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1. Introduzione
Uno dei modi più generali ma anche più importanti per affrontare il legame tra musica e
Trinità consiste nel considerare il ruolo della musica liturgica (ma anche di quella sacra, e,
in ultima analisi, anche di quella «profana» nel suo senso più bello, più alto, più ricco e più
vero) in seno alle relazioni trinitarie ed a quelle del Dio Triuno con la Chiesa e con
l'umanità.
Si tratta di un tema che fu affrontato proporzionalmente assai spesso dai Padri della
Chiesa, ed è stato poi ripreso in epoca piuttosto recente da alcuni grandi teologi; in mezzo,
per così dire, è stato più sovente praticato nella concreta realtà della musica e della liturgia
che non oggetto di riflessione e di studio.
Per Clemente di Alessandria, l'uomo è «strumento» musicale del Logos, che l'ha reso
armonioso nello Spirito Santo, affinché nell'uomo risuoni l'armonia divina, in lui venga
ospitata la Parola e le si renda culto, e lo Spirito «soffi» nell'uomo come in un flauto,
vivificandolo e rendendolo strumento di lode.2 In quanto immagine divina nel Logos,
inoltre, l'uomo partecipa alla comunione trinitaria se si fa strumento della lode del Logos al
Padre.3
Egli è «l'unico strumento di pace, il Verbo solo con cui onoriamo Dio 4»: proprio questa
visione secondo cui il Logos è «lo» strumento del culto divino, che sostituisce anche «gli»
strumenti musicali, spiega anche la relativa contrarietà di Clemente all'uso di strumenti
musicali, soprattutto di origine pagana, ma non solo (tromba, cimbalo, aulos, salterio)
nell'ambito della vita cristiana.
Diverso ma complementare il punto di vista di Agostino. «È nella Trinità [...] che si trova la
fonte suprema di tutte le cose, la bellezza perfetta, il gaudio completo», scrive infatti nel De
Trinitate.5 È peraltro inevitabile che la riflessione sulla bellezza in connessione con il
mistero trinitario tocchi profondamente anche la teologia del vescovo di Ippona, le cui
opere «testimoniano di un suo duplice interesse, quello per la bellezza e quello per la
teologia trinitaria6». In quanto creazione, seppur umana, per Agostino la composizione
musicale è in qualche modo un entrare in comunione con l'attività creativa del Padre. «Il
Padre è l'origine di ogni essere e perciò anche l'origine di ogni essere-bello», come
sintetizza Tscholl discutendo della teologia trinitaria della Bellezza in sant'Agostino. 7 Nel
momento in cui la musica si fa liturgia, culto, preghiera o contemplazione, essa è poi anche
un'azione di grazie che si compie per mezzo del Figlio nello Spirito, come sembra suggerire
Giovanni Crisostomo, in pagine di rara bellezza che inseriscono anche la danza nella lode e
nella comunione trinitaria.8
Egli stesso porta ulteriormente avanti la concezione trinitaria della musica umana in lode
di Dio: «La musica è una invenzione del cielo; se l'uomo è musico lo è per una rivelazione
dello Spirito Santo9». Si tratta di termini impegnativi: «rivelazione dello Spirito» è
un'espressione che si riserva normalmente a qualcosa di ben diverso dalla musica.
In epoca recente, queste tematiche hanno trovato interessanti approfondimenti da parte
dei teologi cristiani. Un articolo del 2000 dell'allora cardinale Ratzinger 10 sottolinea la
valenza trinitaria della musica liturgica. In quanto prevede un testo verbale, essa si radica
nel mistero pasquale e nella rivelazione divina donataci nella Scrittura: «C'è quindi un
chiaro dominio della parola; essa è una modalità più alta di annuncio [...] . Riferimento
al Logos significa, dunque, anzitutto riferimento alla parola11». In quanto tale, essa
partecipa sia al mistero della kenosis di Cristo sia al gaudio pasquale,12 ma è anche un
dono dello Spirito-Amore13 nel suo agire in comunione con il Logos.14
Hart, dal canto suo, si serve dell'analisi di ciò che la musica di Bach ci rivela in merito alla
sua attività ed al suo processo creativo per farne una sorta di simbolo della divina
creatività, intesa in un senso trinitario. La musica di Bach ci rivela infatti la possibilità di
una diversità intrinseca all'unità;15 di una creazione che è a sua volta «accoglienza»; 16 la
virtuale illimitatezza dello sviluppo tematico;17 la compresenza di un'apertura radicale e di
un'altrettanto radicale coerenza.18 Secondo Hart, la consapevolezza di queste realtà può
portaci ad una miglior comprensione «trinitaria» del Creato: la sua varietà e diversità sono
la «logica» conseguenza dell'inerenza della diversità alla Trinità divina; anche la Creazione
è irriducibile ad un piano astratto, essendo piuttosto «un dono d'amore»; infine,
l'apparente illimitatezza del possibile sviluppo della Creazione rende testimonianza
all'infinitudine dell'amore trinitario. Commentando questa posizione di Hart, Begbie
constata che essa riflette una visione della relazione creatura/Creatore in termini di un
«cosmo che riflette e partecipa della vita e dell'amore del Dio Triuno». 19 Inoltre, sostiene
Horne, è proprio in un concetto trinitario della creazione che anche l'attività creativa
dell'uomo non si pone come «competitiva» nei confronti di quella divina, bensì come
partecipazione ad essa nella comunione.20 Nell'incarnazione, il dialogo eterno del Padre e
del Figlio si trasporta nel mondo della materia creata; la creazione artistica, come risposta
creativa all'amore creatore, si fa necessaria, fin inevitabile nello Spirito.
