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Thornton, Anna M.

, “Mozione”, in La formazione delle parole in italiano, a cura di


Maria Grossmann e Franz Rainer, Tübingen, Niemeyer, 2004, pp. 218-227.

5.1.1.1.12. MOZIONE AMT

Mozione è un termine non utilizzato in lavori di linguistica italiana (benché ne faccia


occasionalmente uso Migliorini 1948). Si tratta dell’adattamento di un termine
corrente nella linguistica tedescofona (Motion o Movierung, cfr. almeno Doleschal
1990, 1992), attualmente usato per riferirsi a tutti i processi di formazione di parole
usati per derivare sostantivi designanti esseri umani o animati di un certo sesso a
partire dal nome che designa un essere della stessa specie o funzione ma di sesso
opposto. L’adozione di questo termine è necessaria per colmare una lacuna nel
metalinguaggio della linguistica italiana. Nelle grammatiche italiane la mozione è
trattata in paragrafi di solito intitolati «Formazione del femminile»: questa scelta
rispecchia il fatto pragmatico che la maggior parte dei casi di mozione riguarda la
formazione di nomi usati per designare esseri di sesso femminile a partire da
corrispondenti maschili, ma oscura il fatto che esiste anche il processo
complementare, cioè la formazione di nomi usati per designare esseri di sesso
maschile a partire da un corrispondente femminile (cfr. 5.1.1.1.12.1.).
Prima di passare alla descrizione dei diversi tipi di mozione esistenti in italiano, è
necessaria un’ulteriore premessa teorica e terminologica. Bisogna distinguere tra
genere, inteso come tratto sintattico specificato nelle entrate lessicali dei nomi
italiani, che governa l’accordo di modificatori e predicati, e sesso, inteso come tratto
del significato e/o caratteristica del referente di un nome. Ad esempio, madre è un
nome di genere femminile e il tratto ‘femmina’ è una componente ineliminabile del
significato della parola; vittima è invece un nome di genere femminile (la vittima vs
*il vittima) che può essere usato per riferirsi a individui di qualunque sesso: in questa
parola quindi non c’è un tratto di significato che specifichi il sesso dei referenti
possibili.
In italiano si distinguono due generi, maschile e femminile. Nei nomi di inanimati,
il genere non ha solitamente alcuna relazione con il significato: parole che designano
oggetti referenzialmente molto vicini, come per esempio il cucchiaio e la forchetta,
possono avere generi diversi. Nel caso di esseri umani, e di animali culturalmente
vicini all’umanità, c’è una forte tendenza a utilizzare nomi di genere maschile per
riferirsi ad individui di sesso maschile, e nomi di genere femminile per riferirsi ad
individui di sesso femminile: così abbiamo il padre vs la madre, il toro e il bue vs la
mucca ecc. Questa tendenza non è però senza eccezioni. La non congruenza tra
genere di una parola e sesso del suo referente si ha in diversi casi di parole che
designano ruoli o professioni: come già detto, una vittima può essere anche un uomo;
una guardia e una sentinella sono tipicamente uomini, e un soprano è tipicamente
una donna; inoltre, è possibile riferirsi a donne che svolgono determinati ruoli
utilizzando nomi d’agente maschili, come documentano le citazioni seguenti,
provenienti da una ricerca effettuata sulla stampa italiana degli anni Ottanta da
Sabatini 1987: Marisa Bellisario è l’amministratore unico dell’Italtel (Il
Messaggero); il segretario nazionale della FNSI Miriam Mafai (Il Messaggero); la
dottoressa Ianiello, il magistrato che si occupa del caso (Il Messaggero); presenti il
ministro [Franca] Falcucci, il senatore PCI Ersilia Salvato, il preside Amalia… (Il
Mattino); Elisabetta Gardini, inviato speciale (Il Messaggero).
Per molti animali, un nome di un determinato genere si usa indifferentemente per
individui di entrambi i sessi («nomi epiceni»): quando diciamo che in un safari
abbiamo visto giraffe e coccodrilli, probabilmente abbiamo visto individui dell’uno e
dell’altro sesso, ma ci siamo riferiti con un nome di genere femminile anche ai
maschi di giraffa, e con uno di genere maschile anche alle femmine di coccodrillo.
Si ha mozione quando i parlanti ritengono utile, o addirittura necessario, o
quantomeno auspicabile, istituire una corrispondenza tra genere di un nome e sesso
del suo referente. Il ricorso ai diversi procedimenti di mozione è evidentemente negli
ultimi decenni una conseguenza del fatto che molte attività un tempo tipicamente
maschili sono oggi svolte anche da donne (e, in misura certo minore, anche
viceversa).

