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Simulazione
è ( verbo essere)
né (avverbio o pronome)
da’ (imperativo del verbo dare)
da (preposizione)
sta (imperativo del verbo stare)
sé (pronome)
te (pronome)
sí (affermazione)
2)Data la definizione, segna con una X la parola corrispondente che presenta l’accento
corretto (3,5pt)
a) uccello dell’ordine dei cuculiformi
x Cùculo cucùlo
b) verbo circuire, participio passato
circùito x circuìto
C) verbo persuadere, infinito presente
x persuàdere persuadére
d) verbo violare , 3a pers singolare presente indicativo
x vìola viòla
e) verbo abrogare, 1a pers sing pres indicativo
x àbrogo abrógo
f) sostantivo con il significato di effimero, instabile
caduco x cadùco
g) sostantivo indicante “ghiottoneria”
leccòrnia x leccornìa
h) sostantivo indicante il centro legnoso dei frutti
x nòcciolo noccìolo
3)indica la forma corretta del plurale dei seguenti nomi e indica se esiste la norma che
regola i plurali in -cia e -gia (5pt)
x ciliegie Ciliege
x piogge. pioggie
angoscie x angosce
x fiducie fiduce
camice x camicie
x belgi belghi
pronuncie x pronunce
striscie. x strisce
Plurale delle parole in -cia, -gia, e -scia: se la c e la g sono precedute da una vocale, allora
la i si mantiene anche al plurale, se invece la c e la g sono precedute da una consonante la i
si elimina. Perdono la i anche le parole che terminano in -scia. La i è davvero obbligatoria
nel momento in cui serve per distinguere due parole: su camicie la i serve perché senno si
confonderebbe con il camice che è singolare;
4)segna con una x le frasi in cui si fa un uso corretto della punteggiatura, motivando la tua
scelta:(8pt)
-come si è già osservato,(p56) un ente costituisce una persona giuridica ( la virgola va dopo
la parentesi)
-Il progetto del ministro relativo alla ristrutturazione del sistema di trasporto pubblico, è stato
approvato. ( la virgola o va tolta o va inserita anche dopo ministro)
-I problemi sono di vario tipo: economici, politici, culturali.
-Gli esperti hanno esaminato: problemi economici, politici, culturali.
io direi che sono queste con i due punti perchè i due punti vengono utilizzati per
elencare qualcosa quindi hanno funzione descrittiva (si esplicitano i componenti di un
insieme enumerandone le singole componenti o facendone emergere un tratto
saliente a mo’ di commento l’ho trovata su italiani scritti ma non so se è
propriamente corretta
6)Quali di questi introduttori nello scritto reggono frasi obbligatoriamente al congiuntivo (3pt)
•Nonostante •malgrado • poiché
•senza che •anche se •prima che
8)che cosa c’è di particolare nel titolo del film “piovono polpette” dal punto di vista del verbo?
(6pt)
é presente un uso scorretto del verbo piovere. Il verbo meteorologico piovere è un verbo
zerovalente il che significa che ad esso non possiamo attribuire nessun componente frasale
(ALTRO NON E’ SCRITTO)
Risp: piovere è un verbo impersonale inoltre è anche zerovalente
ESAME
1)Di ciascuna parola indica se il plurale è con i o senza ( per es il plurale di ciliegia è con i:
ciliegie) (8 pt)
Camicia > camicie
Goccia > gocce
Scheggia > schegge
Roccia > rocce
Fiducia > fiducie
Focaccia > focacce
Angoscia > angosce
Striscia > strisce
l'acacia le acacie
l'audacia le audacie
la camicia le camicie
la ciliegia le ciliegie
la fiducia le fiducie
grigia grigie
malvagia malvagie
la socia le socie
sudicia sudicie
la valigia le valigie
l'arancia le arance
la bertuccia le bertucce
la bilancia le bilance
la bisaccia le bisacce
la boccia le bocce
la buccia le bucce
la caccia le cacce
la chioccia le chiocce
la cuccia le cucce
la doccia le docce
la faccia le facce
la fettuccia le fettucce
la focaccia le focacce
la foggia le fogge
la frangia le frange
la freccia le frecce
la goccia le gocce
la guancia le guance
la lancia le lance
la loggia le logge
malconcia malconce
la mancia le mance
massiccia massicce
la minaccia le minacce
l'oncia le once
l'orgia le orge
la pancia le pance
la pelliccia le pellicce
la pioggia le piogge
la pronuncia le pronunce
la provincia le province
la puleggia le pulegge
la quercia le querce
la rinuncia le rinunce
la roccia le rocce
la saccoccia le saccocce
la salsiccia le salsicce
la scaramuccia le scaramucce
la scheggia le schegge
sconcia sconce
selvaggia selvagge
la spiaggia le spiagge
la torcia le torce
la traccia le tracce
cosuccia cosucce
grassoccia grassocce
mangereccia mangerecce
parolaccia parolacce
rossiccia rossicce
Plurale delle parole in -cia, -gia, e -scia: se la c e la g sono precedute da una vocale, allora
la i si mantiene anche al plurale, se invece la c e la g sono precedute da una consonante la i
si elimina. Perdono la i anche le parole che terminano in -scia. La i è davvero obbligatoria
nel momento in cui serve per distinguere due parole: su camicie la i serve perché senno si
confonderebbe con il camice che è singolare;
3)nella forma verbale dormivano si trovano i seguenti morfemi( seleziona quelli che sono
effettivamente presenti)(8pt)
morfema-radice
Morfema derivativo
Morfema di tempo/modo/aspetto
Vocale tematica
Prefisso
Morfema di accordo
Morfema parasintetico
Suffissoide
4)spiega qual’è la differenza tra relative appositive e relative restrittive e fai un esempio di
ciascun tipo (12pt)
relative restrittive modificano il significato del sintagma nominale che le precede, mentre le
appositive aggiungono ad esso solo delle informazioni:
1. Gli utenti che non amano la lingua italiana sono pregati di lasciare il forum.
2. Paolino Paperino, che non ama la lingua italiana, è pregato di lasciare il forum.
Nella frase numero uno non si fa riferimento a tutti gli utenti del forum, ma esclusivamente a
quelli che non amano la lingua italiana. La frase, dunque, restringe il significato del sintagma
gli utenti ( infatti solo quelli che non amano l'italiano sono pregati di lasciare il forum) . Nella
seconda proposizione invece si spiega qualcosa in merito a Paolino Paperino, si aggiungono
delle informazioni su di lui. Una relativa restrittiva non può ricorrere con sintagmi nominali
come i nomi propri, a questi, infatti, non si possono applicare delle restrizioni di significato.
Dal punto di vista grafico il contrasto tra relativa restrittiva e relativa appositiva è indicato
racchiudendo quest'ultima tra virgole
Altro esempio:
tutti gli elettori che la pensano come te ti voteranno (= solo loro - restrittiva);
tutti gli elettori, che la pensano come te, ti voteranno (= tutti - appositiva).
6)indica dove va l’accento, dove va l’apostrofo e dove non va nessuno dei due
Sono pronomi atoni i pronomi diretti, i pronomi indiretti, i pronomi riflessivi e i pronomi
combinati.
Si dicono atoni perché questi pronomi, sia che si trovino in posizione proclitica (“ti guardo”),
sia che si trovino in posizione enclitica (“informati!”), si uniscono al verbo formando nella
concatenazione sillabica della lingua parlata “un’unica parola” contraddistinta da un unico
accento che si appoggia alla forma verbale
Dunque nessuna pausa tra “ti” e “guardo” nella lingua orale, ma un unico flusso sillabico
“ti-guar-do” con accento sulla sillaba “guar”.
Così “lo-ve-do”, “mi-sem-bra”, “non-te-lo-di-co” oppure “te-lo-di-co” e così via. (Il grassetto
indica qui, e anche più avanti, la posizione dell’accento).
Quando i pronomi atoni sono in posizione enclitica, formano già, anche nella lingua scritta,
un’unica parola senza possedere un accento proprio: “in-for-ma-ti”, “la-scia-me-lo”,
“di-glie-lo”, “pren-di-ti” ecc.
Cosa diversa per i pronomi tonici , che mantengono un accento proprio e non si uniscono al
verbo.
Clitici : forme monosillabiche atone che non ricorrono isolatamente ma vengono preposte o
posposte a una forma verbale alla quale si appoggiano nella pronuncia; in italiano i clitici
hanno essenzialmente funzione pronominale (ci, gli, la, le, lo, mi, si, ti, vi) o di sintagmi
avverbiali (ci, ne) o di complemento partitivo (ne), sono staccati dal verbo se lo precedono
(per es., mi sento bene), uniti al verbo se lo seguono (per es., allontanatevi), e possono
combinarsi tra loro (gliene, prendersela). Anche come agg.: i pronomi clitici.
Riassunto “senza neanche un errore”
Parte prima
A me mi e ma però:
La formula “a me mi” significa “a me a me” quindi è una ripetizione e in una frase non va mai utilizzata. “a me mi piace e a lui gli
piace” non va bene perché significa “a me a me piace e a lui a lui piace”. Viene spesso usata questa forma perchè non suona come
una ripetizione ma mette in evidenza la persona “a cui piace” o a chi si riferisce.
Nella lingua parlata, dato che è più sporca di quella scritta, questa forma può essere tollerata ma nella lingua scritta è da evitare.
L’espressione “ma però” va a intensificare e rafforzare il “ma” con l’aggiunta del “però”. Facciamo la stessa cosa con “ma tuttavia”,
“ma pure” unendo il “ma” ad altre congiunzioni. Nella lingua parlata si possono usare queste espressioni ma bisognerebbe evitarle
nella forma scritta.
Per un’interferenza dialettale, nell’Italia del sud è molto diffuso l’uso del complemento oggetto retto dalla preposizione “a” ma che
la grammatica italiana non ammette. Ad esempio: non si dice “chiamare a giuseppe” ma “chiamare giuseppe”.
Anche nel centro Italia è diffusa la scorretta abitudine di indicare una relazione di parentela con “a” anziché con “di”: nipote a, figlio
a invece di nipote di o figlio di.
In alcune regioni del nord o del sud, la parola “ci” è usata per dire “a lui”, “a lei”, “a loro” al posto di “gli, le, loro”. Questa forma
non può essere accettata né per la forma parlata né per quella scritta, è assolutamente errato. Ad esempio: “quando vedrò marco,
ci dirò tutto à gli dirò tutto”.
Inoltre, nel centro Italia, “ci” nel significato di noi, è erroneamente sostituito dal “si” (si vediamo, s’incontriamo) e un altro errore,
tipico del meridione, è quello di invertire l’ordine delle parole “ci” e “si” (non ci si vede mai -> non si ci vede mai).
Tu e te:
Oggi c’è una forte tendenza a usare la forma “te” come soggetto al posto del “tu” (tu sei simpatica -> te sei simpatica).
Allo stesso modo “te” viene usato al posto di “tu” quando il pronome di seconda persona è l’ultimo dell’elenco “stasera usciremo
insieme io e te” e questa forma è accettata in entrambe le forme di una lingua, a differenza del “te” come soggetto, la quale viene
accettata solo per la lingua parlata.
L’avverbio “meglio” e “peggio” usato come aggettivo davanti a un nome è da evitare. Ad esempio si dice “le occasioni migliori” e
non “ le meglio occasioni”, “i giocatori peggiori” e non “i peggio giocatori”.
Il verbo stare è usato spesso al posto del verbo essere, soprattutto nelle frasi che esprimono un comportamento o uno stato
d’animo (stare attento, stare in ansia) oppure in frasi che contengono un ordine (stai zitto). In questi casi l’uso del verbo stare è
legittimato e corretto. Sbagliato invece dire “sto nervoso” o “sta assente”.
È sbagliato sostituire il verbo avere con il verbo tenere “tengo fretta”, “tengo due figli”.
Fare è un verbo che va bene in tutte le situazioni, ma c’è una brutta abitudine dei meridionali di dire “quest’estate ho fatto le
Maldive e a Pasqua faremo i castelli della Loira”. Un altro uso sbagliato del verbo fare proviene dal Centro Italia in cui si dice “per il
compleanno le ho fatto una collana” e quindi sostiuire il verbo comprare o regalare con il verbo fare; se invece lo facciamo con le
nostre mani allora possiamo utilizzare “fare” come ad esempio nel caso di una torta “ho fatto una torta per te”.
“Affatto” significa “del tutto, completamente”, quindi può essere usato come rafforzativo, come ad esempio “mario è affatto privo
di ironia” e nelle frasi negative ci deve essere la negazione “non fa affatto freddo”.
“Assolutamente” è un termine che, in una risposta, va accompagnato da un valore negativo “no” o positivo “si”.
Un’altra cosa sbagliata è iniziare una risposta con “niente” (cosa è successo? Niente, c’è stato un incendio). Evidentemente in
questi casi, la parola “niente” viene usata come per riempire un voto ed è privo di significato.
1
Mode sbagliate: più estremo:
Estremo è una parola che va di moda e riprende “extremus” un’antica forma di superlativo che in Latino significava “che sta fuori
dal massimo grado”.
Si può dire “più estremo” se estremo significa “eccessivo”, “grande”, “radicale”, ad esempio “ha preso una posizione più estrema
della precedente”.
Non si può usare “più estremo” quando quest’ultima significa “ ultimo” perché non si può essere più o meno ultimi (si può dare
l’estremo saluto e non il più estremo saluto).
“Cioè” è una parola molto utile e versatile, viene usata per spiegare, per precisare, correggere e chiedere chiarimenti.
Parlando, c’è la tendenza ad utilizzarla come riempitivo, tanto per dire qualcosa e non va bene.
“Un attimino” di per sé non avrebbe niente di sbagliato, a parte il fatto che “un attimo” è già un brevissimo spazio di tempo e
quindi l’uso del diminutivo è alquanto inutile.
Inoltre “un attimino” è un’espressione di tempo e mai può essere un’espressione di modo come “può spostarsi un attimino più in
la?”.
La parola “in qualche modo” non vuol dire niente e quindi si consiglia di farne a meno, insieme a “in qualche maniera”.
L’espressione “piuttosto che” si utilizza nella forma comparativa (come rafforzativo di più che) e non nella forma disgiuntiva (al
posto di o) perchè sarebbe un grave errore che genera confusione e ambiguità nella conversazione. Ad esempio: “ a chi vuole
rendere disponibile allo studente una somma in denaro al termine del ciclo di studio, la quale possa essere utilizzata per la
prosecuzione degli studi stessi piuttosto che per l’inizio di un’attività lavorativa” -> qui viene usata in forma disgiuntiva ed è
sbagliato perchè non si capisce se la somma la si può usare solo per proseguire gli studi o per iniziare l’attività.
