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a cura di
Angela Romagnoli, Daniele Sabaino,
Rodobaldo Tibaldi e Pietro Zappalà
**
EDIZIONI ETS
«Diverse voci…»
Collana del Dipartimento di Musicologia e Beni culturali
Università di Pavia
Comitato scientifico
Elena Ferrari Barassi, Maria Caraci Vela, Fabrizio Della Seta, Michela Garda,
Giancarlo Prato, Daniele Sabaino
© Copyright 2018
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com
Distribuzione
Messaggerie Libri SPA
Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI)
Promozione
PDE PROMOZIONE SRL
via Zago 2/2 - 40128 Bologna
ISBN 978-884675180-5
ISMN M 979-0-705015-37-9
Tabula gratulatoriaXIII
Giancarlo Prato
PrefazioneXV
TOMO I
TESTI
Luigi Galasso
L’armonia delle sfere celesti in un frammento di Vario (157 Hollis; F 2 Schauer) 3
Sandra Martani
Un esempio di notazione ecfonetica del sistema post-classico:
il manoscritto Alex. Patr. gr. 10 (a.D. 1338) 15
Marco D’Agostino
Tradition and innovation in the Greek printed book of the Renaissance:
some observations 29
Vincenzo Borghetti
La sovrana lettrice: Margherita d’Austria e il suo chansonnier
(Bruxelles, Bibliothèque royale de Belgique, Ms 228) 43
Francesco Molmenti
Alcune considerazioni sull’organizzazione dello spazio sonoro
nelle Messe di Josquin Des Prez 65
CARA SCIENTIA MIA, MUSICA
Francesco Saggio
Prolegomeni all’edizione critica del Secondo libro de’ madrigali a quattro voci
di Philippe Verdelot (1534) 91
Rodobaldo Tibaldi
Le due edizioni dei Responsoria per la Settimana Santa e per il Natale
(1544 e 1564) di Paolo Aretino 133
Antonio Delfino
Il mottetto O Jesu Christe (C139) di Giovanni Gabrieli: un contrafactum?161
Francesco Frangi
La partenza del figliol prodigo di Francesco Cairo.
Attorno a un quadro perduto (e ritrovato) delle collezioni dell’Ambrosiana 177
Carlo Bianchini
In ogni mestiere, la prima scienza è la cognizione dei libri:
i repertori bibliografici per la formazione della biblioteca della famiglia Querini
nel Settecento 191
Andrés G. Locatelli
¿No se emendará jamás?
Emendamenti e fraintendimenti nella cantata spagnola di Händel 209
Angela Romagnoli
La bottega di Chrysander: il Giustino di G. F. Handel
dall’autografo del compositore all’edizione della Deutsche Händelgesellschaft 239
Marina Toffetti
Il dramma per musica Cook, o sia gl’Inglesi in Othaiti (Napoli, 1785):
appunti sulla ricezione e sulla tradizione del testo 279
Licia Sirch
Sulle anacreontiche. Postille sui testi poetici per musica fra Sette e Ottocento 307
Rosa Cafiero
La creazione di un paradigma: musica antica di scuola napoletana nelle collezioni
di Gaspare Selvaggi (1763-1856) 343
Michele Girardi
L’angelo della musica. Rossini, Mozart e l’intertestualità 421
VIII
Indice
Federica Rovelli
Progetti abbandonati, esercizi e letture beethoveniane tra il 1815 e il 1816 447
Marco Mangani
«What will the boys say now?» Strategie compositive e volontà d’autore
in Porgy and Bess 483
Stefano La Via
Suzanne di Leonard Cohen: dalla Poesia alla Canzone 521
TOMO II
CONTESTI
Leone Porciani
Un’Artemide siracusana. Contesti religiosi e contatti orientali nella Sicilia ellenistica 583
Daniele Sabaino
Ancora su ricezione ed ermeneutica delle prescrizioni ‘musicali’ del Concilio di Trento:
nuove considerazioni a partire dall’esperienza della diocesi di Cremona 601
Daniele V. Filippi
La cultura sonora del Cattolicesimo nella prima età moderna: cinque ricercari 627
Miriam Turrini
Il vescovo e la città. Cesare Speciano, le élites cittadine e un giuramento
nel Seicento cremonese 647
Eleonora Rocconi
Marcus Meibom e la riscoperta della teoria musicale greca nel xvii secolo 677
Artemio Focher
Alla ricerca di dignità sociale e prestigio professionale:
musicisti contro musicanti nel romanzo barocco tedesco 693
Giorgio Panizza
Parini, Verri, De Gamerra e altri nella Milano degli anni di Mozart 709
IX
CARA SCIENTIA MIA, MUSICA
Pietro Zappalà
La fortuna editoriale di Mendelssohn in Italia (1837-1875 ca.) 727
Gianmario Borio
Schönberg e la cultura italiana: storia di un rapporto contraddittorio 753
Elena Mosconi
‘Casta’ diva: Gina Lollobrigida e la costruzione del divismo nel cinema
d’ambiente operistico italiano (1946-1955) 787
Luca Bagetto
L’appello di un mondo. Per una filologia politica 803
PRATICHE
Cecilia Nocilli
La teoria musicale e la prassi esecutiva nei trattati di danza del Quattrocento:
per «aprire la virtù delo intelecto» 823
Stefano Aresi
«Udir la voce del divin Marchesi»:
il Pirro di Zingarelli, l’arte del canto e una carrozza per Bergamo 881
Raffaella Barbierato
«Le plus beau contralto» 901
Michela Garda
Il riso e il grido in Wagner fra testo e performance 923
TRECENTO ITALIANO
Thomas Persico
«Indigent enim plausoribus» (De vulgari eloquentia, ii iii, 5):
indizi di pratica esecutiva per ballate e «soni» d’inizio Trecento 953
X
Indice
Stefano Campagnolo
Petrarca non scrisse Non al suo amante più Diana piacque (rvf lii)
per Jacopo da Bologna 967
Antonio Calvia
Un dittico visionario nella veste musicale di Nicolò del Preposto 1027
Davide Checchi
Per la datazione delle ballate landinane Amar sì gli alti e O fanciulla giulìa:
ricerche su due rubriche d’occasione del ms. Chigiano L.iv.1311067
Michele Epifani
Su due ballate di Francesco Landini 1085
Davide Daolmi
Il modello iconografico della miniatura di Pit (F-Pn, It. 568) 1121
XI
Stefano Campagnolo
PETRARCA NON SCRISSE NON AL SUO AMANTE PIÙ DIANA
PIACQUE (rvf lii) PER JACOPO DA BOLOGNA*
Che la lezione tràdita dai codici musicali del madrigale petrarchesco Non al suo
amante più Diana piacque (Rerum Vulgarium Fragmenta [rvf lii]),1 sia portatrice
di varianti d’autore attestanti una redazione primitiva del testo e una presumibile
estraneità, in origine, al ciclo laurano, è senz’altro un’ipotesi affascinante. Affasci-
nante, anzi: bella; bellissima, verrebbe da dirsi.
Giuseppe Corsi, preceduto in parte da Marrocco,2 annotò con diligenza tra le
altre una variante al verso 6, a suo dire non richiesta dall’intonazione musicale, sup-
ponendo perciò che «copie di rime del Petrarca dovettero correre numerosissime
prima della trascrizione definitiva e non è improbabile che ad una di esse apparten-
ga il madrigale intonato da Jacopo».3 Dopo Corsi, elaborarono indipendentemente
* Ringrazio Maria Sofia Lannutti, Laura Paolino e Tommaso Salvatore per aver letto la
prima versione di questo testo fornendomi consigli e aiuti. Ringrazio in particolare Tommaso
Salvatore per avermi consentito di leggere in anteprima il suo articolo in uscita su «Studi Petrar-
cheschi» e per molte altre cortesie usatemi.
1 Considerato l’unico petrarchesco di cui si possegga la musica di un trecentista, almeno
fino alla convincente attribuzione a Petrarca de La fiera testa fatta da Maria Sofia Lannutti: cfr.