Anche per Jenson, la comunione trinitaria è «un canto», al cui interno l'uomo viene
«tratto» ed al quale, per Grazia, è chiamato a partecipare. Non è per una semplice mania di
decorazione che la Chiesa insiste sulla bellezza della predicazione e della liturgia:
«Un'assemblea che canta un inno di lode al Padre sta «raddoppiando» la lode del Figlio, e
l'innalzarsi del ritmo e della melodia è l'innalzarsi della glorificazione del Padre e del Figlio
da parte dello Spirito21».
Se infatti liturgia è prima di tutto ospitalità di Dio nella propria vita personale e
comunitaria (cfr. Ap 3, 20), la dimensione della relazionalità con Dio e, tramite essa, con la
comunità ecclesiale ed umana funge quasi da cantus firmus (per usare, in questa
occasione, come metafora un concetto che incontreremo altrove come realtà) che unifica i
modi diversi di realizzare la liturgia stessa. Che si tratti di una confessione cristiana o di
un'altra, di uno stile musicale o di un altro, di un periodo storico o di una collocazione
geografica o di un'altra, è la presenza dello Spirito che, suscitando sempre e direttamente
la lode della Chiesa, è il vero cantus firmus dell'azione liturgica.22
Essa perciò si radica, si costruisce ed è causata dall'amore stesso di Dio, in cui il Padre ama
il Figlio e viceversa. In tale ottica, la presenza di questo cantus non è soltanto elemento di
unione fra le varie forme di liturgia e preghiera, ma anche veicolo di inserimento della
liturgia stessa all'interno della dinamica di lode reciproca e di amore che si realizza
all'interno della Trinità.
Fin dai primi secoli del cristianesimo, la pratica di canti religiosi aveva anche una funzione
pastorale ed antieretica, perché il canto agevolava il tramandarsi, il credersi ed il
contemplarsi delle realtà rivelate. In questo senso, anche i dogmi trinitari, di particolare
complessità teologica, oggetto di tante controversie nel loro stabilirsi e di una certa
difficoltà nel trasmettersi a livello ecclesiale, venivano posti in musica dalle diverse «parti»
in opposizione, perché il canto avesse una funzione catechetica. 23
Particolare attenzione all'esattezza teologica, proprio anche in vista di una diffusione delle
dottrine contro l'arianesimo, caratterizza anche i tre inni a noi pervenuti ad opera di Ilario
di Poitiers, uno dei quali tratta della consustanzialità di Cristo al Padre. 24 Similmente,
anche l'uso di cantare la dossologia detta «minore» («Gloria Patri et Filio... ») in
conclusione di salmi e cantici viene sancito dal Concilio di Narbona (589) in funzione
antiariana.25 La dottrina trinitaria divenne anche una motivazione «teologica» per
ricercare un'unità nella diversità liturgica della koiné.26 Anche sant'Ambrogio si servì di
inni latini appositamente composti per diffondere tra i fedeli la dottrina ed i dogmi
trinitari;27 in epoca medievale, i tropi del Kyrie di impostazione «trinitaria»,
differenziandosi da quella originaria e cristologica, hanno costituito per molti fedeli una
sorta di Biblia pauperummusicale per temi di catechesi pneumatologica, che altrimenti
sarebbe stata pressoché inesistente.28 Del fatto che la liturgia in musica possa essere un
mezzo potente di conoscenza esperienziale o simbolica (oppure esperienzialetramite la sua
simbolicità) del mistero trinitario è peraltro convinto anche Carr.29
Se, nella teoria e nella filosofia greca,30 la musica, espressione di ordine e di armonia, era
in ciò analoga all'armonia del creato e con essa si «sintonizzava», per i cristiani è il creato,
con la sua armonia, ad essere un'immagine del Creatore (cfr. Sap 11, 21), la cui natura una
e trina è perfetta espressione di armonia e modello di ogni armonia creata. Per gli antichi,
sul modello della fisica e filosofia pitagorica, il grado di consonanza dell'intervallo formato
da due note eseguite contemporaneamente era proporzionale alla semplicità del rapporto
fra le loro frequenze (per cui erano sommamente consonanti l'ottava, 2: 1, e la quinta, 3: 2,
mentre non lo erano la terza e la sesta).
