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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di

Agostino d’Ippona. Una questione di mistica


agostiniana. 1

SELENE M.BENEDETTA ZORZI, OSB


Dott. Filosofia; Lic. Teol. e Scienze Patr.
Monastero Benedettine S. Luca
Via Saffi, 36
60044 – Fabriano (AN)
Tel.: 0732-21762
@: benedetta.osb@email.it

Negli scritti di Agostino è facile notare una grande sensibilità per la musica. Malgrado
un'intera sua opera, il trattato De musica, sia dedicata al tema, non è in esso che va
cercato il contributo agostiniano più originale: la musica viene infatti qui considerata
solo nel suo aspetto teorico, in connessione con la matematica. L'aspetto pratico, cioè la
musica come melos, non riceve invece una trattazione sistematica, per la quale
Agostino afferma di non aver avuto tempo. Molte tracce del suo pensiero in merito si
possono tuttavia raccogliere dalle Enarrationes in Psalmos, nelle quali spicca con un
rilievo tutto particolare il tema dello iubilus, grazie al quale Agostino tematizza il
«canto senza parole». Il concetto di ineffabilità connesso a questo canto melodico, oltre
ad essere uno dei temi maggiori della tradizione filosofica platonica, contribuisce a
delineare alcuni connotati della mistica agostiniana.
Gli obiettivi della presente ricerca saranno quindi quelli di rilevare che tipo di
approccio ebbe Agostino nei confronti del melos, di rintracciarne le speculazioni sparse
nelle Enarrationes in Psalmos, di capire se e quale influsso abbia esercitato in queste
riflessioni la frequentazione filosofica, biblica e liturgica (del canto dei salmi) e quindi
anche il vissuto monastico ed ecclesiale di Agostino, stabilire debiti e novità del suo
pensiero su questo tema, per verificare infine la possibilità di una ricostruzione coerente
di una (eventuale) agostiniana teologia del canto che l’autore intende anche quale
fondamento, espressione e metafora adeguata di un’autentica esperienza cristiana.

1
Al Prof. Basil Studer (OSB) la mia più profonda gratitudine per la sua infaticabile guida e il merito della scelta
di un tema di ricerca così fecondo.
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

Agostino e la musica
Un attento lettore di Agostino non può che restare sconcertato per la sensibilità con cui
l'autore fa riferimento alla musica.2 Agostino è letteralmente affascinato dalla melodia e
dimostra approccio nei suoi confronti che Marrou non ha esitato a chiamare
"moderno"3. Questo approccio gli deriva probabilmente dalla formazione retorica, ma
non si spiega solo così: si tengano presenti quei passi nei quali la musica è per Agostino
un modo per spiegare la memoria, la creazione, il tempo, l’armonia dell’universo, la
vita, un paragone per evocare la soavità dell’esperienza mistica oppure un modo per
cercare vestigia della Trinità4. Che sia proprio la musica a costituire il supporto di molti
concetti della teologia agostiniana, lascia capire che egli ebbe di questa disciplina una
concezione molto alta, molto più alta dei suoi contemporanei. Desta meraviglia che in
lui, il teologo dell’interiorità, la musica (dominio dei sensi) assuma uno spazio così
notevole e sia definita sensus intellectusque particeps (ord. II,14,41).
Come è noto, Agostino ha dedicato alla musica un’opera specifica, risalente al
periodo del suo battesimo5: il De musica. Egli stesso ci informa che in questi sei libri ha
avuto tempo di trattare solo del rhythmus (retr. I,6), ma che sarebbe stato suo
intendimento dedicare altrettanti libri anche al melos (ep. CI,3). Ma la concezione di
Agostino sulla musica non la si trova nel De musica, dove su influsso neopitagorico la
si considera dal punto di vista meramente teorico, ovvero matematico, e del resto non è
possibile credere che un teologo dello spessore di Agostino abbia rinunciato ad
esprimere in qualche luogo anche solo i tratti della sua concezione sulla melodia.
2
Si pensi al fatto che è ascoltando la soavità del parlare di Ambrogio (delectabar suavitate sermonis) che egli si
avvicina sensim et nesciens al contenuto della dottrina cattolica (conf. V,13,23), a quella misteriosa cantilena di
fanciulli che lo spinse a "prendere e leggere" il Vangelo nel famoso episodio del giardino ( conf. VIII,12,29); a
quel canto che dovette essere la sua prima esperienza di chiesa, se anche lui cantava assieme ai cattolici riuniti
per resistere alla presa delle chiese da parte degli ariani (conf. IX,4). Per la consultazione dei testi patristici si è
fatto uso di Cetedoc Library of Christian Latin Texts, (CD-ROM) Turnhout 1991 [=CLCTL]; tutte le citazioni dei
padri, quindi, laddove non sia espressamente specificata altra fonte, sono da considerarsi tratte da qui. Le
abbreviazioni delle opere di Agostino sono quelle fissate da Augustinus-Lexicon, a cura di C. Mayer, Basel 1986-.
3
H.-I. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica: “Agostino ha un’esperienza musicale, nel senso
moderno del termine. Una sensibilità fremente come la sua non poteva rimanere insensibile alla potenza emotiva
della musica”, Milano 1987, p. 179 [tit. or.: Saint Augustin et la fin de la culture antique, Paris 1971].
4
Cfr. conf. IX,29,40; X,33,49-50; XI,28,38; ep. 138,1,5; 166,5,13; ord. II,11,33-34, II,14,40-15,43; en. Ps.
XLI,9; trin. XI,8,14; XV,7,13; A. M. Johnston, Time as a Psalm in St. Augustine [in linea], in Animus,
http://www.mun.ca/animus/1996vol1/johnston.htm, (31 Gennaio 1999), 8-11; A. Solignac, Le livre X des
confessions, in “Le confessioni” di Agostino d’Ippona, Libri X-XIII, a cura di L. F. Pizzolato - G. Scanavino,
[Lectio Augustini. Settimana agostiniana pavese 4], Palermo 1987, pp. 9-34 (in particolare p. 28).
5
Sulle questioni di datazione del mus. cfr. U. Pizzani, Il primo libro, in “De Musica” di Agostino d’Ippona, a
cura di L. F. Pizzolato - G. Scanavino, [Lectio Augustini. Settimana agostiniana pavese 5], Palermo 1990, pp. 14-
15.

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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

La contraddizione con cui Agostino nell’insieme della sua opera sembra accostarsi alla
musica costituirebbe materia da lasciare agli studiosi della psicologia del profondo:
Agostino da una parte utilizza la metafora della musica per spiegare i concetti più
profondi della sua teologia e dall’altra è così schivo rispetto al piacere che ne deriva.
Egli confessa di essere rimasto più volte impigliato nei piaceri dell’udito e di vacillare
tra un rispetto eccessivo delle melodie canore e il riconoscimento della loro effettiva
utilità per l’animo.6 Il canto può essere fonte di pietà, ma presenta allo stesso tempo una
certa pericolosità, col rischio dell'idolatria, a causa della forte attrattiva che la melodia
esercita sull’uomo.7 Eppure solo un uomo con una sensibilità musicale molto vibrante
come la sua poteva parlare degli effetti della musica sull’animo nei termini in cui si
presentano nelle Confessiones. 8
Forse la formazione retorica, con il conseguente giudizio negativo su di essa
dell’Agostino convertito, potrebbe aver influito negativamente sulle sue concezioni
musicali. Infatti se l’antica querelle tra filosofia e retorica si costitutiva in fondo come
un problema tra verità e persuasione9, allora il canto si sarebbe trovato tutto dalla parte
del secondo termine, nella sua accezione negativa10.

C'è un opera nella quale il problema di questa ambiguità avrebbe potuto strutturarsi con
minor dramma e ha focalizzato la ricerca: le Enarrationes in Psalmos infatti
presuppongono una prospettiva imprescindibile, ovvero il carattere biblico-liturgico che
inquadra ogni tema11; in questo ambito il canto ha già risolto in sé ogni possibile
6
L'essere presi e restare impigliati nel piacere dell’udito svilisce, a parere di Agostino, sia la portata del canto, sia
l’evento cultuale, per non parlare poi della totale inversione che viene ad instaurarsi nel rapporto di ancillarità
della musica rispetto alla parola, rapporto che, non diversamente dagli altri padri della Chiesa, in Agostino resta il
punto di riferimento della sua trattazione sul canto.
7
Sappiamo che il vescovo di Ippona superò le sue perplessità e arrivò a legittimare la prassi del canto dei salmi
soprattutto in base all’esperienza personale, ricordando che le parole cantate e ascoltate in chiesa, allorché era
ancora giovane catecumeno, gli strapparono lacrime e commozione. Pur non dando una sentenza irrevocabile,
Agostino si colloca tra coloro che al suo tempo sostennero l’utilità dell’uso del canto in chiesa dal momento che,
secondo lui, uno spirito debole sarebbe potuto arrivare al sentimento della devozione anche attraverso il diletto
delle orecchie (cfr. conf. X,33,50).
8
"Aliquando enim plus mihi videor honoris eis tribuere, quam decet, dum ipsis sanctis dictis religiosius et
ardentius sentio moveri animos nostros in flammam pietatis, cum ita cantantur, quam si non ita cantarentur, et
omnes affectus spiritus nostri pro sui diversitate habere proprios modos in voce atque cantu, quorum nescio qua
occulta familiaritate excitentur. Sed delectatio carnis meae, cui mentem enervandam non oportet dari, saepe me
fallit" (conf. X,33,49).
9
Cfr. L. F. Pizzolato, Capitoli di retorica agostiniana, [Sussidi patristici 7], Roma 1994, p. 29.
10
A tale riguardo bisognerebbe risalire ancora più indietro, alla stretta unione tra declamazione e musica, tra
discipline del trivium e del quadrivium (si ricordi a proposito il progetto del mus.). S. Corbin, La musica
cristiana dalle origini al gregoriano: "Considerando infatti l’evoluzione della melodia “tecnicamente non esiste
soluzione di continuità tra lingua parlata e lingua cantata”, Milano 1987 (orig. franc, Paris 1960), p. 30.
11
Eccezion fatta per le en. Ps. I-XXXI (cfr. Agostino, Esposizioni sui salmi [Nuova Bilioteca Agostiniana XXV-
1], Roma 1967, p. VIII) che sono state invece scritte “a tavolino”.

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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

deviazione, in quanto da sempre sposato alla Parola di Dio: è canto dei salmi. "Amavit
vir ille sanctus [Davide] musicam piam et in ea studia nos magis ipse quam ullus alius
auctor accendit." (ep. CI,4). Del resto proprio l’esperienza liturgica, fatta in una chiesa
di Milano, convinse Agostino della grande utilità del canto (cfr. conf. X,50; ep.
LV,18,34). In questo ambito il retore diventa ermeneuta biblico. Questo contesto però
limita anche il tema. Infatti tra i tanti temi che le Enarrationes presentano, Agostino
sviluppa qua e là anche delle riflessioni sul canto, ma non un trattato sistematico: la
frammentarietà rende difficile l'approfondimento.