Maria Sofia Lannutti, Polifonie verbali in un madrigale araldico trilingue attribuito e attribuibi-
le a Petrarca: «La fiera testa che d’uman si ciba», in Musica e poesia nel Trecento italiano. Verso una
nuova edizione critica dell’«ars nova», a cura di Antonio Calvia e Maria Sofia Lannutti, Edizioni
del Galluzzo, Firenze 2015, pp. 45-92.
2 W. Thomas M arrocco, The Music of Jacopo da Bologna, University of California Press,
Berkeley-Los Angeles 1954 (University of California Publications in Music, 5), p. 3; Italian secu-
lar music by Magister Piero, Giovanni da Firenze, Jacopo da Bologna, ed. by W. Thomas Marrocco,
Oiseau-Lyre, Monaco 1967 (Polyphonic Music of the Fourteenth Century, 6), pp. 114-115.
3 Poesie musicali del Trecento, a cura di Giuseppe Corsi, Commissione per i testi di lingua,
l’ipotesi Pierluigi Petrobelli4 e Vincenzo Dolla,5 l’uno fra i musicologi e l’altro fra
gli italianisti. Petrobelli congetturò come l’esistenza di una prima stesura del ma-
drigale rispetto a quella poi accolta nel Canzoniere stabilisse una relazione diretta
fra Petrarca e Jacopo da Bologna, autore della musica, proponendo quali luogo e
data d’incontro tra i due la corte viscontea, o meglio ancora la scaligera, intorno al
1350. L’accoglimento di questa ipotesi avrebbe comportato una datazione molto più
bassa di quella convenzionalmente accolta per rvf lii, oltre ad aprire nuovi scenari
intorno alla diffusione del libro di rime, la sua genesi, e in generale al rapporto di
Petrarca con musica e musicisti. L’incursione nella filologia petrarchesca avveniva
subdolamente tramite il seducente medium della musica. In realtà erano già noti
testi petrarcheschi scritti per musica, ovvero le ballate scritte pro Confortino,6 ma
erano relegati allo scartafaccio casanatense e alla caotica tradizione delle disperse:
marginalia, appunto, che sembravano suffragare anziché smentire i pregiudizi con-
tiniani sul ‘divorzio fra musica e poesia’, tema sul quale l’anno successivo all’arti-
colo di Petrobelli, a Certaldo, Aurelio Roncaglia avrebbe scolpito parole ancora di
riferimento.7
La congettura di Petrobelli, proprio perché affascinante/bella/bellissima, ap-
parve perciò corretta, perlomeno ai più: l’unico ad avanzare dubbi da subito fu
Guido Capovilla che nel 1982 scrisse: «l’ipotesi […] è piuttosto gravosa; per quanto
acuta e circostanziata, essa andrà mantenuta sub judice fino a quando – e i tem-
pi sarebbero maturi – non si potrà disporre di ulteriori e diversi risultati circa la
4 Pierluigi Petrobelli, «Un leggiadretto velo» ed altre cose petrarchesche, «Rivista Italiana
di Musicologia», x, 1975, pp. 32-45.
5 Vincenzo Dolla, I madrigali del “Canzoniere” (un’ipotesi di lettura petrarchesca), «Espe-
la storia: il Canzoniere di Francesco Petrarca: lezione Sapegno 1999, con due interventi di Giovanni
Giudici e Alessandro Pancheri, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. 49-59, oltre al mio studio di
cui alla seguente nota 19.
7 Aurelio Roncaglia, Sul «divorzio tra musica e poesia» nel Duecento italiano, in L’Ars
Nova italiana del Trecento iv. Atti del iii Congresso internazionale sul tema «La musica al tempo
del Boccaccio e i suoi rapporti con la letteratura», Siena - Certaldo, 19-22 luglio 1975, a cura di
Agostino Ziino, Edizioni Centro di Studi sull’Ars Nova italiana del Trecento, Certaldo 1978,
pp. 365-397.
968
cronologia del liber e delle liriche che lo compongono»,8 salvo poi almeno in parte
ricredersi poco avanti,9 e ancora più recentemente.10
A sostenere e diffondere con sempre maggior convinzione la tesi di Petrobelli
è stato soprattutto Marco Santagata, che la divulga dapprima in alcuni saggi11 e
poi largamente nella fortunata edizione commentata dei rvf del 199612 (tramite la
quale passa anche nella documentata recensione-saggio che dell’edizione appronta
Enrico Fenzi).13 Ancor più salde le convinzioni di Laura Paolino,14 che nel 2001
ha tratto spunto dalla tradizione musicale del madrigale per costruire un’ipotesi
complessiva molto ingegnosa e accattivante sulla cronologia di tutti e quattro i ma-
drigali e sui momenti in cui furono rielaborati e inclusi nei rvf.15 A dimostrazione
del consolidarsi dell’ipotesi, Paolino ha scritto in premessa: «com’è noto, proprio a
Verona Petrarca conobbe Jacopo da Bologna, che per lui scrisse la musica del primo
8 Guido Capovilla, Materiali per la morfologia e la storia del madrigale “antico”, dal ms.
Vaticano Rossi 215 al Novecento, «Metrica», iii, 1982, pp. 159-252: 164 nota 8.
9 Cfr. Guido Capovilla, I madrigali (lii, liv, cvi, cxxi), «Atti e Memorie della Accademia
Patavina di Scienze, Lettere ed Arti, Classe di scienze morali, lettere ed arti», xcl, 1983, pp. 449-
484 (successivamente in Id., «Sì vario stile». Studi sul Canzoniere del Petrarca, Mucchi, Modena
1998, pp. 47-90: 87).
10 Guido C apovilla, Petrarca, la lirica, la musica, in “Vaghe stelle dell’Orsa…”: L’“io” e il
“tu” nella lirica italiana, a cura di Francesco Bruni, Marsilio, Venezia 2005, pp. 131-146.
11 Cfr. M arco Santagata, Per moderne carte. La biblioteca volgare del Petrarca, il Mulino,
Bologna 1990, che raccoglie con riscrittura parziale una serie di studi precedenti. Vi si può rile-
vare come la tesi di Petrobelli, esposta una prima volta nel capitolo iv, pp. 157-211: 169-170, 183
(già edito come Id., Petrarca e Arnaut Daniel. Con appunti sulla cronologia di alcune rime, «Ri-
vista di letteratura italiana», n.s., ii, 1987, pp. 40-89), venga rafforzata nel cap. v, Cecco d’Ascoli,
Boccaccio, inedito, scritto per la raccolta, pp. 213-270: 216-217.
12 Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Marco Santagata, Mondadori, Milano 1996;
ca», xxvii, 1998, pp. 455-494 (ora in Id., Saggi petrarcheschi, Cadmo, Fiesole 2003, pp. 139-198:
185-187).
14 Allieva di Santagata e curatrice dell’edizione critica del Codice degli abbozzi: Francesco
Petrarca, Il codice degli abbozzi, edizione e storia del manoscritto vaticano latino 3196, a cura di
Laura Paolino, Ricciardi, Milano 2000.
15 Laura Paolino, Ancora qualche nota sui madrigali di Petrarca (rvf 52, 54, 106, 121), «Ita-
969
cato da Jacopo da Bologna, «Kronos», iii, 2001, pp. 19-44, ristampato poi, con modificazioni, in
italiano e inglese in «Polifonie», iv/3, 2004, pp. 165-222; Cecilia Panti, L’Ars nova e la polifo-
nia mensurata: alcune considerazioni su “Non al suo amante” (Rvf lii), in L’esperienza poetica del
tempo e il tempo della storia. Studi sull’opera di Francesco Petrarca, a cura di Carla Chiummo e
Anatole Pierre Fuksas, Laboratorio di comparatistica, Dipartimento di linguistica e letterature
comparate, Università di Cassino 2005, pp. 53-82; Id., Il madrigale “Non al suo amante” (rvf 52):
tradizione letteraria e tradizione musicale, in Petrarca in musica, atti del convegno internazionale
di studi, Arezzo, 18-20 marzo 2004, a cura di Andrea Chegai e Cecilia Luzzi, lim, Lucca 2005,
pp. 44-63. Si vedano inoltre Chiara Cappuccio - Luca Zuliani, «Leutum meum bonum»: i si-
lenzi di Petrarca sulla musica, «Quaderns d’Italià», xi, 2006, pp. 329-358, e, in ambito musicolo-
gico, Francesco Facchin, La recezione del Petrarca nella poesia musicale della sua epoca: alcuni
esempi, ivi, pp. 359-380.