Nel vocabolario di base dell’italiano (De Mauro 1980, 199111), gli effetti della
mozione, cioè la presenza di coppie di nomi indicanti individui dei due sessi che
appartengono alla stessa specie e/o che svolgono la stessa funzione, si osservano nel
60,5% dei nomi animati: in particolare, hanno un nome derivato per mozione il
69,2% dei nomi indicanti esseri umani, e il 14,5% dei nomi indicanti animali (dati
elaborati da Di Domenico 1997 a partire da BDVDB (Thornton / Iacobini / Burani
1994)). In questi calcoli non rientrano quei nomi di animati che designano individui
dei due sessi di una stessa specie o funzione tramite parole con radici diverse («nomi
indipendenti» secondo Serianni 1989a, cap. III, § 74), come padre / madre, bue e toro
/ mucca. La formazione di questo tipo di coppie non è ovviamente produttiva, e non
rientra quindi tra i procedimenti di mozione che esamineremo.

In questo capitolo illustreremo i diversi mezzi utilizzati in italiano per derivare nomi
per mozione. Ricorderemo inoltre anche i rari casi di formazione di nomi di animati
con referenza sessuale definita a partire da nomi di inanimati, e i rarissimi casi di
cambio di genere in nomi di inanimati appartenenti a campi semantici legati in
qualche modo alla sfera della sessualità. Non tratteremo invece il caso di coppie di
nomi di inanimati con diverso genere, come i tipi melo / mela, buco / buca, che non
rientrano nel campo della mozione (questi tipi sono illustrati normalmente nelle
grammatiche dell’italiano: cfr. Serianni 1989a, cap. III, §§ 31–42; Brunet 1982, 17–
37; cfr. anche 7.2.1.3.).
Illustreremo dapprima i diversi procedimenti di mozione possibili nel sistema della
lingua italiana contemporanea, rimandando a un paragrafo conclusivo (5.1.1.1.12.10.)
la discussione sui fattori che regolano l’uso delle diverse formazioni e neoformazioni.

5.1.1.1.12.1. IL TIPO RAGAZZO / RAGAZZA AMT


Questo tipo può essere analizzato come una conversione di radice, con assegnazione
del risultato della conversione alla classe di flessione prototipica per ciascun genere,
cioè alla classe in -o/-i per i maschili e alla classe in -a/-e per i femminili (cfr.
Thornton 2001). Il tipo è ben rappresentato nel lessico comune da coppie come
ragazzo / ragazza, amico / amica, gatto / gatta, ed è il tipo di mozione più produttivo
nell’italiano contemporaneo. Oltre ad essere usato per la formazione di nuovi nomi
d’agente femminili come quelli elencati in (1), è usato anche per formare
all’occorrenza i femminili di nomi di animali solitamente usati come epiceni, come
nei dati elencati in (2), e per formare nomi d’agente maschili a partire da femminili,
come quelli in (3).

(1) deputata, ministra, medica, chirurga, notaia, magistrata, sindaca, architetta


(2a) la somministrazione della genisteina preveniva in parte la perdita ossea nella
ratta ovariectomizzata (da Proprietà degli Isoflavoni di Soia (Estrogeni
vegetali) per la Donna in Menopausa, opuscolo pubblicitario distribuito
gratuitamente nelle farmacie);
(2b) cammella, canarina, cangura, coccodrilla, delfina, ippopotama, leoparda,
pettirossa, pinguina, rospa (tutte forme attestate, reperite grazie a una ricerca
effettuata in Internet)
(3) casalingo, femmin(i)ello “uomo omosessuale fortemente effeminato, per lo
più (ma non necessariamente) travestito e dedito alla prostituzione”, mammo
“padre che sostituisce, di fronte al proprio figlio, la madre” (Q), nuoro
“partner di un figlio gay, dal punto di vista della madre di quest’ultimo” (De
Santis, R., Il nuoro, Ventimiglia, cooperS editrice, 1996), puttano, prostituto,
sirenetto “uomo che posa in costume da bagno”.

Per formare il maschile da nomi di animali epiceni di genere femminile la tecnica


sembra usata soprattutto quando il nome di animale è usato in senso metaforico con
riferimento a un essere umano di sesso maschile: una ricerca in Internet mi ha
permesso di reperire attestazioni di civetto, cicogno (autodefinizione di un
ginecologo), e giovane marmotto (nel titolo di una storia con protagonista Paperino).
In contesti umoristici è possibile però anche la formazione di maschili non metaforici,
come nel seguente esempio reperito in un sito che raccoglie barzellette sugli animali:
«il rano disse alla rana: andiamo a fare un girino». Un femminile di cui ho trovato
attestazione solo in senso metaforico è ghira “ragazza che dorme molto”.

