Sei sulla pagina 1di 36

L’ITALIA NELL’ETA DEL BRONZO E DEL FERRO

L’ETÀ DEL BRONZO ANTICA, MEDIA E RECENTE


Le Regioni Settentrionali A Nord E A Sud Del Po
BRONZO ANTICO
LA FACIES DI POLADA
Contesto>>> la cultura archeologica di Polada si diffuse nel AB nell’Italia settentrionale a Nord del Po, nel momento
più antico è circoscritta negli anfiteatri morenici e nei laghi glaciali della fascia prealpina, mentre successivamente si
diffonde anche nella pianura padana. La massima concentrazione di siti è intorno al lago di Garda, tra cui ricordiamo
Polada e Lavagnone. La comparsa in Italia della facies, secondo Barfield, potrebbe essere il risultato di un movimento
di gruppi provenienti dalle regioni transalpine, nelle quali è stata osservata un’interruzione degli insediamenti
palafitticoli (→insediamento tipico della facies di Polada) in corrispondenza dell’età del bronzo antica e media.
Cronologia>>> La facies di Polada si sviluppa per tutto il corso dell’AB, approssimativamente tra il 2200 e il 1700-1600
a.C. Sulla base di datazioni radiometriche calibrate la facies può essere suddivisa in due grandi fasi: BA 1
corrispondente alle fasi del Lavagnone 1 e 2, collocabile tra 2200 e 1900; BA 2 corrispondente alle fasi Lavagnone 4 e
Fiavè 3, collocabile tra 1900 e 1700-1600.
La cultura materiale>>> grazie all’umidità dei luoghi di deposizione, i siti di Polada sono ricchi di reperti e di strutture
in materiale organico deperibile, come il legno utilizzato sia per gli abitati che per oggetti mobili. Nel BA 1 la ceramica
è caratterizzata dal colore uniformemente scuro dell’impasto, viene eseguita a mano prevalentemente con la tecnica
a colombino, il livello tecnico ed estetico è modesto, con la prevalenza di forme chiuse. Le decorazioni comprendono
cordoni e listelli plastici e motivi incisi a linee e puntini, talvolta riempiti da un materiale bianco. L’industria invece è
caratterizzata da reperti in rame, come asce a margini rialzati e pugnali con manico composito in corno. Inoltre,
vengono inclusi reperti come spilloni in osso e punte di freccia in selce. (→immagini pagina 24-25) Nel BA 2 avviene
un cambiamento sensibile nelle forme ceramiche che si collegano poi a quelle del MB, le forme aperte delle tazze
prevalgono sui boccali e compare una forma carenata di impasto fine. Il passaggio al MB presenta le caratteristiche di
un processo culturale ininterrotto, tra i siti di lunga durata c’è il bacino del Lavagnone, nel quale l’occupazione continua
per tutto il corso dell’età del bronzo. La ricchezza della documentazione conservata in ambiente umido ci permette
inoltre di ricostruire la maggior parte delle attività di questi gruppi: il legno veniva usato, oltre che per le costruzioni,
per la fabbricazione di vasi, veicoli su ruote, utensili; la produzione agricola è documentata da aratri di legno, falcetti
e semi bruciati di cereali; l’allevamento comprende le tre specie principali (suini, ovicaprini, bovini); si sono conservati
inoltre semi e tessuti di lino e resti di cuoio.
Insediamenti>>> nel corso del BA 1 le aree esclusive di concentrazione degli abitati sono i bacini inframorenici, tra cui
il lago di Garda. Gli abitati del periodo più antico sono piccoli villaggi palafitticoli disposti a breve distanza gli uni dagli
altri. Le osservazioni stratigrafiche indicano fasi di occupazione di durata variabile con frequenti abbandoni,
spostamenti e rioccupazioni all’interno dello stesso bacino. Nella fase più antica gli abitati sono costruiti su palafitte
con impalcato aereo sulle rive dei laghi e sull’acqua, ad esempio, l’insediamento del Lavagnone era costruito in area
paludosa, collegato alla riva tramite un sentiero di tavole di legno ed era circondato da una palizzata. Nella fase
avanzata gli abitati in area lacustre vennero costruiti su bonifiche sostenute da cassonature di travi orizzontali e paletti
verticali, mentre i siti all’asciutto presentano acciottolati, piani pavimentali e buche di palo. Successivamente, ai siti
della fase precedente si aggiungono altri di nuova fondazione, come Fiavè in Trentino, e la colonizzazione della pianura
arriva fino al PO. Gli abitati della pianura sono spesso su palafitte e prediligono aree basse e umide. Il modulo di
occupazione è rappresentato da un gruppo di villaggi vicini e collegati, con una consistenza demografica complessiva
compresa fra alcune centinaia e un migliaio di persone. La struttura sociopolitica dei gruppi di Polada è di tipo tribale,
con insiemi di comunità di villaggio che gravitano attorno a bacini lacustri. La coesione culturale è verosimilmente
mantenuta da un culto intertribale, come la zona delle incisioni rupestri della Valcamonica.
Ripostigli di manufatti di bronzo>>> sono depositi intenzionali situati in località isolate e rinvenuti in aree marginali
rispetto alla distribuzione degli insediamenti. Contengono categorie singole di manufatti in bronzo interi, come asce,
panelle, collari e pugnali). Le opinioni sul loro significato sono molteplici, si collegano alla posizione degli artigiani
metallurghi nella società, è probabile che in molti casi i ripostigli documentino i modi e le vie della circolazione del
metallo. Ma un’altra ipotesi è l’uso votivo di questi depositi. Una delle categorie più specifiche del periodo sono i
pugnali a lama triangolare a manico pieno o composito, armi con evidenti valenze di prestigio e di distinzione sociale.
Usi funerari>>> gli usi funerari dei gruppi di Polada sono poco documentati perché i morti non venivano sepolti in aree
destinate specificatamente a questa funzione, abbiamo infatti notizia di resti umani rinvenuti in abitati. Recentemente
però è stato scoperto un piccolo gruppo di sepolture a inumazione della AB1 a Sorbara di Asola. A La Vela di Valbusa
in Trentino è rinvenuta una sepoltura eccezionale sotto tumulo di donna adulta giovane, con evidenza di inumazione
secondaria e un ricco corredo di ornamenti. Le più note manifestazioni di culto della facies che proseguono
dall’eneolitico sono le statue-stele e i massi incisi della Valtellina e della Valcamonica (figura pagina 27).

AB IN LIGURIA
L’antica età del bronzo in Liguria è poco conosciuta, le novità significative si sviluppano nella media età del bronzo. Fin
dal neolitico è nota la frequentazione di zone elevate dell’Appennino Ligure per attività di pascolo con evidenze di
pratiche di debbio. A questo sistema economico corrisponde una occupazione stabile rada e un’organizzazione sociale
basata sulla parentela. I rituali funerari, gli stessi dall’eneolitico, prevedono sepolture collettive in grotta e in strutture
artificiali. È attestato l’uso delle tombe come elementi di demarcazione territoriale. Per comprendere meglio i gruppi
liguri è utile analizzare le incisioni rupestri del Monte Bego che rappresentano elementi significativi sulle attività e
sull’economia: per esempio, la frequenza di bovini fra le rappresentazioni di animali domestici, la presenza di carri e
aratri a trazione animale. La frequenza delle raffigurazioni di armi indicano uno stato diffuso di conflittualità in
ambienti pastorali di montagna. È attestato anche lo sfruttamento delle risorse minerarie.

BRONZO MEDIO E RECENTE


IL QUADRO GENERALE
Nella fascia collinare prealpina e nella pianura padana a nord del Po si definiscono ambiti territoriali distinti, almeno
in alcuni casi separati da veri e propri confini naturali.
Nella sezione occidentale, fra le Alpi e il corso dell’Oglio, si sviluppano nella MB le facies di Viverone e della
Scamozzina, nell’BR le facies di Canegrate. L’area ligure, dal Piemonte meridionale fino all’Emilia occidentale, si stacca
dal resto delle regioni nord-occidentali nell’età del bronzo recente, con la comparsa della facies locale di Alba-Solero
e di S.Antonio di Perti, collegata con il gruppo RSFO (reno, Svizzera, Francia orientale). Nel complesso, dalla media età
del bronzo queste regioni, se pur conservando rapporti e collegamenti sistematici con il resto dell’Italia settentrionale
e con la penisola, gravitano dal punto di vista culturale verso la zona alpina e verso occidente.
Nella sezione centrale (Lombardia orientale, pianura veneta e friulana e Trentino) gli abitati palafitticoli, collegati ai
laghi, e gli abitati di pianura sembrano costituire lo sviluppo della facies di Polada, con forti affinità con l’area dei
terramare a sud del Po. →Quello dei terramare è il più noto degli aspetti culturali dell’età del bronzo media e recente
nella pianura padana a Sud del Po; molti studiosi ritengono che la sua comparsa agli inizi della MEB sia il risultato di
un movimento progressivo di colonizzazione da nord verso sud, da parte dei gruppi palafitticoli della zona dei laghi
prealpini. Nella pianura padana centro orientale a sud del Po, le facies archeologiche si collegano a quelle delle regioni
centro meridionali della penisola.
Nella sezione orientale, dal Carso all’Istria, si sviluppa la facies dei castellieri.
L’economia di sussistenza di queste regioni è basata su un’agricoltura in grado di sfruttare i suoli argillosi della bassa
pianura, pesanti e poco permeabili; le tecniche comprendono il disboscamento, l’uso dell’aratro a trazione animale,
che permette arature profonde, la concimazione con letame, la rotazione delle colture. L’allevamento comprende le
tre specie principali, in percentuali relative diverse secondo le caratteristiche dei vari ambienti. Il cavallo è usato per il
trasporto e per le attività belliche.
Lo sfruttamento dei giacimenti metalliferi dell’area alpina è un’altra attività economia molto importante nota
soprattutto in Trentino, grazie agli scavi sistematici di Renato Perini. Il sito più rappresentativo è quello nella località
di Acqua Fredda situato a un’altitudine di 1450 m. La posizione della valle è adatta ai collegamenti interregionali grazie
alla confluenza nella Valsugana. Dal punto di vista del rapporto fra aree produttive, aree di riduzione del metallo e
insediamenti, la situazione della tarda età del Bronzo presenta alcune importanti differenze: la lavorazione del metallo
primaria si sposta dalle zone di insediamento a siti di montagna vicini ai giacimenti metalliferi, la produzione dei
manufatti metallici avveniva invece in prossimità o all’interno degli abitati, attestato dai ritrovamenti di forni fusori.

LE REGIONI NORD-OCCIDENTALI: PIEMONTE, VAL D’AOSTA E LOMBARDIA OCCIDENTALE


La differenziazione fra le facies archeologiche dell’età del bronzo dell’area occidentale e quelle delle regioni centrali e
orientali dell’Italia del Nord è ben riconoscibile nella MEB, grazie ad alcuni caratteri tipologici della ceramica e dei
manufatti metallici, che mostrano uno stretto collegamento con le regioni transalpine adiacenti. La Lombardia
occidentale, fino al corso dell’Oglio, è la meglio conosciuta delle tre regioni per quanto riguarda i complessi e le facies
archeologiche dell’età del bronzo. Il momento più antico del processo di differenziazione culturale di questa parte
della Lombardia potrebbe coincidere con la transizione tra età del bronzo antica e media, quando l’insediamento si
concentra intorno al lago di Barese. Dalla Lombardia occidentale vengono anche alcuni importanti ripostigli di bronzi,
come quelli del Lodigiano, della Cascina Ranza e di Oggiono, i cui materiali trovati sono soprattutto asce e armi. Nel
Piemonte la facies di Viverone, sito palafitticolo, si afferma nella fase centrale della MEB e continua fino all’EBR; l’area
di distribuzione si estende su tutta la regione, fino alla bassa pianura. Nella Lombardia occidentale la facies del
momento finale della MEB prende il nome dalle necropoli a incinerazione della Scamozzina di Albairate e di Monza,
con urne decorate con motivi a zig-zag e tipi di bronzo con distribuzione prevalentemente occidentale. Il Ticino
costituiva una delle principali vie di comunicazione della regione. Con l’EBR, il complesso più noto dell’Italia nord-
occidentale è la necropoli a incinerazione di Canegrate, un vero e proprio campo di urne di tipo transalpino del quale
si conoscono alcune centinaia di sepolture; la decorazione della ceramica si richiama alle facies locali della MEB ed è a
scanalature verticali interrotte da cuppelle con centro rilevato. La diffusione della facies di Canegrate non è documenta
in modo sistematico come per quella lombarda. In Piemonte i materiali metallici comprendono tipi nord-occidentali,
con confronti nella regione alpina francese e svizzera. Il passaggio MEB-EBR viene collocato intorno al 1350 a.C., gli
inizia dell’EBF nei primi anni del XII secolo.

L’ETÀ DEL BRONZO MEDIA E RECENTE IN LIGURIA


La MEB segna in Liguria un cambiamento nell’insediamento e nell’uso del territorio. Continua la pastorizia mobile,
con brevi spostamenti di crinale, l’agricoltura è basata sulla rotazione delle colture, e vengono sfruttate tutte le risorse
ambientali disponibili, come la caccia e la raccolta di frutti selvatici. Tutti i siti dell’età del bronzo sono di piccole
dimensioni. Le frequentazioni sono in generali più stabili, con presenza di strutture. AL di sotto di dune recenti si
conservano tracce di occupazione di siti costieri collegati ad ambienti umidi. Nell’EBR sono documentati i primi siti
costieri all’aperto: Vado, Diano Marina, Chiavari. Sono ancora frequenti i siti in grotta, ma si sviluppano abitati di altura
arroccati (castellari) prevalentemente a quote intermedie (700-900m). L’insediamento è accompagnato dal
terrazzamento dei versanti, erosi in conseguenza delle attività secolari di disboscamento. Quest’ultimo insieme alle
attività produttive di sussistenza ebbero un forte impatto ambientale. Un caso significativo è Bric Tana, un abitato in
dolina databile alla media età del bronzo. Secondo analisi nel territorio si praticava il disboscamento, l’agricoltura e
l’allevamento già dal AB, quindi lo sfruttamento agro-pastorale sembra aver preceduto l’insediamento. Il sistema di
insediamento ha caratteri di pianificazione abbastanza definiti: gli abitati sono di dimensioni uniformi e a distanze
regolari, non gerarchici, con mobilità verticale stagionale. Nell’età del bronzo la popolazione è formata da piccoli
gruppi, poco al di sopra del livello di sussistenza nonostante il livello tecnico elevate nella gestione delle risorse
ambientali, con una struttura sociale egualitaria. La scarsa possibilità di accumulo è legata al fatto che le principali
fonti di ricchezza disponibili consistono in beni deperibili, soprattutto bestiame e beni derivati. L’agricoltura è di
sussistenza, senza magazzini e sistematicamente integrata dalla raccolta di frutti selvatici. La selvaggina è una
componente importante dell’alimentazione. La presenza più consistente di faune domestiche delle grotte è legata al
loro uso come stalle. La facies ceramica ligure di questi periodi si collega alle regioni nord-occidentali, con un aspetto
più specificamente locale nell’EBR, rappresentato dalla facies di Alba-Solero. Nelle fasi iniziali della MEB compaiono
vasi vicini ai tipi della facies di Grotta Nuova delle regioni centrali della penisola. Più tardi, la circolazione di ceramica
di tipo appenninico e subappenninico avviene nell’ambito di un circuito di navigazioni e scambi fra Liguria, Midi
francese, Corsica e Golfo di Leone. I manufatti metallici sono poco numerosi.

LA FACIES DELLE PALAFITTE E DEGLI ABITATI ARGINATI IN LOMBARDIA ORIENTALE, PIANURA PADANA
CENTRO-ORIENTALE E TRENTINO
A nord del Po, fra Lombardia orientale, Trentino e pianura padana centro-orientale, l’aspetto culturale della MEB e
EBR si sviluppa negli abitati palafitticoli dei bacini infra-morenici, con la massima concentrazione intorno al lago di
Garda e in una serie di abitati arginati di pianura. La continuità con Polada sembra essere ininterrotta, sia nella facies
culturale, sia nella distribuzione territoriale. La ceramica della MEB comprende tazze e scodelle emisferiche e carenate,
vasi biconici, bicchieri e boccali decorati a larghe scanalature o solcature. Con EBR le scodelle diventano più
standardizzate. La produzione metallurgica, in gran parte in comune con l’area terramaricola, è molto ricca;
probabilmente nelle diverse fasi della media e tarda età del bronzo gli insediamenti di Bor di Pacengo e Cisano
concentrano la maggior parte della lavorazione. L’industria di queste fasi comprende: falci, lance a cannone, pugnali e
spade, rasoi a doppio taglio, asce a margini rialzati con tallone a incavo e lama espansa. Peschiera è il centro più
importante dell’EBR, si producono pugnali, asce ad alette e un ricco repertorio di strumenti e ornamenti personali
come le prime fibule. I ripostigli in questa età, o del momento di passaggio alla successiva, comprendono vasi di bronzo
e molti oggetti spezzati intenzionalmente per la rifusione. Molto sviluppate la lavorazione del legno, dell’osso e del
corno di cervo. Gli abitati lacustri della media e tarda età del Bronzo sono conosciuti soprattutto grazie allo scavo di
Fiavè in Trentino. Gli abitati arginati di pianura sono circondati da un fossato, alimentato da un corso d’acqua vicino,
e da un terrapieno più interno. Fra i complessi il più noto è quello di Castello del Tartaro, Verona. I numerosi elemini
di somiglianza strutturale con i terramare, ai quali si aggiunge un notevole grado di affinità nella facies ceramica e nella
metallurgia, hanno spesso portato gli studiosi a considerare le manifestazioni culturali nelle due macroregioni a nord
e sud del Po come un’entità unica. Esistono tuttavia alcune differenze visibili in aspetti significativi, come il rituale
funerario e i collegamenti interregionali e internazionali. Sul margine settentrionale della pianura, gli insediamenti in
aree collinari e di altura sono probabilmente in parte complementari ai siti lacustri e di pianura, con funzione di
controllo delle vie di comunicazione verso le regioni transalpine. Con l’EBR, l’insediamento in queste regioni mostra
aspetti di crisi e di discontinuità, con differenze locali rilevanti. Gli abitati arginati di pianura e gli insediamenti
terramaricoli si interrompono in modo pressoché completo, mentre nella zona del Lago di Garda si vede una certa
continuità. Nel trentino si sviluppano o continuano gli abitati di altura, che vengono invece abbandonati nell’area
prealpina veronese; nel vicentino continuano i siti lacustri.
La necropoli e il ruolo dell’incinerazione: i dati sulle strutture di insediamento delle palafitte e dei siti arginati sono
insufficienti per tentare una costruzione dell’organizzazione delle comunità, le informazioni più significative vengono
dalle necropoli. Le necropoli sono concentrate soprattutto nel territorio di Verona. Sono gruppi di complessi databili
fra MEB ed EBR, con rito misto (inumazione e incinerazione). Il più importante di questi complessi è la necropoli di
Olmo di Nogara, situato sulla sponda destra del Tartaro, che comprende 517 tombe (456 inumazioni e 61 incinerazioni)
divise in grandi gruppi, probabilmente gradi di parentela. Inumazioni maschili con armi e femminili con ornamenti
corrispondono probabilmente ai membri della comunità che rivestono i ruoli sociali più importanti. Questi corredi
sono riservati principalmente agli individui maturi ed anziani di ogni gruppo di parentela della comunità. Le spade
appartengono per la maggior parte a classi e tipi rappresentativi di un ampio territorio che comprende anche Europa
centrale e area danubiana fra Carpazi e Alpi orientali. La cronologia relativa della necropoli, compresa fra la fase
centrale della MEB e l’EBR, è basata sui tipi metallici. Due elementi di questa necropoli documentano cambiamenti
organizzativi. →Il primo è la tomba 194 datata alla fase finale della MEB. Si tratta della sepoltura di un uomo adulto
con armi in posizione isolata e in una fossa di grandi dimensioni con tracce di un piano di deposizione o di una bara di
legno, con elementi di corredo. Sembra essere riferibile a un membro della comunità che ricopriva un ruolo sociale
particolarmente importante. Questa tomba potrebbe riflettere una fase di discontinuità nella quale uno dei gruppi di
parentela prevale temporaneamente sugli altri, ed esprime un singolo capo accettato da tutta la comunità. Il secondo
elemento è il fatto che nella fase del BR le tombe a inumazione sono quasi solo femminili, e le tombe maschili,
totalmente prive di corredo, sono anche a incinerazione. Nei periodi precedenti e in molte necropoli della regione
l’incinerazione era già praticata, ma in proporzione minoritaria. A questo cambiamento sia aggiunge la scomparsa dai
corredi maschili delle armi, che nelle fasi precedenti ne erano il principale elemento distintivo. Una pratica cultuale
diffusa è quella dell’offerta di oggetti di bronzo, soprattutto armi, nelle acque di laghi e corsi d’acqua, che si sviluppa
in Italia fra MEB e EBF. Si tratta di una pratica documentata in molte regioni europee, e interpretata come sacrificio
alle divinità o come manifestazione funeraria. Sulla base del carattere quasi esclusivamente maschile degli oggetti
deposti, e della rarità della presenza di armi nelle necropoli, è stata proposta l’ipotesi di una relazione fra l’assenza di
armi nei corredi e la loro presenza nei depositi votivi di acqua. Questo fenomeno sembra essere comunque legato alla
progressiva diffusione dell’incinerazione, che ha un forte connotato ideologico riguardo la smaterializzazione del
corpo, che si esprime anche nel divieto rituale di deporre armi nelle tombe; i sacrifici delle armi alle acque
sostituirebbero la loro deposizione nelle tombe. È invece possibile ritenere che alla rilevanza dei portatori di armi
nelle manifestazioni funerarie corrispondano forme di organizzazione politica delle comunità basate su equilibri
politicamente instabili. Quindi nelle necropoli dell’EBF (età del bronzo e del ferro) la presenza esclusiva delle armi nel
corredo di singoli individui indica un processo generalizzato di centralizzazione della decisione politica.
Collegamenti interregionali: l’area dei collegamenti della regione delle palafitte e dei siti arginati è molto ampia. Alcuni
tipi di spade circolano tra la pianura veronese, il Friuli, le Alpi orientali e la pianura danubiana. Fra la MEB avanzata e
l’EBR si intensifica nelle facies locali la presenza di una componente peninsulare (ceramica appenninica e
subappenninica). I contatti si sarebbero sviluppati lungo la costa adriatica. Rispetto alla IEB, è possibile riconoscere
alcune indicazioni convergenti di aumento della complessità: la maggiore stabilità e durata degli abitati e la presenza
di necropoli con centinaia di tombe, che indicano comunità più consistenti e in grado di sviluppare processi di
articolazione interna; la concentrazione della produzione metallurgica in alcuni siti, che implica una rete di rapporti
sistematici. C’è una tendenza all’aumento della complessità sociopolitica, che si sviluppa all’interno di singole
comunità o di gruppi di comunità per periodi di tempo relativamente brevi: almeno per ora, non sembra possibile
identificare durante questo periodo processi che giungano fino all’emergere di forme di organizzazione politica
complessa e stabile, e su un’ampia scala territoriale. Questi processi vengono interrotti o rallentati dalla crisi che
investe la regione alla fine dell’EBR.
LA CULTURA DEI CASTELLIERI: LE FASI DELL’ETÀ DEL BRONZO MEDIA E RECENTE
L’area compresa tra il Carso triestino e Goriziano, l’Istria, le isole del Quarnaro e la costa settentrionale della Dalmazia,
è interessata dalla cultura dei castellieri. Il termine cultura potrebbe essere usato in questo caso legittimamente, dal
momento che siamo in presenza di una situazione nella quale l’omogeneità della facies archeologica coincide con un
sistema di insediamento con caratteri specifici e riconoscibili; a questi elementi si aggiungono la continuità territoriale
e l’occupazione ininterrotta della stessa area per uno spazio di tempo complessivo che va dalla MEB all’età del ferro.
Un elemento geomorfologico di importanza strategica per l’insediamento e per lo sviluppo di collegamenti a lunga
distanza in questa regione è costituito dalla linea delle risorgive. Il repertorio della MEB e EBR è ben differenziato
rispetto a quello dei complessi contemporanei della pianura padana. Nel Carso e nell’Istria i castellieri hanno inizio
con la MEB; gli abitati sono collocati su pianori di sommità di estensione limitata, spesso in posizioni strategiche e
difesi da cinte murarie e terrapieni; il perimetro dell’area difesa, per lo più di forma ellittica o circolare, si aggira intorno
a 300m. La continuità di occupazione negli stessi siti ha di solito impedito la conservazione delle strutture difensive
originarie. In alcuni abitati, l’area difesa comprende una piccola acropoli e una zona inferiore pianeggiante, con cinture
murarie separate. È documentata anche l’occupazione di grotte. Le aree di pianura nei territori di Pordenone e Udine
sono intensamente insediate fra la MEb avanzata e l’EBR; alcuni siti arginati occupano posizioni di altura a quote
comunque poco elevate, ma gli abitati si sviluppano anche in posizioni aperte, spesso in zone umide. Nella fascia
pedemontana e collinare ai margini dell’alta pianura, sui due lati del Tagliamento, sono presenti abitati in posizione
difesa e di controllo territoriale, come Sequals e Ragogna. Nel repertorio ceramico dei castellieri sono presenti alcuni
elementi tipologici di origine padana, e qualche raro elemento di tipo peninsulare appenninico e subappenninico. La
regione dei castellieri costituisce il tramite tra l’Europa sud-orientale e la pianura padana settentrionale attraverso il
movimento di individui e gruppi, la circolazione di oggetti in bronzo e contatti fra cerchi metallurgiche. La specificità
della produzione metallurgica di questa regione è ben documentata dai ripostigli di bronzi, concentrati nella tarda età
del bronzo. Nell’EBR molti ripostigli vengono dalla fascia delle risorgive. La crisi dell’insediamento al passaggio tra EBR
e EBF è documentata anche in questa regione, in particolare nell’area a sud della linea delle risorgive e sulla costa,
dove si interrompe la fitta rete di collegamenti in direzione del Veneto e della pianura padana.

