a soddisfare gli interessi della collettività nel suo insieme, oltre che quelli del singolo utente.
I servizi per la collettività sono un importante indicatore dello sviluppo economico di un paese: trasporti
pubblici, servizi scolastici, sanitari, culturali, sono un prerequisito fondamentale della crescita di tutto il
sistema. La localizzazione dei servizi per la collettività dipende in larga misura dalla distribuzione della
popolazione ma, a differenza dei servizi per le famiglie, non è necessariamente legata alle possibilità
individuali di spesa.
Lo Stato può fornire questi servizi a prezzi politici o anche gratuitamente quando risultano necessari per un
equilibrato sviluppo economico e sociale della collettività.
Le scelte localizzative dei servizi per la collettività
Spesso le politiche di localizzazione dei servizi collettivi sono conseguenza dei processi economici invece di
precederli e guidarli. Ciò significa che per le nuove localizzazioni sono quelle già sviluppate e che
importante fattore di localizzazione risulta quindi essere, insieme alla distribuzione della popolazione e alla
disponibilità di reddito, la presenza di imprese che possano utilizzare i vantaggi diretti o indiretti del servizio
collettivo.
I servizi per le imprese
Presenti in modo massiccio solamente nei paesi economicamente avanzati i servizi per le imprese non
intervengono nella fase di consumo finale, ma in fasi precedenti del ciclo produttivo. Possono essere
venduti da imprese private o forniti dallo Stato o da sue agenzie. La loro crescita è connessa con la
crescente complessità del ciclo produttivo e lo sviluppo dell’intera economia, ma anche con la crescita
dimensionale delle singole imprese.
Classificazione dei servizi per le imprese
Si distinguono servizi:
 tradizionali (contabilità, trasporto, distribuzione, ecc.);
 innovativi (ricerca e sviluppo, ricerche di mercato, ecc.).
Altra distinzione dei servizi per le imprese:
 espliciti (prodotti all’esterno rispetto alle imprese che li utilizzano);
 impliciti (prodotti internamente all’unità produttiva e non diretti per uso esterno).
Se un’azienda ha bisogno di marketing conviene che abbia una propria organizzazione interna, hanno un
costo elevato per il mantenimento. Una volta implicizzati devono continuare a lavorare. In una piccola
azienda mi posso affidare a un professionista esterno, il costo è inferiore e i servizi sono espliciti, ma non la
continuità. Alcuni impliciti come i trasporti, dei riferimenti a valle, diagonali che servono in diversi punti
della localizzazione.
Servizi per le imprese impliciti
 Gestione e amministrazione;
 Attività commerciale;
 Attività informativa;
 Servizi generali;
 Trasporti.
Articolazione dei servizi nel sistema di produzione
PRODUZIONE:
 gestione della produzione e del personale;
 gestione degli stock
 ricerca e sviluppo;
 applicazioni tecnologiche;
 pianificazione;
 ricerca e trattamento dati;
 trasporto;
 assicurazioni;
 banche
 marketing;
 vendite;
 pubbliche relazioni;
 promozione;
 servizi dopo la vendita
Localizzazione terziaria
Le attività terziarie hanno di regola una localizzazione centrale che coincide con i centri storici delle aree
urbane o con le grandi arterie del traffico. Fanno eccezione i servizi più banali, diffusi anche nei piccoli
centri; quelli turistici localizzati pure in posizione periferica, così come una parte delle infrastrutture per i
trasporti. All’interno delle grandi aree urbane vi è stato di recente un abbandono delle posizioni centrali da
parte di alcune attività terziarie, soprattutto a causa dell’esiguità dello spazio a disposizione nei centri
storici, del costo che questo spazio comporta e della necessità di avere un accesso agevole al servizio.
Il raggio dell’utenza
Per interpretare la distribuzione geografica dei servizi occorre tener conto del raggio geografico dell’utenza.
Sotto questo aspetto si distinguono tre categorie di servizi:
 Servizi comuni (o banali, o diffusi).
Sono quelli a cui accede con frequenza giornaliera o settimanale buona parte delle famiglie e/o
imprese.
 Servizi di livello medio.
Sono quelli a cui la maggior parte delle famiglie o delle imprese accede con frequenza da mensile
ad annuale, oppure quelli a cui accede solo una parte della popolazione.
 Servizi rari.
Sono quelli a cui si ricorre eccezionalmente o che sono rivolte a categorie molto specializzate di
utenti. A questa categoria di servizi è possibile assimilare le attività quaternarie, in quanto molto
rare e poco diffuse sul territorio.
La gerarchizzazione dello spazio delle attività terziarie
Le attività terziarie tendono a distribuirsi sul territorio secondo una logica gerarchica.
