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Armonie e disciplina

Spazio e musica sacra tra dimensione religiosa


e profana
di Giuseppe Rivetti

Sommario: 1. Arte musicale, liturgia (mysterium) e rapporti funzionali con gli edifici di culto. – 2. Le
caratteristiche costitutive della musica sacra: dimensione religiosa e profana. Magistero pontificio ed
ecclesiologia conciliare. – 3. Il rapporto tra Chiesa ed arte, nella forma strumentale di «dialogo con i
lontani». Le nuove espressioni della modernità. – 4. Musica sacra e Vaticano II: dai nuovi linguaggi
alla crisi attuale. Prospettive. – 5. L’esecuzione di concerti nelle chiese: disposizioni regolamentari
tra disciplina civile e canonica.

1. Arte musicale, liturgia (mysterium) e rapporti funzionali con gli edifici


di culto

I rapporti tra edifici di culto e musica sacra sottendono complesse e


più ampie interrelazioni tra spazio sacro ed attività cultuali. L’esecuzione
musicale negli edifici sacri assume, infatti, la forma di una vera e propria
attività di culto, quando viene posta al servizio della liturgia.
Con la riforma liturgica, avviata dal Vaticano II, si attribuisce alla
musica sacra un preciso valore cultuale1; essa si configura come parte
integrante della liturgia2, dove mistero e ministero si confondono. Sul
piano funzionale riveste l’essenza e la forma di una azione liturgica,
entrando, a pieno titolo, nella simbologia sacramentale. Si trasfonde

1
Cfr. Concilio Vaticano ii, cost. sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, 4
dicembre 1963,112: AAS 56 (1964), pp. 106-107. Per i riferimenti antecedenti il Vaticano
II, di fondamentale importanza, Pio x, motu proprio Tra le sollecitudini, 22 novembre
1903, Acta Sanctae Sedis 36 I (1904), 387 – versione latina, Inter plurimas pastoralis
officii sollicitudines, con il quale intendeva realizzare un vero e proprio codice giuridico
della musica sacra. Inoltre, Pio xi, motu proprio Ad musicae sacrae restitutionem, 22
novembre 1922: AAS 14 (1922), pp. 623-626; Id., costituzione apostolica Divini Cultus,
20 dicembre 1928: AAS 21(1929), p. 33; Pio xii, con le encicliche Mediator Dei, 20
novembre 1947, AAS 39 (1947), pp. 521-594 e Musicae sacrae disciplina, 25 dicembre
1955: AAS 48 (1956), pp. 5-25. V., ancora, S. Congregazione dei riti, Istruzione sulla
musica sacra e la sacra liturgia, 3 settembre 1958, 4: AAS 50 (1958), p. 633.
2
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 112.

QUADERNI DI DIRITTO E POLITICA ECCLESIASTICA / n. 1, aprile 2010


130 giuseppe rivetti

al punto da diventare un vero e proprio «luogo teologico»3, alla stessa


stregua delle molteplici manifestazioni dell’arte sacra4. La musica, quindi,
come dimensione ontologica al servizio del culto e al culto subordinata5,
con gradazioni e sfumature diverse nel tempo.
La progressione semantica (e non solo) appare evidente: Pio X, la
considera «umile ancella della liturgia»6; Pio XI, traendo la definizione
dalle arti ed in continuità, la qualifica «ancella al culto divino»7; Pio
XII, la definisce «ancella della sacra liturgia»8. Infine, con il Vaticano
II9, si realizza la «metamorfosi di una ancella», poiché assume una chiara
funzione ecclesiale, diventa parte necessaria della liturgia solenne, con
un esplicito compito ministeriale al servizio divino (munus ministeriale
in dominico servitio)10.
Alla stessa stregua gli edifici di culto possono essere considerati «ar-
chitettura per la liturgia», per la loro naturale capacità di adeguarsi alle
esigenze liturgiche, cui sono legati in forma permanente e costitutiva;
si tratta, infatti, di luoghi creati con un preciso vincolo funzionale e di
destinazione, per questo lo spazio sacro si colloca al servizio delle azioni
liturgiche11.

3
Cfr. Giovanni Paolo ii, Lettera agli artisti, 4 aprile 1999, 11: AAS 91 (1999), p.
1168. Non sorprende l’affermazione di P. Marie Dominique Chenu, secondo il quale
lo stesso storico della teologia farebbe opera incompleta, se non riservasse la dovuta
attenzione alle realizzazioni artistiche che costituiscono, a loro modo, non soltanto delle
illustrazioni estetiche ma dei veri «luoghi teologici».
4
Cfr. Concilio Vaticano ii, cost. past. sulla Chiesa nel mondo Gaudium et Spes, 7
dicembre 1965, 62: AAS 58 (1966), pp. 1046-1047. Il riferimento originario, Paolo vi,
Messaggio agli artisti, 8 dicembre 1965: AAS 58 (1966), p. 13, in occasione della chiusura
del Concilio. Peraltro, il pontefice aveva, già in precedenza, dimostrato grande interesse
per la musica, con il chirografo Nobile subsidium liturgiae, 22 novembre 1963: AAS 56
(1964), pp. 231-234, che aveva determinato, tra l’altro, la fondazione della Consociatio
internationalis musicae sacrae.
5
Cfr. Paolo vi, Discorso ai partecipanti all’assemblea generale dell’associazione italiana
Santa Cecilia, 18 settembre 1968: Insegnamenti VI (1968), p. 479. Di recente, Benedetto
xvi, Incontro con gli artisti, svolto nella Cappella Sistina, 21 novembre 2009; nella
circostanza ha parlato di «linguaggio universale della musica posto al servizio della liturgia».
6
Cfr. Pio x, Tra le sollecitudini, cit., 23, condannava «come abuso gravissimo, che
nelle funzioni ecclesiastiche la liturgia appaia secondaria e quasi al servizio della musica,
mentre la musica è semplicemente parte della liturgia».
7
Cfr. Pio XI, Divini Cultus, cit., 4, in occasione dei venticinque anni del motu proprio
di Pio X, non apporta modifiche significative e, quindi, istituzionalizza le precedenti
impostazioni giuridiche (Tra le sollecitudini).
8
Cfr. Pio XII, Musicae Sacrae Disciplina, cit., II, nel cinquantenario della pubblicazione
del motu proprio Tra le sollecitudini, apporta ampliamenti e qualche correzione ma non
invalida le disposizioni di Pio X.
9
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 112-121.
10
Ivi, 112.
11
Cfr. Commissione Episcopale per la Liturgia, L’adeguamento delle chiese secondo
la riforma liturgica, 31 maggio 1996, in ECEI 6/187-310. Di rilievo la precisazione (sub
Armonie e disciplina 131

Nell’ambito di una azione comune, quindi, l’architettura disegna


lo spazio ecclesiale, mentre la musica arricchisce e completa la liturgia,
favorendo la contemplazione del mistero, in una prospettiva tanto più
ampia e suggestiva al «servizio del culto divino»12.

2. Le caratteristiche costitutive della musica sacra: dimensione profana e


religiosa. Magistero pontificio ed ecclesiologia conciliare

Nell’ultimo quarantennio, dopo secoli di immobilismo rituale e di


cristallizzazione delle forme musicali, si sono manifestati notevoli mu-
tamenti e, come accade in ogni periodo di transizione, ciò ha provocato
squilibri, confusioni e reali perplessità sulla delicata relazione tra vetera et
nova13. In questo (incerto) contesto «non indistintamente tutto ciò che sta
fuori del tempio (profanum) è atto a superarne la soglia»14; l’affermazione,