LE TERRAMARE
L’area terramaricola classica è una delle regioni meglio note della protostoria italiana, grazie sia alle ricerche del
passato, sia a una concentrazione di ricerche sistematiche recenti di carattere archeologico e paleo-ambientale. Tale
area è composta dalla pianura padana centrale a sud del Po (Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza) e dalle aree
appenniniche che si affacciano sulla pianura. Secondo la maggior parte degli studiosi, l’occupazione della pianura
padana a sud del Po è il risultato di un fenomeno di colonizzazione proveniente dalle regioni settentrionali, già da
molti secoli intensamente abitate, inizialmente nell’area dei laghi infra-morenici ai piedi delle Alpi, e più tardi anche
nella pianura. Tracce di occupazione della pianura padana a sud del Po compaiono già nelle fasi iniziali della MEB, con
materiali di facies vicina a quella delle regioni italiane nord-occidentali nella parte occidentale del territorio, e materiali
riferibili alla facies peninsulare di Grotta Nuova. Nella fase centrale della MEB (1550-1450 a.C.) vengono impiantati
molti nuovi insediamenti nei quali compaiono le tipiche strutture dei terramare: l’area di abitato è delimitata da un
fossato e da un terrapieno, spesso preceduto nella fase di impianto da una palizzata, le case sono costruite su un
impalcato di legno e disposte in file regolari. Generalmente gli abitati non vengono impiantati in ambiente umido,
anche se le tecniche costruttive sono simili a quelle adottate nella costruzione delle palafitte. L’impianto degli abitati
era accompagnato dal diboscamento su ampie superfici, destinato a fornire materiale da costruzione, ma soprattutto
a circondare il nuovo insediamento di terreni coltivabili. Al momento dell’inizio dell’insediamento corrisponde una
forte contrazione della copertura forestale e un aumento consistente di piante erbacee e cereali coltivati. La densità
di occupazione è molto alta (un sito ogni 10 kmq). Alle terramare con terrapieno e fossato si alternano numerosi piccoli
insediamenti non strutturati, che documentano lo sfruttamento capillare del territorio agricolo. Nell’area appenninica
collinare e montana gli abitati sono poco estesi, e sono di solito in posizioni adatte al controllo delle vie di
comunicazione e del territorio. Nell’ultima fase della MEB una tendenza di concentrazione di insediamento nella
pianura è indicata dallo sviluppo di villaggi di grandi dimensioni. Con l’EBR le opere di delimitazione e di difesa degli
abitati raggiungono le massime dimensioni, e compare una tendenza alla gerarchizzazione dell’insediamento. L’inizio
dell’EBR è il momento di massima espansione demografica delle terramare. Nel momento finale invece, attorno al
1200 a.C., il sistema subisce invece una crisi, che segna la fine dell’occupazione della pianura.
Necropoli, demografia, organizzazione sociale: Le necropoli delle terramare sono poco conosciute: solo 5 su più di
100 abitati. I dati generali sono la collocazione a breve distanza dall’abitato, l’uso esclusivo dell’incinerazione, le
dimensioni consistenti (>100), il corredo limitato ad alcuni ornamenti personali. Gli elementi più completi riguardano
la necropoli di Casinalbo, riferibile alla terramara di Tabina di Magreta (dalla fine MEB) e comprende 337 tombe a
incinerazione. Le urne per le ceneri sono vasi biconici. Le strutture sono fosse o pozzetti poco profondi. Sono frequenti
i casi di riapertura della fossa per alcune sepolture successive. In nessun caso sono state trovate armi associate
direttamente alle sepolture, fatto che conferma il collegamento tra l’incinerazione e il divieto del rituale. Dal punto di
vista demografico il campione di Casinalbo appare vicino a una distribuzione naturale per sesso e classi di età.
Ideologia e religione: Vasi in miniature, figurine di animali e antropomorfe, ruote, tutti di ceramica d’impasto,
provengono da molte terramare, e sono per lo più considerati oggetti di carattere cultuale. La lettura di questo tipo di
materiali in relazione con un culto solare paneuropeo è relativamente frequente, così come la lettura dei dischi di
lamina d’oro. La deposizione delle armi nelle acque di fiumi e laghi sembra concentrata nell’area padana a nord del Po
ed è probabilmente collegata alla diffusione del rito dell’incinerazione e al divieto della deposizione delle armi nelle
tombe. Una evidenza di grande interesse è la vasca dalla terramara di Noceto-La torretta. Si tratta di un grande
contenitore di legno di quercia collocato all’interno del perimetro dell’abitato. La vasca veniva riempita d’acqua. La
stratificazione interna è formata da una successione di sottili livelli laminari, tipici dei depositi in acque ferme, con
differenze dei livelli dovute alle variazioni climatiche stagionali. La vasca è stata in uso per alcuni decenni. Durate
questo periodo ci sono stati due principali episodi di deposizione all’interno di oggetti, semi, attrezzi agricoli, fauna.
Secondo una interpretazione plausibile, si tratta di un impianto votivo legato alle pratiche agricole.
Sussistenza, produzione e scambi: L’economia di sussistenza delle terramare è basata sull’allevamento, finalizzato al
consumo di carne e di prodotti secondari, e su un’agricoltura sviluppata, basata sul disboscamento, sull’uso dell’aratro
a trazione animale e su tecniche complesse di irrigazione. La facies terramaricola è strettamente correlata con le facies
delle palafitte e degli abitati arginati della pianura padana centrale a nord del Po. Due elementi che riflettono la
particolare intensità di collegamenti che ha caratterizzato questo ampio territorio. Dopo le fasi iniziali della MEB, nella
quale gli aspetti formali e decorativi della ceramica si collegano con le facies delle regioni nord-occidentali e con la
facies di Grotta Nuova, fra la fase centrale della MEB e l’EBR è possibile seguire lo sviluppo specifico della facies
ceramica terramaricola. I tratti distintivi sono anse con sopraelevazioni plastiche. L’industria metallurgica si collega
all’ambiente palafitticolo. Questo settore della produzione è evidentemente un’attività stabile, documentata negli
abitati, legata allo sviluppo di molte attività artigianali e produttive. Un importante salto di qualità si verifica in questo
settore con l’EBR. L’industria metallurgica di questo periodo prende il suo nome dal sito di Peschiera. In tutta l’area
palafitte-terramare cresce il volume della produzione e compaiono nuove categorie di strumenti.
Il processo storico delle terramare: La comunità del villaggio terramaricolo era basata sulla parentela (lignaggi e
gruppi familiari estesi), con una capacità di controllo sociale forse maggiore a quella che possiamo ipotizzare per i
gruppi contemporanei della pianura padana a nord del Po. Una indicazione in questo senso potrebbe essere ricavata
dall’assenza di armi nelle tombe e dalla prevalenza assoluta dell’incinerazione, un rituale che sembra costituire un
efficace strumento di controllo ideologico della competizione e della violenza fra i gruppi di parentela delle singole
comunità. Apparentemente, all’interno di queste, o forse fra gruppi di comunità collegate, esiste una struttura
gerarchica in grado di organizzare e controllare le attività di interesse comune.
Una organizzazione territoriale gerarchica a due livelli indica probabilmente la presenza di più entità politiche sovra
comunitarie di tipo tribale. Per analizzare lo sviluppo delle terramare bisogna prendere in considerazione alcuni
elementi, tra cui l’omogeneità complessiva, culturale e linguistica, che per 3 o 4 secoli caratterizza queste comunità,
si struttura grazie ad una situazione ambientale favorevole allo sviluppo di comunicazioni intense e sistematiche; la
pianura attraversata da una importante rete fluviale. Questo insieme di fattori potrebbe essere all’origine dello
sviluppo nell’area terramaricola, di per sé priva di risorse minerarie, della più importante produzione metallurgica
dell’età del bronzo italiana, caratterizzata anche dalla omogeneità formale. Alcuni siti con una forte concentrazione di
manufatti giocano probabilmente un ruolo centrale nella produzione e distribuzione dei prodotti. Il secondo elemento
è la collocazione dell’area palafitte-terramare, e in generale della pianura padana centro-orientale, in una posizione
strategica, all’incrocio delle vie di scambio dell’Europa e del Mediterraneo. Incrocio che viene raggiunto dai metalli
della zone alpina e probabilmente dell’Etruria, dall’ambra baltica, da conterie egee o orientali. Il loro complesso
sistema produttivo non era sostenuto da una forma di direzione politica unitaria ed efficiente, e questo è dimostrato
dalla rapidità e dall’impatto della crisi che in poco tempo travolse il sistema terramaricolo. Sulla fine delle terramare
e sulla crisi del 1200 a.C. ci sono state molte ipotesi. Quella tradizionale della crisi ambientale non veniva considerata
come un fattore determinante, dal momento che il deterioramento climatico che si verifica tra MEB e EBR si presenta
come un processo graduale, che non produce eventi catastrofici, ai quali si pensava visto l’abbandono rapido in una
situazione di emergenza. La crescita demografica superò alla fine dell’EBR la soglia della capacità produttiva dei suoli
agricoli della pianura, provocando il collasso delle strutture politiche e dell’organizzazione produttiva delle comunità
terramaricole. Il complesso di rifornimento idrico della terramara e del suo territorio agricolo, basato sulla scavo di
pozzi con la funzione di impianti di risalita dell’acqua, entra in una crisi irreversibile a causa del costante abbassamento
della falda, legato a un fenomeno regionale di siccità che aveva determinato l’abbassamento del livello del Po. Questo
fattore di crisi potrebbe aver costituito il detonatore del collasso del complesso sistema territoriale delle terramare,
già reso progressivamente meno stabile dalla crescita demografica e dall’aumento della pressione sulle risorse
agricole.

Le regioni centrali e meridionali


BRONZO ANTICO E MEDIO
Problemi di definizione della cronologia relativa e assoluta
Le regioni meridionali
Rispetto alla situazione del Nord ci sono difficoltà nella costruzione della cronologia relativa, date da un insieme di
fattori come la complessità e la disomogeneità del territorio, che costituisce una condizione di partenza negativa per
lo stabilirsi del tipo di contatti e scambi culturali intensi e sistematici che nella pianura padana centrale hanno favorito
l’omogeneità formale delle facies dell’età del bronzo, e l’incertezza sulla effettiva autonomia delle singole facies che
sono state tradizionalmente identificate, che rende difficile trattarle come entità separate nel tempo. Ai problemi
dell’approccio crono-tipologico alla classificazione dei manufatti mobili si sommano quelli che derivano dalla scarsa
sistematicità e da un uso spesso arbitrario delle date assolute calibrate. Sequenza:
■ Il passaggio tra eneolitico e IEB (intorno al 2300-2200) vede la continuità delle facies di Laterza-Cellino S. Marco
(nota nelle regioni meridionali fino al Lazio a Sud del Tevere) almeno fino agli ultimi secoli del III millennio
■ La facies più chiaramente definita della IEB è quella di Palma Campania, che dovrebbe coincidere con la fase tarda
del periodo. La fine dei villaggi Palma Campania nella pianura campana e nell’avellinese avviene a causa dell’eruzione
vesuviana datata attorno al 1750 a.C.
■ Questa data segnerebbe anche l’inizio di una nuova facies, il cosiddetto Proto-appenninico B, corrispondente alle
fasi iniziali della MEB. Secondo l’opinione corrente, la comparsa del Proto-appenninico corrisponderebbe all’inizio
delle navigazioni sistematiche dall’Egeo in direzione del Mediterraneo centrale, che vengono datate al XVII-XVI secolo.
La situazione locale più favorevole per la definizione della IEB dal punto di vista sia della consistenza e posizione relativa
delle facies archeologiche, sia della cronologia assoluta, è quella della Campania centro-settentrionale, provincie di
Napoli, Caserta e Avellino. Qui, infatti, le consistenti tracce archeologiche delle comunità vissute in questo periodo
sono strettamente collegate a una serie ravvicinata di eruzioni vulcaniche del Vesuvio e dei Campi Flegrei (2780-2610
ca, 2350-2200 ca, 1782-1690 ca). Tutti i complessi coperti direttamente dai materiali provenienti dall’eruzione, e in
gran parte abbandonati, mostrano un momento di pieno sviluppo della facies di Palma Campania, che nell’area
campana può essere considerata come una cultura nel senso antropologico del termine. L’impatto dell’eruzione ha
investito molti villaggi e il territorio circostante. Dopo la distruzione degli insediamenti e del relativo territorio agricolo
la zona sembra essere stata abbandonata in modo pressoché completo fino alla fase finale della MEB.
Il Proto-appenninico B è la facies più ampiamente documentata specialmente sul territorio pugliese, e di più difficile
definizione cronologica, soprattutto per quanto riguarda gli sviluppi iniziali e il rapporto con la facies di Palma
Campania. Una proposta di scansione cronologica del periodo è basata sulla documentazione archeologica dal sito di
Capo Piccolo, sulla costa ionica della Calabria. La ricostruzione mette in evidenza un’altra situazione nella quale
elementi convenzionalmente attribuiti a facies diverse, come Palma Campania, Capo Graziano (Eolia), Rodì-Tindari-
Vallelunga (Sicilia), Proto-appenninico B, oltre alla presenza di alcune importazione egee, si trovano associati in varie
combinazioni. Il problema principale in questo caso è l’affidabilità stratigrafica molto limitata. Viene proposta una
successione di due fasi, caratterizzate dalle seguenti associazioni:
■ Capo Piccolo I: materiali tipo Palma Campania, Capo Graziano I (2000/1900-1800/1700)
■ Capo Piccolo II: materiali RTV, Torre S. Irene (Tropea), Proto-appenninico B (secoli centrali del II millennio).
Un’analisi della situazione basata soprattutto sull’evidenza dalla Puglia è stata proposta da Alberto Cazzella. La
premessa è la scarsa sostenibilità di scansioni cronologiche con le rispettive sottofasi, applicate al territorio italiano.
Gli elementi presi in considerazione sono:
1. La continuità dell’aspetto eneolitico Laterza-Cellino S.Marco fino agli ultimi secoli del III millennio che vengono
generalmente fatti coincidere con le fasi iniziali della IEB
2. La presenza nell’Italia sud-orientale di contesti che sii correlano con la facies trans-adriatica di Cetina, il cui inizio
viene collocato intorno al 2500 a.C. ma che potrebbe continuare negli ultimi secoli del III millennio, cioè fino agli inizi
della IEB.
3. Alcune indicazioni di un inizio del Protoappenninico B nei primi secoli del II millennio, quindi in un momento più
antico di quello generalmente accettato.
Secondo la convenzione attualmente seguita, gli elementi convergenti sulla cronologia alta della prima comparsa della
facies protoappenninica ne indicherebbero quindi l’inizio nella IEB. La proposta di Cazzella è di sostituire alle due fasi
IEB (2300-1700) e MEB iniziale (1700-1500) una divisione in due fasi con limiti cronologici ampi, e non coincidenti con
singole facies archeologiche.
1. I fase (fra la fine del III e gli inizi del II millennio) caratterizzata da un aspetto Laterza-Cellino S. Marco e da una
stretta relazione con la facies trans-adriatica di Cetina
2. II fase (dagli inizi del II millennio al 1500 ca) caratterizzata dallo sviluppo della facies protoappenninica, nel cui
ambito cronologico è compreso quello di Palma Campania.
Le regioni centrali
Il periodo corrispondente alla IEB è caratterizzato da alcuni aspetti archeologici che possiamo considerare almeno
parzialmente in successione: un momento molto antico è rappresentato in molte regioni (Toscana e Lazio
settentrionale) da aspetti locali, generalmente mal definiti, la cui caratteristica formale più riconoscibile è la presenza
di elementi campaniformi tardi o di derivazione del vaso campaniforme. Dopo questo momento, la facies
“preappenniniche” tipo Farneto-Candalla-Grotta Nuova costituiscono il primo gruppo di aspetti archeologici
abbastanza chiaramente riconoscibili. In sostanza, è probabile che nella IEB uno spazio di tempo limitato,
probabilmente non successivo agli inizi del II millennio a.C., sia occupato da facies di derivazione dal bicchiere
campaniforme e forse da alcuni aspetti locali la cui caratteristica più evidente è l’assenza di decorazioni della ceramica
e la presenza di anse a gomito; e che la comparsa delle facies di Farneto-Candalla-Grotta Nuova si collochi fra la fine
del III e gli inizi del II millennio. In termini di cronologia assoluta quindi gli aspetti archeologici attribuiti al periodo
indicato come MEB iniziale - il Protoappenninico B delle regioni meridionale e le facies preappenniniche (Grotta Nuova-
Candalla-Farneto) presenti nelle regioni centrali e in alcune aree dell’Italia settentrionale a sud del Po – sembrano
invece avere inizio con le fasi avanzate e finali della IEB.

LE FASI INIZIALI DELL’ETÀ DEL BRONZO NELLE REGIONI CENTRALI (L’ETÀ DEL BRONZO ANTICA E MEDIA
INIZIALE)
L’antica età del bronzo
Nel momento più antico, in Emilia-Romagna è relativamente ben conosciuta una facies con elementi di Polada e
campaniformi, documentata in siti all’aperto e in grotta. Gli scarsi elementi noti comprendono la posizione degli abitati
all’aperto in prossimità di una zona lacustre o lacustre o di un corso fluviale o su altura, la continuità dall’eneolitico
delle sepolture collettive in grotte naturali. Nelle Marche ci sono piccoli abitati di versante e di fondovalle; rari i casi
di insediamenti di altura. Frequenti i siti in grotta, forse in parte legati ad attività di culto. Nel Lazio meridionale sono
attribuibili alla IEB 34 siti: abitati, prevalentemente di fondovalle, in alcuni casi su altura, sulle rive di laghi o costieri;
grotte e ripari; alcuni ripostigli e oggetti di bronzo isolati.
Le facies di Grotta Nuova-Candalla-Farneto
Sembra probabile che le facies indicate come pre e proto-appenniniche si sviluppino, più o meno
contemporaneamente, a partire dalla fine del III o dagli inizi del II millennio a.C., cioè nel periodo indicato come antica
età del bronzo. Questi aspetti proseguono nel periodo successivo (età del bronzo iniziale). Le facies preappenniniche
tipo Grotta Nuova-Candalla-Farneto sono distribuite fra la Romagna, le Marche, l’Umbria, la Toscana e il Lazio fino al
territorio di Roma, con la massima concentrazione di siti fra Toscana centro-meridionale e Lazio settentrionale. Sulla
base della classificazione della ceramica, contemporanea del Protoappenninico, è stata suddivisa in gruppi regionali e
in momenti successivi. La ceramica comprende piatti con motivo a croce sul fondo interno, scodelle carenate, olle con
colletto e vasi biconici attribuiti al periodo più antico. Nonostante l’ampia area di distribuzione di queste facies, il
numero di forme ceramiche comuni è in genere superiore a quello delle forme con distribuzione regionale, quindi è
presente una generale omogeneità; inoltre, molti tratti tipologici sono in comune con gli aspetti proto-appenninici
meridionali.
Caratteri dell’insediamento: Gli abitati comprendono siti all’aperto, anche vicino alla costa, e in aree interne, spesso
sulle rive o in vicinanza di laghi. In alcune regioni, in particolare l’Etruria meridionale, sembra svilupparsi fin da queste
fasi la tendenza all’occupazione di siti di sommità con difese naturali. L’abitato meglio conosciuto è il villaggio del
Monte Castellaccio di Imola, impiantato su un piccolo rilievo con sommità pianeggiante. Vennero identificate tre fasi
edilizie, con capanne a pianta generalmente curvilinea con all’interno fosse e focolari, i pavimenti delle capanne sono
piani di argilla concotta, forse in alcuni casi appoggiati su un impalcato di legno. Una prima fase stratigrafica potrebbe
risalire all’eneolitico. Nei livelli più alti, derivanti dal rimaneggiamento di strati dell’età del bronzo, compaiono materiali
dell’età del ferro e altomedievali. Il riesame dell’area e dei materiali del villaggio comprende analisi naturalistiche e lo
studio di tutte le classi di materiali. La stratificazione conserva le tracce di una sequenza serrata di fasi di occupazioni,
con frequenti cambiamenti dell’uso dell’area. Le analisi polliniche mostrano che l’impianto dell’abita era stato
accompagnato dal disboscamento dell’area circostante. Le date assolute sono 1680-1524 e 1619-1435. L’abitato si
sviluppa nel corso della MEB, con un’apparente contrazione dell’occupazione nella fase finale del periodo, e continua
nell’EBR. Le capanne sono di piccole dimensioni prevalmentemente ovali o circolari, con pozzetti e focolari all’interno.
Non supera le 100-200 persone, fatto che indica probabilmente che faceva parte di un insieme di villaggi. Le attività
documentate comprendono la filatiura e la tessitura, la produzione ceramica, la fusione del metallo e la lavorazione di
osso e corno. La ceramica, molto abbondante per le fasi iniziale e medie della MEB, è inizialmente vicina al repertorio
peninsulare tipo Grotta Nuova, mentre nel momento successivo aumentano forme e decorazione del repertorio delle
terramare; nell’EBR la facies ceramica è di tipo subappenninico peninsulare. Un abitato lacustre è il Villaggio delle
Macine sul lago di Albano, l’ambiente era caratterizzato dalla disponibilità permanente di risorse idriche e da una fitta
copertura forestale. Le fasi dell’insediamento corrispondono alle variazioni del livello del Lago. Grotte e ripari
costituiscono circa il 25% dei siti noti e sono presenti in tutte le regioni, con una forte concentrazione in area tirrenica;
per quanto riguarda i complessi in grotta, viene sottolineata soprattutto l’evidenza di attività cultuali o di
seppellimenti collettivi, ma la loro frequenza in tutta l’area considerata sembra indicare anche una funzione abitativa,
probabilmente stagionale.
Necropoli, demografia, organizzazione sociale: Sugli usi funerari di questo periodo nelle regioni centrali ci sono
informazioni limitate. È possibilie che non tutti i membri delle comunità venissero sepolti con un rituale specifico e in
aree formalmente definite. Il rituale più frequente è il seppellimento collettivo in grotte naturali, una pratica
ininterrotta fin dall’eneolitico e conosciuta soprattutto nell’area tirrenica. L’evidenza di attività di culto si concentra,
come si è visto, nelle grotte. Un complesso di grotte funerarie e cultuali di particolare importanza, con una estensione
cronologica molto ampia, è quella del monte Cetona e della zona adiacente. Per analogia con le comunità dell’Italia
meridionale, le comunità preappenniniche potrebbero essere entità sociopolitiche di dimensioni limitate (singoli
villaggi o gruppi di villaggi), con territori diversificati e adatti all’integrazione di agricoltura, allevamento stanziale,
transumanza e cacia, con frequenti contatti intercomunitari e possibilità di aggregazioni politiche temporanee. È
possibile che in questo periodo lo sfruttamento dei giacimenti metalliferi dell’Etruria e lo sviluppo dei collegamenti
interregionali legati a questa attività rappresentino un fattore di articolazione sociale e di organizzazione politica; gli
indizi più consistenti sono rappresentati dalla presenza di tombe collettive aristocratiche.
Sussistenza, produzione, scambi e collegamenti interregionali: L’economia di sussistenza per questo periodo è
relativamente mal conosciuta. C’era l’integrazione dell’agricoltura con l’allevamento, con un ruolo significativo della
caccia solo in alcuni siti. Alcuni dati indicano la forte componente pastorale dell’economia e la pratica della
transumanza: percentuali quasi sempre consistenti di caprovini, presenza di aree di pascolo ad alte quote, frequenza
di grotte e ripari caratterizzate dall’evidenza di frequentazioni stagionali. Un altro elemento importante nell’economia
e nell’organizzazione delle comunità durante queste fasi è la presenza, non frequente, del cavallo domestico, noto in
Italia a partire dall’eneolitico. Fra le attività artigianali, la metallurgia è relativamente sviluppata. La concentrazione di
ripostigli, soprattutto nelle aree metallifere dell’Etruria, è una chiara indicazione dello sfruttamento sistematico delle
risorse locali, e probabilmente implica anche una partecipazione diretta delle comunità alle diverse fasi dell’attività
metallurgica. La circolazione del metallo in aree non produttrici è legata almeno in parte agli spostamenti dei
metallurghi. I collegamenti interregionali sono prevalentemente di tipo diffuso: non sembra possibile identificare con
una certa precisione vie di comunicazione e scambi direzionali a lunga distanza, ma esistono indici di contatti capillari
e sistematici sia interni all’area di distribuzione delle facies preappenniniche, sia con il resto della penisola. Il repertorio
della ceramica ha molti elementi in comune con quello proto-appenninico e quello terramaricolo. Contatti di questo
tipo, messi in evidenza dalle affinità di una produzione domestica e strettamente collegata alle attività di sussistenza
come la ceramica, indicano movimenti di persone, che sono certamente un fenomeno molto diffuso in tutte le fasi
della preistoria. Nella forma sistematica e progressivamente più intensa che questi movimenti sembrano assumere
nella penisola italiana, una spiegazione plausibile è che siano il risultato degli spostamenti di piccoli gruppi che si
staccano dalle comunità residenziali con cadenza stagionale regolare, per la transumanza e per attività analoghe come
la caccia. Qualche indizio dello sviluppo di collegamenti per via marittima, molto più consistente in questo periodo
nelle regioni meridionali, deriva dalla presenza di siti costieri e insulari. Lo sviluppo dell’industria metallurgica
determina collegamenti con le regioni settentrionali, identificabili soprattutto attraverso la circolazione dei modelli.

