Sei sulla pagina 1di 20

Insultare gli altri ,

Domaneschi
Sociologia
Università degli Studi di Milano
19 pag.

Document shared on www.docsity.com


“INSULTARE GLI ALTRI”
Filippo Domaneschi

Per lungo tempo le scienze del linguaggio, linguistica, sociolinguistica, sociologia del
linguaggio, filosofia e psicologia del linguaggio, per lungo tempo hanno tolto dal loro raggio
di interesse tutti quei fenomeni come il turpiloquio, le imprecazioni, gli insulti, propri di
quell’ambito di studio che circa trent’anni fa Arnold M. Zwicky (1992) definiva la
Scatolinguistica.
Questo è un libro che si occupa di linguaggio. Perché mai dovrebbe interessarci capire
qualcosa di piú del modo in cui parliamo? Ludwig Wittgenstein, uno dei piú grandi filosofi del
secolo scorso, sosteneva «i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo» . È
un’affermazione che riesce a cogliere una questione di grande importanza: con il linguaggio
verbale accediamo al mondo che ci circonda. Nel senso che ci formiamo immagini dei fatti che
accadono.
Proveremo ad analizzare le ragioni che fanno del linguaggio offensivo un fenomeno virale nelle
conversazioni quotidiane, nel conflitto politico e, non in ultimo, nei social media. Nel far
questo, con gli strumenti teorici e argomentativi delle scienze del linguaggio faremo del nostro
meglio per provare a difendere una tesi: non possiamo fare a meno degli insulti. Lo faremo
rispondendo a quattro domande: Capitolo I: quali parole offendono e perché? Capitolo II: che
cos’è un insulto? Capitolo III: perché insultiamo? Capitolo IV: chi insultiamo?

Perché insultiamo e quali espressioni usiamo?


Per comprendere questi meccanismi, il primo gesto da compiere è quello di aprire il
vocabolario degli insulti “Grande dizionario italiano dell’uso”di Gradit, au un totale di 2000
lemmi su un totale di 300000 possono farsi portatori di contenuti insultanti.

Esistono 4 principali categorie di espressioni linguistiche che rientrano nell’arsenale di termini


dispregiativi della lingua italiana:

1) Parolacce: lessico di turpiloquio, nomi che di per se non hanno una funzione propriamente
denigratoria ma che possono talvolta essere utilizzati in modo denigratorio per bersagliare
le caratteristiche identitarie di un particolare individuo (merda, stronzo: secrezione
corporea, minchione).

2) Epiteti denigratori (in inglese SLERS): vocaboli appositamente codificati per denigrare un
certe individuo in virtù della sua appartenenza a un gruppo che ha alle spalle una storia di
discriminazione legata alla sua provenienza geografica/orientamento sessuale (frocio,
negro, terrone). Marco è frocio => Marco è omosessuale => Gli omosessuali sono
disprezzabili in quanto tali.

3) Termini neutri: vocaboli che in linea di principio non dispongono di una connotazione
propriamente spregiativa, ma, che in particolari circostanze possono innescare stereotipi
che veicolano dei contenuti spregiativi.
-Provenienza etnico-geografica: genovese, zingaro, montanaro
-Attività professionali: politico, macellaio
-Diversità fisiche e cognitive: analfabeta
-Ortaggi e animali: capra, finocchio, cagna

Document shared on www.docsity.com


Document shared on www.docsity.com
Che cos’é che fa si che una lingua sia dotata
di un maggiore o minore arsenale di espressioni d’insulto? Questo fattore riflette la maggiore o
minore tendenza alla aggressività e alla conflittualità della comunità di parlanti.
Finora abbiamo analizzato il significato delle parole, ciò che studia la Semantica, è una
componente costitutiva del linguaggio, ma non è senz’altro l’unica.

Esistono anche una Morfologia e una Sintassi. La morfologia derivazionale delle lingue è
l’insieme delle norme che descrivono la struttura delle parole e ne stabiliscono i processi di
formazione, gli insulti sono infatti un territorio di creatività morfologica particolarmente
interessante, poiché giocano quella che in linguistica viene tipicamente definita una “funzione
olofrastrica” (la capacità di una singola espressione di veicolare il contenuto di una perifrasi,
frase più lunga), come “Grillino”.