19 Stefano Campagnolo, Petrarca e la musica del suo tempo, in Petrarca in musica, pp. 3-41.
970
del madrigale, e che il testo mostrasse i segni di una corruttela che rientrava nella
normale storia della trasmissione dei testi musicali; auspicavo quindi che i filologi
italianisti potessero infine considerare tutta la tradizione manoscritta, anche la de-
teriore, potendo così esprimersi sull’autenticità o meno della variante come variante
d’autore.20
Sull’impulso dato dai centenari petrarchesco e boccacciano, che hanno visto
importanti iniziative di studio ed editoriali, gli «ulteriori e diversi risultati» per la
tradizione del testo che auspicava Capovilla penso siano stati oggi acquisiti, sia sul
piano puramente ecdotico, sia sulla genesi e la stratigrafia del liber, campo di inda-
gine, quest’ultimo, che sembra conoscere una forte accelerazione in tempi recenti.
Appare quindi non di secondo momento fare il punto sulla questione, e per
le notevoli implicazioni per gli studi sul Canzoniere, e per quelle sull’Ars nova
italiana.
***
20 Secondariamente lasciavo aperta l’ipotesi che fosse esistita una versione antecedente, ma
del solo verso 6, mentre il verso 5 mostrava i consueti accidenti della trasmissione. Aggiungevo
però che ritenevo tale ipotesi estremamente improbabile, poiché la vicenda testuale del v. 5 finiva
per riverberarsi sul v. 6, che poteva non aver dato luogo a diffrazione di varianti, conservando
coerenza nei testimoni (tardi) che tramandano il testo con musica.
21 Francesco Petrarca, Canzoniere. Rerum vulgarium fragmenta, a cura di Rosanna Betta-
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Che la lezione tràdita dai codici musicali del madrigale petrarchesco Non al suo
amante più Diana piacque (Rerum Vulgarium Fragmenta [rvf lii]),1 sia portatrice
di varianti d’autore attestanti una redazione primitiva del testo e una presumibile
estraneità, in origine, al ciclo laurano, è senz’altro un’ipotesi affascinante. Affasci-
nante, anzi: bella; bellissima, verrebbe da dirsi.
Giuseppe Corsi, preceduto in parte da Marrocco,2 annotò con diligenza tra le
altre una variante al verso 6, a suo dire non richiesta dall’intonazione musicale, sup-
ponendo perciò che «copie di rime del Petrarca dovettero correre numerosissime
prima della trascrizione definitiva e non è improbabile che ad una di esse apparten-
ga il madrigale intonato da Jacopo».3 Dopo Corsi, elaborarono indipendentemente
* Ringrazio Maria Sofia Lannutti, Laura Paolino e Tommaso Salvatore per aver letto la
prima versione di questo testo fornendomi consigli e aiuti. Ringrazio in particolare Tommaso
Salvatore per avermi consentito di leggere in anteprima il suo articolo in uscita su «Studi Petrar-
cheschi» e per molte altre cortesie usatemi.
1 Considerato l’unico petrarchesco di cui si possegga la musica di un trecentista, almeno
fino alla convincente attribuzione a Petrarca de La fiera testa fatta da Maria Sofia Lannutti: cfr.
Maria Sofia Lannutti, Polifonie verbali in un madrigale araldico trilingue attribuito e attribuibi-
le a Petrarca: «La fiera testa che d’uman si ciba», in Musica e poesia nel Trecento italiano. Verso una
nuova edizione critica dell’«ars nova», a cura di Antonio Calvia e Maria Sofia Lannutti, Edizioni
del Galluzzo, Firenze 2015, pp. 45-92.
2 W. Thomas M arrocco, The Music of Jacopo da Bologna, University of California Press,
Berkeley-Los Angeles 1954 (University of California Publications in Music, 5), p. 3; Italian secu-
lar music by Magister Piero, Giovanni da Firenze, Jacopo da Bologna, ed. by W. Thomas Marrocco,
Oiseau-Lyre, Monaco 1967 (Polyphonic Music of the Fourteenth Century, 6), pp. 114-115.
3 Poesie musicali del Trecento, a cura di Giuseppe Corsi, Commissione per i testi di lingua,
1. Non al] Non nal Lgd 2, Pit; suo] su Lgd 2, Lse1, Fp, Pit; so Reina; amante] amantte
Lgd2; diana] dyana C; piacque] piaque R3, M, Lse1, Fp (voce del superius), Reina;
cezion fatta per Fp, per la cui datazione intorno al 1390 rinvio a Stefano Campagnolo, Il co-
dice Panciatichi 26 della Biblioteca Nazionale di Firenze nella tradizione delle opere di Francesco
Landini, in Col dolce suon che da te piove. Studi su Francesco Landini e la musica del suo tempo,
in memoria di Nino Pirrotta, a cura di Antonio Delfino e Maria Teresa Rosa Barezzani, sismel-
Edizioni del Galluzzo, Firenze 1999, pp. 77-119. Al novero dei testimoni musicali sono da ag-
giungersi una versione senza testo, puramente strumentale, testimoniata nel codice 117 di I-FZc;
il codice palinsesto 2211 di I-Fsl presso I-Fl (che, per quanto si può leggere, rende un testo so-
vrapponibile a quello di Sq, di cui è sostanzialmente coevo); i frustoli pergamenacei di rinforzo
di un incunabolo perugino che riportano porzioni dei vv. 1-4, per i quali si veda Frammenti
musicali del Trecento nell’incunabolo Inv. 15755 N.F. della Biblioteca del Dottorato dell’Universi-
tà degli Studi di Perugia, a cura di Biancamaria Brumana e Galliano Ciliberti, Olschki, Firenze
2004, collazionati da Gozzi, Il rapporto, portatori di minime varianti per lo più grafiche (la più
significativa: 4. Cha me] chamai), sulla cui datazione cfr. sotto, nota 63.