LE FASI INIZIALI DELL’ETÀ DEL BRONZO (DAL 2300 ALLA METÀ DEL II MILLENNIO) NELLE REGIONI MERIDIONALI
Dati generali >>>L’evidenza archeologica relativa alle regioni meridionali fra gli ultimi secoli del III e la prima metà del
II millennio a.C. non supporta l’ipotesi che la scansione cronologica convenzionale (eneolitico, IEB, MEB iniziale)
corrisponda a facies archeologiche nettamente distinte. La novità più importante che si è definita con le ricerche negli
ultimi anni è la facies di Palma Campania. L’attività metallurgica dell’età del bronzo più antica, comprese le fasi proto-
appenniniche iniziali, si sviluppa in modo simile a quella delle regioni centrali, anche se apparentemente la circolazione
di oggetti in bronzo è meno intensa.
La Campania: la facies di Palma Campania
La facies prende il nome dal sito nel quale è stata identificata, un abitato nel territorio di Napoli che occupava una
collinetta ai piedi del Vesuvio. Si definisce forse in un momento non iniziale della I età del bronzo, e si sviluppa nei
primi secoli del II millennio a. C. L’eccezionale qualità documentaria di alcuni dei complessi di questa facies, con
l’ambiente circostante, è dovuta al fatto che essi sono stati investiti e sepolti, in un momento di vita e attività intensa,
dall’eruzione del Vesuvio detta delle Pomici di Avellino (attorno al 1750). La facies archeologica di Palma Campania è
stata definita specialmente sulla base della tipologia della ceramica. Come è già stato ricordato, elementi tipologici
che si collegano formalmente a questa facies sono riconoscibili in molti contesti delle regioni meridionali; sembra però
legittimo considerare come un’entità culturale definita il gruppo dei complessi che si concentrano sul territorio della
Campania centro-settentrionale, caratterizzati dalla contiguità spaziale, dalla omogeneità complessiva della cultura
materiale e della complementarietà nella distribuzione degli insediamenti sul territorio e nell’economia di sussistenza.
Caratteri dell’insediamento: l’area nucleare di Palma Campania è caratterizzata da una occupazione intensiva, con
numerosi villaggi in pianura, spesso su leggeri dossi, circondati da terreni coltivati e da aree di pascolo, e siti in aree
collinari. In questo secondo gruppo, i siti che occupano le posizioni più elevate potrebbero indicare spostamenti
stagionali di transumanza. Mancano dati sull’utilizzazione delle grotte, mentre alcuni dati pollinici indicano attività di
disboscamento. È possibile che il sistema di insediamento implicasse una componente gerarchica; la presenza di siti
molto ravvicinati potrebbe indicare uno sfruttamento intensivo dei suoli agricoli per periodi definiti, alternato a periodi
di abbandono e spostamento in aree circostanti. L’evidenza relativa alla pianura campana sembra indicare una
prolungata discontinuità nell’occupazione dopo la crisi determinata dall’eruzione delle Pomici di Avellino. Una ripresa
dell’occupazione stabile sembra verificarsi solo con la fase finale della MEB.
Necropoli, demografia, società: in questa età sono attestate sepolture in grotte naturali, note per ora nella Campania
meridionale. Nella parte centro-settentrionale della regione il rituale più diffuso è l’inumazione singola in gruppi di
tombe o in necropoli di una certa consistenza numerica; sono presenti tombe infantili a enchytrismos (→Enchytrismòs
è un tipo di sepoltura che in epoca preistorica veniva praticato per inumare i bambini. Consisteva nel deporre il corpo all'interno di
un vaso in terracotta (pithos) con il corpo in posizione rannicchiata).

Il villaggio di Nola-Croce del Papa: un abitato della I età del bronzo sepolto dall’eruzione del Vesuvio→ le tracce di
vita investite e conservate dai depositi vulcanici sono praticamente complete: il piano di calpestio, con tracce di
recinzioni e impronte lasciate dalla presenza e dal passaggio di uomini e animali, strutture abitative con l’alzato fino a
m1,20 ca, altre strutture per funzioni diverse, resti vegetali e faunistici, tutti i contenitori e gli elementi fissi e mobili di
ceramica, argilla, legno e fibre vegetali abbandonati al momento della fuga degli abitanti. Gli oggetti metallici e gli
ornamenti non sono rilevabili, probabilmente sono stati portati via al momento della fuga.
Le facies proto-appenniniche
L’aspetto proto-appenninico, identificato come il precedente diretto dell’Appenninico classico, è passato
successivamente a indicare un gruppo di facies presenti dal Lazio meridionale e Abruzzo fino all’estremo Sud della
penisola. Alcuni tratti tipologici che segnano probabilmente le fasi iniziali dello sviluppo del Protoappenninico
consistono nella presenza di elementi collegati con la facies di Palma Campania. Un tratto tipologico caratterizzante
è la presenza su tazze e scodelle di anse con sopraelevazioni e di manici.
Caratteri dell’insediamento: I modi dell’occupazione del territorio sono molto diversificati. Una delle tendenze più
visibili è l’occupazione sistematica di posizioni sulla costa, notevolmente più consistente nelle regioni adriatiche e
ioniche rispetto a quelle tirreniche, dovute alle differenze di morfologia: la costa adriatica del Salento e la costa ionica,
in particolare nella parte orientale, sono caratterizzate da una leggera sopraelevazione del tavolato calcareo sul livello
del mare e dalla presenza frequente di piccoli promontori e penisole, mentre per gran parte della costa tirrenica
meridionale le propaggini dell’Appennino arrivano fino al mare, con elevazioni anche consistenti. Inoltre, le
navigazioni sistematiche dall’Egeo, che hanno inizio poco prima della metà del II millennio, si dirigono
prevalentemente verso le coste adriatica e ionica dell’Italia meridionale. Le datazioni assolute del Protoappenninico
indicano che i siti costieri, il cui inizio veniva fatto coincidere con le prime navigazioni micenee, sono almeno in parte
molto più antichi. Si tratta comunque di un sistema di insediamenti che si sviluppa per tutto il corso dell’età del bronzo.
A causa dei cambiamenti ambientali avvenuti dall’età del bronzo, la presenza nei siti direttamente sul mare di
caratteristiche morfologiche e di condizioni generali favorevoli per la navigazione e per l’approdo non sono sempre
osservabili nella situazione attuale. Un tipo frequente di abitato costiero in area adriatica e ionica è una penisoletta-
promontorio fra due piccole baie naturali, che dovrebbero offrire una possibilità di approdo indipendente dalla
direzione del vento. Questo schema è frequente fra la costa adriatica pugliese e la parte orientale del golfo di Taranto.
Sulla costa adriatica a sud del Gargano i siti costieri su piccole penisole, che hanno inizio probabilmente in momenti
diversi dallo sviluppo del Protoappenninico, sono separati da intervalli di 20-40km, in gran parte determinati dalla
morfologia naturale. Nel golfo di Taranto, la distribuzione degli insediamenti costieri è in alcuni tratti molto più fitta,
con intervalli di 3-5km. Questo tipo di abitato costiero, quasi completamente assente sulla costa tirrenica, compare
sporadicamente nell’area ionica occidentale. Nell’esame dello sviluppo dell’occupazione nell’area del Tirreno
meridionale è essenziale prendere in considerazione anche la costa siciliana (nord-orientale) con l’arcipelago delle
Eolie, interessato dalle più antiche frequentazioni sistematiche dall’Egeo. L’occupazione durante questo periodo si
sviluppa anche nelle aree interne, dalle fasce collinari a ridosso della costa ai terrazzi fluviali, fino ai bassi versanti
dell’Appennino. Molti siti sono abitati di piccole dimensioni e spesso di breve durata, in posizione sia aperta che difesa.
In Abruzzo alcuni abitati sono sulle rive dei laghi. Anche in queste regioni i siti in grotte e ripari costituiscono una
componente significativa del sistema di occupazione del territorio (20% circa), con funzioni spesso cultuali o funerarie,
ma di certo anche con un ruolo non secondario nello svolgimento delle attività stagionali.
Necropoli, demografia, società: Le sepolture dei gruppi che utilizzano ceramica di tipo proto-appenninico sono a
inumazione, prevalentemente collettiva, in ambienti delimitati di origine naturale o, più spesso, artificiale, e sono
concentrate per ora nella parte sud-orientale della penisola. Nel Lazio meridionale si riconoscono alcune grotte
funerarie. Grazie anche alla sua notevole estensione territoriale, la Puglia comprende diversi tipi di strutture
funerarie, in parte concentrate su aree definite: nella sezione settentrionale si conoscono grotte naturali, ambienti
sotterranei scavati nella roccia tenera locale; nel territorio di Bari dolmen con corridoio megalitico, originariamente
coperti da tumuli; nel Salento le piccole e grandi specchie (camere o ciste dolmeniche coperte da tumuli di pietrame);
in varie aree del territorio grotticelle artificiali. Il rituale inumatorio e alcuni tipi di strutture, in particolare le grotticelle
artificiali, si collegano all’eneolitico della regione, con i complessi funerari della facies di Laterza-Cellino S. Marco;
tuttavia le grotticelle artificiali dell’età del rame o della I età del bronzo potevano ospitare oltre un centinaio di
sepolture, mentre nel periodo che stiamo esaminando questo tipo di struttura è riservato prevalentemente a gruppi
ristretti o comunque selezionati, in alcuni casi anche a singoli individui. Le sepolture collettive continuano nelle fasi
successive dell’età del bronzo. Nel caso delle sepolture dolmeniche, la distinzione rispetto al resto della comunità,
indicata dall’uso esclusivo di uno spazio funerario delimitato, è sottolineata dal carattere monumentale della struttura,
un elemento a lungo riconoscibile nel paesaggio e probabilmente un segno di demarcazione territoriale. Nella parte
settentrionale della regione, fra un momento finale del Proto-appenninico e gli inizi dell’Appenninico, le sepolture
collettive, sempre riservate a gruppi familiari, cominciano a caratterizzarsi per la presenza di corredi maschili con
armi. Alcuni elementi relativamente completi e analitici sono stati elaborati sulla base dell’evidenza archeologica da
due gruppi vicini di strutture artificiali sotterranee. Le tombe ipogeiche riunite in gruppi possono essere
ragionevolmente considerate come gli spazi funerari esclusivi di ognuna delle unità di parentela (lignaggi e/o famiglie
estese) che formavano le singole comunità. Le tombe sono ambienti articolati o multipli scavati nella crusta calcarea
del Tavoliere, costituiti da un corridoio a cielo aperto, un ambiente intermedio generalmente a corridoio con volta
scavata nella roccia, che costituisce il vestibolo della camera funeraria, e la camera stessa, che presenta in alcuni casi
un pozzo di aerazione. Un altro tipo di sepoltura collettiva probabilmente familiare che si sviluppa nel
Protoappenninico e continua nell’Appenninico è rappresentato dal tumulo di Santa Sabina, sormontato da una stele,
con due sepolture centrali. Il tumulo copre altre 23 tombe a fossa, senza corredo o con uno o due vasi di ceramica
locale; in questo caso l’enfasi del rituale funerario è su un singolo individuo, che occupa il centro dell’area di
seppellimento. La collocazione del gruppo di sepolture sotto un unico tumulo deve essere ovviamente considerata
come un’indicazione di unità, che anche in questo caso potrebbe essere di tipo parentale. Nel Salento le strutture
funerarie più frequenti sono tombe dolmeniche a cista o a camera costruite con lastre tagliate dalla roccia calcarea
locale, coperte da grandi tumuli di pietrame (specchie). Il gruppo più noto è quello delle piccole specchie, nel territorio
fra Vanze e Acquarica, dodici delle quali sono state esplorate negli anni ’50. I tumuli delle piccole specchie, formati da
blocchi irregolari di calcare con o senza aggiunta di terra, hanno un diametro compreso fra 15 e 30 metri. Le strutture
megalitiche hanno di solito un orientamento est-ovest, con ingresso sul lato est. Gli ambienti funerari, spesso preceduti
da un corridoio, sono a pianta rettangolare, con dimensione interna intorno a 1,50x1x1,20. Le piccole specchi erano
utilizzate per sepolture individuali; i corredi recuperati e ricostruiti completamente o in parte da Lo Porto
comprendono solo ceramica proto-appenninica riferibile a una fase antica dello sviluppo della facies. Gli elementi
principali che sembrano definire il sistema funerario del Salento nella prima metà del II millennio sono quindi:
■ La visibilità delle strutture funerarie.
■ L’isolamento dello spazio riservato ai defunti rispetto a quello frequentato dai vivi: oltre alla camera/cista separata
artificialmente dal suolo naturale, va anche considerato il fatto che la lastra di chiusura sembra essere aperta e subito
dopo richiusa dopo aver accolto una nuova deposizione
■ Il numero limitato di individui sepolti nelle strutture megalitiche (fra una e alcune unità)
■ L’assenza apparente di indicatori di ruolo o di status, e soprattutto di armi.
Almeno alcuni di questi elementi sembrano configurare un cambiamento rispetto al periodo caratterizzato
dall’aspetto Laterza-Cellino S. Marco, durante il quale per le sepolture venivano scelti prevalentemente ambienti non
visibili in superficie, come grotticelle artificiali sotterranee e grotte naturali. Inoltre, queste strutture ospitavano di
solito un numero molto consistente di deposizioni, probabilmente tutti i membri di una singola unità di parentela.
Deve essere comunque ricordato che i monumenti funerari megalitici di tipo dolmenico potrebbero avere avuto inizio
già nel corso della facies di Laterza-Cellino S. Marco. Rispetto alle manifestazioni funerarie più antiche, le specchie
salentine potrebbero quindi documentare lo sviluppo di un processo in direzione di una maggiore articolazione interna
delle comunità: in primo luogo, queste tombe non accoglievano più centinaia di morti, ma solo uno o alcuni individui,
verosimilmente singoli capi o alcuni membri dei gruppi di parentela che formavano le comunità. Inoltre, la visibilità
delle strutture funerarie è stata di solito considerata come una espressione tangibile di controllo del territorio.
Ideologia e religione: sono attestati rituali che includono l’uso del fuoco e offerte sacrificali nelle tombe a camera
sotterranea. Attività di culto sono documentate anche in alcune grotte.
Sussistenza, produzione e scambi: L’economia di sussistenza delle comunità proto-appenniniche è caratterizzata
dall’importanza della pastorizia: questa componente appare particolarmente sviluppata nelle grotte in aree
appenniniche interne, mentre gli insediamenti stabili mostrano situazioni più diversificate. La pesca e il consumo di
molluschi marini sono importanti in alcuni siti costieri. Per quanto riguarda le produzioni agricole, sembra ci sia stata
produzione locale di olio di oliva, forse risultato di contatti precoci dall’Egeo o dal Mediterraneo Orientale.
La produzione metallurgica: Fra il momento finale del Protoappenninico e l’Appenninico Iniziale gli oggetti di bronzo
vengono prevalentemente dai corredi di sepolture collettive della Puglia settentrionale. Le caratteristiche dei ripostigli
e la prevalenza di oggetti di prestigio e armi sembrano indicare che l’attività degli artigiani metallurghi,
dall’acquisizione della materia prima alla produzione e alla circolazione degli oggetti metallici, non sia in genere inserita
stabilmente nelle strutture delle comunità locali.
I collegamenti interregionali: I collegamenti interregionali delle comunità protoappenniniche sono numerosi e
importanti; lo sviluppo culturale e sociopolitico delle regioni meridionali della penisola nel periodo corrispondente è
modellato probabilmente in misura molto rilevante dalla combinazione di collegamenti interni intensi e sistematici e
di contatti marittimi a media e lunga distanza. Fattori di contatto e di integrazione culturale di origine interna alla
penisola sono:
■ Movimenti determinati da attività stagionali, come la transumanza. Questo elemento pervasivo dell’economia
della penisola si configura come un fattore di omogeneizzazione culturale, che favorisce lo sviluppo di piccoli gruppi di
comunità autonome basate sull’integrazione e sullo sfruttamento in comune delle risorse di ambienti diversi, piuttosto
che la formazione di organismi sociopolitici complessi di grandi dimensioni
■ Frequentazione di luoghi di culto esterni agli abitati. Il fatto che i luoghi di culto non coincidano con aree di
insediamento indica la possibilità che venissero usati da più comunità, costituendo un fattore di contatto e di
integrazione di lunga durata, anche se sembra per ora impossibile valutare l’estensione delle aree entro le quali questi
luoghi di culto rappresentavano un punto di riferimento comune.
■ Circolazione di metallo e manufatti metallici. Sembra che gli artigiani seguissero percorsi noti a intervalli di tempo
determinati. I collegamenti esterni della penisola, in prevalenza marittimi, continuano con una tradizione che risale
almeno al neolitico. Nell’età del bronzo, in particolare con l’inizio della facies protoappenninica, i contatti assumono
alcune caratteristiche di sistematicità e di organizzazione che indicano probabilmente l’emergere meglio definito di
motivazioni di natura economica. Come abbiamo visto, fra la costa adriatica e quella ionica la nascita di una serie di
insediamenti costieri su promontorio coincide in linea generale con la comparsa e lo sviluppo della facies
protoappenninica, nei secoli iniziali del II millennio a.C. La posizione e la morfologia di questi abitati sembrano una
chiara indicazione del fatto che la scelta non è solo in funzione dello sfruttamento delle risorse marine, ma è legata
alla navigazione, e quindi a collegamenti marittimi a lunga distanza, che nell’area adriatica sono rivolti
prevalentemente alla costa opposta. Nell’area tirrenica la combinazione di fattori ambientali e culturali che
condizionano i contatti marini è diversa e molto specifica. Il bacino del basso Tirreno (Calabria, Sicilia, Eolie e Flegree)
forma un’area nella quale sono possibili collegamenti marittimi con brevi percorsi di navigazione costa a costa. Inoltre,
la Sicilia e le Eolie costituiscono una delle aree di massima concentrazione dell’evidenza di contatti sistematici dall’Egeo
e dal Mediterraneo orientale
■ Le fasi iniziali delle navigazioni sistematiche dall’Egeo: Sia nell’area adriatico-ionica, sia nel Tirreno meridionale, la
frequentazione sistematica da parte dei navigatori egei non costituisce l’elemento determinante allo sviluppo dei
collegamenti marittimi, ma appare invece come una nuova componente che si inserisce con modalità non identiche
in situazioni locali già consolidate. Nei siti dell’area adriatico-ionica i frammenti di ceramica egea sono in numero
limitato e sembrano generalmente riferibili al momento più avanzato della fase iniziale dei contatti. Apparentemente
questi materiali documentano una fase di passaggio o di frequentazioni saltuarie. Lo sviluppo delle comunità indigene
è caratterizzato dalla presenza di centri maggiori fortificati, sulla costa e nell’interno, questi ultimi in posizioni adatte
al controllo territoriale. Ai centri fortificati si alternano numerosi siti minori con economia essenzialmente agricola.
Su questo territorio i centri più importanti svolgono ruoli attivi nella produzione e negli scambi, e sviluppano forme di
competizione sociale fra le diverse comunità di parentela che costituiscono la comunità. I primi contatti sistematici
dall’Egeo con le comunità della costa adriatica italiana si trovano di fronte a una situazione caratterizzata da comunità
relativamente strutturate, e da reti di scambio già attive, anche sul piano internazionale. In altri termini, una situazione
locale in parte simile a quella dell’area tirrenica delle navigazioni costa a costa ma più articolata perché parte
integrante delle attività della via di scambi fra Mediterraneo ed Europa costituita dal corridoio adriatico. Nell’area
tirrenica meridionale invece la presenza egea si sviluppa sin dal momento più antico nei due arcipelaghi: nelle Eolie e
nell’arcipelago Flegreo. In entrambi è documentata da percentuali consistenti di ceramica egeo delle varie classi note
in questo periodo. Apparentemente l’inizio dei contatti nel Tirreno ha caratteristiche di progettualità e di
organizzazione più definite rispetto all’area adriatica: scelta di piccole isole vicine, ma non direttamente sulla
terraferma, bene inserite nella rete locale di scambi con il sistema delle navigazioni costa a costa. È possibile ipotizzare
che da questo momento la presenza egea comporti l’inserimento nelle comunità indigene di gruppi che stabiliscono
impianti in posizione adatta per l’organizzazione e il controllo degli scambi.