Tre tecniche di derivazione dell’insulto:


1. Suffissazione: -accio,-azzo, -oide, -igno, -ante, -ello “votaccio”, “avvocatazzo”,
“studentello”.
2. Prefissi o prefissoidi: pseudo-, ipo-, semi-, sub-
3. Composizione: cagacazzi, cagasotto, sparatendenze, mangiamerda.
Per questo è anche possibile il passaggio da una categoria morfologica a un’altra, da “Belin!”
Ne derivano per esempio il verbo “abelinare/desbelinarsi”, etc.
Le espressioni di insulto di una lingua esibiscono particolari caratteristiche non solo di
significato, ma anche, morfologiche e sintattiche.

Un’ulteriore componente costituiva del linguaggio è la Fonologia, ossia lo studio dei sistemi di
suoni che caratterizzano la produzione sonora di una certa lingua. Le espressioni di insulto,
esibiscono in lingue diverse, particolari proprietà fonologiche. L’idea che certe espressioni
suonino più offensive di altre è un’idea della quale è possibile rendere conto chiamando in
causa la teoria linguistica del Fonosimbolismo. L’idea dunque che il suono di alcune parole
imiti la realtà, ossia, evoca specifici oggetti e significati, il concetto che sta alla base delle
onomatopee e è lo stesso fenomeno che spiega come mai se osservo due figure decido di
associare a una un nome e all’altra un altro. L’idea che alcune espressioni della lingua parlata di
per se suonino come più volgari è stata presa di petto il un saggio “In paise of Profanity”
(Oxford University Press), nel quale si ipotizza che sia possibile tracciare lo schema armonico
dell’insulto ideale, almeno nella lingua inglese. Ogni espressione insultante dovrebbe esibire
(una consonante propulsiva) + (una vocale) + (una consonante troncante).

Document shared on www.docsity.com


Quasi come un coito interrotto: una consonante che innesca la fuoriuscita d’aria, una goduriosa
liberazione vocalica stroncata da una consonante troncante che interrompe la fuoriuscita
dell’aria (fuck/ shit). Dal punto di vista fonologico le espressioni di insulto sembrano esibire
particolari proprietà linguistiche, sembra in qualche modo che l’ingrediente sonoro dell’insulto
siano le consonanti, la > parte dei termini d’insulto iniziano per esempio con una consonante o
gruppi consonantici.

→ INSULTI NON VERBALI (Cap.2)


Vi sono specifici gesti che assumono dei significati tanto convenzionali da poter sostituire in
tutto e per tutto le parole insultanti. Nel saggio “Bodytalk”, Desmond Morris ipotizza
addirittura che esistano 12 categorie di gesti insultanti: deformazione di gesti canonici (fingere
di sbadigliare), segnali di sporcizia, segnali di noia (sbuffare), di superiorità, di impazienza, etc.
Il gesto al quale Morris dedica qualche riflessione è il dito medio, la natura offensiva di questa
espressione sembra risiedere nella sua natura iconica fallica, tanto che è antico (Las Nubes di
Aristofane, nelle storie di Tacito). In particolare modo nella rappresentazione iconica della sua
natura fallica, questa teoria però non è universalmente condivisa.
Da dove deriva il significato dei gesti insultanti? Per rispondere è bene citare un caso di studio
particolarmente interessante che ha attratto l’attenzione del dibattito linguistico degli ultimi
anni, il caso delle lingue dei segni. Lingue al plurale proprio perché sono quasi 300 ad oggi
quelle parlate al mondo. I sistemi linguistici veri e propri (come l’American Sign Language ASL),
che, non hanno nulla da invidiare alle lingue parlate, esigono anch’esse una sintassi, una
fonologia, una semantica e una morfologia, che ci raccontano l’idea
che l’espressione d’insulto ia un fenomeno tanto universale da
dimostrare la similarità tra le lingue dei segni. Per esempio due gesti
di natura iconica.

