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GEOGRAFIA STORICA DEL MONDO ANTICO

Il termine greco géographia significa sia descrizione del mondo sia il disegno del mondo (cartografia). Il termine
geografia nella sua accezione moderna è stato coniato per la prima volta da Erastotene di Cirene nel III secolo a.C., un
personaggio che fu direttore della Biblioteca di Alessandria alla fine del III secolo a.C. e scrisse un’opera in tre volumi, la
Geografia, nei quali era descritta tutto l’ecumene allora conosciuto. Fin dall’antichità c’era la coscienza delle
trasformazioni geografiche avvenute nel tempo, l’approccio geografico è calato in una dimensione diacronica, per
questo si parla di geografia storica. C’è già la percezione del fatto che l’uomo può modificare lui stesso il paesaggio con
la sua azione, rapporto uomo e Terra. Ad occuparsi di geografia storica nell’Antichità sono prevalentemente gli storici.

IL MEDITERRANEO

L’INTERFACCIA TRA IL MARE E GLI SPAZI CONTINENTALI

Il Mediterraneo è lo spazio fisico nel quale sono sorte e si sono sviluppate le civiltà classiche; non solo quella greca e
romana ma anche le numerose altre che con esse si sono confrontate. Unitario e frammentario ad un tempo, infatti, il
Mediterraneo si presenta come lo spazio di comunicazione e contatto tra genti e culture diverse che nel corso dei secoli
si sono affacciate sulle sue acque.

LA DIMORA
Nell’ottica antica, le terre abitabili suddivise nei tre continenti si sviluppavano attorno al Mediterraneo, facendolo il
cuore dell’ecumene e la dimora dell’uomo. Il Mediterraneo è anche spazio di mito e di iniziazione.

DEFINIZIONE
Il Mediterraneo è stato definito dai greci come “mare interno” a partire dal VI secolo a.C., per distinguerlo dall’oceano
esterno, e viene definito “nostro mare” da Platone. Quest’ultima formulazione verrà trasmessa al mondo romano e da
Cesare in poi, l’espressione mare nostrum, verrà utilizzata a scopi propagandistici e politici e ne attesta l’appropriazione.
L’espressione nostrum mare procede a pari passo con la definizione orbis terrarum, ovvero il cerchio di terre attorno al
mare. Questa definizione territoriale incentrata sull’egemonia greco-romana termina con l’avvento del cristianesimo,
in cui tutto il creato appartiene a Dio.

DALLE COLONNE D’ERACLE AL FASI: UNA DESCRIZIONE FI SICA


Il Mediterraneo è stato fondamentale come via di comunicazione, per il trasporto di merce e lo scambio di idee. Il Mar
Mediterraneo è un mare chiuso di forma irregolare che comunica con l’Oceano Atlantico tramite lo stretto di Gibilterra.
Nella sua unità, il Mediterraneo si frammenta in una pluralità di mari e di spazi già percepiti nell’Antichità: il Mar
Adriatico (via privilegiata per l’accesso all’Europa centrale, posizione marginale fino all’età imperiale romana), il Ponto
Eusino, ovvero il Mar Nero (si apre sul Mediterraneo tramite lo stretto del Bosforo, il Mar di Marmara e lo stretto dei
Dardanelli, da accesso alle steppe euroasiatiche, bacino economico importante), il Tirreno (rotte importanti di scontro
tra Fenici, Greci, Etruschi, Romani e Punici), il Mar Ionio e il Mar Egeo. Ognuno di essi è in parte un territorio a sé stante,
con un proprio circuito di scambio, di traffico di uomini, di idee e di merci.

Il Mediterraneo ha un basso livello dell’acqua rispetto agli altri mari e oceani a causa della forte evaporazione che lo
rende anche più salino. La circolazione mediterranea è antioraria ed è causata dall’entrata delle acque fredde e meno
saline dell’oceano. Anche i venti sono irregolari e variabili, in estate predominano i venti da nord, mentre in inverno i
venti settentrionali si scontrano con le correnti d’aria atlantiche e sahariane. In inverno e in primavera si avverte l’azione
dei venti locali (bora, mistral, libeccio e scirocco).
Le civiltà mediterranee sono legate dalle essenze vegetali addomesticate, la cosiddetta triade mediterranea: grano,
ulivo e vite. Mentre il grano ha un’estensione più vasta, l’ulivo e la vite nel mondo antico si trovavano esclusivamente
lungo le coste.

