Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Nel vocabolario di base dell’italiano (De Mauro 1980, 199111), gli effetti della
mozione, cioè la presenza di coppie di nomi indicanti individui dei due sessi che
appartengono alla stessa specie e/o che svolgono la stessa funzione, si osservano nel
60,5% dei nomi animati: in particolare, hanno un nome derivato per mozione il
69,2% dei nomi indicanti esseri umani, e il 14,5% dei nomi indicanti animali (dati
elaborati da Di Domenico 1997 a partire da BDVDB (Thornton / Iacobini / Burani
1994)). In questi calcoli non rientrano quei nomi di animati che designano individui
dei due sessi di una stessa specie o funzione tramite parole con radici diverse («nomi
indipendenti» secondo Serianni 1989a, cap. III, § 74), come padre / madre, bue e toro
/ mucca. La formazione di questo tipo di coppie non è ovviamente produttiva, e non
rientra quindi tra i procedimenti di mozione che esamineremo.
In questo capitolo illustreremo i diversi mezzi utilizzati in italiano per derivare nomi
per mozione. Ricorderemo inoltre anche i rari casi di formazione di nomi di animati
con referenza sessuale definita a partire da nomi di inanimati, e i rarissimi casi di
cambio di genere in nomi di inanimati appartenenti a campi semantici legati in
qualche modo alla sfera della sessualità. Non tratteremo invece il caso di coppie di
nomi di inanimati con diverso genere, come i tipi melo / mela, buco / buca, che non
rientrano nel campo della mozione (questi tipi sono illustrati normalmente nelle
grammatiche dell’italiano: cfr. Serianni 1989a, cap. III, §§ 31–42; Brunet 1982, 17–
37; cfr. anche 7.2.1.3.).
Illustreremo dapprima i diversi procedimenti di mozione possibili nel sistema della
lingua italiana contemporanea, rimandando a un paragrafo conclusivo (5.1.1.1.12.10.)
la discussione sui fattori che regolano l’uso delle diverse formazioni e neoformazioni.
La tecnica del cambio di classe flessiva è inoltre utilizzata anche per la formazione di
nomi di umani di genere definito a partire da nomi di inanimati, come quelli in (4):
1
I nomi inanimati usati metaforicamente per designare umani si comportano in modi vari rispetto alla mozione. Alcuni ( tipo,
stronzo) presentano mozione come gli altri nomi di persona; altri presentano un comportamento variabile, con le mozioni usate
solo in registri colloquiali o non-standard (Maria è membro / *membra del Senato accademico, ma più facilmente La
professoressa Rossi è membra interna nella commissione di maturità; Maria è capo / *capa del progetto, ma colloquialmente
Maria è la mia capa); altri ancora non presentano affatto mozione (Piero è una mia vecchia fiamma / *un mio vecchio fiammo,
Madonna è stata un idolo / *un’idola dei giovani).
(soluzione: Tenea dietro al baleno) e Morgana sembra in attesa del suo ganzo
(soluzione: Come aspettando il fato).
Questo tipo è in parte analogo al precedente, nel senso che l’assegnazione alla classe
di flessione in -a/-e è sfruttata come segno della mozione, ma a partire da nomi
maschili in -e. Qui la mozione si ha però solo nella direzione maschile femminile,
non nella direzione opposta (a partire da un femminile in -a, il risultato della mozione
è sempre un maschile in -o/-i, come si è detto in 5.1.1.1.12.1.). Si hanno femminili in
-a da maschili in -e di tre categorie: (a) nomi in -iere; (b) nomi in -one, sia deverbali
(accattone, arraffone ecc.) sia denominali (amicone, barbone ecc.); (c) alcuni nomi in
-tore, -sore o -ore (pastore, tintore, assessore, controllore, priore ecc.). Inoltre, ha il
femminile in -a lessicalizzato marchese, mentre gli altri titoli nobiliari hanno
normalmente il femminile in -essa (cfr. 5.1.1.1.12.6.). Probabilmente la formazione
di *marchesessa è stata evitata perché avrebbe creato un contesto di applicazione di
aplologia.2
Si tende a formare femminili in -a anche da nomi di inanimati o di animali in -e
usati metaforicamente con riferimento a umani (ho udito in parlato spontaneo
cogliona, salama, verma); da nomi di animali in -e si ha anche qualche femminile in -
a con il senso di “femmina della specie”: maiala, cappona (e anche bua, attestato in
un gioco di parole basato sulle due possibili interpretazioni di bua come “dolore
fisico” e come “femmina del bue”).