Da un lato, sant'Agostino evidenzia la centralità nella musica di quel ritmo e di quella
misura che sono frutti della Sapienza divina del Logos; 31 dall'altro, la concordanza e
l'armonia, nella musica e nella creazione, sono un'icona di quella perfetta concordia che si
realizza nella vita trinitaria.32 Anche tratteggiando dei lineamenti di storia della musica
liturgica, Ratzinger sottolinea la profonda comunione tra Logos e Spirito:
La matematica dell'universo [...] ha [...] fondamento [...] nello Spirito creatore; essa proviene
dal Logos, in cui sono contenuta le idee originarie dell'ordine cosmico che Egli infonde nella
materia grazie allo Spirito. [...] Il Logos stesso è il grande artista in cui tutte le opere dell'arte --
la bellezza dell'universo -- sono originariamente presenti. 33
Una concezione che ha dei punti di contatto con quella di Balthasar, per il quale la musica
permette di attingere alla logica del creato, o per meglio dire al Logos per mezzo del quale
l'universo è.34
Tornando all'epoca in cui queste concezioni si definiscono, nel medioevo, fra gli altri, è
degna di menzione la posizione di Giovanni Scoto Eriugena (ca. 815 -- ca. 877), che, nella
sua De Divisione Naturae, propone un'analogia fra l'armonia del cosmo e quella musicale,
accennando anche a quella che è stata spesso interpretata come un'allusione alla
polifonia.35 L'idea secondo cui l'armonia musicale (in senso lato) è specchio dell'armonia
del cosmo si può definire un'idea derivata da quella che stiamo sviluppando in queste
pagine, ossia che è l'armonia/polifoniatrinitaria a costituire il modello di ogni
armonia/polifonia musicale, che, a sua volta, può costituirne un simbolo assai meno
inadeguato di tanti altri.36
Il canto cristiano, «a una sola voce», diventa quindi potente icona esperienziale e veicolo di
comunione con la vita trinitaria; esso unisce e crea, in immagine ed in atto, una
«concordia» che appare nei suoni ma nasce fra le anime. È questo il punto di vista della
mistica e compositrice medievale Hildegard von Bingen, per la qualecompimento della
creazione è la risonanza in Dio dell'armonia della lode umana. Il creato trova il proprio
significato autentico e profondo quando vi è armonia fra l'uomo ed il cosmo, mentre
l'uomo stesso trova il proprio senso di creatura somigliante a Dio nell'armonia tra la sua
lode e quella angelica.37
Per Hildegard il ristabilirsi della «sinfonia» è dono di Grazia ed impegno dell'uomo: la
«sin-tonia» musicale è, ad un tempo, immagine ed anche realtà operante della concordia
delle anime. Nella vita della sua comunità monastica, questa sintonia delle voci è un
«processo» in atto: voci che si «accordano» fra loro e con la lode angelica, cuori che si
«intonano» vicendevolmente nella comunione reciproca, con il creato e con Dio. 38 Anche
il poeta duecentesco Pierre de Peckham, peraltro, vedeva un'analogia tra la «concordia»
nella vibrazione di tre corde d'arpa e la Trinità.39
Verso il Trecento, ad opera della cosiddetta «Scuola di Notre Dame», inizia il vertiginoso
sviluppo della musica polifonica sacra, con la produzione di brani di immensa complessità
contrappuntistica da parte dei fiamminghi in primis, e poi dei compositori di tutta
Europa.40 Qui, i legami fra la teoria musicale e la teologia si realizzano tanto al livello della
polifonia in sé quanto a quello di una delle «necessità» che essa pone ai musicisti: per
poter gestire organicamente lo svolgersi di linee melodiche con un grado di complessità e
reciproca «libertà» sempre crescente, è necessario notare, codificare e regolarne la
scansione temporale, introducendo le nozioni di color e talea per organizzare il tempo
musicale.
La teoria ritmica tardomedievale era stata infatti elaborata dalla cosiddetta «Scuola di
Notre Dame» tramite la creazione di «modi» ritmici, ispirati a quelli melodici, che si
basavano su diverse suddivisioni di una (o due) unità ternarie di tempo. 41 Secondo Walter
de Odington, un monaco di Evesham (presso Worcester), tuttavia, originariamente
gli organa, prime composizioni a due voci di tipo sacro a noi pervenute, sarebbero stati
piuttosto suddivisi in ritmi di tipo binario; egli tuttavia riconosce l'importanza della
concezione del tre come numero perfetto in omaggio alla Trinità per lo stabilirsi di un
sistema di divisioni ternarie.42 Il rimando alla Trinità nelle divisioni ritmiche ternarie è
particolarmente chiaro anche nel trattato sul sistema mensurale di Johannes de
Anagnia.43 Fu poi Philippe de Vitry a codificare e rendere universale un sistema ritmico
basato «di preferenza» su suddivisioni ternarie «perfette», ed in seconda battuta su quelle
binarie: modi perfetti od imperfetti, a seconda del tipo dilonga; tempi perfetti o imperfetti,
in relazione alle suddivisioni della brevis; prolationes «maior» (perfetta) e «minor»
(imperfetta) a seconda della divisione della semibrevis.