Alla sommità della gerarchia si pongono i centri che posseggono il maggior numero di attività del settore
quaternario oppure i servizi del settore terziario superiore più specializzati e strategici.
Alla base della gerarchia vi sono i centri provvisti pressoché esclusivamente di un terziario di tipo comune.
L’insieme delle funzioni di un centro determina quindi la sua posizione nella scala gerarchica del terziario
all’interno di una regione o a scala mondiale di uno Stato.
La posizione gerarchica di un centro non corrisponde alla quantità di popolazione residente, ma alle funzioni
terziarie di diverso livello che vi si esercitano.
La gerarchizzazione delle attività terziarie e il ruolo delle politiche territoriali
L’organizzazione gerarchica dei centri, che dipende dalla localizzazione spontanea delle attività terziarie,
può essere modificata o indirizzata dalla politica territoriale dello Stato (o di altri enti pubblici decisori).
Nelle economie di mercato lo Stato interviene con proprie scelte localizzative, decidendo la distribuzione
di alcune attività terziarie gestite dalla Pubblica Amministrazione o indirizzando le scelte dei privati. Con
tali interventi è possibile limitare la concentrazione di un numero eccessivo di attività terziarie nella stessa
zona.
Il modello di Christaller
Lo spazio gerarchico è stato formalizzato in un modello da Walter Christaller. Oggetto di studio è la
localizzazione dei servizi rivolti alle famiglie. Il modello delle località centrali spiega la distribuzione
geografica delle città in funzione dell’offerta di servizi alla popolazione del territorio circostante.
I presupposti del modello di Christaller
Christaller parte da un modello teorico con alcune caratteristiche peculiari:
 territorio isomorfo e isotropo (pianura geometrica, equa distribuzione di popolazione e trasporti);
 sistema di mercato di concorrenza perfetta;
 località centrali (che offrono beni e servizi per il territorio circostante).
I concetti di soglia, di portata e di prezzo effettivo
 Soglia: la distanza corrispondente al numero di utenti minimo necessario perché i fornitori di beni o
di servizi operino in modo da coprire i costi di produzione o di vendita e ottenere eventualmente un
margine di profitto;
 Portata: la distanza massima che un utente è disposto a percorrere per accedere a un bene o a un
servizio offerti da una località centrale, oppure, dal punto di vista del venditore, il raggio dell’area di
mercato massima all’interno della quale egli sarà in grado di attrarre i consumatori;
 Prezzo effettivo: il prezzo stabilito al mercato più i costi di trasporto che il consumatore deve
sostenere per recarsi al punto di vendita.
La gerarchia dei servizi
I beni e i servizi sono ordinati gerarchicamente in base alla soglia: si definiscono funzioni centrali di ordine
elevato quelle che presentano una soglia elevata e che richiedono un’area di mercato estesa. L’offerta di un
bene o un servizio si potrà così localizzare nella località centrale se il volume della domanda è almeno
uguale alla soglia di quel bene o servizio e quindi ogni bene o servizio si localizzerà là dove la sua funzione è
ottimizzata, ossia laddove la soglia è contenuta nel raggio della portata.
Le evoluzioni
Quando l’industria ha cominciato a svilupparsi è accaduto accanto alle macchine meccaniche. Si è innestata
l’elettronica: per facilitare i processi dell’industria hanno avuto meno necessità del personale, ma di
rendere ottimali i processi produttivi delle fabbriche. I costi della manodopera potevano essere ottimizzati
per il marketing. La gran parte della popolazione è impiegata nell’agricoltura. Gran parte della manodopera
agricola si sposta sulle attività industriali, migrazioni dal Sud a Nord Italia. Quando la fabbrica non necessità
più manodopera la popolazione comincia ad avere un’istruzione più elevata, richieste nel terziario
specializzato.
Il terziario necessita di strutture non molto cariche di forza lavoro, è minore rispetto al settore
dell’industria. In molti paesi una delle cause devono fronteggiare una maggiore disoccupazione. Fra le aree
del terziario c’è quella degli investimenti, hanno un predominio globale, come le società di comunicazione.
Alcune attività del terziario hanno una rilevanza strategica forte.
La classificazione funzionale del terziario
Servizi per le famiglie si sviluppano per tutta la collettività, hanno 2 parametri: la densità di popolazione, il
reddito disponibile. La distribuzione di un alimentare è diffusa in tutte le parti del mondo, non come la
gioielleria. I servizi nelle aree turistiche sono pagati dalla comunità che viene da fuori: beni di estremo
lusso, persone più ricche disposte a pagare di più. Le vie del centro storico diventano più congestionate,
meno tempo libero, la spesa si concentra nel fine settimana. Le piccole botteghe tendono a scomparire e si
creano grandi spazi commerciali: si fa la spesa in una sola volta andando in tutti i negozi, si ottimizzano i
tempi di approvvigionamento. I beni effimeri, non di quotidiano utilizzo, tendono a concentrarsi nel centro
storico: clasterizzazioni.