ISOLE E ARCIPELAGHI, PROMONTORI E PENISOLE


Lo spazio dell’Egeo è frammentato in un coacervo di realtà locali, separate da monti e collegate da mari. Lunghe coste
frastagliate hanno influito sulla vita dell’uomo, sullo sviluppo e sulle forme di insediamento: ad ogni penisola segue una
rientranza, lo sbocco sul mare di un fiume, un approdo, un terreno coltivabile, una cava per la pietra, una foresta da
disboscare. A favorire l’avvento dell’organizzazione urbana nell’Egeo è la frammentazione territoriale e l’esistenza di
cellule isolate e autonome. Nella prima fase di colonizzazione greca, tra il IX e l’VIII secolo a.C., ma anche dai primi
scambi commerciale micenei, il mare è Pontos o pons, ovvero ponte, mezzo di collegamento.

L’AMBIENTE E LE RISORSE

Il rapporto tra uomo e ambiente in cui vive è particolarmente vario e complesso. Le potenzialità e le risorse offerte
dall’ambiente, oltre a mutare da regione a regione, sono oggetto di uno sfruttamento da parte dell’uomo che dipende
dalle competenze tecniche e dalle mutevoli esigenze dell’organizzazione sociale.

L’AMBIENTE NATURALE E L’UOMO


Le componenti ambientali influenzano e condizionano l’agire umano ma al tempo stesso ogni ambiente fisico-naturale
è a sua volta modificato dall’azione dell’uomo che si fa artefice (artifex). Rispetto all’azione dell’uomo, l’ambiente può
essere indicato come l’insieme delle risorse e delle potenzialità, che l’uomo può sfruttare a proprio vantaggio.

IL MARE: PESCA E COMMERCIO


La fauna ittica del Mediterraneo è limitata a causa della salinità e della temperatura dell’acqua. Vi erano comunque
delle aree particolarmente favorevoli alla pesca come la costa nord-africana e il Bosforo, oppure in prossimità dei delta
fluviali e delle lagune. La pesca più produttiva era quella del tonno. Questa pesca era già nota ai Fenici e ai Greci e
richiedeva lo sforzo di intere comunità. Il tonno veniva conservato attraverso la salagione. Gli impianti per la
conservazione e la lavorazione del pesce si trovavano a ridosso delle saline. La scarsa reddittività della pesca fa si che il
Mediterraneo sia soprattutto luogo funzionale alla comunicazione e al commercio. Attraverso la conoscenza del mare,
delle coste, delle costellazioni, dei venti e grazie alla realizzazione di navi più veloci, solide e grandi, l’uomo riuscì
progressivamente ad appropriarsi del mare, trasformandolo in un elemento di unione.

L’AGRICOLTURA
L’agricoltura nel mondo antico è la fonte essenziale di sostentamento, anche in Grecia, il cui suolo non offre molte
possibilità allo sfruttamento agricolo. Una regione rinomata nell’antichità per la sua fertilità era la Beozia. Per
aumentare lo spazio disponibile all’agricoltura occorre ricorrere a complessi interventi di disboscamento e di
terrazzamento. L’aumento della popolazione rappresentava un problema per il quantitativo delle risorse disponibili;
quindi, l’acquisizione del surplus agricolo era dato dal commercio. Questo motivo diede una spinta alla colonizzazione
tra il VII e il VI secolo verso le coste del Mar Nero, dell’Italia meridionale, della Sicilia e della Libia. La più antica colonia
greca è Cuma, sulla costa Campana, la sua fondazione rispondeva al bisogno di terre coltivabili: la presenza di antichi
vulcani rendevano la zona molto fertile. A differenza dei fiumi greci, quelli italici sono navigabili e permettono il contatto
con le zone interne.

In ambiente romano, l’unica ricchezza valutabile dal punto di vista censitario era quella terriera. Dal II secolo a.C. nasce
il modello della villa per lo sfruttamento agricolo.