Aggettivi smodati:
Bisogna stare in guardia dall’uso di aggettivi che indicano caratteristiche ovvie e prevedibili, aggiunti con scopo puramente
decorativo, come “il grande scienziato” e da quegli aggettivi che sono talmente inflazionati e ripetuti da risultare stucchevoli e
sono: eccezionale, fantastico, favoloso, mitico…
Junior è il comparativo del latino “iuvenis” che significa “giovane” e significa “il più giovane”; si usa dopo un nome per distinguere,
in una famiglia in cui vi sono due persone con lo stesso nome, quella nata per ultimo.
Il problema arriva quando la “j” della parola viene pronunciata all’inglese: non va bene perché non è una parola inglese o
americana ma latina.
Stessa cosa per il termine “mass media” che quasi tutti pronunciano all’inglese “mass midia”: è sbagliato! Perché, a parte il fatto
che si potrebbe semplicemente dire “mezzi di comunicazione di massa” ma “media” è una parola latina e non inglese e quindi va
pronunciata così come si legge: media.
Anche la parola “stage” che pur essendo una parola francese (accento sulla a senza far sentire la e finale) la si confonde spesso con
la parola inglese pronunciata “steig” -> questo termine inglese significa piattafroma, palco, palcoscenico e non quel periodo o fase
di addestramento.
In passato le forme con cui, parlando o scrivendo, ci si rivolgeva ad un’altra persona (tu, lei, voi, loro) ha una storia complessa.
I latini davano del “tu” a tutti, tanto allo schiavo quanto all’imperatore.
Dante nella Divina Commedia utilizzava il voi solo per le persone illustri ma dal ‘500 in poi l’abitudine di rivolgersi a una persona di
riguardo col “lei” si estese a macchia d’olio.
Dal ‘600 all’800 il “voi” e il “lei” convissero con “ella” usato con persone di particolare riguardo, finchè nel ‘900 con il ventennio
fascista divenne obbligatorio l’uso del solo “voi”.
Oggi continuiamo a darci del tu e del lei ma si è molto esteso l’utilizzo del “tu”.
La scelta dipende dalla confidenza che si ha con l’altra persona: si da del tu nel momento in cui si ha molta confidenza con
l’iterlocutore e viceversa del lei. Però si può usare il “tu” per rivolgersi ad una persona con cui si condivide qualcosa in comune,
come ad esempio due colleghi di lavoro.
Esiste un solo caso di scambio dissimetrico fra “tu” e “lei”: quello determinato dall’età.
Quando il lei è riferito ad un uomo è normale l’accordo della frase al maschile, mentre al plurale bisognerebbe usare il “loro”.
Saluti:
Buongiorno e buonasera si usato per salutare sia una persona che un gruppo di persone con cui si ha o meno confidenza.
L’unico problema è sapere quando dire “buongiorno” o “buonasera” e solitamente si usa il buongiorno fino all’ora di pranzo e
“buonasera” dal primo pomeriggio in poi.
La buonanotte ha un’origine antica, risale al ‘300 ed è un saluto che si fa prima di andare a letto, rivolgendosi a chiunque.
2
Di questi saluti, si usano anche le forme contratte “sera”, “giorno”, “notte” ma solo in situazioni informali.
Ciao è la formula più usata nell’italiano attuale ed è un tipo di saluto molto confidenziale;
Arrivederci è nela lista dei saluti più usati ed è sempre una forma di congedo ma la si utilizza di più sia con le persone a cui si da del
lei, anche se si può utilizzare con chiunque. Una variante di arrivederci è arrivederla.
Salve si una per salutare una persona o un gruppo all’inizio o alla fine di un incontro e di solito si usa con qualcuno che non si
conosce.
Addio è, oggi, una forma rara che si usa al momenti di una separazione considerata definitiva mentre nell’800 equivaleva ad un
arrivederci.
Parte seconda
Maiuscole e minuscole
La corretta distribuzione delle maiuscole e minuscole non deve essere trascurata. La maiuscola iniziale è richiesta nei seguenti casi:
• All’inizio di una frase, dopo il punto;
• All’inizio di un discorso diretto, dopo le viroglette;
• Con i nomi propri di persona e di animale, anche quelli immaginari;
• Con i nomi dei luoghi, reali o immaginari;
• Con i nomi di Dio e la Madonna e con altri termini che lo indicano (Creatore, Vergine);
• Con i nomi di divinità e di oggetti di culto di tutte le religioni;
• Con i nomi dei corpi celesti;
• Con i nomi delle festività;
• Nell’indicazione dei secoli (il Trecento);
• Con i titoli delle opere artistiche;
• Dopo il punto esclamativo o interrogativo.
I nomi comuni come mare, lago, fiume, monte che accompagnano il nome geografico, richiedono la lettera maiuscola iniziale, come
ad esempio il Mar Rosso, il Fiume Giallo e così via.
I nomi piazza, strada, via, viale, vicolo che accompagnano il nome proprio, possono essere scritti sia con la maiuscola che con la
minuscola e nel caso in cui nel mezzo c’è la preposizione “di”, vuole sempre la minuscola.
I nomi porta, ponte e palazzo richiedono sempre la maiuscola, come Porta Soprana, Palazzo Farnese..
I nomi terra, sole e luna se usati come nomi generici non vogliono la maiuscola, ma se vengono usati come termini astronomici,
allora la richiedono, come ad esempio “ieri c’era il sole” e “il Sole è una stella”.
I nomi dei popoli si possono scrivere sia con la maiuscola che con la minuscola ma viene preferita la seconda opzione.
Con i termini paese, stato e nazione, la maiuscola viene usata quando la parola assume il significato di “nazione”, “patria” o “stato”,
come ad esempio “le fiere di paese” e “un Paese libero” o “combatteremo per il nostro Paese”.
Con i nomi dei grandi avvenimenti storico-culturali o di movimenti bisogna fare così: quando si fa riferimento a qualcosa che è
accaduto in un momento preciso nella storia, si usa la maiuscola (la Grande Guerra) altrimenti è legittimata la minuscola. Ad
esempio il Fascismo si scrive con la maiuscola perché è possibile ricondurlo a un momento preciso della storia.
Con i nomi dei giornali, invece, richiedono obbligatoriamente la maiuscola solo la parola iniziale, come ad esempio “il Corriere della
sera”.
Con i nomi dei giorni e dei mesi va usata la minuscola e non la maiuscola come nell’inglese, quindi si avrà lunedì, martedì, gennaio e
febbraio.
In alcuni casi la maiuscola iniziale serve per distinguere due parole identiche ma con un significato diverso, come: una borsa di
Gucci e la Borsa di Wall Street, chiedere un consiglio e il Consiglio di amministrazione e così via.
Per quanto riguarda la maiuscola di rispetto, grammaticalmente parlando i titoli professionali e le cariche dovrebbero essere scritti
con la minuscola ma per ragioni di convenienza sociale e di rispetto possiamo usare la maiuscola. Quindi non sbagliamo se
scriviamo il dottor Rossi o il Dottor Rossi.
Nelle lettere d’invito o nella corrispondenza burocratica si tende a mettere la maiuscola anche con i pronomi e gli aggettivi riferiti al
destinatario, come ad esempio “inviarLE”… non è obbligatorio.
3
Andare a capo:
Per andare a capo si fa riferimento alla suddivisione in sillabe e le norme che regolano tale suddivisione sono nove:
1. Una vocale iniziale di parola seguita da una consonante forma da sola una sillaba: o-dore;
2. Una consonante semplice forma una sillaba con la vocale seguente: ni-do. Vale anche per la x come Do-xa;
3. Due o tre lettere che rappresentano un unico suono non si dividono e quindi fanno sillaba con la vocale seguente: re-gio-
ne;
4. Non si dividono i gruppi di due consonanti formati da: b,c,f,g,p,t,v + l o r: ru-blo, ma-cro;
5. Non si divide il gruppo formato da s + consonante: cre-scono, na-stro;
6. Si dividono i gruppi di due consonanti uguali: bal-la-no, mol-le, ses-so;
7. Si dividono i gruppi formati da due qualsiasi altre consonanti: sal-do, scor-ta;
8. Nei gruppi di tre o più consonanti la divisione avviene in genere tra la prima e la seconda consonante: tem-pro, pol-trire;
9. Nell’incontro di vocali si possono dividere sole le vocali in iato (le-one, celì-aco) non qualle che formano un dittongo (fia-
to,feu-do)
Vanno applicate anche alle parole composte con un prefisso come trans, iper, sub, super.
Per quanto riguarda l’apostrofo a fine riga, per andare a capo, non da fastidio l’apostrofo alla fine perché chi legge non si
interrompe a fine riga ma continua la sua lettura. Vanno bene queste forme: dell’ oro, del-l’oro, dell’o-ro ma mai dello oro.
L’accento:
È molto importante non sbagliare la posizione dell’accento in una parola perché alcune vuole può cambiare anche il significato della
parola.
L’accento cade nella terzultima sillana nelle parole che finiscono in:
o -àgine, -àggine, -ìgine, -ìggine, -èdine, -ìdine, -ùdine: indàgine, calìgine ecc.;
o -àbile, -èvole, -ìbile, -àceo, -òide: trascuràbile, notèvole..;
o -cèfalo, -crate, -crono, -dromo, -fago, -filo, -fono, -geno, -logo, -mane: idrocèfalo, plutòcrate, isòcrono..
4
L’accento può essere acuto o grave:
le vocali a, i, u hanno sempre e solo l’accento grave: carità, partì, schiavitù.
È indicata dall’accento grave la o aperta di cadrò, mentre la o chiusa non riporta mai l’accento.
L’unico caso in cui l’accento grave e acuto riportano due suoni distinti riguarda la e: l’accento acuto indica la e chiusa (perché)
mentre l’accento grave indica la e aperta di caffè.
L’apostrofo:
E’ obbligatorio:
• Con l’articolo lo e con le preposizione articolate composte con lo (dello, allo…);
• Con l’aggettivo bello ma non bella;
• Con santo e santa seguiti da un nome che inizia con una vocale;
• Con ci davanti al verbo essere;
• Il alcune espressioni cristallizzate: a quattr’occhi, mezz’ora, nient’altro…;
• Nelle espressioni con la preposizione “di”: d’accordo, d’epoca…;
• Nelle espressioni con la preposizione “da”: d’altronde, d’altra parte…;
• Con gli imperativi
È facoltativo:
• Con l’articolo la e con le preposizioni articolate composte con la (della, alla…): la intimità…;
• Con questa e quella;
• Con le parole di una sola sillaba: ti amo o t’amo;
• Con “di” davanti a una parola che inizia per vocale: un attacco di invidia o d’invidia;
• Con l’articolo gli e con le preposizioni articolate composte con gli (degli, agli, dagli…);
i dubbi ortografici non riguardano tutte le parole ma solo quelle che non si scrivono come vengono pronunciate (nozione,
coscienza…).
Questi errori vengono influenzati anche dai dialetti presenti nella lingua italiana.
Le parole che suscitano dubbi ortografici vengono suddivisi in sei gruppi:
1. Parole con la z: la z fra due vocali si pronuncia sempre doppia ma si scrive quasi senza semplice. Le parole che terminano
in -zio e -zia non vogliono mai la doppia, fatta eccezione di pazzia e razzia;
2. Parole in -sione e -zione con s e z precedute da consonante: si scrivono con la z i nomi che hanno la stessa radice di un
participio passato o di un altro nome in cui ci sia la t (attenzione perché si dice attento); si scrivono con la s i nomi che
hanno la stessa radice di un participio o di un altro nome con s (apprensione perché si dice appreso, estensione perché si
dice esteso). Questa regola non vale per astensione, estorsione, contorsione e distorsione che hanno la s ma un participio
con la t;
3. Parole con ce,ge,sce e cie, gie, scie: queste parole sono insidiose perché la loro pronuncia è indentica sia che si scrivono
con la i che senza la i. Pronunciamo la sequenza scie di scienza e la sequenza sce di pesce, le ragioni di questa differenza
sono varie, ma la principale è che si fa sentire l’influsso del latino da cui deriva quella parola italiana (pesce -> piscem la i
non c’è, scienza -> scientiam la i c’è);
4. Plurale delle parole in -cia, -gia, e -scia: se la c e la g sono precedute da una vocale, allora la i si mantiene anche al plurale,
se invece la c e la g sono precedute da una consonante la i si elimina. Perdono la i anche le parole che terminano in -scia.
La i è davvero obbligatoria nel momento in cui serve per distinguere due parole: su camicie la i serve perché senno si
confonderebbe con il camice che è singolare;
5. Parole con gna, gne, gno: le parole vanno scritte sempre senza la i ad eccezione di compagnia e compagnie;
6. Parole col suono cu seguito da a, e, i, o: perché scriviamo cuore e quota quando la cu o qu hanno la stessa pronuncia?
Anche in questo caso deriva dal latino. Cuore in latino si scriveva con la c “cor” e quota con la q, cuoio si scriveva
“corium”, quattro “quattouor” ecc.
5
Parole unite e parole separate:
La punteggiatura:
la convinzione diffusa è che o segni di interpunzione producano delle pause nel testo, mentre invece questi segni non le producono
ma le segnalano.
• Il punto: si usa quando tra due frasi, due periodi o due sezioni più ampie di testo c’è un’interruzione forte, o perché
cambia l’argomento o perché cambiano le cose dette su quell’argomento;
• Il punto e virgola: si usa quando tra due frasi c’è un’interruzione sul piano della forma ma non c’è un’interruzione forte sul
piano dei contenuti: ciò che viene detto dopo il punto e virgola è strettamente legato a ciò che viene detto prima;
• I due punti: si usano per spiegare ciò che si è detto prima (c’è una grave crisi economica: le banche sono fallite…), per
dimostrare ciò che si è detto poco prima (una parte dell’europa è in difficoltà: per molti cittadini il tenore di vita è
peggiorato), per indicare conseguenze di ciò che si è detto prima (ho fatto la spesa: abbiamo da mangiare per tutta la
settimana), per arricchire di particolare ciò che si è detto prima, per introdurre un elenco e per introdurre un discorso
diretto prima delle virgolette o della lineetta.