La cosa diventa ancora più interessante quando osserviamo i gesti insultanti di genere. Per
esempio Bitch, che legame c’è tra il gesto e il suo significato? Eppure altre espressioni che
servono a denotare individui di sesso femminile, notiamo che in entrambi i casi si chiama in
causa, con il gesto prodotto, il mento del parlante. Diversi studi dimostrano che sembra esserci
una linea comune che giustifichi il coinvolgimento della parte inferiore
del volto, il fatto che richiamano un gesto prototipicamente femminile:
allacciare i lacci della cuffia. Invece per indicare individui maschili viene
coinvolta la parte superiore del volto, per richiamare un gesto
prototipicamente maschile: alzare il cappello in segno di ossequio.
Questa considerazione suggerisce il fatto che le lingue dei segni
esibiscano, rispetto alla sfera delle espressioni d’insulto, una proprietà tipica di tutte le altre
lingue parlate: la proprietà della arbitrarietà vs motivazione del segno.

A questo punto...sfatiamo alcuni luoghi comuni:


- Gli insulti non sono un ”vero” linguaggio→ F! Ubbidiscono a precise regole grammaticali
(semantiche, morfologiche, fonologiche, etc).
- Possiamo e dovremmo fare a meno degli insulti→ F! Soddisfano un’esigenza dei parlanti e
sembrano aver giocato una cruciale funzione evolutiva (procrastinare/scongiurare lo scontro
fisico).

Document shared on www.docsity.com


Document shared on www.docsity.com
universale, le sue declinazioni specifiche sono innumerevoli. L’insulto, dunque, sfugge a
una definizione univoca.

Un insulto è un evento comunicativo in cui vi sono due attori principali, il mittente e il


destinatario, che ricoprono due ruoli ben precisi: il primo, quello dell’insultatore, vale a dire,
chi esegue l’insulto, chi mette in atto un comportamento insultante; il secondo, il destinatario,
veste invece i panni stretti dell’insultato: il bersaglio dell’offesa.
Ma è quando vi è un altro attore che può agire da protagonista sulla scena dell’insulto: il
pubblico o gli ascoltatori. Gli ascoltatori che assistono all’evento di un insulto possono infatti
giocare un duplice ruolo: taciti spettatori o complici piú o meno consapevoli dell’ingiuria.
Sono ruoli in larga parte intercambiabili e talvolta sovrapponibili. Un esempio su tutti sono gli
autoinsulti, ossia tutte quelle espressioni come: Sono un idiota!
Un autoinsulto può essere motivato dal desiderio di infliggersi una punizione, profanando la
sacralità della propria immagine pubblica, ma può anche scaturire come una mera
manifestazione d’ira o di sconforto. Quando però viene eseguita in presenza di altri ascoltatori,
l’autodenigrazione può giocare una molteplicità di complesse funzioni sociali. Anzitutto, è uno
strumento di autocritica. L’autoinsulto può però giocare anche una funzione retorica.
Configurandosi come una manifestazione di autocritica, l’autodenigrazione consente di
anticipare e inibire eventuali critiche provenienti dall’uditorio, scongiurando le sanzioni ben piú
nocive che potrebbero derivare dai commenti altrui.

I ruoli di insultatore e di insultato possono essere rivestiti da individui, oggetti ed entità di


varia natura. Il punto interessante è proprio questo: un insulto può colpire un individuo dritto
in fronte o, se occorre, spostare il bersaglio un po’ piú in là puntando a persone, ma anche
credenze o simboli religiosi in cui l’insultato si identifica. Dipende molto da come il concetto
stesso di individuo o persona si costruisce in un dato ambiente culturale.