nota 1) che non appare significativa solo sul piano semantico: il termine «adeguamento»
liturgico è stato scelto a preferenza di altri (come «adattamento», «aggiornamento»,
«ristrutturazione»). Le basi della riforma liturgica, va ricordato, sono state poste con la
costituzione Sacrosanctum Concilium, cit., 122-130. Successivamente, per una concreta
attuazione sono stati emanati diversi documenti: Inter Oecumenici, istruzione per la retta
applicazione della costituzione sulla sacra liturgia, 26 settembre 1964, 90-99: AAS 56
(1964), p. 897; Eucharisticum Mysterium, istruzione sul culto del Mistero eucaristico, 25
maggio 1967, 24: AAS 59 (1967), p. 539; Musicam Sacram, istruzione sulla musica nella
sacra liturgia, 5 marzo 1967, 23: AAS 59 (1967), pp. 307-318; Liturgiae Instaurationes,
istruzione per la retta applicazione della costituzione sulla sacra liturgia, 5 settembre
1970, 70: AAS 62 (1970), p. 692; Principi e Norme del Messale Romano (1974), 13, in EV,
3/2017-2414; La liturgia romana e l’inculturazione, IV istruzione per la retta applicazione
della costituzione sulla sacra liturgia, 25 gennaio 1994, 37-40: AAS 87 (1995), p. 302;
Il rinnovamento liturgico in Italia, C.E.I. a venti anni dalla costituzione Sacrosanctum
Concilium, 23 settembre 1983, in ECEI 3/1523-1548; Liturgiam authenticam, istruzione
28 marzo 2001, 108: AAS 93 (2001), p. 719. Con riferimento alla normativa canonica
v. cann. 858; 934-940; 964; 1214-1222; 1235-1239. Inoltre, Caerimoniale Episcoporum,
Romae 1984, nn. 42-54; 864-878; 918-932, in EV, 9/1032-1033.
12
Problematica insita nella natura stessa dell’uomo e, pertanto, ricorrente nella
storia delle varie esperienze religiose-culturali, soprattutto di quella cristiana, in tal senso
Paolo VI, Discorso..., cit., 479, richiama Sant’Agostino (cfr. De Musica; Conf. 9, 6; 10,
33; Ep. 166, 5, 13; Retract. 1, 11) e San Tommaso, per citare soltanto due maestri che
non rimasero insensibili (cfr. IIª, IIæ, q. 91, art. 2).
13
Cfr. Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Atti della
giornata commemorativa del XL della «Sacrosanctum Concilium», Roma, 4 dicembre 2003,
3; AA.VV, «Fidei canora confessio». La musica liturgica a 40 anni dalla Sacrosanctun
Concilium, Atti del 5° convegno nazionale di musica per la liturgia, Palermo 20-23 ottobre
2003, in «Not. C.E.I.» 4 giugno, pp. 2004, 28 ss. (D. Sabaino).
14
Cfr. Paolo VI, Discorso..., cit., p. 479. Commentando un decreto del Concilio di
Trento afferma che se non possiede ad un tempo il senso della preghiera, della dignità e
della bellezza, la musica – strumentale e vocale – si preclude l’ingresso nella sfera del sacro
e del religioso [...] nel decreto disciplinare «De observandis et evitandis in celebratione
missae», proibisce ogni genere di musica «ubi sive organo sive cantu lascivum aut impurum
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oggi, è ancor più attuale, considerato che la categoria della musica sacra
risulta caratterizzata da un generalizzato ampliamento di significato15, con
il rischio di incidenze negative sul corretto rapporto con la liturgia16.
Difatti, tra le espressioni artistiche, la musica è (diventata) quella
sicuramente più vicina al culto divino, in quanto, a differenza delle altre
arti che, di regola, tendono a preparare una degna sede ai riti divini,
essa è direttamente funzionale allo svolgimento delle cerimonie e dei
riti sacri 17.
Ne consegue l’opportunità di delineare le caratteristiche distintive
della musica sacra, anche in relazione alle differenze con quella religiosa,
trattandosi di categorie utilizzate, molto spesso, in modo ambivalente ma
che rimandano a significati oggettivamente differenti.
Per musica sacra si intende l’interpretazione musicale dei riti e delle
preghiere del culto cattolico, composta per la celebrazione del culto
divino, dotata di santità e bontà delle forme. In particolare, secondo
l’istruzione Musicam Sacram, è possibile annoverare: «il canto gregoria-
no, la polifonia sacra antica e moderna nei suoi diversi generi, la musica
sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi nella liturgia,
il canto popolare sacro cioè liturgico e religioso» (v. infra)18.
La musica religiosa è, invece, la libera interpretazione del sentimento
religioso individuale o collettivo; pur non rispondendo allo spirito ed alle
esigenze del culto cattolico, può esprimere, musicalmente, sentimenti
autenticamente religiosi. Tali sono gli oratorii, le cantate, le sinfonie sacre
o le passioni. Così la Messa in si minore di Bach è opera profondamente

aliquid misceatur?». Per questo motivo il profilo musicale delle celebrazioni liturgiche non
può essere lasciato né all’improvvisazione, né all’arbitrio dei singoli, ma affidato a scelte
rispettose delle norme e delle competenze,Giovanni Paolo ii, chirografo sulla musica
sacra Mosso dal vivo desiderio, 22 novembre 2003, per il centenario del motu proprio di
Pio X, Tra la sollecitudini, 1, 4: AAS 96 (2004), pp. 256-265. Benedetto xvi, Messaggio
ai partecipanti alla giornata di studio promossa dalla Congregazione per il culto divino
e la disciplina dei sacramenti sul tema «Musica sacra: una sfida liturgica e pastorale» (1
dicembre 2005), segnala l’importanza di stimolare la riflessione e il confronto sul rapporto
tra musica e liturgia, sempre vigilando sulla prassi e sulle sperimentazioni.
15
Cfr. Giovanni Paolo ii, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, 50:
AAS 95 (2003), p. 467, nella quale afferma: non tutte le forme musicali sono capaci «di
esprimere adeguatamente il mistero».
16
Cfr. supra, § 1.
17
Cfr. Giovanni Paolo ii, Mosso dal vivo desiderio, cit., 4. In proposito ricorda che già
la riforma operata da Pio X, mirava a purificare la musica di Chiesa dalla contaminazione
della musica profana teatrale che, in molti Paesi, aveva inquinato il repertorio e la prassi
musicale liturgica; Pio x, Tra le sollecitudini, cit., prima parte, parla di «funesto influsso
che sull’arte sacra esercita l’arte profana e teatrale».
18
Cfr. Musicam Sacram, cit., 4. In proposito, v. infra, § 4 .
Armonie e disciplina 133

religiosa, ma non liturgica (sacra); come pure le Messe di Beethoven o


quella da Requiem di Verdi19.
In ogni caso, al fine di evitare possibili confusioni tra le due categorie,
sono state delineate qualità proprie (e non per differenza) che potremmo
definire costitutive della musica sacra.
Punto di partenza, il motu proprio di Pio X, Tra le sollecitudini (1903),
con il quale vengono individuate le caratteristiche essenziali nelle tre
categorie della santità, della bontà delle forme e della universalità20. Nel
documento pontificio la santità viene qualificata in antitesi al secolare, per
cui la musica deve escludere ogni profanità non solo dal proprio interno,
ma anche nel modo come viene proposta dagli esecutori21. Le forme,
quindi, dovranno essere in armonia con il contesto sacramentale; quanto
più saranno adeguate, tanto più l’arte sarà vera «non essendo possibile che
altrimenti abbia sull’animo di chi l’ascolta, quella efficacia che la Chiesa
intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni»22.
A completamento, per usare le parole di Pio X: «sorge spontaneo
l’altro suo carattere», l’universalità; vale a dire, pur ammettendo nelle
composizioni ecclesiali possibili forme particolari nazionali, «queste devo-
no essere subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno
di altra nazione all’udirle debba provarne impressione non buona»23.
Papa Sarto svolge, quindi, una importante funzione riformatrice24,
anticipando la stessa prima codificazione (1917) che, peraltro, richiamato
il principio generale stabilito dal Concilio di Trento (17 settembre 1562,
sess. 22), si limita a rinviare alle specifiche leggi liturgiche sulla musica
sacra25. La stessa scelta di promulgare in forma di motu proprio, non ori-
ginato da nessun altro organismo curiale, evidenzia la chiara intenzione