• Il punto interrogativo ed esclamativo: si usano alla fine di una domanda o dubbio, per il primo, e di un’esclamazione, per il
secondo;
• La virgola: collega due parole o due frasi fra le quali c’è un’interruzione breve. Si usa negli elenchi di nomi o aggettivi, per
collegare due o più frasi prive di congiunzione, prima di un’apposizione, prima di un’invocazione, negli incisi, per dividere
vari tipi di frasi subordinate e non va mai e poi mai messa tra soggetto e predicato;
• Punti di sospensione: si usano, nel numero fisso di tre, per indicare che il discorso viene sospeso, senza essere portato a
termine. È una caratteristica più del parlato che dello scritto, per cui meglio evitarlo nella scrittura. Nello scritto si usa
quando si vuole indicare che alcune parole sono state omesso e vanno messi tra parentesi […
• Virgolette: servono per riportare un discorso diretto o altrui. Si può scegliere tra le virgolette alte (“”), virgolette basse,
dette anche caporali < > o le virgolette semplici, dette anche apici (‘ ‘). Le virgolette alte si usano per riportare il titolo di
un libro, un’opera… le virgolette basse per contrassegnare una parola o espressione allusiva o ironica e gli apici si usano
per mettere in risalto una singola parola, rara o straniera o con un particolare significato;
• Lineetta e trattino: la lineetta – è più lunga del trattino -. La lineetta si usa per introdurre un discorso diretto, in
alternativa alle virgolette, però le virgolette aprono e chiudono i discorsi mentre la lineetta li apre soltanto e li chiude solo
se dopo il discorso ci sono altre parole (- che vuoi?- chiese l’uomo). Il trattino si usa per indicare la divisione di una parola
in sillabe oppure per indicare la separazione tra due cifre o per indicare una relazione (i rapporti italo-francesi);
• Le parentesi: possono essere tonde o quadrate. Le parentesi tonde servono a introdurre un inciso, una speigazione o una
nota marginale e si usano perlopiù nelle opere tecniche e scientifiche. Le parentesi quadre si adoperano per introdurre un
inciso all’interno di un testo che è già tra parentesi tonde.
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I titoli:
Per riportare il titolo di un libro, di un film o di un’opera all’interno di un testo bisogna procedere così: se scriviamo al computer
dobbiamo scrivere il titolo in corsivo se scriviamo a penna dobbiamo sottolinearlo oppure metterlo tra virgolette.
Per quanto riguarda i numeri, in un testo scritto se il numero è piccolo bisogna sempre scriverlo in lettere (tre, quattro, venti,
trenta), quando il numero è grande (1633) bisogna scriverlo in cifre.
Per quanto riguarda l’orario, è meglio usare le lettere e non le cifre; si consiglia di arrivare fino a 12 e specificare se si tratta della
mattina, del pomeriggio o della sera.
Per gli anni si usano le cifre e per indicare un anno celebre possiamo usare sia le cifre che le lettere.
Per le date, nel giorno e nell’anno si usa i numeri arabi mentre per il mese possiamo scegliere tra lettere (dicembre), numero arabo
(12) o numeri romani (XII).
Per indicare i secoli bisogna utilizzare il ‘, ad esempio ‘500 (indica tutto il secolo) mentre se si scrive 1500 si va ad indicare solo
l’anno che va dal primo gennaio al 31 di dicembre. Inoltre i secoli possiamo indicarli con i numeri ordinali (sesto secolo) o con i
numeri romani (XI secolo).
Questioni di forma:
La grammatica insegna che “a” è una preposizione, “e” è una congiunzione insieme a “o”. Nella scrittura si incontra anche “ad”,
“ed” e serve per evitare l’incontro tra due vocali identiche, come e evaqua -> ed evaqua.
La stessa cosa avviene per “ad” che si mette quando c’è l’incontro di due vocali uguali.
Quindi la “d” eufonica si usa solo per evitare l’incontro di due vocali uguali, ad eccezione di “ad esempio”.
Per, più o meno vengono utilizzati anche attraverso i simboli matematici ma solo nelle scritture informali come sms, appunti sennò
bisogna utilizzare le lettere.
Sigle e abbreviazioni:
Nelle abbreviazioni si indica sempre il maschile e per ottenere il femminile si aggiunge la parte finale della parola. Esempio: prof.
Professore, prof.ssa professoressa.
Quando l’abbreviazione riguarda una parola plurale bisogna raddoppiare la consonante finale: cap di capitolo diventa capp di
capitoli, proff, pagg ecc. se l’abbreviazione termina già per una consonante doppia come avv, si aggiunge la parte finale della
parola, quindi avv.ti
Il punto nell’abbreviazione si mette dove la parola si interrompe ma è facoltativo perché non c’è un’interruzione di parola perché
sono delle abbreviazioni.
Le sigle, invece, se sono scritte tutte a lettere maiuscole possono avere o no il punto dopo ogni lettera (S.I.A.E. oppure SIAE) mentre
le sigle con la sola iniziale maiuscola sono sempre senza punto (Uil). La pronuncia cambia in base alle siglie: se formano una parola
pronunciabile (ATAC) la si legge tutta insieme come una parola, in altre bisogna pronunciare lettera per lettera (PD,TG,DPCM).
Parte terza
L’articolo:
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Il nome:
Ci sono delle parole dal sesso incerto, ci sono un elenco di nomi che suscitano dubbi di genere:
Per le parole che terminano in -i possono essere sia maschili che femminili (il propoli la propoli), mentre quelle che terminano in -o
ad esempio eco è femminile al singolare e maschile al plurale.
I nomi dei frutti sono quasi sempre tutti femminili: la banana, la mela, la noce, la pesca; ma al frutto corrisponde un nome d’albero
al maschile: il melo, il pesco, il banano…
Nei seguenti casi sia il nome dell’albero che del frutto sono maschili: il cedro, il fico, il lampone, il limone…
I nome dei frutti esotici sono quasi sempre al maschile: l’ananas, il kiwi, l’avocado…
Ma il plurale di frutto è frutti o frutta? È frutta! Perché i frutti indicano i prodotti delle piante oppure il risultato che si ricava da
qualcosa (i frutti del mestiere).
Plurali difficili:
I nomi che finiscono in -ca e -ga formano tutti il plurale in -chi e -ghi se sono maschili e in -che, -ghe se sono femminili. L’eccezione
c’è ed è per bela che al plurale diventa belgi.
anche in questo caso, non esiste una regola grammaticale ma i nomi che indicano
persone tendono ad avere il plurale in -gi mentre i nomi che indicano cose tendono
ad avere il plurale in -ghi. Fanno eccezione esofago e sarcofago.
Alcuni nomi in -co e -go possono avere il doppio plurale: chirurgo/chirurghi o chirurgi, il farmaco/farmachi o farmaci e il
manico/manici o manichi.
Il plurale dei nomi composti si forma regolarmente modificando solo la vocale finale (arcobaleni); in altri casi a cambiare è la
desinenza del primo elemento (pescespada – pescispada), in altri ancora si modificano le desinenze di entrambe le parole
(cassaforte- casseforti).
Con la parola capo- :
- Se il termine capo- significa chi è a capo di qualcosa, il plurale si forma modificando la desinenza del nome capo
(capotreno – i capitreno, il capobanda – i capibanda)
- In alcuni composti di questo tipo, si cambia solo la desinenza del secondo elemento (il capocomico – i capocomici)
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- Se la parola capo- indica una posizione di preminenza o l’inizio di qualcosa, il plurale si forma modificando solo la
desinenza del secondo elemento: il capodanno – i capodanni, il capogiro – i capogiri…
- Se il composto è di genere femminile e il nome capo- si riferisce a una donna che è a capo di qualcosa, il plurale è
invariabile: la capofamiglia/le capofamiglia, la capolista/le capolista…
Per i nomi composti con le parole alto- e basso- sono ammesse due forme di plurali (altoforno – altoforni – altiforni)
Il plurale delle parole inglesi non aggiungono la s, quindi: i big e non i bigs, i broker e non i brokers…
Il plurale delle parole spagnole mantengono la s, quindi: i murales, le tortillas…
Poi ci sono una serie di parole che hanno due plurali ma che si attribuiscono a cose diverse:
- Il braccio/i bracci/le braccia: i bracci si usa per indicare i bracci degli oggetti (i bracci della gru) e le braccia per indicare le
parti del corpo;
- Il ciglio/i cigli/le ciglia: i cigli indicano i peli delle ciglia oppure i bordi di una strada, le ciglia indica l’insieme dei cigli e
quindi dei peli;
- Il corno/i corni/le corna: i corni si usa per indicare gli strumenti musicali mentre le corna indicano le sporgenze di alcuni
animali e in senso metaforico, indica una persona che è stata tradita;
- Il dito/i diti/le dita: i diti si usa se si specifica di cosa sono, come i diti pollici, dita si dice se consideriamo tutti i diti;
- Ecc….
Gli aggettivi:
Buono, più buono e buonissimo: hanno un comparativo, un superlativo e quello che deriva direttamente dal latino.
Esteriore, superiore e ulteriore: queste forme non possono essere usate con il più (più esteriore è sbagliato) perchè indicano già un
qualcosa che è più di qualcosa, come superiore è più sopra di qualcosa, esteriore è più fuori di qualcosa.
Aspro, asprissimo e asperrimo: sei aggettivi, acre, aspro, celebre, integro, misero, salubre hanno il superlativo in -errimo. Misero,
aspro e salubre hanno anche miserissimo, asprissimo e salubrissimo.
Affarissimo: la forma in -issimo dovrebbe essere usata solo per gli aggettivi, qualche volta viene adoperata anche con i nomi, ad
esempio: affarissimo, canzonissima, finalissima, governissimo, occasionissima.
Quello: è usato come aggettivo e presenta varie forme (quella, quelle, quegli, quei, quell’). Quella si usa per il femminile, quegli e
quell’ si usa quando la parola comincia per vocale.
Codesto: nella grammatica si legge sempre che i più importanti aggettivi e pronomi dimostrativi usati in italiano sono tre: questo,
codesto e quello. Solamente che si usa spesso solo questo e quello mentre codesto solo nelle occasioni formali.
Suo e proprio: proprio si usa quando si riferisce al soggetto (marco ha chiesto a maria i propri libri e non i suoi sennò non si capisce
di chi sono i libri), suo può riferirsi sia al soggetto sia ad altri elementi della frase e crea confusione. Se suo non è riferito al soggetto
bisognerebbe trasformarlo nella forma “di lui” o “di lei” ma appesantiscono la frase e quindi è meglio cambiarla: marco ha chiesto a
maria i libri che lei aveva preso in biblioteca e non marco ha chiesto a maria i libri di lei.
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Il pronome:
- Altri: questo pronome può essere usato sia in funzione di soggetto, con il significato di altra persona oppure come
complemento oggetto. Si può usare altri, altro e gli altri;
- Che e cui: spesso si ricorre al “che” anche quando bisognerebbe scrivere “cui” ed è un errore, perché “che” si può usare
solo per il soggetto o complemento oggetto, in tutti gli altri casi si usa cui. Per non sbagliare basta ricordare che, se c’è
bisogno di una preposizione, bisogna usare “cui”; se non ce n’è bisogno si userà “che”. Al posto del cui, il alcuni casi si usa
il “che temporale” (l’anno che scoppiò la guerra, il giorno che l’ho incontrata);
- Gli: viene spesso usata con il significato di “a lui”, ma anche con quello di “a lei” e “a essi”. Però l’uso di gli per indicare “a
lei” è inaccettabile, mentre ammesso per “a loro” maschile e femminile plurale.
- Lui, lei, loro: questi possono essere usati come soggetti ma non è proibito usare egli, essi;
- Niente, nulla e nessuno: se si trovano prima del verbo, non richiedono un’altra negazione ma se lo seguono, allora la
richiedono.
- A meno che e a meno che non: sono due espressioni del tutto equivalenti e la negazione è facoltativa, inoltre non è
obbligatorio l’uso del congiuntivo;
- A poco a poco: le locuzioni di questo genere, come a mano a mano, a corpo a corpo, a faccia a faccia, vanno sempre usate
con la doppia preposizione a…a; bisogna evitare, quindi, di dire corpo a corpo, faccia a faccia… possiamo eliminare la
prima “a” se queste espressioni sono usate come sostantivi (entrare in un corpo a corpo);
- Assai: utilizzato alla fine della frase è sbagliato e rimarca il regionalismo del sud;
- Contro: quando è seguita da pronomi personali, deve essere accompagnata dalla preposizione “di”, come “sono tutti
contro di me”;
- Davanti e dietro: con questi due avverbi bisogna preferire la formula con la preposizione “a”, quindi davanti a e indietro a,
senza la preposizione non è sbagliato ma è antico;
- Dentro e fuori: quando la preposizione dentro precede un pronome personale può essere seguita dalla preposizione “di”,
non è obbligatorio (dentro me o dentro di me). Quando la preposizione fuori è seguita da un nome, deve
obbligatoriamente essere seguita dalle preposizioni di “di” (fuori della casa, fuori del portone); quando la preposizione
fuori precede un pronome personale o dimostrativo, deve essere seguita dalla preposizione “di” e non da “da”,
- Insieme: si può usare sia da solo che insieme a con;
- Ma: a inizio periodo si può usare in funzione di: per indicare il passaggio a un argomento diverso, per indicare al ritorno
dell’argomento che interessa, per iniziare il racconto di un fatto nuovo, inaspettato o per forzare un’obiezione, per
introdurre frasi concessive e per dare un tono polemico a un’interrogazione o esclamazione;
- Malgrado: può essere seguita da che, ma non per forza. Il verbo che segue malgrado/che deve essere sempre al
congiuntivo;
- Mica: significa “affatto”, “per nulla” e richiede la negazione (non è mica sbagliato);
- Nonostante: è seguita in genere da “che” ma non è obbligatorio e può essere sottinteso. Il verbo che segue è
obbligatoriamente al congiuntivo;
- Mentre: questa congiunzione serve per introdurre una frase temporale e non va messo il che;
- Senza: precede un pronome personale o dimostrativo e può essere seguita dalla preposizione “di”;
- Tra e fra: queste due preposizioni sono equivalenti, sia per le funzioni che svolgono sia per il loro significato; possiamo
utilizzarle indifferentemente, l’unica avvertenza è che bisognerebbe vedere la parola che segue per non creare suono
sgradevole, evitare l’incontro di due consonanti come ad esempio “ci vediamo tra tre ore”, sarebbe meglio “ci vediamo
fra tre ore”, ma siamo liberi di scegliere;
- Tranne: dopo c’è un nome o un pronome; tranne che, invece, è un elemento di congiunzione che introduce l’intera frase.
Si usa solo tranne se dopo c’è un nome o un pronome, si usa tranne che se dopo c’è un verbo;
- Vicino: per correttezza bisogna far seguire “vicino” dalla preposizione “a” (vicino a casa, vicino a roma).
Il verbo:
Si possono usate, nello stesso tempo, tutte e tre le forme verbali se i fatti di cui parliamo appartengono a piani temporali diversi:
fauso coppi ottenne (passato) risultati che molti giudicano (presente) di altissimo livello; la sua tecnica e la sua grinta resteranno
(futuro) un modello ineguagliato.
Si può usare un presente per indicare un fatto passato, si chiama presente storico ed ha valore di passato e si usa per attualizzare
ciò che si dice: giacomo leonardi nacque a racanati oppure si dice giacomo leopardi nasce a recanati.