973
2. per tal ventura] perlaventura R3, P2, Lse1, Naz1; perlla ventura R4, Lgd2; peraventura
M, Pr648, Mg2, Lu, Pt; tutta] tucta P2, M, Mg2, Lu, Pt; tuta Reina; ignuda] nuda Pr648,
Lgd2, Lse1, Naz1, Lu, Pt, Fp, Pit, Reina; inuda Sq, R4 (innuda nella voce del tenor);
3. vide in meçço] vide in meço C, Sq (nella voce del superius); vide in mezo Pr648,
Lgd 2, Mg2, Naz1, Lu, Pt; viden mezo R3, P2, M (meço), LSe1; vidin meço Fp; vidjinmeço
Reina; vidi nel meço Pit, Sq nella voce del tenor; de le] delle C, P2, R3, R4, Pr648, Lgd 2,
LSe1, Mg 2 , Naz1, Lu, Pt, Fp, Pit; gelide acque] gelide aque M; gielide acque R4, Naz1
(giellide); gelidaque R3, Pr 648, Lgd2 (giellidaque), LSe1, Lu (gelidacque), Fp (gelidacque),
Pit, Reina, Sq;
4. Cha me] chadme C; che a me Mg2, Pt; camme R3, Naz1 (chamme), Pit; Comme Sq;
Chome R4; Come Lu; Cami Reina; pastorella] pasturella C, R3, R4, P2, M, Pr648, Naz1,
Lu, Pt, Fp, Pit; pasturela Reina, Sq; et] e R4, Lgd2, Reina; cruda] chruda Lgd2;
5. posta] fissa R3, P2, Pr 648, Lgd2, Pt, Sq; fisa R4, M, Naz1, Lu; fixa LSe1, Reina, Pit;
a] al Sq; manca in Reina, Fp; bagnar] bagnare (variamente scritto bagniare, bangnare) C,
R3, P2, M, Lgd 2, LSe1, Mg 2, Naz1, Lu, Pt, Pit, Sq, Reina; un leggiadretto] un legiadreto
Pit; un leggiadreto Naz1; un leggiadrecto Mg 2, Lu; un legiadretto Pt, Sq; unllegiadretto
Lgd2; el suo candido Fp, Reina; velo] vello Lgd2, Reina;
6. cha laura il vago et biondo] che alsole alaura ilvago Mg2, Pt (vagho); chalsole allaura il
vago R3 (calsole), P2, M, Pr648 (alaura), LSe1, Naz1, Lu; chalsol alaura il vago R4; chalsolle
allaura il vacho Lgd 2, cheel sole et laura il vago Fp; chel sole allaura el vago Pit, Sq; Cuml
sole alaura el vago Reina; capel] chapel R4, Lgd2, Fp;
7. tal che mi] tal chemmi C, M, Lgd 2, LSe1; tal che me Reina (voce del tenor); fece]
feccie Naz1; fici Reina; parve R3, R4, P2, Lgd 2, Lu; or] hor C, Mg2; manca in tutti gli altri
testimoni R3, R4, P2, M, Pr648, Lgd2, LSe1, Naz1, Lu, Pt, Fp, Pit, Reina, Sq; quande gliar-
del cielo] quando egli arde ilcielo C, Pr648 (elcelo), Mg 2, Pt; quando saprellciello Lgd 2,
che saprissilcielo R3; che saprisse ilcielo R4, Lu; che saprisselcielo P2; quandoglardeilcielo
M; grandeglardelcielo Naz1; quandoglardelcielo Fp (celo nella voce del superius); quando
guardel cello Reina; quandoegli ardel çelo Pit, Sq (cielo nella voce del tenor);
8. tutto] tuto Reina; tucto Lu, Pt; tremar] tremare Mg 2; dun] duno C, Mg 2, Lu, Pt;
gielo] gelo Pt; çelo R4, M, Fp, Pit, Sq nella voce del tenor; çello Reina; zelo R3, P2, Pr648,
Lgd2 (zello), LSe1, Naz1, Lu.
Analizzando l’apparato delle varianti nel complesso, risalta ictu oculi la buona
fedeltà di C a V, così come la vicinanza dei testimoni con musica ai restanti non
musicali. Si evidenzia la posizione di Mg2 che, pur essendo caratterizzato dalla pre-
senza della variante al v. 6, per il resto richiama da vicino V.
974
Nei primi quattro versi la tradizione è compatta, non esibendosi che varianti
grafiche se non le evidenti corruzioni al v. 2 dei manoscritti non musicali. Da notar-
si, al v. 4, la lezione comune a tutti i testimoni, compreso C (ma senza Mg2) del più
arcaico pasturella, forse un gallicismo da pastourelle – forma che trova rispondenza,
tra le altre,28 in un madrigale attribuito ad Antonio da Ferrara musicato proprio da
Jacopo da Bologna29 –, contro l’hapax petrarchesco pastorella, che potrebbe attesta-
re un ripensamento d’autore, da verificarsi nel resto della tradizione.
A partire dal v. 5, quella che era considerata una lettura esclusiva dei codici mu-
sicali trova riscontro anche negli altri manoscritti (eccezion fatta per C ed Mg2). La
lezione fissa è attestata in tutti i codici tranne Fp, che conserva la giusta lezione; lo
stesso Fp tuttavia, in accordo con Reina, reca el suo candido velo, da considerarsi
a parer mio una banalizzazione in quanto possibile integrazione di senso in un ar-
chetipo in cui la parola leggiadretto fosse scarsamente leggibile o del tutto illeggi-
bile – un’ipotesi rafforzata dall’essere porzione appartenente al secondo terzetto e
quindi scritta non sotto le note, ma nel residuum, luogo notoriamente passibile più
di altri di mutilazioni e fraintendimenti nei testi musicali.30
Come anticipato, anche il v. 6 trova insieme manoscritti con musica e non nella
variante: Ch’a l’aura il vago et biondo] ch’al sole all’aura il vago. Come ricorda Bet-
tarini, «il sole sembra un motivo additizio desunto dalla calura del v. 7».31 Sono
però la posposizione dell’isotopia l’aura/Laura e la mancanza dell’attributo del co-
lore biondo a sottrarre in apparenza il madrigale alla sfera laurana: infatti, giusta la
tesi di Petrobelli, se fossimo davanti a variante d’autore, aggiungendo «l’aggettivo
trovai, che cogliea funghi»: cfr. Corsi, Poesie, p. 34; l’attribuzione, dubitativa, ad Antonio da
Ferrara è in Franco A. Gallo, Antonio da Ferrara, Lancillotto Anguissola e il madrigale trecen-
tesco, «Studi e Problemi di Critica Testuale», xii, 1976, pp. 40-45: 45.
30 È proprio sulla contrapposizione fra ‘candido’ e ‘leggiadretto’ che Paolino, Ancora qual-
che nota, considerando d’autore anche questa variante, costruisce la sua ipotesi. Sul residuum
come luogo ecdoticamente infido nella tradizione musicale cfr. Gianluca D’Agostino, La tra-
dizione letteraria dei testi poetico-musicali del Trecento: una revisione per dati e problemi, in Col
dolce suon che da te piove, pp. 389-428.
31 P etrarca, Canzoniere, ed. Bettarini, p. 269.
975
“biondo” per indicare i capelli della “pastorella”, Petrarca» avrebbe conferito «al-
la protagonista del madrigale un tratto fisiognomico inconfondibilmente laura-
no», consentendo «a quel testo, non scritto per Laura, di entrare nel Canzoniere di
Laura».32 La definitiva identificazione sarebbe stata quindi assicurata, nella versione
finale, dall’eliminazione del sole, poiché «“l’aura” unita al “sol” non poteva che de-
signare l’elemento atmosferico».33
Tranne C e ancora una volta Mg2, come per i versi precedenti, il concordare del-
le due tradizioni, musicale e letteraria, spicca pure per il verso 7, che reca la caduta
di or in tutti i testimoni: guasto che porta peraltro a diverse interpretazioni da parte
dei copisti, e che mi aveva fatto considerare come ne fosse accresciuta «l’impres-
sione che possano essere ricondotti tutti [i manoscritti musicali] a una medesima
famiglia»34 – ipotesi che trova così oggi conferma.
In sintesi, la versione variante di rvf lii è caratterizzata non solo dalla diversa le-
zione del v. 6, ma anche dalla lezione fissa per posta al v. 5 e dalla caduta di or al v. 7:
tutti i testimoni presi in analisi – tranne C, che non ha nessuna di queste varianti, e
Mg2, che propone solo quella al v. 6 –, sono concordanti. La versione non musicale
inoltre è caratterizzata da una variante al v. 2 (per tal ventura] per aventura), con la
consueta esclusione di C.
Per molti aspetti i manoscritti non musicali rendono una versione del testo qua-
litativamente inferiore ai codici con musica: al v. 2, al v. 7 con R3, R4, P2, Lgd2, Lu
che variano con tal che mi parve che s’aprisse il cielo.