2
Si osservi che marchese non è trattato come nome di genere comune, diversamente da quanto accade per gli etnici in -ese e per
borghese. Secondo Ursula Doleschal (comunicazione personale) ciò è dovuto al fatto che solo marchese, tra i vocaboli in -ese,
non è anche un aggettivo.
5.1.1.1.12.3. NOMI DI GENERE COMUNE AMT
Alcuni nomi d’agente della classe di flessione nominale con singolare in -e e plurale
in -i sono trattati come nomi di genere comune.3 Questo accade in particolare per i
nomi in -nte (sui quali cfr. 5.1.1.1.9. e 5.1.3.2.2.). Per una tendenza alla
ipercaratterizzazione del femminile, soprattutto in epoche in cui l’accesso delle donne
a certe professioni era assai limitato, ad alcuni nomi d’agente maschili in -nte
corrisponde un femminile in -essa (ad esempio, studentessa, presidentessa; cfr.
5.1.1.1.12.6.). Per la stragrande maggioranza dei nomi d’agente in -nte, però, un
femminile in -essa non solo non è attestato, ma appare decisamente inaccettabile:
*insegnantessa, *consulentessa.
Per i nomi d’agente in -e privi di un suffisso identificabile, quali vigile, giudice,
console la concorrenza tra l’uso del nome con entrambi i generi e l’uso di un
femminile in -essa è legata a dinamiche sociolinguistiche che verranno illustrate in
5.1.1.1.12.10. Per molti di questi nomi, comunque, un femminile in -essa non è mai
stato formato: preside, testimone, coniuge, consorte, erede, nipote.
Ai nomi d’agente deverbali maschili in -tore (cfr. 5.1.3.2.1.) corrisponde in rari casi
un femminile in -a (come tintora; cfr. 5.1.1.1.12.2.) o in -essa (dottoressa; cfr.
5.1.1.1.12.6.), ma nella stragrande maggioranza dei casi un femminile in -trice, anche
in derivati con base opaca: autrice, attrice, pittrice. È difficile identificare i
neologismi in -trice, a causa della pratica lessicografica di non lemmatizzare
autonomamente i nomi d’agente femminili di cui sia a lemma il maschile, pratica
seguita sia dal DISC che dai dizionari di neologismi. Tuttavia, un nome d’agente
femminile in -trice appare possibile, al limite come occasionalismo, ogni volta che la
semantica del verbo base permette la formazione di un nome d’agente maschile in -
tore: ad esempio smistatrice, vendemmiatrice, cardatrice, doppiatrice, intagliatrice,
legatrice, tutti registrati dal DISC come nomi di macchine creati nel XX secolo, mi
appaiono interpretabili anche come nomi di agenti femminili. In un sito dedicato alla
formazione professionale femminile ho trovato elencate le seguenti professioni:
coltivatrice diretta, allevatrice zootecnica, viticoltrice, acquacoltrice, floricoltrice,
agricoltrice, operatrice ambientale e operatrice ecologica, verificatrice ambientale.
4
Doleschal 1990, 246 nota: «Systematisch ausgenommen von der Movierung durch -essa sind die mit -ai-o, -ari-o, -aiol-o, -an-o,
-es-e, -ier-e, -in-o, -ist-a, -on-e suffigierten Maskulina».
che tu eri una fulminessa!» [cioè donna veloce come un fulmine] (Marco S., 3 anni, 8
mesi e 25 giorni)).