L’ALLEVAMENTO
Nel mondo greco l’allevamento ebbe un declino con il sorgere delle poleis. Ma le vaste regioni che non si prestavano
allo sfruttamento agricolo, favorivano diverse forme di allevamento: come quello dei cavalli nella piana tessalica e della
transumanza e dell’allevamento ovino nella Grecia Continentale e nel Peloponneso. In Italia meridionale, il pastoralismo
alimentava numerose attività collaterali di tipo artigianale e commerciale, come la produzione del sale. La conquista
unifica il territorio e porta alla formazione di vaste porzioni di ager publicus e alle reti di transumanza, le calles publicae,
vere proprie reti di comunicazione. I pastori erano prevalentemente schiavi.
L’UTILIZZO DELLE RISORSE
Per l’uomo antico, la natura ha una profonda dimensione divina. Ogni realtà e ogni luogo possiede propri numi che ne
tutelano l’integrità e ai quali bisogna rivolgersi per ottenere il consenso dell’intervento umano. La modificazione
dell’ambiente doveva essere improntata ad alcune norme sacrali e religiose.

LA CITTÀ E IL TERRITORIO: IL PAESAGGIO

IL PAESAGGIO
Il Paesaggio è manifestazione del rapporto tra uomo e ambiente, risultato di un’interazione complessa e dinamica.
L’uomo in quanto artifex si distingue dagli altri agenti naturali originando una storia, ed è questa che costruisce il
paesaggio. L’intervento umano può essere analizzato attraverso lo sfruttamento delle risorse, le infrastrutture e la forma
dell’insediamento.

UN MONDO DI CITTÀ E CAMPAGNE


Il sorgere di città è un fenomeno caratteristico dell’età arcaica nelle regioni del Mediterraneo orientale e dell’Egeo. Si
distinguono due modelli:

- Lungo le coste cananee (Libano, Siria): le città fenice sorsero su centri palaziali cananei dell’età del Bronzo e ne
rappresentano la continuità
- Mondo egeo: si origina la polis, struttura urbana che per la maggior parte non presenta continuità con gli
insediamenti precedenti micenei. Le prime tracce dell’esistenza si trovano nell’Odissea, nella descrizione di
Nausicaa.

→La polis non ha solo una dimensione fisica costituita dall’asty e dalla chora, ma anche una dimensione comunitaria:
infatti la polis è la comunità dei cittadini (politai) di cui l’agora rappresenta il luogo di assemblea. L’unione tra gli spazi
della polis era garantita dal punto di vista religioso con i santuari extraurbani, come il santuario di Demetra a Eleusi, alle
porte dell’Attica.

L’espansione del modello urbano è data dalla colonizzazione: i coloni greci costruirono nuove città sulle coste dell’Italia
Meridionale, della Sicilia, del Mar Nero a immagine della madrepatria riproponendone le istituzioni e i culti. La creazione
delle colonie si traduce in una ripartizione geometrica della superfice urbana e del territorio. Il modello urbano fenicio
e greco si diffonde in luoghi sempre a diretto contatto con il mare, solo con l’espansione macedone si assiste ad un
radicamento della città all’interno. La creazione di città e colonie comporta la realizzazione di infrastrutture.

Diversamente, nell’Italia tirrenica etrusca e campana l’urbanizzazione segue le direttrici fluviali che permettono
un’urbanizzazione interna, come Marzabotto. Roma colse le potenzialità del modello urbano come strumento di
conquista, di controllo e di acculturazione. L’istituzione di colonie romane e latine segna il progressivo espandersi del
controllo romano tramite lo stanziamento di cittadini romani o alleati latini in centri di nuova fondazione, che replicano
Roma in miniatura. Oltre alla colonia si affiancava il municipium, forma di incorporazione di realtà urbane preesistenti.