L’unica cosa da evitare è l’incoerenza, se abbiamo deciso di indicare dei fatti passati con il presente storico, bisogna mantenerlo per
tutto il testo.
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Tipi di presente:
• Presente per davvero: il presente indicativo è la forma più semplice e usata. Si usa per indicare un’azione o un fatto che
avviene nel preciso momento in cui si parla o si scrive;
• Presente, ma non solo: in molti casi il presente indica un fatto stabile, che si ripete abitualmente o ha sempre validità. Ad
esempio “ non fumo” indica un dato stabile, non fumavo nemmeno ieri. Questo presente viene molto usato nei proverbi,
nelle leggi e nelle definizioni scientifiche;
• Presente al posto del futuro: nell’italiano di oggi si usa molto il presente al posto del futuro semplice per indicare un fatto
che avverrà nel futuro, soprattutto se nella frase c’è un0altra indicazione di tempo futuro (domani, fra tre ore, la
prossima estate) quindi, domani è il tuo primo giorno di scuola;
• Presente al posto del passato: sarebbe il presente storico che è adoperato per indicare un fatto avvenuto nel passato. È
usato soprattutto nei romanzo ma è usato spesso anche nella lingua parlata e nei titoli di giornali;
Tipi di passato:
il passato prossimo, l’imperfetto, il passato remoto indicano tre fatti che accadono nel passato ma non tutti allo stesso modo:
imperfetto significa non compiuto, non concluso; prossimo significa vicino e remoto significa lontano.
L’imperfetto indica un fatto non concluso una volta per tutte, ma ripetuto o continuato nel passato; il passato prossimo indica un
fatto né ripetuto né continuato ma avvenuto in un momento preciso del passato vicino, recente (ieri ho visto marco) e il passato
remoto quando il fatto è lontano da noi (tre anni fa ho visto marco).
Futuro nel passato: per espimere un futuro retto da un passato bisogna usare sempre e solo il condizionale passato: tanti anni fa
diceva a tutti che avrebbe fatto l’ingegnere.
Essere o avere?
Si solito stabilire se l’ausiliare di un verbo è essere o avere è un’operazione facile, scelto il verbo, basta pensare a una forma
composta con quel verbo e verrà naturale l’ausiliare.
Con molti verbi si può usare sia essere che avere:
Con l’ausiliare “essere” indichiamo che l’azione è già compiuta e l’evento è ormai terminato; con l’ausiliare avere l’azione o l’evento
durano ancora.
Regola n.1: scegliendo l’ausiliare del verbo retto dal servile non si sbaglia mai, perché “ha mangiato” quindi “ha dovuto mangiare”;
Regola n.2: se il verbo che segue il servile è intransitivo, possiamo usare sia essere sia avere (è dovuto partire);
Regola n.3: se l’infinito ha con sé un pronome atono (mi, ti, ci, si, vi) bisogna usare essere quando il pronome atono è prima
dell’infinito e avere quando il pronome atono è dopo l’infinito;
Regola n.4: se il servile è seguito dal verbo essere, l’ausiliare sarà sempre avere (ha dovuto essere forte, avrebbe potuto essere
gentile), la stessa regola quando il verbo servile è seguito da un infinito passivo (in cui essere c’è sempre).
IL CONGIUNTIVO:
i tempi del congiuntivo sono quattro: presente (che io parli), passato (che io parlassi), imperfetto (che io abbia parlato) e trapassato
(che io avessi parlato).
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Per i verbi della seconda coniugazione (-ere)
- Prendiamo l’infinito (leggere) e togliamo -ere (rimane la radice legg-);
- Aggiungiamo alla radice le forme per le rispettive persone: -a -a -a -iamo -iate -ano -> che io legga, che tu legga, che egli
legga, che noi leggiamo, che voi leggiate, che essi leggano.
Per i verbi con la terza coniugazione (-ire), le forme per le rispettive persone sono le stesse di quelle con la seconda coniugazione.
Il congiuntivo è il modo verbale legato alla sfera personale e si usa nelle frasi che esprimono non un dato certo, ma un’eventualità,
una possibilità, uno scopo, un’opinione, un giudizio o un desiderio personale. In alcuni tipi di frasi il congiuntivo è obbligatorio, per
altre si può usare anche l’indicativo.
Dopo “che” ci vuole l’indicativo o il congiuntivo? Ricordiamo che l’indicativo è il modo dell’oggettività, della realtà mentre il
congiuntivo è il modo della soggettività (cioè del modo personale di vedere le cose), quindi: si usa l’indicativo con i verbi che
appartengono all’area della certezza (ti confermo che è proprio lui) e si usa il congiuntivo quando i verbi appartengono all’area
delle opinioni e dei sentimenti personali (penso che sia lui).
GERUNDIO:
il gerundio può essere tranquillamente usato all’inizio del periodo e normalmente il soggetto, se non è espresso è il medesimo della
frase principale. “Giacomo ha incontrato marco comprando il giornale”, il soggetto è gianni; se volessimo indicare marco come
soggetto avremmo dovuto scrivere “gianni ha incontrato marco che andava a comprare il giornale”.
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PARTE QUARTA
Concordare l’aggettivo:
Concordare il participio:
Nei primi due casi, in cui c’è il verbo essere, vanno bene entrambe le soluzioni. Nel terzo caso, in cui c’è il verbo avere, bisogna
scrivere “ho regalato”.
È possibile cambiare il participio (regalato) e concordarlo con la parola a cui si riferisce solo se questa precede il verbo -> i diamanti
che ho regalato a tiziana o i diamanti che ho regalati a tiziana.
se il soggetto è un nome collettivo, cioè è un nome singolare ma che indica una pluralità di persone o cose, va messo al singolare o
al plurale? Es. un gruppo di operai ha occupato la fabbrica o un gruppo di operai hanno occupato la fabbrica?
È giusta la prima soluzione: soggetto singolare e verbo al singolare
(la seconda soluzione è accettabile solo nel parlato informale)
Quando due soggetti singolari collegati dalla congiunzione “o” il verbo va al singolare o al plurale? Al singolare, perché quella “o”
esprime un’alternativa che esclude automaticamente uno dei due soggetti.
Es. verrà a trovarti Paolo o Gianni oppure verranno a trovarti Paolo o Giovanni? -> è la prima, basta dividere la frase “verrà a
trovarti paolo oppure verrà gianni?
Quando un soggetto singolare è seguito da un altro nome introdotto con “con”, il verbo va al singolare o al plurale? Al singolare,
perché il secondo nome non è il soggetto ma il complemento! -> Paolo con Gianni verrà a trovarti e non verranno a trovarti.
- Adempiere una promessa o adempiere a una promessa? È più corretta la prima soluzione perché il verbo adempiere è
intransitivo e c’è sempre un complemento oggetto -> adempiere un voto, un desidero…
- Adire le vie legali o adire alle vie legali? Il verbo adire si usa raramente in questioni legali e significa “ricorrere a “. La
forma corretta è la prima: adire non vuole la a e i suoi composti.
- Afferire a qualcosa o afferire qualcosa? Afferire è un verbo usato nel linguaggio giuridico e burocratico col significato di
“riguardare”, “concernare” e bisogna usare “a”.
- Attinente a qualcosa o attinente qualcosa? Attinente che vuol dire “relativo”, “che riguarda” è il participio presente del
verbo attenere, che è intransitivo e richiede la preposizione “a”.
Il periodo ipotetico:
• Se l’ipotesi è reale (esprime un fatto certo) bisogna usare l’indicativo sia nella frase che esprime la condizione (quella col
se) sia nella frase che esprime la conseguenza: se me lo dici, ci credo
• Se l’ipotesi è possibile (esprime un fatto che può accadere ma che può non accadere), bisogna usare il congiuntivo
imperfetto nella frase che esprime la condizione e il condizionale presente nella frase che esprime la conseguenza: se
diventasse meno presuntuoso, sarebbe più simpatico.
• Se l’ipotesi è irreale (esprime un fatto che non può accadere e che non è accaduto) bisogna usare il congiuntivo
imperfetto o trapassato nella frase che esprime la condizione e il condizionale presente o passato nella frase che esprime
la conseguenza. Congiuntivo imperfetto e condizionale presente se l’ipotesi riguarda il presente; congiuntivo trapassato e
condizionale passato se l’ipotesi riguarda il passato: se fossi miliardario, non sarei qui (presente-presente); se avessi vinto
la lotteria, non sarei qui (passato-presente); se mi avessi avvertito prima, avrei comprato io la pizza (passato-passato).
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Discorso diretto e indiretto:
Nel discorso indiretto siamo noi che riportiamo il discorso di una persona dicendo che lei lo ha detto o scritto, quindi:
Il verbo o l’espressione non è separata, ma regge l’intero discorso; non si devono mettere i due punti né le virgolette; bisogna
cambiare i tempi verbali a seconda del tempo del verbo che regge tutto il discorso.
PARTE QUINTA
Il burocratese:
L’aziendalese:
Lo scolastichese:
E’ un linguaggio che è stato insegnato nella lingua del passato e che qualche parola si usa ancora ma è antica.
Ad esempio:
- Accudire (occuparsi di)
- Adirare (arravviarsi)
- Condurre (portare)
- Fanciullo (bambino)
- Porgere (dare)
- …
Itanglese e itangliano:
il termine itanglese e itangliano sono stati coniate per indicare un italiano fortemente influenzato dall’inglese, caratterizzato dalla
massiccia presenza di parole ed espressioni inglesi o angloamericane.
Queste parole sono presenti nella politica, nell’amministrazione, nella finanza; basta pensare a jobs act (legge sul lavoro) o a
spendig review (taglio della spesa) a smart working (lavoro agile), recovery found ecc..
Digitalese:
è il linguaggio utilizzato per comunicare attraverso telefoni, tablet, computer tramite sms, post, commenti ecc. ( x esmp, x favore,
qlq, xò…).
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Grammatica Italiana
★ FONETICA E FONOLOGIA :
foni (+ allofoni), fonemi (+ prova di commutazione, coppia minima), c onsonanti (luoghi e modi di articolazione),
vocali (posizione tonica e atona), approssimanti (semivocali e semiconsonanti), d
ittongo e i ato.
_____________________________________________
!!! La fonetica descrive, classifica e fornisce la trascrizione dei suoni prodotti dall'uomo (foni), quando parla, senza
tenere conto della loro capacità di distinguere parole di diverso significato.
fonetica= si occupa dei suoni della lingua presi in sé, cioè privi di valore distintivo.
fono= l a realizzazione (concreta) di un qualunque suono del linguaggio.
!!! La fonologia studia i suoni presenti nelle lingue umane in rapporto alla loro funzione distintiva. Questi suoni con
potere distintivo sono detti fonemi, i quali sono entità astratte, non realizzazioni concrete (come sono i foni).
fonologia= studia le unità minime della lingua nel loro valore distintivo (fonemi).
N.B. per la trascrizione dei foni si usano le parentesi quadre [ ], per i fonemi le barre oblique //.
I FONEMI ITALIANI. I TRATTI DISTINTIVI
Foni e fonemi italiani si realizzano utilizzando l’aria di provenienza polmonare nella fase espiratoria:
l’aria, uscita dai polmoni, si incanala nella trachea e passa nella laringe, dove incontra le corde vocali (1^ ostacolo che
l’aria in uscita incontra) → due spesse pieghe muscolo-membranose con margini liberi che delimitano uno spazio detto
‘glottide’.
Alcuni suoni ottenuti mediante espirazione dell’aria esterna (per es. il bacio scoccato in aria o il verso che esprime
disappunto o disapprovazione) si ottengono premendo il dorso della lingua sul palato e poi staccandolo
bruscamente.
L’ampiezza delle oscillazioni è percepita soggettivamente come intensità (suoni forti e deboli); la frequenza,
è percepita come altezza o tono (suoni bassi e acuti).
/o/ = vocale posteriore, velare medio-alta → aumentano la rotonda mento e l'avanzamento delle labbra, mentre la
lingua retrocede ulteriormente – è la o chiusa d
i dove, molto, sono, volo.
/u/ = vocale posteriore, di massima chiusura, alta → si raggiunge il massimo grado di arrotondamento e di
avanzamento delle labbra; la lingua giunge fino al limite posteriore del palato duro (muro, duro, tutto).
/ ɛ /, /a/, /ɔ/ → vocali aperte
/i/, /e/, /o/, /u/ → vocalichiuse (quando non sono accentate sono sempre chiuse; f uori accento le vocali sono 5)
N.B. il segno ‘ (apice) precede la sillaba su cui cade l’accento (sillaba tonica).
In molti casi le denominazioni delle varie consonanti sono piuttosto lunghe e complicate, per cui alcune vengono
definite più semplicemente:
> La s sorda /s/ e la s sonora/z/ si indicano come sibilanti sorda e sonora
> la /ʃ/ prende il nome di sibilante palatale
> la /ŋ/ di n asale palatale
> la /ʎ/ di laterale palatale
> la /r/ e la /l/ vengono chiamate entrambe liquide; considerate individualmente sono indicate come v ibrante e laterale.
In italiano 5 consonanti sono pronunciate sempre intense in posizione intervocalica: le palatali /ʎ/, /ŋ/, /ʃ/ e le
affricate alveolari /ts/ e /dz/. La sibilante sonora /z/ è sempre tenue.
Oltre alle vocali e alle consonanti, l’italiano possiede 2 approssimanti: s emivocali e semiconsonanti.
!!! Prendono il nome di approssimanti quei foni per produrre i quali il canale orale si stringe più che per le vocali
chiuse; ne risulta un suono intermediot ra quello delle vocali e quello delle consonanti.
Es. nelle parole piede e buono, la i e la usi impostano come le vocali /i/ e /u/, ma hanno durata più breve:
/i/ → è la semiconsonante palatale /j/ detta jod
/u/ → è la semiconsonante velare o labiovelare /w/ detta wow
VOCALI SEMIVOCALI
nella posizione di margine sillabico
nella posizione di nucleo sillabico
es. di j : D
iana, aio –
es. di w : eseguire, causa
Non si articolano mai da sole, ma necessitano sempre di una
Si articolano da sole
vocale→ vi si appoggiano e con la quale formano un dittongo
!!! I dittonghi sono unità formate da una vocale in funzione di centro di sonorità della sillaba ed una i oppure una u
con funzione consonantica, vale a dire di margine della sillaba.
[Vocali aperte (è, ò), vocali chiuse (é, ó)]
I dittonghi ià, iè, ié, iò, ió, iù; uà, uè, ué, uò, uì nei quali
la semiconsonante precede la vocale sono dittonghi
ascendenti (si chiamano così perché in essi la sonorità
aumentapassando dal primo al secondo elemento)
N.B. nelle parole che terminano in “vocale accentata + i” (es. amai, perdei, noi, voi, lui, guai, mai, finii), la -i è vocale
sillabica se è alla fine della frase (es. solo Isa amai) – è, invece, asillabica se si trova al centro della frase (es. solo Isa
amai nella mia vita).