Tra fine Ottocento e prima metà del Novecento i femminili in -essa sono stati creati
soprattutto da autori di sesso maschile e utilizzati in contesti in cui è evidente una
valutazione spregiativa delle donne designate. Se ne ha prova leggendo alcuni dei
contesti citati nel GDLI per esemplificare le voci di conio più recente: «La borghesia
mostra […] di promuovere la poesia nazionale come la coltura della barbabietola e la
pollicoltura; e voi non vi credete in obbligo di comporre madrigali a ogni sua voglia,
empire gli albi di tutte le Maintenon ministresse in ritiro, di tutte le Pompadour
generalesse in attività?» (Carducci, in un brano citato sotto entrambe le voci); «infino
le donnicciuole e vecchierelle voglion fare da medichesse; e quasi che elle sieno le
satrapesse dell’arte…» (A.F. Bertini, citato s.v. satrapessa). La connotazione
spregiativa della maggior parte delle formazioni in -essa permane anche nell’italiano
contemporaneo, come vedremo in 5.1.1.1.12.10.
5
L’uso di uomo per formare mozioni al maschile è molto più raro: alcuni informanti hanno proposto la forma baby sitter uomo, e
Paolo D’Achille mi ha segnalato di aver udito una maschera uomo (nel senso di “uomo che accompagna gli spettatori al proprio
posto al cinema o al teatro”).
5.1.1.1.12.9. ALTRI TIPI AMT
Restano da segnalare alcuni casi isolati di coppie di nomi legate per mozione, in cui
si è fatto uso di suffissi non normalmente usati con questa funzione: strega / stregone,
dama / damerino, e marchesana come femminile di marchese.
Si ha poi una coppia di nomi di animali che presenta un’allomorfia della radice che
non ha paralleli in altre forme: camoscio / camozza.
Infine, il riferimento a esseri di sesso femminile può realizzarsi con procedimenti
sintattici, modificando nomi maschili con sintagmi quali al femminile, in gonnella, in
rosa.
Abbiamo osservato più volte nei paragrafi precedenti che in alcuni casi diversi
procedimenti di mozione sono in concorrenza. Ad esempio, per designare una donna
eletta al Parlamento sono teoricamente possibili tutte le seguenti denominazioni: il
deputato, la deputata, la deputatessa, la donna deputato, il deputato donna. 6 La
scelta dipende innanzitutto dall’orientamento personale del(la) parlante: alcune donne
preferiscono una designazione al maschile delle alte cariche da esse ricoperte (così
Irene Pivetti, presidente della Camera dei deputati nel periodo 1994–1996, che
insisteva per essere definita il presidente), altre insistono per la visibilità del sesso del
referente in ogni circostanza, altre posizioni sono legate a fatti anche idiosincratici
propri di singole voci (ad esempio, architetta è rifiutato da alcune donne per
l’omofonia delle ultime due sillabe con il nome di una parte del corpo troppo
sessualmente connotata). Nel 1987 sono state pubblicate dalla Commissione
nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri delle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua
6
Non è chiaro se sia possibile anche un tipo la deputato. Questo tipo è brevemente discusso da Cardinaletti / Giusti 1991, 181, che
mettono in rilievo le difficoltà di flessione al plurale e di accordo cui darebbe luogo, citando esempi come * le ministri / ??le
ministro, *ministri impegnate. Il tipo (nome d’agente maschile con modificatori accordati al femminile) non è attestato nell’ac-
curata raccolta di dati presentata in Sabatini 1987. Un caso vicino è rappresentato da la soprano, in cui soprano, nome
originariamente maschile, viene accordato al femminile in quanto tale ruolo è oggi svolto esclusivamente da donne. La soprano va
analizzato come una conversione di parola, con cambio di classe di flessione: mentre il soprano ha come plurale i soprani, la
soprano ha come plurale le soprano, cioè è invariabile come gli altri femminili in -o, esclusa mano (cfr. le foto, le biro).