Fino al chiarimento di Bettarini si poteva credere, con Giuseppe Corsi, che rvf
lii appartenesse al novero di quel piccolo, ma non infimo, numero di componi-
menti nati indipendentemente dal libro di rime, quale testo d’occasione, diffuso
precedentemente e slegato dalle redazioni, o ‘forme’35 del Canzoniere, riconoscibili
Other Petrarchan Studies, Edizioni di Storia e letteratura, Roma 1951. Marco Santagata, I fram-
menti dell’anima. Storia e racconto del Canzoniere di Petrarca, Il Mulino, Bologna 20042 (prima
ed. 1992) da cui si cita, p. 152, distingue però fra ‘redazioni’ e ‘forme’, attribuendo la qualifica
di redazione solo alla Correggio e alla redazione finale di V e di ‘forma’ a tutte le altre. Per parte
976
in quanto tali. Wilkins, fons et origo di infinite direttrici di studio, ha supposto che
tali testi d’occasione possano aver avuto una circolazione autonoma, prendendo in
considerazione 72 manoscritti che presentano collezioni di rime petrarchesche in
cui non è ravvisabile una forma del Canzoniere propriamente detta, da tenersi co-
me generatesi forse da raccolte personali dovute ad alcuni dei primi destinatari di
quei componimenti.36 Per testare tale ipotesi, Wilkins ha fatto ricorso alla critica
del testo, utilizzando rvf cxxxii e cxxxiv, e ha così tracciato una strada che si sta
rivelando sempre più feconda e che vede al centro anche i testimoni di forma Chi-
gi, investigati con grande attenzione alla ricerca di tracce delle anteriori forme del
libro: sinopie del Canzoniere, secondo la felice intuizione di Giuseppe Frasso che,
con uno studio del 1997, ha dato forte impulso a questo campo di indagine e ha in-
trodotto per questo gruppo di manoscritti la definizione di «raccolte di tradizione
γ», sulla scorta della stessa denominazione in uso per le Familiares, a partire dagli
otto sui 72 isolati per primo da Wilkins.37
Il luogo in cui avrebbe dovuto manifestarsi la variante di rvf lii avrebbe dovuto
essere anzitutto il gruppo delle raccolte di tradizione γ, cui sarebbero appartenuti
a pieno titolo Fp, Pit, Sq e Reina, se fossero rimasti isolati: ma in esso il madrigale
lii compare raramente, e mai con la variante del v. 6.38
I manoscritti che abbiamo confrontato con i musicali sono invece saldamente
incatenati all’interno della tradizione chigiana del testo: è noto che il libro petrar-
chesco ha avuto una serie di redazioni in successione che hanno accompagnato
tutta la vita di Petrarca, a partire dalla primigenia silloge di ispirazione dafnea (se
mai è esistita in quanto libro di rime) fino agli estremi ripensamenti testimoniati
nell’autografo-idiografo Vaticano. Alcune di queste redazioni hanno una concreta
zoniere’, «Studi di Filologia Italiana», lv, 1997, pp. 23-64; a questo studio bisogna far seguire
Elena Strada, A proposito di sinopie petrarchesche, «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere
ed Arti, Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti», clvii, 1999, pp. 577-627.
38 Davide Checchi, I versi della musica: il problema dell’autorialità letteraria nel repertorio
dell’«Ars nova» italiana, in Musica e poesia nel Trecento italiano, pp. 19-43 prende in considera-
zione due testimoni di tradizione γ, il Parmense 1081 e il Laurenziano Pluteo xl.43, collazionan-
do anche lii, presente in entrambi e sostanzialmente affine a V.
977
attestazione – la prima delle quali, che segna un momento fondamentale nella dif-
fusione dei Fragmenta, è proprio la forma Chigi, elaborata dal poeta intorno al 1359-
1363; altre vivono solo nelle evoluzioni che è possibile registrare attraverso il Codice
degli abbozzi, o nello stesso V, o per congettura.39
Molti altri sono i testimoni ricondotti alla forma Chigi,40 per la struttura tutti
riferibili alla stessa redazione (anche se ricomprendono quasi tutti i componimenti
del Canzoniere, dopo un completamento intervenuto attingendo a forme posteriori,
come la Malatesta: l’unico a non presentare addenda è C), ma distinguibili in base
alla lezione dei testi e ad alcuni ordinamenti in ulteriori famiglie. Il primo a dar
conto di questa antica forma del Canzoniere è stato Arnaldo Foresti, seguito da al-
tri studiosi, tra cui spiccano lo stesso Wilkins, Domenico De Robertis, editore del
facsimile del Chigiano, e altri; dobbiamo tuttavia in particolare alla tesi di laurea
di un’allieva di De Robertis, Linda Seren, non solo la riconduzione nella famiglia
Chigi del codice magliabechiano M, ma anche la sistemazione dei manoscritti, già
abbozzata stemmaticamente da Foresti e De Robertis, in vari gruppi: la famiglia u
(Riccardiano 1100 e 1156; Panciatichiano 12; Trivulziano 1058); la famiglia x (C e
Trivulziano 1091); la famiglia r (Hamilton 495 e il suo descriptus Parmense 307); R3,
P2 e M a comporre il gruppo y (con il sottogruppo rappresentato da P2 + R3 = v).41
Petrarca chigiano, in Boccaccio autore e copista, catalogo della mostra, Firenze, Biblioteca Medicea
Laurenziana, 11 ottobre 2013 - 11 gennaio 2014, a cura di Teresa De Robertis et al., Mandragora,
Firenze 2013, pp. 261-265; Salvatore, Sondaggi; Seren Schoepflin, Francesco Petrarca, nonché,
con efficace sintesi e dovizia bibliografica, Simona Brambilla, Nove sonetti del Petrarca in Ar-
chivio Datini, «Studi petrarcheschi», n.s., xvii, 2004, pp. 81-110; ancor più sinteticamente, Ead.,
Il fondo petrarchesco della Biblioteca Trivulziana. Manoscritti ed edizioni a stampa, sec. xiv-xx, a
cura di Giancarlo Petrella, Vita e Pensiero, Milano 2006, pp. 38-46.
41 A giudicare da lii, anche R4, Lgd 2 e Lu potrebbero essere nel sottogruppo v. Mg 2 invece
978
Fuori dallo schema restano il Palatino 184 (forse il più vicino all’antigrafo) e il Ric-
cardiano 1050.
A questi testimoni è stato aggiunto più tardi un codice senza segnatura della
Biblioteca del Seminario Teologico di Gorizia,42 e poi i mss. Holkham Hall 519 e
Riccardiano 3043.43
Una nuova sistemazione dei rapporti fra i testimoni, rispetto a quella della Se-
ren, è stata data da Anna Bettarini Bruni,44 con tavole di comparazione di varianti
di tutta la tradizione chigiana; ma il già folto novero testimoniale è stato pressoché
raddoppiato da Tommaso Salvatore, con dodici nuovi manoscritti,45 per un totale
di 28, che sono stati di necessità riorganizzati.
Lo stemma rielaborato da Bettarini Bruni è bipartito: dal capostipite z deriverebbe
il gruppo γ, da cui a sua volta si originerebbero il ramo y e il gruppo β (suddiviso in
α, comprendente la famiglia x della Seren, il Riccardiano 1050 e il Palatino 184, oltre
a un ramo h composto dal Panciatichiano 12 e dal ms. di Holkham Hall), mentre
dall’altro lato resterebbe la famiglia r, cioè il solo codice Hamilton 495 e il suo descrip-
to. Salvatore (che, lo ricordo, opera sulla base degli ordinamenti e della composizione,
senza addentrarsi nella variantistica), partendo dallo stemma di Bettarini Bruni, sud-
divide la famiglia y nei sottogruppi k (Pr648, LSe1, Pt) e j (tutti gli altri, con ulteriori
sottoaggregazioni); la famiglia r è commutata in δ, bipartendosi e arricchendosi di un
nuovo testimone (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Nuove accessioni 341); il
Pluteo Laurenziano xc inf. 02 viene collocato accanto al Panciatichiano 12; il Palatino
parrebbe collocarsi più in alto di tutti gli altri testimoni nel ramo y, o essere frutto di contami-
nazione, ma bisogna verificare l’opera intera per potersi esprimere compiutamente.
