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Grammatica

Simulazione

1)Metti l’accento o l’apostrofo dove è necessario (3pt):

è ( verbo essere)
né (avverbio o pronome)
da’ (imperativo del verbo dare)
da (preposizione)
sta (imperativo del verbo stare)
sé (pronome)
te (pronome)
sí (affermazione)

2)Data la definizione, segna con una X la parola corrispondente che presenta l’accento
corretto (3,5pt)
a) uccello dell’ordine dei cuculiformi
x Cùculo​ cucùlo
b) verbo circuire, participio passato
circùito x circuìto
C) verbo persuadere, infinito presente
x persuàdere ​ persuadére
d) verbo violare , 3a pers singolare presente indicativo
x vìola ​ viòla
e) verbo abrogare, 1a pers sing pres indicativo
x àbrogo​ abrógo
f) sostantivo con il significato di effimero, instabile
caduco ​ x cadùco
g) sostantivo indicante “ghiottoneria”
leccòrnia ​ x leccornìa
h) sostantivo indicante il centro legnoso dei frutti
x​ nòcciolo​ noccìolo

3)indica la forma corretta del plurale dei seguenti nomi e indica se esiste la norma che
regola i plurali in -cia e -gia (5pt)

x ciliegie​ Ciliege
x piogge​. pioggie
angoscie ​x angosce
x fiducie​ fiduce
camice ​x camicie
x belgi ​ belghi
pronuncie ​x pronunce
striscie. ​x strisce
Plurale delle parole in -cia, -gia, e -scia: se la c e la g sono precedute da una vocale, allora
la i si mantiene anche al plurale, se invece la c e la g sono precedute da una consonante la i
si elimina. Perdono la i anche le parole che terminano in -scia. La i è davvero obbligatoria
nel momento in cui serve per distinguere due parole: su camicie la i serve perché senno si
confonderebbe con il camice che è singolare;

4)segna con una x le frasi in cui si fa un uso corretto della punteggiatura, motivando la tua
scelta:(8pt)
-come si è già osservato,(p56) un ente costituisce una persona giuridica ( la virgola va dopo
la parentesi)
-Il progetto del ministro relativo alla ristrutturazione del sistema di trasporto pubblico, è stato
approvato. ( la virgola o va tolta o va inserita anche dopo ministro)
-I problemi sono di vario tipo: economici, politici, culturali.
-Gli esperti hanno esaminato: problemi economici, politici, culturali.

io direi che sono queste con i due punti perchè i due punti vengono utilizzati per
elencare qualcosa quindi hanno funzione descrittiva (si esplicitano i componenti di un
insieme enumerandone le singole componenti o facendone emergere un tratto
saliente a mo’ di commento ​l’ho trovata su italiani scritti ma non so se è
propriamente corretta

5)individua con una sottolineatura qual’è la forma scritta correttamente(4pt)


Pertanto​ vs per tanto
Approprosito vs ​a proposito
Tuttora vs ​tutt’ora
Al di sopra​ vs aldisopra
A fatto vs ​affatto
Allorché​ vs allor che
Sottosopra​ vs sotto sopra
Tuttedue vs ​tutt’e due

6)Quali di questi introduttori nello scritto reggono frasi obbligatoriamente al congiuntivo (3pt)
•​Nonostante​ •​malgrado​ • poiché
•​senza che​ •anche se •​prima che

Elenco introduttori che reggono obbligatoriamente il congiuntivo:


•A condizione che, ammesso che, a patto che, casomai, laddove, nell’eventualità che, ove,
qualora, purché, sempreché (o sempre che)
•affinché
•benché, malgrado, malgrado che, nonostante, nonostante che, per quanto, quantunque,
sebbene, seppure
•come se, quasi, quasi che
•a meno che (non), eccetto che, fuorché, salvo che, tranne che
•senza che
•prima che

7)il passato remoto indica (1,5pt)


X ​un fatto passato
- un fatto ripetuto e continuato
- un fatto avvenuto in un passato vicino a noi dal punto di vista psicologico
X ​un fatto avvenuto in un passato lontano da noi da un punto di vista psicologico

8)che cosa c’è di particolare nel titolo del film “piovono polpette” dal punto di vista del verbo?
(6pt)
é presente un uso scorretto del verbo piovere. Il verbo meteorologico piovere è un verbo
zerovalente il che significa che ad esso non possiamo attribuire nessun componente frasale
(ALTRO NON E’ SCRITTO)
Risp: piovere è un verbo impersonale inoltre è anche zerovalente

ESAME

1)Di ciascuna parola indica se il plurale è con i o senza ( per es il plurale di ciliegia è con i:
ciliegie) (8 pt)
Camicia > camicie
Goccia > gocce
Scheggia > schegge
Roccia > rocce
Fiducia > fiducie
Focaccia > focacce
Angoscia > angosce
Striscia > strisce

Altri presi da internet

l'acacia le acacie
l'audacia le audacie

la camicia le camicie

la ciliegia le ciliegie

la fiducia le fiducie

grigia grigie

malvagia malvagie

la socia le socie

sudicia sudicie

la valigia le valigie

l'arancia le arance

la bertuccia le bertucce

la bilancia le bilance

la bisaccia le bisacce

la boccia le bocce
la buccia le bucce

la caccia le cacce

[la cartuccia le cartucce]

la chioccia le chiocce

la cuccia le cucce

la doccia le docce

la faccia le facce

la fettuccia le fettucce

la focaccia le focacce

la foggia le fogge

la frangia le frange

la freccia le frecce

la goccia le gocce

la guancia le guance
la lancia le lance

la loggia le logge

malconcia malconce

la mancia le mance

massiccia massicce

la minaccia le minacce

l'oncia le once

l'orgia le orge

la pancia le pance

la pelliccia le pellicce

la pioggia le piogge

la pronuncia le pronunce

la provincia le province

la puleggia le pulegge
la quercia le querce

la rinuncia le rinunce

la roccia le rocce

la saccoccia le saccocce

la salsiccia le salsicce

la scaramuccia le scaramucce

la scheggia le schegge

sconcia sconce

selvaggia selvagge

la spiaggia le spiagge

la torcia le torce

la traccia le tracce

cosuccia cosucce

grassoccia grassocce
mangereccia mangerecce

parolaccia parolacce

rossiccia rossicce

2)descrivi la regola che governa le forme di plurale dell’esercizio precedente (8 pt)

Plurale delle parole in -cia, -gia, e -scia: se la c e la g sono precedute da una vocale, allora
la i si mantiene anche al plurale, se invece la c e la g sono precedute da una consonante la i
si elimina. Perdono la i anche le parole che terminano in -scia. La i è davvero obbligatoria
nel momento in cui serve per distinguere due parole: su camicie la i serve perché senno si
confonderebbe con il camice che è singolare;

3)nella forma verbale dormivano si trovano i seguenti morfemi( seleziona quelli che sono
effettivamente presenti)(8pt)

morfema-radice
Morfema derivativo
Morfema di tempo/modo/aspetto
Vocale tematica
Prefisso
Morfema di accordo
Morfema parasintetico
Suffissoide

4)spiega qual’è la differenza tra relative appositive e relative restrittive e fai un esempio di
ciascun tipo (12pt)

relative restrittive modificano il significato del sintagma nominale che le precede, mentre le
appositive aggiungono ad esso solo delle informazioni:
1.​ Gli utenti che non amano la lingua italiana sono pregati di lasciare il forum.
2. ​Paolino Paperino, che non ama la lingua italiana, è pregato di lasciare il forum.
Nella frase numero uno non si fa riferimento a tutti gli utenti del forum, ma esclusivamente a
quelli che non amano la lingua italiana. La frase, dunque, restringe il significato del sintagma
gli utenti (​ infatti solo quelli che non amano l'italiano ​sono​ ​pregati di lasciare il forum)​ . Nella
seconda proposizione invece si spiega qualcosa in merito a Paolino Paperino, si aggiungono
delle informazioni su di lui. Una relativa restrittiva non può ricorrere con sintagmi nominali
come i nomi propri, a questi, infatti, non si possono applicare delle restrizioni di significato.
Dal punto di vista grafico il contrasto tra relativa restrittiva e relativa appositiva è indicato
racchiudendo quest'ultima tra virgole
Altro esempio:
tutti gli elettori che la pensano come te ti voteranno (= solo loro - restrittiva);
tutti gli elettori​,​ che la pensano come te​,​ ti voteranno (= tutti - appositiva).

5)il passato remoto indica (4pt)


un fatto passato (si)
Un fatto ripetuto e continuato (no)
un fatto avvenuto in un passato vicino a noi dal punto di vista psicologico (no)
un fatto avvenuto in un passato lontano da noi da un punto di vista psicologico (si)

6)indica dove va l’accento, dove va l’apostrofo e dove non va nessuno dei due

e (verbo essere). Accento è


ne(avverbio o pronome) senza ne
Da (imperativo del verbo dare) apostrofo da’
Sta (imperativo del verbo stare) apostrofo sta’
Se (pronome) accento sè
Da (preposizione) senza da
Te (pronome) senza te
Si (affermazione) accento sì

7)i pronomi atoni sono..(8pt)

mi, ti, lo, la, ci, vi, lo, le, gli

Sono pronomi atoni i pronomi diretti, i pronomi indiretti, i pronomi riflessivi e i pronomi
combinati.
Si dicono atoni perché questi pronomi, sia che si trovino in posizione proclitica (“ti guardo”),
sia che si trovino in posizione enclitica (“informati!”), si uniscono al verbo formando nella
concatenazione sillabica della lingua parlata “un’unica parola” contraddistinta da un unico
accento che si appoggia alla forma verbale
Dunque nessuna pausa tra “ti” e “guardo” nella lingua orale, ma un unico flusso sillabico
“ti-guar-do” con accento sulla sillaba “guar”.
Così “lo-ve-do”, “mi-sem-bra”, “non-te-lo-di-co” oppure “te-lo-di-co” e così via. (Il grassetto
indica qui, e anche più avanti, la posizione dell’accento).
Quando i pronomi atoni sono in posizione enclitica, formano già, anche nella lingua scritta,
un’unica parola senza possedere un accento proprio: “in-for-ma-ti”, “la-scia-me-lo”,
“di-glie-lo”, “pren-di-ti” ecc.
Cosa diversa per i pronomi tonici , che mantengono un accento proprio e non si uniscono al
verbo.

8)e sono detto anche..(4pt)

Clitici : forme monosillabiche atone che non ricorrono isolatamente ma vengono preposte o
posposte a una forma verbale alla quale si appoggiano nella pronuncia; in italiano i clitici
hanno essenzialmente funzione pronominale (ci, gli, la, le, lo, mi, si, ti, vi) o di sintagmi
avverbiali (ci, ne) o di complemento partitivo (ne), sono staccati dal verbo se lo precedono
(per es., mi sento bene), uniti al verbo se lo seguono (per es., allontanatevi), e possono
combinarsi tra loro (gliene, prendersela). Anche come agg.: i pronomi clitici.
Riassunto “senza neanche un errore”

Parte prima

A me mi e ma però:

La formula “a me mi” significa “a me a me” quindi è una ripetizione e in una frase non va mai utilizzata. “a me mi piace e a lui gli
piace” non va bene perché significa “a me a me piace e a lui a lui piace”. Viene spesso usata questa forma perchè non suona come
una ripetizione ma mette in evidenza la persona “a cui piace” o a chi si riferisce.
Nella lingua parlata, dato che è più sporca di quella scritta, questa forma può essere tollerata ma nella lingua scritta è da evitare.