La tecnica del cambio di classe flessiva è inoltre utilizzata anche per la formazione di
nomi di umani di genere definito a partire da nomi di inanimati, come quelli in (4):

(4a) capa, tipa, modella, stronza, ?membra1


(4b) un losco figuro, un fesso (dal meridionale fessa “vulva”)

La stessa tecnica è utilizzata per la formazione di nomi di inanimati di genere


adeguato al sesso cui sono concettualmente associati, come pillolo “pillola
anticoncezionale maschile” (esempi in Brunet 1982, 106). Da un punto di vista
diacronico, nella stessa categoria rientra cazzo “organo sessuale maschile”, se si
accetta l’ipotesi di Schweickard 1995 della derivazione da cazza “mestolo”.
L’esistenza di coppie denotanti individui maschio e femmina di una stessa specie
formate assegnando una stessa radice rispettivamente alla classe flessiva in -a/-e e in
-o/-i permette la reinterpretazione scherzosa come mozioni di forme esistenti, solo
casualmente omofone con il risultato di una mozione non attualizzata: in barzellette
su animali reperite tramite una ricerca in Internet ho trovato attestate attualizzazioni
che richiedono un’interpretazione come nome di animale di uno o dell’altro sesso per
le seguenti forme: capriola, tassa, baleno, razzo. Lo stesso tipo di attualizzazione di
interpretazioni possibili ma non di norma è richiesto per risolvere le «crittografature»
di due versi del Cinque maggio di Alessandro Manzoni, proposte da Stefano
Bartezzaghi nella sua rubrica «Lessico e nuvole», pubblicata settimanalmente su Il
Venerdì di Repubblica (e nel sito www.repubblica.it): Moby Dick innamorata

1
I nomi inanimati usati metaforicamente per designare umani si comportano in modi vari rispetto alla mozione. Alcuni ( tipo,
stronzo) presentano mozione come gli altri nomi di persona; altri presentano un comportamento variabile, con le mozioni usate
solo in registri colloquiali o non-standard (Maria è membro / *membra del Senato accademico, ma più facilmente La
professoressa Rossi è membra interna nella commissione di maturità; Maria è capo / *capa del progetto, ma colloquialmente
Maria è la mia capa); altri ancora non presentano affatto mozione (Piero è una mia vecchia fiamma / *un mio vecchio fiammo,
Madonna è stata un idolo / *un’idola dei giovani).
(soluzione: Tenea dietro al baleno) e Morgana sembra in attesa del suo ganzo
(soluzione: Come aspettando il fato).

5.1.1.1.12.2. I TIPI INFERMIERE / INFERMIERA, ACCATTONE / ACCATTONA,


TINTORE / TINTORA AMT

Questo tipo è in parte analogo al precedente, nel senso che l’assegnazione alla classe
di flessione in -a/-e è sfruttata come segno della mozione, ma a partire da nomi
maschili in -e. Qui la mozione si ha però solo nella direzione maschile  femminile,
non nella direzione opposta (a partire da un femminile in -a, il risultato della mozione
è sempre un maschile in -o/-i, come si è detto in 5.1.1.1.12.1.). Si hanno femminili in
-a da maschili in -e di tre categorie: (a) nomi in -iere; (b) nomi in -one, sia deverbali
(accattone, arraffone ecc.) sia denominali (amicone, barbone ecc.); (c) alcuni nomi in
-tore, -sore o -ore (pastore, tintore, assessore, controllore, priore ecc.). Inoltre, ha il
femminile in -a lessicalizzato marchese, mentre gli altri titoli nobiliari hanno
normalmente il femminile in -essa (cfr. 5.1.1.1.12.6.). Probabilmente la formazione
di *marchesessa è stata evitata perché avrebbe creato un contesto di applicazione di
aplologia.2
Si tende a formare femminili in -a anche da nomi di inanimati o di animali in -e
usati metaforicamente con riferimento a umani (ho udito in parlato spontaneo
cogliona, salama, verma); da nomi di animali in -e si ha anche qualche femminile in -
a con il senso di “femmina della specie”: maiala, cappona (e anche bua, attestato in
un gioco di parole basato sulle due possibili interpretazioni di bua come “dolore
fisico” e come “femmina del bue”).