!!! Due semiconsonanti legandosi a una vocale formano un trittongo: aiuola /a’jwɔla/, inquieto /in’kwjɛto/,
seguiamo /se’gwjamo/.
!!! Lo iato è l’incontro di due vocali che non formano dittongo perché appartengono a sillabe diverse: mio = mi-o
/’mio/, pia= pi-a /’pia/, paura = pa-u-ra /pa’ura/, paese = pa-e-se /pa’eze/.
________________________________________________________________________________________
★ FONOLOGIA e GRAFEMATICA :
grafema (numero e genere) e grafo, suoni della scrittura e sistemi di scrittura (ideografici, sillabici, alfabetici), grafemi
lettere dell’alfabeto, digrammi e trigrammi, accento (e la sillaba) e punteggiatura.
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I suoni linguisticisono rappresentatiper mezzo di segni grafici o grafemi.
!!! In un sistema alfabetico, il grafemaè la più piccola unità distintiva del sistema di scrittura di una lingua.
Il grafema è un’astrazione rispetto al grafo, che è una forma concreta, la realizzazione effettiva e particolare di un
grafema.
L'insieme dei segni grafici o grafemi con i quali si rappresentano i suoni di una lingua costituisce un sistema di
scrittura; per le lingue che hanno scritture alfabetiche si parla di alfabeto.
DAL SUONO ALLA SCRITTURA
Nelle società evolute l’uomo ha elaborato vari sistemi grafici per fissare e per tramandare i messaggi orali.
Il codice primario è rappresentato dal linguaggio orale, il codice di secondo grado è rappresentato dalla
scrittura.
Rientrano nella scrittura anche:
- i pittogrammi o mitogrammi (disegni che raffigurano un messaggio complesso)
- gli ideogrammi (segni più o meno stilizzati che rappresentano una singola nozione)
Una corrispondenza tra parlato e scritto si ha con le scritture sillabiche e alfabetiche, in cui teoricamente
ogni segno corrisponde a un fono.
Le scritture alfabetiche naturali non rappresentano mai fedelmente i foni o fonemi della lingua
corrispondente (ed è accentuata dall’evoluzione della lingua parlata, che in genere è più veloce
dell’adeguamento della scrittura).
In alcune lingue la corrispondenza tra grafia e pronuncia è abbastanza soddisfacente, in altre come l’inglese,
c’è una divaricazione molto forte. In inglese un stesso fonema può essere rappresentato da grafie diverse
come per la i lunga, es green, mean, field. La medesima grafia d’altra parte, può avere più valori fonetici come
gh in enough, ghost, though.
L’alfabeto fonetico adottato dalla Grammatica è quello dell’AFI (Associazione Fonetica Internazionale)
chiamata anche A.P.I, I.P.A. E’ importante distinguere suoni e lettere.
La grafematica ha il compito di classificare i grafemi di una lingua studiandone le funzioni in relazione ai foni
rappresentati.
L’ortografia è l’insieme delle regole che vigono, in una data epoca e per una determinata lingua, per l’uso
corretto dei grafemi e dei segni paragrafematici. E’ tra i settori della lingua uno di quelli più soggetti a censura
sociale.
(La g
rafematicaè lo studio scientifico dei grafemi. L'ortografia, invece, appartiene all’ambito della didattica e ha
finalità prescrittive; è la r esa grafica di una d
eterminata lingua secondo un modello di riferimento).
Il termine segni paragrafematici definisce l’insieme dei segni che servono a completare quel che viene
indicato per mezzo dei grafemi: punteggiatura, accenti, apostrofi, uso della maiuscola, divisione delle parole.
Sono tutti elementi che trovano espressione scritta senza rappresentare un fono, pur potendo avere nel
caso della punteggiatura un corrispettivo nel sistema di pause e nell’intonazione.
SISTEMI DI SCRITTURA
Il sistema di scrittura dell'italiano è più fedele rispetto ai suoni che rappresenta, ma presenta
comunque un certo numero di incongruenze.
Tali incongruenze sono concentrate, nella maggior parte dei casi, in corrispondenza di quei
suoni che non erano presenti nel latino ma che si sono sviluppati prima nel latino volgare e
poi nell’italiano.
I nomi delle varie lettere sono oggi stabilizzati, tranne per v c he come segno distintivo da u ha autonomia
più recente.
Scrivendo si può ricorrere indifferentemente al nome della lettera oppure al suo simbolo grafico, in
corsivo o tra virgolette.
Quanto al genere, l’uso è tuttora oscillante fuorchè per zeta che è facilmente inseribile nella serie dei
femminili in -a. Suono e segno sono responsabili del maschile, lettera del femminile.
Anche al plurale, i nomi delle lettere rimangono invariati.
Oltre che in alcuni usi idiomatici, i nomi delle lettere si usano:
1) in riferimento all’aspetto grafico del simbolo stesso
2) nella compitazione, specie telefonica (in genere ricorrendo a nomi di città comincianti con la lettera
voluta es. R come Roma.)
3) nelle sigle
4) per indicare una vitamina (es. hai preso la vitamina C?)
GRAFEMI E FONEMI
Gli alfabeti storici non possono mai rappresentare fedelmente il sistema fonematico di una lingua.
In italiano la corrispondenza 1 grafema: 1 fonema è raggiunta in un numero di casi abbastanza alto, delle 21
lettere dell’alfabeto ben 11 hanno valore univoco, designano cioè un solo fonema (a, b, d, f, l, m, n, p, r, t, v).
Per i restanti 10 grafemi dobbiamo distinguere tra grafemi polivalenti, grafemi diacritici e un grafema
funzionalmente sovrabbondante.
> I GRAFEMI POLIVALENTI → sono quei simboli che a seconda del contesto possono avere valore
fonematico diverso. Si tratta di 4 lettere vocaliche (e, o, i, u) e di quattro consonantiche (c, g, s, z).
u si possono considerare polivalenti in quanto rappresentano sia le vocali e le semivocali / i / e / u/
I grafemi i e
sia le semiconsonanti / j / e / w /.
> I GRAFEMI DIACRITICI → sono segni che non corrispondono ad un’entità fonetica ma servono,
combinandosi con altre lettere, ad esprimere un suono non rappresentabile con un solo grafema.
Il gruppo di due grafemi che indicano un unico fonema si dice → digramma (es. ci, gi, ch, gh, sc, gl, gn)
il gruppo di tre grafemi → trigramma (es. gli, sci)
[digrammi e trigrammi: ripresi dopo]
> GRAFEMA SOVRABBONDANTE → ci riferiamo a q che è un semplice doppione di c come primo elemento
di un nesso labiovelare sordo. (in parole come cuore e quota la prima sillaba è identica, sono soltanto ragioni
storiche che impongono cu nel primo caso e qu nel secondo)
Per indicare il grado intenso la grafia normale è cqu: acqua, giacque, nacque.
Si ha qq in soqquadro, biqquadro.
e,o
Sotto accento e ed o possono corrispondere a: e aperta, e chiusa, o aperta, o chiusa.
Si ha e aperta:
1) nelle desinenze :
-endo d el gerundio (leggendo, sentendo)
-ente del participio (vedente, reggente)
-ei, -ebbe, -ebbero del condizionale (canterei, canterebbe, canterebbero)
-ettero del passato remoto (perdettero)
2) nel dittongo:
-ie (pieno, sedie), tranne che esso non faccia parte di suffissi con e chiusa (come in macchietta,
specchietto).
3) nel suffisso diminutivale -ello, -ella ( miserello, poverella) , anche se si trovano in toponimi o in
cognomi.
4) nei suffissi:
- di numerativi → -enne (ventenne) e -ennio (ventennio) e di numerale ordinale -esimo (ventesimo)
- sostantivale → -enza (clemenza, partenza) e nelle parole terminanti in senza, Ardenza, Piacenza
- aggettivale → -estre (silvestre, terrestre)
Si ha e chiusa:
1) in diverse desinenze verbali:
-ei d el passato remoto (perdei)
-esti, -emmo di passato remoto e condizionale (perdesti, perdemmo, perderesti, perderemmo)
-este di passato remoto, condizionale e congiuntivo imperfetto (perdeste, perdereste)
-é, -erono del passato remoto (perdé, perderono)
-ere dell’infinito di 2° coniugazione (avere)
-emo del futuro (canteremo)
-ete dell'indicativo presente e futuro e dell’imperativo (perdete, perderete)
-evo, -evi, -eva dell’imperfetto indicativo ( avevo, avevi, aveva)
-essi, -esse, -essimo, -essero del congiuntivo imperfetto (avessi, avesse, avessimo, avessero)
3) nel suffisso:
-etnico → -ese (piemontese, allegramente)
-sostantivale :
-esimo (cristianesimo)
-essa ( dottoressa)
-ezza (lentezza)
-diminutivale -etto ( clarinetto)
Si ha o aperta:
1) in tutte le parole ossitone ( portò, sto, comò)
2) nel dittongo uo ( fuoco, muove) tranne in liquore → la o è chiusa
3) in parole proparossitone composte di elementi dotti, almeno uno dei quali sia di origine
greca(burocrate, cardiologo, filosofo)
4) nel suffisso in:
-olo, -uolo (fagiolo, lenzuolo) , compreso l’-olo della chimica (tritolo)
-otto (giovanotto, sempliciotto)
Si ha o chiusa:
1) nel suffisso:
-sostantivale e aggettivale -oio (corridoio)
-one di accrescitivi (bambinone, anche al femminile bambinona) e di femminili in -zione, -sione (stazione,
ammissione)
sostantivale → -ore (amore, dolore)
aggettivale → -oso ( noioso, tenebroso)
g
ce
I due grafemi c e g hanno valore velari davanti alle vocali a, o, u; davanti a una consonante c si pronuncia
sempre /k/ (cloro, fucsia)
g vale /g/ (segmento, tungsteno), tranne che davanti a l e n con cui forma digramma.
Davanti a i ed e, c e g hanno sempre valore palatale
s
La S si pronuncia generalmente:
- sonora → davanti a una consonante sonora es.smetto
- sorda → in posizione iniziale es.sei, la sera e anche dopo consonante es.penso
- in una parola composta → es. risalire,asettico,antisismico
z
Anche z corrisponde a due fonemi distinti /ts/ e /dz/.
Storicamente un’affricata alveolare sorda /ts/ continua:
-gruppo consonantico -TJ-, -CJ- sia in parole popolari (prezzo, calza) , sia in parole dotte (nazione, giudizio)
-s iniziale latina (zolfo)
-z germanica (zanna)
-s araba (zucchero)
Si ha Z sorda / ts/:
a) in quasi tutte le sequenze in cui z sia seguita da i + vocale (es zio, spazio, nazionale, anziano)
b) forme derivate da basi con /dz/ (es romanziere, ronzio)
c) dopo L → (es alzare, milza)
d) nei suffissi → anza(speranza), -enza( potenza), -ezza(bellezza), -ozza e -ozzo (carrozza,
predicozzo), -uzza,-uzzo( pagliuzza, peluzzo)
L’h NON SI SCRIVE → nel composto riavere: riò, riai, rià, rianno
DIGRAMMI E TRIGRAMMI
Combinazioni di due lettere aventi valore di un solo fonema:
1) gn+a,e,i,o,u (es. cagna, montagne, bagno)
2) gl+i (es.figli)
3) sc+i,e (es.lasci, scena)
4) ci+a,o,u (es.ciao, ciocca)
5) gi+a,o,u (es.giardino, mangio, giù)
In posizione interna ha valore di /gl/ quando è preceduto da n(anglicano), in geroglifico, in negligente, in tutte le
voci del verbo siglare e in nevroglia.
g va usata solo davanti ad a, o,u, mentre non dovrebbe esserci quando la vocale sia
La i diacritica dopo c, sc e
ato che essa basta da sola a garantire il suono palatale della consonante precedente.
e, d
va OMESSA:
ei verbi uscenti in -ciare, -sciare, -cciare, -giare, -ggiare( es. bacerò, lascerei,
a)nelle voci verbali in -erò, -erei d
caccerò, trangugerei, gareggerò)
b) nei derivati in -etta, -etto, -ezza, -eta, -eria, -ese f ormati da basi in -cia, -scia, -ccia, -cio, -scio, -ccio, -gio
erchè la i sia atona. (es. fascia → fascetta, poggio → poggetto)
-ggio, p
J
Nei nomi propri j regge discretamente, ma solo in posizione iniziale, in alcuni toponimi es. Jonio, Jugoslavia,
Jolanda. In generale si può dire che, non esistono casi in cui j non possa essere sostituita da i.
K
k → ha sempre valore di occlusiva velare
k compare:
a) nelle sigle → kg, kl, kW (in forma piena è preferibile ricorrere alla grafia italianizzata es chilogrammo,
chilometro)
b) con valore connotativo per il prestigio legato alla sua non usualità in ambito commerciale (es. bank in
inglese) e pubblicitario (es.kristall, go kart)
W
Compare solo in forestierismi moderni, oscillando tra due valori fonetici, v e w.
a) In generale, w vale v nelle parole italianizzate, quindi innanzitutto in quelle che ammettono oscillazione
grafica tra w e v che hanno terminazione vocalica o che sono derivate da un nome proprio straniero
(es.water, watt).
b) sempre v inoltre nelle parole di origine tedesca (es.weber)
c) w vale w nelle parole inglese o angloamericane non adatte (es.whisky, windsurf)
X
Corrispondeva in latino a un nesso di velare sorda + sibilante sorda.
Con questo valore x compare in italiano nella quasi totalità rappresentati da grecismi (es, parole formate con i
prefissi mixo-, xanto-, xeno-, xero-, xifo-, xilo-)
Eccezionalmente il nesso ks è rappresentato nella grafia da cs come in fucsia.
ACCENTO
Col termine di accento espiratorio o dinamico si indica il rilievo assunto, nella catena parlata, da una
sillaba* rispetto alle altre, attraverso un generale accrescimento della forza espiratoria.
L’ accento si sovrappone al segmento fonico, per questo è considerato un tratto soprasegmentale. L’accento
viene prodotto nello stesso momento in cui è prodotta la vocale che è colpita dall’accento; pertanto è detto
soprasegmentale quell’elemento linguistico che è in rapporto con gli altri elementi della frase pronunciata in
simultaneità con uno o più di essi.
I tratti soprasegmentali (o simultanei) più importanti sono l’accento (che riguarda la parola) e l’intonazione
(riguarda l’enunciato).