L’ULTIMA FASE DELLA MEB E L’EBR NELLE REGIONI CENTRALI E MERIDIONALI


Le facies appenninica e subappenninica
Il termine “civiltà appenninica” esprime sinteticamente la prospettiva antropologica adottata dallo studioso S. Puglisi
nell’analisi relativa all’età del bronzo: l’elemento centrale della ricostruzione culturale e storia è il rapporto delle
comunità umane con il loro ambiente. Fra le comunità dei due versanti dell’Appennino l’elemento unificante è la
condivisione di una struttura economica basata sulla pastorizia e sulla pratica della transumanza estiva delle greggi
verso i pascoli di montagna. In questo quadro la catena appenninica svolge un ruolo di collegamento e di relativa
omogeneità culturale e non è una barriera. Attualmente il termine “appenninico” viene usato solo come indicatore
cronologico della facies caratterizzata da questa ceramica decorata, presente soprattutto nell’ultima fase della media
età del bronzo. La facies appenninica (divisa in sette gruppi regionali) segna un momento di sviluppo del processo di
relativa omogeneizzazione degli aspetti formali della cultura materiale nella penisola che si delinea nelle facies di
Grotta Nuova e proto-appenninica. È interessante notare che le affinità formali più marcate nella ceramica si
riscontrano fra regioni dei versanti opposti della penisola; in altre parole, sembrano essere il risultato di contatti
sistematici attraverso i passi appenninici, del tipo di quelli che potrebbero risultare da spostamenti dalle zone di
pianura dei due versanti alle aree interne appenniniche per attività stagionali come la transumanza e la caccia. Qualche
elemento di cronologia relativa è stato proposto in base alle decorazioni e alla forma più o meno articolata dei manici.
Tuttavia, le suddivisioni sono notevolmente incerte, con differenze sensibili nella cronologia relativa dei vari elementi
tra i due versanti della penisola. Un’altra difficoltà nella distinzione tra la facies appenninica e le precedenti deriva
dalla estrema rarità di contesti stratigrafici sicuri. La facies subappenninica, considerata coincidente con l’EBR, è
presente su tutta la penisola, spesso in continuità con l’Appenninico, con alcune differenziazioni regionali; è
caratterizzata dalla ceramica d’impasto quasi completamente priva di decorazioni di tipo grafico. La cronologia delle
facies appenninica e subappenninica dipende ancora in gran parte da quella della ceramica micenea; tuttavia, il
numero di datazioni assolute per contesti indigeni stratificati, che permettono la verifica incrociata delle datazioni
assolute con quelle archeologiche della ceramica micenea, sta crescendo in modo significativo. Le più antiche
importazioni sistematiche di ceramica egea in Puglia e Campania si trovano in contesti proto-appenninici di fase
avanzata e dell’Appennino iniziale. Nella penisola, la ceramica di queste fasi si concentra negli abitati costieri della
Puglia e delle regioni ioniche. A parte i problemi di cronologia assoluta egea, un’altra difficoltà deriva dal fatto che
gran parte della ceramica micenea in Puglia e Calabria è di produzione locale, quindi non corrisponde in modo
puntuale alla sequenza costituita in area egea e del Mediterraneo orientale.
L’insediamento: I dati più incerti sono quelli relativi alla durata degli insediamenti, al rapporto fra siti di nuovo
impianto e siti che continuano da fasi precedenti, e allo sviluppo di una gerarchia di insediamenti in determinati
comprensori territoriali. In generale, sembra che nella maggior parte delle regioni fenomeno di continuità e
discontinuità di insediamento negli stessi siti fra le fasi più antiche e la fase tarda della media età del bronzo siano più
o meno bilanciati; inoltre, alla scomparsa di un certo numero di siti di fase preappenninica fa spesso riscontro la
comparsa di nuovi siti che sembrano avere inizio nel corso dell’Appenninico. Un fenomeno in parte analogo si verifica
al passaggio fra Appenninico e Subappenninico, che tuttavia in alcune zone sembra segnare una diminuzione del
numero di siti. L’area di distribuzione territoriale e adriatica delle facies appenninica e subappenninica, dalla Toscana
settentrionale all’Emilia Romagna alle Marche e al Molise, e quella relativa alla costa tirrenica meridionale, è
conosciuta in modo ancora piuttosto limitato. Nel bolognese e in Romagna le due facies sono documentate in alcuni
abitati di altura, in posizione analoga a quella dei siti di facies terramaricola nell’Appennino emiliano, spesso in
vicinanza di fiumi, oltre che in siti costieri che continuano dalla fase precedente. Apparentemente, la crisi che alla fine
del periodo investe l’area dei terramare coinvolge anche questo territorio, →in particolare con l’abbandono dei siti
di pianura. Nell’area adriatica centrale alcuni siti non sembrano continuare oltre la MEB appenninica. Pochi
insediamenti all’aperto si sviluppano durante l’Appenninico e il Subappenninico; alcuni siti continuano anche nella fase
successiva. Anche l’occupazione dei siti in grotta, come la caverna di Frasassi, che ha avuto inizio nel corso della facies
Grotta Nuova, sembra continuare nel corso dell’Appenninico e della tarda età del bronzo, fino all’età del ferro. Nelle
Marche c’è una diffusa continuità tra la IEB avanzata e le fasi iniziali della MEB, che sembra interrompersi con la MEB
appenninica. I siti in facies appenninica continuano invece senza eccezioni nell’età del bronzo recente; questi periodi
segnano un aumento del numero complessivo degli abitati, e un certo grado di articolazione per quanto riguarda la
localizzazione e le dimensioni. Per il territorio toscano i pochi dati includono la continuità di frequentazione dei ripari
e delle grotte nel territorio di Siena. L’occupazione dei siti in posizione aperta, nelle valli e conche interne sulla costa,
che si svilupperà nella Toscana settentrionale fra EBF e la I età del ferro, sembra avere inizio almeno in alcuni casi con
l’EBR. Per l’Etruria meridionale dalla MEB un certo numero di nuovi siti sembra comparire con l’Appenninico. Con il
passaggio all’EBR il numero di siti sembra diminuire. In questa zona fra MEB e EBR c’è il progressivo affermarsi di un
tipo di abitato in posizione interna e naturalmente difesa. Questo tipo di unità morfologica comincia ad essere
occupato con una certa sistematicità nel corso della MEB, in particolare nella fase appenninica, continua nell’EBR e
prevale nell’EBF. In generale, i siti con continuità fra MEB e EBF sono prevalentemente in posizione difesa. Nella MEB
appenninica la varietà delle scelte nella collocazione dei siti è ancora ampia: continuano dalla fase precedente gli
abitati sulle rive dei laghi e i siti costieri; molti abitati sono in posizioni aperte; continua la frequentazione delle grotte.
Nel Lazio a sud del Tevere la tendenza alla scelta di siti difesi ha un peso molto minore rispetto all’Etruria meridionale.
I siti nella MEB prevalgono in posizioni aperte, su terrazzi fluviali o sulle rive di laghi, anche se non mancano siti di
altura. Quasi tutti gli insediamenti sono vicini a una fonte d’acqua. Nelle zone interne adiacenti, alcune concentrazioni
di abitati si verificano nelle conche lacustri. In Abruzzo con la MEB si sviluppano alcuni centri di grandi dimensioni e di
lunga durata sia nelle aree pianeggianti della conca del lago Fucino sia sui versanti sia sulla costa. La frequentazione
delle grotte continua, in molti casi fino alla tarda età del bronzo e all’età del ferro; in alcune la frequentazione dell’età
del bronzo comincia con l’Appenninico. Per le regioni tirreniche meridionali è possibile proporre alcune osservazioni e
ipotesi. Sulla costa campana e nel breve tratto tirrenico della Basilicata la facies appenninica è ben rappresentata, per
lo più in aree o siti già occupati nelle fasi precedenti dell’età del bronzo. In tutta l’area del basso Tirreno, che nei periodi
precedenti partecipava intensamente alle navigazioni costa a costa insieme con le Eolie e con la costa nord-orientale
della Sicilia, la documentazione relativa alla facies subappenninica è limitata. In alcuni dei siti più importanti
l’occupazione sembra interrompersi con la MEB appenninica; in altri il materiale subappenninico è scarso. Questo
aspetto dell’occupazione della costa tirrenica potrebbe essere in relazione con lo sviluppo dei rapporti tra l’area
costiera della penisola, le Eolie e la Sicilia nel corso dell’età del bronzo, e con la presenza micenea nel basso Tirreno.
Nelle aree interne continuano abitati in posizione difesa. Nelle grotte e nei ripari dell’interno la fase appenninica è
ampiamente rappresentata, mentre la presenza di ceramica subappenninica è incerta. In Puglia e Basilicata orientale
molti siti, soprattutto all’interno, non sembrano continuare oltre la fase protoappenninica, mentre dalla media età del
bronzo appenninica l’insediamento si concentra negli abitati in posizione difesa e dominante. Alcuni siti di altura a
notevole distanza dalla costa hanno verosimilmente una funzione di controllo sulle vie di comunicazione verso
l’interno e il versante ionico. Sulla costa adriatica e nel golfo di Taranto cresce invece il numero di siti costieri su
promontorio, ora a intervalli regolari di circa 10km. Nella Calabria e Basilicata ionica gli abitati su promontorio sono
rari. Come nella fase precedente, il tipo di abitato prevalente occupa una posizione più o meno elevata, che consente
il controllo delle valli e della costa, sui terrazzi o sui pianori della successione di fasce collinari che risalgono dalla
pianura costiera verso l’interno. In Campania i siti appenninici della fase avanzata della MEB sono relativamente
numerosi. Sulle strutture e sull’organizzazione interna degli abitati disponiamo di informazioni limitate e
frammentarie. Nell’area sud-orientale della penisola nelle età del bronzo e del ferro alcuni abitati, sia costieri che
interni, sono protetti da grandi muri di pietre a secco. Le strutture abitative della fase appenninica sono di forma e
dimensioni diverse: capanne a pianta circolare, contigue le une alle altre o separata, a piante rettangolare con fondo
absidato, a struttura rettangolare.
L’abitato di Rocca Vecchia → la più antica delle fasi di occupazione finora identificate a Roca è caratterizzata da una
facies di tipo proto-appenninico. Questa fase continua nell’età del bronzo appenninica e si conclude alla fine della MEB
con una distruzione violenta e un grande incendio. Nell’EBR si ha una ricostruzione meno articolata, sono stati
identificate anche resti di capanne e sistemazioni in spazi aperti. La percentuale della ceramica TE III proveniente dal
Peloponneso raggiunge in questa fase circa il 10% del totale, e questo sembra connotare la presenza egea a Roca.
Nella fase del passaggio tra età del bronzo recente e finale cominciano alcune produzioni ceramiche specialistiche: la
ceramica grigia e i doli cordonati, interamente eseguiti al tornio, e la ceramica dipinta di stile proto-geometrico
meridionale eseguito a mano. La cronologia assoluta calibrata della fase appenninica è compresa tra 1448-1379 a.C.,
mentre la fase subappenninica è collocata tra il 1234-1039 a.C.
La piana di Sibari e l’abitato di Broglio → lo scavo dell’abitato è stato accompagnato da un programma di ricognizioni
sistematiche, con l’obiettivo di collocare lo sviluppo del sito nel contesto dell’occupazione del comprensorio alla quale
appartiene. L’area interessata è delimitata verso mare dalla linea arcuata della sezione occidentale del golfo di Taranto.
I rilievi montuosi chiudono un’ampia pianura fluviale formata da due fiumi che si collegano a poca distanza dalla costa
ionica. Le condizioni pedologiche, idrografiche, vegetazionali e climatiche che caratterizzavano questa regione nel
corso del II millennio a.C., sono state radicalmente alterate dall’intervento antropico. L’occupazione dell’area fra l’età
del bronzo e quella del ferro si concentra fra la prima fascia collinare affacciata alla pianura, le colline della fascia
interna e un numero limitato di siti montani. Fra la media età del bronzo e la prima età del ferro si definisce una
tendenza alla selezione di siti naturalmente difesi e relativamente ampi, accompagnata dal progressivo abbandono
dei siti minori e non difesi. Il sito di Broglio si trova nella prima fascia collinare interna, e tramite le tracce trovate si
ipotizza uno sviluppo di un’élite indigena sul modello della società palaziale micenea.
Economia e sussistenza: Pochi dati sull’alimentazione vegetale sono noti nelle regioni centrali. Fra i legumi prevale il
favino. Le tendenze complessive nelle regioni meridionali sono la diversificazione locale delle pratiche colturali, la
comparsa di nuove specie di cereali e l’aumento progressivo dell’olivo. Per quanto riguarda le faune, la tendenza
generale è la prevalenza dell’allevamento rispetto alla caccia. Il cavallo è poco frequente, mentre le dimensioni
generalmente piccole dei bovini indicano tecniche di allevamento poco sviluppate.
Le produzioni artigianali: la ceramica è probabilmente fabbricata in ambito domestico; il sistema di produzione può
essere accostato a quelli definiti household production (lavorazione condotta completamente in ambito familiare) e
household industry (lavorazione domestica con partecipazione di altri membri della comunità a una parte delle
operazioni). Con l’inizio della presenza micenea in Italia le comunità indigene entrano in contatto con una produzione
ceramica specialistica, eseguita al tornio e dipinta. C’è la prevalenza della ceramica micenea di produzione locale
(italo-micenea) su quella importata e una limitata influenza delle forme ceramiche indigene sulla ceramica grigia e
anche di elementi di origine egea sulla ceramica d’impasto indigena. Tutte le classi ceramiche sono prodotte con argille
della regione.
La produzione metallurgica: non è molto rilevante quantitativamente ma è in gran parte di elaborazione locale. Sono
comunque presenti anche tipi dell’Italia settentrionale, che indicano l’ampiezza dei contatti interregionali sia in questa
fase che nella successiva. Gli oggetti metallici vengono soprattutto da alcuni complessi cultuali o funerari. I materiali
sono soprattutto armi e oggetti personali e di ornamento. Come nel periodo precedente, gli oggetti metallici
appartengono quasi esclusivamente alla categoria dei beni di prestigio. Con l’EBR la produzione metallurgica dell’Italia
peninsulare documenta un cambiamento di grande rilievo, che investe molti aspetti dell’economia e
dell’organizzazione delle comunità con continuità di sviluppo nei periodi successivi. Gli oggetti in bronzo sono più
numerosi, presenti non sono le tombe e depositi votivi, ma anche in abitati e comprendono per la prima volta, accanto
agli ornamenti e alle armi, un certo numero di utensili e attrezzi. I ripostigli di questa fase non sono numerosi.
Le sepolture e le manifestazioni cultuali: nelle regioni centrali si ha poche evidenze archeologiche, le sepolture
ritrovate sono prevalentemente in grotta, mentre nelle regioni meridionali le tracce sono molteplici. Nella fase
appenninica continuano i diversi tipi di tombe collettive, ancora verosimilmente riservate a gruppi famigliari elitari.
Nella MEB compaiono alcune necropoli a incinerazione.
Ideologia e religione: Le manifestazioni cultuali non sono riconoscibilmente diverse da quelle del periodo precedente.
Nelle tombe collettive a camera sotterranea delle regioni sud-orientali tracce di rituali che implicano l’uso del fuoco e
sacrifici di animali sono noti in relazioni con sepolture databili al momento di transizione tra Protoappenninico e
Appenninico, e alla piena età appenninica.
Collegamenti interregionali: il quadro è molto ampio, con caratteristiche varie, con caratteristiche diverse per le varie
zone della penisola. Nella MEB appenninica sembra consolidarsi su tutto il territorio la rete di collegamenti diffusi il
cui correlato archeologico è l’affinità delle forme e nelle decorazioni della ceramica, soprattutto tra i due versanti
dell’Appennino. Contatti diffusi, ma di tipo e significato diverso, sono documentati dalla presenza di materiale
ceramico di tipo appenninico e subappenninico nell’area terramaricola orientale e, a nord del Po, nel Veneto orientale
e fino al Friuli. Si tratta di un fenomeno che può essere spiegato con la contiguità geografica con i gruppi di facies
peninsulare del territorio bolognese e della Romagna. Qualche indicazione di reciprocità, cioè di collegamenti diretti
dalle regioni padane verso sud, in particolare con l’Adriatico, è rappresentata da presenze di ceramica che potrebbe
essere di diretta ispirazione o provenienza padana nelle Marche e in Puglia. Anche nell’area nord-occidentale, dalla
Liguria alla Francia meridionale e alla Corsica, la presenza nei contesti locali di materiali ceramici confrontabili con
quelli delle facies dell’età del bronzo della penisola rappresenta una costante, verosimilmente un indizio delle
continuità ininterrotta di collegamenti diffuso tra le regioni costiere e fino ad aree interne attraverso spostamenti di
persone o piccoli gruppi. I contatti per via marittima sono importanti quanto quelli terrestri. Collegamenti sistematici
con l’area balcanica coinvolgono le regioni adriatiche. Questi contatti ci sono noti essenzialmente dalle somiglianze
formali nella ceramica e dall’evidenza della circolazione fra le due coste di oggetti di bronzo. La continuità del
fenomeno e l’importanza dell’insediamento costiero soprattutto in Puglia indicano chiaramente che esso costituisce
una delle componenti stabili degli sviluppi in questa parte della penisola.
I collegamenti con l’area egea: La frequentazione sistematica delle coste e delle isole dell’Italia meridionale, con
estensioni marittime e terrestri fino alla pianura padana, all’Adriatico settentrionale e all’Europa centrale, da parte di
gruppi provenienti dall’Egeo e dal Mediterraneo orientale, è da molti anni una componente riconosciuta della
protostoria italiana ed europea. Contatti da Oriente hanno interessato il Mediterraneo centrale e occidentale fin dal
neolitico. Intorno alla metà del II millennio in corrispondenza delle fasi formative dei regni micenei, comincia una fase
di intensificazione dei collegamenti, che partono prevalentemente dall’Egeo e si dirigono in modo sistematico verso
la Sicilia e le regioni italiane meridionali. La spiegazione più accreditata delle ragioni di questi contatti è la ricerca di
risorse. Le fasi iniziali dei contatti, che avvengono a partire da un momento avanzato dello sviluppo del
Protoappenninico, mostrano una differenziazione fra l’area di massima concentrazione di siti costieri su promontorio
(la costa adriatica meridionale e il golfo di Taranto) e l’area delle navigazioni costa a costa nel basso Tirreno. Nella
prima i contatti sembrano essere in generale a bassa intensità; nella seconda alcuni siti indigeni dei due arcipelaghi
sono interessati da frequentazioni sistematiche di gruppi di provenienza egea, indiziate dalla presenza consistente
delle diverse classi ceramiche conosciute nell’Egeo. Con la media età del bronzo appenninica e l’età del bronzo recente
gli sviluppi dei contatti son ancora differenziati. Nella regione adriatica meridionale e ionica questo periodo
corrisponde alla fase di contatti più intensi e sistematici con l’Egeo. Ceramica di tipo miceneo compare in quantità
rilevante in molti siti. Le classi ceramiche specializzate di tipo egeo prodotte in Italia sono la ceramica italo-micenea,
quella grigia tornita e i caratteristici doli cordonati. A proposito della ceramica di tipo o ispirazione egea nei contesti
dell’Italia meridionale, sono anche significative le analisi che indicano l’assenza quasi completa delle forme ceramiche
che in area egea sono sistematicamente presenti in contesti palaziali, e che a Cipro e nel Levante sono legati a relazioni
ufficiali di tipo politico-diplomatico; i materiali importati o prodotti sulla penisola sono invece collegati ad attività a
funzioni quotidiane e non ufficiali, e privi di specifiche connotazioni di prestigio. In una parte consistente dei siti nella
fascia costiera, la presenza dei residenti micenei in qualche modo integrati nelle comunità indigene sembra
ragionevolmente sicura, sulla base sia dei materiali di importazione, sia della produzione locali delle classi ceramiche
di tipo egeo, che indicano la presenza stabile di artigiani stranieri che lavorano in Italia. Sulla costa adriatica i siti sono
separati da distanze di circa 10 km, con territori calcolati in circa 50kmq, e anche su quella ionica centrale e occidentali
i siti con concentrazione di ceramica micenea sono relativamente distanziati. La fascia costiera intorno a Taranto si
caratterizza invece per la maggiore densità dei siti, quasi tutti su promontorio e con materiali di tipo egeo in quantità
notevole. In quest’area è verosimile che la maggiore vicinanza fra gli insediamenti, che implica la minore estensione
dei rispettivi territori, determini le condizioni per l’emergere di forme di organizzazione territoriale gerarchica. La
presenza di gruppi di provenienze egea all’interno delle comunità indigene non sembra modificare visibilmente la
cultura materiale locale; la ceramica d’impasto continua ad essere fabbricata secondo la tecnica tradizionale; la facies
appenninica e subappenninica come la conosciamo nei siti frequentati dai Micenei non mostra differenze sostanziali
nelle forme e nelle decorazioni rispetto agli altri siti. La ceramica italo-micenea e la ceramica grigia sono quasi
certamente fabbricate da artigiani di provenienza egea. Gli effetti del contatto investono l’economia di sussistenza,
con l’uso intensivo della coltura dell’olivo e probabilmente della vite; la produzione metallurgica tende con ogni
probabilità a stabilizzarsi precocemente in questi centri, e ad acquistare un peso maggiore nell’economia e nelle
attività locali. Mentre l’esistenza in Italia di un sistema gentilizio-clientelare stabile, ispirato dalle aristocrazie palaziali
micenee, è di fatto dubbia, è invece molto verisimile che nel corso di contatti tra Italia ed Egeo durati per più di 3 secoli
siano avvenuti spostamenti di persone o di piccoli gruppi dall’Italia in direzione dell’Egeo. L’evidenza più consistente è
rappresentata dai numerosi manufatti metallici di tipo italiano provenienti dall’area egea. L’abbandono
dell’arcipelago flegreo e la concentrazione della presenza micenea nelle Eolie e in Sicilia sembrano confermare
l’esistenza di un rapporto privilegiato dei navigatori egei con le comunità di queste isole, che vengono scelte come
sede per le basi più importanti e più stabili nell’area tirrenica e in generale nel Mediterraneo centrale. Questa scelta
rientra in una lunga tradizione di collegamenti sistematici della Sicilia e delle Eolie con l’Egeo e il Mediterraneo
orientale, il cui risultato è una generica affinità culturale e migliori possibilità di inserimento di persone e di gruppi di
origine egea/orientale nelle comunità locali. Il livello di integrazione in quest’area è notevolmente più alto rispetto a
quello riscontrato in Italia Meridionale. Ciò è indicato dall’uso di contrassegni grafici sui vasi, dalle strutture che
richiamano le tombe micenee a tholos, dalla presenza consistente di ceramica micenea e dalla presenza di
importazioni anche in zone interne della Sicilia. Un dato costante in tutta l’area è il grado limitato di integrazione dei
Micenei con i gruppi indigeni appenninici e subappenninici, che non giunge mai al consistente livello di integrazione
dei gruppi siciliani e eoliani. Nell’area adriatico-ionica il contatto si sviluppa con inserimento di piccoli gruppi di
residenti micenei nelle comunità indigene della fascia costiera. I gruppi micenei sono relativamente isolati gli uni dagli
altri, e partecipano in qualche misura alle attività di scambio delle singole comunità con le regioni interne e con l’area
tirrenica centrale. In questa, il forte radicamento egeo nelle comunità indigene della Sicilia e delle Eolie consente
probabilmente il collegamento diretto con le regioni centrali della penisola, in particolare con le aree metallifere
dell’Etruria, senza più passare attraverso la mediazione delle isole del basso Tirreno. È possibile supporre che le attività
marinare dei Micenei assumano progressivamente le caratteristiche di incursioni ostili sulle coste della Calabria e forse
della parte meridionale della Campania, compresa probabilmente l’occupazione di tratti della costa più meridionale.
La diminuzione degli insediamenti calabresi e campani fra Appenninico e Subappenninico costituisce probabilmente
un indizio della situazione di crescente insicurezza nell’area. È verosimile che la contrapposizione con i Micenei abbia
rappresentato uno stimolo allo sviluppo di una identità etnica comune nelle comunità indigene delle regioni
tirreniche meridionali.
Struttura e organizzazione delle comunità: Le tendenze generale nella penisola nel periodo che stiamo esaminando
sono da un lato la continuità e un certo rafforzamento della componente pastorale dell’economia di sussistenza;
dall’altro il progressivo radicamento dell’attività metallurgica nell’economia delle singole comunità. Gli indizi di un
processo di articolazione sociopolitica e di sviluppo economico più precoce e complesso che nel resto della penisola
si concentrano in Etruria meridionale e nelle regioni sud-orientali. In Puglia e in Basilicata orientale gli elementi
costitutivi del processo di trasformazione sono la comparsa di aggregazioni di popolazione più concentrate, e con
territori più ampi, che si verifica durante la media età del bronzo appenninica e la possibile comparsa di un sistema
gerarchico di insediamenti nell’area del golfo di Taranto.

LA FINE DELL’ETÀ DEL BRONZO E LA PRIMA ETÀ DEL FERRO


Le facies archeologiche: Dal punto di vista archeologico, l’EBF si caratterizza per la comparsa su gran parte del
territorio italiano e fino alla Sicilia nord-orientale di facies regionali relativamente definite, ma che comunque
condividono un certo numero di elementi formali e tipologici nella ceramica e nella produzione metallurgica. Queste
facies venivano spesso indicate complessivamente come protovillanoviane, ma il termine è diventato troppo generico.
La produzione metallurgica è abbondante e di livello tecnico ed estetico elevato. I manufatti metallici sono ormai una
componente funzionale insostituibile di tutti i tipi di attività. Questo ampliamento è meno sensibile nelle regioni
settentrionali, dove la produzione di oggetti metallici è ricca e relativamente diversificata fin dagli inizi dell’età del
bronzo; nelle regioni peninsulari esso rappresenta invece un cambiamento tecnologico di impatto molto ampio. La
varietà tipologica e funzionale dei manufatti si accentua fra le fasi centrali e la fine del periodo, durante il quale
compaiono anche i primi indizi consistenti di lavorazione del ferro. I numerosi ripostigli comprendono
prevalentemente oggetti fuori uso e spezzati intenzionalmente, verosimilmente preparati per la rifusione. Durante
l’età del bronzo finale si accentua il carattere locale della produzione metallurgica, che nella maggior parte dei casi
rientra tra le attività artigianali stabili di singole regioni o comprensori, anche se probabilmente non di ogni comunità.
Nelle fasi iniziale e avanzata del periodo la massima concentrazione di materiali e le soluzioni tecniche ed estetiche
più raffinate si trovano in Etruria meridionale e nelle regioni adiacenti (Umbria, Marche, Romagna). L’area padana
nord-orientale costituisce in queste fasi un polo di primaria importanza nell’acquisizione e lavorazione del metallo e
nell’organizzazione degli scambi. Con l’età del ferro si consolida l’attività di officine metallurgiche locali, che servono
singole comunità o comprensori territoriali di estensione limitata. La produzione assume un carattere regionale, anche
se alcune categorie o singoli tipi di manufatti hanno un’ampia circolazione interregionale.
Sussistenza: Le analisi dei resti vegetali e soprattutto delle faune dei singoli insediamenti mostrano un certo grado di
variabilità nelle basi di sussistenza anche nella stessa regione. La consistente produzione di attrezzi agricoli metallici,
come le falci, costituisce un fattore di sviluppo per la coltivazione estensiva soprattutto di cereali. Un altro elemento
che si afferma nell’età del ferro è l’aumento delle dimensioni dei bovini, legato al miglioramento delle tecniche di
allevamento.
Fattori di trasformazione sociale, economica e politica: C’è la scomparsa del polo culturale, produttivo e di scambi
rappresentato dal complesso palafitte-terramare e dell’abbandono della pianura padana a sud del Po. È molto
probabile che questa crisi sia uno dei fattori che nell’EBF determinano l’emergere di nuovi poli della produzione e degli
scambi fra la pianura padana nord-orientale, con il centro più importante di Frattesina, e l’Etruria. I collegamenti
interregionali e internazionali costituiscono probabilmente per la prima volta in questo periodo un fattore complessivo
di integrazione economica e politica delle diverse traiettorie regionali. Sotto questo aspetto, uno dei fattori
storicamente più importanti che caratterizzano la tarda età del bronzo è il declino della presenza egea, e il
coinvolgimento più o meno attivo di molte regioni italiane nei nuovi rapporti che, a partire dal XIII secolo, si dirigono
dal Mediterraneo orientale (Cipro e Fenicia) verso Occidente. In gran parte, le comunità sono dotate di un livello
limitato di articolazione sociale e di organizzazione politica; la parentela continua a svolgere un ruolo fondamentale
come principio ordinatore di base della società, indipendentemente dai cambiamenti nelle articolazioni sociale e nelle
forme di strutturazione politica. Nelle regioni emergono gerarchie di centri su territori relativamente estesi, forme di
centralizzazione della decisione politica, che sembrano essere collegate sistematicamente all’affermarsi del rituale
dell’incinerazione, un sistema di produzione e di scambio di tipo commerciale-industriale, che distribuisce
capillarmente su tutto il territorio della penisola manufatti di interesse non primario.