19
Cfr. voce Musica, in Diz. eccl., (a cura di) A. Mercati-A.Pelzer, Torino, II, 1953,
p. 1087, dove si parla di musica sacra ed antiliturgica, intendendo con quest’ultimo
termine, quella religiosa.
20
Cfr. Pio x, Tra le sollecitudini, cit., 2: «La musica sacra deve per conseguenza
possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente
la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro suo carattere, che è
l’universalità».
21
Ibidem.
22
Ibidem.
23
Ibidem.
24
Cfr. supra, sub nota 1.
25
Il Concilio di Trento proibisce solo quelle musiche che, sia per l’organo, sia per il
canto, contengano elementi lascivi ed impuri. V., supra, sub nota 14. Cfr. can. 1264 § 1,
Codex, 1917: Musicae in quibus sive organo aliisve instrumentis sive cantu lascivum aut
impurum aliquid misceatur , ab ecclesiis omnino arceantur; et leges liturgicae circa musicam
sacram serventur. Per i documenti successivi, Alessandro vii, cost. ap. Piae Sollicitudinis
Studio, 23 aprile 1657; Benedetto xiv, Lett. enc. Annus Qui, 19 febbraio 1749; Pio ix,
cost. ap. Multum ad Movendos Animos, 16 dicembre 1870.
134 giuseppe rivetti

di intervenire in modo innovativo, creando un quasi «codice giuridico


della musica sacra»26.
Con il Vaticano II lo scenario muta radicalmente, anche perché
vengono riformulati i fondamenti del diritto liturgico27. In primo luogo
la «santità», non viene più considerata esclusivamente in contrasto con
il profano, in quanto «la musica sacra sarà tanto più santa quanto più
strettamente sarà unita all’azione liturgica»28, sia conferendo espressi-
vità alla preghiera, sia arricchendo di maggiore solennità i riti sacri29. Il
riferimento è, quindi, ad una funzione più ampia, riconducibile a quella
simbologia sacramentale accennata nella prima parte, con l’effetto di
non escludere nessun genere di musica, purché corrisponda allo spirito
e tenga conto dell’integrità dell’azione liturgica30.
La Chiesa approva ed ammette, nel culto divino, tutte le forme di
«vera arte» capaci di introdurre i fedeli, attraverso la dignità e la bellezza,
al sacro mistero31. Non vi può essere, infatti, musica destinata alla cele-
brazione dei sacri riti che non sia, nella sua essenza primaria, collegata
a vere ed autentiche forme artistiche in grado di dare voce al mistero32.
Tuttavia da sola non basta, dal momento che la musica liturgica deve
rispondere a ulteriori requisiti: la piena aderenza ai testi, la consonanza
con il tempo e il momento liturgico, l’adeguata corrispondenza ai gesti
che il rito propone33.
L’universalità ovvero l’attitudine ad essere, ovunque, e in ogni tempo
percepita come sacra, comunicabile senza distinzione di luogo, di prove-
nienza e di cultura, non viene richiamata, a testimonianza della volontà
naturalmente inclusiva delle diverse culture, anche in rapporto al ricono-
sciuto valore della musica sacra nelle missioni34. Difatti, salva la sostanziale

26
Pio x, nella prima parte del suo documento, afferma «pubblichiamo la presente
nostra istruzione, alla quale, quasi a codice giuridico della musica sacra, vogliamo dalla
pienezza della nostra autorità apostolica sia data forza di legge, imponendone a tutti col
presente Nostro Chirografo la più scrupolosa osservanza».
27
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 4: si prevede espressamente l’uguaglianza in
diritto e in dignità di tutti i riti legittimamente riconosciuti prevedendo in caso di necessità,
che siano riveduti integralmente con prudenza nello spirito della sana tradizione e venga
loro dato nuovo vigore, come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo.
28
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 112; richiamato da Giovanni Paolo ii, Mosso dal
vivo desiderio, cit., 4, in armonia con le disposizioni di Pio x, Tra le sollecitudini, cit., 2.
29
Ibidem.
30
Cfr. Musicam Sacram, cit., 9.
31
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 112 (il riferimento alla vera arte); Pio x, Tra le
sollecitudini, cit., 2 (il riferimento alla bontà delle forme).
32
In proposito, Benedetto xvi, nella sua esortazione apostolica post-sinodale
Sacramentum Veritatis del 22 febbraio 2007, 42: AAS 99 (2007), p. 105, analizza il rapporto
tra mistero e liturgia, affermando che nella ars celebrandi… la melodia deve corrispondere
al senso del mistero celebrato.
33
Cfr. Giovanni Paolo ii, Mosso dal vivo desiderio, cit., 6.
34
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 119.
Armonie e disciplina 135

unità del rito, viene lasciato posto «alle legittime diversità e ai legittimi
adattamenti»35, con particolare riferimento ai differenti gruppi etnici.
Nel complesso si tratta di proprietà (concorrenti) che si inseriscono in
un contesto di profonda trasformazione strutturale della liturgia. La nuova
riforma, com’è noto, esprime un sistema dinamico, lontano dalle rigidità
del passato, sul presupposto che la liturgia consti di una «parte immuta-
bile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento,
che nel corso dei tempi possono o addirittura devono variare, qualora si
siano introdotti elementi meno rispondenti alla intima natura della liturgia
stessa, oppure queste parti siano diventate non più idonee»36.
In tal modo si pone e si risolve, in modo equilibrato, il rapporto tra
sana tradizione e legittimo progresso, indicando come criterio ermeneu-
tico di equilibrio la necessità (eventuale) che «la revisione delle singole
parti della liturgia sia sempre preceduta da una accurata investigazione
teologica, storica e pastorale»37.
Formulate tali precisazioni e riprendendo il percorso di analisi princi-
pale, va sottolineato come l’ecclesiologia conciliare delinei, con sufficiente
chiarezza, le qualità della musica sacra. A fronte di questa chiarezza non
sussiste, comunque, la pretesa di escludere possibili contrasti interpre-
tativi, in merito alla qualificazione di profili musicali che, sulla base delle
norme tradizionali ed in particolar modo della costituzione Sacrosanctum
Concilium 38, vanno rimessi alla competenza della autorità ecclesiastica.
Prerogativa che, in ogni caso, non può essere esercitata in modo
arbitrario; dovrà essere ancorata ai presupposti conciliari ed orientata
da quelle caratteristiche proprie della musica, indicate in precedenza.
In armonia con le citate dichiarazioni conciliari, l’autorità ecclesiastica
non potrà imporre la grammatica musicale o particolari canoni estetici
ai compositori, lasciando agli stessi la libertà di scelta dei mezzi tecnici
e artistici. Dovrà limitarsi ad indicare quale debba essere lo spirito ani-
matore e quali le caratteristiche funzionali per lo svolgimento del culto.
Il tutto in parziale controtendenza rispetto al motu proprio di Pio X,

35
Ivi, 37-38.
36
Ivi, 21.
37
Ivi, 23.
38
Entro i limiti stabiliti nelle edizioni tipiche dei libri liturgici, spetterà alla
competente autorità ecclesiastica territoriale determinare gli adattamenti, specialmente
riguardo all’amministrazione dei sacramenti, ai sacramentali, alle processioni, alla lingua
liturgica, alla musica sacra e alle arti, sempre però secondo le norme fondamentali
contenute nella costituzione Sacrosanctum Concilium, ivi, 39. Spetta all’autorità
ecclesiastica, territorialmente competente, stabilire l’esecuzione anche quando il testo
non risulti completamente concordante con i testi liturgici, Musicam Sacram, cit., 55. È
utile precisare che già il can. 1257, del Codex del 1917 stabiliva: Unius Apostolicae Sedis
est tum sacram ordinare liturgiam, tum liturgicos approbare libros.
136 giuseppe rivetti

originato dalle impostazioni del Concilio Vaticano I39, che riservavano


all’autorità ecclesiastica, oltre ad un vero e proprio potere normativo,
anche il controllo della stessa grammatica dell’espressione40.
In proposito Paolo VI indica un criterio valido di riferimento che
potrebbe essere quello di preparare – traendo dell’arte – testi adatti, per
il contenuto religioso e per la pregevole veste letteraria, musicarli senza
oscurarli con inutili ridondanze, più proprie, forse, di altri tempi; ma
anche senza impoverirli, così che tra «cantus» e «res quae canitur», si
realizzi quella adeguata e feconda complementarietà41.
È evidente che, qualora tutte queste variabili non ricorressero nella
loro pienezza, la musica sarà destinata a restare fuori dal tempio, costi-
tuendo, comunque, un patrimonio culturale, in grado di trovare una sua
collocazione nell’ambito delle attività di istituzioni operanti nel campo
della musica sacra. Del resto è possibile ritenere la musica, espressiva
anche di una realtà creatrice di cultura [...] in tal senso essa è un bene
culturale della Chiesa42.