La scelta per localizzare le attività riguarda la popolazione residente. È un criterio relativamente semplice,
ma può essere superato. L’istruzione nei quartieri periferici in modo da avere un presidio della cultura.
L’idea è quella di capire dove localizzare: l’accessibilità del servizio offerto.
Brasilia è la capitale in Brasile, ma non è importante quanto Rio de Janeiro. Negli stati uniti le città più
rilevanti non sono le capitali.
La proiezione sul territorio dei coni di domanda
Teoricamente ogni Località centrale dispone di un’area commerciale di forma circolare ma “spazi vuoti”
non serviti.
La tendenza nella distribuzione/fornitura dei vari servizi sarà, secondo Christaller, quella di coprire il
mercato il più possibile tanto che le varie aree di mercato finiranno con il sovrapporsi e con lo spartirsi
“equamente” gli spazi residui.
L’ottimizzazione degli spazi
Al fine di poter ottimizzare gli spazi interstiziali e non creare sovrapposizioni le località centrali si
suddivideranno le aree interstiziali, creando degli esagoni sul territorio.
La teoria delle località centrali: la logica
Per ogni centro di ordine superiore esiste, in cascata, una pluralità di centri di ordine inferiore, fino al livello
più basso, corrispondente al villaggio, di cui esiste il numero più elevato, ed in cui si producono beni di più
limitata portata. Per Christaller esistono tre condizioni che vincolano l’assetto localizzativo delle città
determinandone l’ottima disposizione.
Queste condizioni sono i principi ordinatori:
 il vincolo del mercato,
 il vincolo del traffico,
 il vincolo della amministrazione politica.
La teoria delle località centrali: Il vincolo del mercato
Si consideri una località centrale C che produce un bene 1 di un determinato ordine r1 La distribuzione delle
aree di mercato corrisponderà ad una struttura a nido d’ape, con i centri C al centro degli esagoni. Si
consideri la produzione in C del bene 2 di ordine inferiore r2< r1. Ampie porzioni di territorio restano
scoperte dall’accesso al bene 2; è necessaria la localizzazione di una nuova località centrale. E così via con il
bene 3, con il bene 4.
Il principio del mercato secondo Christaller
Ogni centro di rango maggiore (C) cercherà di accaparrarsi l’area di mercato dei centri di ordine inferiore.
I centri circostanti tenteranno anche loro di ottenere la nuova area di mercato, pertanto gli esagoni si
disegneranno in modo che il centro di ordine inferiore (C2) sia posto all’angolo di ogni area esagonale di
influenza del centro maggiore.
In tal modo i tre centri maggiori saranno tutti e tre equidistanti dal centro di ordine inferiore, per cui lo
stesso potrà scegliere indifferentemente uno dei tre, così da ottimizzare le possibilità di scelta.
Pertanto, ogni centro di rango superiore dominerà sulla propria area esagonale e su 1/3 di quelle di ordine
inferiore.
Pertanto, il principio del mercato sarà
k=3 (1 centro di ordine C + 6/3 di centri di ordine C2)
ossia ogni centro di rango maggiore (C) avrà influenza su tre centri di rango immediatamente inferiore (C2)
su nove di rango ancora inferiore (C3).
La teoria delle località centrali: il vincolo del traffico
L’ottimale localizzazione dei centri, rispettando il vincolo del traffico, comporta la localizzazione in
corrispondenza del punto intermedio fra due centri di ordine superiore.
La teoria delle località centrali: il vincolo della amministrazione pubblica
L’ottimale localizzazione dei centri, rispettando il vincolo della amministrazione pubblica, comporta per
ogni centro una localizzazione tale che la regione complementare sia interamente compresa entro quella
del centro di ordine superiore.
Il principio dell’amministrazione pubblica secondo Christaller
Per ottimizzare l’azione dell’amministrazione pubblica nel centro maggiore C e ottimizzare anche i costi
della stessa, ogni centro dovrà poter avere potestà sul maggiore numero di centri di rango
immediatamente inferiore.
k=7 (1 centro di ordine C + 6 di centri di ordine C2) ossia ogni centro di rango maggiore (C) avrà influenza su
sei centri di rango immediatamente inferiore (C2) su trentasei di rango ancora inferiore (C3).