42 Cfr. Strada, A proposito di sinopie, p. 597.
43 Cfr. Bettarini Bruni, Il Petrarca chigiano, p. 265.
44 A nna Bettarini Bruni, La copia del Fragmentorum liber con una nota su Donna me prega
col commento di Dino del Garbo all’interno di Ead. - Giancarlo Breschi - Giuliano Tantur-
li, Giovanni Boccaccio e la tradizione dei testi volgari, in Boccaccio Letterato, atti del convegno
internazionale, Firenze - Certaldo, 10-12 ottobre 2013, a cura di Michaelangiola Marchiaro e
Stefano Zamponi, Accademia della Crusca, Firenze 2015, pp. 9-104.
45 Oltre a quelli già collazionati per rvf lii, cioè quelli del ramo y oltre a C, sono da elencar-
si: I-Bca, A 341; I-Fl, Plut. XC inf. 02; I-Fl, Strozzi 171; I-Fl, Strozzi 172; I-Fn, Nuove accessioni
341; GB-Lbl, Additional 16564; F-Pn, Italien 1382; I-PAp, Palatino 307; I-Vnm, Italiano IX 539.
Cfr. Salvatore, Sondaggi, passim.
979
184 non è più irrelato, ma, con il codice di Parigi, il bolognese e i due strozziani, viene
a costituire un gruppo denominato p (espressione di α); fuori dallo stemma rimango-
no il codice di Londra e il marciano, per i quali bisognerà attendere lo studio ecdoti-
co. Il manoscritto della Biblioteca del Seminario teologico di Gorizia resta anch’esso
non classificato in attesa di ulteriori studi.
A partire da Frasso, la riflessione si è incentrata su una possibile forma pre-chi-
giana (quindi ultronea rispetto allo schema presentato), individuata specialmente
nel ms. ii iv 115 della Biblioteca Nazionale di Firenze, e posta in relazione con la
famiglia chigiana u, poiché si è evidenziato che questo ramo della forma Chigi reca
tracce di una tradizione anteriore in alcuni testi: gli early texts ricercati da Wilkins
nelle raccolte di tradizione γ. Come si può notare però, Bettarini Bruni, e sulla scor-
ta delle sue conclusioni Salvatore, non comprendono nella tradizione chigiana tre
codici della famiglia u della Seren, allegati piuttosto alle raccolte di tradizione γ: si
tratta degli antologici mss. Riccardiani 1100 e 1156 e del Trivulziano 1058.46
La chigiana è comunque una tradizione del testo importante, che in alcuni casi,
per quanto riferita a uno stato precedente rispetto a quello testimoniato in V, cor-
regge errori sfuggiti a Malpaghini o al poeta addirittura e conserva residui signifi-
cativi delle precedenti evoluzioni del libro di rime. Potrebbe perciò la variante dei
codici musicali venire rafforzata quale variante d’autore e versione originaria del
madrigale proprio perché testimoniata in questa tradizione?
Nella visione della Seren, e in quella anteriore di De Robertis, la tradizione
chigiana sarebbe stata originata da un archetipo in cui il testo «non rappresenta
una redazione diversa da quella definitiva, se non per la composizione e l’ordina-
mento. Dal punto di vista della lezione, il testo è già quello definitivo»:47 opinione,
quest’ultima, che mi sembra essere messa in discussione dagli ultimi sviluppi della
ricerca intorno alle raccolte di tradizione γ e i rapporti con il gruppo u. Secondo
Bettarini Bruni, infatti:
980
che la variante del v. 6 non possa emergere in altri rami della tradizione chigiana, magari per
contaminazione.
51 Petrarca nel tempo. Tradizione, lettori e immagini delle opere, catalogo della mostra, Arez-
zo, Sottochiesa di San Francesco, 22 novembre 2003 - 27 gennaio 2004, a cura di Michele Feo,
Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 2003, p. 44.
981
***
52 Èquesta la tesi di Panti, Il madrigale, pp. 54-55, che ha sposato l’ipotesi della Paolino.
53 Si
tenga in considerazione la grande attenzione per il testo poetico visibile in Fp rispetto
ad altri manoscritti dell’Ars nova italiana, ad esempio con la scrittura dei puncti subscripti per
segnalare l’elisione. Non si può escludere che alcune delle mani di Fp, mani abituate alla scrit-
tura, di copisti non occasionali, possano aver esemplato anche manoscritti non musicali, raccolte
poetiche, e che il copista in questione possa aver modificato, a memoria, il testo del madrigale,
982
Tutto ciò allontana l’ipotesi che Jacopo e Petrarca abbiano collaborato per la
redazione del madrigale.
Nel mio lavoro del 2004 mi sono mostrato lungimirante nel dubitare dell’auto-
rialità della variante del testo del madrigale di Jacopo, ma ho peccato nell’afferma-
re di non avere comunque dubbi «che – anche a prescindere dal riconoscimento
di varianti d’autore nella lezione tràdita con musica – Non al suo amante» fosse
«nato per e con la diretta collaborazione di Jacopo da Bologna, non necessariamen-
te nell’ambito della corte viscontea o scaligera», «con ogni probabilità come rima
d’occasione».54
Oggi devo dire piuttosto che l’intonazione fatta da Jacopo non solo non appare
significativa circa la diffusione anticipata di singoli componimenti dei rvf, ma an-
che circa i rapporti – a questo punto inesistenti o quantomeno non accertabili –, fra
Petrarca e i compositori dell’Ars nova italiana.
Al momento le uniche relazioni presumibili di Petrarca con musicisti – o meglio,
con soggetti che praticavano con ogni probabilità anche la musica –, che implichino
un qualche scambio poetico,55 sono quelle con lo stuolo di questuanti di cui alla
celebre Sen., v 2, ovvero gli «homines non magni ingenii, magnae vero memoriae
magnaeque diligentiae, sed maioris audaciae», i quali «vestiti carminibus alienis»,
«pecunias quaerunt et vestes et munera». A questo gruppo devono essere associati
probabilmente i vari Confortino e compagnia – non a caso figure spesso contrad-
distinte da soprannomi e diminutivi – da considerarsi propriamente giullari,56 che
da cui il parziale recupero di lezioni corrette. Bisogna sottolineare come Fp diverga da tutti gli
altri manoscritti musicali nel sistema notazionale per il pezzo in oggetto, utilizzando la cosid-
detta ‘notazione alla longa’; ciò non toglie che, essendo la notazione alla longa una possibile
innovazione poligenetica di copista, Fp e Reina abbiano un comune subarchetipo, come è reso
evidente dal testo letterario. Si veda in Gozzi, Il legame, una collazione completa della musica e
il rinvio alle altre edizioni musicali.
54 Campagnolo, Petrarca, p. 34.
55 È accertata la conoscenza e la frequentazione di grandi musicisti, come Philippe de Vitry,
e musici professionisti come lo stesso Ludwig van Kempen, ma senza che alla specializzazione
musicale di questi amici e corrispondenti sia dedicato qualcosa più che un accenno (per le que-
stioni inerenti e gli altri musicisti che emergono dalla biografia di Petrarca cfr. Campagnolo,
Petrarca).
56 Tra i quali ricomprendere senz’altro Tommaso Bambasio/Bambasi o Bombasi, come
983
Negli anni bolognesi di Petrarca (ovvero in una fase in cui il madrigale era si-
curamente già esistente, ma di cui non abbiamo attestazioni) potrà esservi stato al
più un apprendistato poetico comprendente anche le forme della poesia per musica,
ma non è credibile che i quattro madrigali dei rvf risalgano a quell’epoca, né si può
pensare che siano avignonesi, cioè avulsi dal contesto sociale in cui propriamente
il madrigale poteva trovare udienza. Bisogna pensare dunque che la stagione di in-
teresse e pratica del madrigale ‘polifonico’ per il Petrarca corrisponda agli anni che
partono dai primi viaggi italiani, e con ancor maggiori possibilità dal primo sog-
giorno parmense (1341), ovverosia all’appressarsi di quelle aree proprie dell’uso e
diffusione del protomadrigale – e non ecceda, come detto, i primi anni ’50, potendo
rappresentare un termine appropriato il ritorno a Valchiusa del 1351.58
984
rarsi fra i testi ‘archetipici’ del Canzoniere, mantenendo per unanime opinione un
rapporto di primogenitura nei confronti degli altri tre; esso appare quindi databile
alla fase più antica di evoluzione del genere ‘madrigale’ – genere, anzi, di cui si
pone a capostipite per parecchi aspetti. La composizione del madrigale dovrebbe
pertanto essere collocata molto da presso alla Canzone delle Metamorfosi (xxiii),
tanti e stretti sono i legami fra i due testi.60 In alcuni casi tale legame si palesa
anche nell’ordinamento nei codici: nel ms. Laurenziano Acquisti e Doni 831, che
De Robertis ha individuato come possibile testimone di tradizione pre-chigiana61
e che raggruppa i componimenti espungendo le canzoni, è proprio rvf lii a oc-
cupare il posto di xxiii; nel ramo p del gruppo α della chigiana, invece, lii segue
immediatamente xxiii.