Rimane un’ultima questione da dirimere: come e quanto siamo in grado di riconoscere tali
vocaboli insultanti? In uno studio del 2010, hanno condotto una serie di esperimenti volti a
determinare in che misura i partecipanti al loro studio fossero in grado di riconoscere termini
offensivi e insultanti. Questi dati sembrano suggerire, tra le altre cose, che la capacità di
individuazione di un’espressione di insulto sia in larga parte legata al suo contenuto e, in
particolare, alla natura piú o meno astratta o concreta, corporea dell’offesa in atto.
D’altra parte, insultare deriva da insilire, “saltar addosso”, “saltar sopra” o assalire fisicamente.

A rendere cosí particolari le espressioni di insulto sono soprattutto tre aspetti. Primo: si tratta di
vocaboli che talvolta chiamano in causa argomenti tabú. Secondo: spesso sono manifestazioni
di emotività. Terzo: di rado vengono usate in modo letterale.
Le espressioni insultanti si avvalgono spesso e volentieri di figure retoriche: allegorie,
allitterazioni, onomatopee, ripetizioni, epiteti, ellissi, etc. Ma sono i tropi veri e propri quelli che
danno maggiore slancio alla creatività denigratoria: antonomasia, neologismi, espressioni
idiomatiche, sineddoche, metonimia, litote, similitudine, iperbole.
Ma è forse l’ironia, cioè l’affermare A per intendere non-A, lo strumento migliore per tendere
un’imboscata. Lo strumento retorico col quale un insulto va piú spesso a braccetto è senz’altro
la metafora. Maiale, fogna, pezzo di merda sono tutti esempi di espressioni figurate in cui,
come spiegava già Aristotele nella Poetica, a un termine di partenza, oggi definito topic, si
traferiscono tutta una serie di somiglianze con un altro termine, detto veicolo.

Document shared on www.docsity.com


Document shared on www.docsity.com
❖ La calunnia consiste nell’incolpare falsamente di un reato un individuo, pur sapendolo
innocente, dinnanzi all’autorità giudiziaria. È stata per lungo tempo inclusa nella categoria
dei delitti contro la persona. La norma è stata abrogata nel 2016 e, ad oggi, non costituisce
piú un reato, bensí un illecito sul piano civile.

❖ L’atto dell’ingiuria sussiste nella misura in cui la persona ingiuriata è presente nel luogo e al
momento in cui viene compiuto l’atto offensivo. Vi sono tuttavia diverse circostanze in cui
alcuni atti non vengono valutati come ingiuriosi:
- In caso di ritorsione, quando due o piú individui si scambiano reciprocamente espressioni
offensive di pari o simile gravità.
- Viene altresí considerata una causa di non punibilità la provocazione, ossia quando le
espressioni offensive vengono prodotte seguito di uno stato d’ira causato da un fatto
ingiusto.
- In alcuni casi la circostanza d’uso può disinnescare il valore ingiurioso di un’espressione
propriamente insultante; un esempio su tutti: proprio in ragione di una condizione di
provocazione, la Cassazione ha riconosciuto come lecito l’uso di puttana da parte di una
signora nei confronti dell’amante di suo genero

❖ La diffamazione è un altro tipo di atto lesivo dell’onore e della reputazione altrui, tutt’oggi
sanzionata sul piano penale, che differisce dall’ingiuria per un aspetto: si consuma con
l’offesa a un individuo in sua assenza e in presenza di piú persone. È ciò che accade
quotidianamente coi pettegolezzi, con le insinuazioni, e spesso anche con le fake-news.

Ma vi è una particolare circostanza, piú attuale che mai, che piú di altre restituisce con forza la
spregevole brutalità della diffamazione per mezzo di insulti.
→ Dicembre 2013: Justin Sacco è un’anonima manager di una grande società di New York. La
mattina del 20 dicembre prende un aereo per dirigersi in Sudafrica. Justin impugna il suo
cellulare e alle ore 10:13 condivide un ultimo post con i suoi miseri 170 follower su Twitter. Il
commento ha un sapore sgradevolmente razzista: «Sto andando in Africa. Spero di non
beccarmi l’Aids. Sto scherzando. Sono bianca!». In poche ore, il nome di Justin Sacco viene
cercato milioni di volte, la società per la quale lavorava Justin prende pubblicamente le
distanze dal suo commento e la licenzia in tronco.