3. Il rapporto tra Chiesa ed arte, nella forma strumentale di «dialogo con


i lontani». Le nuove espressioni della modernità

Le considerazioni precedenti rimandano, inevitabilmente, anche


al secolare43 legame tra la Chiesa e gli artisti (geniali costruttori di

39
Cfr. voce Musica, cit., p. 1087.
40
In proposito la codificazione del 1917, prevedeva la possibilità, per gli Ordinari del
luogo, di infliggere pene canoniche a norma dei cann. 2222, 2291 e 2378, coerentemente
con le impostazioni del Concilio Vaticano I.
41
Cfr. Paolo vi, Discorso..., cit., p. 479, il richiamo a S. Agostino, Confessioni, X.
In proposito, v. supra, sub nota 14.
42
Cfr. Pontificia commissione per i beni culturali della chiesa, La musica sacra nel
novero dei beni culturali della Chiesa, Assisi 15 marzo 2006, 2; Id., La bellezza e la fede,
Roma 21 aprile 2005; Benedetto xvi, Discorso in occasione della visita al Pontificio
istituto di musica sacra, Roma, 13 ottobre 2007. Sui rapporti tra beni culturali ed
ordinamento canonico, G. Feliciani, La nozione di bene culturale nell’ordinamento
canonico, in Iustitia in caritate. Miscellanea di studi in onore di Velasio De Paolis, Roma,
Urbaniana University Press, 2005, pp. 445-455; R. Astorri, La tutela nelle leggi canoniche,
in Patrimonio culturale di interesse religioso in Italia. La tutela dopo l’Intesa del 26 gennaio
2005, (a cura di) M. Madonna, Venezia, Marcianum Press, 2007, pp. 93 ss.; G. Feliciani,
Le intese regionali. Profili canonistici, ibidem, pp. 137 ss.
43
L’arte che il cristianesimo incontrò ai suoi inizi, va ricordato, era condizionata dal
mondo classico, e ne esprimeva i canoni estetici. Solo con l’editto di Costantino (313 d.C.)
diventando la religione cristiana religio licita, l’arte diventa un canale libero e privilegiato
di manifestazione della fede. I segni più evidenti nel progressivo abbandono dei canoni
architettonici pagani delle maestose basiliche, piegati alle esigenze del nuovo culto. I secoli
successivi del medioevo cristiano, furono caratterizzati da un grande sviluppo dell’arte
sacra con, in primo piano, le grandi cattedrali o complessi abbaziali, dove la forza e la
Armonie e disciplina 137

bellezza)44, considerati essenziali nel rapporto con la liturgia. Sul punto


Benedetto XVI ricorda come Paolo VI si sia spinto a formulare espres-
sioni davvero ardite45: «se mancassimo del vostro ausilio, il ministero
diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo,
diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico
[...] avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte»46.
Non a caso, aggiunge ancora Paolo VI: «da lungo tempo la Chiesa
ha fatto una alleanza con voi. Voi avete edificato e decorato i suoi templi,
celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. L’avete aiutata a tradurre
il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere
comprensibile il mondo invisibile»47.
È, forse, per questo che la Chiesa ha bisogno degli artisti; le arti sono
di grande importanza nella misura in cui cercano «di esprimere la natura
propria dell’uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di
conoscere e perfezionare se stesso e il mondo; cercano di illustrare le sue
miserie e le sue gioie, i suoi bisogni, le sue capacità e di prospettare una
sua migliore condizione»48.
In realtà si tratta di un dialogo non dettato solo da circostanze sto-
riche o da motivi funzionali, ma radicato nell’essenza sia dell’esperienza
religiosa, sia della creazione artistica49.
D’altronde, per trasmettere il proprio messaggio la Chiesa ha bisogno
di «rendere percepibile e, anzi, per quanto possibile, affascinante, il mon-

semplicità del romanico, si sono progressivamente sviluppate negli splendori del gotico
«dentro le forme non c’è solo il genio di un artista, ma l’animo di un popolo». Seguono
i periodi straordinari ed irripetibili dell’umanesimo e del rinascimento. Al riguardo
Giovanni Paolo II assume come riferimento per la propria analisi, le rappresentazioni
artistiche presenti nel palazzo apostolico. Affermando: «Da qui parla Michelangelo, che
nella Cappella Sistina ha come raccolto, dalla creazione al giudizio universale, il dramma
e il mistero del mondo. Da qui parla Raffaello […] Dalla maestosa basilica, dal colonnato
che da essa si diparte come due braccia aperte ad accogliere l’umanità, parlano ancora
Bramante, Bernini, Borromini e Maderno. Se, poi, dal versante delle arti figurative
passiamo a considerare il grande sviluppo che ha avuto la musica sacra, composta per
le esigenze liturgiche, o anche solo legata ai temi religiosi, come non ricordare, tra gli
altri, Pier Luigi da Palestrina, Orlando di Lasso […] Händel, Bach, Mozart, Schubert,
Beethoven, Berlioz, Liszt e Verdi», Lettera agli artisti, cit., 7, 8, 9.
44
Cfr. Giovanni Paolo ii, Lettera agli artisti, cit., 1.
45
Cfr. Benedetto xvi, Incontro con gli artisti, cit., in cui ripercorre ed attualizza
il rapporto, formulando altrettante espressioni ardite, citando Dostoevskij: «L’umanità
può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non
potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è
qui, tutta la storia è qui». Continua il pontefice, richiamando il pittore Georges Braque:
«l’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura».
46
Cfr. Paolo vi, Messa degli artisti, celebrata nella Cappella Sistina, 7 maggio 1964,
Insegnamenti II, (1964), p. 314.
47
Cfr. Paolo vi, Messaggio agli artisti, cit., 2.
48
Cfr. Gaudium et Spes, cit., 62.
49
Cfr. Giovanni Paolo ii, Lettera agli artisti, cit., 1.
138 giuseppe rivetti

do dello spirito, dell’invisibile» e «deve trasferire in formule significative


ciò che è ineffabile; l’arte ha una capacità tutta sua di cogliere l’uno o
l’altro aspetto del messaggio, traducendolo in colori, forme e suoni»50,
divenendo in tal modo strumentale rispetto alle finalità ecclesiali, un
mezzo importante per intraprendere un «dialogo con i lontani».
Non si tratta di un rapporto esclusivo, poiché la Chiesa ha bisogno
dell’arte così come la società ha bisogno degli artisti, i quali nella realiz-
zazione delle loro opere arricchiscono il patrimonio culturale di ciascuna
nazione, a vantaggio del bene comune51.
In tale ambito, si chiede Giovanni Paolo II, l’arte ha bisogno della
Chiesa? E partendo da questa domanda, argomenta ed individua delle
affinità, sul presupposto che l’artista sia sempre alla ricerca del senso
recondito delle cose, tormentato dal tentativo di riuscire ad esprimere
l’ineffabile; la religione, quindi, diventa per l’arte una grande sorgente di
ispirazione, una sorta di «patria dell’anima»52. Peraltro, la Sacra Scrittura
è un «immenso vocabolario» (P. Claudel) ed «atlante iconografico» (M.
Chagall), cui hanno attinto la cultura e l’arte cristiana53.
Su questa base, a conclusione del Concilio, Paolo VI ha rivolto agli
artisti un saluto e un appello: «Questo mondo nel quale noi viviamo ha
bisogno di bellezza, per non cadere nella disperazione»; esortazione
che ha indubbiamente delineato un rinnovato rapporto con il mondo
dell’arte54.
Probabilmente, ora, si comprende meglio la definizione di musica
anche come «bene culturale», la cui peculiarità funzionale (comune)
è rappresentata dall’essere, nella circostanza, al servizio della Chiesa. I
beni culturali55 sono, infatti, destinati alla promozione dell’uomo e, nel