La predilezione di Agostino per i salmi iniziò fin da prima della sua conversione e
accompagnò tutta la sua vita. Ad essi egli dedica il suo opus amplissimum, alla cui
redazione - come lui stesso dice - riserbò un’attenzione tutta speciale. Quest'opera si è
formata all'epoca del concepimento delle grandi opere della teologia agostiniana, e
perciò vi si trovano i temi più maturi del suo pensiero 12. L’ipotesi di ricerca è dunque
questa: nel periodo successivo al suo ritorno in Africa - molto dopo il De musica -
Agostino avrebbe maturato una teoria sul melos, che tuttavia gli impegni del ministero
non gli avrebbero permesso di stendere in trattato 13, ma di cui le Enarrationes
avrebbero raccolto le tracce; perciò è qui che si può trovare un abbozzo di quella che
per Agostino sarebbe dovuta diventarne la trattazione.

Status quaestionis
L’interesse attorno a temi come la lode in Agostino, il canto, il misterioso iubilus, le
Enarrationes è sorto in parallelo ai fermenti del movimento liturgico e alla riscoperta
delle fonti letterarie patristiche nel secolo scorso. Tra gli studi che si sono interessati di
più alla presente questione sono risultati di primario interesse Quasten e Gérold. 14
Marrou a più riprese si è occupato del concetto di musica in Agostino: egli ha notato,
oltre all'esperienza musicale di Agostino nel senso moderno del termine, una indubbia
12
Agostino "d'Ippona" si precisa nel titolo, al tempo della sua fede matura.
13
Secondo tuttavia la Corbin, La musica, p. 155, il tempo che sarebbe mancato ad Agostino non fu tanto quello
necessario per scrivere il libro quanto quello per documentarsi in modo completo sull’argomento, che necessitava
di cognizioni assai precise, idea ripresa da Marrou, S. Agostino, pp. 237-238, che rileva le notevoli lacune del
nostro in questo campo. Ma perché mettere in dubbio le affermazioni di Agostino stesso di ep. CI,3?
14
J. Quasten, Musik und Gesang in den Kulten der heidnischen Antike und christlichen Frühzeit, Münster 1930 (il
cui impianto generale riduce la trattazione su Agostino). T. Gérold, Les Pères de l’Église et la musique, Paris
1931, dedica un capitolo anche allo iubilus, cfr. pp. 116-122, che però considera solo tecnicamente come il
vocalizzo alla fine o come parte dell’alleluia. Conclude che per Agostino le questioni musicali sono secondarie
ma riconosce che è un vero peccato che egli non abbia scritto la seconda parte del mus. in cui si sarebbe dovuto
occupare della melodia, perché avrebbe sicuramente fornito delle spiegazioni sul canto che avrebbero fatto luce
su punti che purtroppo sono destinati a restare oscuri. Gérold non prende in considerazione che una o due
riferimenti delle en. Ps., e solo per inciso.

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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

evoluzione nel pensiero sulla musica all’interno del De musica15 come anche una
duratura presenza di questo tema nel nostro autore. Imprescindibili anche i contributi di
Vagaggini16 sulla teologia della lode e quello di Basurko17 sul canto nei padri, che però
considera il tema del canto nei primi cinque secoli come un tutto omogeneo, così che
non risalta affatto la spiccata originalità agostiniana, evidente quanto meno circa il
concetto di iubilus. Di questa voce si attende ancora la pubblicazione nell'Augustinus-
Lexikon e purtroppo la recente opera di Fiedrowicz sulle Enarrationes non dedica al
nostro tema che un paio di pagine.18
Tra coloro che hanno cercato di abbozzare una teologia del canto va segnalato
l’originale contributo di Bader19 che però tralascia il tema dello iubilus e si limita al
tema del canto nelle Confessiones Insomma tra i contributi più significativi 20, la
trattazione non rende sufficiente ragione del tema, ora per la brevità, ora per la
tangenzialità, ora per la prospettiva. Anche laddove si entra più direttamente in
argomento (per es. lo iubilus) le analisi non si interrogano sui presupposti storici,
teologici e musicali, i debiti e le novità di Agostino21.
15
Cfr. Marrou, S. Agostino, nel capitolo “Nota D: le due edizioni del sesto libro del De musica”, pp. 469-472. Si
passerebbe da un tono filosofico ad uno più religioso, più “ecclesiastico” da uno stato d’animo ad un altro
("Anche le numerose citazioni che nei primi cinque libri sono tratte solo da autori classici pagani, nel sesto libro
si riducono ad una di un inno di Ambrogio e a molte esclusivamente bibliche", p. 469), da un modo di
considerare la musica come scienza nobile e bella (considerazione della musica teorica) ad espressioni molto
sprezzanti per questa (rileviamo che non si sta parlando della musica pratica). Marrou propone, tra la prima e la
seconda stesura, un intervallo tra il 387 e il 409; sulle due stesure del mus. cfr. anche U. Pizzani, Il sesto libro, in
Pizzolato - Scanavino, Lectio Augustini 5.
16
C. Vagaggini, La teologia della lode secondo S. Agostino, in La preghiera nella Bibbia e nella tradizione
patristica e monastica, a cura di C. Vagaggini e G. Penco, Roma 1964, pp. 339-467, in cui temi come il canto e il
giubilo restano solo imbastiti.
17
X. Basurko, El canto cristiano en la tradicion primitiva, Madrid 1966, riedito nel 1991; Id., Canto cristiano y
canto pagano en los sermones de Cesario de Arles, in Mysterium et Ministerium. Miscellanea I. O. Audele
[Victorensia 60], Vitoria 1993, pp. 177-200.
18
M. Fiedrowicz, Psalmus vox totius Christi: Studien zu Augustins "Enarrationes in Psalmos", Freiburg 1997, pp.
214-215.
19
G. Bader, Psalterium affectuum palestra, Tübingen 1996 che vuole tracciare le basi per una teologia del
"salterio".
20
Cfr. J. Delamare, La priere a l'école de saint Augustin, in La vie spirituelle, Mai 1952, pp. 467-493; M.
Vincent, Saint Augustin Maître de Priére d'apres les Enarrationes in psalmos, Paris 1990 (la prospettiva
spirituale del cui assetto riduce quella sul canto); G. Ziegler, Der Iubilus. Seine Beschreibung und Deutung bei
Origenes, Augustinus und im frühen Mittelalter, in Origenes, Vir ecclesiasticus, Bonn 1995, pp. 95-100 (brevi
descrizioni del concetto di giubilo in Origene, Agostino, Rabano Mauro, Amalario di Metz); E.T. Moneta Caglio,
Lo Jubilus e le origini della Salmodia Responsoriale, in Jucunda Laudatio, 1976-77, pp. 5-17 (contributo limitato
sia dalla mancanza di esaurienti studi precedenti, sia per l’esiguità degli sviluppi delle caratteristiche individuate
nel tema) che riappare per intero in P. Ernetti, Principi filosofici e teologici della musica, [La Prepolifonia I],
Roma 1980, pp. 360-373. Nel contributo dello stesso Ernetti appare un capitolo “Sintesi filosofico-teologica della
musica in S. Agostino” che però, al di là di un altisonante titolo, condivide il livello mediocre dell’intero libro, che
è semplicemente una edizione in un unico volume che rimaneggia - in modo a volte anche molto maldestro - altre
pubblicazioni. In generale sono di un certo interesse gli studi che si soffermano sul rapporto tra Agostino e i
salmi, come i quello di B. Studer, Gratia Christi - Gratia Dei bei Augustinus von Hippo. Christozentrismus oder
Theozentrismus?, [Studia Ephemeridis Augustinianum 40], Roma 1993, pp. 246-264 però sulla teologia della
"lode" e di P. Burns, Augustine's Distinctive Use of the Psalms in the Confessions: the Role of Music and
Recitation, in Augustinian Studies 24 (1993), pp. 133-146, ma che si limita alle Confessiones.
21
E' il caso di J. M. Quinn, Praise in St. Augustine: Readings and Reflections, Hanover (USA) 1987, pp. 221-243.

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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

Melos: terminologia
Marrou afferma che “per Agostino la musica è scienza matematica”: idea di musica
"pitagorica", quindi, molto diversa da come la s'intende oggi. Strano però che pur
notando che Agostino non usa mai i termini musica/musicus per parlare della musica
"pratica", ma sempre e solo cantare, canticus, cantilena, egli concluda - tornando ad
analizzare il De musica! - che su questo argomento Agostino non ha innovato nulla.
Invece che come pensare – come Marrou – che in Agostino l'evoluzione del pensiero
sulla musica sarebbe andata nel senso di una progressiva svalutazione “per una cosa che
giudicava ormai vana e puerile” si potrebbe invece ipotizzare che la musica che
Agostino abbandona sia l'idea filosofico-pitagorica e non quella di cui ha cominciato a
fare esperienza nell’ecclesiale canto dei salmi. Marrou stesso rileva che l’evoluzione
psicologica di Agostino è abbastanza rapida in questi anni - e si dovrebbe aggiungere:
l’intervallo tra la stesura del De musica e le Enarrationes non è così breve da
impedirgli di formulare attorno al 412 (si vedano sotto le questioni di datazione)
un’idea molto diversa di musica quale appare nello iubilus. Marrou del resto non si
riferisce mai alle Enarrationes
Stabilito che chi voglia approfondire l'idea del melos in Agostino non deve cercare nel
De musica e che il filo di Arianna non si trova seguendo la pista dei termini musica,
musicus, si procederà battendo il terreno dei termini cantus, cantatio, canticum e anche
iubilus nelle Enarrationes.22
Tralasciando l’analisi terminologica del vocabolario del canto - che pur andrebbe fatta
e in un doppio approccio, semantico e lessicale 23 - ci limitiamo a rilevare che Agostino
riprende i vari aspetti del canto dei salmi che furono già della tradizione (rimarchevoli i
paralleli con Atanasio della famosa Epistula ad Marcellinum e Ambrogio) pur non
essendo un pedissequo ripetitore di tesi già formulate in precedenza. Anzi, nel suo
pensiero si trovano in nuce, forse solo ancora allo stato di intuizioni, delle indiscutibili
novità come per esempio il valore positivo della polifonia 24 (aborrita dagli altri padri,
22
Sarebbe naturale pensare anche ad una pista di ricerca sugli strumenti musicali che si rivela in realtà un vicolo
cieco. Di fatto Agostino ne fa un'esegesi allegorica: "Sed per similitudines, non per proprietates ... Vos estis tuba,
psalterium, cithara, tympanum, chorus, chordae et organum, et cymbala iubilationis bene sonantia, quia
consonantia" (en. Ps. CL,8). Anzi quando il testo salmico vi fa riferimento, deve trarsi d'impaccio per la presenza
di essi nella liturgia ebraica benché la chiesa al suo tempo in Africa li avesse estromessi dal culto sulla scia della
tradizione sinagogale e in polemica con la lasciva musica pagana.
23
Per una esposizione dettagliata cfr. M. B. Zorzi, Melodia e Parola: l’esperienza del canto liturgico secondo le
Enarrationes in Psalmos di Sant’Agostino, in corso di pubblicazione presso la rivista Inter Fratres – Monaci
Benedettini Silvestrini in Montefano.
24
"Quibus fortasse ideo addidit organum, non ut singule sonent, sed ut diversitate concordissima consonent, sicut
ordinantur in organo. Habebunt enim etiam tinc sancti Dei differentias suas consonantes, non dissonantes, id est,

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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

fautori invece del canto puro25). La caratteristica del canto di dilatare in qualche modo
lo spazio di risonanza della Parola di Dio, emerge tuttavia con forza e originalità nel
giubilo: la voce umana come puro musicale. Le Enarrationes ne presentano un
singolare approfondimento.