L’offesa su un social media insulta e diffama al tempo stesso. È un atto prodotto con l’intento
primario di colpire la vittima in sua assenza, ossia dall’anonima, distante e ignota postazione
del computer di casa. Un insulto inizia a configurarsi come un comportamento direttamente
volto a ledere l’immagine pubblica dell’insultato, per mezzo di un atto ostensivo come l’uso di
espressioni dal valore insultante, e a cagionargli offesa, sia esso presente o assente, in assenza
di un pubblico o dinnanzi a una o piú persone.

Vi sono però alcune situazioni in cui vittime e carnefici della violenza verbale non si
affrontano guardandosi dritti negli occhi. Per esempio, la diffamazione per mezzo di insulto
ha luogo in assenza della persona alla quale è destinata l’offesa. Proprio in questa categoria
rientrano gli insulti assestati alle spalle dell’insultato. In inglese vi è un’espressione piuttosto
efficace: backbiting, letteralmente, mordere o pungere da dietro, alla schiena. La
deprecazione degli assenti, per quanto riprovevole, può giocare importanti funzioni sociali:
- strumento di controllo e manipolazione delle relazioni

Document shared on www.docsity.com


- strumento per sondare l’opinione che il nostro interlocutore ha dell’insultato
- second-hand insult, o insulto di seconda mano: è un tipo di insulto che a detta sua si basa su
quella particolare tecnica retorica che negli anni Sessanta la Cia definiva plausible deniability o
«negazione plausibile»: dichiararsi estranei a un fatto deprecabile o illecito che in una certa
misura sia stato favorito dalla propria condotta di comportamento.

Gli insulti piú scottanti sono quelli che provengono da lontano, che hanno un’origine ignota
e irrintracciabile. La casistica degli insulti prodotti nell’anonimato è davvero ampia: scritte sui
muri, post su pagine social con falsi profili, lettere anonime dal contenuto offensivo, voci
sconosciute che si levano dalla folla, sono tutti esempi di attacchi verbali sferrati da individui
senza un nome e un volto. Il caso piú emblematico è senz’altro quello dei bathroom graffiti.

Sembra fondamentale comprendere quali siano i soggetti coinvolti in un insulto per affermare
che un insulto abbia avuto luogo. Per capire se un certo comportamento possa essere valutato
come insultante o meno, è dunque spesso fondamentale riconoscere chi parla e quali siano le
sue reali intenzioni.
Numerosi insulti, difatti, vengono veicolati in modo indiretto, tre esempi emblematici:

- Gli insulti per implicazione. A una riunione dei genitori, mentre una delle due madri
prendeva parola di fronte ai presenti, l’altra la interrompeva ad alta voce: si era trattato di un
semplice e involontario episodio di maleducazione o quell’interruzione nascondeva
l’intenzione di insultare, implicando indirettamente che la malcapitata fosse indegna di
prender parola?

- Piú subdoli sono gli insulti indirettamente veicolati da complimenti, detti anche backhanded
o left-handed compliment. «Sei venuto bene in questa foto, non sembri neanche tu...»

- È con l’insulto cosiddetto di secondo ordine che un’offesa indiretta può dar luogo a una
circostanza davvero crudele e umiliante. L’invito a non offendersi piú del dovuto può infatti
nascondere indirettamente un ulteriore insulto, in questo caso, potremmo dire, di secondo
livello, oltre che il danno, la beffa.

L’insulto sta nella bocca di chi parla o nell’orecchio di chi ascolta? Un’idea consolidata nelle
scienze del linguaggio è che si abbia comunicazione nella misura in cui vi è produzione e
riconoscimento di intenzioni comunicative. In effetti, ciò che facciamo per capire e farci capire
è esattamente provare a ricostruire ciò che i nostri interlocutori hanno in mente e intendono
comunicarci. La psicologia cognitiva ritiene che la funzione mentale, è una facoltà che va sotto
il nome di teoria della mente. È la capacità che ci consente di attribuire alle altre persone stati
mentali, facendo pensieri di questo tipo «Io penso che tu pensi...», etc.
Ma: l’intenzione di un parlante P di insultare un individuo Q usando un’espressione f e il
riconoscimento di tale intenzione di P da parte di Q o di altri ascoltatori sono condizioni
necessarie e sufficienti per affermare che l’uso di f da parte di P costituisce un insulto?