50
Ivi, 12.
51
Ivi, 4.
52
Ivi, 13.
53
Ivi, 5.
54
Ivi, 11.
55
Sui beni culturali di interesse religioso e la nuova Intesa con la C.E.I., P. Picozza,
I beni culturali di interesse religioso nella nuova legislazione statale: le innovazioni
nell’Intesa con la Conferenza episcopale italiana, in Studi in onore di Carmine Punzi,
Torino, 2008, pp. 500 ss.; C. Cardia, Lo spirito dell’accordo in Patrimonio culturale di
interesse religioso in Italia. La tutela dopo l’Intesa del 26 gennaio 2005, cit., pp. 49 ss.;
G. Betori, Lo spirito dell’accordo, ibidem, pp. 29 ss.; F. Margiotta Broglio, La tutela
dei beni culturali di interesse religioso nel diritto internazionale, ibidem, p. 169 ss. Sui
profili interordinamentali, A. Albisetti, I beni culturali di interesse religioso, in Diritto
ecclesiastico e Corte costituzionale, (a cura di) R. Botta, Napoli, 2006, pp. 3 ss.; C. Cardia,
Tutela e valorizzazione dei beni culturali di interesse religioso tra Stato e Chiesa cattolica,
in Beni culturali di interesse religioso, (a cura di) G. Feliciani, Bologna, 1995, pp. 57 ss.;
S. Berlingò, Enti e beni religiosi in Italia, Bologna, 1992.
Armonie e disciplina 139

contesto ecclesiale, assumono una specifica vocazione, essendo ordinati


all’evangelizzazione e al culto56.
Del resto, le vie della cultura, nella loro molteplicità, hanno ragioni
sufficienti per dialogare; la dimensione celebrativa non solo non le esclu-
de ma appare in grado di accogliere ogni altra dimensione, costituendo
il punto di sintesi più alto57. Allo stesso modo «i molteplici linguaggi ai
quali la liturgia ricorre: parola, silenzio, gesto, movimento, musica e canto,
trovano nello spazio liturgico il luogo della loro globale espressione»58.
Nell’attuale contesto l’arte sembra, comunque, caratterizzata da mag-
giori complessità; a richiamata strumentalità appare, sul piano generale, di
difficile realizzazione, e le cause non sono necessariamente riconducibili a
quel progressivo ed altalenante processo di secolarizzazione (dell’arte).
L’artista, oggi, pone al centro della sua opera la propria identità, le
proprie tensioni, i propri tormenti. Sottomette tutto al suo stile. È prota-
gonista della propria creazione; distante, non solo temporalmente, dagli
artisti (ignoti) del tardo medioevo che si sentivano subalterni, al servizio
delle loro opere religiose59.
Non è solo un problema di soggettivazione. Nell’epoca del «di-
sincanto» l’arte diventa prevalentemente dimora dell’umano, tensione
creativa che non si rapporta necessariamente al divino, è caratterizzata
da letture sovrapposte; e nel contesto postmoderno non poteva essere
diversamente.
Le conseguenze future del rapporto tra arte e religione, non sono facil-
mente prevedibili; ma se partiamo dai presupposti di Giovanni Paolo II,
gli effetti si rifletteranno non solo nell’ambito della dimensione spirituale
ma anche sociale, considerato il rapporto che lega l’arte al bene comune.
Senza trascurare che la società, in questi ultimi anni, ha subìto profondi
cambiamenti, alcuni dei quali mettono fortemente alla prova «l’impegno

56
Cfr. Giovanni Paolo ii, Allocuzione ai membri della Pontificia Commissione per i
Beni Culturali della Chiesa in occasione della prima assemblea plenaria, 12 ottobre 1995,
n. 3, in Enchiridion dei beni culturali della Chiesa, Bologna 2002, pp. 561-562. Sulla
dignità dell’arte sacra ancora, Giovanni Paolo ii, Messaggio all’Assemblea plenaria della
Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa, 25 settembre 1997. La loro tipologia
è varia: pittura, scultura, architettura, mosaico, musica, in queste varie forme artistiche
si esprime la forza creativa del genio umano che, mediante figurazioni simboliche, si fa
interprete di un messaggio che trascende la realtà. Sul tema, G.B. Varnier, Gioielli d’arte
e segni di fede: il patrimonio dei beni culturali del Fondo Edifici di Culto, in «QDPE»,
2005,1, pp. 369-374.
57
Cfr. L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, cit., 7.
58
Ivi, 13.
59
Cfr. La bellezza e la fede, cit., (M. Piacenza). Sui rapporti tra libertà religiosa ed
espressione artistica, le riflessioni di P. Floris, Libertà religiosa e libertà di espressione
artistica, in «QDPE», 2008, 1, pp. 175-196.
140 giuseppe rivetti

ecclesiale»60. Il costante (ed oscillante) processo di secolarizzazione, poi,


obbliga la Chiesa a misurarsi con nuovi scenari, tra i quali, il più rilevante
per i cristiani, è rappresentato dalla perdita del sostegno dalla tradizio-
ne. Per molti di essi, anche in Europa, il mondo liturgico con i suoi riti,
simboli, significati è diventato, culturalmente, estraneo61.

4. Musica sacra e Vaticano II: dai nuovi linguaggi alla crisi attuale. Pro-
spettive

Di rilievo, ai fini del tema trattato, sono le esortazioni conciliari con-


tenute nella costituzione sulla sacra liturgia, orientate a conservare ed
incrementare, con grande cura, il patrimonio della musica sacra62. Inoltre,
nel citato documento conciliare, si incoraggiano i cori63, la formazione
musicale dei religiosi64 (aspetto, probabilmente non pienamente realiz-
zato) e le corrispondenti attività di istituti ed associazioni.

60
Cfr. Giovanni Paolo ii, Spiritus et Sponsa, 4 dicembre 2003, 11: AAS 96 (2004),
p. 425 (nel 40° anniversario della Sacrosanctum Concilium): a prima vista, essa sembra
messa fuori gioco da una società ampiamente secolarizzata. Ma è un dato di fatto che,
nonostante la secolarizzazione, nel nostro tempo riemerge, in tante forme, un rinnovato
bisogno di spiritualità. È questa la nuova prospettiva. Sulla centralità della liturgia,
ancora Giovanni Paolo ii, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 35: AAS
93 (2001), p. 308.
61
Cfr. Atti della giornata commemorativa del XL anniversario della Sacrosanctum
Concilium, cit., 3.
62
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 114. Esortazione ripresa da Giovanni Paolo ii,
a sottolineare l’importanza di conservare e di incrementare il secolare patrimonio della
Chiesa, Mosso dal vivo desiderio, cit., 8. In tale ambito e con riferimento ai rapporti con
la liturgia, si riserva alle «Scholae Cantorum» una speciale funzione ministeriale, Musicam
Sacram , cit., 53. Ancora oggi il compito della Schola sembra, secondo il recente magistero
pontificio, non sia venuto meno; essa, infatti, svolge nell’assemblea il ruolo di guida e
di sostegno e, in certi momenti della liturgia, ha un proprio ruolo specifico, Giovanni
Paolo ii, Mosso dal vivo desiderio, cit., 8.
63
Il coro è parte integrante dell’assemblea e deve essere collocato nell’aula, tra il
presbiterio e l’assemblea; in ogni caso la posizione del coro deve essere tale da consentire
ai suoi membri di partecipare alle azioni liturgiche e di guidare il canto dell’assemblea.
È bene prevedere anche un luogo specifico per l’animatore del canto dell’assemblea,
L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, cit., 21.
64
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 115. Sul tema, sempre di Giovanni Paolo ii, si
rinvia: Discorso al Pontificio Istituto di Musica Sacra nel 90° di fondazione, 19 gennaio
2001, 1: Insegnamenti XXIV/1 (2001), p. 194; Discorso al Congresso Internazionale di
Musica Sacra, 27 gennaio 2001, 4: Insegnamenti XXIV/1 (2001), pp. 239-240; Lett. ap.
Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1987, 20: AAS 81 (1989), p. 916; Cost. ap. Pastor
Bonus, 28 giugno 1988, 65: AAS 80 (1988), p. 877; Lett. enc. Dies Domini, 31 maggio
1998, 50: AAS 90 (1998), p. 745.
Armonie e disciplina 141

Nelle applicazioni, il Vaticano II riconosce la prevalenza del canto


gregoriano65 nel culto pubblico della Chiesa66, indicandone, a parità di
condizioni, una posizione prioritaria67. La preminenza deriva anche da
una condizione storica che ha visto questa forma di musica sacra68 di-
ventare, nei secoli, la tipica espressione musicale della Chiesa69; evidente
il legame indissolubile con le fonti bibliche, patristiche, liturgiche ed il
suo essere parte della lex orandi della Chiesa.
Dall’elogio del gregoriano come «supremo modello» della musica
sacra, deriva la legge generale di Pio X, secondo la quale: «tanto una