Iubilus: debiti e novità


Prima di analizzare possibili debiti e novità di questo concetto rispetto al retroterra
biblico, patristico e filosofico, è utile tentare di capire in quale periodo la riflessione di
Agostino si sia soffermata in modo più interessato sullo iubilus per accertare una
evoluzione di pensiero.

Dodici testi in tutto trattano in modo speciale questo tema, riuniti in undici
Enarrationes, delle quali solo due andrebbero collocate prima del 396 (393-4 secondo
Zarb) e cioè la 94 e la 97; le altre sarebbero tutte da collocare tra l’anno 396 e il 412. A
parte qualche piccolo slittamento di datazione tra i commentatori, si potrebbe affermare
che sostanzialmente la riflessione su questo tema arriva a sua maturazione attorno
all’anno 412 e questo dimostra che il tema fa parte della riflessione matura di
Agostino.26 Per chiarire il quadro della situazione è riportato in nota un piccolo
schema27.
Ora, nel periodo che va da dopo il 396 (399?) al 414 Agostino cambia atteggiamento
nei confronti della sua precedente idea neoplatonica della relazione tra anima e corpo.
In questo periodo egli comincia a considerare in modo più approfondito il tema della
resurrezione del corpo. Nell' In Iohannis euangelium tractatus XXIII,6 (dopo il 414)
Agostino afferma che tutta la predicazione cristiana si riassume nella resurrezione

consentientes, non dissentientes; sicut fit soavissimus concentus ex diversis quidem, sed non inter se adversis
sonis... vos est tuba, psalterium, cithara, tympanum, chorus, chordae et organum, et cymbala iubilationis bene
sonantia quia consonantia" (en. Ps. CL,7.8).
25
Con canto puro si intende la sola voce senza accompagnamento musicale cantata in modo molto sobrio (cfr. ep.
LV,18,33 in polemica con i canti dei donatisti). Sul giudizio negativo dei padri nei confronti di tutto ciò che nella
chiesa poteva ricordare il teatro o gli spettacoli pagani - a cui non resta estraneo Agostino di conf. II - cfr. Gèrold,
Les Péres, pp. 101-105; Basurko, El canto, pp. 188-191.
26
Già Marrou ipotizzava la seconda stesura del mus. (quella di tutt'altro tono del libro VI) nel 409.
27
Schema tratto da Fiedrowicz, Psalmus, pp. 430-439:
EnarratioZarbRondetAltri26,IIIppona 411-122° m. 41532Ippona 26-8-403aut. 403 CartagineSett. 40346Ippona quar. 412407-
408399-40965Ippona quar. 412411Perler 41180Ippona 19-10-403Cartagine aut. 411La Bonnardiére 409
Perler 41188Ippona 411-12Cartagine aut. 411399-41194Ippona 393-94Prima 39697Ippona 393-94403405-41199 Cartagine inv.
412399Folliet 403-04
Perler 412-413102Cartagine inv. 412411La Bonnardiére 409
Perler 411150414-16Dopo 415La Bonnardiére dal 415-420

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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

dell'anima e nella resurrezione dei corpi. 28 Di qui si sarebbe inevitabilmente spinti a


vedere se e come questo pensiero confluisca nel De Trinitate, parallelo o comunque
vicino per composizione a queste date.29
Se l'ipotesi iniziale è giusta, si può affermare a questo punto anche che l’argomento,
che nel De musica risentiva ancora fortemente di un influsso neoplatonico, si sarebbe
andato purificando dei suoi elementi più filosofici, maturandosi assieme allo sviluppo
pieno in Agostino della fede cristiana.

I dizionari di latino classico registrano la voce iubilum/us con significato di gioia,


letizia. E' il canto tipico dei pastori e dei contadini che accompagnano il lavoro ad un
ritmo cadenzato. Vi è infatti a livello umano una misteriosa analogia che il canto trova
nel lavoro, corrispondente ad un certo piacere che il corpo trova nel ritmo 30. Si registra
anche il significato di grido dei militari riuniti in esercito, grido di vittoria militare. Tra
gli autori classici non si nota una particolare insistenza sul fatto che lo iubilum/us sia
“senza parole”31. Il termine, preso in senso più tecnico, designa il durare del canto sulle
vocali, risultando così un vociferare, di qui il senso anche di ululato. Proprio il termine
“ululato” si trova infatti nella Vulgata per tradurre l’onomatopeico greco alalagmòs
della LXX.

Lo iubilum/us latino è un termine legato a tal punto all’idea di gioia e di allegria, con il
quale Girolamo (o i suoi copisti davanti alla semplice traslitterazione 32) sostituisce la
parola ebraica yobel, che designava originariamente il montone e poi, per metonimia, il
corno (di montone) o il suono di questo strumento che dava l’annuncio gioioso
dell’anno giubilare (l’anno dello yubal appunto). Nel commentario a Geremia 5,33,
Girolamo afferma che solo in questo passo della LXX la parola iubilus sta al posto di
ululatum, come alcuni interpreti trascrivono dall’ebraico 33. Dunque, il termine giubilo

28
Cfr. J. M. Rist, Agostino. Il battesimo del pensiero antico, [Platonismo e filosofia patristica. Studi e testi 11],
Milano 1997 [tit. or.: Augustine. Ancient Thought Baptized, Cambridge 1994], pp. 142-144.
29
Cfr. C. Simonelli, La resurrezione nel De Trinitate di Agostino. Presenza, formulazione, funzione, [Studia
Ephemeridis Augustinianum 73], Roma 2001.
30
A questo proposito è bene ricordare che l’alleluia deriverebbe per molti (cfr. tra l'altro op. mon. XVII,29)
dall’antico kèleuma che era il canto dei vogatori, cadenzato ritmicamente al fine di scandire i tempi della remata.
31
Se non si debba supporre che ciò fosse esperienza talmente evidente che gli autori non si sentono in dovere di
dare spiegazioni.
32
Cfr. voce “giubileo”: Enciclopedia della Bibbia I-VII, a cura di G. Marocco - F. Ardusso, Rivoli 1970 [tit. or.:
Enciclopedia de la Biblia, Barcelona s.d.]; come pure H. Lesétre, “Jubilé”: Dictionnaire de la Bible, a cura di F.
Vigouroux, Paris 1895-, 13 (1903) c. 1754.
33
"In hoc tantum loco LXX “iubilum” in malam partem posuerunt, pro quo alii interpretes “ululatum”, ut in
Hebraeo scriptum est, transtulere" (In Ier. V,33).

8
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

tradurrebbe anche la parola greca alalagmòs, con significato di ululato.

Tra i padri prima di Agostino34 pochi sono coloro che ne parlano e tutti a mo' di
accenno: il termine non esce dai significati sopra citati, che si ritrovano anche in
Agostino: vociferazione gioiosa della gente di campagna (en. Ps. XCIV,3; XXXII,II,8;
XCIX,4) o grido di trionfo militare (applicato al Signore en. Ps. XCVI,6; XCVII,7;
XLVI,7), ululato (en. Ps. LXV,2). Si nota invece come negli autori postagostiniani 35 il
concetto abbia subìto un approfondimento e si sia avviato verso un significato che lo
avvicina o identifica all'alleluia36 e alla perfecta devotio.

A questo punto bisognerebbe chiedersi se possa esserci stata nella tradizione filosofica
una qualche riflessione sulla musica che Agostino avrebbe ripreso. La musica nel suo
enigma incomprensibile è sempre stata, infatti, oggetto di una particolare attenzione da
parte della filosofia la quale però, quando cercò di svelarne il segreto, si divise in due
linee interpretative: teorica e pratica.37
Nel neoplatonismo era considerata addirittura una delle vie per giungere all’unione con
l’Uno, anche se per lo più era considerata un'espressione della matematica, disciplina
che faceva parte di un cammino di purificazione dal corporeo. Plotino (come
Agostino)38 usa volentieri la metafora della voce e del suono per spiegare l'essere e ne
tratta a più riprese39. Anche per parlare dell'intuizione immediata dell'estasi usa la
34
Origene nell'interpretazione al Sal 99,1, citato nell'omelia latina su Giosuè VII,2f, fa poche affermazioni che
conducono ad un senso mistico (da Ziegler, Der Iubilus, p. 96); Eusebio, nel commento al salmo XXV,5-6 (PG
23,241); per Ilario di Poitiers, In ps. LXIV (PL 9,425=CChr.SL 61,235-236) lo iubilus è canto dei pastori.
L’omelia di Girolamo sul salmo 32, citato da Gastouè nel suo articolo “Jubilus” (Dizionario patristico e di
antichità cristiane VII 2, a cura di A. Di Berardino, Casale 1983-1988, cc. 2770-2), parla del giubilo come di un
canto senza parole (PL 26,970), con evidenti parallelismi al commento agostiniano, ma tale omelia è
erroneamente attribuita a Girolamo, essendo in realtà tardiva (CPL 629). C’è chi afferma che sarebbe stata
elaborata con frammenti autentici di Girolamo (trattato LIX sui salmi), ma tra i frammenti autentici editi in PLS
(II, cc. 94-125) non è compreso il testo in questione. Nel commento a Jer. 5,34 è un ululato. In altri come
Lucifero di Cagliari, De non conv. 2,46; Ambrogio di Milano, Exp. Luc., 6-7; Vigilio di Trento (+ 405), In Gs 6;
Bachiario (+425), Eucherio (+449) Pietro Crisologo (+450), Serm. 6; 23; In Ps. 94; 46 non c'è accenno di anticipo
di quella che sarà al riflessione teologica di Agostino.
35
Arnobio Minore, In Ps. 97,18; Prospero di Aquitania, In Ps. 150 31.37; Cassiodoro in numerosi passi come
anche Beda e Gregorio Magno, solo per citarne alcuni.
36
E' tuttavia dubbio che lo iubilus sia da identificare con l’alleluia (cfr. Ernetti, Principi, pp. 362-364. Corbin, La
musica, preferisce vedere una origine e uno sviluppo parallelo, pp. 88-91).
37
Più volte nella musica si distinse una "…musica puramente pensata, musica come scienza teoretica, a volte
strumento privilegiato di ascesi mistica o musica come attrazione dei sensi, e una musica concretamente udita ed
eseguita, come suono fisico e corporeo e perciò possibile strumento di perdizione. La musica come ascesi risale
all’estetica pitagorica dei numeri; la musica come concreto fluire di suoni, oggetto di piacere sensibile, ci riporta
ad una estetica di carattere empiristico a sfondo aristotelico e ad una concezione della stessa come imitazione
delle passioni" (E. Fubini, Estetica della musica, Milano 1995, p. 64).
38
Marrou, S. Agostino: “Quanto a Plotino, la sua posizione è curiosamente analoga a quella di Agostino: come lui
ha finissima sensibilità artistica che non si è sottratta al fascino della musica artistica; come Agostino prende
volentieri esempi o metafore da essa; tuttavia non raccomanda di praticarla più di quanto Agostino non faccia”, p.
188 nota 96.
39
"…il musico è commosso e trasportato dal bello e, incapace di commuoversi da sé, è aperto all’influenza delle

9
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

metafora del suono40 e cita la musica parlando del Bello (I,6,1.3). Ma il suono, per lui, è
movimento (VI,3,19) e quindi la musica fa ancora parte del temporale, essendo solo la
forma sensibile di qualcosa di trascendente41. Per giungere all’unione con l’Uno quindi
bisognerà trascendere anche la musica e inoltrarsi al di là dei suoni, nel silenzio 42. Ma
già nel suo discepolo Porfirio non resta la minima possibilità di esprimere alcunché per
mezzo dei sensi nell'unione con Dio e la musica non ha più alcun ruolo. Porfirio si è
interessato molto della musica, ma pare che il suo trattato (andato perduto) fosse stato
redatto con minor sensibilità artistica di Plotino. La musica per Porfirio è solo teoria.
Analizzando l’idea di musica nella tradizione filosofica, non se ne traggono dunque
grandi vantaggi. Essa non le riconobbe alcun carattere spirituale, anzi la disprezzava,
essendo riservata al culto materiale degli déi inferiori (cfr. ciu. X). È invece il concetto
di “ineffabilità” e il collegamento di questo con l’esperienza del divino ad aprire una
prospettiva originale sullo iubilus agostiniano.