Il modello di Lösch
Lösch (1940) ha esaminato lo stesso problema giungendo a soluzioni più realistiche. Egli ritiene che le aree
di mercato individuate da Christaller siano solo le più piccole di una serie infinita. Per sviluppare una rete
composita di località centrali, tutte le possibili reti esagonali vengono sovrapposte in modo che abbiano
tutte almeno un centro in comune: la metropoli. Attorno a questo perno le reti sono poi ruotate in modo
tale che i centri produttivi si dispongano il più vicino possibile tra loro e in gruppi lineari che si ricollegano
alla nozione del principio del traffico. In tal modo il modello presenta sei settori radiali altamente produttivi
e sei settori con pochi centri di produzione. L’elemento base su cui si impronta tale assetto è il principio del
minimo sforzo, elemento base dell’organizzazione umana.
I servizi alle imprese
Lo sviluppo dei servizi deriva soprattutto dall’andamento generale dell’economia e quindi dalla crescita dei
servizi alle imprese piuttosto che da quelli per le famiglie. Questi ultimi dipendono dall’incremento del
reddito a disposizione ma non paiono svolgere un ruolo di motore dello sviluppo, se non come elementi
importanti per la creazione di ambienti di vita di buona qualità, condizione necessaria ma non centrale per
la localizzazione e la crescita delle imprese e soprattutto condizione piuttosto diffusa nei contesti territoriali
economicamente più evoluti. Semmai sono i servizi collettivi di livello più elevato o strategici (università,
reti telematiche, ecc.) a svolgere un ruolo trainante per lo sviluppo economico.
Tale sistema prevede una distribuzione gerarchica più continua di centri, ma, a differenza del modello
christalleriano, città della stessa grandezza possono espletare funzioni economiche assai diverse.
Fattori di localizzazione dei servizi alle imprese:
 il livello del centro nella gerarchia urbana;
 il tipo di funzioni svolte dal centro urbano e la sua «qualità ambientale» (naturale, sociale,
culturale, politica, …);
 le economie esterne di agglomerazione, in particolare:
 qualità e specializzazione della forza lavoro;
 presenza di infrastrutture sia per gli occupati sia per le imprese;
 rapporti input-output con le imprese sia nel settore industriale che terziario;
 contatti con la Pubblica Amministrazione.
 il valore del suolo;
 l’intervento pubblico.
I processi spaziali recenti
Nelle aree metropolitane la concentrazione di attività industriali e terziario ha trovato un limite nei costi di
insediamento, congestione urbana ed ecologici. I benefici derivanti dalla localizzazione centrale possono
trasformarsi in costi eccessivi (diseconomie) nel momento in cui i suddetti limiti agiscono in maniera
significativa rendendo così convenienti altre localizzazioni.
Il decentramento delle attività terziarie e industriali dalle metropoli verso aree esterne e centri minori ha
avuto tra le sue conseguenze il rallentamento della crescita demografica nelle grandi città e la stasi del
processo di emigrazione della manodopera verso di esse. Questo processo detto anche di contro
urbanizzazione si svolge in modo selettivo e non pregiudica il ruolo di centralità dell’area metropolitana,
pur contribuendo però a diffondere e diversificare lo sviluppo economico.
Non sono in genere oggetto di depolarizzazione le attività quaternarie e i servizi del terziario superiore più
strategici, che restano localizzati nel centro principale e alimentano un processo di accentramento selettivo
di livello elevato.
Il quaternario
Nella divisione funzionale del settore terziario si definisce «quaternario» tutte le attività di comando,
decisione, pianificazione e controllo a livello politico, sociale, economico e culturale. Esso comprende le
sedi decisionali superiori della Pubblica Amministrazione, del governo politico, del potere militare, dei
grandi partiti, e sindacati; le principali istituzioni finanziarie e di mercato come le banche centrali e le Borse;
le sedi centrali delle grandi imprese e dei principali istituti di credito; i centri che si occupano della ricerca di
base nei settori tecnologici avanzati, dell’informazione e dell’orientamento culturale e ideologico, come le
principali università, la direzione dei mass media, i grandi centri della cultura religiosa.
Tutti questi centri di potere sono caratterizzati da fitti rapporti di interrelazione fra loro, pertanto la
localizzazione delle singole attività quaternarie non dipenda solo dalla presenza delle attività che esse
dirigono o coordinano, ma anche dalla presenza delle altre attività di comando, con cui si hanno strette
relazioni. Questo meccanismo di localizzazione fa sì che le attività quaternarie si concentrino in pochissime
grandi metropoli, sia su scala nazionale che internazionale.
Le tecnopoli
Tra i centri collocati al vertice della gerarchia metropolitana mondiale e che si ascrivono tra quelli in cui
l’attività quaternaria è prevalente vi sono anche i centri in cui la produzione scientifica assume caratteri
fortemente innovativi. Si tratta delle tecnopoli (chiamate anche poli tecnologici, tecnocity, parchi
scientifici), ove interagiscono la ricerca scientifica e l’industria con lo scopo di diffondere l’innovazione
tecnologica, applicarla alla produzione (ricerca applicata), o talvolta anche per sviluppare ricerche non
immediatamente applicabili ai processi produttivi (ricerca pura).