2
Si osservi che marchese non è trattato come nome di genere comune, diversamente da quanto accade per gli etnici in -ese e per
borghese. Secondo Ursula Doleschal (comunicazione personale) ciò è dovuto al fatto che solo marchese, tra i vocaboli in -ese,
non è anche un aggettivo.
5.1.1.1.12.3. NOMI DI GENERE COMUNE AMT

La grammatica tradizionale riconosce una categoria di nomi detti di genere comune,


che presentano la stessa forma (almeno nel singolare) sia per il maschile che per il
femminile, ma si comportano diversamente per quanto riguarda l’accordo.

5.1.1.1.12.3.1. I TIPI IL CANTANTE / LA CANTANTE, IL PRESIDE / LA PRESIDE


AMT

Alcuni nomi d’agente della classe di flessione nominale con singolare in -e e plurale
in -i sono trattati come nomi di genere comune.3 Questo accade in particolare per i
nomi in -nte (sui quali cfr. 5.1.1.1.9. e 5.1.3.2.2.). Per una tendenza alla
ipercaratterizzazione del femminile, soprattutto in epoche in cui l’accesso delle donne
a certe professioni era assai limitato, ad alcuni nomi d’agente maschili in -nte
corrisponde un femminile in -essa (ad esempio, studentessa, presidentessa; cfr.
5.1.1.1.12.6.). Per la stragrande maggioranza dei nomi d’agente in -nte, però, un
femminile in -essa non solo non è attestato, ma appare decisamente inaccettabile:
*insegnantessa, *consulentessa.
Per i nomi d’agente in -e privi di un suffisso identificabile, quali vigile, giudice,
console la concorrenza tra l’uso del nome con entrambi i generi e l’uso di un
femminile in -essa è legata a dinamiche sociolinguistiche che verranno illustrate in
5.1.1.1.12.10. Per molti di questi nomi, comunque, un femminile in -essa non è mai
stato formato: preside, testimone, coniuge, consorte, erede, nipote.

5.1.1.1.12.3.2. IL TIPO IL GIORNALISTA / LA GIORNALISTA AMT

Ai nomi d’agente maschili in -a corrisponde a volte un femminile in -essa (cfr.


5.1.1.1.12.6.), ma nella maggior parte dei casi (nel caso dei nomi formati con il
suffisso -ista sempre) un femminile anch’esso in -a. Tuttavia, non è corretto
considerare questi nomi di genere comune, poiché il maschile e il femminile
3
Si noti che questa classe di flessione comprende nomi maschili e nomi femminili in proporzione praticamente uguale nel
vocabolario di base, cfr. Thornton / Iacobini / Burani 19972, 79.
appartengono a diverse classi di flessione: i maschili hanno il plurale in -i, i femminili
in -e. I femminili in -a corrispondenti a maschili in -a possono quindi essere
analizzati, al pari dei femminili in -a corrispondenti a maschili in -o o in -e, come
conversioni di radice con assegnazione del nome convertito alla classe di flessione
tipica dei femminili (cfr. già Doleschal 1990, 247). Appartengono a questo tipo, oltre
ai nomi in -ista, i nomi in -cida e -iatra e alcuni nomi senza un suffisso identificabile,
quali atleta, collega, ipocrita, stratega (cfr. Serianni 1989a, cap. III, § 80).

5.1.1.1.12.4. IL TIPO SCALATORE / SCALATRICE AMT

Ai nomi d’agente deverbali maschili in -tore (cfr. 5.1.3.2.1.) corrisponde in rari casi
un femminile in -a (come tintora; cfr. 5.1.1.1.12.2.) o in -essa (dottoressa; cfr.
5.1.1.1.12.6.), ma nella stragrande maggioranza dei casi un femminile in -trice, anche
in derivati con base opaca: autrice, attrice, pittrice. È difficile identificare i
neologismi in -trice, a causa della pratica lessicografica di non lemmatizzare
autonomamente i nomi d’agente femminili di cui sia a lemma il maschile, pratica
seguita sia dal DISC che dai dizionari di neologismi. Tuttavia, un nome d’agente
femminile in -trice appare possibile, al limite come occasionalismo, ogni volta che la
semantica del verbo base permette la formazione di un nome d’agente maschile in -
tore: ad esempio smistatrice, vendemmiatrice, cardatrice, doppiatrice, intagliatrice,
legatrice, tutti registrati dal DISC come nomi di macchine creati nel XX secolo, mi
appaiono interpretabili anche come nomi di agenti femminili. In un sito dedicato alla
formazione professionale femminile ho trovato elencate le seguenti professioni:
coltivatrice diretta, allevatrice zootecnica, viticoltrice, acquacoltrice, floricoltrice,
agricoltrice, operatrice ambientale e operatrice ecologica, verificatrice ambientale.