Lo iubilus, pur essendo emesso dalla voce è “senza parole”. Questa insistenza da parte
di Agostino insospettisce. Non è strano pensare ad collegamento con qualche elemento
della teologia negativa o comunque della tradizione filosofica platonica e neoplatonica.
Secondo la più classica tradizione apofatica filosofica infatti il termine che indica
l'ineffabilità è àrrheton.43 In particolare in questo sistema filosofico tale concetto
assume grande rilievo riguardo al rapporto con Dio e all’esperienza mistica.
Conseguenza imprescindibile della ineffabilità di Dio nell’uomo era l’atteggiamento di
silenzio, considerato anche l’unico vero culto di Dio44.

prime impressioni e come gli uomini timidi di fronte ai più piccoli rumori, è sensibile ai suoni e alla loro
bellezza, evita sempre nei canti il disaccordo e la discordanza e nei ritmi si compiace delle misura e dell’accordo.
Dopo i suoni, i ritmi e le figure sensibili, egli deve separare la materia in cui si attuano gli accordi e le
proporzioni e intuire la bellezza degli accordi in se stessi e comprendere che le cose che lo incantavano sono
intelligibili", I,3,1 (da Plotino, Enneadi, a cura di G. Faggin, [I classici del pensiero: Filosofia classica e tardo
antica, a cura di V. Mathieu], Milano 1992, p. 87).
40
"Così, quando un suono riempie lo spazio, ogni uomo che si trovi in un punto qualunque dello spazio riceverà
interamente il suono, benchè tutto veramente non lo riceva" III,8,9 (Faggin, p. 523).
41
"La musica sensibile è prodotta dalla musica che le è anteriore", V,8,1 (Faggin, p. 905).
42
"…come quando qualcuno che vuole udire una voce desiderata, si distoglie da tutte le altre e presta il suo
orecchio a quella voce che qualora gli si avvicini è la migliore di quante si possano udire, così, anche quaggiù
dobbiamo lasciare perdere ogni rumore sensibile qualora non sia entro i limiti del necessario e serbare pura la
potenza percettiva dell'anima e pronta ad ascoltare le voci dall'alto" V,1,12 (Faggin, p. 813).
43
Per questo concetto si veda l'antologia di testi raccolti da S. Lilla , La teologia negativa dal pensiero greco
classico a quello patristico e bizantino, in Helikon XXII-XXVII (1982-1987), pp. 211-279; tra i motivi in cui la
teologia negativa trova espressione, uno (il punto n° 17 per l’autore) è dedicato proprio all'“ineffabile e privo di
nomi in quanto superiore ad ogni discorso”, p. 213.
44
Cfr. O. Casel, De philosophorum graecorum silentio mystico, Töpelmann 1919; M. Dupuy, “silence”, in
Dictionnaire de Spiritualité ascétique et mystique doctrine et histoire [=DSp] 15, a cura di M. Viller e.a., Paris
1995, cc. 829-858; Quasten, Musik und Gesang, pp. 67-77.

10
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

Nella prima ipotesi del Parmenide, Platone afferma al termine della sua riflessione
sull’Uno assoluto che esso non è nominabile (cfr. 142a). Il concetto dell'ineffabilità
divina avrà di qui una lunga storia sia tra i pagani, soprattutto medio-platonici 45, sia tra i
cristiani46.
Plotino insiste a più riprese sulla necessità di fare silenzio per rendersi accetti all’Uno 47.
L’Uno stesso è ineffabile48: questo è l’unico nome attribuibile all’Uno-Bene (VI,8,11) e
quindi l’unico atteggiamento che l’uomo può avere di fronte ad esso è il silenzio (sigè).
Questo è intrinseco all’estasi e all’unione dell’uomo con il primo principio 49, estasi che
Beierwaltes chiama la “de-differenziata unione (hènosis) con l’Uno”50. L’anima che si
riunisce all’Uno quindi non può più parlare (III,8,5) 51: il primo principio può essere
contemplato solo quando si raggiunge l’assenza di ogni attività noetica, superiore al
pensiero stesso. Al contatto con la divinità che esige silenzio corrisponde l’eclissarsi
della coscienza, perché vi è più solo l'unione nell’uno indistinto, una intuizione
immediata di esso52. Questa unità non ammette distinzione e quindi per spiegare questa
unione superiore anche il linguaggio è costretto a frantumarsi.53
Anche Porfirio afferma che “a Dio che è sopra ogni cosa non si pronuncia nulla di
sensibile”54. Come sopra, l''ineffabilità assume largo spazio in questo sistema filosofico

45
Cfr. H. G. Liddell - R. Scott, "àrrhetos": A Greek-English Lexicon, Oxford 1968, p. 247. Tuttavia per questo
argomento rimandiamo all’ottimo riassunto in DSp 15, cc. 829-858; per uno studio dettagliato invece si veda S.
Lilla (oltre a Helikon XXII-XXVII), La teologia negativa dal pensiero classico a quello patristico e bizantino in
Helikon XXVIII (1988) pp. 203-279; XXIX-XXX (1989-1990) pp. 97-186; XXXI-XXXII (1991-1992) pp. 3-72 .
46
Cfr. G. W. H. Lampe, "àrrhetos": A patristic Greek Lexicon, Oxford 19785, p. 230. Nella tradizione cristiana i
significati si estendono anche al campo teologico.
47
"…prima però si invochi Dio stesso non con la parola caduca ma con l'anima tendendo tutti noi stessi a Lui con
la preghiera poiché solo così, da soli a Solo noi possiamo pregare" V,1,6 (Faggin, p. 801); cfr. inoltre tutto lo
splendido trattato VI,9.; DSp 15, cc. 829-858; Gérold, Les Péres, pp. 66-69.
48
Plotino V,3,13-14; 4,1; 5,6; 9,4.5.10.11 (da Lilla, Hlk XXVIII [1988] pp. 231-232).
49
Cfr. la seconda parte del III,8 e inoltre V,3,13.14.17; V,4,1.
50
W. Beierwaltes, Plotino. Un cammino di liberazione verso l’interiorità, lo Spirito e l’Uno [Temi metafisici e
problemi del pensiero antico. Studi e testi 21, Milano 1987, p. 67.
51
"[l’Uno-Bene] è al di là dell’essenza e al di là dell’autosufficienza. Dicendo queste cose possiamo essere
contenti ed andarcene? No. L’anima soffre ancora le sue doglie e ancora di più. Forse è bene che essa finalmente
partorisca dopo essersi slanciata verso di Lui nel momento culminante dei suoi dolori. Ma dovremmo forse
incantarla ... e forse l’incantesimo per le sue doglie potrebbe nascere perfino dai ragionamenti fatti finora se li
volessimo ripetere ... L’anima che corre dietro a tutte le verità, anche a quelle di cui soltanto partecipiamo, si
eclissa tuttavia quando si esige che essa parli e pensi logicamente, dal momento che è necessario che il pensiero
discorsivo, per poter dire qualcosa, colga i concetti l’uno dopo l’altro: solo così infatti si ha il processo del
pensiero. Ma in chi è assolutamente semplice quale processo è possibile? Nessuno; ma basterà un semplice
contatto interiore. Ma durante il contatto - almeno finché avviene - non si avrà affatto né la possibilità, né il
bisogno di parlare: solo più tardi si potrà ragionarci sopra", V,3,17 (Faggin, pp. 853-855).
52
"Poiché la conoscenza della cose ha luogo mediante l'intelligenza e mediante l'intelligenza si può conoscere un
essere pensante, con quale immediata intuizione si può afferrare ciò che è al di là della natura dell'Intelligenza?",
III,8,9 (Faggin, p.523).
53
"Come il linguaggio parlato è un’immagine del linguaggio interiore dell’anima, così questo è un immagine di
quello interiore ad un altro essere. E come il linguaggio parlato rispetto a quello dell’anima si frantuma in parole,
così quello dell’anima rispetto all’altro superiore è frammentario quando cerca di esporlo", I,2,3 (Faggin, p. 77).
54
Porfirio, Abstinentia ab esu animalium, II, 34 (da Casel, De philosophorum, 117).

11
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

e anche qui il termine in questione è àrrheton55. Secondo Porfirio la preghiera che ci


avvicina a Dio è fatta in silenzio e nel pensiero puro, nel Logos interiore. Si legge
infatti nella sua Lettera a Marcella56: “Il saggio, quando fa silenzio, onora Dio” (16) e
“la preghiera dell’indolente è un vano brusio di parole” (12) 57. Il concetto di Uno-Bene
plotiniano è modificato da Porfirio, il quale (nella sua cosiddetta fase post-plotiniana 58)
sostiene che il primo principio non è più senza relazioni, assolutamente separato e
trascendente ma una "triade intelligibile" ed assume le caratteristiche insieme della
prima e della seconda ipotesi59 del Parmenide di Platone, risultando così sia ineffabile
sia enunciabile.