APPODERAMENTO E CENTURIAZIONE
Per centuriazione si intende la delimitazione e ripartizione dei terreni sulla base di un preciso ordinamento geometrico
e in funzione della creazione di lotti di uguali dimensioni da assegnare ai cittadini di una colonia. La creazione di uno
spazio centuriato è un intervento di radicale trasformazione e di ridefinizione dell’ambiente, frutto di una pianificazione
che accompagna l’insediamento umano. Tale intervento mira all’ottimizzazione dello sfruttamento del potenziale
produttivo del suolo. Le forme di centuriazione possono essere molteplici a seconda delle dimensioni:

- Per strigas et per scamna: appoderamento di piccole aree irregolari


- Centuriazione classica – limitatio: con l’arrivo nella pianura Padana nel 268 a.C. con la fondazione di Ariminum,
si ha la disponibilità di vastissimi spazi. Tracciamento di due assi ortogonali principali (decumanus maximus e
il cardo maximus) e di rette parallele, i limites, che creano una griglia regolare. La parcellazione costituiva il
reticolo urbano o l’appoderamento dei campi, l’ager.

GLI SPAZI MARGINALI


Ai margini delle aree di più intenso insediamento si trovavano le regioni montane, le foreste, le aree paludose e lagunari
e i deserti, aree anch’esse oggetto di sfruttamento intenso.

Le aree boschive rappresentano un’importante risorsa alimentare integrativa, ma soprattutto importante per il
legname, materia prima indispensabile per la combustione, per le attività artigianali e manifatturiere. Lo sfruttamento
intensivo delle foreste portò al fenomeno di disboscamento, gli cui effetti sono ancora visibili.

Le aree paludose e lagunari fornivano risorse per la pesca, la caccia ma soprattutto per la presenza di saline. Il sale era
uno dei pochi mezzi di conservazione, per questo motivo molte transumanze terminavano in queste aree. Nonostante
l’utilità di queste aree erano pericolose per l’uomo in quanto poco salubri. Con la bonifica delle aree paludose si otteneva
dei terreni molto fertili. Il caso più stupefacente di rapporto tra aree paludose/lagunari e città è Ravenna.

LE COMUNICAZIONI

LE ROTTE MARITTIME
La territorializzazione del mare si procede a partire sia dalle caratteristiche fisico-chimiche dello spazio, sia dalla
capacità dell’uomo di superarne le difficoltà attraverso l’invenzione e l’adozione di nuovi mezzi e tecnologie. Il regime
delle correnti marine e dei venti nel Mediterraneo ha condizionato la navigazione antica e le sue rotte dando luogo a
due distinti ambiti di navigazione. L’esistenza sotto costa di correnti e brezze favoriva la navigazione di cabotaggio,
realizzabile in tutte le stagioni dell’anno, che garantiva solo collegamenti locali. Spostamenti d’oltremare erano affidati
alla navigazione di lungo corso e d’altura, condizionata da due fattori: il circuito antiorario delle correnti mediterranee
e i venti che imponevano un ritmo stagionale. Inoltre, per la navigazione in mare aperto una difficoltà fondamentale era
l’orientamento. Per orientarsi i piloti utilizzavano l’ombra del sole o la posizione delle stelle e delle costellazioni. Lo
stretto di Gibilterra era un luogo molto frequentato come crocevia di commercio e il traffico marittimo seguiva rotte
ben precise, determinate dal flusso d’acqua di ingresso nel Mediterraneo dall’Atlantico.

LE VIE DI TERRA
Il più ampio sistema antico di comunicazioni era quello terrestre, costituito dalle strade, percorsi dettati non solo dalla
natura, ma dall’uomo per migliorare le condizioni di transito. In epoca arcaica e poi in età classica greca, accanto ai
tratturi e ai sentieri percorribili solo a piedi, comparvero le amaxitai, vie dotate di solchi carrai che consentivano il
transito ai carri e quindi al traffico delle merci. I responsabili della costruzione delle strade erano i Hodopoioi, mentre la
cura delle infrastrutture era demandata agli Astynomoi. Le diverse reti locali e regionali si intrecciavano dando origine
a percorsi interregionali, che affiancavano spesso le vie sacre, percorsi processionali.