5.1.1.1.12.5. I FEMMINILI DEI MASCHILI IN -SORE AMT

Ai nomi d’agente maschili in -sore corrisponde in un caso un femminile in -essa


lessicalizzato, professoressa (cfr. 5.1.1.1.12.6.), ma più spesso un femminile in -a,
come assessora (cfr. 5.1.1.1.12.2.), o un femminile in -trice formato a partire dal
tema del verbo base. La scelta tra queste due ultime possibilità sembra governata
lessicalmente, e in qualche caso si hanno entrambe le formazioni: ad esempio, nello
Statuto del comune di Pisa (entrato in vigore il 25 marzo 2001), l’Art. 50 si intitola
Difensore/difenditrice civico/a, mentre la Legge provinciale 10 luglio 1996, n. 14.
della provincia autonoma di Bolzano si intitola Difensore civico/difensora civica
della provincia autonoma di Bolzano. Una ricerca in Internet di diversi femminili
possibili corrispondenti a maschili in -sore ha permesso di reperire un’occorrenza di
evaditrice [fiscale], una di persuaditrice [occulta], diverse di posseditrice, ma anche
una occorrenza ciascuna di oppressora, precursora, recensora, revisora, tre
occorrenze di successora e diverse di difensora (come ruolo nel calcio femminile, o
come ruolo assunto da una ministra nei confronti di determinate opzioni legislative).

5.1.1.1.12.6. I FEMMINILI IN -ESSA AMT

Il suffisso -essa si presenta in poche decine di nomi indicanti donne o animali di


sesso femminile. Tra i nomi di animali, sono lessicalizzati leonessa e elefantessa,
corrente cinghialessa; altri (capponessa) sono attestati ma rari, e spesso in
concorrenza con una mozione in -a. Sono lessicalizzati anche i nomi di creature
fantastiche di sesso femminile orchessa e diavolessa. Tra i nomi indicanti esseri
umani, un gruppo compatto è rappresentato da nomi indicanti titoli nobiliari (riferiti a
donne in possesso del titolo in prima persona, o a mogli e/o figlie di un nobile):
duchessa (con granduchessa e arciduchessa), contessa e viscontessa, baronessa,
principessa. Per queste voci non risultano concorrenti con altri procedimenti
formativi (anche se °barona, nel senso metaforico di “docente universitaria di grande
potere” è senz’altro immaginabile). Un altro gruppo ben saldo nell’uso (anche se con
referenti soprattutto di ordine storico) è composto da nomi di ruoli religiosi svolti da
donne: profetessa, sacerdotessa, diaconessa, papessa e l’opaco badessa. Si ha poi un
certo numero di nomi in -essa da basi che indicano gradi militari e cariche politiche o
amministrative; spesso questi nomi sono stati coniati per riferirsi alle mogli di uomini
che esercitavano il ruolo indicato dalla base, in epoche in cui tali ruoli erano preclusi
alle donne. Tra gli esempi citiamo giudicessa, presidentessa, sindachessa,
generalessa, ufficialessa, capitanessa, dogaressa (da doge, con allomorfia della
base), ministressa. In epoca recente, alcune di queste formazioni sono state
riutilizzate per indicare donne che ricoprissero quei ruoli ormai per loro possibili; ma
per la formazione di nomi di professioni femminili il suffisso -essa è in forte
concorrenza con altri procedimenti, come si dirà in 5.1.1.1.12.10. Tra i nomi d’agente
in -essa che indicano donne che svolgono determinate professioni o ruoli sono
piuttosto saldi nell’uso dottoressa, professoressa, studentessa, campionessa,
poetessa.
Le basi delle mozioni in -essa sono in prevalenza maschili in -e; in qualche caso si
sono formati femminili in -essa da maschili in -tore (procuratessa “moglie di un
procuratore di San Marco nella repubblica di Venezia” (con una perdita di -or- non
chiara, definita dal DISC aplologia; cfr. però anche procuratia), fattoressa,
dottoressa) o in -iere (cavalieressa), che normalmente subiscono altri tipi di mozione
(cfr. 5.1.1.1.12.2. e 5.1.1.1.12.4.); alcune formazioni anche da maschili in -nte:
brigantessa, mercantessa, gigantessa, presidentessa. Sono in -essa anche i femminili
da alcuni maschili in -a: papessa, poetessa, profetessa, oltre che duchessa. Da
maschili in -o i femminili in -essa sono assai meno numerosi, e nettamente più
esposti alla concorrenza di altri procedimenti.4
La formazione di femminili in -essa non è molto produttiva (cfr. anche Cortelazzo
1995): il DISC lemmatizza solo sei formazioni del XIX secolo (generalessa,
viscontessa (ma contessa esiste dal XII secolo), patronessa, capponessa, satrapessa,
sindachessa) e tre del XX, tutte attestate già nella prima metà del secolo: ministressa
(a. 1939), ufficialessa (a. 1940) e brigantessa (a. 1950). Tuttavia si hanno alcune
formazioni recenti non registrate dal DISC (avvocatessa, deputatessa), qualche
occasionalismo (architettessa) e qualche coniazione infantile («Ma io non lo sapevo