Come la canzone xxiii è la prima canzone dei rvf, il madrigale lii, a essa indis-
solubilmente intrecciato, è il primo madrigale, Non al suo amante è connesso altret-
tanto saldamente anche con la prima ballata del Canzoniere, Lassare il velo o per
sole o per ombra sia direttamente, per relazione tematica (la ballata del velo, unica
anticipazione rispetto a rvf lii), sia indirettamente, tramite cioè la canzone xxiii.
Ballata, canzone e madrigale rappresentano così uno dei tanti raggruppamenti in-
dividuabili che conferiscono unitarietà ai Fragmenta.
Diversamente da quanto affermavo, e cioè che non avesse «senso concepire ma-
drigali che non venissero musicati»,62 credo oggi invece sciolto ogni legame diretto
con Jacopo da Bologna. Il complesso rapporto che Petrarca intrattenne con le for-
me metriche e la libertà con cui vi si accostò consente infatti di pensare che possa
aver concepito i suoi madrigali in senso puramente letterario – primo, forse, anche
nel percorrere questa strada –, con l’intento di elevare il nuovo metro, affranca-
to dalla musica, al livello delle forme auliche già meritevoli di inclusione nel suo
Canzoniere.
Per quanto riguarda la datazione del madrigale musicale, è evidente a questo
punto che la data di composizione debba essere posticipata di almeno una quin-
dicina d’anni, poiché essa deve necessariamente essere posteriore alla redazione
60 Cfr.
Santagata, Per moderne carte, p. 169.
61 Domenico De Robertis, Di una possibile pre-forma petrarchesca, «Studi di Filologia Ita-
liana», lix, 2001, pp. 89-116.
62 Campagnolo, Petrarca, p. 34.
985
chigiana (1359-1363) e alla sua prima diffusione; occorrerà dunque pensare a una
data non antecedente al 1365. Dato lo stato del testo, non è azzardato pensare che la
composizione possa tuttavia essere spostata ancora più avanti, verso la fine degli anni
’60.63 L’intonazione di Non al suo amante così ricollocata cronologicamente dovreb-
be ben coniugarsi con composizioni considerate più tarde, quali il madrigale a due
voci Fenice fu’ e vissi pura e morbida, con cui condivide notevoli affinità compositive.
Il madrigale dovette avere una discreta notorietà, come si deduce dal notevole
numero di attestazioni, dalle citazioni intertestuali che ne derivarono e dalla perdu-
rante memoria della composizione. È noto infatti che a inizio Quattrocento Simone
Prudenzani ebbe a dire che questo madrigale fosse ancora «molto buono» «benché
[…] antico».64 La qualifica di «antico» non si oppone alla nuova datazione: intorno
al 1415 antico lo sarebbe stato comunque, sia fosse stato composto nel 1350, sia nei
tardi anni ’60.
Lo spostamento cronologico allunga significativamente l’ambito di attività di
Jacopo, in effetti considerato il più giovane fra i tre maestri della prima Ars nova –
Piero, Giovanni e Jacopo – sulla base del riscontro iconografico di alcuni codici.65
Le notizie biografiche su Jacopo da Bologna sono limitate all’accenno che gli dedica
63 Acquisita la nuova datazione ne deriva che alcuni manoscritti che recano il testo abbiano
datazioni più basse di quelle talvolta proposte, come è il caso delle due carte di guardia per-
gamenacee accluse a un incunabolo perugino (cfr. Frammenti musicali del Trecento, datati dai
curatori fra il 1349 e il 1354: ma sulla postdatazione al 1390 circa di questo frammento si era già
espresso convincentemente Oliver Huck nella recensione in «Plainsong and Medieval Music»,
xv/1, 2006, pp. 77-81), mentre altri manoscritti, di converso, vedono accresciuta la possibilità che
abbiano datazioni alte, come il codice Vat. Rossi 215, proprio in virtù dell’assenza della compo-
sizione di Jacopo da Bologna.
64 Santorre Debenedetti, Il “Sollazzo”. Contributi alla storia della novella, della poesia mu-
in einer Bologneser-Handschrift des 14. Jahrhunderts?, «Musica Disciplina», xxvii, 1973, pp. 61-
64. Anche il ritratto che compare nello Squarcialupi lo illustra apparentemente giovane, con una
folta chioma bionda, mentre il cappello da magister e il libro posto fra le sue braccia forse ne sot-
tolineano la maestria nell’arte, testimoniata anche dall’esistenza di un trattato teorico in lingua
volgare a lui attribuito (L’arte del biscanto mensurato: cfr. Pier Paolo Scattolin, I trattati teorici
di Jacopo da Bologna e Paolo da Firenze, «Quadrivium», xv, 1974, pp. 7-79).
986
Filippo Villani nel suo Liber de origine civitatis Florentie,66 e a quanto si può ricava-
re dalle sue composizioni, dai testi di dedica o riferibili con certezza a determinati
eventi storici.67 Così, sappiamo che Jacopo fu presso i Visconti almeno a far data
dal 1346 e probabilmente fino alla morte di Luchino (†1349), quando forse si spostò
a Verona, dove Villani lo vuole alla corte scaligera di Mastino ii (†1351) insieme a
Giovanni da Cascia (e forse Magister Piero), con cui fu in tenzone artistica. Dopo
questa data non vi è più nessuna notizia certa: altre composizioni (Soto l’imperio
del posente prince; Aquila altera/Uccel di Dio/Creatura gentil; Fenice fu’ e vissi pura
e morbida) forniscono indizi variamente interpretati che potrebbero far ipotizzare
un ritorno di Jacopo a Milano fin verso il 1360. Un «Jacopo da Bologna» compare
quindi nel 1373 nei registri dei laudesi di Orsanmichele a Firenze, mentre è segna-
lata l’esistenza di un «Jacobo» (o «Jaquet») «de Bolunga» presso la corte Aragonese
in Spagna dal 1378 al 1386 – tutte possibilità compatibili con la proposta postdata-
zione di Non al suo amante.
Fra le composizioni sopraccitate, il madrigale politestuale a tre voci Aquila altera
è concordemente considerato un testo allegorico e celebrativo, ed è quello che ha
suscitato maggior dibattito e controverse letture, facendo supporre che possa essere
stato scritto per diversi avvenimenti o personaggi.68
66 Filippo Villani, De origine civitatis Florentie et de eiusdem famosis civibus, ed. Giuliano
Tanturli, Antenore, Padova 1997, p. 408.
67 Per tutte le notizie biografiche su Jacopo rinvio a Giuliano di Bacco, Jacopo da Bologna,
in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 62, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2004, ad
vocem.