In queste città della ricerca sono localizzati istituti di ricerca, università e laboratori scientifici che ricevono
finanziamenti sia dalle industrie private sia dallo Stato, oppure che agiscono con capitali prevalentemente
pubblici. La localizzazione nella periferia o nelle immediate vicinanze di una città globale è dettata
dall’esigenza di mantenere una vicinanza fisica tra ricerca, industria e servizi e anche di favorire fenomeni di
collaborazione. È anche dettata dall’esigenza di decentrare all’esterno della metropoli una serie di attività
che hanno necessità di ampio spazio localizzativo. La localizzazione della tecnopoli può avvenire anche
lontano dai centri economici più importanti, con lo scopo di fungere da fattore di sviluppo in un’area in
ritardo
Caratteristiche delle tecnopoli
 presenza di un elevato potenziale scientifico;
 sinergia ricerca-industria;
 forte disponibilità di capitale da investire in attività innovative e di organizzazioni finanziarie adatte;
 organizzazione d’impresa flessibile e poco burocratica;
 clima culturale favorevole all’innovazione;
 efficiente rete infrastrutturale;
 presenza di elevato livello di qualità della vita.
Ambiente e sviluppo
Un ecosistema è l’insieme degli esseri viventi e dei fattori chimico-fisici all’interno di un ambiente, che
interagiscono tra di loro, attraverso una serie di legami, alcuni dei quali costituiscono dei cicli di
feedback.
ECOSISTEMA E HABITAT
Eco deriva da casa. Spesso viene chiamato habitat, ambiente in cui vive in un particolare animale, ma
anche per gli esseri umani. Tutto va rapportato alla specie studiata, come gli altri elementi sono collegati.
Una componente abiotica, rocce e terreno, una vivente biotica. La prima interazione è fra le prime
componenti. L’origine del termine si deve al naturalista del Settecento Carlo Linneo.
Le componenti dell’ecosistema
In un ecosistema distinguiamo soprattutto le due componenti principali:
 una non vivente (componente abiotica, biotopo);
 una vivente (componente biotica, biosfera, biocenosi).
Le interazioni fra i componenti dell’ecosistema
Lo scambio di materia fra le due componenti è reso possibile da processi ciclici biogeochimici (o
biogeodinamici), quali il ciclo dell’acqua, il ciclo dell’azoto, il ciclo del carbonio. In tali cicli l’energia solare
viene trasformata in materia vivente tramite le piante, vengono assunte sostanze energetiche dal suolo,
dall’aria e dall’acqua e ceduta energia e sostanze organiche agli animali, al suolo e all’acqua.
L’equilibrio dell’ecosistema
La capacità di carico di un ecosistema: capacità massima di individui predatori rispetto alle altre
componenti dell’ecosistema. Negli ecosistemi umani gli individui con maggiore capacità predatoria devono
essere in quantità tale da non consumare eccessivamente gli altri elementi dell’ecosistema.
Quando lo stress sulla capacità di carico è eccessivo si devono trovare altre soluzioni. Tutto il pianeta è
considerato come un grande ecosistema. Le risorse petrolifere non sono infinite, capire a livello globale se
l’ecosistema mondo è in grado di sopportare il carico da parte degli umani. La capacità di carico non è
legata a fattori contingenti, ma alla capacità degli elementi del sistema di mantenere l’equilibrio.
L’ecosistema mondo
Dagli anni 60-70 si conciliano ecologia e economia.
Alla scala globale è possibile trovare l’ecosistema mondo, al cui interno la componente naturale interagisce
con le componenti sociali ed economiche, che fanno parte del sistema naturale come componente vivente,
ma possono essere distinte come parte di un sub-sistema specifico all’interno di esso.
Ecologia ed economia (che, non a caso, hanno in comune la radice oikos, “casa” o “luogo in cui vivere”) non
possono essere distinte e studiate separatamente e assumono, viste sotto questa luce, una importanza
sempre maggiore nella definizione e nel tentativo di soluzione della questione ambientale, intesa come
rapporto squilibrato tra sistema naturale e sistema socioeconomico.
Il modello di Malcevcshi
Nel modello Malcevschi prova a semplificare le singole componenti dell’ambiente: aria acqua suolo e gli
elementi dell’antropizzazione. Le singole componenti dell’ambiente sono separate in insiemi fisicamente
distinguibili. Queste unità costituiscono l’ambiente complessivo.
Le variabili dell’ambiente
 gli elementi costitutivi del sistema ambientale;
 l’esistenza o meno di un centro del sistema di relazioni, che funzioni come parametro costante
rispetto a cui valutare le relazioni delle altre variabili;
 l’esistenza o meno di filtri percettivi.