L’espressione “ma però” va a intensificare e rafforzare il “ma” con l’aggiunta del “però”. Facciamo la stessa cosa con “ma tuttavia”,
“ma pure” unendo il “ma” ad altre congiunzioni. Nella lingua parlata si possono usare queste espressioni ma bisognerebbe evitarle
nella forma scritta.

Una “a” di troppo o fuori posto:

Per un’interferenza dialettale, nell’Italia del sud è molto diffuso l’uso del complemento oggetto retto dalla preposizione “a” ma che
la grammatica italiana non ammette. Ad esempio: non si dice “chiamare a giuseppe” ma “chiamare giuseppe”.
Anche nel centro Italia è diffusa la scorretta abitudine di indicare una relazione di parentela con “a” anziché con “di”: nipote a, figlio
a invece di nipote di o figlio di.

Ci dice non si dice:

In alcune regioni del nord o del sud, la parola “ci” è usata per dire “a lui”, “a lei”, “a loro” al posto di “gli, le, loro”. Questa forma
non può essere accettata né per la forma parlata né per quella scritta, è assolutamente errato. Ad esempio: “quando vedrò marco,
ci dirò tutto à gli dirò tutto”.
Inoltre, nel centro Italia, “ci” nel significato di noi, è erroneamente sostituito dal “si” (si vediamo, s’incontriamo) e un altro errore,
tipico del meridione, è quello di invertire l’ordine delle parole “ci” e “si” (non ci si vede mai -> non si ci vede mai).

Tu e te:

Oggi c’è una forte tendenza a usare la forma “te” come soggetto al posto del “tu” (tu sei simpatica -> te sei simpatica).
Allo stesso modo “te” viene usato al posto di “tu” quando il pronome di seconda persona è l’ultimo dell’elenco “stasera usciremo
insieme io e te” e questa forma è accettata in entrambe le forme di una lingua, a differenza del “te” come soggetto, la quale viene
accettata solo per la lingua parlata.

Un meglio che è meglio evitare:

L’avverbio “meglio” e “peggio” usato come aggettivo davanti a un nome è da evitare. Ad esempio si dice “le occasioni migliori” e
non “ le meglio occasioni”, “i giocatori peggiori” e non “i peggio giocatori”.

Stare al posto di essere, tenere al posto di avere:

Il verbo stare è usato spesso al posto del verbo essere, soprattutto nelle frasi che esprimono un comportamento o uno stato
d’animo (stare attento, stare in ansia) oppure in frasi che contengono un ordine (stai zitto). In questi casi l’uso del verbo stare è
legittimato e corretto. Sbagliato invece dire “sto nervoso” o “sta assente”.
È sbagliato sostituire il verbo avere con il verbo tenere “tengo fretta”, “tengo due figli”.

Fare, verbo tuttofare:

Fare è un verbo che va bene in tutte le situazioni, ma c’è una brutta abitudine dei meridionali di dire “quest’estate ho fatto le
Maldive e a Pasqua faremo i castelli della Loira”. Un altro uso sbagliato del verbo fare proviene dal Centro Italia in cui si dice “per il
compleanno le ho fatto una collana” e quindi sostiuire il verbo comprare o regalare con il verbo fare; se invece lo facciamo con le
nostre mani allora possiamo utilizzare “fare” come ad esempio nel caso di una torta “ho fatto una torta per te”.

Risposte a sproposito: affatto, assolutamente e niente:

“Affatto” significa “del tutto, completamente”, quindi può essere usato come rafforzativo, come ad esempio “mario è affatto privo
di ironia” e nelle frasi negative ci deve essere la negazione “non fa affatto freddo”.
“Assolutamente” è un termine che, in una risposta, va accompagnato da un valore negativo “no” o positivo “si”.
Un’altra cosa sbagliata è iniziare una risposta con “niente” (cosa è successo? Niente, c’è stato un incendio). Evidentemente in
questi casi, la parola “niente” viene usata come per riempire un voto ed è privo di significato.

1
Mode sbagliate: più estremo:

Estremo è una parola che va di moda e riprende “extremus” un’antica forma di superlativo che in Latino significava “che sta fuori
dal massimo grado”.
Si può dire “più estremo” se estremo significa “eccessivo”, “grande”, “radicale”, ad esempio “ha preso una posizione più estrema
della precedente”.
Non si può usare “più estremo” quando quest’ultima significa “ ultimo” perché non si può essere più o meno ultimi (si può dare
l’estremo saluto e non il più estremo saluto).

Tic linguistici: cioè, un attimino, in qualche modo e piuttosto che:

“Cioè” è una parola molto utile e versatile, viene usata per spiegare, per precisare, correggere e chiedere chiarimenti.
Parlando, c’è la tendenza ad utilizzarla come riempitivo, tanto per dire qualcosa e non va bene.
“Un attimino” di per sé non avrebbe niente di sbagliato, a parte il fatto che “un attimo” è già un brevissimo spazio di tempo e
quindi l’uso del diminutivo è alquanto inutile.
Inoltre “un attimino” è un’espressione di tempo e mai può essere un’espressione di modo come “può spostarsi un attimino più in
la?”.
La parola “in qualche modo” non vuol dire niente e quindi si consiglia di farne a meno, insieme a “in qualche maniera”.
L’espressione “piuttosto che” si utilizza nella forma comparativa (come rafforzativo di più che) e non nella forma disgiuntiva (al
posto di o) perchè sarebbe un grave errore che genera confusione e ambiguità nella conversazione. Ad esempio: “ a chi vuole
rendere disponibile allo studente una somma in denaro al termine del ciclo di studio, la quale possa essere utilizzata per la
prosecuzione degli studi stessi piuttosto che per l’inizio di un’attività lavorativa” -> qui viene usata in forma disgiuntiva ed è
sbagliato perchè non si capisce se la somma la si può usare solo per proseguire gli studi o per iniziare l’attività.

Aggettivi smodati:

Bisogna stare in guardia dall’uso di aggettivi che indicano caratteristiche ovvie e prevedibili, aggiunti con scopo puramente
decorativo, come “il grande scienziato” e da quegli aggettivi che sono talmente inflazionati e ripetuti da risultare stucchevoli e
sono: eccezionale, fantastico, favoloso, mitico…

Epidemie linguistiche: giunior, massmidia e steig:

Junior è il comparativo del latino “iuvenis” che significa “giovane” e significa “il più giovane”; si usa dopo un nome per distinguere,
in una famiglia in cui vi sono due persone con lo stesso nome, quella nata per ultimo.
Il problema arriva quando la “j” della parola viene pronunciata all’inglese: non va bene perché non è una parola inglese o
americana ma latina.
Stessa cosa per il termine “mass media” che quasi tutti pronunciano all’inglese “mass midia”: è sbagliato! Perché, a parte il fatto
che si potrebbe semplicemente dire “mezzi di comunicazione di massa” ma “media” è una parola latina e non inglese e quindi va
pronunciata così come si legge: media.
Anche la parola “stage” che pur essendo una parola francese (accento sulla a senza far sentire la e finale) la si confonde spesso con
la parola inglese pronunciata “steig” -> questo termine inglese significa piattafroma, palco, palcoscenico e non quel periodo o fase
di addestramento.

Buona educazione linguistica: dare del lei, dare del tu:

In passato le forme con cui, parlando o scrivendo, ci si rivolgeva ad un’altra persona (tu, lei, voi, loro) ha una storia complessa.
I latini davano del “tu” a tutti, tanto allo schiavo quanto all’imperatore.
Dante nella Divina Commedia utilizzava il voi solo per le persone illustri ma dal ‘500 in poi l’abitudine di rivolgersi a una persona di
riguardo col “lei” si estese a macchia d’olio.
Dal ‘600 all’800 il “voi” e il “lei” convissero con “ella” usato con persone di particolare riguardo, finchè nel ‘900 con il ventennio
fascista divenne obbligatorio l’uso del solo “voi”.

Oggi continuiamo a darci del tu e del lei ma si è molto esteso l’utilizzo del “tu”.
La scelta dipende dalla confidenza che si ha con l’altra persona: si da del tu nel momento in cui si ha molta confidenza con
l’iterlocutore e viceversa del lei. Però si può usare il “tu” per rivolgersi ad una persona con cui si condivide qualcosa in comune,
come ad esempio due colleghi di lavoro.
Esiste un solo caso di scambio dissimetrico fra “tu” e “lei”: quello determinato dall’età.
Quando il lei è riferito ad un uomo è normale l’accordo della frase al maschile, mentre al plurale bisognerebbe usare il “loro”.

Saluti:

Buongiorno e buonasera si usato per salutare sia una persona che un gruppo di persone con cui si ha o meno confidenza.
L’unico problema è sapere quando dire “buongiorno” o “buonasera” e solitamente si usa il buongiorno fino all’ora di pranzo e
“buonasera” dal primo pomeriggio in poi.
La buonanotte ha un’origine antica, risale al ‘300 ed è un saluto che si fa prima di andare a letto, rivolgendosi a chiunque.

2
Di questi saluti, si usano anche le forme contratte “sera”, “giorno”, “notte” ma solo in situazioni informali.

Ciao è la formula più usata nell’italiano attuale ed è un tipo di saluto molto confidenziale;
Arrivederci è nela lista dei saluti più usati ed è sempre una forma di congedo ma la si utilizza di più sia con le persone a cui si da del
lei, anche se si può utilizzare con chiunque. Una variante di arrivederci è arrivederla.

Salve si una per salutare una persona o un gruppo all’inizio o alla fine di un incontro e di solito si usa con qualcuno che non si
conosce.

Addio è, oggi, una forma rara che si usa al momenti di una separazione considerata definitiva mentre nell’800 equivaleva ad un
arrivederci.

Parte seconda

Maiuscole e minuscole

La corretta distribuzione delle maiuscole e minuscole non deve essere trascurata. La maiuscola iniziale è richiesta nei seguenti casi:
• All’inizio di una frase, dopo il punto;
• All’inizio di un discorso diretto, dopo le viroglette;
• Con i nomi propri di persona e di animale, anche quelli immaginari;
• Con i nomi dei luoghi, reali o immaginari;
• Con i nomi di Dio e la Madonna e con altri termini che lo indicano (Creatore, Vergine);
• Con i nomi di divinità e di oggetti di culto di tutte le religioni;
• Con i nomi dei corpi celesti;
• Con i nomi delle festività;
• Nell’indicazione dei secoli (il Trecento);
• Con i titoli delle opere artistiche;
• Dopo il punto esclamativo o interrogativo.

I nomi comuni come mare, lago, fiume, monte che accompagnano il nome geografico, richiedono la lettera maiuscola iniziale, come
ad esempio il Mar Rosso, il Fiume Giallo e così via.
I nomi piazza, strada, via, viale, vicolo che accompagnano il nome proprio, possono essere scritti sia con la maiuscola che con la
minuscola e nel caso in cui nel mezzo c’è la preposizione “di”, vuole sempre la minuscola.
I nomi porta, ponte e palazzo richiedono sempre la maiuscola, come Porta Soprana, Palazzo Farnese..
I nomi terra, sole e luna se usati come nomi generici non vogliono la maiuscola, ma se vengono usati come termini astronomici,
allora la richiedono, come ad esempio “ieri c’era il sole” e “il Sole è una stella”.