Non è necessario aver l’intenzione di insultare per dar luogo a un insulto:


- Primo, si può dar luogo a un insulto pur non avendone intenzione e senza utilizzare
espressioni insultanti. Chi viaggia all’estero lo sa bene, vi sono innocui gesti che possono

Document shared on www.docsity.com


essere riconosciuti come offese intollerabili: ex. alzare il pollice in segno di approvazione in
Oriente.
- Secondo, si può dar luogo a un insulto senza averne intenzione, utilizzando però espressioni
potenzialmente insultanti. Un aspetto che caratterizza la bestemmia è la sua versatilità
linguistica, Vi sono almeno due usi: Il primo è l’ uso insultante, in cui chi proferisce
l’espressione blasfema intende chiamare in causa direttamente un’entità sacra per ferirla e
screditarla. Il secondo è l’uso interiettivo o emotivo (Veneto, Toscana) è privo di alcun intento
offensivo.

È sufficiente aver l’intenzione di insultare per dar luogo a un insulto, cioè, senza che
nessuno lo riconosca? Un’espressione insultante urlata in una stanza vuota è come uno sparo
a salve: fa molto rumore ma non ferisce nessuno. Così come non conta come insulto un’offesa
rivolta a un essere inanimato o non umano.
Che dire invece di un’offesa scagliata dal divano del proprio salotto contro il protagonista di un
film, il politico di turno intervistato al telegiornale o un giocatore che ha appena fallito un
calcio di rigore? Un modo per accomodare questi casi limite è trattarli come contesti finzionali,
in cui, cioè, chi produce l’offesa fa come se l’insulto potesse colpire direttamente il bersaglio,
come se si trovasse faccia a faccia. Credere di riconoscere un’intenzione insultante non sempre
è sufficiente per poter parlare di insulto. Ecco due controesempi:

- Primo: i malapropismi nella comprensione linguistica: se qualcuno dice «Luca è carino» e


qualcun altro capisce «Luca è cretino», non si può certo parlare di insulto.

- Secondo: se in coda alle poste un bambino piccolo, di fronte a un individuo alto e


imponente esclama «Guarda mamma, un orco!», si crea una situazione imbarazzante.
Eppure, non si tratta di insulto ma al piú di una innocua e ingenua gaffe.

L’ultima chance che abbiamo per individuare le condizioni alle quali si verifica un insulto è
valutare se il suo riconoscimento sia perlomeno necessario. Intuitivamente, sembrerebbe
proprio di sí. Anche per insultare pare dunque necessario che almeno una persona certifichi
che chi parla stia in qualche modo insultando.
Vi è tuttavia un caso limite, un esempio tipico di ingiustizia discorsiva: se un aggressore
sessuale non riconosce un rifiuto da parte della propria vittima, diremmo che la vittima di fatto
non abbia rifiutato l’avance? No: il rifiuto c’è, pur non venendo riconosciuto e pur non
provocando alcun effetto. Pare dunque non essere sempre necessario che qualcuno riconosca
che pronunciando certe parole stiamo compiendo una certa azione affinché l’azione intesa si
verifichi veramente.

→ Individuare le condizioni essenziali dell’insulto inizia a configurarsi come un problema


linguistico e filosofico piuttosto complesso. Può invece essere utile provare a guardare al
contesto nel quale un insulto prende vita. Il valore offensivo di un termine sembra infatti
dipendere essenzialmente dal contesto d’uso. L’insulto si realizza in modi diversi in contesti
diversi. Insultare significa fare qualcosa, compiere un’azione. Tra gli innumerevoli ingredienti
contestuali, ve ne sono alcuni che se mischiati insieme generano una combinazione che quasi
certamente deflagra in un comportamento insultante.