IL SISTEMA STRADALE ROMANO


Le strade, la centuriazione e gli acquedotti sono elementi ancora visibili della civiltà romana. In Italia si conserva sia il
nome che il tracciato e la funzione della gran parte delle principali vie romane. Fin dall’epoca più antica, Roma aveva la
coscienza dell’importanza del sistema viario, non a caso, la più antica legislazione romana (decemvirale delle 7 tavole
del 450 a.C.) conteneva norme precise relative alla costruzione e alla lastricatura delle strade. Il primo passo per la
definizione è la costruzione della Via Appia databile al 312 a.C. (Appio Claudio Cieco, censore a cui si deve anche la
creazione del primo acquedotto). La via Appia collegava Roma a Capua, in seguito venne prolungata fino a Benevento e
infine, in età graccana, fino a Taranto e Brindisi. Costruita nel pieno delle guerre Sannitiche, la Via Appia permise il
collegamento con i popoli alleati e successivamente, divenne l’arteria principale per i collegamenti con l’Oriente.

Tra il III e il II secolo a.C., l’espansione dello stato romano rese indispensabile la costruzione di nuove strade e
l’ampliamento di tracciati esistenti. La rete stradale crebbe contribuendo alla conquista aumentando il controllo del
territorio. Risultano particolarmente importanti due vie: la Flaminia (221 Caio Flaminio, oltrepassava l’Appennino per
raggiungere Ariminum) e l’Emilia (187 Emilio Lepido come naturale prosecuzione della Flaminia, da Ariminum a
Piacenza). La realizzazione di assi stradali proseguì senza sosta in età tardo repubblicana, sia in Italia sia nei territori
provinciali: la via Domizia costruita attorno al 121 a.C. univa Roma alla Gallia Narbonensis.

L’organizzazione dell’impero richiese un considerevole impegno da parte di Augusto e dei suoi successori. In particolare,
si ricorda Agrippa, il quale realizzò in Gallia un sistema viario, frutto della pianificazione territoriale e volto a fini
amministrativi che si estese successivamente alle altre province. Si venne così a creare una rete efficiente e coerente di
vie comprendente sia le grandi arterie di comunicazione (viae publicae) sia le strade minori (viae vicinales), che costituiva
la prosecuzione su terra delle vie marittime.

MITO, PERCEZIONE E RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO MEDITERRANEO

Ovunque si siano spostati nell’ambito del Mediterraneo, i Greci hanno recato con sé le proprie tradizioni e i propri miti.
Quest’ultimi, avrebbero preceduto l’arrivo dei navigatori, dei commercianti e dei coloni greci, giustificando con la loro
presenza la presa di possesso di una certa regione, determinando la sicurezza della nuova comunità che andava ad
insediarsi.

GLI ARGONAUTI
Prima degli uomini, gli eroi delle leggende arcaiche avrebbero attraversato il mediterraneo fondando miticamente la
colonizzazione delle sue rive. Primi fra tutti gli Argonauti, cui spetterebbe l’invenzione stessa della navigazione, grazie
alle straordinarie capacità della nave Argo e del pilota Tifi. Quello della nave Argo è un viaggio archetipico che fonda i
percorsi e le navigazioni dei commercianti, degli avventurieri e dei coloni. Gli Argonauti inaugurano idealmente lo spazio
che precede necessariamente l’arrivo dei Greci, le cui azioni segnano la presa di possesso e di territorializzazione del
mare.

ERACLE
Eracle è considerato come il fondatore della colonizzazione greca lungo le coste mediterranee. La sua presenza è
attestata ovunque, è un eroe culturale e pone le basi per lo sviluppo della cultura greca assimilata al dio fenicio Melqart,
divinità poliade di Tiro. I due personaggi vengono fusi: le colonne sacre dedicate al dio di Tiro poste a Cadice e a Lixus,
al di là e al di qua dello stretto, diventano le colonne d’Ercole che limitano il mondo. L’assimilazione completa tra il dio
Melqart e Eracle avvenne con Annibale nel 218 a.C., nel momento della marcia in Italia.

ODISSEO
Odisseo con l’impossibilità del ritorno dalla guerra di Troia è costretto a viaggiare: concorre a delimitare gli spazi
dell’espansione greca, individuandone i pericoli e come superarli, afferma la supremazia greca con l’astuzia e
l’intelligenza.