Nella tradizione filosofica il collegamento tra esperienza mistica e musica non era
dunque ammissibile. Il concetto di «culto logico» (logikè thousìa), l'unico accetto a
Dio, veniva associato strettamente al silenzio: dal momento che l'Uno divino è
totalmente indicibile, solo col silenzio l'uomo può onorarlo. Tale silenzio esclude
dunque anche ogni espressione musicale (dominio del sensibile) e simboleggia l'unione
mistica con l'Uno, in cui l'individualità umana perde i propri contorni.
E' stato Casel a dimostrare60 come per una certa tradizione filosofica fino al
neoplatonismo il vero culto (logikè thousìa), l’unico culto degno della divinità suprema,
fosse un sacrificio interiore, fatto nello spirito, che escludeva in modo categorico non
solo i sacrifici cruenti61, ma anche la musica come mezzo per il culto. Che il vero culto
interiore si consumasse senza parole nel silenzio dell’estasi lo affermavano anche i
neopitagorici e ancor prima Filone62. Casel dimostra infatti come il concetto fosse
presente già nel giudaismo e come di qui sia passato nel cristianesimo.
I termini lògos, nous e pneuma sono usati come sinonimi: ciò che nei testi filosofici è
chiamato lògos o nous, nella LXX sarà scritto pneuma. Nel Nuovo Testamento logikòs

55
Si vedano i testi di Porfirio riportati da Lilla, Hlk XXVIII (1988) pp. 271-272.
56
Porfirio, Vangelo di un pagano. Lettera a Marcella. Contro Boeto. Sull’anima. Sul conosci te stesso, Eunapio,
Vita di Porfirio, a cura di A. R. Sodano, [I classici del pensiero: Filosofia classica e tardo antica, a cura di V.
Mathieu], Milano 1993. La sezione 11-19 è dedicata al vero culto razionale, in polemica con i sacrifici e le offerte
vane.
57
Sul concetto di silenzio in Porfirio cfr. Casel, De philosophorum, pp. 117-124.
58
Se si concorda con P. Hadot, Introduzione a Porfirio, Commentario al Parmenide di Platone. Saggio
introduttivo, testo con apparati critici e note di commento a cura di Pierre Hadot , [Temi metafisici e problemi
del pensiero antico. Studi e testi 22], Milano 1993; Lilla, Hlk XXVIII (1988) p. 261.
59
"Per esso c’è anche un nome e un discorso ed esso è denominato ed enunciato" (cfr. Parm., 155e).
60
O. Casel, Die logikè thousìa antiker Mystik in christlichliturgischer Umdeutung, in Jahrbuch für
Liturgiewissenschaft 4 (1924), pp. 37-47. Cfr. Quasten, Musik und Gesang, pp. 67-77.
61
Ce ne informa lo stesso Agostino, cfr. Ciu. X,10.
62
Apollonio di Tiana riportato da Eusebio nella Praep. Eu. IV 13 che ivi, 11 riporta anche le parole di Porfirio a
proposito

12
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

e pneumatikòs sono termini spesso vicini. Si può dunque pensare che il concetto di
logikè thousìa l'equivalente di pneumatikè thousia: entrambi significano il culto in
spirito (Io. 4,23s). La via che di qui il concetto prenderà, lo avvicinerà sempre più al
significato di eucaristia.63
Lo iubilus in Agostino presenta le stesse caratteristiche di questo culto logico. 64 E'
dunque possibile pensare che nel concetto di giubilo agostiniano si troverebbe per la
prima volta quel collegamento tra musica e culto che fino ad allora non era ancora
emerso.

Mistica e linguaggio
L'idea di sacrificio spirituale avvicina in alcuni connotati il concetto di iubilus
agostiniano all'ineffabile logikè thousìa dei filosofi.65 Nella enarratio CL,8 si legge:
iubilatio namque, id est ineffabilis laus, nonnisi ab anima proficiscitur. Poco sopra
Agostino aveva affermato che tria est genera sonorum: voce, flatu, pulsu, quindi la
voce umana come strumento, il coro come l’espressione di questa voce (vox est in
choro). Quasi alla ricerca di vestigia di triadi, egli propone parallelismi secondo i quali
la voce corrisponderebbe alla mente, lo strumento a fiato allo spirito e quello a
percussione al corpo (vox est in choro, flatus in tuba, pulsus in cithara; tamquam mens,
spiritus, corpus: come si sa, ogni analogia della Trinità non è mai per proprietas). Si fa
inoltre riferimento alla lode che il cristiano prima di fare è nella sua stessa persona (in
quibus ut Deum laudent nisi in seipsis?). Agostino ricorda quel sacrificio ragionevole
che per il tramite di Paolo (Rom. 12,1) diventa per lui, nella versione latina, la lode
spirituale: …et quia secundum carnem mors est: omnis spiritus laudet Dominus. 66
Anche nella enarratio XXVI,II,12 ritroviamo analogie del "sacrificio di giubilo" con il
muto culto di filosofica memoria: immolamus hostia iubilationis, immolamus hostiam

63
Ripercorre l'evoluzione del concetto Casel, Die logikè thousìa, pp. 41-47. Ma si veda anche Lampe, "thousìa",
p. 658ss: nei padri il concetto di logikè thousìa assume non solo il senso di culto (Eusebio) ma anche di
eucaristia. Ne fanno uso Teodoro di Mopsuestia e soprattutto Teodoreto di Cirro (In Ps. 95,9). Inoltre il concetto
viene usato in alternativa ai termini mystikè (Crisostomo, Filostrato, Teodoreto, Eulogio, Niceforo), pneumatikè
(Cirillo di Gerusalemme, Teodoreto), o katharà thousìa. In questo modo il senso ne risulta ampliamente dilatato.
Sull'importanza del concetto di logikè latreìa e i suoi risvolti si veda l'originale saggio di M. Perroni, La teologia
liturgico sacramentale di Paolo in: Corso di Teologia Sacramentaria 1, (A. Grillo - M. Perroni - P.-R. Tragan
edd.), pp. 227-257, in particolare il paragrafo specifico: La vera novità: la logikè latreìa, pp. 248-255.
64
Cfr. ciu. X,6; è significativo del resto che Dupuy, nel suo articolo sul "silenzio" (DSp 15), parli dello iubilus
agostiniano.
65
A questo punto si dovrebbero analizzare le novità del concetto, ma è impossibile presentare qui analisi
dettagliate di ogni testo: ci si dovrà limitare ad alcuni esempi.
66
Cfr. Quasten, Musik und Gesang, pp. 69-77 che si meraviglia del fatto che la vox strumentalis è del tutto
estromessa dalla logikè thousìa senza accorgersi del giubilo come di quello sviluppo che il canto e la musica
fanno nel cristianesimo dei primi secoli (cfr. in particolare p. 78).

13
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

laetitiae ... quae verbis explicare non potest.

Ciò che nello iubilus non può essere espresso a causa della limitatezza della parola è un
abundantissimum et inenarrabile gaudium. Il discorso vacilla già riguardo alle creature
di Dio - dice Agostino sempre nella enarratio XXVI,II,12 - quanto più davanti al
Creatore stesso, davanti alla cui grandezza però lo iubilus è in grado di reggere (restet).
Si ha così il paradosso di una ineffabilità che tuttavia è enunciata67 nell'atto stesso in cui
la parola dichiara la sua limitatezza. Giubilare significa l’erompere della gioia nella sola
voce, senza parole, emettendo (redditur!) suoni di una gioia che le parole non riescono
ad esprimere.68 Ma Colui che è grandioso, ineffabile69 non si può neppure tacere (tacere
non debes!).70 Anche l'enarratio LXXX,3 sottolinea l’impossibilità di restare muti:
Quidquid verbis explicare non poteritis, non ideo tamen ab exsultatione cessetis; quod
poteritis explicare, clamate; quod non potestis, iubilate. Chi ha veduto la salvezza di
Dio non può restare muto davanti a Dio, deve parlare (cfr. en. Ps. XCVII,4). Restare in
silenzio esprimerebbe addirittura ingratitudine71. “L’esperienza dell’ineffabilità di Dio
non riduce al silenzio le anime riconoscenti, piuttosto le spinge all’espressione di
iubilatio, cui ci invita il salmista”72.
Nel cristianesimo del resto il silenzio non ha valore in sé, come precisa in seguito
Agostino: apud suos autem ...apud amicos ergo eius non est silentium, sed verba
67
Come notato questa caratteristica assieme negativa e positiva riferita a Dio (ineffabile e esprimibile), potrebbe
derivare da concezioni porfiriane del In Parm. in cui le caratteristiche della prima e della seconda ipotesi del
Parm. di Platone vengono applicate entrambe al principio primo. C'è da chiedersi tuttavia se e come questa
fusione di ineffabilità ed enunciabilità abbia influito sull'idea cristiana di Dio (spiegando forse anche il paradosso
dello iubilus): lo sostiene S. Lilla, The Neoplatonic Hypostases and the Christian Trinity, in Studies in Plato and
Platonic Tradition. Essays in Honour of J. Whittaker, Aldershat 1997, pp. 127-189 (in particolare pp. 148-160).
68
"…non enim uerbis iubilatur; sed solus gaudentium sonitus redditur, quasi parturientis et parientis cordis
laetitiam in uocem rei conceptae, quae uerbis explicari non possit ... in uocem erumpite gaudiorum" ( en. Ps.
LXV,2). Quinn, Praise: "…shout for joy within, express the inexpressible by wordless cries within. The goodness
of a God beyond comprehension is uttered in a joy beyond speech - the liric of jubilation", p. 222.
69
"Et quem decet ista iubilatio, nisi ineffabilem Deum?" (en. Ps. XXXII,II,1,8)
70
I motivi del giubilo sono sempre i contenuti della fede cristiana: la grandezza di Dio, la sua unicità, la sua
signorìa, la sua misericordia, la potenza con la quale regge e guida la creazione e la storia; la meraviglia (cfr. en.
Ps. XLVI,7), l’opera di Dio nelle sue manifestazioni varie lungo la storia della salvezza (cfr. en. Ps. XXVI,II,22;
LXXXVIII,I,17); la creazione (cfr. en. Ps. XXVI,I,6; XXVI,II,12; XCIV,5.9; XCIX,16), la fede (cfr. en. Ps.
XXVI,II,13), il mistero della incarnazione, morte e risurrezione di Cristo (cfr. en. Ps. XXVI,I,6): Ancora: si
giubila per la grazia (cfr. en. Ps. LXXXVIII,I,17), la remissione dei peccati (cfr. en. Ps. XCVII,4), per la pace
cattolica (cfr. en. Ps. XCIV,8), e soprattutto senza motivo, gratuitamente e perciò ripetutamente, come ad
esprimere la sovrabbondanza della grazia. La stessa vita eterna sarà un eterno giubilo (cfr. en. Ps. CII,8.10.29;
CXLVIII,1; 99,8.11).
71
"Cum autem ibi didiceris dici non posse quod sentis, tacebis, non laudabis? Ergo mutus eris in laudibus Dei, et
gratiarum actionem non reddes ei qui voluit se notum tibi facere? Laudabas cum quaereres, silebis cum
inveneris? Nullo pacto: non eris ingratus".
72
B. McGinn, Storia della mistica cristiana in occidente. Le origini (I-V secolo) I , Genova 1997, p. 326 [tit.or.:
The Presence of God: A History of Western Christian Mysticism. 1. The Foundation of Mysticism , New York
1994]; cfr. B. Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristiana [in linea], in Mneme, Roma 1999-2002,
<http://mondodomani.org/mneme/abz01.htm> [25 febbraio 2002], 97 KB.