I nomi dei popoli si possono scrivere sia con la maiuscola che con la minuscola ma viene preferita la seconda opzione.
Con i termini paese, stato e nazione, la maiuscola viene usata quando la parola assume il significato di “nazione”, “patria” o “stato”,
come ad esempio “le fiere di paese” e “un Paese libero” o “combatteremo per il nostro Paese”.
Con i nomi dei grandi avvenimenti storico-culturali o di movimenti bisogna fare così: quando si fa riferimento a qualcosa che è
accaduto in un momento preciso nella storia, si usa la maiuscola (la Grande Guerra) altrimenti è legittimata la minuscola. Ad
esempio il Fascismo si scrive con la maiuscola perché è possibile ricondurlo a un momento preciso della storia.
Con i nomi dei giornali, invece, richiedono obbligatoriamente la maiuscola solo la parola iniziale, come ad esempio “il Corriere della
sera”.

Con i nomi dei giorni e dei mesi va usata la minuscola e non la maiuscola come nell’inglese, quindi si avrà lunedì, martedì, gennaio e
febbraio.
In alcuni casi la maiuscola iniziale serve per distinguere due parole identiche ma con un significato diverso, come: una borsa di
Gucci e la Borsa di Wall Street, chiedere un consiglio e il Consiglio di amministrazione e così via.
Per quanto riguarda la maiuscola di rispetto, grammaticalmente parlando i titoli professionali e le cariche dovrebbero essere scritti
con la minuscola ma per ragioni di convenienza sociale e di rispetto possiamo usare la maiuscola. Quindi non sbagliamo se
scriviamo il dottor Rossi o il Dottor Rossi.
Nelle lettere d’invito o nella corrispondenza burocratica si tende a mettere la maiuscola anche con i pronomi e gli aggettivi riferiti al
destinatario, come ad esempio “inviarLE”… non è obbligatorio.

3
Andare a capo:

Per andare a capo si fa riferimento alla suddivisione in sillabe e le norme che regolano tale suddivisione sono nove:

1. Una vocale iniziale di parola seguita da una consonante forma da sola una sillaba: o-dore;
2. Una consonante semplice forma una sillaba con la vocale seguente: ni-do. Vale anche per la x come Do-xa;
3. Due o tre lettere che rappresentano un unico suono non si dividono e quindi fanno sillaba con la vocale seguente: re-gio-
ne;
4. Non si dividono i gruppi di due consonanti formati da: b,c,f,g,p,t,v + l o r: ru-blo, ma-cro;
5. Non si divide il gruppo formato da s + consonante: cre-scono, na-stro;
6. Si dividono i gruppi di due consonanti uguali: bal-la-no, mol-le, ses-so;
7. Si dividono i gruppi formati da due qualsiasi altre consonanti: sal-do, scor-ta;
8. Nei gruppi di tre o più consonanti la divisione avviene in genere tra la prima e la seconda consonante: tem-pro, pol-trire;
9. Nell’incontro di vocali si possono dividere sole le vocali in iato (le-one, celì-aco) non qualle che formano un dittongo (fia-
to,feu-do)

Vanno applicate anche alle parole composte con un prefisso come trans, iper, sub, super.

Per quanto riguarda l’apostrofo a fine riga, per andare a capo, non da fastidio l’apostrofo alla fine perché chi legge non si
interrompe a fine riga ma continua la sua lettura. Vanno bene queste forme: dell’ oro, del-l’oro, dell’o-ro ma mai dello oro.

L’accento:

Nella scrittura l’accento va messo obbligatoriamente in due casi:


1. Su tutte le parole formate da almeno due sillabe, di cui l’ultima accentata (carità, perché). Questa regola vale anche
quando il termine è composto da parole che prese da sole non hanno l’accento, come gialloblù (blu) o nontiscordardimè
(me);
2. Su alcune parole di una sola sillaba che, se non avessero l’accento, ci confonderebbero con le parole scritte allo stesso
modo ma con significato diverso: è verbo e congiunzione, tè bevanda te pronome..
In base alle regole precedenti, il numero tre, preso da solo non vuole l’accento ma tutte le parole che terminano con tre lo
vogliono: ventitrè, quarantatrè…
L’accento va anche su sé stesso, sé medesimo per evitare la confusione con il pronome e la congiunzione.
Inoltre va scritto sulle parole di una sola sillaba che presentano due vocali, perché contengono un dittongo (piè, può) o perché una
delle vocali è la i che non ci pronuncia, come ciò, già, giù..

È molto importante non sbagliare la posizione dell’accento in una parola perché alcune vuole può cambiare anche il significato della
parola.
L’accento cade nella terzultima sillana nelle parole che finiscono in:
o -àgine, -àggine, -ìgine, -ìggine, -èdine, -ìdine, -ùdine: indàgine, calìgine ecc.;
o -àbile, -èvole, -ìbile, -àceo, -òide: trascuràbile, notèvole..;
o -cèfalo, -crate, -crono, -dromo, -fago, -filo, -fono, -geno, -logo, -mane: idrocèfalo, plutòcrate, isòcrono..

4
L’accento può essere acuto o grave:
le vocali a, i, u hanno sempre e solo l’accento grave: carità, partì, schiavitù.
È indicata dall’accento grave la o aperta di cadrò, mentre la o chiusa non riporta mai l’accento.
L’unico caso in cui l’accento grave e acuto riportano due suoni distinti riguarda la e: l’accento acuto indica la e chiusa (perché)
mentre l’accento grave indica la e aperta di caffè.

L’apostrofo:

E’ obbligatorio:
• Con l’articolo lo e con le preposizione articolate composte con lo (dello, allo…);
• Con l’aggettivo bello ma non bella;
• Con santo e santa seguiti da un nome che inizia con una vocale;
• Con ci davanti al verbo essere;
• Il alcune espressioni cristallizzate: a quattr’occhi, mezz’ora, nient’altro…;
• Nelle espressioni con la preposizione “di”: d’accordo, d’epoca…;
• Nelle espressioni con la preposizione “da”: d’altronde, d’altra parte…;
• Con gli imperativi

È facoltativo:
• Con l’articolo la e con le preposizioni articolate composte con la (della, alla…): la intimità…;
• Con questa e quella;
• Con le parole di una sola sillaba: ti amo o t’amo;
• Con “di” davanti a una parola che inizia per vocale: un attacco di invidia o d’invidia;
• Con l’articolo gli e con le preposizioni articolate composte con gli (degli, agli, dagli…);

Non va mai usato:


• Con “ci” davanti a una parola che inizia per a,o,u: ci aveva dato e non c’aveva dato, ci offre e non c’offre;
• Con “da”: il treno partito da Albenga e non d’Albenga;
• Con i pronomi personali le e li: le accade e non l’accade;
• Se la parola successiva comincia con i,y o j seguita da un’altra vocale.

L’articolo indeterminativo ha tre forme: un, uno e una.


Un e uno si usa per il maschile e con le parole che iniziano per vocale non si ha bisogno dell’apostrofo perché, nel maschile, c’è già
la forma contratta di un (un uomo e non un’uomo). Una, invece, si usa per il femminile e nel caso in cui una parola inizia con la
vocale ed è femminile bisogna mettere l’apostrofo (un’anima e non una anima).
La stessa cosa vale per nessun e qualcun: al maschile non va l’apostrofo mentre al femminile si.
Mentre per “quale”, sia al maschile che al femminile hanno sia la forma piena sia ridotta senza apostrofo (qual è, qual uomo…).

Gli errori di ortografia:

i dubbi ortografici non riguardano tutte le parole ma solo quelle che non si scrivono come vengono pronunciate (nozione,
coscienza…).
Questi errori vengono influenzati anche dai dialetti presenti nella lingua italiana.
Le parole che suscitano dubbi ortografici vengono suddivisi in sei gruppi:
1. Parole con la z: la z fra due vocali si pronuncia sempre doppia ma si scrive quasi senza semplice. Le parole che terminano
in -zio e -zia non vogliono mai la doppia, fatta eccezione di pazzia e razzia;
2. Parole in -sione e -zione con s e z precedute da consonante: si scrivono con la z i nomi che hanno la stessa radice di un
participio passato o di un altro nome in cui ci sia la t (attenzione perché si dice attento); si scrivono con la s i nomi che
hanno la stessa radice di un participio o di un altro nome con s (apprensione perché si dice appreso, estensione perché si
dice esteso). Questa regola non vale per astensione, estorsione, contorsione e distorsione che hanno la s ma un participio
con la t;
3. Parole con ce,ge,sce e cie, gie, scie: queste parole sono insidiose perché la loro pronuncia è indentica sia che si scrivono
con la i che senza la i. Pronunciamo la sequenza scie di scienza e la sequenza sce di pesce, le ragioni di questa differenza
sono varie, ma la principale è che si fa sentire l’influsso del latino da cui deriva quella parola italiana (pesce -> piscem la i
non c’è, scienza -> scientiam la i c’è);
4. Plurale delle parole in -cia, -gia, e -scia: se la c e la g sono precedute da una vocale, allora la i si mantiene anche al plurale,
se invece la c e la g sono precedute da una consonante la i si elimina. Perdono la i anche le parole che terminano in -scia.
La i è davvero obbligatoria nel momento in cui serve per distinguere due parole: su camicie la i serve perché senno si
confonderebbe con il camice che è singolare;
5. Parole con gna, gne, gno: le parole vanno scritte sempre senza la i ad eccezione di compagnia e compagnie;
6. Parole col suono cu seguito da a, e, i, o: perché scriviamo cuore e quota quando la cu o qu hanno la stessa pronuncia?
Anche in questo caso deriva dal latino. Cuore in latino si scriveva con la c “cor” e quota con la q, cuoio si scriveva
“corium”, quattro “quattouor” ecc.

5
Parole unite e parole separate:

questo tipo di espressioni vengono divise in tre gruppi:


• Espressioni che devono essere scritte sempre separate
• Espressioni che devono essere scritte sempre unite
• Espressioni che possono essere scritte sia unite sia separate

La punteggiatura:

la convinzione diffusa è che o segni di interpunzione producano delle pause nel testo, mentre invece questi segni non le producono
ma le segnalano.
• Il punto: si usa quando tra due frasi, due periodi o due sezioni più ampie di testo c’è un’interruzione forte, o perché
cambia l’argomento o perché cambiano le cose dette su quell’argomento;
• Il punto e virgola: si usa quando tra due frasi c’è un’interruzione sul piano della forma ma non c’è un’interruzione forte sul
piano dei contenuti: ciò che viene detto dopo il punto e virgola è strettamente legato a ciò che viene detto prima;
• I due punti: si usano per spiegare ciò che si è detto prima (c’è una grave crisi economica: le banche sono fallite…), per
dimostrare ciò che si è detto poco prima (una parte dell’europa è in difficoltà: per molti cittadini il tenore di vita è
peggiorato), per indicare conseguenze di ciò che si è detto prima (ho fatto la spesa: abbiamo da mangiare per tutta la
settimana), per arricchire di particolare ciò che si è detto prima, per introdurre un elenco e per introdurre un discorso
diretto prima delle virgolette o della lineetta.
• Il punto interrogativo ed esclamativo: si usano alla fine di una domanda o dubbio, per il primo, e di un’esclamazione, per il
secondo;
• La virgola: collega due parole o due frasi fra le quali c’è un’interruzione breve. Si usa negli elenchi di nomi o aggettivi, per
collegare due o più frasi prive di congiunzione, prima di un’apposizione, prima di un’invocazione, negli incisi, per dividere
vari tipi di frasi subordinate e non va mai e poi mai messa tra soggetto e predicato;
• Punti di sospensione: si usano, nel numero fisso di tre, per indicare che il discorso viene sospeso, senza essere portato a
termine. È una caratteristica più del parlato che dello scritto, per cui meglio evitarlo nella scrittura. Nello scritto si usa
quando si vuole indicare che alcune parole sono state omesso e vanno messi tra parentesi […
• Virgolette: servono per riportare un discorso diretto o altrui. Si può scegliere tra le virgolette alte (“”), virgolette basse,
dette anche caporali < > o le virgolette semplici, dette anche apici (‘ ‘). Le virgolette alte si usano per riportare il titolo di
un libro, un’opera… le virgolette basse per contrassegnare una parola o espressione allusiva o ironica e gli apici si usano
per mettere in risalto una singola parola, rara o straniera o con un particolare significato;
• Lineetta e trattino: la lineetta – è più lunga del trattino -. La lineetta si usa per introdurre un discorso diretto, in
alternativa alle virgolette, però le virgolette aprono e chiudono i discorsi mentre la lineetta li apre soltanto e li chiude solo
se dopo il discorso ci sono altre parole (- che vuoi?- chiese l’uomo). Il trattino si usa per indicare la divisione di una parola
in sillabe oppure per indicare la separazione tra due cifre o per indicare una relazione (i rapporti italo-francesi);
• Le parentesi: possono essere tonde o quadrate. Le parentesi tonde servono a introdurre un inciso, una speigazione o una
nota marginale e si usano perlopiù nelle opere tecniche e scientifiche. Le parentesi quadre si adoperano per introdurre un
inciso all’interno di un testo che è già tra parentesi tonde.