65
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 116. In proposito viene ulteriormente precisato
che quando il magistero passa concretamente ad esemplificare quale musica soddisfi le
caratteristiche sopra ricordate, inevitabilmente pone al primo posto il canto gregoriano
[…] la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana.
Pio xii definisce il canto gregoriano “patrimonio” della Chiesa, Musicae sacrae disciplina,
cit., III.
66
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 116.
67
Senza, comunque, escludere gli altri generi di musica sacra, in particolar modo la
polifonia a condizione che rispondano allo spirito dell’azione liturgica a norma dell’art.
30. Giovanni Paolo II, afferma che oltre al canto gregoriano, si devono certamente
considerare anche la polifonia sacra e tutta quell’immensa produzione di messe, mottetti
e corali, Lettera agli artisti, cit., 12.
68
Il canto sacro continua a svilupparsi fino al secolo XV, divenendo la fonte di tutta
la musica europea, sacra e profana. Il canto gregoriano è monodico (ad una sola voce);
dal secolo VIII e IX si cominciò ad introdurre una seconda voce, prima nell’organum
(sistema di canto con un tenor, voce principale che eseguiva la melodia gregoriana, ed
una seconda voce contrapposta alla prima [...] il numero delle voci contrapposte andò
aumentando fino a cinque). Lo sviluppo di questi sistemi porta verso il secolo XV, alla
polifonia; e nelle forme della Messa e del mottetto per la musica sacra, e del madrigale
per la musica profana. Nel secolo XVII per reazione alla polifonia e per un nuovo
orientamento musicale sorse l’opera, o dramma per musica, di carattere sacro e profano. Il
primo melodramma sacro fu la Rappresentazione di anima e corpo di Emilio de’ Cavalieri.
Nasce, poi, con Giacomo Carissimi anche l’oratorio che conserva il carattere polifonico
con innesto di parti monodiche. Questi nuovi sviluppi di musica sacra esercitano una
dannosa influenza sulla musica liturgica che va perdendo quella ieraticità spirituale propria
del canto gregoriano e la severa grandiosità propria della polifonia classica, v. Musica,
cit., 1086. Dal punto di vista storico, va ricordato che un influsso notevole sul canto sacro
della liturgia cristiana è derivato all’inizio del cristianesimo, dalla tradizione ebraica e dal
patrimonio popolare dei pagani. I musicologi e gli storici del canto gregoriano ammettono
la dipendenza del canto liturgico cristiano primitivo dal canto ebraico. Gli apostoli, tutti
ebrei, continuarono queste usanze. Infatti, la struttura di qualche ora liturgica in parte
identica nella liturgia cristiana e in quella giudaica , rivela che brani musicali ebraici sono
stati adoperati dai primi cristiani di Palestina e trasmessi alla posterità. Così per alcune
forme antichissime di canto salmodico e specialmente nella forma responsoriale. Lo stesso
Gesù Cristo nel Vangelo è presentato due volte come cantore delle melodie ebraiche: la
prima per la lettura di Isaia nella sinagoga di Nazareth (Lc. IV, 20) e la seconda volta per
la celebrazione dell’ultima Pasqua dell’A.Test., con il canto dei Salmi del grande Hallel
(Mt. XXVI, 30), v. Musica, cit., 1085. Con Gregorio Magno il canto gregoriano segue il
suo cammino e sviluppo, indipendentemente dalla musica ebraica.
69
Cfr. Giovanni Paolo ii, Lettera agli artisti, cit., 7.
142 giuseppe rivetti

composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’anda-


mento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana,
e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel supremo modello
si riconosce difforme»70.
Giovanni Paolo II assume come propria la richiamata legge generale
di Pio X, e ne (ri)afferma la validità, rafforzandola nel presente, con una
importante precisazione: «non si tratta di copiare il canto gregoriano,
quanto piuttosto di far sì che le nuove composizioni siano pervase dallo
stesso sensus Ecclesiae»71. È chiara la preoccupazione di coniugare vetera
et nova, garantendo il sistema della tradizione, senza escludere nuovi
modelli musicali, più consoni alla modernità.
Tra gli strumenti musicali dignità analoga viene riconosciuta all’orga-
no a canne « il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore
alle cerimonie della Chiesa»72. Formulazione entusiastica che ha indotto
a rilevare come, rispetto a questo antichissimo strumento della musica
sacra, sia stata utilizzata una terminologia decisamente diversa dal so-
brio linguaggio giuridico dell’intero documento conciliare. Ma, come in
precedenza, non è possibile prescindere da motivazioni storiche, poiché
lo stesso canto corale gregoriano, a partire dai secoli VIII e IX in quasi
tutte le regioni dell’Europa cristiana, con l’accompagnamento dell’orga-
no, acquistò nuovo e rinnovato splendore73. Del resto, nel passato, sul
piano funzionale, l’organo sostituiva la partecipazione del fedele74 «muto
e inerte spettatore» della celebrazione75.

70
Cfr. Pio x, Tra le sollecitudini, cit., 3; Giovanni Paolo ii, Mosso dal vivo desiderio,
cit., 12.
71
Cfr. Giovanni Paolo ii, op. ult. cit., 12.
72
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 120.
73
Cfr. Pio xii, Musicae sacrae disciplina, cit., I.
74
Per promuovere la partecipazione attiva, si invita a curare le acclamazioni dei
fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e
l’atteggiamento del corpo. Sia osservato anche, a tempo debito, un sacro silenzio (30). La
Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a
questo mistero di fede ma che, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere,
partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente (48). Al riguardo,
Giovanni Paolo ii, Spiritus et Sponsa, cit. 4, considera la musica nella liturgia un «mezzo
privilegiato per facilitare una partecipazione attiva dei fedeli all’azione sacra».
75
Cfr. Concerti nelle chiese, 5 novembre 1987, in «Notitiae», 24 (1988), pp. 33-
39. L’organo può accompagnare e sostenere i canti sacri durante le celebrazioni sia
dell’assemblea che della Schola […] È importante che in tutte le chiese, ma specialmente
in quelle più insigni non manchino musicisti competenti e strumenti musicali di qualità.
Si abbia cura particolare per organi di epoche passate, ma sempre pregevoli per le loro
caratteristiche. Proprio per questa sua peculiarità, gli organi monumentali di interesse
storico, specialmente quelli a trasmissione meccanica, vanno conservati, restaurati con
ogni cura ed utilizzati con competenza al servizio delle celebrazioni liturgiche.
Armonie e disciplina 143

Altri strumenti possono essere ammessi nel culto divino, con il consen-
so della competente autorità ecclesiastica76, rilevato che le composizioni
attuali, anche utilizzando moduli musicali diversificati, non sono sprov-
viste di una loro dignità e possono rivelarsi un arricchimento prezioso77.
In proposito viene richiesta una duplice condizione: dovranno essere
adeguate all’uso sacro e convenienti alla dignità del tempio78, tenuto
conto dell’indole e delle tradizioni dei singoli popoli79.
Nel contempo viene riconosciuta dignità liturgica ai canti religiosi
popolari, attraverso un preciso invito alla loro promozione80, anche per
valorizzare quelle forme particolari di musica nazionale81. Nelle missioni
si trovano, infatti, popoli con una propria tradizione musicale, la quale
ha grande importanza nella vita religiosa e sociale. Di qui la necessità di
adattare il culto all’indole della comunità nazionale, anche in conside-
razione della sua importanza per l’educazione del sentimento religioso
di quei popoli82.
Rispetto a queste innovazioni, non mancano delle criticità. Negli
ultimi decenni, anche per favorire il coinvolgimento dell’assemblea, è
stata proposta una grande varietà di modelli musicali, talora, decisamente
carenti nella forma e nel contenuto, da essere sostituiti dopo pochi anni,
risultando effimeri e legati al proprio tempo. Ma la cosa più grave è che,
per questa via, si è reciso il « cordone ombelicale» con la tradizione; i
nuovi compositori di musiche liturgiche, a volte anche ben preparati
dal punto di vista tecnico, risultano sprovvisti di sensus fidei o, più in