Le regioni settentrionali
L’area nord-occidentale
LA FACIES PROTOGOLASECCHIANA E LA CULTURA DI GOLASECCA IN LOMBARDIA E PIEMONTE. LA FACIES
DEL CUNESE E IL COLLEGAMENTO CON LA LIGURIA
Nell’area più occidentale, fra la Valle d’Aosta, il territorio di Torino, il biellese e l’alta valle del Po, è stata definita
recentemente una facies dell’EBF nella quale convergono elementi dei campi di urne occidentali e protogolasecca. Nel
territorio di Cuneo, nel Piemonte meridionale, lo studio della necropoli di Valdieri ha consentito una messa a fuoco
della specificità della facies locale, vicina agli aspetti culturali della Liguria. La necropoli si sviluppa con materiali della
facies meridionale di Alba-Solero, con un aspetto Protoligure. Per quanto riguarda gli aspetti protogolasecca e
Golasecca della Lombardia occidentale e del Canton Ticino, nel momento più antico →esistono forti elementi di
continuità con la facies di Canegrate, mentre i materiali riferibili alla fase più recente →(protogolasecca) si collegano
direttamente all’aspetto dell’età del ferro di Golasecca. L’area di distribuzione dei complessi protogolasecca, e poi
della cultura di Golasecca, è compresa fra il Canton Ticino e il Po, e fra la Slesia e il Serio; i siti si distribuiscono fra bassa
e alta pianura, colline moreniche, il Lago Maggiore e il Lago di Como, e aree di montagna. Una facies molto vicina al
protogolasecchiano e il golasecchiano lombardi si sviluppa nella parte orientale del Piemonte, corrispondente alle
provincie di Novara, Vercelli e Alessandria. La documentazione relativa all’EBF viene prevalentemente da necropoli e
da alcuni ripostigli, tra cui la più importante è Morano sul Po. Le vie di comunicazione seguono prevalentemente le
valli fluviali in direzione dei valichi alpini. La posizione della necropoli di Morano, sulla riva sinistra del Po, indica un
collegamento che si sviluppa fra l’EBF e i primi inizi dell’età del ferro in direzione degli insediamenti lacustri del lago di
Ginevra e dei centri villanoviani dell’Emilia. Nella Lombardia occidentale i siti si distribuiscono fra la bassa pianura e la
fascia collinare e subalpina. Sia in pianura che nella fascia collinare è riconoscibile una tendenza al collegamento dei
siti con i corsi d’acqua. Alcuni complessi della fine dell’età del bronzo della bassa pianura giungono fino agli inizi
dell’età del ferro, ma la concentrazione maggiore dell’insediamento di questo periodo si trova nella fascia collinare
subalpina. È possibile distinguere un comprensorio occidentale, uno orientale intorno a Como e un’area settentrionale
che include la Val d’Ossola e il Canton Ticino. Fra i tre comprensori esistono alcune differenze nella facies archeologica,
nel rituale funerario e nello sviluppo del popolamento. Le necropoli dell’EBF e della fase iniziale dell’EDF,
esclusivamente ad incinerazione, possono essere esemplificate da quella di Morano Po. Oltre alle incinerazioni,
nell’area della necropoli sono presenti alcuni pozzetti senza ossa cremate, forse cenotafi, e alcune fosse rituali con
carboni, resti di alimenti e frammenti consistenti di ceramica d’impasto. In maggioranza ci sono incinerazioni singole,
in alcuni casi sepolture doppie o plurime. Nella grande maggioranza dei casi il corredo è limitato ad alcuni oggetti di
ornamento di bronzo, che costituiscono anche gli indicatori del genere del defunto: fibule ad arco semplice, bracciali
e fuseruole compaiono nelle tombe femminili, mentre spilloni, fibule serpeggianti di tipo villanoviano e alcune armi
compaiono in quelle maschili. Anelli e forse coltelli potrebbero essere associati ad entrambi i generi. Le fasi iniziali
dell’EDF nell’area golasecchiana occidentale mostrano uno sviluppo culturale autonomo, con collegamenti in direzione
del Veneto e dell’area alpina centrale. L’area orientale, intorno a Como, ha un popolamento più denso a partire dalla
fine dell’età del bronzo; nelle necropoli i corredi sono più ricchi dell’area occidentale, che comprendono spade,
spilloni, coltelli, morsi equini e un vaso in lamina di bronzo, con contatti sistematici con il Veneto indicati da affinità
nella ceramica e nei bronzi fra le necropoli. Le tombe ricche con armi nel corredo documentano nel comprensorio di
Como l’emergere precoce di un’aristocrazia guerriera, forse stimolato dai contatti e dagli scambi con l’Etruria. La
produzione metallurgica della fase protogolasecca è documentata anche in alcuni ripostigli. Un ruolo importante
nell’organizzazione e nel controllo di questa rete di scambi potrebbe essere stato svolto dal sito di Badia Pavese,
probabilmente un abitato, in cui sono stati i bracciali di tipo Zerba; gli indizi sono la posizione favorevole nelle vicinanze
del corso del Po e la notevole ricchezza dei materiali metallici. Il sito di Badia Pavese sembra avere in parte alcune
caratteristiche analoghe a quelle di Frattesina nella pianura padana orientale. I centri della cultura di Golasecca
svolgono un ruolo di cerniera negli scambi fra l’Etruria padana e l’Europa transalpina, in particolare con l’area celtica,
che si sviluppa tra VIII e IV secolo a.C. La struttura sociopolitica delle comunità sembra essere relativamente poco
articolata; le necropoli mostrano la presenza di singoli personaggi di rango all’interno di una compagine sociale poco
differenziata. Non mancano comunque centri che svolgono un ruolo preminente negli scambi.

LA LIGURIA
Gli sviluppi nell’EBF e nella IEF della Liguria sono in continuità diretta con la situazione dei periodi precedenti, nella
facies ceramica come nelle caratteristiche dell’insediamento e dell’economia di sussistenza; aumentano invece i
collegamenti interregionali per via terrestre e marittima. La regione partecipa all’intensa rete di comunicazione e di
scambi attiva nella sezione occidentale del Mediterraneo, che si estende dalla Francia meridionale alla costa orientale
della penisola iberica con le Baleari, alla Sardegna, alla Corsica e alla Sicilia. Nell’EBF le strutture che caratterizzano gli
abitati sono ancora le opere di terrazzamento dei pendii e l’uso di muretti di pietre a secco. Aumentano gli oggetti
metallici; sono frequenti i frammenti ritrovati negli abitati, che indicano probabilmente l’intensità dell’uso e della
lavorazione di manufatti metallici anche attraverso il riciclaggio. I complessi più importanti sono alcuni ripostigli. La
coincidenza con aree estrattive indica probabilmente attività minerarie per ora non direttamente documentate. Con
la IEF è evidente una tendenza alla concentrazione dell’insediamento in pochi siti maggiori. Le attività si svolgono in
un’area centrale di uso comunitario, mentre terrazzi distinti in posizione marginale ospitano le abitazioni e articolazioni
diverse dell’economia di base. La regione non è coinvolta in sviluppi di tipo protourbano, ma mostra una crescita
complessiva di identità culturale, riconoscibile nella specificità dei nodi di insediamento e dell’economia di sussistenza
e nei caratteri della cultura materiale. La produzione ceramica è omogenea, e almeno in alcune aree è organizzata a
un livello sovralocale. La produzione metallurgica è legata in parte a quella dell’Italia settentrionale, in parte alla
produzione transalpina occidentale. Gli usi funerari sono differenziati: continuità del seppellimento collettivo in grotta,
sepolture sotto tumulo di pietrame, incinerazione con urne in fossa o in anfratto naturale. Il complesso funerario più
noto della Liguria è la necropoli di Chiavari. La facies ceramica della Liguria fra EBF e IEF non è ancora completamente
definita, e si collega sia a tradizioni locali e peninsulari, sia a modelli diffusi nei campi di urne dell’area RSFO. Fra i
manufatti metallici sono presenti tipi “occidentali” e tipi comuni nei complessi dell’Italia settentrionale. Dall’EBF la
Liguria di Ponente è legata soprattutto alla Francia e al Piemonte, il Levante all’Appennino emiliano.

La pianura padana centro-orientale


IL PROTOVILLANOVIANO PADANO E IL FENOMENO DI FRATTESINA
Il quadro generale: In questa parte del territorio padano, che comprende la Lombardia orientale e il Veneto, la facies
archeologia dell’EBF mostra forti elementi di convergenza e di affinità con la facies Chiusi-Cetona, un insieme di aspetti
archeologici presenti nelle regioni centrali della penisola. Le affinità formali riguardano la ceramica e alcuni tipi molto
specifici di manufatti metallici. A questo si aggiunge una somiglianza generica con il protovillanoviano dell’Etruria
meridionale. Questi elementi sono all’origine della facies locale con il termine “protovillanoviano padano”. In questa
regione si sviluppa il sito di Frattesina, un nodo di produzione e di scambio su scala interregionale e internazionale.
La relativa omogeneità della facies archeologica su tutto il territorio che stiamo considerando indica l’esistenza di
collegamenti sistematici fra tutte le diverse comunità, fra le quali esiste verosimilmente un certo grado di omogeneità
culturale complessiva.
Insediamento e territorio: Rispetto all’EBR, il numero dei siti è fortemente ridotto (circa 1/10) con una concentrazione
di popolazione in alcuni siti maggiori. Alcuni casi di continuità di occupazione dall’EBR sono noti in Veneto nel territorio
di Verona. È possibile riconoscere alcuni cambiamenti significativi nel sistema di insediamento, che investono sia la
localizzazione che l’organizzazione interna ed esterna degli abitati. Molti insediamenti di questo periodo proseguono
nella fase iniziale dell’EdF senza discontinuità nella facies archeologica. Prevalgono siti di pianura, ma non mancano
insediamenti di altura. Il collegamento degli insediamenti con i corsi d’acqua maggiori è relativamente molto
frequente, e motivato probabilmente, oltre che dalla necessità di acqua, anche dall’uso delle vie fluviali per i
collegamenti a lunga distanza. Le strutture di abitato dell’EBF sono capanne con pavimenti di argilla concotta e pareti
di incannucciato ricoperto di argilla cruda, pozzi, pozzetti e fosse di scarico. Nell’abitato di Frattesina le strutture
dell’EBF sono di piccole dimensioni e fittamente distribuite su tutta la superficie esplorata. Al momento del crollo e
dell’abbandono, gli elementi strutturali e i materiali mobili venivano sigillati con uno strato di limo argilloso. Le
strutture della fase di passaggio tra EBF e IEF, che sembrano indicare un livello più avanzato di organizzazione e
pianificazione dell’insediamento, sono di dimensioni maggiori, con piani pavimentali impiantati su uno spesso strato
di limo argilloso. Al momento dell’abbandono, i resti strutturali e i materiali mobili venivano asportati e deposti in
ampie fosse di scarico, a loro volta sigillate con il limo.
Sussistenza: Per tutto il periodo considerato, l’economia di sussistenza è basata su un’agricoltura sviluppata, che
sfrutta in modo sistematico i suoli fertili ma pesanti e argillosi della pianura. Fra le faune domestiche prevale il maiale,
anche questo un indicatore di produzione agricola avanzata. La caccia è scarsamente documentata, mentre la pesca
d’acqua dolce svolge un ruolo importante nell’alimentazione.
Produzioni artigianali: La ceramica è sempre d’impasto modellato a mano; tuttavia, la ricchezza del repertorio formale
e l’uso sistematico di categorie diverse d’impasto in relazione con la forma e la funzione dei recipienti sembrano
indicare un certo grado di specializzazione, soprattutto nell’abitato di Frattesina. La documentazione più consistente
e più significativa per tutte le produzioni artigianali viene dall’abitato di Frattesina, che è un vero e proprio centro
industriale basato sulla trasformazione di materie prime importate e locali. Al passaggio tra EBF e IEF a Frattesina e
nei siti collegati compaiono elementi con stretti confronti nelle facies villanoviane della IEF di Bologna e dell’Etruria,
sia nella ceramica che nei manufatti metallici. La produzione metallurgica, concentrata a Frattesina, è locale, basata
probabilmente su materie prime provenienti dall’Etruria dopo l’interruzione del flusso di materia prima dai giacimenti
dell’area alpina. Dall’abitato di Frattesina provengono almeno 4 ripostigli di oggetti in bronzo, prevalentemente in
frammenti, numerose forme di fusione e oggetti metallici isolati. Molti ripostigli comprendono due categorie di oggetti
largamente diffusi: palette a cannone e pani a piccone. A Frattesina è documentata la presenza di altri metalli come
oro e piombo. La lavorazione del vetro, sicuramente locale come è indicato dalle analisi sui materiali di Frattesina, è
documentata nell’abitato da crogioli, scarti di fusione del vetro, perline finite e in corso di lavorazione. Altre produzioni
importanti sono quelle del corno di cervo, dell’avorio di elefante e dell’ambra.
Gli ornamenti in materiale vetroso nell’età del bronzo italiana e il ruolo di Frattesina come centro di produzione
nell’età del bronzo finale→ i materiali vetrosi noti in Italia nel corso dell’età del bronzo comprendono tre categorie
principali: faience, glassy faience e vetro, i quali si susseguono nel corso dell’età del bronzo e la prima età del ferro. La
produzione locale di manufatti vetrosi comincia nella pianura padana nord-orientale agli inizi dell’EBF, con perle di
vetro. L’unico centro nel quale è documentata la produzione di vetro è Frattesina, la cui produzione ha un’ampia
circolazione.
Elementi cultuali: Le manifestazioni cultuali dell’EBF comprendono figurine plastiche in ceramica d’impasto, con
precedenti in contesti terramaricoli; si tratta di rappresentazioni sia di animali sia antropomorfe, indicatori
probabilmente di culti domestici.
Manifestazioni funerarie: per tutto il corso dell’EBF e della IEF iniziale il rituale funerario è l’incinerazione. Le tombe
sono suddivise in gruppi, interpretati come correlati di unità di parentela. Le dimensioni dei complessi vanno da alcune
decine- un centinaio di tombe alle circa 850 nella necropoli di Frattesina. Il livello di aggregazione parenterale riflesso
dalle necropoli può variare dalla famiglia nucleare, alla famiglia estesa, al lignaggio. Le ceneri sono deposte in urne
biconiche o in semplici pozzetti. I corredi sono quasi assenti nella fase più antica, e in tutte le fasi la percentuale di
sepolture senza corredo è comunque alta. Oggetti di corredo diventano progressivamente più frequenti con la
maggiore concentrazione verso gli inizi dell’EDF. Un dato ricorrente è la quasi totale assenza di armi. La radicale
differenza rispetto alle numerose sepolture maschili di armati che costituivano un elemento specifico di molte
necropoli della MEB e EBR delle stesse regioni, indica probabilmente un processo di centralizzazione della decisione
politica, collegato alle implicazioni ideologiche del rituale incineratorio. A Frattesina sembra molto probabile che i
pochissimi corredi nei quali non viene osservato il divieto rituale della deposizione di armi in tomba siano da riferire a
singoli individui investiti di un ruolo esclusivo riconosciuto da tutta la comunità, verosimilmente quello di capo politico-
militare. Se, come sembra, probabile, la struttura della comunità di Frattesina è articolata per gruppi di discendenza
(lignaggi), è possibile che in questo caso ci troviamo di fronte a una organizzazione sociopolitica del tipo del chiefdom,
nella quale il potere è attribuito a singoli individui, appartenenti al gruppo di discendenza che ha acquistato una
posizione dominante nella comunità. È verosimile che l’organizzazione sociopolitica delle comunità di questo periodo
non sia del tutto omogenea, e che Frattesina costituisca uno dei casi di maggiore complessità; tuttavia, il carattere
quasi esclusivo della presenza di armi nei corredi, sempre limitata a pochissime sepolture, è un tratto comune a tutte
le necropoli dell’EBF delle regioni settentrionali, che sembra indicare la comparsa generalizzata della centralizzazione
della decisione politica.
Scambi e collegamenti interregionali e internazionali: I collegamenti interregionale dell’EBF sono particolarmente
intensi, come indica la stessa collocazione preferenziale degli abitati in corrispondenza dei corsi d’acqua più
importanti. I rapporti con l’Italia peninsulare costituiscono una delle componenti più significative di questo quadro,
all’interno del quale Frattesina svolge un ruolo centrale. La presenza nella pianura padana orientale di una facies con
forti affinità con la facies Chiuso-Cetona, distribuita fra Toscana, Umbria, Marche e Romagna, si lega alla lunga
tradizione di contatti indicata dalla distribuzione di materiali ceramici di tipo appenninico e subappenninico che
caratterizzava la pianura padana orientale nelle fa precedenti dell’età del bronzo. Da Frattesina e da altri abitati del
Veneto centrale e meridionale vengono alcuni frammenti di ceramica di tipo miceneo, databili fra BER e EBF,
probabilmente fabbricati in Italia meridionale nelle fasi finali dei contatti con l’Egeo. Alcuni dei tipi caratteristici di
Frattesina e presenti in contesti italiani si ritrovano in regioni molto lontane, →come in Sardegna, nelle Ionie, sulla
costa dalmata e croata, in Grecia, a Creta e a Cipro e fino all’Ucraina. Altri elementi che indicano la partecipazione
attiva di Frattesina a scambi per via marittima sono la presenza consistente di avorio di elefante lavorato sul posto e
di frammenti di uova di struzzo. La varietà e la dimensione quantitativa del tutto eccezionali delle produzioni di
Frattesina e la presenza di materie prime esotiche extraeuropee ci permettono di formulare l’ipotesi che allo sviluppo
dell’anomalia strutturale rappresentata da Frattesina abbia concorso, oltre a componenti padane e peninsulari, anche
una consistente presenza dal Mediterraneo orientale.

LA CULTURA PALEOVENETA DELL’ETÀ DEL FERRO


Alcuni dei più importanti complessi veneti che si sviluppano nell’età del ferro hanno inizio nell’ultima fase dell’EBF; è
il caso di Padova e di Este. Alcuni abitati si sviluppano nell’EDF. Dopo la fase iniziale di questa età si verifica in tutta la
regione una crisi dell’insediamento (dovuta secondo alcuni studiosi alla crisi climatica al passaggio fra sub-boreale e
subatlantico), segnata dall’abbandono della maggior parte dei siti dell’EBF, e la facies archeologica della regione si
differenzia decisamente dalla tradizione formale delle regioni centrali della penisola; l’aspetto paleoveneto tipico
dell’EDF in centri come Este e Padova, documentato dal Veneto alla Lombardia a oriente del Mincio, è caratterizzato
da un repertorio ceramico che sembra essere almeno in parte di uso specificamente funerario. Con la fase avanzata
della IEF le necropoli sono formate da nuclei distinti di sepolture. Sono delimitate da muri e suddivise all’interno in
gruppi di sepolture circondati da recinti di lastre di pietra. Le tombe, quasi esclusivamente a incinerazione, sono in
buche o, più frequentemente, in cassette di lastre che contengono di solito più di un ossuario. Oltre alle armi e al
morso equino, che connotano i defunti come guerrieri e cavalieri, altri elementi di corredo che potrebbero essere
indicatori di ruoli sociali sono astragali di caprovini, zanne, ossa di bovini, telai in alcune tombe femminili. Verso la
fine dell’VIII secolo a.C. compaiono nelle tombe più importanti oggetti di importazione di tipo orientalizzante. Il
numero di corredi con elementi di prestigio aumenta tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo, contemporaneamente
all’aumento delle deposizioni plurime. La combinazione dei due fattori sembra indicare il progressivo consolidarsi di
gruppi familiari aristocratici all’interno delle comunità. La produzione metallurgica paleoveneta è strettamente legata
a quella del villanoviano bolognese. Le attività di scambio e i collegamenti interregionali dei siti paleoveneti toccano
verso nord le regioni padane occidentali, la zona alpina e le regioni confinanti a nord-est, dal FVG alla Slovenia all’Istria.
Come avviene con i centri della cultura Golasecca, i centri paleoveneti sembrano avere un ruolo intermedio nella rete
di scambi che, partendo da Bologna e dalla Romagna, si estende nell’Europa transalpina e nord-balcanica.

Le regioni nord-orientali
IL TRENTINO ALTO-ADIGE
Con l’EBF si definisce la cultura di Luco-Meluno, fra le valli dell’Adige e dell’Isarco e della Val Pusteria, con elementi
riconoscibili fino all’alta valle del Reno, con continuità di sviluppo fino ad epoca romana. L’elemento materiale
distintivo è un recipiente, una brocca, a ronco di cono rovesciato, con imboccatura leggermente ristretta, labbro
svasato con becco, piede leggermente espanso, ampia ansa verticale e una ricca decorazione. Per il periodo che ci
interessa sono state identificate due fasi: Luco A (EBF) e Luco B (IEF). Nella fase Luco A si conoscono alcuni abitati su
altura, la necropoli di Kortsch, alcuni luoghi di culto all’aperto con resti di animali sacrificati e bruciati accompagnati
da vasi probabilmente utilizzati per libagioni e rotti intenzionalmente. Nella fase Luco B sembra riconoscibile una forte
riduzione dell’insediamento. Il complesso più noto, e probabilmente il centro più importante della regione, che
comprende abitato e necropoli, è quello di Vadena. L’abitato, su una bassa conoide sul margine destro della piana
dell’Adige, è caratterizzato da una successione di livelli di occupazione alternati a episodi alluvionali. Nella necropoli
le tombe a incinerazione conservate sono circa 150, ma il numero doveva essere maggiore, con un aumento
progressivo dalla fase più antica alle fasi finali della prima età del ferro. Recentemente è stata riconosciuta un’area di
ustrinum (→aree in cui venivano realizzate le pire per la cremazione dei cadaveri. Secondo altre fonti, l'"ustrina" era invece la
pietra incavata con cui si raccoglievano le ceneri dei defunti ) databile alla fase di impianto della necropoli, con ossa bruciate
umane e di animali e resti di manufatti. L’industria metallurgica, che nell’EBR era strettamente collegata alla
produzione tipo Peschiera dell’area padana, è caratterizzata nell’EBF da tipi con affinità nelle facies padane
(protoveneto, protogolasecca) accanto a tipi specifici dei campi di urne transalpini, ma mostra anche sviluppi locali in
alcune categorie di materiale. Nella IEF è chiaramente avvertibile, oltre alla presenza di tipi locali e golasecchiani,
anche una forte componente villanoviana. Nel complesso, lo sviluppo di questi gruppi sembra relativamente stabile,
con scarsa evidenza di differenziazioni sociali e con un’organizzazione politico-territoriale per piccoli villaggi
autonomi, verosimilmente e con raggruppamenti di tipo tribale.

IL FRIULI VENEZIA GIULIA


Nel FVG la fase di passaggio fra EBR e EBF è segnata da una crisi del popolamento, specialmente nell’area a sud della
linea delle risorgive e nella pianura costiera. Gli abitati si concentrano in aree in posizione adatta ai collegamenti o
lungo percorsi nevralgici. Dalla fase centrale dell’EBF la regione partecipa con il Veneto orientale e l’Istria
all’intensificazione dei collegamenti interregionali e degli scambi terrestri e marittimi che ha al centro il sito di
Frattesina, sfruttando la propria posizione strategica alla convergenza dei percorsi fra la pianura padana, la zona alpina
con i valichi in direzione dell’Europa e le coste adriatiche. Fra EBF e IEF l’insediamento si sviluppa nei castellieri
fortificati con grande terrapieno e fossato. Nella IEF l’organizzazione sociopolitica è probabilmente di tipo tribale, con
qualche elemento di gerarchia sociale, ma con evidenza di lavori comunitari in molti siti, come Gradisca, Variano, Elleri
e Cattinara. In questa fase emerge anche una gerarchia di abitati: la dimensione media è di 2-4ha, ma gli abitati
maggiori vanno dai 15 ai 40 ha. In un momento più avanzato della IEF si verifica una ripresa dell’insediamento in
pianura con la prima occupazione del sito di Aquileia. Le necropoli, distribuite fra l’Istria e il Carso Triestino sono a
incinerazione, ma con strutture tombali differenziate fra i vari centri. La documentazione faunistica raccolta a Gradisca
per la IEF comprende caprovini, destinati alla produzione di lana e di carne, e suini, mentre i bovini venivano
probabilmente utilizzati soprattutto nelle attività agricole e di trasporto. La produzione ceramica è in parte affine a
quella dell’area padana centro-orientale sia nell’EBF sia nella IEF. Nella IEF la cultura materiale della comunità dei
castellieri si estende su un’ara che comprende la pianura friulana, il Veneto orientale, la Venezia Giulia, l’Istria e la
Valle dell’Isonzo. I metalli utilizzati per la produzione dei centri friulani vengono dai giacimenti dell’area alpina. La
regione dei Castellieri si presenta in questo periodo, come in parte già nel precedente, come un nodo di collegamenti
fra le regioni adriatiche italiane, dalla Puglia al Veneto, l’area atesina e quella villanoviana, la regione alpina, la
Slovenia e i campi di urne centro-europei.

