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Era la prima volta che mi affacciavo alla lettura integrale del testo delle Dieci Tesi.

Negli anni precedenti,


avevo soltanto avuto modo di sentirne parlare, prima di conoscerli più da vicino durante una lezione in
novembre di Morfosintassi. Diversi aspetti del testo mi hanno colpito, non tanto per l’originalità delle
riflessioni, quanto per la capacità di inquadrare un problema chiaro. Al di là delle promesse, la scuola
italiana non ha ancora oggi la forza di affrontare questioni come la variabilità sociolinguistica, la conoscenza
vera e non soltanto nozionale della grammatica, la capacità reale di sapere interpretare anche un testo dei
più semplici e basilari. Un punto che merita attenzione è poi la pertinenza al registro, il sapere maneggiare
con destrezza le proprie abilità lessicali, in un lavoro puntuale di scelta dei termini più esatti e convenienti al
tema in questione. Spesso ci si perde in elucubrazioni complesse solo per dare sfoggio di sé, ma il concetto
si perde e resta incomprensibile; quindi la lingua perde di vista la sua prima funzione, che è quella di
comunicare qualcosa a qualcuno.

La pedagogia linguistica tradizionale ha soltanto costruito nuove barriere: ancora oggi un’acca di troppo o
di meno è stigmatizzata come il più grave degli errori, ben di più di un pensiero sconnesso e mal formulato.
Discorso simile varrebbe anche per l’uso quotidiano del dialetto di provenienza, molto spesso sola varietà a
disposizione di tanti parlanti, ma ripugnato da certi “dotti” come strumento rozzo e ormai obsoleto. I buoni
propositi non dovranno quindi riguardare soltanto studenti e professori, ma l’intera società di italofoni. La
componente dialettale non potrà essere trascurata, ma dovrà invece servire come strumento per
potenziare le abilità linguistiche dei più giovani e dovrà valere come serbatoio storico e come patrimonio
culturale da coltivare. In una prospettiva ormai globalizzata, l’italiano non può infine descriversi solo come
lingua degli italiani. Serve grande attenzione a tutte le varietà linguistiche, che serviranno come inevitabile
punto di partenza e come base di confronto per un percorso, che non può essere la semplice traduzione 1:1
delle parole. Parlare una lingua è molto più che conoscerne il lessico o le quattro regolette di base: vuol dire
viverla, conoscerne la comunità, condividere esperienze e bisogni.

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