[SPIEGAZIONE A PAROLE DELLO SCHEMA SOPRA]
Si distingue:
- accento di parola (quello sulla prima sillaba, es. di tavolo)
- accento di frase → in una frase non tutte le parole sono dotate di accento:
alcune si appoggiano alla parola seguente quasi fondendosi con essa (proclitiche: ti in ti dirò)
altre si appoggiano alla parola che precede (enclitiche, unite ad essa anche graficamente: me e lo in dimmelo)
ACCENTO GRAFICO
L’ortografia italiana prevede l’obbligo di segnare l’accento in un numero limitato di casi.
L’accento grafico deve essere segnato:
a) sui polisillabi tronchi → quaggiù, sentirà anche quando risultino composti di monosillabi che di per sè lo
rifiuterebbero es ventitrè, gialloblù, nontiscordardimé.
b) sui monosillabi che rischierebbero di confondersi con omografi (vedi foto sotto)
Si segna l’accento anche sul monosillabo fè nelle due accezioni: fede e fece
Un altro sistema accentuativo prevede l’accento acuto per tutte le vocali chiuse → i’, é, u’, o’ e il grave per tutte
le aperte → à, è, ò
L’accento circonflesso ^ può comparire in due casi:
a) nel plurale di sostantivi e aggettivi in -io
b) per distinguere parole che siano omografe e omofone
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★ MORFOLOGIA:
morfemi (flessivi, lessicali, grammaticali, semiliberi), morfologia flessiva e derivativa (prefissazione, suffissazione,
composizione), formazione delle parole (regole, aggiustamenti, produttività, paradigmi e trascategorizzazione) e
polirematiche + morfologia dei nomi, degli aggettivi (+ i gradi dell’aggettivo e la comparazione ), dei pronomi,
degli articoli, degli avverbi e dei verbi (+ introduzione gramm. delle valenze, formazioni parasintetiche, tempi:
passato remoto e prossimo, congiuntivo, participio, gerundio).
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!!! La morfologia ha come oggetto di studio la struttura delle parole: vale a dire, l’analisi dei modi in cui gli elementi
minimi dotati di significato (i morfemi) si combinano tra loro per formare le parole di una lingua.
rospettiva sia sincronicasia d
La morfologia può essere studiata in una p iacronica
.
Analizziamo qui, la morfologia sincronica, la quale si divide in due settori:
❖ morfologia flessiva
❖ morfologia derivativa
b) La CONVERSIONE è il processo per il quale un vocabolo, appartenente a una classe, passa a un'altra
classe assumendo nei i tratti categoriali, ma senza cambiare la propria forma.
Es. il verbo piacere diventa il nome piacere e in quanto tale può avere un articolo, una forma plurale e di essere
accompagnato da un aggettivo.
La conversione dei verbi riguarda anche:
- il participio presente (cantante → il cantante)
- il participio passato (l’udito, l’andata)
- il gerundio (il divenendo, il laureando)
- intere locuzioni (il fai-da-te)
La conversione riguarda anche gli aggettivi (pieno → il pieno -- sociale → il sociale), gli etnici (napoletano
→ il napoletano), i nomi in -istausati come aggettivi (un amico ottimista).
TRANSCATEGORIZZAZIONE
PARTI DEL DISCORSO E LE LORO CATEGORIE FLESSIVE
I morfemi grammaticali (flessionali e derivazionali) costituiscono classi chiuse; i morfemi lessicali costituiscono
classi aperte. Gli uni e gli altri costituiscono il “nucleo
forte” della morfologia; ritroviamo anche un’area di
morfemi che hanno forme e usi variabili (componente
analitica della morfologia).
GRADO COMPARATIVO
Il grado comparativo dell’aggettivo serve a mettere in relazione due termini, secondo l’intensità di una
qualità posseduta da entrambi, nella stessa misura (maria è bella come paola) o in misura diversa (maria è
più bella di paola).
I gradi di comparativo di maggioranza e di minoranza sono i due gradi per mezzo dei quali esprimiamo la
relazione di non-uguaglianza tra i due termini.
La relazione di uguaglianza è espressa dal grado comparativo di uguaglianza.
GRADO SUPERLATIVO
Esprime il massimo livello possibile di intensificazione della qualità posseduta, in relazione ad altre grandezze,
persone, cose (superlativo relativo) o in senso assoluto (superlativo assoluto).
Il superlativo relativo → è preceduto dall'articolo determinativo (es.Mario è il più bravo, Maria è la meno
anziana).
Ha come parametro di riferimento tutti i termini omogenei con i quali è possibile attuare un raffronto.
Il numero di persone, cose, concetti messi a confronto, necessario perchè nel superlativo relativo sia
mantenuta l’idea di ‘’totalità’’ deve essere almeno superiore a due (es.mario è il più bravo dei due piloti).
Il superlativo assoluto→ indica il grado massimo di intensità di una qualità o di un concetto, senza istituire
paragoni con altre grandezze.
si esprime con il suffisso -issimo aggiunto all’aggettivo di grado positivo, e occasionalmente può essere
utilizzato con nomi (es.la finalissima, il presidentissimo)
Spesso il superlativo assoluto serve ad amplificare un aggettivo di grado positivo.
Non tutti gli aggettivi possono essere alterati per formare il superlativo, di regola dovrebbero esserlo solo quelli
che esprimono una qualità che può essere accresciuta o diminuita.
Mentre gli aggettivi che hanno un significato molto preciso e circoscritto, che non può essere modificato
intensivamente → hanno il solo grado positivo (es. cristiano, pagano, mortale, immortale, enorme, infinito) non
ammettono di norma grado superlativo.
Alcuni aggettivi formano il superlativo non con il suffisso -issimo, ma con i suffissi -èrrimo e -entissimo.
Superlativo in -èrrimo
POSITIVO SUPERLATIVO
acre acerrimo
celebre celeberrimo
integro integerrimo
misero miserrimo
salubre saluberrimo
Superlativo in -entissimo
POSITIVO SUPERLATIVO
maledico maledicentissimo
benefico beneficentissimo
munifico munificentissimo
benevolo benevolentissimo
malevolo malevolentissimo
I superlativi in -èrrimo si formano tutti (tranne miserrimo) da una radice alterata rispetto a quella del grado
positivo es,acr-e/acerrimo, celebr-e/celeberrimo.
Diverso è il caso dei superlativi in -entissimo → e ssi trovano riscontro nei normali superlativi in -issimo di
aggettivi in -ente, del tipo nutriente → nutrientissimo
Accanto alle forme miserrimo e saluberrimo esistono i superlativi regolari miserissimo e salubrissimo.
1) L’aggettivo di grado positivo può essere preceduto da un avverbio di quantità → molto, assai
es.sono molto stanco stasera
2) L’aggettivo può essere intensificato mediante → tutto es. tu sei tutta matta
3) L’aggettivo può essere oggetto di una reduplicazione intensiva → es.un grido forte forte, questo può
succedere anche con un nome es un caffè caffè, un caffè vero, un caffè come si deve → ossia la
ripetizione del sostantivo che ha lo scopo di sottolineare quel sostantivo.
4) Molti aggettivi e locuzioni apposti all’aggettivo → gli conferiscono valore di ‘superlativo’ es. innamorato
cotto, ubriaco fradicio.
5) Alcuni avverbi attribuiscono all’aggettivo qualificativo una intensificazione asseverativa simile al grado
superlativo → davvero, veramente, proprio e delle locuzioni come → sul serio, per davvero.
EGLI O LUI?
EGLI è sempre più raro, limitato alla lingua scritta o al parlato formale, mentre LUI in funzione
di soggetto si trova in qualsiasi varietà di lingua: scritta e parlata, formale informale.
EGLI può essere riferito solo a una persona mentre lui può essere riferito a una persona o a
un animale.
Il pronome ESSO può riferirsi sia a un animale sia a una cosa. Tuttavia, nell’italiano corrente
ESSO non si usa quasi mai: o si ripete il nome o si ricorre a QUELLO.
Il corrispondente femminile di EGLI è ELLA, che però e ormai rarissimo anche nell’italiano
scritto. Il pronome soggetto normalmente usato è LEI, riferito a persone e (raramente) ad
animali, nello scritto si incontra anche ESSA, sostituito nel parlato da QUELLA.
Per quanto riguarda il pronome soggetto di terza persona plurale, ESSI es ESSE non si
adoperano mai: per riferirsi alla persone si utilizza LORO, Per riferirsi a cose e a concetti,
invece, o si ripete il nome o si ricorre alla forma QUELLI/QUELLE.
questo fenomeno di divaricazione ha origini molto antiche: affonda le sue radici nel
fiorentino scritto del ‘300 che, come sappiamo, costituisce la base della nostra lingua
standard.
dal ‘400 in poi virgola in Toscana e fuori dalla Toscana, si fece strada la tendenza ad operare
LUI/LEI/LORO anche in funzione di soggetto, sia negli scambi scritti che in quelli parlati. ma i
grammatici che, a partire dal ‘500, fissarono le regole dell'italiano censurano questa
tendenza perché LUI/LEI/LORO non erano stati usati da Dante, Petrarca e Boccaccio.
E…. GLI?
Nell’italiano parlato contemporaneo c'è una diffusa tendenza a adoperare GLI non solo col
significato di “a lui”, l'unico corretto secondo la grammatica tradizionale.
GLI al posto di LE è ancora oggetto di censura da parte della comunità dei parlanti, per
questo è sconsigliabile usarlo. Invece, può essere usato senza esitazioni GLI per ( a) LORO
maschile e femminile. con questo valore specifico, GLI fu usato già da Alessandro Manzoni
nell’edizione 1840 dei promessi sposi.
CODESTO
Come negli anni ‘60, così anche oggi CODESTO e parola d'altri tempi, con un'eccezione
geografica e un'eccezione settoriale.
> Nell'accezione geografica: CODESTO è usato normalmente in Toscana per indicare
qualcuno o qualcosa lontano da chi parla, ma vicino che ascolta.
> Nell’accezione settoriale: CODESTO è normalmente usato nel linguaggio burocratico per
indicare qualcuno o qualcosa lontano da chi scrive e vicino a chi legge.
…QUANT’ALTRO
Ci sono espressioni che in sé non hanno niente di sbagliato, ma che nel corso del tempo, per
l'uso eccessivo che se ne fa, hanno finito per diventare banali. nel linguaggio della burocrazia
in cui è nata, questa combinazione di parole era ed è in genere accompagnata da un
participio passato. Poi, dalle carte polverose dei decreti e dei regolamenti, l'espressione ha
perso il participio passato che l'accompagnava e ha cominciato la sua ascesa in altri campi.
Tanto che al suo fascino hanno ceduto alcune “grandi penne”.
Sostituisce i più tradizionali e innocui ‘eccetera’ o ‘via dicendo’ e diventando una moda. Non
tutte le mode però sono buoni e questa ve la sconsiglio.
IL VERBO
Il verbo è una categoria linguistica fondamentale basata sulle categorie grammaticali (espresse dalla flessione) di
persona, numero, tempo, aspetto, modalità ; la diatesi o ‘disposizione’ serve per distinguere i verbi attivi, passivi e
medi (nel greco) e rappresenta l’atteggiamento dei partecipanti al processo nei confronti del processo stesso.
La classe dei verbi è costituita prototipicamente da verbi che esprimono azioni e hanno funzione predicativa. La
funzione fondamentale del verboè quella di predicato di un soggetto, si distingue tra:
● funzione predicativa: es. I pesci nuotano, Io ho telefonato → verbi che esprimono un senso compiuto e posso
essere utilizzati anche da soli.
● funzione attributiva: es. gli studenti (nome) promossi sono (verbo) felici (aggettivo) → il collegamento tra
l’aggettivo e il nome avviene attraverso un verbo.
Vi sono poi:
- verbi lessicali: funzionano da soli come predicatori
- verbi grammaticali: si accompagnano a forme nominali e verbali (es. essere e i verbi di supporto avere, dare, fare)
→ Tra questi ci sono:
> quelli che svolgono la funzione copulativa → il verbo essere lega un sostantivo e la parte nominale che serve a
definire il soggetto): es. M
ario (sogg.) è diventato ( copula) generoso (parte nominale).
> gli ausiliari essere e avere → sono utilizzati in combinazione ad un altro verbo per dare un particolare significato
della forma verbale. Questo è evidente, in italiano, nella formazione di tempi composti.
> i verbi modali, in Italiano, sono quattro: VOLERE, DOVERE, POTERE e SAPERE. Vengono anche detti verbi
servili, perché servono il verbo che segue, esprimendo l'idea di volontà, possibilità o dovere. Il verbo sapere è un
verbo modalequando esprime una capacità (es. Luigi deve partire, non può restare con noi).
> I verbi supporto sono quelli che forniscono un appoggio al predicato nominale, formando con esso un’unità
semantica: a ver bisogno, dare udienza, fare allusione, prendere aria, tenere compagnia.
Il verbo si accorda in genere e numero con un nome che prominenza all’interno della frase e non necessariamente
con quello più vicino.
I verbi si distinguono in classi. Un’opposizione fondamentale è quella tra:
● verbi transitivi: hanno ‘oggetto diretto’ e possono avere due argomenti (il soggetto e l’oggetto diretto). I verbi
transitivi hanno t ransitività alta (colpire, distruggere) o bassa (possedere).
● verbi intransitivi: non hanno il complemento diretto, né la forma passiva.
Si dividono a loro volta (questa divisione, detta ‘intransitività scissa’, h
a un riscontro semantico e sintattico) in:
- piano semantico -
- inergativi: esprimono attività intenzionali (ballare, camminare, parlare) o funzioni corporee (dormire, giocare,
piangere)
- inaccusativi: esprimono un cambiamento di stato repentino (arrivare, entrare, venire, fuggire), uno stato (restare,
rimanere), un avvenimento (accadere, avvenire, succedere).
- piano sintattico -
- i nergativi: hanno l’ausiliare avere
- inaccusativi: hanno l’ausiliare essere → gli unici che ammettono l’uso del clitico ne (ne sono arrivati molti) e possono
avere il costrutto assoluto (es. arrivato Luigi, la festa è cominciata). Infine, il soggetto si può collocare dopo il verbo (es.
è venuto Mario, rimane un dubbio).
Alcuni verbi hanno un uso transitivo e intransitivo (presto finirò i compiti).
I v
erbi pronominali si distinguono per la presenza di un pronome clitico →
sei classi di verbi in - si:
1. verbi riflessivi (lavarsi)
2. verbi con uso riflessivo indiretto (tagliarsi i capelli)
3. verbi con uso intensivo (bersi una birra)
4. verbi reciproci (salutarsi)
5. verbi reciproci indiretti (stringersi la mano)
6. verbi intransitivi pronominali (inquietarsi).