Document shared on www.docsity.com


Document shared on www.docsity.com
Secondo la visione classica, detta ipotesi del sistema limbico-gangli basali, sono tre le aree
cerebrali responsabili dell’insulto e del turpiloquio.

‣ l’amigdala: ha la forma e le dimensioni di una mandorla (due mandorle, una per emisfero) e
che si trova nel sistema limbico, una zona interna e recondita del cervello. L’amigdala è la
parte più primitiva e ancestrale del nostro cervello e risale a circa 250 milioni di anni fa. Non
solo la possiedono tutti i mammiferi, ma strutture analoghe si rintracciano anche nei pesci,
negli uccelli e nei rettili. È la parte del cervello che gestisce le emozioni (rabbia, felicità,
aggressività ecc.), la memoria emozionale e la paura.

‣ i gangli della base: sono un gruppo di nuclei responsabili, della gestione dei movimenti
volontari, fungono da freno inibitorio.

‣ la corteccia dell’emisfero destro: gestendo il pensiero emotivo, oltre che il linguaggio


automatico (come i complimenti, le espressioni convenzionali «Scusa... di nulla!», i testi delle
canzoni ecc.), confeziona l’insulto conferendo una forma verbale all’impulso emotivo dalle
aree piú profonde dell’encefalo.

Quindi, l’amigdala è il grilletto che innesca la carica incendiaria, i gangli basali stabiliscono se
vale la pena o meno mettersi in moto e l’emisfero destro traduce in parole il moto di
aggressività.

Ma il questo quadro sembra funzionare solo se si considera una versione dell’insulto: l’insulto
automatico, impulsivo, ossia, quello non-proposizionale.
Che dire invece degli insulti intenzionali, proposizionali? Sono piuttosto enunciati che
presuppongono un ragionamento e una strategica scelta lessicale e sintattica. Per cogliere
l’insulto proposizionale occorre anzitutto comprenderne il significato letterale. Si tratta di un
lavoro semantico e sintattico, che consiste nel decifrare il significato delle parole e le regole di
composizione di ciascuna frase. È in altri termini una mansione che coinvolge a pieno titolo
l’emisfero sinistro del cervello e quelle aree che gestiscono la comunicazione verbale. Forse,
dunque, bisognerebbe iniziare a pensare a un modello cerebrale dell’insulto più distribuito e
generalizzato, che preveda il coinvolgimento di aree cerebrali disposte su entrambi gli emisferi,
capace di rendere conto di tutti gli insulti che siamo in grado di formulare e comprendere,
siano essi più emotivi automatici, convenzionali o più linguistici, ragionati e innovativi

Taluni insulti sono la conseguenza di un’emozione. Lo sono così tanto che il solo pensare a un
vocabolo tabù, volgare o offensivo può causare cambiamenti psicofisiologici: aumento della
tensione muscolare, etc.
Michael T. Motley, psicologo, ha notato che, nel commettere malapropismi, tendiamo a
produrre con minore frequenza termini osceni o volgari rispetto a vocaboli neutri. Dietro a
un’impulsiva espressione volgare o offensiva si cela un istante di consapevolezza e
valutazione interna (internal-editing) dell’impatto offensivo della bomba che si sta per tirare.
La fuoriuscita di un insulto emotivo, quindi, dipende molto dal nostro controllo inibitorio, dalla
capacità di controllare reazioni automatiche e produrre risposte mediate da ragionamento.
La capacità inibitoria di un individuo si misura con svariati test, uno di questi è ad esempio lo
Stroop test. La mente ha difficoltà a inibire la tendenza automatica ad afferrare il significato
della parola. È un’associazione rapida, automatica e inevitabile. Taluni insulti esprimono

Document shared on www.docsity.com


Document shared on www.docsity.com
Document shared on www.docsity.com
Document shared on www.docsity.com
Document shared on www.docsity.com
Document shared on www.docsity.com
Document shared on www.docsity.com
Document shared on www.docsity.com

Potrebbero piacerti anche