14
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

silentii, id est, ratio exposita et manifesta illius silenti (cfr. en. Ps. VII,1). Agostino dice
che il silenzio propriamente detto appartiene solo a Cristo: è il silenzio denso di
significato nel quale il Signore avvolse il mistero della sua passione, convertendo il
delitto volontario nel piano della sua misericordia. L’apostolo e la chiesa non possono
spiegarlo, tuttavia possono parteciparne e comunicare lo stupore: ita magnum illud
silentium non expositione magis aperit, quam admiratione commendat.
Lo iubilus viene identificato col bene canere (en. Ps. XXXII,II,I,8): giubilare significa
comprendere e non poter spiegare ciò che il cuore canta. Il canto interiore risulta infatti
maggiore del canto esteriore, così da non poter essere totalmente espresso da questo. Le
sillabe devono perciò spezzarsi, come esplodere, per lasciar risuonare la sola voce
umana73. Il cuore deve emettere, partorire74 ciò che non può essere detto e si partorisce
ciò che è concepito. Ciò implica una forma di conoscenza che non sia una cogitatio né
una conoscenza sensibile:75 è la conoscenza del cuore (cfr. en. Ps. XXXIX,23), che
collega le prime due e la sua espressione è la musica76.
L’esperienza dei misteri della fede cristiana porta dunque il segno di una indicibile
gioia che deve comunicarsi oltre il limite delle sillabe. E' bene sottolineare che per
Agostino non è mai una persona singola che giubila, ma sempre un intero popolo. Le
espressioni di Agostino infatti sono quasi sempre coniugate al plurale: si tratta di
un’azione collettiva77 liturgico-comunitaria perché sempre espansiva e relazionale, mai
qualcosa di privato78. Infatti il mistero della fede non è esoterico, anzi si manifesta ai
piccoli e chiama anche gli incolti al canto di lode (cfr. en. Ps. CIII,4)79. Con questo
canto si partecipa a quella lode eterna che già ora tutto il cosmo canta (en. Ps. VI,11). Il
grido di esclamazione indica questa partecipazione comunitaria ("cattolica" si dirà in
en. Ps. XCVII,1). Per spiegare il significato del nome Cusi che si trova nel titolo del

73
"... ut eam (laetitia) verbis explicare non possint, avertunt se a syllabis erborum, et eunt in sonum iubilationis".
74
"Iubilum sonus quidam est significans cor parturire quod dicere non potest. Come anche: parturientis et
parientis cordis laetitiam in uocem rei conceptae" (en. Ps. CXV,2). L'idea del travaglio della mente umana che
vuole concepire la conoscenza delle cose superiori è già in Platone, la ritroviamo in S. Paolo (Rom. 8), l`abbiamo
già visto in Plotino (cfr. supra) e poi tornerà in Damascio (Prim. Princ. 5 [9,1-5]). Torna a più riprese nella
riflessione di Agostino ed è teologicamente esplicato in trin. IX,9,14; 12,14.
75
"…exprimentis affectum, non sensum comprehendentis" (en. Ps. XCIX,4).
76
"Ineffabilis enim est, quem fari non potes; et si eum fari non potes, et tacere non debes, quid restat nisi ut
iubiles, ut gaudeat cor sine verbis, et immensa latitudo gaudiorum metas non habeat syllabarum?" (en Ps.
XXXII,II,I,8).
77
Cfr. Ernetti, Principi, p. 368; Quinn, Praise, p. 231.
78
Sulla connotazione cristologica, liturgica, biblica, comunitaria della mistica agostiniana concorda McGinn,
Storia della mistica, pp. 308-357.
79
Non così in Plotino che affermava invece "questi nostri discorsi non sono rivolti a tutti", V,8,2 (Faggin, p. 909).
Cfr. Quinn, Praise: "It is a song that requires no special quality or style of voice… Since the notes and melody of
jubilation are singable by all, are meant to be sung by all, jubilation is, for Augustine, an additional sign that tha
Church is for all, universal, catholic", p. 224.

15
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

Salmo 7 Agostino afferma: Cantat ergo psalmum Domino anima perfecta, quae iam
digna est nosse secretum Dei. Cantat pro verbis Chusi quia meruisti nosse verba illius
silentii (en. Ps. VII,1). Non il silenzio, quindi ma le parole del silenzio. Il termine
ultimo di partecipazione resta dunque la parola con la sua valenza partecipativa. E’
plausibile ammettere qui una polemica, o almeno una distanza, dalla concezione
dell’ineffabilità dell’esperienza mistica neoplatonica. Lì infatti l’adorazione scaturiva
nella sigè, qui invece nella musica dello iubilus.
L’evidente differenza tra l’“ineffabile” del silenzio della mistica platonico-plotiniana e
l’“ineffabile” del canto del giubilo suggerirebbe a questo punto un confronto tra le
connotazioni dell' esperienza mistica filosofica e quella agostiniana. Esso pure infatti è
collegato all’estasi: nella en. Ps. XXXVII,12 si dice chiaramente che quel nescio quid
intravisto nell’estasi è intrinsecamente collegato a “parole ineffabili”80. Di questa lo
iubilus potrebbe costituire analogia espressiva e estrinsecazione appropriata. I connotati
dell'esperienza espressa dallo iubilus mostrano paralleli in particolare con quelli
dell’esperienza dell’estasi di Ostia (conf. IX,10,26), paradigma dell'evoluzione delle
concezioni mistiche di Agostino in confronto a quella ben diversa neoplatonica di
Milano.81 Lo stesso aggettivo ineffabilis è prediletto spesso da Agostino per parlare
dell'esperienza spirituale.
L’enarratio XLVI,7 parla di una admiratio gaudii: lo stupore di fronte alla
contemplazione dei misteri di Cristo. Per questo gaudio verba non sufficiebant. I
discepoli davanti all'ascensione al cielo di Gesù Cristo sono presi da meraviglia e non
riescono a dire nulla82. L’ek-stasi è sottolineata dal fatto che per l’ammirazione e il
gaudio del giubilo essi erano come andati fuori di sé (tamquam mente alienatis).
Porfirio dice che bisogna rinunciare alle formule e alla possibilità stessa di comprendere
Dio (cfr. In Parm., IX,29-30; X,2-4). Per Agostino nell'esperienza della conoscenza di
Dio l’anima non ha bisogno di eclissarsi, non vi è oblio della coscienza nè una
negazione totale dell'espressività.83 Anzi questa insufficienza dell’espressione apre

80
"Tale est nescio quid quod vidi in ecstasi, ut inde sentiam quam longe sum, qui nondum ibi sum. Iam ibi erat
qui dixit assumtum se in tertium caelum, et ibi audiebat ineffabilia verba, quae non licet homini loqui".
81
In accenno: l’esperienza di Ostia ha carattere biblico, cristologico, ecclesiale, sinestesico pur non lasciando
quello noetico; Agostino per descriverla ricorre a simboli visivi, ma ancor più uditivi (conf. IX,10,26); parla di un
ritorno alle parole umane dal Verbo silenzioso di Dio, usa un linguaggio di affettività. Il concetto che ne emerge
di vedere Dio invisibilmente è stato spesso preso come chiave di lettura per spiegare alcuni aspetti della mistica
agostiniana: nello iubilus abbiamo il concetto complementare di dire Dio indicibilmente. Per queste analisi cfr.
McGinn, Storia della mistica, pp. 317-320.
82
"Viderunt discipulos adscendente Domino haerentes, admirantes, stupentes, nihil dicentes, sed corde
iubilantes".
83
"Quid est in iubilatione? Intelligere, verbis explicare non posse quod canitur corde" (en. Ps. XXXII,II,I,8)

16
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

l’esperienza sensibile alla partecipazione al divino.


L' enarratio CIII,18 è dedicata a questo motivo del giubilo come un parlare
responsoriale (mutua disputatio): infatti Dio ha detto il suo Verbo84.

La Parola di Dio è per Agostino historia sacra85 nel senso di res gestae narratae,
ovvero testimonianza autorevole della parola incarnata e lo stesso Cristo-Logos
incarnato, rivelazione del Padre.86 Da Lui deriva all’uomo la possibilità di espressione
sensibile, perché esso è rivelazione per eccellenza, fino alla consustanzialità della vita,
del Padre. Per Agostino il Verbo di Dio che si sviluppa e risuona in tutta la Sacra
Scrittura è un “unico discorso di Dio che non conosce sillabazione”, perché è quel
Verbo che era in principio presso Dio, fuori del tempo. Ma questo Verbo a motivo della
nostra debolezza si è “abbassato ad articolare le nostre parole”, assumendo la debolezza
stessa del nostro corpo87. A partire dal mistero dell’incarnazione e risurrezione 88 perciò,
il sensibile, in quanto assunto da Dio, è ormai in grado di rimandare a Dio proprio a
partire da ciò che è (anche dalla sola voce del corpo umano) 89. Così lo iubilus trova la
sua condizione di possibilità sulla base della partecipazione dell’uomo alla Parola, sia
nel senso di riferimento al testo biblico 90, sia nel senso del Verbo incarnato e risorto
come si legge in questo testo:

Ille solus est ineffabilis, qui dixit, et facta sunt omnia. Dixit et facti sumus: sed nos eum dicere
non possumus. Verbum eius quo dicti sumus, Filius eius est; ut a nobis utcumque infirmis
diceretur, factus est infirmus. Iubilationem pro verbo possumus dicere, verbum pro verbo non
possumus (en. Ps. XCIX,6).

Il passo in questione è di massima importanza. Le corrispondenze con alcuni testi


porfiriani sono addirittura sorprendenti91, ma la distanza è maggiore. Non si vogliono
84
"... et tibi dixit, et se dixit. Quia misit Christum, seipsum dixit".
85
Ciu. XV e XVI; cfr. B. Studer, La cognitio historialis di Porfirio nel De civitate Dei di Agostino (Civ. X,32), in
XXIII incontro di studiosi dell'antichità cristiana 1994, [Studia Ephemeridis Augustinianum 50], Roma 1995, pp.
520-553; Id., History and Faith in Augustine's De Trinitate, in Augustinian Studies 28/1 (1997), pp. 7-50.
86
"... Dei autem Verbum ipse est Dei Filius" (trin. II,5,9).
87
"Meminit Caritas vestra, cum sit unus sermo Dei in Scripturis omnibus dilatatus, et per multa ora sanctorum
unum Verbum sonet, quod cum sit in principio Deus apud Deum, ibi non habet syllabas, quia non habet tempora;
nec mirandum nobis sit, quia propter infirmitatem nostram descendit ad particulas sonorum nostrorum, cum
descenderit ad suscipiendam infirmitatem corporis nostri" (en. Ps. CIII,IV,1).
88
Che implica la fides spiritualis (sulla distinzione tra fides historica e fides spiritualis cfr. Studer, History and
Faith, pp. 17-19).
89
"…ita ut appareat eum ipsa voce gaudere quidem" (en. Ps. XCIX,4).
90
I salmi stessi invitano al giubilo e “Agostino parla dello iubilus … appena ricorrono nel salterio i termini
iubilare, iubilatio mentre non ne fa parola quando parla dell’Alleluia” (Ernetti, Principi, p. 368).
91
Con il testo dell' In Parm. II,14-31: "Resterà così solo da comprenderlo senza comprensione e pensarlo senza
pensiero; grazie a questo esercizio potrai un giorno, se ti soffermerai sulle cose che attraverso di lui sono
costituite, raggiungere l’indicibile prenozione che di lui possiamo avere, che è rappresentata dal silenzio, senza
che si sappia ciò che tace, senza che abbia conoscenza di ciò che riflette, in una parola, senza che essa si renda
conto di ciò che sia; essa, che è solo un’immagine dell’Indicibile, poiché l’Indicibile in maniera indicibile e non

17
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

qui dimostrare l'influssi o differenze tra il neoplatonismo e Agostino, ma far notare che
se questi utilizza anche pensieri filosofici lo fa con libertà, per dire ciò vuole; laddove
questi schemi filosofici non reggono più, Agostino sa prenderne le distanze. Anche per
lui infatti l’uomo non avrebbe una parola adeguata per esprimere l'ineffabile, Cristo
però, mediatore della creazione e nella sua incarnazione, mette l'uomo in condizione di
dire questa parola. Dio crea tramite la sua Parola, in modo che noi risultiamo creati in
quanto detti. Noi siamo così parola di Dio, ferma restando la distinzione tra il Verbo del
Padre e il verbo interiore sviluppata nel De Trinitate: aliud est Verbum in carne, aliud
Verbum caro. Aliud est Verbum in homine, aliud Verbum homo (II,6,11)92. “La vera
parola su Dio è in realtà la Parola di Dio che inonda quella parola” 93. Il verbo interiore
non solo è soggetto all’errore perché non è sostanziale, ma anche quando vedremo Dio
faccia a faccia ed esso sarà partecipe della vita divina, avrà con il Verbo divino sempre
una somiglianza dissimile (cfr. ep. CLXIX,6): il nostro verbo resterà sempre verbo
formato e mai pura forma, come invece è il Verbo eterno del Padre (cfr. trin.
XV,14,24-XVI,26); per questo il nostro linguaggio allora sarà soltanto laus. E infatti
proprio quest’opera, si concluderà così:

Multa, inquit, dicimus, et non pervenimus, et consummatio sermonum universa est ipse. Cum
ergo pervenerimus ad te, cessabunt multa ista quae dicimus, et non pervenimus; et manebis
unus omnia in omnibus; et sine fine dicemus unum laudantes te in unum, et in te facti etiam nos
unum (trin., XV,28,51).
Nello iubilus non si tratta quindi (contro l’interpretazione di Balthasar 94) di parole che
ammutoliscono nella Parola, ma della parola umana fatta capace nel suo limite di una
forma di comunicazione più grande. Si tratta quindi di una esaltazione della limitatezza
che Cristo ha amato e ha assunto.
Nel 389, nel Genesis adversus Manichaeos, Agostino riteneva che il linguaggio fosse
una conseguenza della caduta susseguente al peccato originale. Infatti, prima della
caduta, Dio parlava immediatamente all’intelletto dell’uomo95. Il linguaggio era quindi
considerato da Agostino una necessità nel contesto dell’umanità decaduta, radicalmente

l’indicibile in quanto conosciuto, se riesci a comprendere questo, come posso dire, in modo immaginativo. Ma
noi stessi attraverso Lui diveniamo misericordiosi nei nostri confronti, per essere elevati alla passione estatica
verso quest’oggetto degno d’amore che per ora non conosciamo, ma che conosceremo un giorno, quando saremo
degni di concepire in qualche modo l’inconcepibile", In Parm., II,14-31 (Hadot, pp. 61-63). Si veda il
parallelismo fortissimo con tutta l’en. Ps. XCV per es.: “mancano le parole al salmista ... è come se dicesse ciò
che io non riesco ad esprimere immaginalo tu e dopo che lo hai immaginato sappi che è ancora poco” (XCV,4)
92
Di qui il fondamento di ogni differenza tra cristianesimo e religioni filosofiche (ma allora anche tra Agostino e
il neoplatonismo il cui adagio è il simile conosce il simile?).
93
F. L. Pizzolato, Il libro I delle “Confessiones, in “Le confessioni” di Agostino d’Ippona, Libri I-II, a cura di
L.F. Pizzolato – G. Scanavino, [Lectio Augustini. Settimana agostiniana pavese 1], Palermo 1984, p. 21.
94
Cfr. von Balthasar H. U., Verbum Caro, [Saggi teologici I], Brescia 1970 2 (1a1968), p. 149.
95
Cfr. Pizzolato, Capitoli, p. 37.

18
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

segnata da una sorta di impotenza a realizzare un qualche contatto interiore immediato


con Dio-verità96. In questa fase la corporeità sembra avere per lui un carattere negativo.
In seguito egli sembra convincersi del fatto che, dal momento che nessun procedimento
razionale avrebbe mai potuto eliminare il limite posto dalla corporeità, anche
quest’ultima sarebbe dovuta rientrare nell’ordine dei signa e avrebbe dovuto perciò
costituire un "dato irrinunciabile e paolinamente positivo più che platonicamente da
fuggire"97. Nel 397, quando scrive il De doctrina christiana, Agostino comincia a
meditare sul paradosso del parlare di Dio (I,6,6). Nelle Enarrationes, e precisamente
attorno al 412, sembrerebbe compiere questo passo ulteriore: concepire nello iubilus un
tipo di espressione linguistica che pur nascendo dall'intimo, dall'interno del cuore, si
esprime tramite il limite stesso della corporeità. Questa costituisce dunque ora un
fattore positivo. Tramite lo iubilus il corpo entra quindi a pieno titolo come parte
integrante dell’espressione dell’esperienza della fede. Secondo l’immagine, offerta da
Agostino, del limite delle sillabe che viene spezzato, il corpo, cioè il sensibile, a
differenza di quanto accadeva in Porfirio98, risulta ormai capace appunto nel suo limite
di dire l’indicibile.

Dal momento che Agostino dà al "sacrificio di giubilo" (en. Ps. XXVI,2,12) le stesse
caratteristiche di questo culto logico, è legittimo chiedersi se con questa identificazione
egli non abbia aperto per la prima volta il varco a che la musica si costituisse a pieno
titolo, indipendentemente dalla parola, quale strumento del sacro. In tal caso saremmo
di fronte alla giustificazione teorica del cammino che la musica avrebbe poi preso nel
culto cristiano verso la sua autonomia. Se così fosse tale idea costituirebbe una novità
anche per la storia della musica sacra.
Il giubilo corrisponde dunque a quella definizione di musica vista sopra come sensus
intellectusque particeps: si è osservato come in esso l’intelletto, i sensi e gli affetti
entrano allo stesso titolo come parte di un unico evento di fede. La musica infatti porta
il dato emotivo ad un livello simbolico attingibile dall’intelletto esprimendolo coi sensi.
Il giubilo con gli elementi visti del gaudio (admiratio gaudii), del suspirare99 e del
sentire praesentiam (XLVI,7) del cuore che giubila, del desiderio di esprimere l'amore

96
Cfr. Pizzolato, Capitoli, p. 43; Rist, Agostino, p. 153.
97
Pizzolato, Capitoli, p. 41; cfr. Rist, Agostino, pp. 125-196.
98
Porfirio, Lettera a Marcella: “quanto più si desidera il corpo tanto più si ignora Dio”, 13, ma anche il famoso
omne corpus fugiendum est.
99
"Ei suspirat omnis amor noster, et cantat canticum novum" (en. Ps. XXXII,II,I,8).

19
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

per Dio, dicono l'intenzionalità dell'uomo intero verso Dio 100, essendo concetti che
implicano l'unità di anima e corpo. Qui più che il testo, è proprio la musica a definire
esattamente il significato di ciò che si vuole esprimere, un significato che in nessun
altro modo, se non attraverso l’esperienza di una intimità, potrebbe essere realmente
percepito e che solo così può arrivare diritto nel profondo del cuore101.
L'enarratio XCIV,5 presenta un elemento che interessa forse la storia dello sviluppo
melismatico del canto: la ripetizione. In enarratio XCIV,3 si era parlato di affectus: lo
iubilus è collegato più che ad una idea, ad un affectus che il cuore concepisce, ma che il
discorso logico non può esprimere. 102 Il canto muove l’affectus, con esso, assieme alle
melodie, entrano nel cuore i concetti delle parole e lo convincono e quando l’animo è
ricolmo di commozione, non più un linguaggio discorsivo-razionale ma la stessa
ripetizione, la cantilena, cioè il puro musicale e sonoro, lo esprime (voce testariquod
intum conceptum est … per illam vocem indicetur animi affectus, verbis explicare non
valentis quod corde concipitur). Lo stesso Signore usava parlare ripetendo Amen, per
arrivare al cuore dei suoi discepoli, per confermare ed esortare, per muovere non solo il
loro intelletto, ma anche la loro volontà, il loro cuore (repetitur enim ad intellegendum
affectum dicentis). Si ripete per manifestare la pienezza del sentimento e perché tale
ripetizione sia un'intensificazione del linguaggio comunicativo, volutamente al di fuori
del codice logico-razionale (è il principio delle nenie che ogni madre canta al proprio
bambino).
È significativo che nella enarratio XCIX,6 Agostino cominci ad esprimersi in modo
quasi sinestesico103: si sente, si comprende, si gusta, si avverte (diligens cogitatione,
intuere, mirare, sentire). Ci si trova in piena terminologia dei sensi spirituali.
Avvicinarsi a Dio implica un’adesione del cuore al mistero della fede: viene usato il
verbo persentiscere che vuol dire accorgersi, rendersi conto, sentire profondamente, ma
non intellettualmente. Conoscere di Dio significa quindi anche essere in dinamica,

100
Cfr. G. Madec, "Cor": AugL 2 (1996) 1-2, pp. 2-6 qui 4.
101
Cfr. P. A. Sequeri, L’oro e la paglia. Meditazioni sull’educare alla parola, [Contemplatio 1], Milano 1998 2,
pp. 31-32. Gregorio Magno lo spiegherà così: "Quia ergo post laborum certamina, post temptationum fluctus,
saepe in excessu anima suspenditur, ut cognitionem diuinae praesentiae contempletur, quam tamen praesentiam
et sentire possit, et explere non possit; recte post tot labores de hoc temptato homine dicitur: uidebit faciem eius
in iubilo" nei Moralia in Iob (XXIV,6, 56).
102
"Deficimus in voce, sed non in affectu" (en. Ps. CII,8)
103
McGinn, Storia della mistica: “Agostino non ha mai pensato che la nostra esperienza immediata di Dio in
questa vita potesse venire espressa con chiarezza. Tutte le immagini di cui fa uso, relativi alla vista o agli altri
sensi spirituali, sono finalizzate a suggerire l’inesprimibile, non a circoscriverlo ... Senza arrivare ad enunciare
una teoria formale dei sensi spirituali dell’anima, come invece avevano fatto Origene e altri autori orientali, la
sua enfasi su di una forma di sinestesia, capace di veicolare l’ineffabile ricchezza della consapevolezza della
presenza divina, segna un momento importante nella storia della mistica occidentale”, pp. 343-344.

20
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

cambiare di continuo la nostra precedente immagine di Dio, accorgersi che si credeva


soltanto di conoscerlo e di poterlo esprimere, di poterne parlare. Si fa esperienza di Dio
nella misura in cui aumenta la carità, perché Dio è carità. Lo Spirito Santo è la soavità
dell'abbraccio del Padre e del Figlio (trin. VI,10,11), è l'amore stesso: questo amore è
mistero ma si può conoscere anche se non solo con l'intelletto, e si può esprimere anche
se non con le parole. In esso l'uomo trova se stesso integralmente ad immagine della
Trinità104 (verbum nostrum et mente de qua gignitur quasi medius amor coniungit, trin.
IX,8). Il cuore - come in senso biblico - sede dei pensieri e dei sentimenti, è purificato
dalla fede che si basa sulla Scrittura la quale - intesa come evento e testimonianza del
mistero di Cristo - lo prepara alla visione del Padre Figlio e Spirito Santo 105: un tale
cuore dilatato dalla carità diffusa in esso dallo Spirito Santo diventa così tempio di
Dio,106 per questo Agostino può dire: cantare amantis est (sermo CCCXXXVI).