Come sintetizza Reese, nel processo di codificazione teoretica del ritmo musicale, «doveva
giungere inevitabilmente il giorno in cui fosse veramente compresa la natura del ritmo; e si
dovette trovare che era ternaria. [...] I teorici medievali davano a questa unità il nome
di perfezione44». Il trattatista duecentesco Francone di Colonia (documentato tra il 1250
ed il 1280), il cui testo Ars Cantus Mensurabilis45 ebbe straordinaria diffusione durante il
medioevo ed il rinascimento, stabilì che la longa perfecta era la principale unità di tempo,
differenziandosi così da un teorico precedente, Johannes de Garlandia, che invece la
considerava un'entità composita, fatta di una longa imperfecta più una brevis. Da allora,
ricorda Anna Maria Busse Berger, «La divisione ternaria della longa perfecta, da lui
[Francone] associata con la Santa Trinità, doveva diventare l'unità mensurale di base nella
teoria musicale francese. E quando realtà mensurali binarie erano descritte dai teorici
francesi quattrocenteschi, erano considerate secondarie rispetto a quelle ternarie 46». Il
tempo ternario viene quindi definito anche da Rainoldi come «teologizzato», in virtù del
riferimento trinitario.47 Anche Blankenburg, peraltro, sostiene che le proporzioni
dicolor e talea nei mottetti isoritmici dell'Ars Nova venivano concepiti come ritratto
microcosmico dell'ordine macrocosmico stabilito da Dio.48
L'idea è ripresa da Johannes de Muris, che sintetizza:
Quod autem in ternario quiescat omnis perfection, patet ex multis versimilibus coniecturis. In
Deo enim, qui perfectissimus est, unitas est in substntia, Trinitas in personis; est igitur trinus
unus et unus trinus. Maxima ergo convenientia est unitatis ad Trinitatem. [...] Tota musica,
maxime mensurabilis, in perfectione fundatur, numerum et sonum pariter in se
comprehendens. Numerus autem, qui in musica perfectus a musicis reputatur, ternarius
appellatur, ut patet in praedictis. Musica igitur a numero ternario sumit ortum. 49
La natura ternaria della musica è così plasmata sul modello trinitario: anche se non
sempre una concezione consimile veniva espressa in questi termini, tuttavia, come
sottolinea Leaver,50 l'interpretazione che comunemente si dava anche ai testi patristici
sull'argomento era conforme a quella sintetizzata dal de Muris.
6. Un Dio «polifonico»
Figura 1 -- Claudio Monteverdi, Vespro della Beata Vergine, 1610, "Duo Seraphim"
Dal canto suo, il Duo Seraphim di Guerrero è una delle più stupefacenti e rivelatrici rese
musicali simboliche della Trinità. Le parole «Tres sunt» vengono rese con un'ottava ed una
quinta, ampiamente utilizzate in funzione simbolica anche da altri compositori; i nomi
delle tre Persone divine, invece, trovano un'illustrazione musicale di grande effetto
suggestivo. I diversi cori proclamano «Pater», «et Verbum», «Et Spiritus Sanctus»: il
primo coro prolunga la propria triade conclusiva, che quindi permane quando il secondo
coro proclama «et Verbum» partendo dal medesimo accordo. In questo modo, è come se la
triade che rappresenta il Padre (ma, essendo una triade, rappresenta anche l'intera
Trinità...) «generasse» il secondo coro, da cui è distinto (perché il primo coro mantiene il
proprio accordo, e quindi lo si sente esistere «liberamente») ma con cui è perfettamente
«concorde».
Altra efficacissima soluzione è quella immediatamente seguente, alle parole «et hi tres
unum sunt». Qui i diversi cori si alternano e si avvicendano nel cantare la medesima
triade: si percepisce lo stesso suono (anzi, lo stessoaccordo) provenire da punti diversi,
quasi «suscitato» dal coro che ha preceduto, come se si trattasse realmente di un
fenomeno di eco potenziata (il suono viene da un punto, «rimbalza» e viene «rigenerato»
dal contatto con l'ostacolo).
Anche se ragioni di spazio impediscono una trattazione anche solo sommaria
dell'argomento, può valer la pena di menzionare l'uso simbolico in funzione trinitaria della
polifonia anche in brani strumentali. In particolare, la possibilità di eseguire più linee
melodiche contemporaneamente e l'uso liturgico consolidato hanno reso l'organo
particolarmente confacente a questo genere di rappresentazioni. Dal punto di vista
iconografico, si sono avvalsi di tale simbologia, fra gli altri, Athanasius Kircher 62 e Jan van
Eyck;63 secoli dopo, la struttura fisica dell'organo stesso rimandava il grande Albert
Schweitzer ad immagini trinitarie: egli vedeva un'icona delle Tre Persone nell'Hauptwerk,
nel Rückpositiv e nello Schwellwerk dello strumento.64
Non si tratta tuttavia di una prerogativa esclusiva dell'organo: una scrittura strumentale
polifonica a tre voci con valenza di simbologia trinitaria si ritrova anche, a titolo
puramente esemplificativo, nei brani pianistici di esempio, Charles Tournemire 65 ed
Olivier Messiaen.66
Può non essere casuale, peraltro, che la nascita, lo sviluppo e la massima fioritura della
polifonia tardomedievale si siano realizzate in Francia e nei Paesi Bassi, ossia nelle zone in
cui il culto trinitario era più sentito, sia a livello liturgico (feste istituzionalizzate, creazione
di liturgie apposite), sia a livello spirituale e devozionale, come testimoniato anche dalla
fondazione di congregazioni religiose dedicate esplicitamente al culto trinitario.