GÉA. CONOSCENZA E RAPPRESENTAZIONE DELLA TERRA

L’ESPLORAZIONE DELLA TERRA

La curiosità, gli interessi economici e commerciali, quelli politici, le conquiste militari hanno di volta in volta spinto
l’uomo ad allargare il proprio orizzonte di conoscenze e, conseguentemente, ad ampliare la propria rappresentazione
del mondo.
LE PRIME ESPERIENZE
Il Mediterraneo disegna i contorni di tre continenti, come afferma Strabone, su di essi si affacciano le regioni più
prospere e importanti. L’interesse dell’uomo non si ferma al Mediterraneo, ma guarda anche agli oceani: secondo la
tradizione, i Fenici fondarono Cadice e Lixus sullo stretto di Gibilterra poco dopo la caduta di Troia, ma le ricerche attuali
le datano al IX secolo a.C. Un contesto commerciale interessante è quello di Tiro, città fenicia che sembra al centro di
una rete commerciale tra l’Iberia (oro, argento, avorio) e l’Arabia. I Fenici furono i primi ad allontanarsi dal
Mediterraneo, cercando risorse commerciali con le coste oceaniche.

LA LIBIA
Con i Fenici incominciano le spedizioni esplorative e di conquista. Sotto richiesta del faraone Nekao II (610-595), i Fenici
intrapresero un viaggio attorno al periplo della Libia, l’africa, e lo portarono al termine in 3 anni. Inoltre, il faraone
incominciò i lavori per collegare il Mar Rosso al Mar Mediterraneo, terminati dal re persiano Dario I. L’esplorazione della
Libia costituisce un momento importante nella definizione della rappresentazione della superficie terrestre.
L’esplorazione secondo Erodoto prelude la conquista. Scilace di Carianda, navigatore greco già al servizio del Re dei Re
di Persia Dario I in qualità di esploratore del basso corso dell'Indo e della costa vicina alla sua foce, scrisse il Periplo
dell’ecumene. Scilace fa una circumnavigazione in senso orario del mar Mediterraneo e del mar Nero, partendo
dall'Iberia e terminando in Africa occidentale, oltre le colonne d'Ercole. Un’altra impresa persiana è quella di Satapse,
da condannato a morte viene obbligato a portare a termine la circumnavigazione della Libia, dal Mediterraneo al golfo
arabico. L’eredità dei fenici è Cartagine, che sostituisce i fenici nello scambio con le popolazioni indigeni e spinta dalla
ricerca dell’oro, percorse anche rotte atlantiche. Nel V secolo a.C. si colloca il più famoso dei viaggi antichi, l’esplorazione
condotta da Annone il Cartaginese lungo le coste libiche. Organizzata allo scopo di colonizzare i precedenti insediamenti
fenici. L’esplorazione andò fino alla foce del Senegal e si concluse nel golfo di Guinea.

L’ASIA
Gli interessi imperialistici persiani e quelli economici dei Fenici e dei Cartaginesi conducono ad una prima sommaria
definizione dei limiti dei tre continenti affacciati sul mediterraneo, mancavano da definire l’Europa settentrionale e
l’Asia. A queste mancanze si tentò a ovviare nel corso della metà del IV secolo a.C., un’età di profondi cambiamenti
dominata dalla figura di Alessandro Magno e la sua conquista dell’Asia. Eratostene di Cirene (280-195), il maggiore
geografo dell’antichità, riconobbe l’importanza che quest’epoca aveva portato nella conoscenza dell’ecumene, in
particolare sulla conoscenza dell’Asia interna, dell’India e dell’oceano Indiano. I suoi successori proseguirono la
perlustrazione del Caspio: c’era l’idea che il Caspio era una rientranza dell’oceano settentrionale e che peraltro era
possibile da lì circumnavigare l’Asia.