6
I titoli:

Per riportare il titolo di un libro, di un film o di un’opera all’interno di un testo bisogna procedere così: se scriviamo al computer
dobbiamo scrivere il titolo in corsivo se scriviamo a penna dobbiamo sottolinearlo oppure metterlo tra virgolette.

Numeri, orari, anni, date e secoli:

Per quanto riguarda i numeri, in un testo scritto se il numero è piccolo bisogna sempre scriverlo in lettere (tre, quattro, venti,
trenta), quando il numero è grande (1633) bisogna scriverlo in cifre.
Per quanto riguarda l’orario, è meglio usare le lettere e non le cifre; si consiglia di arrivare fino a 12 e specificare se si tratta della
mattina, del pomeriggio o della sera.
Per gli anni si usano le cifre e per indicare un anno celebre possiamo usare sia le cifre che le lettere.
Per le date, nel giorno e nell’anno si usa i numeri arabi mentre per il mese possiamo scegliere tra lettere (dicembre), numero arabo
(12) o numeri romani (XII).
Per indicare i secoli bisogna utilizzare il ‘, ad esempio ‘500 (indica tutto il secolo) mentre se si scrive 1500 si va ad indicare solo
l’anno che va dal primo gennaio al 31 di dicembre. Inoltre i secoli possiamo indicarli con i numeri ordinali (sesto secolo) o con i
numeri romani (XI secolo).

Questioni di forma:

La grammatica insegna che “a” è una preposizione, “e” è una congiunzione insieme a “o”. Nella scrittura si incontra anche “ad”,
“ed” e serve per evitare l’incontro tra due vocali identiche, come e evaqua -> ed evaqua.
La stessa cosa avviene per “ad” che si mette quando c’è l’incontro di due vocali uguali.
Quindi la “d” eufonica si usa solo per evitare l’incontro di due vocali uguali, ad eccezione di “ad esempio”.

La “e commerciale” si usa nei nomi delle ditte e società ed è &.

Ecc. è l’abbreviazione di eccetera ed è molto utilizzata nella scrittura.

Per, più o meno vengono utilizzati anche attraverso i simboli matematici ma solo nelle scritture informali come sms, appunti sennò
bisogna utilizzare le lettere.

Sigle e abbreviazioni:

Nelle abbreviazioni si indica sempre il maschile e per ottenere il femminile si aggiunge la parte finale della parola. Esempio: prof.
Professore, prof.ssa professoressa.
Quando l’abbreviazione riguarda una parola plurale bisogna raddoppiare la consonante finale: cap di capitolo diventa capp di
capitoli, proff, pagg ecc. se l’abbreviazione termina già per una consonante doppia come avv, si aggiunge la parte finale della
parola, quindi avv.ti
Il punto nell’abbreviazione si mette dove la parola si interrompe ma è facoltativo perché non c’è un’interruzione di parola perché
sono delle abbreviazioni.

Le sigle, invece, se sono scritte tutte a lettere maiuscole possono avere o no il punto dopo ogni lettera (S.I.A.E. oppure SIAE) mentre
le sigle con la sola iniziale maiuscola sono sempre senza punto (Uil). La pronuncia cambia in base alle siglie: se formano una parola
pronunciabile (ATAC) la si legge tutta insieme come una parola, in altre bisogna pronunciare lettera per lettera (PD,TG,DPCM).

Parte terza

L’articolo:

l’articolo ha un genere e un numero: il lo la i gli le un uno una.


Per usare in modo corretto un articolo maschile bisogna ricordare tre regole:
1. Si usano l’articolo il, i e un: davanti a una parola che comincia per consonante, davanti a una parola che comincia per
qualsiasi consonante (tranne la s) seguita da l o r, davanti a una parola straniera che comincia per w e j;
2. Si usano l’articolo l’, gli e un davanti a una parola che comincia per vocale;
3. Si usano l’articolo lo, gli e uno davanti a una parola che comincia per s seguita da un’altra consonante, davanti a una
parola che comincia con gn, con x e con una consonante seguita da un’altra consonante che sono sia r o l.
L’articolo non si usa mai davanti a un nome di battesimo (Marco e non il marco), nel cognome l’articolo lo si può mettere solo nei
cognomi di persone che sentiamo molto lontani da noi (il manzoni) ma per tutti gli altri cognomi non si usa l’articolo. Si può
mettere l’articolo davanti al cognome di una famiglia e al femminile per indicare due o più sorelle o una madre e una figlia (le
materassi sono tre sorelle protagoniste di un famoso romanzo).

7
Il nome:

Ci sono delle parole dal sesso incerto, ci sono un elenco di nomi che suscitano dubbi di genere:

Per quanto riguarda i nomi che terminano con la -a:


- I nomi che terminano in -ma (quasi tutti che provengono dalla medicina) sono maschili come asma, eritema, enfisema,
plasma, sisma…
- È maschile anche il nome di animale anaconda;
- Sono maschili, anche se terminano in -a i nomi di alcuni vini, formaggi e cioccolato, come il barbera, il marsala, il
gorgonzola, il gruviera e il gianduia;

Per quanto riguarda le parole che terminano in -e:


- Acme è femminile;
- Diabete è maschile;
- Carcere è maschile al singolare e femminile al plurale

Per le parole che terminano in -i possono essere sia maschili che femminili (il propoli la propoli), mentre quelle che terminano in -o
ad esempio eco è femminile al singolare e maschile al plurale.

I nomi di città sono tutti femminili.

I nomi dei frutti sono quasi sempre tutti femminili: la banana, la mela, la noce, la pesca; ma al frutto corrisponde un nome d’albero
al maschile: il melo, il pesco, il banano…
Nei seguenti casi sia il nome dell’albero che del frutto sono maschili: il cedro, il fico, il lampone, il limone…
I nome dei frutti esotici sono quasi sempre al maschile: l’ananas, il kiwi, l’avocado…
Ma il plurale di frutto è frutti o frutta? È frutta! Perché i frutti indicano i prodotti delle piante oppure il risultato che si ricava da
qualcosa (i frutti del mestiere).

I nomi di professioni al femminile cominciano ad essere accettati e quindi:


- Per i nomi che terminano in -o basta trasformali in -a: il maestro/la maestra, il sarto/la sarta…
- Per i nomi che terminano in -e si trasforma in -a: il cameriere/la cameriera, l’assessore/l’assessora… ma ci sono dei nomi
che valgono sia per il maschile che per il femminile, cambiando l’articolo, come ad esempio il giudice/la giudice;
- Per i nomi che terminano in -ore il femminile si trasforma in -trice: il direttore/la direttrice
- ATTENZIONE A NON FORMARE FEMMINILI AGGIUNGENDO -ESSA tranne per quei mestieri già affermati da tempo come
professoressa, dottoressa, poetessa e studentessa. Non si dice ministrassa, vigilessa, giudichessa…
- MAI aggiungere la parola “donna” davanti ad una professione, come donna poliziotto.

Plurali difficili:

I nomi che finiscono in -ca e -ga formano tutti il plurale in -chi e -ghi se sono maschili e in -che, -ghe se sono femminili. L’eccezione
c’è ed è per bela che al plurale diventa belgi.

I nomi che terminano in -logo e -fago presentano un doppio plurale:

anche in questo caso, non esiste una regola grammaticale ma i nomi che indicano
persone tendono ad avere il plurale in -gi mentre i nomi che indicano cose tendono
ad avere il plurale in -ghi. Fanno eccezione esofago e sarcofago.

Alcuni nomi in -co e -go possono avere il doppio plurale: chirurgo/chirurghi o chirurgi, il farmaco/farmachi o farmaci e il
manico/manici o manichi.

Il plurale dei nomi composti si forma regolarmente modificando solo la vocale finale (arcobaleni); in altri casi a cambiare è la
desinenza del primo elemento (pescespada – pescispada), in altri ancora si modificano le desinenze di entrambe le parole
(cassaforte- casseforti).
Con la parola capo- :
- Se il termine capo- significa chi è a capo di qualcosa, il plurale si forma modificando la desinenza del nome capo
(capotreno – i capitreno, il capobanda – i capibanda)
- In alcuni composti di questo tipo, si cambia solo la desinenza del secondo elemento (il capocomico – i capocomici)

8
- Se la parola capo- indica una posizione di preminenza o l’inizio di qualcosa, il plurale si forma modificando solo la
desinenza del secondo elemento: il capodanno – i capodanni, il capogiro – i capogiri…
- Se il composto è di genere femminile e il nome capo- si riferisce a una donna che è a capo di qualcosa, il plurale è
invariabile: la capofamiglia/le capofamiglia, la capolista/le capolista…

Per i nomi composti con le parole alto- e basso- sono ammesse due forme di plurali (altoforno – altoforni – altiforni)

Il plurale delle parole inglesi non aggiungono la s, quindi: i big e non i bigs, i broker e non i brokers…
Il plurale delle parole spagnole mantengono la s, quindi: i murales, le tortillas…

Poi ci sono una serie di parole che hanno due plurali ma che si attribuiscono a cose diverse:
- Il braccio/i bracci/le braccia: i bracci si usa per indicare i bracci degli oggetti (i bracci della gru) e le braccia per indicare le
parti del corpo;
- Il ciglio/i cigli/le ciglia: i cigli indicano i peli delle ciglia oppure i bordi di una strada, le ciglia indica l’insieme dei cigli e
quindi dei peli;
- Il corno/i corni/le corna: i corni si usa per indicare gli strumenti musicali mentre le corna indicano le sporgenze di alcuni
animali e in senso metaforico, indica una persona che è stata tradita;
- Il dito/i diti/le dita: i diti si usa se si specifica di cosa sono, come i diti pollici, dita si dice se consideriamo tutti i diti;
- Ecc….

Gli aggettivi:

Buono, più buono e buonissimo: hanno un comparativo, un superlativo e quello che deriva direttamente dal latino.