Le componenti ambientali sono quelle fisiche abiotiche, la popolazione umana e gli organismi viventi e i
manufatti. Si tratta di un ambiente oggettivo.
L’habitat
L’habitat esprime la posizione di una certa specie, uomo incluso, all’interno del contesto ambientale in
cui essa vive: l’attenzione viene posta sui fattori esterni descritti in termini tecnico-scientifici.
L’ecosistema
L’ecosistema designa una rete di relazioni che non presuppone un centro, ponendo tutti gli elementi sullo
stesso livello, e focalizzando l’attenzione sui flussi di materia ed energia che legano le diverse componenti.
Gli esseri umani sono una componente importante con le interrelazioni fra gli elementi.
Il territorio
Il territorio esprime un sistema ambientale governato da un dato soggetto e presuppone pertanto un
centro del sistema di relazioni. Questo centro è il soggetto che governa e può rappresentare l’intera
società. Gli esseri umani lo governano e impongono un proprio percorso di sviluppo.
La natura
Il concetto di natura è relativo al modo in cui il mondo esterno all’uomo (animale, vegetale e minerale)
viene percepito da un soggetto culturale. Si sono create diverse aree protette per eliminare l’incidenza
umana.
Il paesaggio
Il paesaggio indica il modo in cui un dato ambiente, fisicamente riconoscibili, viene percepito da un dato
soggetto culturale, mentre con il concetto di ambiente soggettivo (o ambiente vissuto) vengono
considerate le modalità con cui i singoli individui percepiscono l’ambiente esterno.
La questione ambientale
È possibile rilevare come all’origine di molti problemi ambientali sia rinvenibile una concezione di ambiente
inteso soprattutto come habitat dell’uomo, prescindendo cioè dalle catene di relazioni sistemiche che
legano le varie componenti dell’ambiente.
L’ipotesi Gaia
Un’ipotesi molto suggestiva, che poggia su una solida base scientifica vede il mondo non come ecosistema
diviso in due componenti, una abiotica e una vivente, ma come esso stesso un organismo vivente.
A partire dal 1800 l’ecosistema è fatto da luoghi dove gli esseri umani dovevano avere le migliori condizioni
possibili: l’ipotesi Gaia. Dopo un periodo di grande sviluppo industriale le due guerre mondiali lo
convertono in sforzo bellico. Ci fu un forte sviluppo industriale e forte incremento dell’inquinamento.
Alcune persone riflettono sul fatto che lo sviluppo stesse crescendo in maniera eccessiva. Non è un
approccio scientifico, ma ha fatto muovere le coscienze delle persone. Immaginando il pianeta terra come
un unico essere vivente, Gaia è la dea della terra, riesce a sistemare gli elementi disallineati. Ha la proprietà
dell’omeostasi, auto equilibrio. Gli esseri umani hanno attuato un processo di rottura degli equilibri di Gaia
sempre più rapidi, nel naturale processo di omeostati non riesce a far fronte al disequilibrio.
L’inquinamento e Gaia
Si desume che, grazie alle sue qualità omeostatiche, anche azioni di rottura dell’equilibrio operate
dall’uomo verrebbero riportate alla normalità, sempre nell’ottica del mantenimento delle condizioni ideali
di vita sulla Terra. Questa teoria non sta ad affermare che l’uomo può permettersi qualsiasi azione di
rottura dell’ecosistema.
Il nostro sistema terra è chiuso. Si può considerare il sistema terra come un sistema globale finito, in cui gli
unici apporti esterni sono quelli dell’energia solare, la quale solo in minima parte può sostituire le altre
fonti di energia. Lovelock mette l’indice sul fatto che la terra sia un sistema finito. I guasti ambientali
provocati dall’uomo stanno limitando la capacità di Gaia ad autoregolarsi, così da essere necessario
preservare alcune aree del pianeta per il particolare ruolo che svolgono nel controllo della Terra e delle sue
capacità di autoregolazione.
Tecnocentrismo ed ecocentrismo
Il dibattito su una concezione di sviluppo incentrato sul mero benessere economico e benessere dell’uomo
inteso in un’accezione in cui si prendano in considerazione altri aspetti oltre che quello industriale e
tecnologico, si è trasferito nell’ambito delle politiche ambientali tra tecnocentrismo e ecocentrismo.
 Il tecnocentrismo è razionalista: regolazione, gestione e utilizzo razionali sono le modalità che
contraddistinguono il rapportarsi all’ambiente.
 L’ecocentrismo esprime le posizioni più radicali e utopistiche, con una visione conservativa della
relazione società-natura.
