La pedagogia linguistica tradizionale ha soltanto costruito nuove barriere: ancora oggi un’acca di troppo o
di meno è stigmatizzata come il più grave degli errori, ben di più di un pensiero sconnesso e mal formulato.
Discorso simile varrebbe anche per l’uso quotidiano del dialetto di provenienza, molto spesso sola varietà a
disposizione di tanti parlanti, ma ripugnato da certi “dotti” come strumento rozzo e ormai obsoleto. I buoni
propositi non dovranno quindi riguardare soltanto studenti e professori, ma l’intera società di italofoni. La
componente dialettale non potrà essere trascurata, ma dovrà invece servire come strumento per
potenziare le abilità linguistiche dei più giovani e dovrà valere come serbatoio storico e come patrimonio
culturale da coltivare. In una prospettiva ormai globalizzata, l’italiano non può infine descriversi solo come
lingua degli italiani. Serve grande attenzione a tutte le varietà linguistiche, che serviranno come inevitabile
punto di partenza e come base di confronto per un percorso, che non può essere la semplice traduzione 1:1
delle parole. Parlare una lingua è molto più che conoscerne il lessico o le quattro regolette di base: vuol dire
viverla, conoscerne la comunità, condividere esperienze e bisogni.