7. Un Dio «armonioso»
Già nel periodo arsnovistico, l'intervallo di terza inizia a figurare tra le consonanze
ammesse, probabilmente in seguito all'influenza della musica d'Oltremanica: dapprima
come «nota di passaggio» (ossia come un intervallo non consonante, o non del tutto,
tollerato fra due note consonanti), poi come consonanza «imperfetta». 67 Si dovette
tuttavia giungere al Cinquecento perché il concetto di «accordo di triade» si potesse dire
acquisito.68 Può essere qui interessante ricordare un'espressione del teorico tedesco
Johannes Lippius (1585-1612) che sintetizza mirabilmente la concezione che alla sua epoca
era giunta dal progressivo intensificarsi di una consapevolezza proveniente dai secoli
precedenti.69 Per Lippius, la triade («trias harmonica perfecta») è «imago et umbra magni
mysterii divinæ solum adorandæ Unitrinitatis70». Sulla stessa scia si muovono le
riflessioni (particolarmente dense, feconde e stimolanti), proposte da Paolo Venturino sul
tema della «Simbologia trinitaria della triade».71
La triade72 è l'elemento fondante dell'armonia della musica classica occidentale, poiché è
l'accordo che compendia e definisce l'intera tonalità. Tale accordo si fonda sui primi sei
armonici,73 distanti rispettivamente una quinta ed una terza (maggiore) dalla nota
fondamentale. Secondo molti trattatisti, dal Rinascimento in poi, il numero sei
rappresentava i giorni della creazione, ed il tre delle note dell'accordo rimandava al
Creatore: un'icona della «celeste armonia risonante in eterno all'orecchio di Dio 74».
Può essere interessante richiamare qui la valenza educativa e catechetica delle osservazioni
sulle analogie trinitarie del sistema tonale, come evidenziato da John Butt. Secondo lo
studioso, la musica «pratica» aveva infatti anche la funzione di trasmettere valori e
principi religiosi e morali, ed a questo fine le possibilità offerte dalla speculazione
sull'immagine trinitaria della tonalità erano davvero feconde. Secondo Butt, i teologi con
competenze musicali collegarono immediatamente l'emergere del «nuovo» sistema tonale
con il concetto di Trinità. Come sostiene lo studioso, il fenomeno naturale degli armonici
poteva apparir loro quasi come una «prova scientifica» della teoria di Lutero secondo la
quale la musica è un dono di Dio. In occasione della dedicazione di un organo, nel 1631, il
sermone di un tal Friccius si poneva infatti la questione in modo assai chiaro ed evidente. 75
Dal punto di vista acustico e psicoacustico, la sensazione di stasi, calma, solidità e sicurezza
che vengono provocate dall'accordo perfetto lo rendono vieppiù adatto a simboleggiare
acusticamente la realtà divina (immutabile, eterna, solenne): anche Beethoven sceglie di
utilizzare la triade per le parole «Deum de Deo», «Deo vero» ed «Et vitam venturi sæculi»
all'interno del suo Credo nella Missa solemnis.76
Da segnalare che anche Andreas Werckmeister, il quale elaborò un celebre sistema di
temperamento che ancora oggi da lui prende nome, aveva una concezione allegorica e
simbolica dell'attività di ricerca dell'intonazione: l'appendice speculativa «Von der
Allegorischen und Moralischen Musik» nel suo trattato Musicæ Mathematicæsostiene che
Dio, ineffabile (unbegreifflich) e nascosto (verborgen) si rivela non solo attraverso la
Scrittura ma anche tramite la natura e l'arte; per Werckmeister, quindi, le note della scala
rappresentano allegorie della Creazione e dei giorni dell'attività creatrice di Dio, nonché,
nelle loro funzioni, della Trinità.77 Per lui, infatti,
La musica mundana (delle sfere), così presente nel pensiero classico, è ritenuta creazione di
Dio, il «Protomaestro del concerto universale»; essa è mirabile riflesso dell'unità divina,
paradigma e coadiuvante dell'ordine cosmico ed antropologico. È presentata non
«miticamente» ma, con continuità «scientifica», medinante un impianto matematico, che
delinea un insieme di proporzioni fondanti i rapporti intervallari e regolanti l'ordine ritmico. È
questa musica «superiore» a reggere la musica humana.78
La connessione fra ordine del Creato, ordine dei numeri ed ordine della composizione
musicale, che ha percorso la storia del pensiero occidentale per millenni, trova in epoca
barocca altri importanti teorici, fra i quali persino Keplero, che, con Mersennes e Kircher, è
autore di uno dei più importanti trattati sull'argomento dell'epoca barocca. 79
In questo periodo, la musica assume valore autonomo come fonte di significati simbolici
cosmici e trascendenti. Se nel primo barocco essa si rivestiva di simbolismo in virtù della
propria connessione con il linguaggio verbale, del quale «illustrava», anche con la
numerologia, il significato, nel tardo barocco è la forma stessa della musica, tramite il suo
ordinamento interno, a renderla parte dell'armonia cosmica, e, di conseguenza, specchio
della sapienza divina.80
Concetti analoghi a questo permeano la storia della filosofia, della teologia e della teoria
della musica occidentale lungo i secoli. Per Kircher, Dio si poteva definire come
«grande Armosta81». Il termine, tratto dal grecoharmostés, ha una portata semantica ben
più ampia di «governatore», che corrisponde alla consueta traduzione italiana: esso infatti
contiene in sé un riferimento «all'armonia, a colui che regge una realtà nel reciproco
accordo fra le parti82». Nel suo trattato, Kircher rappresenta perfettamente la concezione a
lui coeva di «un mondo ordinato secondo il numero e la matematica in una prospettiva
teologica: l'armonia delle sfere, quella dei suoni musicali e quella fra corpo, sensi e anima
-- pur afferendo a distinti campi del sapere -- tutte riconducono alla perfezione dell'opera
del Creatore83».