Vi sono verbi pronominali costruiti con altri clitici (andarci, finirla, prenderle, volerne) e con combinazioni di clitici
(andarsene, cavarsela, mettercela).
I verbi si definiscono in rapporto alla qualità dell’azione che rappresentano:
❖ Verbi durativi (ha dormito per un’ora)
❖ verbi non durativi (si è addormentato subito)
❖ verbi telici (arrivare, costruire, spegnere)
❖ verbi non telici (bere, riflettere, spaventarsi)
❖ verbi fattivi: si dicono fattivi quei verbi che instaurano un referente nella frase e con la negazione la cancellano
(es. La case non è stata ancora costruita e ieri l’ho visitata).
Quanto all’aspetto, si ricorda che questo termine si riferisce a quelle categorie verbali che distinguono lo stato
dell’evento in rapporto al suo svolgimento,si distingue tra:
● Aspetto grammaticale: segnala la durata interna del verbo (il passaggio un punto originario a un punto finale,
ha un esito).
● Aspetto semantico: provocato dall’ausiliarizzazione, che produce una variazione di significato tra i lessemi
verbali (perfettivo/imperfettivo).
● Aspetto lessicale: che si esprime mediante perifrasi e ha valore incoativo, progressivo, terminativo. Si
distingue tra aspetto perfettivo/imperfettivo, abituale/continuo, progressivo/non progressivo.
Nei verbi distinguiamo: la radice, la vocale semantica (che individua nell’infinito le tre coniugazioni) e le varie
desinenze (che esprimono i modi, i tempi e le persone).
Es. PARLARE → parl- (radice); -a- (vocale tematica); -re (indica il tempo: l’infinito).
Le forme verbali:
> accentate sulla radicesi dicono f orti o rizotoniche ( es. sènto, dìssi)
> a ccentate sulla desinenzasi dicono d eboli o rizoatone (es. s entirémo, dirànno).
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come si può osservare, il processo descritto è lo stesso, ma cambia la prospettiva del parlante,
l’atteggiamento col quale il passato viene percepito.
La frase 1→ sottolinea l’abitualità dell’azione, lasciandone indeterminati i contorni (= avevo l’abitudine di
leggere, ero solito leggere molto).
La frase 2 → inserisce l’azione entro coordinate temporali nette, marcandone la compiutezza, lo stacco
rispetto al presente
La frase 3→ rivive il processo nei suoi riflessi successivi, collegando il fatto di ‘’aver letto’’ con un implicito
risultato attuale (es: ho letto molto e :a) ho la vista indebolita, b) mi considero istruito).
Talvolta l’uso del passato remoto o del passato prossimo può dipendere da poche ore di differenza, anche se
va osservato che la distanza temporale rispetto al momento dell’enunciazione non costituisce mai un
discrimine rigido nella scelta tra i due tempi).
CONGIUNTIVO PAG.475
Il congiuntivo dispone di 4 tempi:
-presente -passato -imperfetto -trapassato
E’ un modo caratteristico soprattutto delle subordinate e il tempo è se non strettamente vincolato, certo
condizionato dal tempo della reggente.
Il congiuntivo riflette bene la componente volitiva-potenziale-dubitativa, in alcune subordinate tra cui: causali,
consecutive, ipotetiche, restrittive, concessive, temporali, avversative (solo dopo nonché), comparative,
eccettuative, relative, incidentali, finali ed esclusive.
Oltre che nelle subordinate il congiuntivo compare anche in alcuni tipi di frasi semplici → nelle interrogative con
valore dubitativo, nelle volitive e ottative.
PARTICIPIO
abbiamo 2 tempi del principio: presente e passato
Il participio presente → raramente adoperato con funzione verbale
il participio passato → frequente l’uso verbale che si ha con i tempi composti di qualsiasi verbo e inoltre, come
costrutto implicito, nelle subordinate causali, ipotetiche, concessive, temporali
il più delle volte non esprime un rapporto sintattico così puntuale, ma si risolve in una più generica
subordinazione relativa.
caratteristici i principi passati assoluti → ossia con un soggetto diverso da quello della reggente
Possono essere accostati al participio assoluto alcuni costrutti:
1- nominali e aggettivali → con funzione di proposizione subordinata (es.contento te, lui, presente te, lui)
2- Nominali con valore modale-descrittivo → caratteristici della prosa narrativa
Sia il participio presente, sia in misura ridotta il participio passato sono andati incontro a processi di
sostantivazione o di aggettivazione che spesso ne hanno del tutto obliterato l’antica natura verbale
es. di sostantivazione (participio presente) → l’affluente, il battente, il cantante, il dirigente
es. di sostantivazione (participio passato) → la camminata, l’entrata, il significato, l’udito.
es. di aggettivazione (participio presente) → apparente b uonumore, professore esigente, p ersone
invadenti
si noti che:
1) Il confine tra participio pienamente verbale e participio sostantivato non è rigido.
In una stessa forma possono alternarsi uso verbale e uso sostantivale, non solo nel caso in cui la
sostantivazione abbia condotto ad un significato specifico, ormai distante da quello del verbo originario;
ma anche quando le due forme mantengano lo stesso significato.
2) in diversi casi il processo di sostantivazione vale solo sul piano sincronico.
GERUNDIO
E’ un modo verbale di funzioni larghissime e non sempre definibili con precisione.
E’ connesso ad un verbo finito, sia che i due verbi costituiscano due frasi distinte, sia che diano luogo a una sola
struttura verbale.
Un uso autonomo del gerundio è possibile solo in casi particolari → per es. in titoli come ‘’cantando con le
lacrime agli occhi’’, o ‘’ballando, ballando’’, in cui si fa implicito riferimento a un più ampio contesto che li
determini, oppure quando il gerundio ha perso natura verbale diventando un sostantivo: es. termini musicali
calando, crescendo, spesso adoperati metaforicamente.
Tra i valori più frequentemente assunti dal gerundio subordinativo c’è quello modale.
Ricordiamo anche il gerundio con funzione causale, ipotetica, concessiva, temporale, comparativa ipotetica,
esclusiva.
gerundio coordinativo → quando l’atto verbale risulta semplicemente contemporaneo o successivo a quello
della reggente, senza nessuna funzione circostanziale.
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★ SINTASSI:
la frase (semplice e complessa + frase nominale), analisi sintattica (scomposizione della frase e rappresentazione
grafica + grammatica delle valenze), parti del discorso (soggetto, predicato), il sintagma (tipologie), differenze tra
frase, enunciato e proposizione (rapporti di coordinazione e subordinazione + tipi di subordinate: argomentali,
circostanziali, relative), la modalità (frase dichiarativa, interrogativa, esclamativa e imperativa) e polarità della frase
(affermativa e negativa); grammatica delle valenze (argomenti, attanti), tema/rema (topicalizzazione), le frasi
marcate(dislocazione a destra e a sinistra + focalizzazione) e punteggiatura.
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!!! La sintassi è lo studio delle relazioni tra parole e altre unità (insiemi di parole) che formano una frase.
La sintassi si fonda sul principio della combinabilitàe sul principio della sequenzialitàe si occupa:
• dei modi in cui le p
arole si combinano tra loro per ottenere per ottenere un significato
• delle sequenze con cui si combinano
• delle trasformazioni che tali sequenze possono subire.
Una frase di questo tipo può mantenere invariata la sua fisionomia di base anche quando altri elementi
sintattici (apposizioni, attributi, complementi) ne determinano l’espansione.
La parte predicativa di una frase nominale non è in realtà equivalente ad un predicato verbale regolarmente
espresso da un verbo.
Il verbo è dotato di un sistema flessionale che implica tempi, modi, diatesi, l’aspetto dell’azione; mentre
le frasi con sintagma nominale predicativo si situano in una dimensione di atemporalità assoluta e hanno di
solito funzione assertivo-descrittiva.
monoremi → frasi costituiti da una sola parola, molto frequenti nelle forme di dialogo serrato, a botta e risposta.
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In una frase si combinano tra loro le varie parti del discorso, in genere troviamo: soggetto, predicato e
complemento.
SOGGETTO E PREDICATO
Il soggetto è un argomento del verbo, è qualcuno o qualcosa di cui si dice/predica qualcosa);
Es. Mario è il soggetto nelle frasi: M
ario è ingegnere; Mario è mio fratello.
Il significato delle frasi è il risultato di una predicazione. Un argomento deve avere un rapporto di
legittimazione col predicato, poichè il predicato è il nucleo di un nesso sintattico, per cui esso lo inizia e vi
legittima le funzioni argomentali. Il predicato, quindi, può legittimare un argomento (Antonio starnutisce), può
giustificarne due (Antonio colpisce la palla) o tre (Antonio dà un libro alla sorella).
La relazione fondamentale in una frase è quella che collega un sintagma nominale(SN, detto soggetto) e un sintagma
verbale(SV, detto p redicato) → SN e SV costituiscono la f rase nucleare.
L’ANALISI SINTATTICA
“Il principale aspetto della struttura di un enunciato e il fatto che esso, a dispetto della sua
linearità, ha una struttura gerarchica, nella quale cioè esistono costituenti sopraordinati
(rappresentati dai nodi che “dominano” qualcosa) e costituenti sottoordinati (rappresentati dai
nodi dominati da un altro nodo)”.
SINTAGMA
Il sintagma è ogni insieme di elementi che in una frase costituisce un’unità (sono combinazioni di parole più
piccoli di una frase). I sintagmi sono i costituenti della frase.
Il sintagma è composto da una testa (centro del sintagma) e da elementi accessori, detti modificatori (articoli,
aggettivi, ecc.).
Es. Nella frase “un televisore a cristalli liquidi”, il centro è “un televisore” → se eliminiamo “a cristalli liquidi” e/o
l’articolo (“un”) quello che rimane (“televisore”) è un componente che ha comunque un significato; se INVECE,
eliminiamo “televisore”, la parte rimanente del sintagma non avrà alcun significato.
Il sintagma è:
❖ Endocentrico: quando ha il suo centro in se stesso.
Es. “L’auto corre velocemente” → due sintagmi “L’auto” (SN) e corre velocemente (SV) → corre = testa;
velocemente = modificatore. Il sintagma corre velocemente può essere sostituito da corre ma non da velocemente.
I sintagmi endocentrici possono essere:
● Coordinativi (Uomini e donne → i due termini sono sullo stesso piano sintattico)
● Subordinativi (Uomini onesti → onesti è subordinato a uomini)
❖ Esocentrico: non si comporta sintatticamente come uno dei suoi componenti.
Es: “Io vivo in città” → il sintagma “in città” (SPrep) ha un comportamento sintattico diverso rispetto sia a “in” che
a “città”.
Un sintagma non è sempre costituito da elementi posti l’uno accanto all’altro, per questo parliamo di:
● Sintagmi continui: elementi posti l’uno accanto all’altro (Es. Un aspirapolvere nuovo)
● Sintagmi discontinui: unità del sintagma interrotta (Es: Va subito giù! → “va giù” è interrotto da “subito”).
N.B. L’uso delle preposizioni, la reggenza e l’ordine delle parole sono fattori che garantiscono la coesione del
testo, permettendo la costruzione di sintagmi, che tra loro formano frasi e a loro volta periodi.
Si parla di ESPANSIONE quando nuovi elementi sono aggiunti a una costruzione sintattica senza
modificarne la struttura di base. Es. “La moto procede verso il centro della città” → “La bella moto del mio vicino di
casa procede tutte le mattine verso il centro della città a velocità moderata”.
Frase semplice: frase che comprende al suo interno un’unica struttura sintattica, provvista di un soggetto e un
predicato. Es. Gianni è partito
Frase complessa (o periodo): frase che contiene proposizioni. Es. Anche se non ho fame / mangerò una fetta di
quella torta / che ha fatto ieri la mamma / perché /se dovesse arrivare mio fratello / non ne lascerebbe una briciola.
COORDINATE E SUBORDINATE
In una frase complessa, d ue proposizioni possono legarsi:
- in un rapporto di coordinazione → proposizioni collegate tra loro su un piano di parità sintattica in modo tale
da mantenere ciascuna la propria autonomi (es. Gianni è partito e M aria è rimasta a casa).
- in un rapporto di subordinazione → una proposizione dipende dall’altra (Es. A mezzanotte, il poliziotto catturò
il ladro davanti alla casa (principale) che aveva appena svaligiato ( secondaria)).
Se una proposizione da sola ha senso compiuto è detta proposizione indipendente (o principale), se invece non
può stare da sola è detta dipendente(o subordinata) dall’altra.
La frase estesa e composta di più proposizioni è detta periodo. In una frase complessa (o periodo) è sempre presente
una proposizione principale e una o più subordinate.
Es. Quando venne a Roma (proposizione temporale) Giovanni visitò il Colosseo (proposizione principale) perché
questo era nel programma (proposizione causale) → vi sono tre proposizioni o clausole.
Le subordinate si distinguono:
● argomentali (o completive), costituiscono l’espansione di uno degli argomenti della frase principale; a loro volta
distinte in:
- oggettive (funzione di complemento oggetto);
- soggettive (funzione di soggetto);
- completive oblique(funzione di complemento indiretto)
● circostanziali: sono aggiunte alla principale al fine di determinare, specificare, connettere con altri concetti
quanto è stato espresso nella principale (causali, consecutive, temporali, finali* ecc).
● relative: non sono un’espansione del verbo della frase principale, ma di un elemento nominale, detto
antecedente, contenuto nella principale.
In rapporto alla m odalità verbale, l e proposizioni subordinate si dividono in:
● esplicite: costruite con verbi di modo finito e introdotte da congiunzioni
● implicite : costruite con verbi di modo non finito.
Gli argomenti sono gli elementi a cui il verbo assegna un ruolo tematico; l'insieme delle relazioni tra verbo e
argomenti è la s truttura argomentale.
Ciascuno dei costituenti che si possono collegare il verbo è un attante (o argomento)→ Sono chiamati così i
costituenti che, partecipando all’azione verbale, risultano direttamente subordinati al verbo.
Gli attanti sono classificati in base al loro ruolo sintattico-semantico:
primo attante = agente, secondo attante = p aziente, terzo attante = beneficiario.
In relazione alle sue proprietà lessicali, un verbo richiede un determinato numero di attanti, creando in tal modo
una sua cornice funzionale di caselle vuote da riempire.
Es. i verbi vendere e comprare sono trivalenti, poichè prevedono 3 partecipanti all’azione verbale: un venditore, un
compratore e l’oggetto che viene venduto/comprato.
TEMA E REMA
La coppia tema/rema appare nella struttura informazionale(non argomentale) della frase.
Una frase è anche una struttura informativa: comprende una parte che contiene ciò di cui si parla (tema - topic)
e una parte che dice qualcosa a proposito di ciò di cui si parla (rema - comment).
tema/rema = noto/nuovo.