Esteriore, superiore e ulteriore: queste forme non possono essere usate con il più (più esteriore è sbagliato) perchè indicano già un
qualcosa che è più di qualcosa, come superiore è più sopra di qualcosa, esteriore è più fuori di qualcosa.

Aspro, asprissimo e asperrimo: sei aggettivi, acre, aspro, celebre, integro, misero, salubre hanno il superlativo in -errimo. Misero,
aspro e salubre hanno anche miserissimo, asprissimo e salubrissimo.

Affarissimo: la forma in -issimo dovrebbe essere usata solo per gli aggettivi, qualche volta viene adoperata anche con i nomi, ad
esempio: affarissimo, canzonissima, finalissima, governissimo, occasionissima.

Quello: è usato come aggettivo e presenta varie forme (quella, quelle, quegli, quei, quell’). Quella si usa per il femminile, quegli e
quell’ si usa quando la parola comincia per vocale.

Codesto: nella grammatica si legge sempre che i più importanti aggettivi e pronomi dimostrativi usati in italiano sono tre: questo,
codesto e quello. Solamente che si usa spesso solo questo e quello mentre codesto solo nelle occasioni formali.

Suo e proprio: proprio si usa quando si riferisce al soggetto (marco ha chiesto a maria i propri libri e non i suoi sennò non si capisce
di chi sono i libri), suo può riferirsi sia al soggetto sia ad altri elementi della frase e crea confusione. Se suo non è riferito al soggetto
bisognerebbe trasformarlo nella forma “di lui” o “di lei” ma appesantiscono la frase e quindi è meglio cambiarla: marco ha chiesto a
maria i libri che lei aveva preso in biblioteca e non marco ha chiesto a maria i libri di lei.

9
Il pronome:

- Altri: questo pronome può essere usato sia in funzione di soggetto, con il significato di altra persona oppure come
complemento oggetto. Si può usare altri, altro e gli altri;
- Che e cui: spesso si ricorre al “che” anche quando bisognerebbe scrivere “cui” ed è un errore, perché “che” si può usare
solo per il soggetto o complemento oggetto, in tutti gli altri casi si usa cui. Per non sbagliare basta ricordare che, se c’è
bisogno di una preposizione, bisogna usare “cui”; se non ce n’è bisogno si userà “che”. Al posto del cui, il alcuni casi si usa
il “che temporale” (l’anno che scoppiò la guerra, il giorno che l’ho incontrata);
- Gli: viene spesso usata con il significato di “a lui”, ma anche con quello di “a lei” e “a essi”. Però l’uso di gli per indicare “a
lei” è inaccettabile, mentre ammesso per “a loro” maschile e femminile plurale.
- Lui, lei, loro: questi possono essere usati come soggetti ma non è proibito usare egli, essi;
- Niente, nulla e nessuno: se si trovano prima del verbo, non richiedono un’altra negazione ma se lo seguono, allora la
richiedono.

Avverbi, preposizioni e congiunzioni:

- A meno che e a meno che non: sono due espressioni del tutto equivalenti e la negazione è facoltativa, inoltre non è
obbligatorio l’uso del congiuntivo;
- A poco a poco: le locuzioni di questo genere, come a mano a mano, a corpo a corpo, a faccia a faccia, vanno sempre usate
con la doppia preposizione a…a; bisogna evitare, quindi, di dire corpo a corpo, faccia a faccia… possiamo eliminare la
prima “a” se queste espressioni sono usate come sostantivi (entrare in un corpo a corpo);
- Assai: utilizzato alla fine della frase è sbagliato e rimarca il regionalismo del sud;
- Contro: quando è seguita da pronomi personali, deve essere accompagnata dalla preposizione “di”, come “sono tutti
contro di me”;
- Davanti e dietro: con questi due avverbi bisogna preferire la formula con la preposizione “a”, quindi davanti a e indietro a,
senza la preposizione non è sbagliato ma è antico;
- Dentro e fuori: quando la preposizione dentro precede un pronome personale può essere seguita dalla preposizione “di”,
non è obbligatorio (dentro me o dentro di me). Quando la preposizione fuori è seguita da un nome, deve
obbligatoriamente essere seguita dalle preposizioni di “di” (fuori della casa, fuori del portone); quando la preposizione
fuori precede un pronome personale o dimostrativo, deve essere seguita dalla preposizione “di” e non da “da”,
- Insieme: si può usare sia da solo che insieme a con;
- Ma: a inizio periodo si può usare in funzione di: per indicare il passaggio a un argomento diverso, per indicare al ritorno
dell’argomento che interessa, per iniziare il racconto di un fatto nuovo, inaspettato o per forzare un’obiezione, per
introdurre frasi concessive e per dare un tono polemico a un’interrogazione o esclamazione;
- Malgrado: può essere seguita da che, ma non per forza. Il verbo che segue malgrado/che deve essere sempre al
congiuntivo;
- Mica: significa “affatto”, “per nulla” e richiede la negazione (non è mica sbagliato);
- Nonostante: è seguita in genere da “che” ma non è obbligatorio e può essere sottinteso. Il verbo che segue è
obbligatoriamente al congiuntivo;
- Mentre: questa congiunzione serve per introdurre una frase temporale e non va messo il che;
- Senza: precede un pronome personale o dimostrativo e può essere seguita dalla preposizione “di”;
- Tra e fra: queste due preposizioni sono equivalenti, sia per le funzioni che svolgono sia per il loro significato; possiamo
utilizzarle indifferentemente, l’unica avvertenza è che bisognerebbe vedere la parola che segue per non creare suono
sgradevole, evitare l’incontro di due consonanti come ad esempio “ci vediamo tra tre ore”, sarebbe meglio “ci vediamo
fra tre ore”, ma siamo liberi di scegliere;
- Tranne: dopo c’è un nome o un pronome; tranne che, invece, è un elemento di congiunzione che introduce l’intera frase.
Si usa solo tranne se dopo c’è un nome o un pronome, si usa tranne che se dopo c’è un verbo;
- Vicino: per correttezza bisogna far seguire “vicino” dalla preposizione “a” (vicino a casa, vicino a roma).

Il verbo:

PASSATO, PRESENTE E FUTURO:


- Per il presente: indicativo presente, congiuntivo presente e condizionale presente;
- Per il passato: indicativo passato prossimo, imperfetto, trapassato prossimo e remoto;
- Per il futuro: futuro semplice e anteriore

Si possono usate, nello stesso tempo, tutte e tre le forme verbali se i fatti di cui parliamo appartengono a piani temporali diversi:
fauso coppi ottenne (passato) risultati che molti giudicano (presente) di altissimo livello; la sua tecnica e la sua grinta resteranno
(futuro) un modello ineguagliato.

Si può usare un presente per indicare un fatto passato, si chiama presente storico ed ha valore di passato e si usa per attualizzare
ciò che si dice: giacomo leonardi nacque a racanati oppure si dice giacomo leopardi nasce a recanati.
L’unica cosa da evitare è l’incoerenza, se abbiamo deciso di indicare dei fatti passati con il presente storico, bisogna mantenerlo per
tutto il testo.

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Tipi di presente:
• Presente per davvero: il presente indicativo è la forma più semplice e usata. Si usa per indicare un’azione o un fatto che
avviene nel preciso momento in cui si parla o si scrive;
• Presente, ma non solo: in molti casi il presente indica un fatto stabile, che si ripete abitualmente o ha sempre validità. Ad
esempio “ non fumo” indica un dato stabile, non fumavo nemmeno ieri. Questo presente viene molto usato nei proverbi,
nelle leggi e nelle definizioni scientifiche;
• Presente al posto del futuro: nell’italiano di oggi si usa molto il presente al posto del futuro semplice per indicare un fatto
che avverrà nel futuro, soprattutto se nella frase c’è un0altra indicazione di tempo futuro (domani, fra tre ore, la
prossima estate) quindi, domani è il tuo primo giorno di scuola;
• Presente al posto del passato: sarebbe il presente storico che è adoperato per indicare un fatto avvenuto nel passato. È
usato soprattutto nei romanzo ma è usato spesso anche nella lingua parlata e nei titoli di giornali;

Tipi di passato:
il passato prossimo, l’imperfetto, il passato remoto indicano tre fatti che accadono nel passato ma non tutti allo stesso modo:
imperfetto significa non compiuto, non concluso; prossimo significa vicino e remoto significa lontano.
L’imperfetto indica un fatto non concluso una volta per tutte, ma ripetuto o continuato nel passato; il passato prossimo indica un
fatto né ripetuto né continuato ma avvenuto in un momento preciso del passato vicino, recente (ieri ho visto marco) e il passato
remoto quando il fatto è lontano da noi (tre anni fa ho visto marco).

Futuro nel passato: per espimere un futuro retto da un passato bisogna usare sempre e solo il condizionale passato: tanti anni fa
diceva a tutti che avrebbe fatto l’ingegnere.

Essere o avere?
Si solito stabilire se l’ausiliare di un verbo è essere o avere è un’operazione facile, scelto il verbo, basta pensare a una forma
composta con quel verbo e verrà naturale l’ausiliare.
Con molti verbi si può usare sia essere che avere:

Con l’ausiliare “essere” indichiamo che l’azione è già compiuta e l’evento è ormai terminato; con l’ausiliare avere l’azione o l’evento
durano ancora.

L’ausiliare con i verbi servili:


i verbi servili sono: dovere, potere, volere.

Regola n.1: scegliendo l’ausiliare del verbo retto dal servile non si sbaglia mai, perché “ha mangiato” quindi “ha dovuto mangiare”;
Regola n.2: se il verbo che segue il servile è intransitivo, possiamo usare sia essere sia avere (è dovuto partire);
Regola n.3: se l’infinito ha con sé un pronome atono (mi, ti, ci, si, vi) bisogna usare essere quando il pronome atono è prima
dell’infinito e avere quando il pronome atono è dopo l’infinito;
Regola n.4: se il servile è seguito dal verbo essere, l’ausiliare sarà sempre avere (ha dovuto essere forte, avrebbe potuto essere
gentile), la stessa regola quando il verbo servile è seguito da un infinito passivo (in cui essere c’è sempre).

IL CONGIUNTIVO:
i tempi del congiuntivo sono quattro: presente (che io parli), passato (che io parlassi), imperfetto (che io abbia parlato) e trapassato
(che io avessi parlato).

Come si forma il congiuntivo presente?


Per la prima coniugazione (-are)
- Prendiamo l’infinito (parlare) e togliamo la desinenza (-are e rimane parl-)
- Aggiungiamo alla radice le seguenti uscite per formare le rispettive persone: -i -i -i -iamo -iate -ino -> che io parli, che tu
parli, che egli parli, che noi parliamo, che voi parlare, che essi parlino

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Per i verbi della seconda coniugazione (-ere)
- Prendiamo l’infinito (leggere) e togliamo -ere (rimane la radice legg-);
- Aggiungiamo alla radice le forme per le rispettive persone: -a -a -a -iamo -iate -ano -> che io legga, che tu legga, che egli
legga, che noi leggiamo, che voi leggiate, che essi leggano.

Per i verbi con la terza coniugazione (-ire), le forme per le rispettive persone sono le stesse di quelle con la seconda coniugazione.

Come si forma il congiuntivo imperfetto?


Per tutte e tre le coniugazioni:
- Prendiamo l’infinito e togliamo la radice e aggiungiamo le seguenti uscite per tutte le persone: -ssi -ssi -sse -ssimo -ste
-ssero -> che io parlassi, che tu parlassi che egli parlasse, che noi parlassimo, che voi parlaste, che essi parlassero.

