Una volta scelto il criterio, Azzolini decide di inondare in modo ossessivo il suo
dizionario di derivati. Ecco un piccolo campionario riferito a un solo aggettivo:
BULBER -A. agg. Burbero, austero, burbanzoso.
BULBERAZ, BULBEROM. accr. di bulber. Burbero grande, burberone.
BULBERAZ -AZZA, BULBEROM -ONA. accr. di BULBER -A. Assai burbero, austero.
BULBEROT. dim. di BULBER. Piccolo burbero.
BULBEROT -OTTA. dim. di BULBER -A. Perché no bulberetto, austeretto, burbanzosetto?
Il “perché no?”, che si ripete per centinaia di volte in tutto il vocabolario, indica la
proposta di un alterato possibile nella lingua italiana, come il derivato in -otta
dell’esempio, ma che nessun roveretano ha mai usato. Qualcosa di simile accade nel
vocabolario siciliano del Traina, che include cultismi inutili come cuntaggiusissimu,
superlativo di cuntagiusu, o cuntaggiusamenti.
Parliamo adesso dell’atteggiamento didattico, che distingueremo in due
sottotipologie, l’una necessariamente opposta all’altra. La prima riguarda
l’insegnamento di una parola italiana da una dialettale e ha un periodo di punta nel
corso dell’Ottocento, ma si esaurisce presto durante il secolo successivo con
l’avanzamento dell’italianizzazione. Fornire un corrispettivo italiano alle parole del
dialetto è la logica con cui i più noti esponenti della cultura manzoniana promossero
nel 1890 un concorso governativo per il miglior dizionario dialettale atto a favorire
l’apprendimento dell’italiano; nella commissione sedeva anche Graziadio Isaia
Ascoli, per un momento anche nella veste di presidente.
La seconda riguarda invece il processo inverso: si scrivono i vocabolari dialettali per
tentare di riportare i giovani ad usare il dialetto, ad esempio con una glossa in italiano
per rendere chiaro il significato, non sempre afferrabile, di una parola del dialetto.
Tuttavia, fermare il tempo è impossibile e nessun vocabolario è dunque mai riuscito a
portare le nuove generazioni alla lingua dei padri.
Infine, la ricerca della differenzialità, della quale abbiamo già dato qualche cenno
come dicevamo. Aggiungiamo soltanto una breve notazione di Rohlfs, tesa a
illustrare i criteri di inclusione e di esclusione nel suo VDS:
“Non ho avuto l’intenzione di accumulare nel mio Vocabolario tutte quelle voci che in tempi recenti
o passati sono state prese dalla lingua comune italiana [...] e ho dato poca importanza alle parole
appartenenti a tutta la regione salentina senza varianti notevoli”