Come ricorda Rainoldi,
Nella musica, metafisicamente in primis, [Kircher] ravvisa il concretizzarsi del concetto di
armonia divina, tanto che essa diventa una dimostrazione della esistenza di Dio. Poi, di
conseguenza, la musica è specchio dell'armonia cosmica: «numero sonoro» che ha nel sonus la
«materia» e nel numerus la «forma» della scienza matematica.84
Gli sviluppi in epoca barocca del pensiero espresso da Kircher saranno importanti, e talora
funzionali più ad una giustificazione ex post del ruolo di sempre maggior importanza ed
indipendenza rivestito dalla musica anche in ambito liturgico, che non ad una genuina
riflessione sulla teologia della musica:
Tra le enfasi barocche sul pensiero musicale in rapporto alla chiesa -- per giustificare la musica
come «necessaria» -- si colloca l'insistenza a sottolineare una conformità della musica alla
stessa natura divina. [...] Dio è ontologicamente musico, e come musico, secondo un modello
armonico, crea l'universo. Pertanto non v'è di meglio, per esaltare la gloria divina, che fare
della musica nei templi, con sforzo quantitativo e sfoggio qualitativo. Essa, con l'armonia e la
bellezza dei suoni, crea un puntuale raccordo col piano delle realtà celesti e con la vocazione
dei cori beati.85
E tuttavia, pur con la dovuta «distanza» e lo stabilirsi di piani di pensiero e di riflessione
ben precisi e definiti, la metafora dell'armonia presenta tali potenzialità ed è stata tanto
esplorata negli ultimi quattro secoli da rendere necessario considerarla attentamente.
La triade, costituita da tre note, tutte ugualmente necessarie, è anche lo spazio in cui si
definisce sia l'altezza sia la gerarchia di tutte le altre note della scala. Le tre note della
triade hanno funzioni diverse ma si relazionano con ciascuna delle altre, oltreché con
l'intero spazio tonale. La tonica è l'elemento generativo dell'accordo e della tonalità, in
quanto nel suo esistere come nota specifica, particolare, individuale, contiene già in sé una
relazionalità, una fecondità musicale rappresentata dalla serie degli armonici. La tonica
non contiene la scala «in potenza»: la contiene già in atto. E, nello stesso tempo, non si
può nemmeno pensare alla tonica come ad un semplice insieme matematico di cui le
rimanenti note della scala sono elementi: la tonica «dà vita» ad un mondo sonoro che vive
in lei.
La tonica rappresenta inoltre il punto di quiete e il centro di gravità della tonalità, la nota
alla quale ogni movimento tonale tende. Nello stesso tempo, questo ruolo di fulcro e di
base tonale viene svolto dalla tonica sia in quanto singola nota (il «do») sia in quanto
accordo perfetto, e quindi in interazione con le rimanenti note dell'accordo, che vengono
implicate nella funzione di tonica della fondamentale anche qualora non venissero
eseguite.86
La quinta dell'accordo ha una funzione differente. Per Venturino, essa rappresenterebbe il
Figlio, raffigurando, nella sua qualifica tradizionale di «dominante», l'uomo «che si
innalza, che cammina eretto, che viene innalzato sulla croce della vita, ma anche nella
trasfigurazione e nell'ascensione87», ed anche le cinque piaghe di Cristo o l'essere
umano tout court, caratterizzato dai quattro arti più la testa innestati sul tronco.88 La
«dominante» è anche la nota che a sua volta genera l'altro grande accordo, che da lei
prende nome; quello che rappresenta tensione, e che è costitutivamente in relazione con la
tonica: pur avendo senso compiuto, infatti, esso tende inesorabilmente all'accordo di
triade. La nota che lo genera viene quindi a rendersi «mediatrice» fra il mondo di quiete
dell'accordo di tonica e il dinamismo delle rimanenti note della scala. Il quinto grado della
scala può generare inoltre gli accordi di settima e di nona di dominante: in quest'ultimo
caso, la nota fondamentale dell'accordo di nona (cioè il quinto grado della scala, che
appartiene, come stiamo vedendo, anche all'accordo perfetto) «genera» un accordo che
comprende tutte le note della scala che non sono comprese nell'accordo perfetto. Essa
mette quindi in relazione tutto il «mondo» tonale che gravita attorno alla tonica con la
tonica medesima.