L’EUROPA
Nell’esplorazione delle coste occidentali e settentrionali dell’Europa è importante Pitea di Massalia, uno scienziato-
esploratore che sembra svincolato dal potere politico. Partendo dalle colonne d’Ercole esplorò le coste iberiche e
celtiche, la penisola armoricana, le isole britanniche, il Baltico e la leggendaria isola di Thule, il limite settentrionale
dell’ecumene, oltre il quale si estendeva il mare congelato. Nel corso del viaggio produsse l’opera intitolata
“Sull’oceano”, purtroppo perduta. Studiò il fenomeno delle maree oceaniche e scoprì il loro moto di flusso e riflusso da
mettere in relazione con le fasi lunari. Compì inoltre numerose osservazioni astronomiche tramite l’uso dello gnomone,
determinando la posizione corretta del polo celeste (la direzione in cui punta l'asse di rotazione terrestre in direzione
nord) e calcolando la latitudine di Massalia. Pitea prestò molta attenzione alla conformazione delle regioni visitate, ai
modi di vita delle popolazioni e ai caratteri ambientali ed economici. Grazie alla precisione dei suoi dati, ci permette di
seguirne la rotta fino alle coste della Norvegia e del Baltico.

Lo gnomone è un’asta di lunghezza nota infissa nel terreno, utilizzata da tempo dagli astronomi babilonesi. Illuminata
dal sole, l’asta genera un’ombra che muta di lunghezza a seconda dell’ora del giorno o del periodo dell’anno. Conficcato
in un determinato luogo, permette di calcolare il tempo (stagioni) e di misurare lo spazio (latitudine).
IL DOMINIO SUL MONDO
Al tempo di Tacito e Plinio il cerchio dei confini ecumenici appare concluso, disegnata la terra non rimane che
conquistarla. Fu Augusto a dare l’annuncio dell’avvenuta conquista in un testo su due colonne di bronzo di fronte al
proprio mausoleo. Nel Res gestae divi Augusti passa in rassegna tutte le regioni e i popoli della terra conquistati
direttamente o formalmente sottomessi. L’elenco si dispiega dall’occidente, dalle province di Spagna e Galllia, per poi
passare alla Libia e all’Oriente: Egitto, Armenia, Medi, i Parti. Come i sovrani persiani prima, Alessandro e i Seleucidi poi,
Augusto abbina l’esplorazione geografica alla conquista militare.

I MODELLI: DAL DISCO OMERICO ALL’ARCA DELL’ALLEANZA

La conoscenza della superficie terrestre, oltre che per la sua esplorazione, passa anche per la sua rappresentazione,
ovvero la realizzazione di modelli che traducono in forma simbolica lo spazio geografico e nei quali l’immagine del
mondo viene fissata ad un supporto.

IL MANTELLO DI ZAS
La conoscenza della terra nasce con uno svelamento. Ferecide di Siro, uno degli antichi sette sapienti, vissuto alla metà
del VI secolo a.C., narra che Zas, Crono e Ctonie sono le potenze primordiali: Ctonie costituisce l’eterna totalità del
mondo e le nozze con Zas rappresentano il momento nel quale avviene la conoscenza. Nell’attimo in cui lo sposo toglie
il velo della sposa, Ctonie si rivela per quello che è abisso, profondità, silenzio e buio, per riconoscerla Zas le mette un
mantello che raffigura i colori della terra e dell’oceano, è l’originario paradigma della carta geografica e trasforma Ctonie
in Gea, la superfice conoscibile. Il manto di zas è il modello la cui funzione mediatrice consente al soggetto la conoscenza
dell’oggetto. Nel canto XVIII dell’Iliade, Efesto forgia per Achille uno scudo la cui superfice è divisa in cinque zone: terra,
cielo, mare, sole, luna e segni celesti, il tutto circondato dal fiume oceano, l’insieme delle acque primordiali.

LA TERRA DI ANASSIMANDRO
Anassimandro è vissuto a Mileto nel VI secolo a.C., il quale afferma che dall’indeterminatezza dell’apeiron (l’oltre) si
genera lo spazio determinato dell’apparenza visibile, della Natura. Per primo disegna su una tavola (pinax) l’ecumene,
disegnando il contorno della terra e del mare, al centro Delfi. Per indagare la natura del cosmo si avvale dello gnomone,
con il quale determina con esattezza gli equinozi e comprende che la terra è un globo. La sua carta è una proiezione sul
piano di una superficie sferica.