L’Emilia-Romagna e il villanoviano padano


L’ETÀ DEL BRONZO FINALE E LA PRIMA ETÀ DEL FERRO IN EMILIA ROMAGNA
Come abbiamo già visto nelle sezioni precedenti, l’EBR segna una crisi dell’occupazione nell’area terramaricola, dove
la continuità di insediamento interessa quasi esclusivamente i siti marginali della zona appenninica; un fenomeno
simile si verifica nel territorio bolognese e in Romagna, dove la facies di questa età è di tipo subappenninico
peninsulare. In tutta questa regione l’EBF sembra corrispondere a una situazione di forte rarefazione delle presenze.
Gli elementi di base del villanoviano più antico più immediatamente riconoscibili nella documentazione archeologica
sono il rituale funerario esclusivo o prevalente dell’incinerazione. Un’indicazione significativa dell’omogeneità
culturale di fondo tra tutti i gruppi villanoviani nelle fasi iniziali della IEF è l’accettazione generalizzata del divieto
rituale di deporre armi nelle tombe. Come si è già notato, a partire dall’EBR, e soprattutto con l’EBF questo divieto è
strettamente collegato con il rituale dell’incinerazione, che con rare eccezioni caratterizza le necropoli villanoviane.
Questo fortissimo condizionamento ideologico ammette solo un numero ridotto di eccezioni, probabilmente relative
a individui che rivestono i più importanti ruoli verticali. Nel villanoviano padano, in particolare a Bologna, la
convergenza del divieto di riporre armi nella tomba e della necessità di rendere visibile il ruolo eccezionale del defunto
anche al momento della sepoltura viene risolto con la frammentarizzazione delle armi. Nei complessi villanoviani
dell’Etruria meridionale e della Campania le armi sono altrettanto rare, ma non vengono frammentate. Questi
elementi sono sufficienti a mostrare la condivisione tra tutti i gruppi villanoviani del rituale funerario e delle sue
caratteristiche formali, dell’ideologia relativa alle armi, di aspetti qualificanti del costume e del gusto decorativo, del
livello tecnico ed estetico e del volume della produzione metallurgica. Inoltre, nel loro insieme, i complessi villanoviani
costituiscono la punta più avanzata del processo di articolazione sociale, crescita di complessità della strutturazione
politico-territoriale e organizzazione della produzione e degli scambi nell’Italia della IEF. La situazione di diffusa
discontinuità in coincidenza con l’EBF può apparire come una conferma della spiegazione tradizionale della comparsa
di complessi di facies villanoviana in Emilia-Romagna, vista come un evento localizzato nel tempo, risultato di uno
spostamento di popolazione dall’Etruria Tirrenica. Come abbiamo visto a proposito dell’EBF nel Veneto e nella
Lombardia orientale, molti elementi indicano uno stretto collegamento con le regioni centrali. Gli elementi di affinità
formale riguardano la ceramica (la facies Chiusi-Cetona e il protovillanoviano padano), ma anche la circolazione di una
serie di tipi metallici esclusivi collegati a una importante rete internazionale di scambi, che gravita soprattutto verso
est: FVG e regioni balcaniche settentrionali. Agli inizi della IEF i collegamenti nella cultura materiale fra la pianura
padana nord-orientale e il villanoviano più antico dell’Etruria toscana si presentano come la prosecuzione diretta del
rapporto tra il protovillanoviano padano e la facies ChiusiCetona. Questo collegamento non sembra però coinvolgere
nella stessa misura tutti i centri contemporanei della regione. La lettura di questa situazione è complicata da due
fattori di discontinuità:
- L’assenza quasi completa di una fase di occupazione nell’EBF nel bolognese, dove gli insediamenti villanoviani
agli inizi dell’EDF si presentano come una espansione in territorio sostanzialmente disabitato.
- La fine dell’abitato di Frattesina e del suo ruolo di central place della produzione e dello scambio fra Europa,
penisola italiana e Mediterraneo.
Sembra possibile riconoscere due diversi esiti della complessa situazione che caratterizzava l’EBF. Il primo è lo sviluppo
dei centri paleo-veneti di Este e Bologna, nei quali non rimangono molte tracce del “protovillanoviano padano”. Si
tratta di una facies locale fortemente connotata, che si lega piuttosto agli aspetti contemporanei nella stessa
macroregione (FVG e area nordbalcanica). Il secondo esito è rappresentato dal centro villanoviano di Bologna e da
quello di Verucchio, che si collegano direttamente a Frattesina nel rapporto privilegiato con il villanoviano toscano,
nella facies ceramica e metallurgica e, in modo molto più consistente rispetto ai centri paleoveneti, nella funzione di
nodi di scambi internazionali. Il cambiamento consiste nello spostamento a sud della posizione del central place
principale, da Frattesina a Bologna. Sul piano della cultura materiale, è evidente che lo sviluppo successivo della facies
che caratterizzava Frattesina non si riconosce nella cultura paleoveneta dell’EDF, ma nel villanoviano soprattutto
bolognese.

IL VILLANOVIANO DI BOLOGNA
Dati generali: la fase villanoviana di Bologna non ha precedenti diretti nell’EBF. Il nucleo villanoviano bolognese si
sviluppa prevalentemente in pianura; fino dagli inizi dell’EDF appare chiaramente il ruolo centrale di Bologna, dove gli
abitati e le necropoli sono compresi in massima parte nell’area della città attuale. A Bologna si conoscono finora alcune
migliaia di tombe divise fra numerose necropoli. Sono stati identificati tre nuclei di abitato più antichi, corrispondenti
alle fasi iniziali del villanoviano.
Il territorio intorno a Bologna: L’occupazione del territorio si sviluppa in direzione del Veneto. Gli abitati sul territorio
sono di dimensioni limitate (1-3 ha), in posizione aperta e in prossimità di corsi d’acqua. Apparentemente, sono
formati da nuclei distinti di capanne, separati da aree libere probabilmente utilizzate per la coltivazione e il pascolo.
Attività economiche e scambi: L’importanza e il peso economico della metallurgia bolognese possono essere misurati
sulla base della quantità di materiali presenti nel ripostiglio di S. Francesco, quasi certamente la riserva di metallo di
una fonderia. Nella fase più antica del villanoviano bolognese la tipologia dei materiali metallici indica uno stretto
rapporto specialmente con il Veneto e i complessi temporanei della Toscana; nella successiva continua il collegamento
a nord. Molti elementi documentano il ruolo sovraregionale della produzione metallurgica di Bologna, che va molto
oltre i limiti del territorio italiano. Sembra probabile che le officine emiliane fornissero agli altri centri villanoviani
alcune categorie specifiche di manufatti metallici. La distribuzione delle categorie di manufatti tipici della produzione
tardo-villanoviana emiliana tocca anche molte regioni dell’Europa.
Le manifestazioni funerarie: A Bologna e nel territorio le necropoli sono a incinerazione, con una incidenza crescente,
ma sempre molto limitata, dell’inumazione. Le armi, presenti in un numero limitatissimo di corredi e di solito spezzate
intenzionalmente, indicano probabilmente la presenza di un potere politico-militare centralizzato. Segni di
differenziazione e concentrazione di ricchezza in particolare in alcuni corredi si moltiplicano nel periodo datato
tradizionalmente alla seconda metà dell’VIII secolo a.C., con abbondanza di vasellame metallico, bardature equine,
ornamenti di ambra.

L’ETÀ DEL BRONZO FINALE E LA PRIMA ETÀ DEL FERRO IN ROMAGNA


Nell’EBF l’attuale regione Romagna rientra nell’area di distribuzione della facies Chiusi-Cetona, vicina per molti aspetti
al “protovillanoviano padano”, che si estende a sud al territorio delle Marche, inglobando anche San Marino, e verso
l’interno all’Umbria centro-settentrionale e alla Toscana. Come si è già notato, questa facies copre le regioni della
penisola che nei periodi precedenti dell’età del bronzo erano più direttamente collegati all’area dei terremare.
L’insediamento: In Romagna gli insediamenti di questa età si collocano nelle aree appenniniche ai margini della
pianura costiera adriatica. I ripostigli sono formati da pezzi interi e rotti intenzionalmente, che appartengono a tipi la
cui distribuzione indica il collegamento fra la pianura padana nord-orientale, in particolare Frattesina, e l’area della
facies Chiusi-Cetona. Nella IEF la distribuzione complessiva degli insediamenti villanoviani è limitata alla fascia costiera
e collinare, profonda 20-30 km, compresa fra la valle del Rubicone a nord e il confine con l’area picena a sud. Gli abitati
sono generalmente su alture isolate di estensione limitata; la vicinanza al mare costituisce uno dei fattori qualificanti
dell’occupazione di questo territorio. Il sito di Verucchio è l’epicentro del sistema insediativo del villanoviano
romagnolo. L’occupazione si sviluppa tra un momento non iniziale della prima fase dell’età del ferro e il VI secolo a.C.
L’abitato comprende un nucleo maggiore e dei nuclei minori. Le strutture sono capanne circolari od ovali.
Le necropoli: le necropoli di Verucchio sono divise in più nuclei ai piedi della collina dell’abitato. Le tombe sono
esclusivamente a incinerazione e hanno una distribuzione spaziale rada.

SCAMBI E COLLEGAMENTI INTERREGIONALI DEI CENTRI VILLANOVIANI


L’estensione dei collegamenti interregionali è uno dei tratti specifici del villanoviano bolognese e romagnolo.
Soprattutto nella IEF è ben riconoscibile lo stretto rapporto con l’Etruria toscana, che costituisce un elemento di
continuità con la situazione dell’EBF. Una caratteristica essenziale del processo di formazione dei centri di Bologna e
Verucchio sembra essere il suo carattere pianificato: le indicazioni principali sono la scelta di aree definite e
relativamente limitate; l’instaurarsi di una organizzazione territoriale gerarchica, con un centro maggiore che almeno
nel caso di Bologna assume fin dall’inizio una fisionomia proto-urbana; la differente vocazione, di Bologna come
grande nodo interno di collegamenti terrestri, di Verucchio in posizione di contatto sulla pianura costiera e sui
collegamenti marittimi. Verosimilmente, i centri villanoviani settentrionali attingono alle risorse minerarie dell’Etruria,
e Bologna si qualifica come il più importante centro di produzione metallurgica dell’Italia settentrionale, in apparenza
erede diretto del ruolo svolto fino agli inizi dell’EDF da Frattesina. I collegamenti con la pianura padana settentrionale
sono complessi. Il centro villanoviano di Bologna assume in questo periodo un ruolo centrale negli scambi in direzione
della penisola e dell’Europa transalpina. Il nucleo romagnolo sembra avere un ruolo primario nei collegamenti
marittimi in direzione della costa adriatica dal FVG all’Istria e alla Dalmazia.

I PROCESSI DI ARTICOLAZIONE SOCIO-POLITICA DEI CENTRI VILLANOVIANI


Il processo di sviluppo sociopolitico riconoscibile a Bologna è simile a quello dei grandi centri villanoviani dell’Etruria
meridionale. Nelle fasi più antiche della formazione di Bologna, l’organizzazione delle necropoli e dei nuclei di
insediamento sembra corrispondere a un centro unico, ma diviso in entità fisicamente separate, che corrispondono
probabilmente a singole comunità basate su strutture di parentela; la coesistenza di queste comunità entro uno spazio
predeterminato ci permette di supporre che fra esse esista un certo grado di coesione. Il livello di integrazione politica
può essere identificato sulla base dell’evidenza di un’organizzazione territoriale gerarchica, fondata fin dal momento
iniziale su un progetto condiviso da tutte le comunità. In altri termini, questo tipo di organizzazione territoriale, che
avvicina Bologna ai centri villanoviani dell’Etruria, presuppone una direzione politica intercomunitaria più definita e
stabile di quella di solito attribuita a un organismo tribale su base territoriali. In termini neo-evoluzionistici, questo
livello può essere assimilato a quello del chiefdom. Nel corso della IEF, l’ereditarietà del potere, già raggiunta nella
fase precedente, viene rafforzata attraverso lo sviluppo di forme permanenti di dipendenza basate sulla conquista del
controllo delle risorse economiche cruciali, come le vie di comunicazione o il possesso della terra.

Le regioni centrali nell’età del bronzo finale


Introduzione
Fra l’EBF e la IEF ci sono molti fattori che influenzano i processi delle regioni centrali; il più importante è la crisi delle
terramare, che determina lo spopolamento della regione che aveva raggiunto il livello più avanzato di complessità
sociopolitica ed economico-produttiva riconoscibile nell’età del bronzo italiana. L’evidenza archeologica indica che la
crisi non si risolve nella scomparsa del popolo delle terramare, ma piuttosto in uno spostamento di individui e gruppi
che portano con sé un insieme di fattori culturali significativi. Lo spostamento avviene in due direzioni. Da un lato
verso le regioni centrali (Toscana, Umbria, Marche) che nei secoli precedenti erano state investite da contatti
sistematici dall’area delle terramare. Dall’altro lo spostamento avviene verso l’area centro-orientale a nord del Po, la
cui traiettoria di sviluppo precedente è collegata a quella delle terramare, e che nell’EBF sembra assorbire e
concentrare in alcuni insediamenti (in particolare Frattesina) il patrimonio di competenze tecniche, capacità
organizzativa della produzione e dello scambio e crescita di centralizzazione politica elaborato dalle comunità delle
regioni padane centrali fra l’EBM e EBR. Un altro problema, forse più complesso, è quello della lettura degli ulteriori
sviluppi di questa situazione nella fase iniziale della IEF. La relativa omogeneità di facies nelle regioni centrali nell’EBF
non continua nell’EDF, nella quale emergono aspetti regionali differenziati. Contemporaneamente, in Emilia-Romagna
si sviluppa il villanoviano padano, con i due centri di Bologna e Verucchio che sembrano succedere a Frattesina nel
ruolo di central place nella produzione, negli scambi e nel collegamento sistematico con l’Etruria toscana e con l’area
adriatica.
Marche, Umbria, Toscana: dalla facies di Chiusi-Cetona agli sviluppi differenziati della prima età del
ferro
Il repertorio delle forme ceramiche della facies Chiusi-Cetona è quello che caratterizza in generale l’EBF. La distinzione
più evidente rispetto alla produzione ceramica dell’Etruria meridionale è la prevalenza di decorazioni plastiche. Questi
elementi mostrano in modo abbastanza chiaro un collegamento con la ceramica delle terramare e degli abitati arginati
dell’area padana a sud e a nord del Po, e costituiscono probabilmente la traccia di rapporti intensi che nell’EBM e EBR
collegavano le regioni centrali della penisola alla pianura padana.
L’insediamento: Accanto ad abitati difesi, sono frequenti i siti in posizioni aperte. Nella parte settentrionale del
territorio considerato e lungo la costa tirrenica i siti sono di piccole dimensioni e spesso di breve durata; la continuità
con l’inizio dei futuri centri urbani dell’EDF ha un carattere graduale e meno programmatico rispetto al rapido processo
di concentrazione di popolazione che avviene in Etruria meridionale. La continuità dell’uso delle grotte naturali per
attività stagionali, fra le quali rientra la pastorizia, è attestata nelle Marche.
Le Necropoli: Sono tutte a incinerazione, Si tratta di solito di un piccolo numero di tombe senza corredi, non si sa
quanto rappresentativo delle dimensioni reali dei complessi e delle comunità. La necropoli più importante è quella di
Pianello di Genga.
Scambi E Collegamenti. Sviluppi Della Produzione Metallurgica: ai collegamenti capillari e agli scambi diffusi
documentati dalle affinità nella ceramica, si affianca l’evidenza di un circuito di scambi direzionali di metalli e
manufatti finiti. Il percorso è segnato dalla distribuzione di ripostigli e manufatti di bronzo isolati o da abitato. La
direttrice di scambi non è limitata al territorio italiano; da Frattesina, passando per il Friuli, si collega alla circolazione
di metallo e di manufatti in direzione delle Alpi orientali e delle regioni balcaniche settentrionali e costiere. La
circolazione di questi materiali arriva fino alla Francia orientale e nord-occidentale, alla Svizzera e alla Germania
meridionale. Non mancano ripostigli e manufatti isolati da collezioni e ritrovamenti casuali, che documentano una
ricca produzione metallurgica di tipo genericamente “protovillanoviano”. Ad una fase avanzata dell’EBF appartengono
alcuni ripostigli dalla Toscana settentrionale che documentano uno sviluppo relativamente autonomo della
produzione metallurgica locale e la partecipazione della regione a un circuito di scambi “occidentale”, legato alle
risorse minerarie della Toscana e della Liguria. Fra la fase avanzata dell’EBF e gli inizi dell’EDF tutta l’area dell’Etruria
propria è interessata dalla distribuzione dei manufatti di bronzo della cerchia metallurgica Piediluco-Contigliano.
Nell’ampia area di distribuzione della facies Chiusi-Cetona si riconoscono due aspetti regionali differenziati che
vengono generalmente identificati come le manifestazioni di due popolazioni distinte dell’Italia antica: nel territorio
marchigiano la facies picena, in quello dell’Etruria toscana, l’aspetto villanoviano o proto-etrusco.

L’età del bronzo finale in Etruria meridionale (territorio di Viterbo): la facies di Tolfa-Allumiere
La facies dell’EBF dell’Etruria meridionale, articolata nei due aspetti successivi di Tolfa e di Allumiere, si distingue in
modo relativamente netto dalla facies Chiusi-Cetona, il cui limite meridionale è approssimativamente segnato dal
corso del fiume Fiora, per alcuni caratteri formali della ceramica, soprattutto le tecniche e il repertorio di motivi delle
decorazioni. Alle differenze formali tra le due facies si associano altri elementi, che ci permettono di ipotizzare che fra
le due parti dell’Etruria propria esistesse in questo periodo una significativa differenziazione culturale-ideologica e
in alcuni aspetti anche strutturale.
L’insediamento: il sistema insediativo si qualifica in modo sistematico per la scelta di siti in posizione elevata sul
territorio, di solito pianori isolati dall’erosione fluviale nel tavolato di tufo del vulcano Sabatino. Le dimensioni delle
aree potenzialmente abitabile variano fra un massimo di 20 e un minimo di 1-2 ettari. La posizione difesa naturalmente
viene spesso ulteriormente rafforzata da un muro e da un fossato. Conosciamo anche un numero limitato di abitati
sul versante, oppure sulle rive del mare o di laghi. Nel corso del periodo si definisce una struttura gerarchica
dell’insediamento, con alcuni centri maggiori ai quali fa riferimento un certo numero di centri più piccoli, e si delinea
una divisione complessiva della regione per comprensori che prefigurano i territori dei centri protourbani della IEF:
Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci.
L’abitato di Sorgenti della Nova →il sito è oggi la fonte principale di informazione sull’insediamento dell’età del bronzo
finale nell’Etruria meridionale. L’abitato occupa uno sperone di roccia vulcanica con pareti ripide e un fossato sul lato
est. L’area abitabile misura ca 15 ettari, la popolazione massima che è stata calcolata è ca 1500 persone. L’occupazione
interessava tutte le superfici disponibili, con strutture sulla sommità pianeggiante del pianoro, ma anche sui terrazzi
naturali presenti sui pendii che sono spesso stati ampliati artificialmente. Sono stati messi in luce quattro tipi di
strutture:
1. Capanne piccole a base infossata, ipotesi funzionale è che si tratti delle abitazioni di famiglie nucleari
2. Grandi case a pianta ovale costruite sui terrazzi, collegate a grotte artificiali scavate nella roccia retrostante,
con funzioni di servizio
3. Case monumentali
4. Grotte artificiali, alcune usate come abitazioni e collegate esternamente con ambienti di servizio
5. Ambienti di servizio: le funzioni includono la cottura degli alimenti, lo stoccaggio.
La Documentazione Funeraria E L’organizzazione Sociale: Il rituale funerario esclusivo dell’Etruria meridionale è in
questo periodo l’incinerazione; nei periodi precedenti esistevano probabilmente tombe collettive a inumazione
coperte da tumuli o con struttura litica. L’incinerazione si presenta con alcune caratteristiche specifiche, condivise con
il Lazio antico, in particolare nella fase più antica. Il solo complesso finora noto che comprenda probabilmente almeno
un centinaio di incinerazioni è la necropoli di Poggio la Pozza. In tutti gli altri casi le tombe di questo periodo non
appartengono a necropoli nel senso tecnico del termine, cioè a luoghi destinati esclusivamente alla sepoltura di interi
gruppi o comunità; si tratta invece regolarmente di piccoli gruppi di poche unità. Oltre al loro numero limitato, vanno
presi in considerazione gli elementi di prestigio che connotano alcune di queste tombe. Un altro elemento di grande
interesse è il fatto che la sepoltura formale riservata esclusivamente a un numero limitato di individui si collega
sistematicamente alla prima comparsa di un’ideologia funeraria specifica dell’Etruria meridionale e del Lazio antico: a
partire dalla fase più antica dell’EBF, nei rituali dell’incinerazione la distruzione con il fuoco del corpo del defunto si
lega all’idea dell’urna come casa. Questo elemento ideologico è documentato a partire dalla fase di Tolfa, nella quale
per la prima volta il coperchio dell’urna è la riproduzione di un tetto di capanna. L’implicazione è il trasferimento del
defunto in una diversa dimensione fisica, che si presenta come un privilegio relativo alla vita ultraterrena riservato
esclusivamente a un numero ristrettissimo di individui. Sembra molto probabile che questi piccoli gruppi di
incinerazioni corrispondano ai personaggi che rivestono i ruoli di maggiore rilievo all’interno delle singole comunità, e
che l’introduzione generalizzata di un rituale esclusivo e così fortemente connotato indichi un processo di
centralizzazione della decisione politica. Le differenze tra il rituale della cremazione documentato in Etruria
meridionale e quello dell’Etruria toscana, e in generale dell’area della facies Chiusi-Cetona, sono piuttosto nette.
L’elemento ideologico centrale in Etruria meridionale appare del tutto estraneo alle regioni centrale a nord del Fiora.
Tuttavia, nonostante queste differenze, i due ambienti condividono sul piano ideologico il divieto della deposizione
di armi nelle tombe, sul piano strutturale-organizzativo la centralizzazione del potere politico. Sembra verosimile che
l’accettazione generalizzata dell’incinerazione, che fra EBF e IEF è legata sistematicamente al divieto di deporre armi
nelle tombe, implichi il superamento della conflittualità fra le diverse unità di parentela che costituiscono le comunità,
in favore della decisione comune di affidare il potere politico a singoli capi, forse provenienti di volta in volta da un
diverso gruppo di parentela. La ragione di questo salto di qualità organizzativo potrebbe essere stata la necessità di
un controllo più efficace dei rapporti esterni e delle attività di produzione e scambio.
La Produzione Metallurgica E Gli Scambi: La produzione metallurgica è nota da materiali di corredo nelle tombe a
incinerazione e da alcuni ripostigli. L’Etruria meridionale è l’area di origine di un circuito interregionale di scambio
simmetrico e opposto rispetto al circuito centrosettentrionale adriatico e padano con epicentro a Frattesina. Si
sviluppa lungo la costa tirrenica dal Lazio alla Campania, con un’estensione verso l’Abruzzo interno. La direttrice
prosegue fino all’estremo Sud, sia in Calabria che in Sicilia orientale; ci sono collegamenti in area mediterranea verso
la Grecia continentale e Cipro.

Gli sviluppi differenziali nelle regioni centrali nella IEF


La cultura picena nelle Marche
Il territorio: Sul versante adriatico della penisola, il territorio compreso fra la costa e l’Appennino e fra i costi del Foglia
e del Pescara è attribuito in età storica ai Piceni; la cultura picena dell’EDF, con continuità fino al IV secolo a.C.,
compare sul territorio marchigiano, con collegamenti in direzione dell’Umbria e della parte nord-orientale
dell’Abruzzo. A Fermo, nella parte meridionale della regione e vicino alla costa, sono noti due nuclei di necropoli di
facies villanoviana, che conservano una fisionomia riconoscibile almeno nel corso della IEF. Nell’insieme, il territorio
delle Marche è fortemente connotato dal punto di vista morfologico, con continuità fino al Molise; i tratti principali
sono la costa bassa seguita verso l’interno da una fascia collinare e dal versante orientale dell’Appennino; le tre zone
sono solcate trasversalmente da una serie di valli fluviali più o meno parallele. Le valli che mettono in comunicazione
la costa con l’Appennino costituiscono importanti vie di comunicazione verso l’interno e le regioni tirreniche. I
collegamenti trans-adriatici costituiscono comunque una delle componenti specifiche della cultura di queste regioni.
l’insediamento: La facies archeologica picena è scarsamente caratterizzata, con affinità trans-adriatiche nella ceramica
e alcuni tipi di manufatti metallici di produzione locale. La facies villanoviana di Fermo condivide con tutti i centri
villanoviani dell’Etruria molti elementi formali nelle forme e nella decorazione della ceramica. Per quanto riguarda la
produzione metallurgica, Fermo mostra invece un collegamento molto stretto con Bologna. La fase iniziale della IEF
(PICENO 1) è poco documentata: si conoscono piccoli gruppi di tombe. Nella seconda fase (PICENO 2) si conoscono
necropoli più consistenti, spesso collegate con abitati. L’occupazione si concentra nella bassa valle del Tronto e nelle
valli dei fiumi Tenna, Chienti, Potenza ed Esino. Alcuni dei più importanti abitati piceni noti per la IEF e in parte già
dall’età del bronzo finale sono in aree collinari in vicinanza della costa. Un progetto di ricerca che ha fornito elementi
più completi sull’età del ferro è quello relativo a Matelica (Macerata) e al suo territorio. L’occupazione protostorica ha
avuto inizio con la prima fase dell’età del ferro, per la fase avanzata della IEF sono state riconosciute alcune necropoli
e altri due nuclei di insediamento su pianoro.
la documentazione funeraria: Le necropoli picene documentate fin dalle fasi più antiche dell’EDF sono quasi
esclusivamente a inumazione; alcune incinerazioni sono note. Gli inumati sono deposti inizialmente in posizione
rannicchiata sul fianco destro, più tardi anche distesi. Nella fase iniziale il corredo è quasi sempre costituito da un
unico oggetto. Nella seconda fase ai complessi precedenti si aggiungono alcune tombe dal territorio di Macerata e di
Pesaro; nei corredi compaiono alcuni vasi d’impasto, spesso con confronti sull’altra sponda dell’Adriatico.
I complessi di Matelica →nuovi dati relativi alla I età del ferro vengono dagli scavi dei complessi piceni di Matelica. Le
necropoli identificate sono 7, collegate agli insediamenti in un tessuto caotico e molto fitto e distribuite fra le fasi
Piceno 1 e Piceno 6 (IV sec a.C.). la fase 1 di Matelica corrisponde alla I età del ferro (Piceno I e II), documentata nelle
necropoli di Brecce e Crocifisso. Nel nucleo di Brecce si conoscono per ora 103 tombe, delle quali solo 3 a incinerazione
in pozzetto, e le altre sono a inumazione in posizione rannicchiata sul fianco destro. Le determinazioni antropologiche
indicano una prevalenza di adulti, la sottorappresentazione dei giovani e l’assenza dei bambini. Si tratta quindi di un
campione non solo selettivo dal punto di vista numerico, ma anche non rappresentativo di una comunità naturale.
Nei corredi maschili sono state distinte 4 combinazioni di armi: 1. Spada corta (manufatto tipico della facies picena) e
lancia, 2. Solo spada corta, 3. Solo lancia, 4. Assenza di armi. Mentre nei corredi femminili si possono trovare oggetti
specifici del genere: fuseruola, tazza lenticolare, fibula con nucleo in ambra, collana di materiali variabili e pendente
composito. Nella lettura che viene proposta la comunità documentata in questa necropoli viene considerata come
appartenente a un organismo di tipo tribale, con possibili indizi di competizione fra i diversi componenti dalla quale
emergono forme di centralizzazione economica e la comparsa di un’aristocrazia guerriera.
le produzioni artigianali: non si differenziano da quelle delle regioni circostanti per quanto riguarda sia le materie
prime che il livello tecnologico. Nei complessi piceni la maggior parte di questi tipi metallici si collega ai modelli
villanoviani. A partire dalla seconda fase della IEF, un fattore locale evidente è la ricchezza di ornamenti di ambra.
strutture e organizzazioni sociali: l’emergere di differenziazioni sociali e di ricchezza è una costante nell’EDF dell’Italia
centrale. Nel caso della cultura picena, i successivi livelli di questo sviluppo in termini di articolazione sociale e di
organizzazione politico-territoriale possono essere identificati solo sulla base dell’analisi sistematica di abitati e
necropoli.
i collegamenti interregionali: La presenza a Fermo di un complesso villanoviano, e il carattere villanoviano di gran
parte dell’industria metallurgica della regione, si collegano direttamente alla situazione dell’EBF: l’appartenenza del
territorio marchigiano all’area di distribuzione della facies Chiusi-Cetona e la sua partecipazione al circuito di scambio
interregionale che lega Etruria toscana, regioni centrali e adriatiche e area padana nord-orientale, dove avviene
l’integrazione con i circuiti di scambio di materie prime e manufatti attivi nelle regioni balcaniche settentrionali e in
Europa transalpina. Apparentemente, nella IEF il Piceno svolge un ruolo meno attivo rispetto al periodo precedente
nella produzione e circolazione di manufatti metallici; il ruolo della regione sembra essere più importante nei contatti
sistematici per via marittima, sia in direzione dei Balcani che verso lo sbocco della via dell’ambra nell’Adriatico
settentrionale, e nella circolazione di questo materiale verso le regioni adriatiche meridionali e le aree interne e
tirreniche della penisola.