Il terzo grado della scala,89 infine, è ciò che rende realmente accordo l'accordo di tonica.
La sua presenza qualifica immediatamente il modo maggiore o minore della tonalità. È,
per così dire, ciò che «scalda» e vivifica la triade: quella che sarebbe una quinta vuota,
consonante senza dubbio, ma «ferma», statica e priva di «comunicazione» con l'esterno,
tramite la presenza della terza acquisisce personalità, colore e calore.
L'interazione fra le note della triade rimanderebbe, a sua volta, secondo Venturino, alle
relazioni intratrinitarie:
Dominante e mediante sono comunque armonici della tonica. Quindi derivano dal Padre, ma il
Padre senza di esse non sarebbe manifestato, sarebbe una tonica sterile (un motore immobile,
come diceva Aristotele). Dominante e mediante manifestano il Padre una con l'innalzamento
vitale e sacrificale, ma anche con la realizzazione conseguente della gloria [...], l'altra con il
riempimento di gusto (l'Amore, lo Spirito [...]) che porta dalla tonica alla dominante-Figlio con
il ruolo di mediante (è lo Spirito che genera il Figlio in Maria), e che salda. 90
Si rende necessaria una puntualizzazione. Se il discorso sull'armonia musicale è ricco,
complesso ed affascinante; e se quello sulla Trinità è, per ovvie ragioni, infinitamente più
ricco, complesso ed affascinante; se è possibile azzardare degli accostamenti fra questi due
mondi e trarne qualche suggestione; tuttavia, a mio vedere, l'aspetto esperienziale -- così
cruciale per entrambe le realtà di cui si tratta -- può rivelare, più di ogni discorso, la
«verità» di una relazione.
In altri termini, l'armonia musicale è sì un «simbolo» di certi aspetti della vita trinitaria,
ma è anche concretamente una creazione della Trinità, una realtà creata che da Dio è stata
donata agli uomini. Il parallelismo smette perciò di essere una semplice figura analogica, e
diventa, anche qui, una relazione. Allo stesso modo, è assai più proficuo, a mio vedere,
«percepire» come l'armonia musicale è un riflesso dell'armonia trinitaria, anziché ridurre
questa «prossimità di bellezza» ad un'equivalenza meccanica.
Possiamo, perciò, realizzare che molte delle funzioni della tonica possono essere accostate
ad alcuni degli attributi del Padre, in primis per quanto riguarda la funzione «generativa»
della nota fondamentale sia nei riguardi dell'accordo perfetto, sia in quelli dell'intero
spazio tonale. Molto più problematico sarebbe trarre dal fenomeno dei suoni armonici una
«gerarchia» all'interno della Trinità, che ovviamente non si può minimamente ridurre o
accostare ad un fenomeno acustico. Può essere parimenti assai suggestivo vedere nella
funzione di «perno» rappresentata dal quinto grado della scala un simbolo del Figlio nella
sua duplice natura. All'interno dell'accordo perfetto, si può dire che tonica e dominante «si
guardano», sono in una relazione diretta, che è nel contempo «dialettica» e «concorde».
Piuttosto facile vedere in questa polarità un simbolo del Figlio come immagine del Padre, a
Lui costantemente rivolto. Così, il quinto grado, dando vita (nello spazio determinato dalla
tonica) all'accordo di dominante diventa sia parte del mondo di «quiete» autosufficiente
dell'accordo perfetto, sia di quel mondo che gli gravita intorno e che -- per usare la
celeberrima espressione agostiniana -- «è inquieto finché non riposa» in Dio. Altrettanto
«facile», potremmo dire, è il riconoscere nelle qualità apportate dalla terza all'accordo
perfetto un simbolo dell'azione dello Spirito, che «colora» e vivifica la relazione tra tonica e
quinta, impedendo al semplice intervallo di quinta di rimanere una realtà chiusa e non
comunicativa.