LA CLAMIDE DI ERASTOTENE
A partire dall’esempio di Anassimandro, la rappresentazione della carta geografica si evolve e si trasforma. Nella prima
età ellenistica, Eratostene di Cirene che ha il merito di aver fornito non solo una veste sistematica ma il nome stesso
alla geografia, che appare nel suo scritto “Ta geographika”, il trattato di geografia. Eratostene nella sua carta fornisce la
misura, determinando la circonferenza meridiana della terra e su di essa fonda la rappresentazione del pianeta,
disegnando sulla carta una griglia di linee ortogonali, che corrispondono alla proiezione di punti situati ad una
determinata latitudine (paralleli) e longitudine (meridiani). Tra i paralleli si distinguono le proiezioni dei tre circoli celesti
(equatore, tropici e artici) che individuano cinque fasce climatiche: due ghiacciate ai poli, due temperate e una torrida
centrale. Clamide perché secondo Strabone sembra un mantello.

L’ORBIS ROMANUS
Nel II secolo a.C. Cratete di Mallo fu autore di una rappresentazione sferica della terra. Strabone di Amaseia (60 a.C.-25
d.C.) risulta la principale fonte sulla geografia antica. La Geografia è un’opera descrittiva composta dal 17 libri in cui
parla dell’ecumene, facendosi portavoce dell’ideologia augustea, che mirava a fare coincidere con essa l’estensione
dell’Impero Romano, sulla base della progressiva identificazione dell’orbis romanus con l’orbis terrarum.
Agrippa, amico fedele di augusto, avrebbe realizzato una raffigurazione dell’orbis terrarum da esporre pubblicamente
a Roma, all’interno del portico che aveva previsto nel Campo Marzio nella porticus Vipsania. Nella carta l’ecumene era
rappresentata nel complesso dei tre continenti: Europa, Asia e Africa, superfice ripartita in 24 regioni. Una sorta di
catasto dell’impero. La rappresentazione della carta di Agrippa nella porticus vipsania: parte dalle colonne d’Ercole, con
a destra l’Africa, a sinistra l’Europa e in mezzo l’Asia, i confini sono costituiti dai fiumi Tanais (Don) e Nilo. (descrizione
di Plinio).

IL CATALOGO DI TOLOMEO
La conoscenza dello spazio ecumenico si amplia nel corso del I e del II secolo d.C., grazie alla rete delle relazioni
economiche, le notizie di avventurieri, commercianti e navigatori sono gli elementi su cui si fonda l’opera di Marino di
Tiro e alla successiva opera di Tolomeo di Alessandria 100-150 d.C., il quale da una base teorica per una corretta
rappresentazione della superficie terrestre sul piano, indicando dei sistemi di proiezione come la proiezione conica e
quella conica modificata, nella quale i meridiani e i paralleli appaiono come curve. Proietta uno spazio matematizzato
sulla carta. La Geografia di Tolomeo è un catalogo si luoghi, enumerazione di città, fiumi, monti e popoli, la cui posizione
è individuata tramite le coordinate indicanti la latitudine e la longitudine.

IL TABERNACOLO DI DIO
La Geografia di Tolomeo non ebbe riscontrato successo presso i contemporanei, i matematici e gli astronomi arabi la
recuperarono nel IX secolo a.C., il modello tolemaico doveva influenzare la visione del mondo in Occidente dal XV secolo
e non prima. I modelli rappresentativi rimasero quello di Eratostene e di Agrippa. Si diffusero poi le Mappe “T in O”. La
T identifica la croce di Cristo e le acque del Mediterraneo, del Tanais e del Nilo, mentre i tre continenti si identificano
con le figure dei tre figli di Noè: Cam (Africa), Sem (Asia) e Japhet (Europa). Il più interessante modello tardo-antico
compare nell’opera Topografia Cristiana, scritta tra il 537 e il 547 da Costantino di Antiochia, meglio noto come Cosma
Indicopleuste. L’universo di Cosma è un immenso edificio eretto a imitazione del Tabernacolo di Mosè, l’arca
dell’alleanza, e nel quale la terra costituisce le fondamenta sulle quali poggiano le pareti dell’universo, per cui l’ecumene
ha una forma rettangolare.

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