4
Doleschal 1990, 246 nota: «Systematisch ausgenommen von der Movierung durch -essa sind die mit -ai-o, -ari-o, -aiol-o, -an-o,
-es-e, -ier-e, -in-o, -ist-a, -on-e suffigierten Maskulina».
che tu eri una fulminessa!» [cioè donna veloce come un fulmine] (Marco S., 3 anni, 8
mesi e 25 giorni)).

Tra fine Ottocento e prima metà del Novecento i femminili in -essa sono stati creati
soprattutto da autori di sesso maschile e utilizzati in contesti in cui è evidente una
valutazione spregiativa delle donne designate. Se ne ha prova leggendo alcuni dei
contesti citati nel GDLI per esemplificare le voci di conio più recente: «La borghesia
mostra […] di promuovere la poesia nazionale come la coltura della barbabietola e la
pollicoltura; e voi non vi credete in obbligo di comporre madrigali a ogni sua voglia,
empire gli albi di tutte le Maintenon ministresse in ritiro, di tutte le Pompadour
generalesse in attività?» (Carducci, in un brano citato sotto entrambe le voci); «infino
le donnicciuole e vecchierelle voglion fare da medichesse; e quasi che elle sieno le
satrapesse dell’arte…» (A.F. Bertini, citato s.v. satrapessa). La connotazione
spregiativa della maggior parte delle formazioni in -essa permane anche nell’italiano
contemporaneo, come vedremo in 5.1.1.1.12.10.

5.1.1.1.12.7. IL TIPO EROINA E I FEMMINILI IN -INA AMT

Un suffisso -ina usato per la mozione al femminile è segmentabile in un piccolo


gruppo di parole: gallina, regina (con allomorfia della base rispetto al maschile re) e
il suo parallelo viceregina “moglie del viceré”, eroina, zarina (modellato sul tedesco
Zarin), speakerina (modellato sul francese speakerine). Inoltre il suffisso o una
terminazione ad esso omofona sono presenti in diversi altri nomi d’agente femminili,
che non hanno, per motivi pragmatici o culturali, un corrispondente maschile:
crocerossina, mondina, filandina, ondina, orsolina, vincenzina “religiosa che
appartiene alla congregazione delle Figlie della Carità, fondata da San Vincenzo de’
Paoli”, con base opaca chellerina, e anche sgualdrina e beghina, nelle quali la
sequenza /ina/ non è (almeno sincronicamente) un suffisso, ma che possono rientrare
in una serie paradigmatica di nomi d’agente indicanti ruoli tipicamente femminili.
Convergono nel produrre nomi d’agente in -ina diversi processi formativi: in alcuni
casi -ina è il femminile del suffisso d’agente -ino (cfr. 5.1.1.1.7. e 5.1.3.2.3.), in altri
un adattamento del suffisso di mozione femminile tedesco -in, in altri il femminile
del suffisso aggettivale -ino (cfr. 5.2.1.) con sostantivazione dell’aggettivo. La
mozione tramite -ina non è un processo produttivo, mentre la formazione di nomi di
mestieri o professioni tipicamente femminili con -ina ha avuto una minima
produttività nel XX secolo (mondina è datato al 1908, filandina al 1942).