Gli esseri umani hanno superato tutti gli ostacoli tranne il proprio ingegno, massima fiducia nell’espansione
naturale senza pensare alle conseguenze ambientali. Bisogna ritornare a società basate sulla natura, idea
utopistica. Alla fine degli anni 60 fu forte il rifiuto alla tecnologia per le comunità hippie.
L’approvvigionamento delle risorse
Popolazione e beni prodotti consumano energia e risorse – rinnovabili e non rinnovabili – cedendo calore e
producendo rifiuti, i quali solo in piccola parte sono riciclati. Molte risorse rischiano di esaurirsi in tempi
brevi, creando problemi di approvvigionamento futuro, viene superata la capacità di carico, definibile come
la quantità massima di beni che è possibile produrre o come la quantità di popolazione che è possibile
sostenere con le risorse a propria disposizione, senza che vi sia una diminuzione della produttività delle
risorse o della quantità delle risorse stesse.
Risorse rinnovabili e non rinnovabili
Le risorse naturali possono essere classificate in vario modo, ma la distinzione che maggiormente ci
interessa è quella tra risorse non rinnovabili, le quali consistono di quantità finite di materiale (carbone,
petrolio), e le risorse rinnovabili.
 Le risorse non rinnovabili o non si riformano o si formano tanto lentamente che, da un punto di
vista umano, è necessario considerare limitata la loro disponibilità.
 Le risorse rinnovabili sono le risorse ricorrenti, ma variabili nel tempo. Molte delle risorse che
appaiono come rinnovabili, però, non sono effettivamente tali, in quanto i tempi di rinnovamento
sono molto lunghi.
Riserve e risorse
 Per risorse si intende il totale delle materie prime (minerarie) accertate o non accertate, ma che si
ritiene possibile sfruttare economicamente e tecnicamente anche in futuro.
 Per riserve si intende solo quella parte di risorse misurate, stimate e possibili, sfruttabili
economicamente nel momento attuale.
Si sa di avere una certa risorsa, ma può essere o immediatamente utilizzabile. Il petrolio se è troppo in
profondità, o come il carbone, il prodotto non è più di ottima qualità, non viene trasformato in riserva.
Una stima dello sfruttamento del petrolio a partire dagli anni 50-60 stimava che con un ritmo forte di
crescita si sarebbe arrivati ad un crollo del petrolio all’inizio del 2000. L’andamento non è erroneo, se
continua l’eccessivo sfruttamento ci sarà qualche discesa drammatica dell’uso del petrolio.
La teoria di Boulding
Nel 1966, l’economista K. Boulding, riferendosi alla scarsità di risorse, affermò che era necessario fornirsi di
principi economici alquanto differenti da quelli della terra aperta del passato e, utilizzando una efficace
immagine, aggiunse che era giunto il momento di passare dall’economia del cowboy a quella della
navicella spaziale.
La teoria sul consumismo
L’economia del cowboy rappresenta un’economia basata sul consumo senza limiti delle risorse.
Nell’economia del cowboy, il consumo è guardato come una cosa positiva; il successo dell’economia è
misurato dall’ammontare del risultato dei fattori della produzione, utilizzando senza limiti le riserve di
materie prime e depositando le scorie e i rifiuti dovunque si voglia.
Teoria dell’economia di frontiera
Alla base di questa posizione risiede una fiducia nel progresso tecnologico pressoché infinita di sostituzione
di risorse scarse, grazie al funzionamento del mercato che si autoregola sulla base dei prezzi. Non vi sono
limiti all’ingegnosità umana nel trovare sempre nuove soluzioni ai problemi ambientali man mano che si
presentano, così come non vi sono limiti alla capacità della natura di fornire le sue ricchezze per l’attività
dell’uomo e alla sua resilienza, ovvero nella capacità di continuare a funzionare come ricettacolo dei residui
del circuito economico e sociale.
Si cerca di andare verso la resilienza: la natura mostra i mutamenti estremi da parte degli esseri umani, ma
si rigenera sempre, anche all’infinito. Gli umani in una prima fase tendono a sfruttare di più, quando si avrà
un certo benessere una parte del benessere acquisito può essere destinato a sanare i guasti nel tempo.
La deep ecology
La posizione opposta, per molti versi una reazione alle chiusure rispetto alla questione ambientale da parte
dell’approccio tecnocentrico, è rappresentata dalla deep ecology, caratterizzata da un ampio ventaglio di
posizioni piuttosto articolato: atteggiamento conservativo della natura, si cercano dei rimedi rispetto a
quelle dello sviluppo umano.
Il mantenimento delle risorse
Boulding propone allora l’economia della navicella spaziale la produzione con utilizzazione di nuove risorse
è da minimizzare, piuttosto che da massimizzare; le risorse sono in quantità finite ed è necessario limitare
gli sprechi e riutilizzare gli scarti dei processi produttivi e del consumo. Abbiamo delle risorse limitate sulla
terra. Bisogna limitare gli sprechi, riutilizzare gli scarti produttivi del consumo.