Normalmente il soggetto grammaticale coincide con il tema e con l’elemento noto (all’interlocutore); il
predicatocoincide con il r ema e l’elemento nuovo. Ma non sempre si ha questa perfetta coincidenza.
Es. Il libro di fisica l’ho prestato a Carla (tema: il libro = compl. ogg)
È scoppiata una bomba (non c’è il noto, ma solo il nuovo)
In una frase, un elemento può essere noto perché è designato con un modo che lo rende identificabile, ad
esempio l'utilizzo dell’articolo indeterminato (es. ho salutato un’amica - nuovo) /determinativo (ho salutato l’amica -
dato).
IMPORTANTE: come anticipato, il rema non si identifica sempre con il predicato verbale e la nozione di tema
non deve essere confusa con quella di soggetto. Anche se quest’ultimo coincide spesso con il tema, si tratta di due
entità distinte: il s oggetto s i riferisce alla struttura linguisticadella frase; il tema a l s ignificato della frase.
Il tema p uò essere:
> un complemento(diretto o indiretto):
es. G iovanni, l’hanno elogiato i suoi superiori; A
tua moglie, quando pensi di dirlo?
> anche una p orzione di frase:
es. C he Mario sia una brava persona lo dicono tutti.
Il confine tra tema e rema, tra dato e nuovo, muta in rapporto al cotesto (cioè il contesto linguistico) e alla
situazione comunicativa (cioè in rapporto ai fini comunicativi che il parlante si propone).
Il rapporto di predicazione tra soggetto e predicato presente in una frase, appare con evidenza quando la frase è
scomposta in tema (ciò di cui si parla nella frase) e r ema (la predicazione che viene applicata al tema).
Il tema, inoltre, può essere marcato da un introduttore (es. ‘quanto a’, ‘riguardo’).
PROGRESSIONE TEMATICA
Analizzando un testo composto si nota che la struttura “tema-rema” di una singola frase iniziale è ripetuta sovente
nelle altre frasi o comunque intrattiene con le altre frasi rapporti di vario tipo. In questo caso si parla di progressione
tematica, se ne individuano 5 tipi:
● Tematizzazione lineare : il re ma di una frase diventa il tema della frase seguente.
● Progressione a tema costante : il medesimo tema è ripetuto in frasi che si susseguono.
● Progressione a temi derivati da un ipertema : il tema di ogni frase è compreso in un tema più ampio, chi
appare all'inizio del discorso e mette in relazione tra loro le frasi che seguono.
● Progressione a temi derivati da un iperrema : in rema della prima frase diventa il tema che unisce tutte le
frasi successive
● Progressione tematica a salti : un tema diverso appare in ciascuna frase.
Ogni testo ha un suo dinamismo comunicativo, che riguarda il rapporto tra il dato e il nuovo, che per lo più
coincidono con il tema e il rema. Il rema, rispetto al tema, ha un più alto valore informativo ed è il fattore che fa
progredire l'informazione.
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Sintassi e punteggiatura
Due aree linguistiche interconnesse: la punteggiatura può avere un forte valore sintattico.
In molti manuali la punteggiatura è collocata in un capitolo insieme all’ortografia, all’inizio della trattazione, prima
della sintassi. Tale scelta induce a pensare che l’uso corretto della punteggiatura sia, come l’ortografia, una questione
arbitraria legata alla tradizione dell’uso.
PUNTEGGIATURA
Per ‘punteggiatura’ si intende l’insieme di segni non alfabetici, funzionali alla scansione di un testo
scritto e all’individuazione delle unità sintattico-semantiche in esso contenute.
In italiano distinguiamo i seguenti segni interpuntivi → punto, punto interrogativo, punto esclamativo, virgola,
punto e virgola, due punti, puntini di sospensione, virgolette, trattino, parentesi tonde e quadre, sbarretta,
asterisco.
Restano fuori da questa lista i segni diacritici che modificano un singolo grafema e che sono di uso arcaico e
straniero, tra cui parentesi aguzze < >, parentesi graffe.
Le FUNZIONI della punteggiatura sono 4:
1) FUNZIONE SEGMENTATRICE → è la funzione principale e consiste nel segmentare un testo
distanziando rispettivamente componenti di esso.
Alcune frasi possono cambiare completamente di significato a seconda dell’interpunzione usata. Possono
rientrare in questa funzione anche i segnali di apertura o apertura-chiusura di un discorso diretto.
2) FUNZIONE SINTATTICA → i segni interpuntivi possono esplicitare il rapporto sintattico, la gerarchia che
sussiste tra due proposizioni o tra due elementi della medesima proposizione.
PUNTO
Serve per indicare una pausa forte, che conclude un periodo o una singola frase. E’ il segno interpuntivo
fondamentale.
Si usa anche nelle abbreviazioni, e possono distinguersi a seconda che avvengano:
a) per contrazione → se consistono nelle lettere iniziali e finali (es.f.lli=fratelli, s.lle=sorelle,
ill.mo=illustrissimo)
b) per compendio → quando riproducono una o più lettere iniziali della parola abbreviata (es.dott =dottore,
avv= avvocato)
c) per una sequenza consonantica → quando risultano dalla consonante iniziale seguita da una o più
consonanti (es. sg e sgg =seguente, seguenti).
Quando una frase si conclude con un’abbreviazione, il punto fermo non si scrive perchè è inglobato nel punto
abbreviativo.
Le lettere di una sigla possono essere seguite da un punto.
Nelle sigle complesse, in cui per ottenerne la pronunciabilità si aggiungono una o più vocali alle consonanti che
le costituiscono, il punto manca es. CONAD, FIAT
VIRGOLA
E’ il segno di uso più largo, vario e articolato.
Indica una pausa breve e non va usata all’interno di blocchi unitari, in particolare:
- tra soggetto e predicato (giorgia legge, paolo scrive)
- tra predicato e oggetto (leggo il giornale)
- tra aggettivo e sostantivo (il cantante preferito)
Tuttavia questa norma viene meno tutte le volte che uno dei due elementi del sintagma è messo in evidenza,
alterando l’ordine abituale delle parole.
La virgola può trovarsi:
a) nelle enumerazioni e nelle coordinazioni asindetiche
La virgola può mancare per ricerca di maggiore tensione espressiva, nelle serie sindetiche con membri
separati da una congiunzione coordinativa (e,né,o,ma).
Nelle enumerazioni prima di eccetera e dell’abbreviazione ecc. la virgola può esserci oppure no.
b) prima di un’apposizione
c) prima, ed eventualmente anche dopo, un vocativo assoluto(cioè non preceduto da interiezione,
es.Senti, babbo)
d) negli incisi di qualunque tipo
e) prima e dopo(o solo prima o solo dopo, a seconda della posizione nel periodo) alquante proposizioni
subordinate che condividono in qualche misura le caratteristiche dell’inciso.
es. Latina, che fu fondata nel 1932, è la seconda città del Lazio
niente virgola, invece, prima di una relativa limitativa → es. i discorsi che tu fai
f) nelle ellissi (es. il primo indossava un berretto; il secondo, un cappello di feltro)
PUNTO E VIRGOLA
Indica una pausa più forte della semplice virgola e si può trovare nei seguenti casi:
1) per separare due proposizioni coordinate complesse
2) nelle enumerazioni di unità complesse
3) in luogo della virgola, quando può generare equivoco.
DUE PUNTI
assolvono il compito di semplice scansione del periodo
funzione → illustrare, chiarire, argomentare quanto affermato in precedenza
ha diverse funzioni:
a) FUNZIONE SINTATTICO-ARGOMENTATIVA → indicano la conseguenza logica di un fatto, l’effetto
prodotto da una causa.La causa può essere espressa anche nella frase che segue i due punti.
b) FUNZIONE SINTATTICO-DESCRITTIVA → se si esplicitano i particolari di un insieme o enumerando le
singole componenti di quell’insieme, o rilevandone i tratti salienti
c) FUNZIONE APPOSITIVA → se presentano una frase con valore di apposizione della frase precedente.
d) FUNZIONE SEGMENTATRICE → se servono a introdurre un discorso diretto, perlopiù in combinazione con
gli specifici segni demarcativi, virgolette o trattini
PUNTINI DI SOSPENSIONE
si usano per indicare sospensione, allusività
sono comunemente posposti, ma possono essere anche anteposti, e in tal caso inseriscono la frase che segue
nel flusso di un discorso cominciato in precedenza.
Sono tradizionalmente usati per riprodurre i cosiddetti cambi di progetto del parlato, che si accentuano in chi
sia preda di emozione o turbamento.
uso brillante → quando si vuole preparare il lettore a un gioco di parole, a una battuta di spirito.
servono infine nelle citazioni per indicare un’omissione volontaria.
VIRGOLETTE
Servono essenzialmente per riportare una parola o un discorso altrui, o per contrassegnare l’uso particolare di
una qualsiasi espressione
In tipografia si distingue tra virgolette basse, alte e apici; nelle scritture a mano si usano in genere le virgolette
alte.
La scelta tra virgolette basse e alte dipende dalle varie tradizioni tipografiche, le virgolette più adoperate sono
in genere quelle basse, ma entrambe sono utili per citazioni interne.
La nostra grammatica indica invece le citazioni interne per mezzo del trattino oppure mediante apici.
Gli apici si usano per sottolineare una singola espressione o per qualificare un significato.
TRATTINO
Il trattino ha nella stampa due lunghezze diverse: - e ---
Il trattino più lungo può essere usato per introdurre un discorso diretto, generalmente se ne adopera solo uno,
in apertura.
Il trattino di chiusura compare quando al discorso diretto segua una didascalia.
Davanti al trattino di chiusura vanno collocati il punto interrogativo, punto esclamativo e i puntini.
Un’altra funzione svolta dal trattino lungo è quella di introdurre un inciso.
Il trattino breve si trova, nella stampa, per l’indicazione dell’a capo e in qualunque tipo di scritto, per
sottolineare il legame esistente tra due membri di un composto che non presenti una stabile univerbazione.
non c’è una regola che indichi se si deve scrivere minibus o mini-bus, sociolinguistica o socio-linguistica,
entrambe sono accettabili.
Le parole che non hanno il trattino sono: capostazione, palcoscenico, francobollo, altoforno, capobanda,
antiarea, antifascismo, anticomunismo.
Le parentesi quadre sono di uso più occasionale delle tonde, sono usate per introdurre una parentesi entro
un’altra parentesi (....[...]....)
Le parentesi tonde e quadre servono inoltre a introdurre un particolare tipo di inciso, quello rappresentato dal
commento dello scrivente.
Quanto alla collocazione degli altri segni di punteggiatura, nell’ortografia il punto interrogativo ed esclamativo
vanno posti prima della parentesi chiusa, gli altri segni interpuntivi dopo di essa.
ASTERISCO E SBARRETTA
Sono entrambi segni rari e di uso particolare.
L’asterisco può indicare un’omissione volontaria.
In linguistica, l’asterisco contrassegna forme non attestate, ma ricostruite dagli studiosi, oppure forme ed
espressioni inaccettabili grammaticalmente o semanticamente *io ando, *loro mangia.
APOSTROFO
Segnala l’apocope postvocalica:
a) nelle preposizioni articolate maschili plurali es. a’ (ai), de’(dei), né(nei)..
b) nelle forme imperativali da’, fa’, sta’, va’ tratte dall’indicativo e affiancatesi a quelle tradizionali da, fa, sta, va.
NORMA LINGUISTICA
● Risultato di un processo
● Il processo è condivisa dalla maggior parte dei parlanti
● comportamento linguistico a tutti i livelli
● si modifica nel tempo
● è composta da regole che sono stabilite dai parlanti attraverso usi linguistici
abitudinari
● socialmente accettata
● adattamento a determinati comportamenti linguistici
● codificata da studiosi, che trasformano tali regole non scritte in regole scritte * (a volte
gli studiosi “creano” regole dal nulla o quasi)
● descrizione di un comportamento linguistico già presente
Mentre lo standard è arrivato ad essere codificato da studiosi, il neo standard sta ancora
nella fase di accettazione sociale.
la natura sociale della norma fa sì che questa abbia la somma delle sensibilità linguistica
della società. Questa esercita una funzione di controllo della norma, favorendo quelle che
rientrano nelle abitudini linguistiche.
Luca Serianni paragona la norma al senso del pudore. un repertorio grammaticale di 50 anni
fa poteva dire che alcuni francesismi, ora radicati nel lessico, erano da evitare. A questo
punto la codificazione linguistica da parte degli studiosi, dei grammatici in realtà costituisce
una fotografia di un determinato stato della norma.
● Varietà sociali (o diastratiche): sono in rapporto con lo strato sociale cui appartiene il parlante e con altre
variabili riguardanti i fattori identitari e generazionali (propriamente detti ‘ socialetti
’).
Importante, nella scelta di vocaboli e di espressioni, è la variazione diamesica che riguarda il mezzo con cui è
attuate la comunicazione (lingua, parlata, scritta, trasmessa).
Es. formula tipica usata al telefono fisso: pronto? Chi parla?, mentre al cellulare: non prende; mi sposto per sentirti
meglio.
Le varietà descritte influiscono sulla scelta e sull’uso dei vocaboli e dell’espressione che ricorre nel parlato e
nello scritto; non si usano quasi mai isolatamente (soprattutto nel parlato).
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★ SOCIOLINGUISTICA
Una varietà di lingua si può definire un insieme solidale di varianti e di variabili sociolinguistiche. Dalle scelte
di pronuncia, di lessico, di grammatica, di organizzazione del discorso e di stile distinguiamo una persona colta da un
individuo scarsamente acculturato. L’uso di una varietà linguistica funge certamente da indicatore sociale. Ogni
lingua è suddivisa in varietà dipendente da fattori sociali ed extralinguistici. Le varietà che comprendono,
dialetto, parlate locali, registri, linguaggi settoriali, si classificano in:
→ Varietà diacroniched istribuite lungo l’asse temporale (dipendono dal tempo).
es.: italiano moderno e italiano antico
→ Varietà diatopiched istribuite nello spazio geografico(dipendono dal luogo).
es.: i dialetti delle varie regioni (regionalismi: visti sopra)
→ Varietà diafasiche dipendono dalla situazione comunicativa (formale e informale) e dalla modalità
colloquiale- ricercata; tali differenze si realizzano mediante l’uso di diversi registri e mediante l’adozione di
sottocodici e lingue speciali. e s.: i linguaggi settoriali (sopra).
→Varietà diastratiche dipendono dalla situazione dei parlanti, quindi dalla loro provenienza, dal livello di istruzione,
dall’età, dalla mobilità sociale, ecc.. e s.: varietà sociali e/o socioletti
→Varietà diamesiche dipendono dal canale o mezzo di comunicazione (orale, scritto o trasmesso).
Canale di trasmissione.