Il congiuntivo è il modo verbale legato alla sfera personale e si usa nelle frasi che esprimono non un dato certo, ma un’eventualità,
una possibilità, uno scopo, un’opinione, un giudizio o un desiderio personale. In alcuni tipi di frasi il congiuntivo è obbligatorio, per
altre si può usare anche l’indicativo.

Il congiuntivo è obbligatorio quando ci sono queste espressioni:

Dopo “che” ci vuole l’indicativo o il congiuntivo? Ricordiamo che l’indicativo è il modo dell’oggettività, della realtà mentre il
congiuntivo è il modo della soggettività (cioè del modo personale di vedere le cose), quindi: si usa l’indicativo con i verbi che
appartengono all’area della certezza (ti confermo che è proprio lui) e si usa il congiuntivo quando i verbi appartengono all’area
delle opinioni e dei sentimenti personali (penso che sia lui).

GERUNDIO:
il gerundio può essere tranquillamente usato all’inizio del periodo e normalmente il soggetto, se non è espresso è il medesimo della
frase principale. “Giacomo ha incontrato marco comprando il giornale”, il soggetto è gianni; se volessimo indicare marco come
soggetto avremmo dovuto scrivere “gianni ha incontrato marco che andava a comprare il giornale”.

Verbi irregolari o difficili:


• Apersi o aprii?: i verbi aprire, coprire, offrire, riaprire.. hanno due passati remoto: apersi e aprii, copersi e coprii… son
giusti entrambi ma sono più comuni le seconde opzioni;
• Benedicevo o benedivo? Tutti i composti del verbo “dire” seguono la coniugazione del verbo base e quindi benedicevo,
maledicevo, benedicesti, maledicesti… fa eccezione la seconda persona dell’imperativo, che nel verbo dire è dì, mentre
nei composti è -dici, benedici, maledici. Quindi se diciamo benedivo o maledivo è sbagliato!!!
• Convenne o convenì? I composti del verbo venire si coniugano come il verbo base; poiché il passato remoto di venire è
venni, venisti, venne… il passato remoto del composto, come convenire, sarà convenni, convenisti, convenne… quindi si
dice convenne e non convenì!
• Diedi o detti? Sono entrambe corrette
• Qual è il participio passato di incutere? Incusso
• Riflettei o riflessi? Riflettuto o riflesso? Il verbo riflettere ha una doppia anima, il suo passato remoto può essere sia
riflettei sia riflessi, ma riflettei significa “considerare” mentre riflessi significa “mandare riflessi”. Il participio passato è sia
riflettuto che riflesso
• Soddisfaccio, soddisfo o soddisfò? Le prime due vanno bene; la terza è sbagliata ma è rara. I composti del verbo fare
seguono la coniugazione del vergo per cui: assuefaccio, assuefeci, contraffacevo, contraffeci…
• succeduto o successo? Il verbo succedere ha due forme di participio passato, -uto e -sso, quindi sono entrambe corrette
ma hanno due significati diversi, perché: succeduto va usato solo con il significato di “subentrato”, “venuto dopo” (re
francesco di francia è succeduto a re Enrico II) mentre successo va usato con il significato di “accaduto”, “avvenuto”.

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PARTE QUARTA

Concordare l’aggettivo:

L’aggettivo concorda in genere e in numero con il nome a cui si riferisce.


Quando sono più di uno, bisogna distinguere:
- Se i nomi sono tutti maschili o tutti femminili, l’aggettivo concorda con questi nel genere e va al plurale -> un attore e un
cantante spagnoli;
- Se i nomi sono di genere diverso, l’aggettivo va al plurale maschile come la regola generale -> un divano e una poltrona
bianchi. Ma se l’ultimo nome è un femminile plurale allora si può anche mettere l’aggettivo al femminile plurale -> un
divano e due poltrone bianche. Però questo può generare confusione perché non si capisce se anche il primo nome è
“bianco” quindi è meglio specificare -> un diviano bianco e due poltrone anch’esse bianche.

Concordare il participio:

I casi di incertezza sono tre:


- La tua relazione è stata un successo o la tua relazione è stato un successo?
- Antonio si è lavato le mani o Antonio si è lavate le mani?
- Ho regalato i diamanti a tiziana o ho regalati i diamanti a tiziana?

Nei primi due casi, in cui c’è il verbo essere, vanno bene entrambe le soluzioni. Nel terzo caso, in cui c’è il verbo avere, bisogna
scrivere “ho regalato”.
È possibile cambiare il participio (regalato) e concordarlo con la parola a cui si riferisce solo se questa precede il verbo -> i diamanti
che ho regalato a tiziana o i diamanti che ho regalati a tiziana.

Concordare soggetto e verbo:

se il soggetto è un nome collettivo, cioè è un nome singolare ma che indica una pluralità di persone o cose, va messo al singolare o
al plurale? Es. un gruppo di operai ha occupato la fabbrica o un gruppo di operai hanno occupato la fabbrica?
È giusta la prima soluzione: soggetto singolare e verbo al singolare
(la seconda soluzione è accettabile solo nel parlato informale)

Quando due soggetti singolari collegati dalla congiunzione “o” il verbo va al singolare o al plurale? Al singolare, perché quella “o”
esprime un’alternativa che esclude automaticamente uno dei due soggetti.
Es. verrà a trovarti Paolo o Gianni oppure verranno a trovarti Paolo o Giovanni? -> è la prima, basta dividere la frase “verrà a
trovarti paolo oppure verrà gianni?

Quando un soggetto singolare è seguito da un altro nome introdotto con “con”, il verbo va al singolare o al plurale? Al singolare,
perché il secondo nome non è il soggetto ma il complemento! -> Paolo con Gianni verrà a trovarti e non verranno a trovarti.

Collegare verbo e complemento:

- Adempiere una promessa o adempiere a una promessa? È più corretta la prima soluzione perché il verbo adempiere è
intransitivo e c’è sempre un complemento oggetto -> adempiere un voto, un desidero…
- Adire le vie legali o adire alle vie legali? Il verbo adire si usa raramente in questioni legali e significa “ricorrere a “. La
forma corretta è la prima: adire non vuole la a e i suoi composti.
- Afferire a qualcosa o afferire qualcosa? Afferire è un verbo usato nel linguaggio giuridico e burocratico col significato di
“riguardare”, “concernare” e bisogna usare “a”.
- Attinente a qualcosa o attinente qualcosa? Attinente che vuol dire “relativo”, “che riguarda” è il participio presente del
verbo attenere, che è intransitivo e richiede la preposizione “a”.

Il periodo ipotetico:

• Se l’ipotesi è reale (esprime un fatto certo) bisogna usare l’indicativo sia nella frase che esprime la condizione (quella col
se) sia nella frase che esprime la conseguenza: se me lo dici, ci credo
• Se l’ipotesi è possibile (esprime un fatto che può accadere ma che può non accadere), bisogna usare il congiuntivo
imperfetto nella frase che esprime la condizione e il condizionale presente nella frase che esprime la conseguenza: se
diventasse meno presuntuoso, sarebbe più simpatico.
• Se l’ipotesi è irreale (esprime un fatto che non può accadere e che non è accaduto) bisogna usare il congiuntivo
imperfetto o trapassato nella frase che esprime la condizione e il condizionale presente o passato nella frase che esprime
la conseguenza. Congiuntivo imperfetto e condizionale presente se l’ipotesi riguarda il presente; congiuntivo trapassato e
condizionale passato se l’ipotesi riguarda il passato: se fossi miliardario, non sarei qui (presente-presente); se avessi vinto
la lotteria, non sarei qui (passato-presente); se mi avessi avvertito prima, avrei comprato io la pizza (passato-passato).

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Discorso diretto e indiretto:

ci sono tre tipi di discorso diretto:


- “Manuela dice:<niente tornerà come prima>”
- “<niente tornerà come prima> disse manuela”
- “<niente> dice manuela <tornerà come prima>”

Nel discorso indiretto siamo noi che riportiamo il discorso di una persona dicendo che lei lo ha detto o scritto, quindi:
Il verbo o l’espressione non è separata, ma regge l’intero discorso; non si devono mettere i due punti né le virgolette; bisogna
cambiare i tempi verbali a seconda del tempo del verbo che regge tutto il discorso.

PARTE QUINTA

Il burocratese:

E’ un linguaggio complicato adoperato dalle amministrazioni e istituzioni pubbliche


nelle comunicazioni scritte.
In questo linguaggio le parole creano confusione, equivoci e conflitti tra i cittadini e
le istituzioni.
È meglio utilizzare un lessico
semplice, qui di seguito le parole
del burocratese:

L’aziendalese:

Minaccia il lessico italiano ed è il linguaggio usato da chi lavora nelle aziende ed è in


costante ascesa, continua a diffondersi. Si fonda su un lessico costituito da parole ed
espressioni inglesi.
Esempi:
- Advertising (pubblicità)
- Brand (marchio)
- Feedback (riscontro)
- Seller (venditore)
- Team (gruppo di lavoro)
- …

Lo scolastichese:

E’ un linguaggio che è stato insegnato nella lingua del passato e che qualche parola si usa ancora ma è antica.
Ad esempio:
- Accudire (occuparsi di)
- Adirare (arravviarsi)
- Condurre (portare)
- Fanciullo (bambino)
- Porgere (dare)
- …
Itanglese e itangliano:

il termine itanglese e itangliano sono stati coniate per indicare un italiano fortemente influenzato dall’inglese, caratterizzato dalla
massiccia presenza di parole ed espressioni inglesi o angloamericane.
Queste parole sono presenti nella politica, nell’amministrazione, nella finanza; basta pensare a jobs act (legge sul lavoro) o a
spendig review (taglio della spesa) a smart working (lavoro agile), recovery found ecc..

Digitalese:

è il linguaggio utilizzato per comunicare attraverso telefoni, tablet, computer tramite sms, post, commenti ecc. ( x esmp, x favore,
qlq, xò…).

14
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Grammatica Italiana
★ FONETICA E FONOLOGIA​ :
foni (​+ allofoni), ​fonemi ​(+ prova di commutazione, coppia minima), c​ onsonanti ​(luoghi e modi di articolazione),
vocali (​posizione tonica e atona), ​approssimanti ​(semivocali e semiconsonanti), d
​ ittongo ​e i​ ato​.
_____________________________________________

!!! ​La ​fonetica descrive, classifica e fornisce la trascrizione dei ​suoni prodotti dall'uomo (​foni​), quando parla, senza
tenere conto della loro capacità di distinguere parole di diverso significato.
fonetica​= si occupa dei suoni della lingua presi in sé, cioè privi di valore distintivo.
fono​= l​ a realizzazione (concreta) di un qualunque suono del linguaggio​.

!!! ​La ​fonologia studia i suoni presenti nelle lingue umane in rapporto alla loro funzione distintiva. Questi suoni con
potere distintivo sono detti ​fonemi​, i quali sono entità astratte, non realizzazioni concrete (come sono i​ foni​).
fonologia​= studia le unità minime della lingua nel loro valore distintivo (fonemi).