5.1.1.1.12.8. I TIPI DONNA POLIZIOTTO, MAMMA PORCOSPINO,


MINISTRO DONNA, VOLPE MASCHIO AMT

Un altro procedimento utilizzato per la mozione è di tipo non derivazionale ma


compositivo: si creano composti che hanno come testa un nome dalla referenza
sessuale definita e come modificatore un nome di professione o di animale epiceno, o
viceversa. In ogni caso la testa è flessa e il modificatore rimane invariato.
Nel caso che la referenza sessuale definita sia nel nome testa, i nomi più usati sono
donna per i nomi di professione (donna ministro, donna poliziotto, donna manager,
donna magistrato, donna sacerdote ecc. (Sabatini 1987, 54–55)) e nomi di ruoli di
parentela nelle fiabe con protagonisti animali: uno spoglio parziale di Piccoli racconti
di animali nel mondo (testi di Pierangela Fiorani, Milano, Dami, 1998) mi ha
permesso di reperire attestazioni di mamma cinghiale, nonno marmotta, mamma
camoscio, mamma porcospino.
Quando il nome con referenza sessuale definita è il modificatore, la scelta si riduce
a donna per i nomi d’agente (candidato donna, magistrato donna (Sabatini 1987, 54–
55)) e a maschio e femmina per la mozione di nomi di animali epiceni.5
Per i nomi di animali, infine, la designazione di referenti di cui è esplicitato il sesso
può avvenire anche tramite sintagmi del tipo una femmina di camoscio, che esulano
dal dominio della formazione delle parole.

5
L’uso di uomo per formare mozioni al maschile è molto più raro: alcuni informanti hanno proposto la forma baby sitter uomo, e
Paolo D’Achille mi ha segnalato di aver udito una maschera uomo (nel senso di “uomo che accompagna gli spettatori al proprio
posto al cinema o al teatro”).
5.1.1.1.12.9. ALTRI TIPI AMT

Restano da segnalare alcuni casi isolati di coppie di nomi legate per mozione, in cui
si è fatto uso di suffissi non normalmente usati con questa funzione: strega / stregone,
dama / damerino, e marchesana come femminile di marchese.
Si ha poi una coppia di nomi di animali che presenta un’allomorfia della radice che
non ha paralleli in altre forme: camoscio / camozza.
Infine, il riferimento a esseri di sesso femminile può realizzarsi con procedimenti
sintattici, modificando nomi maschili con sintagmi quali al femminile, in gonnella, in
rosa.

5.1.1.1.12.10. USO DEI DIVERSI TIPI DI MOZIONI AL FEMMINILE AMT

Abbiamo osservato più volte nei paragrafi precedenti che in alcuni casi diversi
procedimenti di mozione sono in concorrenza. Ad esempio, per designare una donna
eletta al Parlamento sono teoricamente possibili tutte le seguenti denominazioni: il
deputato, la deputata, la deputatessa, la donna deputato, il deputato donna. 6 La
scelta dipende innanzitutto dall’orientamento personale del(la) parlante: alcune donne
preferiscono una designazione al maschile delle alte cariche da esse ricoperte (così
Irene Pivetti, presidente della Camera dei deputati nel periodo 1994–1996, che
insisteva per essere definita il presidente), altre insistono per la visibilità del sesso del
referente in ogni circostanza, altre posizioni sono legate a fatti anche idiosincratici
propri di singole voci (ad esempio, architetta è rifiutato da alcune donne per
l’omofonia delle ultime due sillabe con il nome di una parte del corpo troppo
sessualmente connotata). Nel 1987 sono state pubblicate dalla Commissione
nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri delle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua

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Non è chiaro se sia possibile anche un tipo la deputato. Questo tipo è brevemente discusso da Cardinaletti / Giusti 1991, 181, che
mettono in rilievo le difficoltà di flessione al plurale e di accordo cui darebbe luogo, citando esempi come * le ministri / ??le
ministro, *ministri impegnate. Il tipo (nome d’agente maschile con modificatori accordati al femminile) non è attestato nell’ac-
curata raccolta di dati presentata in Sabatini 1987. Un caso vicino è rappresentato da la soprano, in cui soprano, nome
originariamente maschile, viene accordato al femminile in quanto tale ruolo è oggi svolto esclusivamente da donne. La soprano va
analizzato come una conversione di parola, con cambio di classe di flessione: mentre il soprano ha come plurale i soprani, la
soprano ha come plurale le soprano, cioè è invariabile come gli altri femminili in -o, esclusa mano (cfr. le foto, le biro).
italiana, stilate a seguito di una ricerca di Alma Sabatini 1987. 7 Per quanto riguarda i
diversi procedimenti di mozione illustrati nei paragrafi precedenti, si raccomanda di
evitare di usare al maschile nomi di mestieri, professioni, cariche quando il femminile
esiste o «può esser formato senza recar disturbo alla lingua», di evitare di usare con
articoli e concordanze maschili nomi di genere comune, e di evitare di formare un
femminile con l’aggiunta del suffisso -essa o anteponendo o posponendo il
modificatore donna. Per i femminili dei nomi in -sore le Raccomandazioni
prescrivono -sora, e valutano positivamente anche l’uso di femminili in -tora in
corrispondenza con maschili in -tore. Il bando ai nomi in -essa è quasi assoluto: sono
dichiarate accettabili le forme professoressa e dottoressa, e anche profetessa in
contesti di discorso storico, ma si rifiutano poetessa, studentessa e tutti i femminili in
-essa da nomi maschili in -e e in -a. Le Raccomandazioni non si pronunciano però sui
titoli nobiliari in -essa (presumibilmente perché tali titoli sono stati aboliti dalla
Costituzione della Repubblica), né sui rari femminili in -ina.
Queste raccomandazioni non sono però legge: esse possono essere seguite o meno,
o anche solo parzialmente, nei testi prodotti da istituzioni dello stato o dalla stampa.
Una ricognizione dell’uso corrente mostra un quadro di sostanziale compresenza di
tutti i diversi procedimenti, come documentano le citazioni seguenti:

(5) Le donne dell’Udi Modena ricordano con affetto


OSANNA MENABUE
segretaria dell’Udi nella metà degli anni Sessanta e sempre legata alle
iniziative delle donne con lo sguardo istituzionale per la sua presenza come
consigliera della Regione Emilia Romagna e come Assessore alla Sanità e
Servizi Sociali del Comune di Modena…
(annuncio funebre, L’Unità, 28–11–1995)
(6) Tra gli altri nomi illustri che hanno aderito all’appello per Erica, Katia
Bellillo (ministro degli Affari regionali), Grazia Francescato (segretario dei
Verdi), Tana De Zulueta (senatrice Ds), Franca Rame, Dario Fo, Maura
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Le Raccomandazioni sono state recensite e discusse da alcune linguiste e linguisti: cfr. Lepschy 1987a, 1989, Cardinaletti / Giusti
1991.
Cossutta, Rosa Russo Jervolino, Marida Bolognesi (presidente commissione
Affari Costituzionali), Alda Merini, Roberto Mancini. (La Repubblica, 3–6–
2000)
(7) E così un ministro della Repubblica si è prodotto in un impetuoso lancio del
microfono, sia pure isolato, contro una parlamentare dell’opposizione,
mentre una deputata al Parlamento ha assestato un calcio sulle ginocchia, sia
pure repentino, a un membro del governo. (La Repubblica, 31–1–2001)

Si noti che nel testo (7) le protagoniste sono solo due, e entrambe donne: Alessandra
Mussolini, definita una parlamentare dell’opposizione e una deputata al Parlamento,
e Katia Bellillo, definita un ministro della Repubblica e un membro del governo. Un
lettore che ignori la situazione cui il testo si riferisce, tuttavia, sarebbe portato a
interpretarlo come il resoconto di due diversi scontri tra politici, e ciascuno tra due
persone di sesso diverso.
In generale nella stampa si usano le mozioni al femminile di nomi di cariche e
professioni quando il contesto presenta un sia pur minimo legame con la sessualità, e
si preferiscono le designazioni al maschile in contesti neutri o nei quali una donna
svolge azioni ritenute tipicamente maschili: una ricerca da me effettuata sul sito de La
Repubblica ha mostrato che Katia Bellillo, Ministro delle Pari Opportunità del
secondo governo Amato, è stata definita il ministro in articoli che riferiscono che ha
prestato giuramento, ha votato contro un provvedimento, ha aderito a un appello, ha
manifestato la sua solidarietà, ha rilasciato una dichiarazione, e anche quando ha
lanciato un microfono e quando si è fatta promotrice della campagna «le donne sul
ring», ma ministra quando ha ribattuto alle obiezioni dei farmacisti sulla «pillola del
giorno dopo». Anche ministressa appare solo con connotazione negativa,
confermando il valore spregiativo delle formazioni in -essa, come è evidente dalle
due citazioni seguenti:

(8) Ministro può diventare ministra, con quella pessima assonanza casereccia
che si porta dietro o peggio ancora ministressa. (Guido Martinotti, Internet,
25–3–1999)
(9) Ma il direttore di una mostra italiana del cinema come Venezia, non può non
dare nulla. Non può fingere che il cinema italiano non esista, davanti alle tv
produttrici, a Cinecittà in versione Gillo Pontecorvo, alla ministressa
Giovanna Melandri che già prepara discorso e valigie. (Marco Giusti,
L’Espresso, 26–08–1999)

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