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L’idea di selezionare i due paper riguardanti l’aspetto semantico, di Davis e Yee e di Louwerse, nasce

dall’interesse nei confronti della natura e dell’origine del significato. Già in passato avevo affrontato la
questione del “significato”, con le relative discussioni relative al legame presente o assente di un simbolo
linguistico con l’entità cui si riferisce. Risolvere la questione chiudendoci nel sistema lingua non mi è mai
parso conveniente, ma altresì spiegare la relazione con il mondo non è semplice. Concordo con la
riflessione di Lakoff e Nunez: l’uomo è corpo immerso in un ambiente, pertanto il suo legame è inscindibile
e quindi difficilmente definibile. E anche il sistema lingua, credo bene, non può essere solo un insieme di
segni arbitrari. Davis e Yee illustrano con la forza dei risultati la validità dei modelli ibridi, incarnati e
computazionali, che combinano i due approcci dimostrando la necessità di superare le barriere teoriche.
Louwerse è invece molto coraggioso, non tanto per la sua teoria dell’interdipendenza simbolica, quanto per
le ricerche sperimentali che ne conseguono. Da un lato, nel cercare di dimostrare come un soggetto
totalmente ignaro di una lingua possa organizzare il contenuto semantico di diverse parole (anche astratte)
di quella lingua ignota; e ancora di più, nel provare a dimostrare il rapporto non strettamente arbitrario tra
suono di una parola e concetto che richiama, sfida caparbia e da riaffrontare con strumenti diversi di un
semplice test sperimentale ad alcuni soggetti. Questi paper gettano le basi per una nuova sfida e i due
successivi che ho selezionato la raccolgono. Guilbeault analizza sapientemente alcuni diversi concetti
astratti, facenti parte di tre tassonomie diverse, a partire dalla distribuzione di colori che presentano. La
ricerca è stimolante, fornisce risultati validi ma ha ancora bisogno di superare le barriere e i pregiudizi
culturali: pertanto offre spunti futuri per nuove ricerche dello stesso tipo. Fuhrman e colleghi hanno invece
tentato di lavorare con uno strumento decisamente innovativo. Mi affascina la potenza della tecnologia e
non ho resistito ad un esperimento tramite l’utilizzo della realtà virtuale. Studiandone però le metodologie
e osservando i risultati deludenti, comprendo però che grandi e innovativi strumenti debbano essere
comuqnue usati sapientemente e che la sola tecnologia non può comunque bastare se l’esperimento ha
delle mancanze già alla base. Tuttavia, anche questo resta un campo vivissimo, da non sottovalutare nel
futuro prossimo, anzi direi proprio nel presente.

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