76
Cfr. supra, sub nota 38.
77
Cfr. Giovanni Paolo ii, Mosso dal vivo desiderio, cit., 14.
78
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 120. Sulle condizioni di ammissione degli altri
strumenti musicali, v. 22-2, 37 e 40. In relazione ai testi, destinati al canto sacro, dovranno
essere conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura
e dalle fonti liturgiche, ivi, 121.
79
Cfr. Musicam Sacram, cit., 63.
80
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 118. Sul tema, Giovanni Paolo ii, Mosso dal vivo
desiderio, 11. Il pontefice evidenzia come il secolo scorso, per effetto del rinnovamento
operato dal Concilio Vaticano II, abbia conosciuto uno speciale sviluppo del canto
popolare religioso.
81
Cfr. Giovanni Paolo ii, Mosso dal vivo desiderio, cit., 10, si richiama direttamente
a Pio X ed a quanto stabilito dalla costituzione Sacrosanctum Concilium, rilevando come
anche nella sua enciclica Ecclesia de Eucharistia, abbia inteso fare spazio ai nuovi apporti
musicali menzionando, accanto alle ispirate melodie gregoriane « i tanti e spesso grandi
autori che si sono cimentati con i testi liturgici della Santa Messa».
82
Cfr. Sacrosanctum Concilium, cit., 119. La Chiesa, quando non è in questione la
fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella liturgia, una rigida
uniformità; rispetta anzi e favorisce le qualità e le doti di animo delle varie razze e dei
vari popoli. Tutto ciò, poi, che nel costume dei popoli non è indissolubilmente legato a
superstizioni o ad errori, essa lo considera con benevolenza e, se possibile, lo conserva
inalterato, e a volte lo ammette perfino nella liturgia, purché possa armonizzarsi con il vero
e autentico spirito liturgico, ivi, 37. Si rapporti con le missioni v. supra, sub nota 34.
144 giuseppe rivetti

generale, dell’humus indispensabile per comporre in consonanza con lo


spirito della Chiesa83.
Il pluralismo postconciliare ha, quindi, sollevato (e solleva) un
problema di ricerca armonica delle differenze, rispetto all’unità della
liturgia, sommato ad un apparente impoverimento delle forme musicali.
All’abbandono (inevitabile) del gregoriano, corrispondono aperture verso
nuove composizioni, non di rado caratterizzate da improvvisazione e
sperimentazioni, orientate verso un « altrove» indefinito. Ovviamente,
non si vuole manifestare un rimpianto per una tradizione non riprodu-
cibile nel contesto attuale, ma costatare l’esistenza di diverse prospettive
di analisi.
Per alcuni, il progetto della riforma liturgica ha coinciso con una
apertura indiscriminata verso esperimenti di forme e di stili nuovi. Altri,
al contrario, hanno decisamente e totalmente rifiutato l’intero progetto
conciliare. Altri ancora, non hanno operato con altrettanto impegno
per una adeguata apertura musicale. Vi è stato, infine, chi, accogliendo
il nuovo progetto rituale, ha ricercato forme musicali più aderenti per
favorire una partecipazione effettiva dell’assemblea84.
Le prospettive (ecclesiali) attuali sembrano partire da una rivalutazio-
ne complessiva del canto gregoriano. Benedetto XVI, pur tenendo conto
dei diversi orientamenti e delle differenti tradizioni, esprime il desiderio
«come è stato chiesto dai Padri sinodali, che venga adeguatamente valo-
rizzato il canto gregoriano, in quanto proprio della liturgia romana»85.
Non mancano orientamenti che, andando oltre, guardano al canto
gregoriano come punto di riferimento fondamentale ed esclusivo, rite-
nendolo l’unico in grado di garantire un reale ritorno alla vera tradizione
(santità e bontà di forme)86.
Relativamente a questa posizione si registrano diffidenze e perples-
sità, non riguardanti il canto gregoriano la cui validità è indubbia, ma
l’impostazione sistematica che potrebbe contenere, al proprio interno,
possibili rischi di regressione verso posizioni preconciliari.

83
Cfr. La musica sacra nel novero dei beni culturali della Chiesa, cit., 4.
84
Cfr. Atti della giornata commemorativa del XL anniversario della Sacrosanctum
Concilium, cit., ultima parte. In proposito, v. supra, sub nota 13. Inoltre, Benedetto xvi,
Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2005: AAS 98 (2006), pp. 44-45. Le domande
del pontefice: «Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto?
Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato?
Che cosa resta ancora da fare? Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la
recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile […]».
85
Benedetto xvi, Sacramentum Veritatis, cit., 42, afferma: occorre evitare la
generica improvvisazione o l’introduzione di generi musicali non rispettosi del senso
della liturgia. In quanto elemento liturgico, il canto deve integrarsi nella forma propria
della celebrazione. Di conseguenza tutto – nel testo, nella melodia, nell’esecuzione – deve
corrispondere al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici.
86
Cfr. La musica sacra nel novero dei beni culturali, cit., 4.
Armonie e disciplina 145

Sul piano strutturale sembra di assistere a due ragioni che si scontrano,


perché entrambe sono fondate su presupposti di analisi e considerazioni
concettuali egualmente valide. Alle innovazioni (coerenti con lo spirito
conciliare) va riconosciuto il merito di aver liberato il culto sacramentale
da ogni privatismo, rendendolo sicuramente più accessibile; al tempo
stesso, però, bisogna riconoscere la reale sussistenza di quelle criticità,
viste in precedenza, legate ai nuovi moduli musicali. Il risultato di questa
contrapposizione, come spesso accade nella storia della Chiesa, potrebbe
essere quello di ricorrere ad una composizione degli opposti orienta-
menti, attraverso la ricerca di posizioni mediane fondate su reciproche
concessioni.

5. L’esecuzione di concerti nelle Chiese: disposizioni regolamentari tra


disciplina civile e canonica

Le analisi di sistema del rapporto tra ars musicale e spazio ecclesiale


ci portano ad osservare come sugli edifici di culto, per molti aspetti, con-
vergano interessi liturgici e culturali, non sempre facilmente conciliabili87.
A fronte di questa varietà e sul presupposto di non ridurre le chiese a
semplici beni di consumo turistico, si inserisce la problematica relativa
al crescente aumento di richieste concertistiche negli edifici sacri88.
Le motivazioni sono prevalentemente riconducibili a ragioni interne
alla Chiesa, in quanto, a seguito della riforma liturgica, l’osservanza dei
nuovi tempi determina l’impossibilità di una compiuta esecuzione di
molti repertori musicali tradizionali, nel contesto della celebrazione.
Emblematica la condizione del canto gregoriano89 che, inevitabilmente,
è entrato a far parte di programmi al di fuori della liturgia, nella forma
di veri e propri concerti di musica sacra eseguiti nelle chiese.
Ne deriva la necessità di individuare i principi dell’ordinamento
canonico che regolano l’utilizzazione delle chiese, tenuto conto che «nei

87
Cfr. L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, cit., 7. Nel documento
si parla anche di interessi turistici che volutamente trascuriamo.
88
Cfr. Concerti nelle chiese, cit., 1. Diversi sono i motivi: necessità di ambienti, non
trovando con facilità luoghi adeguati; ragioni acustiche, per le quali le chiese generalmente
danno buona garanzia; ragioni estetiche, desiderando che il concerto venga eseguito in
un ambiente di bellezza; ragioni di convenienza, per ridare alle composizioni eseguite il
loro ambiente nativo; ragioni anche semplicemente pratiche, soprattutto per i concerti
di organo: le chiese, infatti, nella loro generalità ne sono dotate. Sul piano regolamentare
è necessario fare riferimento oltre al documento in esame, alla costituzione sulla liturgia
Sacroranctum Concilium, all’istruzione Musicam Sacram, del 5 marzo 1967, all’istruzione
Liturgicae instaurationes, del 5 settembre 1970, nonché ai cann. 1210, 1213 e 1222.
89
Sulle motivazioni v. supra, § 2.
146 giuseppe rivetti