italiana, stilate a seguito di una ricerca di Alma Sabatini 1987. 7 Per quanto riguarda i
diversi procedimenti di mozione illustrati nei paragrafi precedenti, si raccomanda di
evitare di usare al maschile nomi di mestieri, professioni, cariche quando il femminile
esiste o «può esser formato senza recar disturbo alla lingua», di evitare di usare con
articoli e concordanze maschili nomi di genere comune, e di evitare di formare un
femminile con l’aggiunta del suffisso -essa o anteponendo o posponendo il
modificatore donna. Per i femminili dei nomi in -sore le Raccomandazioni
prescrivono -sora, e valutano positivamente anche l’uso di femminili in -tora in
corrispondenza con maschili in -tore. Il bando ai nomi in -essa è quasi assoluto: sono
dichiarate accettabili le forme professoressa e dottoressa, e anche profetessa in
contesti di discorso storico, ma si rifiutano poetessa, studentessa e tutti i femminili in
-essa da nomi maschili in -e e in -a. Le Raccomandazioni non si pronunciano però sui
titoli nobiliari in -essa (presumibilmente perché tali titoli sono stati aboliti dalla
Costituzione della Repubblica), né sui rari femminili in -ina.
Queste raccomandazioni non sono però legge: esse possono essere seguite o meno,
o anche solo parzialmente, nei testi prodotti da istituzioni dello stato o dalla stampa.
Una ricognizione dell’uso corrente mostra un quadro di sostanziale compresenza di
tutti i diversi procedimenti, come documentano le citazioni seguenti:
Si noti che nel testo (7) le protagoniste sono solo due, e entrambe donne: Alessandra
Mussolini, definita una parlamentare dell’opposizione e una deputata al Parlamento,
e Katia Bellillo, definita un ministro della Repubblica e un membro del governo. Un
lettore che ignori la situazione cui il testo si riferisce, tuttavia, sarebbe portato a
interpretarlo come il resoconto di due diversi scontri tra politici, e ciascuno tra due
persone di sesso diverso.
In generale nella stampa si usano le mozioni al femminile di nomi di cariche e
professioni quando il contesto presenta un sia pur minimo legame con la sessualità, e
si preferiscono le designazioni al maschile in contesti neutri o nei quali una donna
svolge azioni ritenute tipicamente maschili: una ricerca da me effettuata sul sito de La
Repubblica ha mostrato che Katia Bellillo, Ministro delle Pari Opportunità del
secondo governo Amato, è stata definita il ministro in articoli che riferiscono che ha
prestato giuramento, ha votato contro un provvedimento, ha aderito a un appello, ha
manifestato la sua solidarietà, ha rilasciato una dichiarazione, e anche quando ha
lanciato un microfono e quando si è fatta promotrice della campagna «le donne sul
ring», ma ministra quando ha ribattuto alle obiezioni dei farmacisti sulla «pillola del
giorno dopo». Anche ministressa appare solo con connotazione negativa,
confermando il valore spregiativo delle formazioni in -essa, come è evidente dalle
due citazioni seguenti:
(8) Ministro può diventare ministra, con quella pessima assonanza casereccia
che si porta dietro o peggio ancora ministressa. (Guido Martinotti, Internet,
25–3–1999)
(9) Ma il direttore di una mostra italiana del cinema come Venezia, non può non
dare nulla. Non può fingere che il cinema italiano non esista, davanti alle tv
produttrici, a Cinecittà in versione Gillo Pontecorvo, alla ministressa
Giovanna Melandri che già prepara discorso e valigie. (Marco Giusti,
L’Espresso, 26–08–1999)