N.B. per la trascrizione dei ​foni​ si usano le parentesi quadre [ ], per i ​fonemi ​le barre oblique //.
I FONEMI ITALIANI. I TRATTI DISTINTIVI

Foni e ​fonemi italiani si realizzano utilizzando l’aria di provenienza polmonare nella fase espiratoria:
l’aria, uscita dai polmoni, si incanala nella trachea e passa nella laringe, dove incontra le ​corde vocali (1^ ostacolo che
l’aria in uscita incontra) → due spesse pieghe muscolo-membranose con margini liberi che delimitano uno spazio detto
‘​glottide​’.
Alcuni suoni ottenuti mediante espirazione dell’aria esterna (per es. il bacio scoccato in aria o il verso che esprime
disappunto o disapprovazione) si ottengono premendo il dorso della lingua sul palato e poi staccandolo
bruscamente.

Le ​3 posizioni fondamentali della glottide ​sono:


1) ​POSIZIONE ESPIRATORIA O NEUTRA ​(‘​ aperta’​)​→ oltre a quella abituale nella respirazione, è la posizione
richiesta per le ​articolazioni sorde ​→ si producono​ consonanti sorde​(es. [p], [t], [k])
2) ​POSIZIONE CHIUSA → quando le corde vocali sono accollate e impediscono il passaggio dell’aria, è
propria di particolari condizioni fisiologiche (​es. prima di un colpo di tosse​) ed è sfruttata dalle lingue che
conoscono un’occlusione glottidale come fonema (​es. l’arabo)​ .
3) ​POSIZIONE DI SONORITÀ ​(‘accostata’) → quando ​le corde vocali vibrano, toccandosi e staccandosi molte
volte al secondo.E’ la posizione che permette le ​articolazioni sonore → ​→ si producono consonanti sonore (es.
[b], [d], [g], ecc.) e ​tutte le vocali​.

L’​ampiezza delle oscillazioni è percepita soggettivamente come intensità (suoni forti e deboli); la ​frequenza​,
è percepita come altezza o tono (suoni bassi e acuti).

Dalla laringe l’aria passa nella faringe, di qui può uscire:


- o simultaneamente attraverso le ​fosse nasali​ e la ​bocca
- o come avviene nella respirazione a bocca chiusa → ​ soltanto dal naso o dalla bocca​;
a seconda che il ​velo palatino (2^ ostacolo che l’aria in uscita incontra) sia in posizione rilassata, consentendo
all’aria di immettersi nelle fosse nasali, oppure si sollevi addossandosi alla parete faringea e costringendo l’aria
ad uscire attraverso la bocca.
Il ​movimento del palato​ distingue ​due gruppi di foni​:
- ORALI​ (velo palatino sollevato, ​l’aria esce dalla bocca​)
- NASALI​ (velo palatino abbassato, ​l’aria esce dalla cavità nasale​)

In italiano i fonemi nasali sono 3: /n/, /m/ ( /n/ n arricciata a sinistra)


I tratti distintivi di un fonema sono: sordità, sonorità, oralità, nasalità.
VOCALI E CONSONANTI

I suoni linguistici si distinguono in v​ ocali​ e ​consonanti​.


!!! Se ​l’aria può uscire dalla cavità orale (o cavità orale e nasale insieme) ​senza incontrare alcun ostacolo​, ​abbiamo
una​ vocale​; se, invece,​ l’aria incontra un qualsiasi ostacolo​si produce una c​ onsonante​.
I ​suoni vocalici dell'italiano sono ​7 in posizione tonica ​(cioè accentata) e ​5 in posizione atona ​(5 sono i grafemi che
rappresentano tutte le vocali).

Le ​7 vocali toniche ​presentano i seguenti tratti:


​/a/ = ​Vocale centrale, di massima apertura, bassa
→ la lingua si ​abbassa sul fondo ​della bocca​,
lasciando completamente aperto il canale orale.

/ɛ/ = vocale anteriore​, palatale medio-bassa → la


lingua si solleva e ​si avvicina ​al palato duro​,
avanzando rispetto alla posizione della /a/ - si tratta
della ​e aperta d
​ i b​ ene, leggo, testa, zero.

/e/ = vocale anteriore​, palatale medio-alta → La


lingua si accosta al palato in un punto ancora più
avanzato - si tratta della ​e chiusa ​di ​metto, rete, sera,
vela.
/i/ ​= vocale anteriore, palatale di massima chiusura,
alta → è l'​ultima delle vocali anteriori​, che si articola con un ulteriore sollevamento e avanzamento della lingua.
/ɔ/ ​= vocale posteriore, ​velare medio-bassa → le labbra si restringono, mentre la lingua si solleva e si avvicina al velo
palatino, retrocedendo rispetto alla posizione della /a/; è la o​ aperta ​di forte, nove, trovo, zona.

/o/ ​= ​vocale posteriore, velare medio-alta → aumentano la rotonda mento e l'avanzamento delle labbra, mentre la
lingua retrocede ulteriormente – è la ​o chiusa d
​ i dove, molto, sono, volo.

/u/ ​= vocale posteriore​, di massima chiusura, alta → si raggiunge il massimo grado di arrotondamento e di
avanzamento delle labbra; la lingua giunge fino al limite posteriore del palato duro (​muro, duro, tutto​).
/ ɛ /, /a/, /ɔ/ → vocali a​perte
/i/, /e/, /o/, /u/ → vocali​chiuse (​quando non sono accentate sono sempre chiuse; f​ uori accento​ le vocali sono 5)

N.B. il segno ‘ (apice) precede la sillaba su cui cade l’accento (sillaba tonica).

In molti casi le denominazioni delle varie consonanti sono piuttosto lunghe e complicate, per cui alcune vengono
definite più semplicemente:
> La s​ sorda ​/s/ e la ​s sonora​/z/ si indicano come ​sibilanti sorda e sonora
> la /ʃ/ prende il nome di ​sibilante palatale
> la /ŋ/ di n​ asale palatale
> la /ʎ/ di​ laterale palatale
> la /r/ e la /l/ vengono chiamate entrambe​ liquide​; considerate individualmente sono indicate come v​ ibrante e laterale​.
In italiano ​5 consonanti ​sono pronunciate sempre intense in posizione intervocalica​: le palatali /ʎ/, /ŋ/, /ʃ/ e le
affricate alveolari /ts/ e /dz/. La sibilante sonora /z/ è sempre tenue.

APPROSSIMANTI, DITTONGO E IATO

Oltre alle vocali e alle consonanti, l’italiano possiede 2 approssimanti: s​ emivocali​ e ​semiconsonanti​.
!!! Prendono il nome di ​approssimanti quei ​foni per produrre i quali il canale orale si stringe più che per le vocali
chiuse; ne risulta un ​suono intermedio​t​ ra quello delle vocali e quello delle consonanti​.
Es. nelle parole​ piede e​ ​ buono​, la ​i ​e la​ u​si impostano come le vocali /i/ e /u/, ma hanno durata più breve:
/i/ → è la semiconsonante palatale /j/ detta​ jod
/u/ → è la semiconsonante velare o labiovelare /w/ detta ​wow
VOCALI SEMIVOCALI
nella ​posizione di margine sillabico
nella posizione di nucleo sillabico
es. di j : D
​ iana, aio –
​ es. di w :​ eseguire, causa
Non si articolano ​mai da sole​, ma​ necessitano sempre di una
Si articolano da sole
vocale​→ vi si appoggiano e con la quale formano un ​dittongo

!!! I ​dittonghi sono unità formate da ​una vocale in ​funzione di centro di sonorità della sillaba ed una ​i oppure una ​u
con ​funzione consonantica​, vale a dire di margine della sillaba.
[Vocali aperte (è, ò), vocali chiuse (é, ó)]

I dittonghi ​ià, iè, ié, iò, ió, iù; uà, uè, ué, uò​, ​uì nei quali
la ​semiconsonante precede la vocale sono ​dittonghi
ascendenti (si chiamano così perché in essi ​la ​sonorità
aumenta​passando dal primo al secondo​ elemento)

Es. ​piano /’pjano/, ​pièno /’pjɛno/, ​vecchietto /vek’kjetto/ --


N.B: ​mio​ /’mio/ e ​tuo​ /’tuo/.

Pieno /​ ’pjɛno/ → /j/ semiconsonante + /ɛ/ vocale tonica


Nuovo​ /’nwɔvo/ → /w/ semiconsonante + /ɔ/ vocale tonica

I ​dittonghi​s​ ono ​discendenti​quando è​ la vocale a precedere la ​i o ​ la u


​ ​semivocali​, come in ài, èi, éi, òi, ói, ùi; àu,
èu, éu – Es. amai /a’maj Maria/, sèi /sɛj tu/, néi /nej casi/, in cui la ​sonorità d​ iminuisce​passando dal primo al​ s​ econdo
elemento​.
Faida /’fajda/ → /a/ vocale + /j/ semivocale
Causa /’kawza/ → /a/ vocale + /w/ semivocale

N.B. nelle parole che terminano in “vocale accentata + i” (es. amai, perdei, noi, voi, lui, guai, mai, finii), la -​i è vocale
sillabica se è alla fine della frase (es. solo Isa amai) – è, invece, ​asillabica se si trova al ​centro della frase (es. solo Isa
amai nella mia vita).
!!! ​Due semiconsonanti legandosi a una vocale formano un ​trittongo​: aiuola /a’jwɔla/, inquieto /in’kwjɛto/,
seguiamo /se’gwjamo/.
!!! Lo ​iato è l’​incontro di due vocali ​che non formano dittongo perché ​appartengono a sillabe diverse​: mio = mi-o
/’mio/, pia= pi-a /’pia/, paura = pa-u-ra /pa’ura/, paese = pa-e-se /pa’eze/.

________________________________________________________________________________________

★ FONOLOGIA e GRAFEMATICA​ :
grafema (numero e genere) e grafo, suoni della scrittura e sistemi di scrittura (ideografici, sillabici, alfabetici), grafemi
lettere dell’alfabeto, digrammi e trigrammi, accento (e la sillaba) e punteggiatura.
___________________________________
I ​suoni linguistici​sono ​rappresentati​per mezzo di ​segni grafici o grafemi​.
!!!​ In un sistema alfabetico, il ​grafema​è​ la più piccola unità distintiva del sistema di scrittura di una lingua.
Il ​grafema ​è un’astrazione rispetto al ​grafo​, che è una forma concreta​, la realizzazione effettiva e particolare di un
grafema.
L'​insieme dei segni grafici o grafem​i con i quali si rappresentano i suoni di una lingua costituisce un ​sistema di
scrittura​; per le lingue che hanno scritture alfabetiche si parla di alfabeto.
DAL SUONO ALLA SCRITTURA

Nelle società evolute l’uomo ha elaborato vari ​sistemi grafici​ per fissare e per tramandare i messaggi orali.
Il ​codice primario è rappresentato dal linguaggio orale, il ​codice di secondo grado è rappresentato dalla
scrittura.
Rientrano nella scrittura anche:
- i pittogrammi o mitogrammi (disegni che raffigurano un messaggio complesso)
- gli ideogrammi (segni più o meno stilizzati che rappresentano una singola nozione)

Una ​corrispondenza tra parlato e scritto si ha con le scritture sillabiche e alfabetiche, in cui teoricamente
ogni segno corrisponde a un fono.
Le ​scritture alfabetiche naturali ​non rappresentano mai fedelmente i foni o fonemi della lingua
corrispondente (ed è accentuata dall’evoluzione della lingua parlata, che in genere è più veloce
dell’adeguamento della scrittura).

In alcune lingue la corrispondenza tra grafia e pronuncia è abbastanza soddisfacente, in altre come l’inglese,
c’è una divaricazione molto forte. In inglese un stesso fonema può essere rappresentato da grafie diverse
come per la ​i lunga​, es green, mean, field. La medesima grafia d’altra parte, può avere più valori fonetici come
gh​ in enough, ghost, though.