luoghi sacri l’autorità ecclesiastica esercita liberamente i suoi poteri e i


suoi uffici», in virtù di una speciale condizione giuridica90.
A tal fine occorre, preliminarmente, richiamare la natura e le speci-
fiche peculiarità dell’edificio di culto. Il Codex qualifica con il nome di
chiesa «un edificio sacro destinato al culto divino, ove i fedeli abbiano
diritto di entrare per esercitare soprattutto pubblicamente tale culto»91.
Si ricava una qualificazione strutturata sull’esistenza di tre elementi
fondanti: l’edificio, ovvero una costruzione stabile92; la destinazione al
culto mediante benedizione o dedicazione93 e, infine, l’apertura a tutti i
fedeli per l’esercizio pubblico del culto94. Dei citati elementi assume un
particolare rilievo, ai fini della nostra tematica, quello della benedizione
o dedicazione, perché ne consegue una precisa conseguenza giuridica:
l’esclusiva destinazione al culto dell’edificio sacro.
Le chiese non possono, infatti, considerarsi dei semplici luoghi «pub-
blici», disponibili a riunioni di qualsiasi genere. Sono luoghi sacri, cioè
«messi a parte», in modo permanente, con la conseguenza che rimane
luogo sacro, anche quando non vi sia una celebrazione liturgica. Una
diversa utilizzazione rischierebbe di mettere in pericolo le corrispondenti
caratteristiche strutturali e funzionali95. Non a caso il can.1210 stabilisce:
«nel luogo sacro sia ammesso solo quanto serve per esercitare e promuo-
vere il culto, la religione, ed è vietato tutto ciò che non sia consono alla
santità del luogo».
Per una coerente applicazione dei richiamati presupposti teorici,
ai fini della tematica in argomento, bisogna considerare singolarmente
tre diverse tipologie e generi musicali, proposti nelle chiese. La prima,
musica e canto per la liturgia, non presenta particolari problematiche,
siamo in presenza di un vero e proprio atto di culto, la cui esecuzione

90
Cfr. can. 1213. Spetta, quindi, all’autorità ecclesiastica esercitare liberamente i
suoi poteri nei luoghi sacri, e regolare l’utilizzazione delle chiese salvaguardando il loro
carattere sacro, Concerti nelle chiese, cit., 5. L’accoglienza progressiva dei concerti nelle
chiese suscita nei parroci e nei rettori alcuni interrogativi ai quali bisogna rispondere. Se
una apertura generale delle chiese ad ogni sorta di concerti provoca reazioni e biasimi
da parte di tanti fedeli, anche un rifiuto indiscriminato rischia di essere capito o accolto
male da parte degli organizzatori dei concerti,dai musicisti e dai cantori.
91
Cfr. can. 1214.
92
Cfr. cann. 1215,1216; Commissione episcopale per la liturgia, nota pastorale
della C.E.I., La progettazione di nuove chiese, 18 febbraio 1993 in ECEI 5/1329-1463.
In particolare si intende il luogo nel quale si riunisce la comunità cristiana, edificato con
pietre vive. Così l’edificio di culto cristiano corrisponde alla comprensione che la chiesa
ha di sé nel tempo: le sue forme concrete, nel variare delle epoche, sono immagine di
questa autocomprensione.
93
Cfr. cann. 1206-1209, 1217; Rituale della Benedizione degli oli e dedicazione della
chiesa e dell’altare, C.E.I., 1980, cap. II, 1), in ECEI 3/429-442.
94
Cfr. cann. 1219, 1221.
95
Cfr. Concerti nelle chiese, cit., 5.
Armonie e disciplina 147

avviene durante la celebrazione in un contesto di preghiera, nel rispetto


del ritmo e delle modalità proprie della riforma liturgica. Segue, la musica
di ispirazione religiosa, composta per la liturgia su testi della sacra scrit-
tura, ma per cause evidenziate in precedenza, non può essere eseguita
durante una celebrazione liturgica. Si tratta di una attività di religione96
di chiara utilità ecclesiale perché, tra l’altro, contribuisce a creare nelle
chiese «un ambiente di bellezza, meditazione ed a mantenere vivi i tra-
dizionali repertori della musica sacra»97. Tuttavia può essere eseguita
solo con una specifica concessione per modum actus dell’Ordinario del
luogo (can.1210); come se «attività di religione», ed «utilità ecclesiale»,
non bastassero autonomamente a legittimare l’ingresso nelle chiese della
musica di ispirazione religiosa, ma richiedessero una specifica valutazione
dell’autorità ecclesiastica.
In realtà, pur comprendendo l’esigenza di un prudente apprezza-
mento da parte di quest’ultima, è possibile ritenere che, in presenza di
modelli musicali la cui destinazione originale sia da qualificarsi senza
alcun dubbio come religiosa, il provvedimento di concessione tenda
ad assumere la forma di un atto dovuto, difficilmente potrebbe trovare
fondamento giuridico un diniego da parte dell’autorità ecclesiastica.
Più articolata, infine, la problematica relativa all’ultima categoria,
quella della musica non religiosa, per la quale esiste un generale divieto
di esecuzione, conseguente al principio, visto in precedenza, secondo
cui l’utilizzazione della chiesa non può avvenire in modo contrario alla
santità del luogo. Si può, quindi, aprire la porta della chiesa a un concerto
di musica sacra o religiosa ma la si deve chiudere ad ogni altra specie
di musica98. Anche in questa circostanza la regola generale rimanda alla
sua eccezione: se una chiesa non può, in alcun modo (nullo modo) essere
adibita al culto divino, né è possibile restaurarla, il Vescovo diocesano
può ridurla ad uso profano non indecoroso. Al verificarsi delle condizioni
previste dal can. 1222 (chiusura al culto della chiesa) è possibile auto-
rizzare esecuzioni musicali profane, purché siano consone alla sacralità
del luogo.
Sul piano formale, si parla di autorizzazione (e non di concessione),
probabilmente perché la valutazione basata sulla musica profana, con-
ferisce all’autorità ecclesiastica maggiore discrezionalità in relazione alla

96
Cfr. art. 16 lett. a), L. 20 maggio 1985, n. 222. Disposizioni sugli enti e beni
ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi (in
«GU» n. 129, Suppl. ord., 3 giugno 1985).
97
Cfr. Concerti nelle chiese, cit., 9. Tali esecuzioni hanno una loro particolare utilità
poiché contribuiscono ad aiutare i visitatori a meglio comprendere il carattere sacro
della chiesa, per mezzo di concerti d’organo preparare alle principali feste liturgiche, o
donare ad esse una più grande fastosità, al di fuori delle celebrazioni nonché accentuare
il carattere particolare dei diversi tempi liturgici.
98
Ivi, 8.
148 giuseppe rivetti

necessità di garantire il rispetto della sacralità del luogo, seppur ridotto


ad uso profano99.
D’altra parte, lo svolgimento di eventuali attività culturali (musicali),
comportano la comprensione dei valori sottesi al culto di quel luogo, che
sono testimonianza della sua storia. L’edificio ecclesiale, in quanto opera
umana, è espressione di uno spazio geografico e di un tempo storico, in
costante dialogo con le generazioni future. In tal senso «lo spazio ecclesiale
per la liturgia è architettura della memoria, poiché propone e rilancia nel
tempo, anche a distanza di secoli, messaggi legati al mondo rituale e alla
cultura che lo hanno espresso»100.

99
Ivi, 10. Dal punto di vista procedurale, si dovrà formulare domanda con
l’indicazione della data e dell’orario del concerto, ma soprattutto del programma
contenente le opere, i nomi degli autori e la precisazione che l’entrata nella chiesa sarà
assolutamente libera e gratuita. La sacralità viene, in concreto, salvaguardata quando gli
esecutori e gli uditori avranno un abbigliamento ed un comportamento convenienti al
carattere sacro della chiesa; musicisti e cantori eviteranno di occupare il presbiterio e,
infine, garantiranno massimo rispetto all’altare, al seggio del celebrante e all’ambone.
In definitiva, l’esecuzione musicale in chiesa al di fuori della liturgia, costituisce attività
istituzionale dell’ente officiante solo quando ricorrono congiuntamente le seguenti
condizioni: organizzazione da parte di un ente ecclesiastico, esecuzione prevalente di
musica sacra ed ingresso libero e gratuito. Diversamente, come precisato nella Istruzione
C.E.I. (2005), si configura una attività culturale, diversa da quella di culto, assoggettabile
alla normativa sugli spettacoli, C.E.I., Istruzione in materia amministrativa, 1° settembre
2005, in «Notiziario della Conferenza Episcopale italiana», 2005, 130.
100
Cfr. L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, cit., 13. Lo spazio,
inteso come modello architettonico, come il tempo, viene coinvolto nella celebrazione del
mistero. In questo modo «contribuisce a potenziare ed unificare la sinfonia dei linguaggi
di cui la liturgia è ricca».

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