Modelli alternativi di sviluppo
Alla base si trova un’ideologia dello sviluppo economico fondato su modelli alternativi (decentralizzati, non
orientati alla crescita, basati sulle diversità culturali e su tecnologie alternative a quelle convenzionali),
ipotizzando percorsi di sviluppo in armonia con la natura (antigrowth utopia) e lo sviluppo autocentrato
(self-reliance). I più estremi sono Etiopia. Ci sono state comunità che hanno avuto un ritorno all’800. È una
soluzione estrema. Lo sviluppo autocentrato con le produzione marginale degli orti urbani. La produzione a
costo zero favorisce l’impatto sul pianeta.
Lo sviluppo sostenibile
Il concetto di sviluppo sostenibile è stato proposto a livello internazionale dalla World Commission on
Environment and Development (WCED), meglio noto come rapporto Brundtland.
A esso si deve la più conosciuta definizione di sviluppo sostenibile.
Uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future
di soddisfare i propri.
Crescita e sviluppo
Si è dunque visto come una distinzione ormai consolidata all’interno del dibattito teorico sia quella tra
crescita e sviluppo. Se la crescita è un concetto sostanzialmente quantitativo, misurabile tipicamente
attraverso l’indicatore reddito pro capite, il termine sviluppo è invece riservato a trasformazioni di tipo
qualitativo non solo dell’economia ma di tutti gli aspetti della sfera sociale.
Il concetto di sviluppo sostenibile ha una doppia valenza, intragenerazionale e intergenerazionale in
prospettiva futura. Si parla di bisogni essenziali, l’abitazione, la salute, l’istruzione e la corretta
alimentazione.
Sostenibiltà e benessere
Il concetto di sostenibilità può essere riferito ai livelli di utilità e/o di benessere; ciò che deve essere
assicurato è almeno un pari livello di benessere, di cui fanno parte elementi quantitativi, ma anche
qualitativi. Lo stesso benessere potrebbe essere quindi ottenuto anche con minori livelli di consumo
materiale (attraverso il processo di dematerializzazione). Sostenibilità, riequilibrio all’interno della terra. La
tecnologia, per quanto migliori possibili, e le forze politiche non riescono a garantire ciò. Crescita è un
qualcosa di sviluppo, il pro capite. Le risorse vengono sfruttate al massimo.
Sostenibilità e ambiente
La sostenibilità può riguardare la conservazione del capitale naturale: in tal caso ciò che non deve diminuire
è il patrimonio disponibile di risorse naturali. Mentre nei primi due casi la stabilità del benessere può essere
assicurata anche con sostituzioni fra disponibilità di risorse naturali e di beni prodotti, la terza definizione
sottolinea la necessità di trasmettere alle generazioni future lo stock attuale di risorse naturali: ogni
consumo dovrebbe essere rimpiazzato da altre risorse che svolgano almeno la stessa funzione.
Utilizzo delle risorse rinnovabili
Poiché le risorse non rinnovabili non possono essere ricostituite, occorre che ne venga ridotto al minimo il
consumo netto (tramite il riciclaggio e il risparmio) e che vengano trovati dei sostituti, preferibilmente
rinnovabili. Per quanto riguarda le risorse rinnovabili, il loro uso non deve mettere in questione la loro
utilizzabilità futura: deve cioè avvenire entro le capacità di autorigenerazione dell’ambiente.
Bisogna vedere qual è il giorno in cui finiscono le risorse tramite calcoli importanti. Si sfruttano delle risorse
necessari per gli anni futuri. Ci bastano per un tot di tempo, ma poi si va ad utilizzare risorse necessari in
mesi futuri. Fino agli 70 l’incidenza con lo sfruttamento non era sfruttata come lo è diventato ora. Nel 2019
si aveva una situazione simile fino alla fine di luglio. Con la pandemia si è attutito questo impatto.
 La «United Nations Millennium Declaration»
Da questa dichiarazione di principi, sono stati estrapolati gli obiettivi di sviluppo del millennio
(OSM) (Millennium Development Goals o MDG, o più semplicemente "Obiettivi del Millennio")
delle Nazioni Unite sono otto obiettivi che tutti i 193 stati membri dell'ONU si sono impegnati a
raggiungere per l'anno 2015.
Essi sono:
 sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo
 rendere universale l'istruzione primaria
 promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne
 ridurre la mortalità infantile
 migliorare la salute materna
 combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie
 garantire la sostenibilità ambientale
 sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la
prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17
Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma
d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile
ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15
anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030.

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