Si è appurato che in Agostino si trovano elementi di una riflessione sul melos che
possono portare a delineare una teologia del canto. Lungo le analisi sono infatti emersi i
quattro grandi principi che strutturano ogni teologia (non solo agostiniana) 107: adesione
alla fede e cioè all'autorità di Gesù Cristo che si manifesta nell'autorità della Scrittura;
desiderio di conoscere il contenuto della fede; senso del mistero di Dio; termine del
processo teologico nella carità. Per sistematizzare una tale ricostruzione si dovrà
necessariamente tornare sugli elementi plurivalenti del canto: canto come vertice di una
esperienza umana della parola, capacità psicagogiche, catartiche, mnemoniche. La sua
caratteristica ecclesiogenetica e morale derivante non solo dal suo far leva anche sugli
affetti e sui corpi, ma dall'essere canto dei "salmi" e cioè dal partecipare non da ultimo
a quella Parola che è suono creatore e significato (cfr. Gen. 1). Anche nel suo farsi
simbolo della vita cristiana una teologia del canto aiuta a decodificare le connotazioni
dell'esperienza cristiana. Al di là del collegamento tra parola di Dio e suono, che si fa
evidente nei salmi, si dovrà parlare di un legame anche più intrinseco tra liturgia e
canto o tra salmi e musica, a partire dal nesso che collega teologicamente la stessa

104
Impossibile sviluppare qui questa vastissima tematica. Si ricordi l’affermazione: "non ad solius Patris, aut
solius Filii, aut solius Spiritus Sancti, sed ad ipsius Trinitatis imaginem factus est homo" (Gn. litt. XXVIII,48;
retr. II,24,12; cfr. trin. IX-XV). Per la definizione della mistica trinitaria agostiniana cfr. McGinn, Storia della
mistica, p. 331, posizione con cui conveniamo.
105
"Ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem, ut a fide Scripturarum inciperent, qui cupiunt ad tuae
magnificentiae notitiam pervenire, quae super Scripturas elevata est, quia transit et superat omnium verborum
linguarumque praeconia" (en Ps. VIII,8).
106
Cfr. Madec, "Cor": AugL, c. 6.
107
Li enuncia A. Trapè, NBA XXVIII-4, pp. XI-XII.

21
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

musica al rito.
Il giubilo abbandonando il normale codice linguistico ancor più di quanto già accadeva
nel canto, può esprimere ancora meglio l'esperienza del paradosso cristiano.
L'incarnazione di Cristo, verbo di Dio e il mistero della rivelazione sono la condizione
di questo silenzio che parla e di questa parola impronunziabile. Si è visto che,
conferendo allo iubilus il connotato che nella tradizione filosofica era proprio del vero
culto, Agostino fa entrare a pieno titolo nel culto la musica, a seguito del canto, tramite
una nozione tutta nuova e tutta cristiana: quella del rapporto con la divinità che si
manifesta nella preghiera e nell'adorazione contemplativa108.
Con esso la musica verrebbe introdotta come protagonista del culto in una direzione
autonoma rispetto alla parola109, rispetto cioè a quel ruolo subordinato di ancillarità che
fin dall’antichità aveva sempre avuto nei confronti della parola.
Se la teoria agostiniana sul canto con l’ombra della sua ambiguità forse è stata quella
che ha avuto le maggiori ripercussioni sulla tradizione ecclesiastica occidentale, quella
sul giubilo si dimostra così la più feconda per ogni futura interazione tra liturgia e
musica. Varco110 da cui la musica strumentale ecclesiastica e liturgica, nella sua
evoluzione storica, prenderà avvio per il suo pieno sviluppo.
Occorre aggiungere che il tema della musica, che nel De musica risentiva ancora
fortemente di un influsso neopitagorico, nel concetto di iubilus si è andato liberando dei
suoi elementi più filosofici (anche neoplatonici) maturandosi assieme allo sviluppo
pieno in Agostino della fede cristiana e facendo breccia sul concetto "moderno" di
musica.
Il vocalizzo puramente musicale infatti significa il paradosso della necessità di dire ciò
che non può essere detto, ma in un nuovo concetto di relazionalità dialogica: alla parola
di Dio l'uomo non è in grado rispondere con un'altra parola, ma può e deve rispondere
con il giubilo. In questo modo la dimensione corporea e sensibile dell'uomo non solo

108
Cfr. Corbin, La musica, p. 221.
109
P.A. Sequeri, “Una teologia del “sacro in musica”: “La civiltà cristiana ha offerto alla musica il proprio bene
più prezioso, ovvero la Parola della rivelazione. Nella celebrazione della Parola la musica si è aperta di fatto un
varco sconosciuto ad altre civiltà. In essa ha preso consapevolezza della sua forma di creatura, sensibile
all’impulso operoso del cuore e dell’intelligenza dell’uomo ed ha occupato con “giubilo” prima ignoto lo spazio
dell’incanto di fronte ad un senso “rivelato” del mondo nel quale per altro si ridesta anche l’emozione di una
“origine” in cui era stato affidato ad Adamo il dominio di tutte le cose. Premuta la parola la musica ha imparato
ad esprimere ma anche ad esprimersi”: Rivista liturgica, Luglio-Agosto 1987 (4) pp. 453-466, qui p. 458.
110
Sequeri, Una teologia: “Perché si affermi l’intrinseca qualità semantica del sonorico, con la sua indefinita
plasticità oltre la limitata sostanza fonica ella parola - che è appunto - compensata dalla ricchezza della sua
precisione semantica - bisognerà che il varco estatico (ed estetico) aperto dall’antico jubilus percorra il lungo
cammino che lo condurrà ad una sorta di “discorsività” indipendente e parallela nei confronti della parola: come
pura sequenza melodica di una autonoma vox instrumentalis”, p. 460.

22
Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

non viene disdegnata ma diventa il necessario tramite della lode a Dio, e questo è
possibile perché Egli stesso a sua volta si è voluto comunicare all'uomo
nell'incarnazione del Verbo quella via che i neoplatonici non hanno conosciuto (cfr.
conf. V,3,5).

Oltre ad un approfondimento nuovo, questo studio presenta piste aperte. Si potrebbe


approfondire il gioco tra passato e futuro che si attua nel canto: la dialettica tra iam e
nondum gioca nel canto una funzione primaria e una ricerca su come nel canto queste
realtà si attuino nell’hodie liturgico e come questo apra alla speranza offrirebbe spunti
fecondi. Andrebbe analizzato meglio il legame tra alleluia e cantico nuovo, tra alleluia
e cantico escatologico, la relazione tra alleluia e iubilus (questione ancora aperta anche
per gli storici della musica). Forse sarebbe utile confrontare su questo tema Agostino
con Gregorio Magno dell' epistula IX,26. Sarebbe interessante seguire lo sviluppo del
concetto di iubilus dopo Agostino.

Il concetto di iubilus si affaccia anche sui problemi di quella che Beierwaltes chiama la
"metafisica del linguaggio". In effetti su questo punto, come notato anche da Rist,
l'evoluzione del pensiero di Agostino è indubbia. Lo iubilus potrebbe perciò essere
compreso come l'estremo di quella teoria secondo la quale "il significato di una cosa è
accessibile a questo concetto in primo luogo non attraverso il significato del segno-
parola, bensì in definitiva con la conoscenza della cosa stessa"111 e risultare luogo per
una riflessione feconda sulle conseguenze e le implicazioni di quelli che Beierwaltes
chiama lo "scarto" e Rist i "vuoti" all'interno della teoria del linguaggio di Agostino. 112
Per queste riflessioni sarà fondamentale tornare sul capitolo quindicesimo del De
Trinitate, in particolare X,9 (la parola che precede tutte le lingue); X,19; XI,20 (la
parola che è segno di quella interna); XII,22 (sullo scarto tra ciò che si proferisce e
realtà significata) come anche XIII,2; XIV,24; XV,15; XVII.
Lungi dall'aver sviluppato tutte le implicazioni delle analisi svolte, possiamo tuttavia
concludere che Agostino puntualizza e dilata il concetto di iubilus come mai era ancora
avvenuto prima di lui, rilevando una dimensione di esso inesplorata: il paradosso del
111
W. Beierwaltes, Agostino e il neoplatonismo cristiano, a cura di G. Girgenti, [Platonismo e filosofia patristica.
Studi e testi 8], Milano 1995, p. 202; sul rapporto tra parola esterna ed interna cfr. ibid., p. 191.
112
A differenza degli stoici, Agostino era convinto di un "vuoto" tra lògos endiàthetos e lògos prophorikòs. In
definitiva, come afferma Rist, Agostino: "l'uomo non può esprimere ciò che è incapace di sperimentare o
immaginare, ma può sperimentare ciò che è incapace di tradurre in parola", p. 45, infatti "solo un segno che è
identico a ciò di cui è segno fornirà qualcosa più di un'opinione e fornirà questa solo alle persone capaci di
comprenderlo", p. 48. Ma qui si apre tutto un campo di ricerche.

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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

dire l'ineffabile. Tale paradosso si apre in due direzioni diverse: da una parte verso un
chiarimento dei connotati della mistica e dell'esperienza cristiana, dall'altra verso una
emancipazione della musica. Entrambe queste direzioni saranno ricche di avvenire.

***
L’itinerario delle analisi svolte ha preso le mosse dal tentativo di approfondire
l’esperienza e la riflessione del musicale in Agostino, vista la mancanza nel panorama
degli studi agostiniani di un approccio sistematico o quanto meno più approfondito su
questo tema. Ripercorrendo le numerose tracce della considerazione agostiniana sul
melos si è visto come, con il maturarsi della valutazione dello spazio del corpo
all’interno dell’esperienza di fede, vi sia stata in Agostino anche una rivalutazione della
musica nel suo rapporto da una parte al culto di Dio e dall’altra all’affettività e alla
corporeità umana. Soprattutto riflettendo sullo iubilus, cioè il “vocalizzo senza parole”
(che accompagnava il canto dei salmi e al quale i salmi stessi invitavano) – concetto
che Agostino focalizza attorno al 412 e che troviamo tematizzato nelle Enarrationes in
Psalmos - egli elabora una teoria circa il paradosso dell”esprimere l’inesprimibile” in
cui crediamo di trovare per la prima volta un collegamento tra musica e culto,
inammissibile per la tradizione filosofica precedente e del tutto originale tra i padri.
Dando allo iubilus le stesse caratteristiche del culto logico, di filosofica memoria,
Agostino apre il varco a che la musica si costituisca a pieno titolo, indipendentemente
dalla parola, quale strumento del sacro. Siamo così di fronte alla giustificazione teorica
del cammino che la musica avrebbe poi preso nel culto cristiano verso la sua
autonomia; tale contributo diventa rilevante quindi anche dal punto di vista della storia
della musica sacra.
In questo canto non sottomesso alle parole, la corporeità dell’uomo assume piena
dignità all’interno dell’esperienza di fede. Lo iubilus sarebbe anche un tentativo di
espressione dell'estasi mistica cristiana (giubilare è dire ciò che non può essere detto,
ma nemmeno taciuto) che ha il suo fondamento trascendentale nell’incarnazione del
Verbo. Così, tutt’altro che annichilirsi in un silenzio muto e spersonalizzante, alla
Parola in cui Dio comunica se stesso l’uomo può e deve rispondere con la gioia
incontenibile esprimentesi nel puro melos della voce che sale a Dio nella lode.
Le analisi svolte fin qui si sono rivelate ricche di implicazioni che chiederebbero
ulteriori approfondimenti: nel campo della terminologia del canto le Enarrationes in

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Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona

Psalmos offrono infatti più che dei semplici spunti per ricostruire una teologia del
canto113, ma soprattutto è nell’ambito della filosofia del linguaggio agostiniana nel suo
nesso alla mistica che si aspettano ricerche di più ampio respiro.

***

113
Come citato nella nota 23, provvede ad un tale approfondimento uno studio di prossima pubblicazione.

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