Sono tutte immagini possibili, e, probabilmente, hanno anche una certa validità a
prescindere dal loro valore puramente suggestivo. E, tuttavia (mi riferisco qui innanzi tutto
alla mia diretta esperienza di persona che «vive» in mezzo ai suoni), c'è un quid molto più
bello e molto più ricco nell'immaginare l'armonia musicale come simbolo di quella divina
rispetto a quello che si può desumere da accostamenti come quelli fin qui tracciati. C'è una
«comunicatività» del tutto esperienziale che ci colpisce come una rivelazione di bellezza
nel momento in cui «percepiamo» che c'è «qualcosa di Dio», un'impronta della realtà
divina e trinitaria, nella stupenda ricchezza di un movimento armonico fecondo, caldo e
vibrante come quello che potrebbero regalarci tre cantori dall'intonazione perfetta. Mi
scuso con il lettore per la qualità molto personale che hanno queste impressioni, ma
ritengo che sia importante comunicarle e non trovo sia possibile farlo senza passare
dall'esperienza diretta: se si avverte un fascino «intellettuale», «simbolico», «razionale»
nella possibilità di effettuare qualche timido ragionamento sulla Trinità basandosi sulla
realtà sonora dell'armonia, si avverte tuttavia un fascino assai più alto, forte e «reale» nel
trascendersi di questo stesso discorso, al di là di associazioni teoriche e mentali, e
nell'ambito di una realtà di bellezza che parla al cuore, assai più che alla speculazione
razionale.
Inoltre, se diverse parti vocali (per esempio tre voci che cantano una triade) sono davvero
ben intonate e vengono cantate da persone educate ad ascoltare le voci altrui ed
uniformare il proprio timbro al loro, il risultato sonoro sarà quanto di più simbolicamente
vicino ad una realtà di comunione si possa umanamente realizzare. Il suono prodotto avrà
infatti una caratteristica immediatamente comunicabile di «unità», di «accordo» e, per
così dire, anche di «individualità»; nello stesso tempo, si può percepire e distinguere la
compresenza dell'apporto di diverse voci umane, ed il fatto che è proprio il loro essere «in
relazione» reciproca (vale a dire l'una intonata in rapporto all'altra) a creare il loro
accordo, la realtà musicale globale che non si può ridurre alla somma degli apporti di
ciascuna.
Da un punto di vista acustico, inoltre, se diverse voci cantano la triade, e se sono realmente
intonate, gli armonici che le diverse voci hanno in comune saranno numerosissimi. In tal
modo, essi verranno intensificati e rafforzati, divenendo chiaramente percepibili ad un
orecchio attento: la fusione dei suoni raggiunge allora un livello mirabile, in cui
l'evidenziarsi degli armonici è quasi un «dono» acustico, un sovrappiù che risulta dalla
perfezione dell'intonazione, e che caratterizza inconfondibilmente, inequivocabilmente ed
inimitabilmente l'accordo stesso. In altre parole, l'accordo «do-mi-sol» cantato da tre voci
intonatissime è una realtà «viva» acusticamente, una realtà «generativa», che provoca e
produce suoni «propri». Ogni cantante produce, insieme con la propria nota
fondamentale, anche i propri armonici; ma gli armonici che risulteranno dalla fusione
delle voci non saranno semplicemente la somma di quelli prodotti da ogni singola voce, in
quanto la loro interazione produce sonorità del tutto peculiari, non ascrivibili a nessuno
dei cantanti preso singolarmente.
È degno di nota, in questo contesto, segnalare anche il valore fortemente simbolico della
componente «umana» dell'accordo delle voci. Questa realtà irriducibile alla somma delle
sue parti, questo suono che genera altri suoni, può risultare solo ed esclusivamente da una
«comunità» che «si ascolta», che «ascolta». La generazione di quella pioggia di armonici
non è possibile se tutti e ciascuno dei cantanti non ascoltano con la massima attenzione ciò
che il loro vicino sta cantando. Da musicista, ricordo di essere stata molto colpita da
un'intervista ad un membro dell'ensemble vocale inglese «The King's Singers 91», che
affermava:
Il modo in cui imparammo a cantare da ragazzi è rimasto con noi anche oggi ed è un suono
estremamente inglese. L'enfasi non è posta sulla tecnica vocale per produrre, nel più ampio
modo possibile, la vibrazione da tutto il corpo: lo scopo, al contrario, è quello di amalgamare
perfettamente e delicatamente la propria voce a quella degli altri, esattamente come facevamo
da ragazzi.92
In termini cristiani, si tratta di una perfetta metafora della comunione che si realizza
tramite l'accoglienza dell'altro, l'apertura e l'ascolto. Tramite la carità, vincolo
intratrinitario per eccellenza. Le dinamiche intratrinitarie vengono paragonate ad un
accordo di voci anche da Jenson, che assume la metafora musicale assai più come simbolo,
di notevole concretezza, piuttosto che come semplice immagine poetica. Il reciproco
scambio che avviene tra le tre Persone divine è uno scambio che «canta», nelle parole del
teologo; e il dialogo eterno tra Padre, Figlio e Spirito si fa bellezza perché è totale armonia e
non ha altro scopo al di fuori di sé.93 Così, ricorda Edwards, il Regno dei Cieli, «la società
felice nel suo massimo grado, è un dolce cantare reciprocamente per l'altro 94». La bellezza
del Creato redento sta quindi nel «dolce accordo reciproco» con «le persone della Trinità,
la suprema armonia in assoluto95».
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