68 Riassumendo le posizioni dei molti che ne hanno trattato, possiamo così sintetizzare: il
testo potrebbe essere nato per celebrare l’incoronazione a Milano di Carlo iv di Lussemburgo
nel 1354-1355, più probabilmente, o per la sua seconda venuta del 1369 (Giosuè Carducci, Kurt
von Fischer, Nino Pirrotta e molti altri); oppure per il matrimonio, sempre a Milano, di Gian
Galeazzo Visconti con Isabella di Valois nel 1360 (Geneviève Thibault, Pedro Memelsdorff, Oli-
ver Huck, Sarah Carleton); in omaggio a Giovanni Visconti (Elena Abramov-van Rijk). Un buon
sunto delle diverse posizioni e i rinvii bibliografici completi si possono trovare in Elena Abra-
mov-van R ijk, The Madrigal Aquil’altera by Jacopo Da Bologna and Intertextual Relationships in
the Musical Repertory of the Italian Trecento, «Early Music History», xxviii, 2009, pp. 1-37, da
integrare con Maria Caraci Vela, Per una nuova lettura del madrigale Aquila altera / Creatura
gentile / Uccel di Dio di Jacopo da Bologna, «Philomusica on-line», xiii, 2014, http://philomusica.
unipv.it.
987
Restringendo ulteriormente il cerchio intorno alla fine degli anni ’60 e al circolo
di intellettuali collocabili nelle vicinanze di Boccaccio:
La datazione più probabile è quella della seconda venuta di Carlo iv, nel 1369,
quando Jacopo si trovava probabilmente a Firenze, e non negli anni milanesi e nella
sfera del pensiero di Petrarca: nei tre testi poetici del madrigale, infatti, un culto di
Dante tanto profondo e una idealizzazione tanto rigorosa del suo pensiero politico
ci indirizzano fortemente verso Boccaccio, il cui appassionato interesse per l’opera
dantesca si coniugava con la riflessione politica e l’attenzione ai grandi accadimenti
in ambito italiano ed europeo. Nel periodo tra 1357 e 1362 si colloca la composizio-
ne del Trattatello in laude di Dante, ma l’intensa attività di esegesi, conservazione,
promozione privata e pubblica dell’opera dantesca è una costante della maturità di
Boccaccio. Al 1369 risale, del resto, una delle visite di Boccaccio a Petrarca. […] Una
988
indagine in questa direzione – che possa magari far luce su altre personalità attorno
a Boccaccio, in sintonia col suo pensiero e i suoi interessi culturali più forti – potreb-
be forse dirci qualcosa di più sull’ambiente, gli orientamenti, le idee che produssero
il progetto poetico e musicale di Aquila altera/Creatura gentile/Uccel di Dio.71
Anche le osservazioni che abbiamo accumulato per rvf lii ci conducono negli stessi
paraggi e nello stesso torno d’anni: è risaputo come l’antigrafo utilizzato da Boccaccio
per realizzare C contenesse già un certo numero di errori e non provenisse dalle mani
stesse del poeta,72 a riprova di come esattamente in quelle stesse cerchie circolassero le
prime copie della redazione chigiana dei rvf, circoli in cui presumibilmente si originò
il capostipite y da cui derivò la tradizione musicale,73 oltre ai manoscritti superstiti
di questo ramo della tradizione, toscani per la maggior parte se non fiorentini,74
come lo sono quasi tutti i codici musicali (Fp, Pit, Sq, il palinsesto di San Lorenzo).
La presenza a Firenze di Jacopo da Bologna si accorderebbe perfettamente con
la nascita di Non al suo amante quale segno precoce della fortuna del Canzoniere;
sarebbero ancor più spiegabili e consueti i legami intertestuali con le composizioni
dei due massimi compositori fiorentini: Francesco Landini (Non a Narcisso fu più
amar lo spechio) e Paolo da Firenze (Non più ’nfelice a le suo membra nacque); quasi
ovvia sarebbe, in accordo con la testimonianza che vuole Jacopo coi laudesi di Or-
sanmichele nel 1373, l’esistenza di Per verità portare al mondo nacque, lauda cantasi
come il madrigale petrarchesco.75
71 C araci Vela, Per una nuova lettura, p. 50. Caraci Vela non chiude ad altre ipotesi, ma
espone quella dell’origine fiorentina come la più probabile.
72 «Il testo si colloca ai piani più bassi di una tradizione la quale si è diffusa velocemente e
con pari rapidità guastata»: Bettarini Bruni, La copia del Fragmentorum liber, p. 71.
73 Non c’è una totale identificazione con il testo del ramo y, poiché il testo musicato riporta
ricordare, inoltre, che ben tre testimoni di forma Chigi (R3, M e LSe1) si devono a una stessa
mano, che ricorre a due diversi antigrafi, attiva nella trasmissione dei codici relativi al Certame
coronario (allo stesso copista sono attribuiti i Riccardiani 1041 e 1142, oltre al fiorentino Naz. ii
ix 95), cui Tanturli ha dedicato un articolo monografico (Tanturli, Un appassionato copista).
75 Variamente intitolata Per verità portare / Per sua benignitate / Per noi ricompensare - al mon-
do nacque. Su questa lauda e la presenza di Jacopo a Firenze voglio citare Blake McD. Wilson,
Madrigal, Lauda, and Local Style in Trecento Florence, «The Journal of Musicology», xv/2, 1997,
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In conclusione, l’indagine «che possa magari far luce su altre personalità attorno a
Boccaccio, in sintonia col suo pensiero e i suoi interessi culturali più forti» auspicata
da Caraci Vela, non potrebbe ignorare le istanze che hanno portato Jacopo a estrarre
dalla formata raccolta petrarchesca appena pubblicata una delle più splendide minia-
ture, in un ambiente dove con estrema naturalezza Boccaccio stesso non si sottraeva
al rapporto diretto con la pratica polifonica e dove troveremmo ricongiunti, col dan-
tismo di Aquila altera e il Petrarca autografo di Non al suo amante, i due amati riferi-
menti del Certaldese, non a caso simbolicamente assieme esemplati in C.
pp. 137-177: 155-156: «that Jacopo the polyphonist would be drawn, as a musician, to Orsanmi-
chele should not be surprising, given the Company’s prominent role in the musical life of the city.
And it would seem more surprising if Jacopo had never come to Florence; the northern courts that
had once sustained his career declined during the second half of the century as centers of artistic
patronage, and the peripatetic Jacopo would have been drawn to a city that possessed the size and
wealth to withstand the mid-century devastations of the Black Death and become the leading mu-
sical center of the peninsula. Perhaps he was enroute to a position at the Aragonese court in Spain,
where a “Jacobo de Bolunga” was recorded between 1378 and 1386. Those aspects of repertory
and style that link Jacopo to Florence and Florentine musicians are not in themselves proof of
his presence in Florence, but his influence upon composers in Florence like Donato, Niccolò del
Proposto, and particularly Landini (who was assimilating the older trecento style at this time), his
connection to Giovanni, the derivation of “the overall design of his works from Florentine exam-
ples”, [Nino Pirrotta, Novelty and Renewal in Italy, 1300-1600, in Music and Culture in Italy from
the Middle Ages to the Baroque: a Collection of Essays, Harvard University Press, Cambridge (Mass.)
1984, p. 162] and the strong presence of his works in a Florentine manuscript tradition that other-
wise showed almost exclusive favor to its resident composers all contribute to the likelihood of a
Florentine visit at some point. A tendency to view Jacopo within a Florentine tradition is evident
in a passage from Filippo Villani’s Liber de origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis civi-
bus (1385/97), where in the midst of a eulogy of Florentine musicians Jacopo’s expertise received
special attention. Perhaps the most compelling circumstantial evidence for Jacopo’s presence in
Florence, and at Orsanmichele in particular, is his link to the lauda tradition. His anomalous
lauda-ballata, “Nel mio parlar,” is preserved only in FP, and its exclusion from all but this oldest
of Florentine anthologies suggests that its transmission was a more local and specialized affair in
comparison to the body of his secular polyphony. The unusual transmission of this work in both
a two- and three-part version in the same source may also reflect the experimental nature of poly-
phonic practice at Orsanmichele at this time. Jacopo was also the only non-Florentine whose music
was subjected to the strictly local practice of lauda contrafacta; his music for Petrarch’s “Non al suo
amante” was adapted to the lauda text “Per sua benignitate”».
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