Il villanoviano dell’Italia centrale tirrenica: l’Etruria meridionale e l’Etruria toscana


Introduzione: Il villanoviano dell’Italia centrale, documentato nell’Etruria propria, si presenta come l’esito complessivo
di due processi almeno in parte autonomi, che si sono svolti nel corso dell’EBF. Le differenze si riconoscono in primo
luogo nelle facies archeologiche che caratterizzano le due aree; inoltre la Toscana e l’Etruria meridionale hanno un
peso diverso nei rispettivi contesti territoriali: l’Etruria toscana è legata strutturalmente alle regioni settentrionali, che
in entrambi i periodi ne ospitano il central place, il punti di riferimento territoriale dello sviluppo sociopolitico,
produttivo e degli scambi; al contrario, l’Etruria meridionale, con i suoi grandi centri protourbani che nascono
nell’EBF, svolge un ruolo diretto e autonomo nel processo simile e contemporaneo di sviluppo al quale partecipa.
Nonostante le differenze, sembra però indubbio che fra le due parti dell’Etruria propria esistessero nell’EBF molti
elementi di affinità culturale e di collegamento: questo è indicato nella documentazione archeologica di matrice
comune delle due facies, dall’esistenza nella produzione metallurgica di un patrimonio tecnico e formale condiviso e
da un certo grado di omogeneità culturale complessiva. Sembra anche verosimile la condivisione della lingua,
documentata poco più tardi dalle prime iscrizioni. I processi più precoci e più avanzati delle città stato villanoviane
non si verificano nelle aree più ricche di risorse minerarie, concentrate soprattutto in Toscana, ma piuttosto nella
pianura padana centro-orientale (Bologna) e in Etruria meridionale, due regioni che già nell’EBF funzionavano come
→ punti nodali di reti di scambio a lunga distanza. L’Etruria meridionale è la regione nella quale si è verificato uno dei
più importanti processi di formazione di città stato riconoscibile in Italia, con una fisionomia culturale omogenea.
Il territorio: Il territorio dell’Etruria propria presenta alcune caratteristiche uniche nell’Italia peninsulare: si tratta di
un’area regionale molto estesa, con limiti naturali definiti (i corsi del Tevere e dell’Arno e gli Appennini); la morfologia
è relativamente omogenea, caratterizzata dall’alternanza delle aree di pianura e di media collina e da una rete di valli
fluviali interne con direzione sia sud-nord che est-ovest, che assicura la possibilità di collegamenti sistematici su tutto
il territorio regionale. Un altro fattore importante è la ricchezza di risorse minerarie. La rete di vie naturali di
comunicazione a lunga distanza comprende la costa tirrenica, le valli dell’Arno e del Tevere e i numerosi passi
appenninici in direzione dell’Adriatico, della pianura romagnola e del territorio di Bologna.
Orientalizzante →Per fase orientalizzante s’intende il periodo compreso all’incirca tra il 720 a.C. ed il 580 a.C.. La
cultura orientalizzante, che peraltro non caratterizzò la sola Etruria ma tutti i paesi del Mediterraneo occidentale che
presentavano forte concentrazione di ricchezze, deve la sua denominazione alla grande diffusione di oggetti di lusso e
di motivi provenienti dall’Oriente ed in particolare da Cipro, dalla Fenicia, dall’Egitto, dall’Assiria e dall’Asia Minore.
L’insediamento: Nel corso dell’EBF si definiscono i territori dei futuri centri urbani (i grandi pianori difesi naturalmente
di Cerveteri, Veio, Tarquinia, Vulci) che in questo periodo cominciano ad essere occupati, con una progressione
apparentemente graduale. Nel corso della IEF i pianori sono densamente occupati e molti insediamenti minori sui
rispettivi territori sono abbandonati. Con la seconda fase della IEF, e in modo più sistematico con l’Orientalizzante, il
territorio dei grandi centri urbani villanoviani viene rioccupato capillarmente, con piccoli insediamenti e fattorie per
lo sfruttamento intensivo delle risorse e il controllo delle vie di comunicazione. Il processo relativamente rapido che
porta all’occupazione dei grandi pianori, la presenza sistematica intorno ad essi di più necropoli e gli scarsi elementi
conosciuti sugli abitati villanoviani indicano come ipotesi più probabile che l’insediamento nella fase iniziale dell’EDF
sia per nuclei separati, anche se vicini fisicamente e interdipendenti sul piano politico, e verosimilmente in parte anche
su quello economico. L’integrazione di questi insiemi di comunità si fonda probabilmente su una rete di rapporti
gerarchici che non implicano immediatamente una capacità permanente, efficace ed istituzionalizzata di coercizione;
in altri termini, nel momento iniziale dell’EDF i gruppi villanoviani non sono già dotati di un sistema politico di tipo
protostatale o statale. Tuttavia, come abbiamo visto, nell’EBF il seppellimento formale riservato a singoli o a pochissimi
individui e la comparsa dell’urna-casa indicano verosimilmente un processo di centralizzazione della decisione politica
condiviso dalle comunità. La formazione di strutture protourbane/protostatali, basate su una differenziazione sociale
permanente e su una organizzazione politica unitaria, con un effettivo controllo del potere, può essere vista come il
risultato del processo di sviluppo precedente. L’organizzazione dell’insediamento nella parte interna e settentrionale
dell’Etruria è per alcuni aspetti diversa da quella della parte meridionale, ed è formalmente meno conosciuta: la
morfologia degli abitati protourbani è simile a quella nota in Etruria meridionale, ma le dimensioni dei pianori sono
inferiori, mentre le distanze che li separano sono maggiori.
Le produzioni artigianali, la ceramica: a causa della scarsità di dati da abitati, le attività produttive dei centri
villanoviani sono conosciute essenzialmente sulla base delle analisi tipologiche dei materiali dalle necropoli e da
analisi di singole classi di manufatti, soprattutto metallici. La ceramica è nota prevalentemente da complessi
dell’Etruria meridionale, quasi esclusivamente necropoli. Si tratta di produzione domestica, eseguita prevalentemente
a mano. Le decorazioni più frequenti sono motivi geometrici eseguiti a pettine, una tecnica specifica del villanoviano
in tutte le regioni, oltre a solcature e incisioni. Nella seconda fase della IEF il repertorio ceramico non cambia in modo
significativo ma diminuiscono le decorazioni a pettine; inoltre compaiono importazioni e imitazioni di ceramica medio
e tardo geometrica di tipo euboico-cicladico, e produzioni locali di ceramica dipinta che si ispira alla ceramica
geometrica egea.
La produzione metallurgica: Lo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Etruria continua e si intensifica. Gli sviluppi
nella produzione metallurgica che fanno seguito a questa fase mostrano fin da un momento piuttosto antico le
specificità tecniche e tipologiche relative ai diversi centri villanoviani: la stessa quantità di manufatti metallici di uso
generalizzato indica che ognuno dei centri era dotato di proprie zone di produzione. Tuttavia, l’omogeneità formale
negli oggetti più comuni è molto forte, e richiama quella della produzione ceramica, differenziata fra i vari centri, ma
con una ben riconoscibile impronta comune. È probabile che alcune categorie di oggetti con caratteri di prestigio
fossero prodotte in un solo centro e distribuite fra gli altri. Con la seconda fase della IEF si verifica in tutte le categorie
di manufatti un aumento del livello di specializzazione. La ceramica comprende nuove classi che denunciano l’attività
di artigiani specializzati. C’è l’influenza greca.
Le necropoli, demografia, struttura e organizzazione sociale: Le necropoli villanoviane dell’Etruria, formate almeno
da centinaia di tombe, sono un correlato significativo delle dimensioni delle comunità corrispondenti. L’aspetto
quantitativo costituisce un cambiamento radicale rispetto all’EBF almeno per quanto riguarda l’Etruria meridionale,
dove il seppellimento formale è riservato a pochissimi membri delle singole comunità. Nella fase iniziale della IEF il
rituale esclusivo è l’incinerazione. In generale, l’inumazione è attestata nel corso della seconda fase della IEF, e diventa
il rituale pressoché esclusivo con l’Orientalizzante. Raggruppamenti di sepolture verosimilmente corrispondenti a
strutture familiari più o meno estese cominciano da alcuni anni ad essere identificati in quasi tutte le necropoli. Le
linee di tendenza nello sviluppo del rituale e dei corredi sono comunque relativamente omogenee su tutta la regione.
Soprattutto nelle necropoli di Tarquinia, i corredi di alcune incinerazioni si collegano in modo chiaramente
riconoscibile al rituale dell’EBF. La continuità nel sistema del rituale funerario appare come un’indicazione molto
significativa di continuità culturale. L’assenza di armi dai corredi è generalizzata, tranne per poche singole incinerazioni
con spada. La rarità delle tombe con armi e con elementi del corredo che si collegano al rituale dell’EBF potrebbe
essere un’indicazione della concentrazione del potere politico nelle mani di singoli capi. Con la seconda fase della IEF
emergono chiaramente specificità nei materiali di corredo di gruppi familiari distinti, differenze consistenti di
ricchezza, indicazioni di una gamma di ruoli sociali verticali. I titolari di questi corredi eccezionali di armi,
probabilmente non più di uno per generazione, sono stati identificati come capi guerrieri, che assumono gradualmente
un ruolo politico esclusivo di tipo principesco, segnando il passaggio a un nuovo tipo di gestione del potere.
Gli scambi e i collegamenti interregionali: I collegamenti interregionali dei gruppi villanoviani dell’Etruria si collocano
a livelli diversi di intensità e di significato; è comunque evidente che essi rappresentano uno dei fattori strutturali del
processo di formazione e di sviluppo delle comunità dell’Etruria da un punto di vista non solo economico, ma anche
politico e territoriale. Nell’EBF emerge e si consolida progressivamente il ruolo centrale della regione nella produzione
e circolazione di metallo e di manufatti metallici. Il salto qualitativo che si verifica nel corso di questa età è il passaggio
dallo scambio diffuso allo scambio direzionale: in altri termini, da un sistema di circolazione di materia prima e oggetti
finiti legato prevalentemente all’attività e ai movimenti degli artigiani metallurghi, a un sistema controllato da gruppi
di comunità riuniti in organismi politico-territoriali progressivamente più stabili e meglio definiti. Questa
trasformazione strutturale delle comunità rappresenta la condizione necessaria perché lo sfruttamento delle risorse
minerarie dell’Etruria e la circolazione di materia prima e manufatti verso le altre regioni della penisola e verso l’Europa
transalpina abbiano una ricaduta effettiva sull’economia della regione, diventando a loro volta un veicolo di espansone
e di stabilizzazione politica

La cultura laziale
Il territorio: Fra l’EBF e la IEF si riconosce nel Latium vetus un processo storico coerente e continuo, che porta dalle
comunità di villaggio con organizzazione tribale alla formazione di centri protourbani, documentato dallo sviluppo di
una facies archeologica specifica. I principali elementi costitutivi del territorio laziale sono il corso del Tevere, confine
naturale con l’Etruria; la pianura costiera, di formazione recente, chiusa verso l’interno dal massiccio vulcanico dei
Colli Albani e dai rilievi preappenninici dei Monti Lepini, Ausoni e Aurunci; più all’interno la valle Latina, che costituisce
una via di comunicazione verso la Campania e un tramite in direzione delle regioni appenniniche. La mancanza di
risorse minerarie ha rappresentato uno stimolo ai collegamenti in direzione delle regioni metallifere (Etruria e
Calabria). Inoltre, grazie alla sua posizione intermedia fra Etruria e Campania, il Lazio è stato spesso coinvolto nelle
attività, nei collegamenti interregionali e nei processi di trasformazione sociopolitica ed economica che investono
queste due regioni: in particolare la formazione delle città-stato etrusche e le fasi iniziali della colonizzazione greca in
Campania.
Elementi generali: La documentazione archeologica e linguistica del Lazio in età storica indica uno stretto
collegamento culturale con le regioni tirreniche meridionali e una forte differenziazione rispetto all’Etruria, già
chiaramente riconoscibile nella IEF sulla base della specificità della facies villanoviana rispetto a quella laziale. I
cambiamenti strutturali che si riconoscono nel Lazio nel corso del periodo che stiamo esaminando sono legati a fasi
alterne di gravitazione verso l’Etruria e verso Campania e Calabria. Il collegamento con l’Etruria implica la
partecipazione diretta alla rete di rapporti e scambi interregionali che partono da questa regione; le fasi di
avvicinamento alle regioni meridionali tirreniche segnano piuttosto un ripiegamento sulle specificità culturali condivise
con quest’area, fra le quali ad esempio l’adozione precoce dell’inumazione.
La sequenza della cultura laziale: Si riconoscono in modo abbastanza preciso 4 chiari momenti successivi nello
sviluppo di questo processo; contemporaneamente, l’area nucleare della regione, inizialmente sulla costa, si sposta
nella zona dei Colli Albani e infine a Roma.
1. LA FASE INIZIALE DELL’EBF (XII-XI). In questa fase il Lazio antico è praticamente indistinguibile dall’Etruria
meridionale, con la quale condivide la facies archeologica di tipo protovillanoviano sia nella ceramica che nella
produzione metallurgica. L’area più attiva della regione è la pianura costiera, che costituisce la principale via di
collegamento dall’Etruria meridionale alla Campania. Abitati su pianoro sono relativamente frequenti sul resto del
territorio laziale, anche se non con la stessa sistematicità osservata a Nord del Tevere. Le presenze riferibili
complessivamente all’EBF comprendono circa il 60% di siti di collina o pianoro e il 40% di siti di pendio o fondovalle.
Sono stati individuati una serie di siti costieri specializzati nell’estrazione del sale; le altre attività documentate nello
stesso periodo comprendono i movimenti della transumanza e un limitato sfruttamento agricolo. Oltre agli elementi
formali nella facies archeologica, il Lazio condivide con l’Etruria meridionale le novità nel rituale dell’incinerazione che
compaiono nella fase più antica dell’EBF. Le sepolture sono riunite in gruppi di poche unità, con urne con coperchi
generalmente che riproducono un tetto di capanna. C’è passaggio dalle tombe senza corredo della fase più antica a
quelle con corredo di vasi miniaturizzati. Il significato della comparsa nel Lazio di questo rituale, riservato
esclusivamente a un numero ristrettissimo di membri delle singole comunità, e caratterizzato per la prima volta
dall’idea dell’urna come casa del defunto, è probabilmente lo stesso che è stato indicato per l’Etruria: si tratta della
comparsa di forme di controllo politico centralizzato, affidato dalle comunità ai singoli capi.
2. LA FASE AVANZATA DELL’EBF (XI e parte del X). La definizione di I periodo laziale si basa sul fatto che solo a partire
da questo momento è possibile riconoscere una facies archeologica specifica del Lazio a sud del Tevere. Le presenze
più numerose del 1 periodo, sempre consistenti in piccoli gruppi di incinerazioni, sono nei Colli Albani. Alcuni elementi
archeologici convergono nell’indicare un cambiamento nella gravitazione culturale della regione. Nella Campania
settentrionale compare un rituale dell’incinerazione con evidenti tratti in comune con il rituale laziale;
contemporaneamente, un allentamento del rapporto di quasi identità che in precedenza collegava il Lazio all’Etruria
meridionale è indicato dall’emergere di divergenze formali e strutturali fra i rituali funerari delle due regioni. L’area
trainante del territorio laziale antico si sposta dalla pianura costiera ai Colli Albani con il territorio circostante.
L’evidenza archeologica più significativa di questa fase è l’elaborazione locale del rituale dell’incinerazione, ancora
riservato esclusivamente a un numero limitatissimo di membri delle singole comunità. La caratteristica principale dei
corredi nel 1 periodo è la miniaturizzazione di tutti gli oggetti. Una differenza significativa fra il rituale laziale e quello
dell’Etruria riguarda la composizione dei corredi: nel Lazio sono sistematicamente presenti armi e coltelli, in Etruria
c’è il divieto di riporre armi nelle tombe. La presenza di un intero corredo di oggetti miniaturizzati costituisce
l’elaborazione coerente dell’idea dell’urna-casa e del passaggio del defunto, attraverso la cremazione, a una
dimensione fisica diversa. Il numero limitato di tombe, con corredi che includono regolarmente indicatori riconoscibili
di ruolo verticale, è una chiara indicazione che anche in questo periodo la sepoltura formale è riservata esclusivamente
ai membri della comunità che rivestono i ruoli sociali più importanti. I due principali ruoli verticali riconosciuti
formalmente attraverso il privilegio esclusivo della rappresentazione funeraria sono quelli di capo politico-militare
(spada) e di sacerdote (coltello, statuetta, doppi scudi). Per quanto riguarda i ruoli verticali maschili, in alcuni corredi
nei quali compaiono gli indicatori più consistenti di prestigio e di funzioni sociali sono presenti gli indicatori di entrambi
i ruoli (spada e coltello). Si tratta probabilmente di un’indicazione della presenza in questo periodo di figure di singoli
capi investiti di una somma di poteri eccezionale, sia politico-militare che religioso.
3. LA FASE ANTICA DELLA IEF (X-IX). La continuità di insediamento dal I periodo è attestata in alcuni casi, ma sembrano
più numerosi i complessi che hanno inizio con l’EDF. Nella fase più antica continua il ruolo centrale dei Colli Albani, e i
rapporti sistematici con i gruppi delle tombe a fossa delle regioni tirreniche meridionali sono intensi e visibili. Nella
seconda fase cresce l’importanza del ruolo di Roma, mentre nascono o vengono rioccupati alcuni centri di medie
dimensioni del territorio circostante. Nei comprensori dei futuri centri urbani del Lazio sono presenti più nuclei
separati di abitato e necropoli, con differenze interne e specificità spesso molto evidenti. Un importante cambiamento
è la comparsa di vere necropoli formate da centinaia o migliaia di tombe, cioè tendenzialmente rappresentative
dell’intera comunità corrispondente. L’incinerazione, con corredo miniaturizzato o di dimensioni normali, è presente
in misura variabile nei singoli complessi, mentre si afferma progressivamente l’inumazione. La ceramica laziale di
questo periodo ha molti elementi di somiglianza con il repertorio dei gruppi della cultura delle tombe a fossa della
Campania e della Calabria. Le armi compaiono ancora quasi esclusivamente in versione miniaturizzata nelle tombe a
incinerazione. Le informazioni più consistenti sulla struttura e sull’organizzazione delle comunità laziali derivano
dall’analisi della necropoli di Osteria dell’Orsa. I ruoli orizzontali sono suddivisi per genere e classi di età in modo
sistematico; le donne giovani svolgono il compito principale della tessitura, mentre un’altra attività prevalentemente
femminile è la fabbricazione della ceramica. I principali ruoli verticali sono ricoperti dagli uomini adulti. La rarità degli
indicatori di ruolo politico-militare e sacerdotale è un’indicazione di centralizzazione del controllo politico e religioso
delle comunità, che, come abbiamo visto, era già in uso nel periodo precedente.
4. LA FASE AVANZATA DELLA IEF (IX-VIII). Questo periodo segna un cambiamento generalizzato in tutte le articolazioni
della struttura e organizzazione delle comunità laziali. Il fenomeno più rilevante è la definitiva rottura degli equilibri
interni fra le unità di parentela che formavano le comunità e la comparsa di forme di articolazione sociale e
permanente, seguita quasi immediatamente dall’evidenza di disuguaglianza economica. Ci troviamo di fronte a una
specificazione locale della formazione del sistema gentilizio-clientelare che struttura in modo permanente la società
etrusca e latina in età arcaica. La subordinazione delle unità di parentela sconfitte nello scontro sociale si concretizza,
oltre che nella disuguaglianza dei diritti sulla terra, anche nel monopolio del controllo dei collegamenti interregionali
e dello scambio da parte dei gruppi vincenti.
Le produzioni artigianali di questo periodo documentano la fine dei rapporti privilegiati con le comunità delle tombe
a fossa meridionali, e una forte ripresa dei collegamenti con l’Etruria, che coinvolge definitivamente la regione, e in
primo luogo Roma, nel sistema di scambi in direzione della Campania. Roma subentra ai Colli Albani nel ruolo di
centro trainante della regione. Un fattore cruciale del ruolo assunto da Roma a partire da questo periodo è la sua
posizione privilegiata rispetto a tutto il territorio della regione: direttamente sul Tevere, in corrispondenza del guado
dell’Isola Tiberina, che offre la via più facile e più diretta di collegamento con l’Etruria, e in particolare con Veio (che
acquista un ruolo centrale fra i centri villanoviani). Negli abitati, che per la maggior parte continuano dalle fasi
precedenti, si verificano spostamenti di concentrazione nelle aree di insediamento e di spostamento all’esterno delle
necropoli. Un altro fattore che acquista peso all’interno degli abitati è la presenza di luoghi di culto. Il fenomeno
dell’occupazione o rioccupazioni e di centri di dimensioni medie sulle principali vie di collegamento, che comincia nella
fase precedente, continua anche nel III periodo; in un momento più avanzato si verifica una occupazione capillare del
territorio per lo sfruttamento agricolo.

L’EBF e la IEF in Abruzzo e nelle regioni centrali interne


Il territorio: si tratta di un territorio disomogeneo dal punto di vista della formazione geologica e morfologica,
corrispondente all’attuale regione Abruzzo, con estensioni che comprendono la Sabina e l’Umbria meridionale. In una
certa misura, questo territorio è unificato dalla presenza di importanti via naturali di collegamento a lunga distanza.
Alcuni elementi principali strutturano il territorio e ne condizionano la rete di collegamenti interni ed esterni:
- A nord la valle del Tronto costituisce una delimitazione abbastanza netta rispetto al territorio piceno. Meno
rilevante il limite naturale verso ovest (Lazio) e verso sud (Molise).
- L’area interna appenninica, che comprende i massicci più importanti dell’Italia centrale, ai quali si alternano
ampie conche intermontane.
- Le propaggini inferiori dell’Appennino che si affacciano sull’ampia pianura costiera adriatica, con
insediamenti collinari in vista della costa e una via principale di collegamento costa-interno costituita dalla
valle del Pescara.
- Importanti vie di collegamento longitudinali e trasversali (valli fluviali).
- L’area costiera partecipa alla fitta rete di collegamenti terrestri e marittimi che si sviluppa lungo il corridoio
adriatico. Nel suo insieme, questo territorio si caratterizza per la convergenza di vie di comunicazione
interregionale, in parte seguite dalla rete dei percorsi della transumanza, che sono stati probabilmente usati
a partire dall’età del bronzo.
Le facies archeologiche che compaiono in questo periodo nell’area si definiscono, per quanto riguarda la ceramica,
per la minore frequenza e visibilità di alcuni elementi diagnostici, mentre il repertorio delle forme e delle funzioni è
sostanzialmente omogeneo rispetto alle regioni adiacenti. La comparsa di aspetti locali si verifica dall’ultima fase
dell’EBF. La produzione metallurgica, che dipende da modelli esterni, è abbondante in tutti i periodi, con aree di
concentrazione lungo la costa adriatica. La facies della IEF è affine a quella laziale, con collegamenti anche con l’area
di Veio.
L’insediamento: La continuità nell’uso delle grotte fino all’età del ferro e anche in periodi successivi è documentata in
particolare nell’area del Fucino. Gli abitati si collocano in aree collinari di sommità e di pendio, su terrazzi fluviali e su
rive di laghi, probabilmente con continuità di occupazione fra EBF e IEF. Nell’area appenninica sono frequenti gli
abitati in zone submontane e di media montagna. In Abruzzo e fino al Molise alcuni degli insediamenti più importanti
occupano posizioni di collina direttamente sulla costa o a breve distanza dal mare. Lo sviluppo della regione in
direzione di forme complesse di organizzazione politico-territoriale non sembra anteriore all’Orientalizzante.
La documentazione funeraria: Alcune caratteristiche proprie delle necropoli abruzzesi si definiscono nella fase
conclusiva dell’EBF: il rituale esclusivamente inumatorio, probabilmente già in uso nell’EBF, con singole deposizioni in
fossa in posizione distesa; la presenza di tumuli di terra con margine di lastre o di ciottoli, che coprono singole
sepolture. La fase iniziale della IEF è documentata da un numero limitatissimo di tombe, con corredi che comprendono
quasi solo manufatti metallici. Con la fase avanzata della IEF agli ornamenti e alle armi di bronzo o di ferro si
aggiungono alcuni vasi. Il trattamento funerario è simile per i due generi e per adulti e bambini, salvo alcuni elementi
specificamente femminili o maschili. Molte delle necropoli che hanno inizio in questo periodo giungono fino a età
ellenistico-romana. Le necropoli sono spesso impiantate in aree pianeggianti.
L’Umbria e la Sabina: Nell’Umbria interna, nella facies di Terni-Colfiorito, le tombe sono a incinerazione in pozzetto e
a inumazione in fosse singole circondate da circoli di pietre; in alcuni casi sono riconoscibili nelle antiche piante di
scavo file di stele che partono dai tumuli, anche se di aspetto poco monumentale. Le armi sembrano essere presenti
solo in sepolture a inumazione. La facies archeologica è omogenea, senza elementi di discontinuità al passaggio fra
EBF e IEF. Il repertorio ceramico mostra elementi di affinità con quelli del Lazio e dell’Abruzzo. I bronzi sono abbondanti
fin dal momento più antico.
La produzione metallurgica e i collegamenti interregionali: in Abruzzo, Umbria meridionale e Sabina i manufatti
metallici sono fra i documenti di maggiore interesse sulla produzione di questo periodo in Italia centrale, e sul sistema
della circolazione interregionale di metallo e manufatti finiti. Nelle fasi iniziale e piena dell’EBF molti manufatti di
bronzo sono collegati dal punto di vista tipologico alla produzione dell’Etruria meridionale. In Abruzzo, sia nell’area
interna che sulla costa, compaiono anche manufatti specifici della produzione della Puglia. Le evidenze sembrano
indicare una partecipazione attiva all’area fra Abruzzo interno e Umbria alla più importante produzione di manufatti
metallici che si afferma nella fase iniziale del villanoviano, e probabilmente alla loro circolazione. La situazione sembra
cambiare in modo radicale poi con lo spopolamento dell’area del Fucino o con la perdita di importanza del suo ruolo
negli scambi interregionali. Nel corso dell’EDF e dei periodi successivi lo sviluppo della metallurgia di tutta la regione
che è stata considerata sembra staccarsi rapidamente dal collegamento con l’Etruria villanoviana, adottando l’uso del
ferro e modelli che indicano una gravitazione preferenziale verso le regioni adriatiche.

Le regioni meridionali nell’EBF e IEF


La Campania
Il territorio della Campania si caratterizza in modo specifico come il punto di convergenza di vie naturali di
collegamento marine e terrestri a lunga distanza. Nell’EDB questa potenzialità si concretizza con il coinvolgimento
della regione nelle navigazioni costa a costa e con il ruolo centrale dell’arcipelago Flegreo nelle prime frequentazioni
sistematiche egee nel Mediterraneo centrale; nella IEF la situazione della Campania è notevolmente più articolata
rispetto alle regioni adiacenti, con la presenza sullo stesso territorio dei centri villanoviani meridionali, delle diverse
specificazioni delle comunità che adottano un rituale funerario inumatorio e di alcune manifestazioni più antiche della
colonizzazione euboica

LA IEF
La “cultura delle tombe a fossa”. Si tratta in prevalenza di villaggi, con le rispettive necropoli, distribuiti nella piana
del Sarno, nella penisola di Sorrento e nella parte settentrionale interna della regione. Il solo centro vicino alla costa,
in una situazione che offre una difesa naturale, è Cuma, che riveste una funzione e ruolo privilegiati fra le comunità di
questo gruppo.
La documentazione funeraria: Nella fase II di Cuma il coinvolgimento nel sistema di scambi “precoloniali” è indicato
dalla presenza di bronzi di tipo cipriota, di scarabei, e di coppe euboiche. La facies archeologica delle tombe a fossa
mostra affinità in Calabria e in Lazio.
La cultura di Oliveto-Cairano: un altro aspetto culturale caratterizzato dal rituale dell’inumazione, quello di Oliveto
Cairano, è concentrato in un’area circoscritta tra la valle del Sele e quella dell’Ofanto, una posizione adatta allo
sviluppo dei collegamenti con il versante adriatico. La facies archeologica è infatti caratterizzata in particolare dalla
presenza di elementi tipologici con confronti nell’area pugliese e illirica. Gli insediamenti di questo gruppo sono piccoli
villaggi in aree pianeggianti, accompagnati dalle rispettive necropoli di sepolture a inumazione.
Il villanoviano meridionale: caratteri generali, insediamento, necropoli. I gruppi villanoviani della Campania sono
contraddistinti da una facies archeologica che nella fase più antica della IEF è relativamente omogenea. La
documentazione più consistente viene da Pontecagnano; le grandi necropoli distribuite attorno all’abitato
comprendono oltre 9.000 tombe. Il villanoviano campano mostra fin dagli inizi una certa commistione con elementi
della facies locale delle tombe a fossa, ma è comunque un fenomeno archeologico ben riconoscibile e abbastanza
nettamente differenziato, caratterizzato nel momento iniziale dal rituale dell’incinerazione e dalla presenza
consistente di urne cinerarie biconiche decorate e di bronzi di tipo e aspetto villanoviano ben definito. La facies dei tre
centri si differenzia rapidamente nel corso della IEF: a Capua si accentuano i collegamenti con i gruppi delle tombe a
fossa della Campania settentrionale; a Sala Consilina si riconosce una stretta commistione di elementi tipologici con
la facies locale delle valli del Sele e del Tanagro e la comparsa dipinta in uno stile tipico dell’area Enotria; a
Pontecagnano il collegamento con gli aspetti delle facies dell’Etruria meridionale si riconosce per tutto il corso della
IEF. La distribuzione dei complessi non è concentrata ma interessa parti diverse della regione: i centri maggiori sono
abitati di grande estensione, collocati in posizione strategica per i collegamenti a lunga distanza. L’organizzazione
dell’insediamento villanoviano in Campania mostra alcune caratteristiche (scelta strategica della posizione e
fisionomia protourbana fin dal momento iniziale) che richiamano quelle dei centri villanoviani dell’Etruria meridionale
e dell’Emilia-Romagna.
La documentazione funeraria e l’organizzazione sociale: Il rituale funerario adottato nel momento più antico della IEF
non ci permette di cogliere con chiarezza l’insieme delle distinzioni di rango e di ruolo nella comunità corrispondenti;
è possibile però riconoscere alcuni indizi che si riferiscono alle principali posizioni di status. In un piccolo numero di
incinerazioni maschili c’è la presenza di urne che riproducono simbolicamente una capanna, assieme a riproduzioni in
ceramica di un elmo di impasto metallico. Deve essere quindi considerata la possibilità che non alludano al ruolo di
guerriero dell’incinerato, ma piuttosto alla sua casa nell’aldilà, che comunque è un privilegio esclusivo di alcuni
membri della comunità. È anche da notare che nel sito di Pontecagnano, nella I fase dell’EDF la presenza di armi, e in
particolare di spade, è limitata ad un numero ridottissimo di sepolture, e potrebbe quindi, come in altri contesti
dell’EBF e della IEF, designare il capo politicomilitare della comunità. Un altro elemento di distinzione è la sepoltura a
ricettacolo, alla quale sono associati corredi più ricchi della media. Il momento successivo è caratterizzato da alcune
novità: la presenza di materiali di importazione, probabilmente da attribuire a una intermediazione fenicia; un
aumento delle differenze di ricchezza nei corredi; la presenza di alcune tombe monumentali. La novità di maggiore
interesse è la presenza di settori delle necropoli riservati ai gruppi familiari che costituiscono l’élite della comunità.
Nella seconda fase della IEF la differenziazione sociale sembra ormai consolidata, e si esprime attraverso ostentazioni
di ricchezza concentrate nelle tombe femminili.
Le fasi iniziali della colonizzazione greca: In questo contesto regionale si collocano le più antiche presenze greche in
Italia, o almeno nell’area tirrenica, documentate dell’insediamento euboico di Ischia, datato dagli studiosi nella prima
metà dell’VIII secolo a.C. gli scavi hanno messo in luce l’insediamento e la necropoli che comprende alcune migliaia di
sepolture a incinerazione e a inumazione. I materiali ceramici sono esclusivamente di fattura o di imitazione greca.
Collegamenti interregionali: In Italia, questo nuovo tipo di collegamento sistematico da Oriente introduce
cambiamenti radicali nella struttura e nell’organizzazione delle comunità indigene, e costituisce un fattore di stimolo
e di accelerazione dello sviluppo delle entità sociopolitiche più complesse presenti nel contesto locale, che con ogni
evidenza coincidono con i centri villanoviani. Contemporaneamente, la cosiddetta fase precoloniale, e le evidenze di
scambi a lunga distanza che sono alla base della sua identificazione, non devono essere automaticamente lette come
anticipazione della presenza greca di età coloniale, ma piuttosto come un’indicazione del coinvolgimento delle aree
interessate nella rete di scambi attiva nel Mediterraneo. Nei complessi di tombe a fossa, nelle fasi più antiche dell’EDF
è evidente un collegamento pervasivo con i gruppi affini della Calabria e con il Lazio antico. Le affinità nella produzione
metallurgica potrebbero indicare sia per la Campania, sia per il Lazio, una parziale dipendenza dai giacimenti
metalliferi della Calabria. Collegamenti sistematici con l’area adriatica meridionale e con la costa balcanica investono
tutta la regione e toccano i gruppi delle tombe a fossa della Campania settentrionale. Dei centri villanoviani maggiori,
Pontecagnano è quello che conserva più a lungo un collegamento sistematico e direzionale con l’Etruria. Contatti
direzionali interregionali nell’area tirrenica meridionale giungono fino alla Sicilia. Il coinvolgimento precoce di
Pontecagnano in collegamenti marittimi a lunga distanza è indicato dalla presenza di importazioni sarda, mentre la
ricchezza di ceramica di tipo greco mette in evidenza l’intensità dei rapporti del centro villanoviano con Pitecusa e con
Cuma. Sala Consilina, all’estremo meridionale della Campania, si collega rapidamente con i gruppi indigeni di questa
cultura “enotria” della Calabria orientale e della Basilicata. L’insieme degli elementi mostra per i gruppi villanoviani
una struttura sociale e un’organizzazione politica relativamente complesse già agli inizi dell’EDF, e un ruolo attivo nei
collegamenti e negli scambi sia al livello locale sia a lunga distanza.

Le estreme regioni meridionali


Dati complessivi: L’ampio territorio che corrisponde oggi a queste regioni ci presenta già agli inizi dell’EDF una
situazione articolata. Tuttavia, nel corso del periodo che stiamo esaminando si riconoscono nella documentazione
archeologica alcuni fattori unificanti, che non riguardano solo la cultura materiale, ma anche aspetti
dell’organizzazione delle comunità e della loro ideologia, degli usi funerari, dell’economia produttiva e di scambio.
Questi elementi comuni coinvolgono in una certa misura anche la Campania. L’organizzazione dell’insediamento
mostra una tendenza generale alla ricerca di posizioni adatte al controllo del territorio e delle vie di comunicazione,
oppure sulla costa, in relazione con aree di laguna o su promontori collegati a movimenti e scambi marittimi. Le
dimensioni degli abitati sono comunque modeste. Le possibili indicazioni di gerarchie di siti non sembrano andare oltre
i due livelli. Nelle manifestazioni funerarie un aspetto significativo, da confrontare con l’evidenza delle regioni
settentrionali e centrali, è l’incidenza e il ruolo dell’incinerazione. Potrebbe non essere del tutto casuale che questi
complessi si concentrino nell’area sud-orientale della penisola, dove compare, soprattutto nell’EBR, una evidenza
consistente di collegamenti con l’area padana. Comunque, in tutta l’area l’incinerazione scompare in modo pressoché
completo entro una fase avanzata dell’EBF. Con la IEF, tutte le necropoli della macroregione meridionale sono a
inumazione, con rarissimi casi isolati di incinerazioni. Una potenziale implicazione del rituale dell’incinerazione è il
controllo ideologico della violenza intra e intercomunitaria, che si esprime attraverso il divieto della deposizione di
armi nei corredi funerari, e che costituisce un importante stimolo alla centralizzazione della decisione politica.
Nell’EBM e EBR nelle regioni meridionali la componente più visibile, e probabilmente più rilevante delle comunità è
rappresentata dai gruppi di uomini portatori di armi sistematicamente presenti nelle sepolture collettive in strutture
sotterranee o in grotte. Si tratta verosimilmente della manifestazione funeraria di un sistema sociale basato sul potere
condiviso e/o conteso fra le unità di parentela che costituiscono le comunità: una situazione strutturalmente simile a
quella documentata dalla Necropoli di Olmo di Nogara. Il motivo principale dell’insuccesso finale dell’incinerazione
nelle regioni meridionali potrebbe essere la resistenza del vecchio sistema. In molte necropoli di questa età compaiono
due elementi ricorrenti: la divisione delle tombe in gruppi corrispondenti a unità di parentela, e la presenza sistematica
di armi nei corredi maschili. Sembra probabile che si tratti degli uomini validi di ognuna delle unità familiari guidati dal
proprio capo: una evidenza che sembra correlata alla condivisione del potere fra le unità di base della comunità.
Sembra comunque innegabile che nelle regioni meridionali non si arrivi allo sviluppo di forme di strutturazione
territoriale protourbana e proto-statale, basate almeno in parte sulla capacità di centralizzazione del potere politico.
Alcuni importanti cambiamenti rispetto ai periodi precedenti riguardano i collegamenti interregionali e internazionali.
Nel corso dell’EBF si colloca la fine del contatto miceneo. I collegamenti con la penisola balcanica diventano ora più
intensi e pervasivi, rispetto a periodi più antichi, probabilmente nel contesto della crescita di importanza dell’Adriatico
come via di collegamento fra il Mediterraneo e l’Europa.
Gli sviluppi della metallurgia: Lo sviluppo della produzione metallurgica delle regioni meridionali è complesso: si
riconoscono alcuni elementi comuni, ma anche differenziazioni regionali significative. Due componenti localizzate
sono presenti rispettivamente in area tirrenica e adriatica:
- Nella fase più antica dell’EBF la metallurgia delle regioni tirreniche è legata a modelli dell’Etruria meridionale
- Nell’area adriatica, in particolare nel Salento, almeno dagli inizi dell’EBF la produzione metallurgica
comprende manufatti di tipo egeo.
Altri due componenti sono invece distribuite su tutta l’area meridionale:
- La comparsa di una nuova produzione quantitativamente molto ricca e nettamente differenziata dal punto di
vista tipologico rispetto a quella dell’area centrale tirrenica, che potrebbe segnalare l’inizio dello sfruttamento
intensivo delle risorse minerarie della Calabria.
- Nell’area adriatica e ionica orientale diventa più rilevante la componente di origine balcanica

LA CALABRIA
Nell’EBR l’area tirrenica meridionale è la regione nella quale si struttura il movimento che investe le isole Eolie e la
costa nordorientale della Sicilia, dando inizio alla facies archeologica nota come Ausonio I. Nelle fasi successive, fra
l’EBF e la IEF, la facies culturale di tipo ausonio si espande e si consolida nelle isole Eolie e nella Sicilia orientale,
conservando un collegamento costante e sistematico soprattutto con la Calabria, basato sull’affinità culturale ed
etnica. Una caratteristica importante della facies calabrese è l’abbondanza della produzione metallurgica, che
potrebbe essere legata all’inizio o all’intensificazione dello sfruttamento dei giacimenti metalliferi locali
Il territorio e l’insediamento: c’è una generale continuità fra le fine dell’EDB e l’EDF, con qualche indicazione di
aumento demografico e il consolidarsi della struttura gerarchica dell’insediamento; gli abitati maggiori sono collocati
su pianori che raggiungono o superano i 10 ha di estensione.
L’abitato di Broglio di Trebisacce → il sito si trova nella fascia collinare prossima alla costa e occupa anche un’altura
che si affaccia sulla piana di Sibari. Nell’EBF, caratterizzata generalmente da un complessivo aumento demografico, è
stata osservata nell’area oggetto delle ricognizioni una leggera diminuzione del numero complessivo di presenze,
accompagnata da un aumento dei siti di dimensioni maggiori. Le strutture dell’età del bronzo finale identificate
sull’acropoli di Broglio è considerata la sede di una vera e propria classe aristocratica. La struttura sociale alla base
dell’organizzazione del comprensorio è quella cosiddetta gentilizio-clientelare preurbana, che comparirebbe in Italia
meridionale grazie agli impulsi al cambiamento sociale indotti dai contatti con i micenei.
La documentazione funeraria: Con l’ultima fase dell’EBF l’uso dell’incinerazione sembra essere abbandonato in favore
dell’inumazione, il rituale pressoché esclusivo nel corso dell’EDF. Nella fase iniziale della IEF il repertorio di bronzi è
in gran parte locale, mentre la ceramica d’impasto è simile a quella delle tombe a fossa della Campania e delle tombe
del II periodo laziale. I complessi della Sibaritide hanno molti elementi in comune con la vicina area Enotria (Basilicata).
La produzione metallurgica e altre attività artigianali: La metallurgia della regione è documentata, oltre che nei
corredi delle necropoli, anche da alcuni ripostigli di bronzi. Come in Puglia, i ripostigli calabresi si caratterizzano per la
grande prevalenza di oggetti interi. In Calabria è inoltre attestata la lavorazione locale dell’avorio.
I collegamenti interregionali: Fra i numerosi collegamenti interregionali della Calabria è possibile distinguere almeno
due diversi livelli. L’affinità culturale ed etnica è all’origine dei collegamenti diffusi e sistematici, riconoscibili nella
facies archeologica, che si sviluppano da un lato verso la Sicilia orientale e le Eolie, dall’altro verso la costa Enotria. È
probabile che la continuità di questi contatti sia legata alla ricchezza del metallo della regione. Un grado consistente
di affinità etnico-linguistica fra le comunità di inumatori delle regioni tirreniche meridionali e fino al Lazio antico
sembra proponibile. Per quanto riguarda i collegamenti a più ampio raggio, elementi di affinità con l’area balcanica e
con la Grecia continentale, o con Cipro, sono stati segnalati per alcuni tipi di bronzi. Ci sono tracce dell’attività della
rete di scambi fenicia nel Mediterraneo centrale.

LA BASILICATA E LA PUGLIA
Alcuni fattori significativi nei processi di sviluppo locali, presenti soprattutto in Puglia, sono gli intensi collegamenti
marittimi con le regioni balcaniche costiere, la continuità dei rapporti sistematici con l’Egeo e il coinvolgimento nelle
attività di scambio internazionale che utilizzano il corridoio adriatico. Alcuni degli aspetti locali riconoscibili fra la fine
dell’EDB e la IEF vengono indicati con le designazioni etniche che si sono state trasmesse dagli storici antichi: la
principale è quella fra le aree enotria (Basilicata) e japigia (Puglia), nella quale si distinguono ulteriori articolazioni fra
Daunia (Puglia settentrionale), Peucezia e Messapia. Nella IEF alcuni elementi sono presenti su tutto questo territorio:
una parte del repertorio di oggetti metallici; la scarsità di ceramica nei corredi tombali della prima fase dell’EDF; la
presenza di ceramica geometrica con stili locali differenziati.
LA BASILICATA
L’insediamento: In Basilicata nell’EBF si conoscono abitati di altura, spesso a controllo delle vie fluviali o della piana
costiera, in parte con continuità del periodo precedente. Sulla presenza di forme di organizzazione complesse, con
integrazione di più insediamenti, uno dei casi di maggiore interesse è quello del monte Timmari. Si tratta di un
comprensorio costituito da un insieme di altura, nel quale sono concentrati numerosi piccoli nuclei di abitato con le
relative necropoli. Con la IEF gli abitati, che almeno in parte continuano dal periodo precedente, hanno caratteristica
differenziate: in posizione difesa e in vicinanza dei fiumi, sulle colline dell’interno o vicino alla costa. Lo sviluppo
dell’insediamento in questo periodo è in alcuni casi condizionato dall’inizio della colonizzazione greca.
La documentazione funeraria: Le necropoli della IEF comprendono centinaia o migliaia di tombe, spesso distribuite in
nuclei distinti attorno all’abitato; le sepolture sono a inumazione, con scheletri in posizione rannicchiata nell’area
costiera e distesa nell’interno. I caratteri complessivi del rituale e la cultura materiale documentata dai corredi sono
piuttosto omogenei, ma sembra possibile che fra le diverse comunità esistano differenze strutturali, in particolare
processi più o meno avanzati di articolazione interna.
I collegamenti interregionali: Nell’EBF i collegamenti esterni della regione sono di definizione incerta, soprattutto a
causa di una documentazione insufficiente. Alcuni dati potrebbero indicare la partecipazione al sistema di
distribuzione che fa capo al central place di Frattesina. Per la IEF i collegamenti più noti della Basilicata sono quelli in
direzione della Campania. La ricchezza di oggetti metallici indica la dipendenza dalle risorse minerarie della Campania.
Come è noto, bronzi e ceramiche di tipo enotrio compaiono con relativa frequenza nei complessi villanoviani
dell’Etruria; il tramite per l’arrivo di questi manufatti potrebbe essere rappresentato dai centri villanoviani della
Campania
LA PUGLIA
Territorio e insediamento: I siti aumentano in questo periodo sia nell’area interna che in quella costiera. La difficoltà
di definire un quadro complessivo dei processi che interessano questo territorio dipende anche dalla sua dimensione
eccezionalmente ampia, nonostante la relativa omogeneità morfologica, che ha favorito differenziazioni e articolazioni
sociali spesso molto rilevanti, e dalla sua collocazione geografica: allo sbocco meridionale del corridoio adriatico, con
un ampio sviluppo costiero su due mari, punto di riferimento essenziale dei movimenti marittimi sia dal Mediterraneo
orientale e dall’Egeo, sia dalla costa balcanica e greca occidentale. L’attenzione degli studiosi si è concentrata sui siti
costieri, nei quali compaiono quantità più o meno consistenti di ceramica di tipo “miceneo”. Come si è visto, si tratta
di abitati di dimensioni non superiori ai 5 ha. Molti di questi si collocano su promontori direttamente sul mare o in
corrispondenza di lagune. Si conoscono casi di discontinuità di occupazione rispetto alle fasi precedenti dell’EDB, per
esempio nella regione del golfo di Taranto, ma la continuità fino alla IEF è più frequente.
La documentazione funeraria: Nella IEF le necropoli sono formate prevalentemente da tombe a inumazione sotto
tumulo; in molti dei casi noti, le deposizioni continuano fino ad epoca storica. Le tombe dell’EDF sono fosse
rettangolari o ovali a sezione tronco-piramidale, scavate nella roccia e circondate da una canaletta, probabilmente
traccia di una copertura aerea. Sono organizzate per gruppi, con una distribuzione sul terreno piuttosto fitta, e sono
sempre a più deposizioni e a inumazione in posizione rannicchiata. Le tombe più antiche non hanno corredo, o solo
qualche ornamento personale, mentre nelle successive compaiono ceramica d’impasto, dipinta e ornamenti personali.
Rare le armi di bronzo. Alle tombe erano collegate sculture eseguite in modo sommario nel calcare locale, divise in
due classi: la prima più numerosa che comprende elementi a disco o cono schiacciato, la seconda sculture
antropomorfe (teste o stele).
La produzione metallurgica: La regione mostra, sia nei bronzi che nella ceramica, stretti rapporti con la costa adriatica
orientale (Istria, Dalmazia, Slovenia). La metallurgia della Puglia è documentata in modo organico e completo dal punto
di vista della sequenza cronologica nei ripostigli, formati prevalentemente da alcune categorie di manufatti. Una
differenza significativa rispetto alle regioni settentrionali e centrali è la presenza di oggetti quasi sempre interi.
I collegamenti interregionali e internazionali: La componente di origine balcanica, già evidente nel corso della MEB
diventa più rilevante. La componente di origine egea è localizzata nel Salento.

Potrebbero piacerti anche