L’alfabeto fonetico adottato dalla Grammatica è quello dell’AFI ​(Associazione Fonetica Internazionale)
chiamata anche A.P.I, I.P.A. E’ importante distinguere suoni e lettere.
La ​grafematica ha il compito di classificare i grafemi di una lingua studiandone le funzioni in relazione ai foni
rappresentati​.
L’​ortografia è l’insieme delle regole che vigono, in una data epoca e per una determinata lingua, per l’uso
corretto dei grafemi e dei segni paragrafematici. ​E’ tra i settori della lingua uno di quelli più soggetti a censura
sociale.
(​La g
​ rafematica​è lo ​studio scientifico​ dei grafemi.​ ​L'​ortografia​, invece, appartiene all’​ambito della didattica​ e ha
finalità prescrittive; è la r​ esa grafica di una​ d
​ eterminata lingua secondo un modello di riferimento).

Il termine ​segni paragrafematici definisce l’insieme dei segni che servono a completare quel che viene
indicato per mezzo dei grafemi: punteggiatura, accenti, apostrofi, uso della maiuscola, divisione delle parole.
Sono tutti ​elementi che trovano espressione scritta senza rappresentare un fono​, pur potendo avere nel
caso della punteggiatura un corrispettivo nel sistema di pause e nell’intonazione.

SISTEMI DI SCRITTURA

❖ Ideografici​: i segni elementari corrispondono a parole o morfemi (comunque unità di


senso; Es. egizio, cinese, giapponese, kanji
❖ Sillabici​: i segni elementari corrispondono a sillabe
❖ Alfabetici
Sistemi di scrittura e incongruenze
In primo luogo, i sistemi di scrittura sono spesso conservativi rispetto alla più rapida
evoluzione del sistema fonico. E’ il caso del francese che, pur derivando dal latino (del quale
usa l'alfabeto), presenta numerose innovazioni dal punto di vista fonetico.
Inoltre, spesso per motivi culturali un determinato alfabeto, nato per una lingua, viene usato
per rappresentarne un'altra (anche appartenente a una diversa famiglia). E’ il caso
dell'inglese e del tedesco, lingue germaniche che fanno uso dell'alfabeto latino​.

Il sistema di scrittura dell'italiano è più fedele rispetto ai suoni che rappresenta, ma presenta
comunque un certo numero di incongruenze.
Tali incongruenze sono concentrate, nella maggior parte dei casi, in corrispondenza di quei
suoni che non erano presenti nel latino ma che si sono sviluppati prima nel latino volgare e
poi nell’italiano.

NOME E GENERE GRAMMATICALE DEI GRAFEMI

I nomi delle varie lettere sono oggi stabilizzati, tranne per ​v c​ he come segno distintivo da u ​ha autonomia
più recente.
Scrivendo si può ricorrere indifferentemente al ​nome della lettera ​oppure al suo ​simbolo grafico,​ in
corsivo o tra virgolette.
Quanto al genere​, l’uso è tuttora oscillante fuorchè per ​zeta ​che è facilmente inseribile nella serie dei
femminili in ​-a. ​Suono e segno​ sono ​responsabili del maschile, lettera del femminile.
Anche al ​plurale​, i ​nomi delle lettere rimangono invariati​.

Oltre che in alcuni usi idiomatici, i nomi delle lettere ​si usano​:
1) in riferimento all’aspetto grafico del simbolo stesso
2) nella compitazione, specie telefonica (in genere ricorrendo a nomi di città comincianti con la lettera
voluta es. R come Roma.)
3) nelle sigle
4) per indicare una vitamina (es.​ hai preso la vitamina C?)​

GRAFEMI E FONEMI

Gli alfabeti storici​ ​non possono mai rappresentare fedelmente il sistema fonematico di una lingua​.
In italiano la ​corrispondenza 1 grafema: 1 fonema è raggiunta in un numero di casi abbastanza alto, delle 21
lettere dell’alfabeto ben 11 hanno valore univoco, designano cioè un solo fonema (a, b, d, f, l, m, n, p, r, t, v).
Per i restanti 10 grafemi dobbiamo distinguere tra ​grafemi polivalenti, grafemi diacritici e un grafema
funzionalmente sovrabbondante​.
> I ​GRAFEMI POLIVALENTI → sono quei simboli che a seconda del contesto possono avere valore
fonematico diverso. ​Si tratta di 4 lettere vocaliche (e, o, i, u) e di quattro consonantiche (c, g, s, z).
​ ​u ​si possono considerare polivalenti in quanto rappresentano sia le vocali e le semivocali / i / e / u/
I grafemi i e
sia le semiconsonanti / j / e / w /.

> I ​GRAFEMI DIACRITICI ​→ sono ​segni che non corrispondono ad un’entità fonetica ma servono,
combinandosi con altre lettere​, ad esprimere un suono non rappresentabile con un solo grafema.
Il ​gruppo di due grafemi​ che indicano un unico fonema​ si dice → ​digramma ​(es. ci, gi, ch, gh, sc, gl, gn)
il ​gruppo di tre grafemi​ → ​trigramma ​(es. gli, sci)
[digrammi e trigrammi: ripresi dopo]

> ​GRAFEMA SOVRABBONDANTE ​→ ci riferiamo a ​q ​che è un semplice doppione di c ​come primo elemento
di un nesso labiovelare sordo. (in parole come ​cuore e ​quota la prima sillaba è identica, sono soltanto ragioni
storiche che impongono ​cu​ nel primo caso e ​qu​ nel secondo)
Per​ indicare il grado intenso​ la grafia normale è ​cqu:​ acqua, giacque, nacque.
Si ha ​qq ​in soqquadro, biqquadro.
e,o
​Sotto accento​ ​e ​ed ​o ​possono corrispondere a: ​e​ aperta, ​e ​chiusa,​ o​ aperta, ​o​ chiusa.

Si ​ha​ ​e ​aperta​:
1) nelle​ ​desinenze​ :
-endo d ​ el gerundio (leggendo, sentendo)
-​ente​ del participio (vedente, reggente)
-​ei​, -​ebbe,​ -​ebbero​ del condizionale (canterei, canterebbe, canterebbero)
-​ettero​ del passato remoto (perdettero)

2) nel ​dittongo​:
-​ie (pieno, sedie), tranne che esso non faccia parte di suffissi con ​e chiusa (come in macchietta,
specchietto).

3) nel ​suffisso diminutivale​ -​ello,​ -​ella (​ miserello, poverella) , anche se si trovano in toponimi o in
cognomi.

4) nei suffissi:
- di ​numerativi​ → -​enne​ (ventenne) e -​ennio​ (ventennio) e di numerale ordinale -​esimo​ (ventesimo)
- sostantivale​ → ​-enza​ (clemenza, partenza) e nelle parole terminanti in senza, Ardenza, Piacenza
- aggettivale​ ​→ ​-estre​ (silvestre, terrestre)

Si ha ​e chiusa:​
1) in diverse ​desinenze verbali​:
-ei d​ el passato remoto (perdei)
-esti, -emmo​ di passato remoto e condizionale (perdesti, perdemmo, perderesti, perderemmo)
-este​ di passato remoto, condizionale e congiuntivo imperfetto (perdeste, perdereste)
-é, -erono​ del passato remoto (perdé, perderono)
-ere​ dell’infinito di 2° coniugazione (avere)
-emo​ del futuro (canteremo)
-ete​ dell'indicativo presente e futuro e dell’imperativo (perdete, perderete)
-evo, -evi, -eva​ dell’imperfetto indicativo ( avevo, avevi, aveva)
-essi, -esse, -essimo, -essero​ del congiuntivo imperfetto (avessi, avesse, avessimo, avessero)

2) negli ​avverbi ​in:


-mente​ (veramente, allegramente)
nei sostantivi in:
-mento​(sentimento, movimento)
nella terminazione in -mento (mento, monumento)

3) nel​ suffisso​:
-etnico →​ -ese​ (piemontese, allegramente)
-sostantivale :
-esimo​ (cristianesimo)
-essa (​ dottoressa)
-ezza​ (lentezza)
-diminutivale ​-etto (​ clarinetto)

Si ha​ ​o ​aperta​:
1) in tutte​ le parole ossitone​ ( portò, sto, comò)
2) nel​ ​dittongo​ uo (​ fuoco, muove) ​tranne in liquore → la ​o​ è chiusa
3) in parole proparossitone composte di elementi dott​i, almeno uno dei quali sia di origine
greca(burocrate, cardiologo, filosofo)
4) nel​ suffisso ​in:
-olo, -uolo​ (fagiolo, lenzuolo) , compreso l’​-olo della chimica​ (tritolo)
-otto​ (giovanotto, sempliciotto)

Si ha ​o​ chiusa​:
1) nel suffisso:
-​sostantivale e aggettivale​ ​-oio​ (corridoio)
-one di accrescitivi ​(bambinone, anche al femminile bambinona) e ​di femminili in ​-zione, -sione (stazione,
ammissione)
sostantivale → -​ore ​(amore, dolore)
aggettivale → ​-oso (​ noioso, tenebroso)

​ ​g
ce
I due grafemi ​c e ​ ​g hanno valore ​velari ​davanti alle vocali ​a, o, u;​ davanti a una consonante c si pronuncia
sempre /k/ (cloro, fucsia)
g vale /g/ (segmento, tungsteno), tranne che davanti a ​l e ​ ​n​ con cui forma digramma.
Davanti a ​i​ ed ​e​, ​c​ e ​g​ hanno sempre valore palatale

s
La S si pronuncia generalmente:
- sonora → davanti a una consonante sonora es.smetto
- sorda → in posizione iniziale es.sei, la sera e anche dopo consonante es.penso
- in una parola composta → es. risalire,asettico,antisismico

In posizione intervocalica all’interno di parola la pronuncia varia a seconda delle regioni:


- nell’italia settentrionale → si ha in genere la sonora
- nell’italia centrale, meridionale e Sicilia → la sibilante è sorda
- in Sardegna → si sonorizza anche all’interno della frase
- in Toscana → si ha opposizione tra s e z

z
Anche z corrisponde a due fonemi distinti /ts/ e /dz/.
Storicamente un’affricata alveolare sorda /ts/ continua:
-gruppo consonantico -TJ-, -CJ- sia in parole popolari (prezzo, calza) , sia in parole dotte (nazione, giudizio)
-s iniziale latina (zolfo)
-z germanica (zanna)
-s araba (zucchero)

Un’affricata alveolare sonora /dz/ continua:


-il nesso latino -DJ- (mezzo, pranzo)
-z greca (zona, zoologo)
-z araba (zerbino)

Si ha ​Z sorda /​ ts/​:
a) in quasi tutte le sequenze in cui z sia ​seguita da i + vocale​ (es zio, spazio, nazionale, anziano)
b) forme derivate da basi con /dz/ (es romanziere, ronzio)
c) dopo L → (es alzare, milza)
d) nei suffissi → ​anza​(speranza), ​-enza(​ potenza),​ -ezza​(bellezza),​ -ozza e -ozzo​ (carrozza,
predicozzo),​ -uzza,-uzzo(​ pagliuzza, peluzzo)

Si ha​ Z sonora​ /dz/​:


a) quando z sia ​scritta scempia tra due vocale​ (es. azoto, bazar)
b) nei suffissi ​-izzare(​ idealizzare) e nei derivati in ​-izzazione​(idealizzazione)
Per quanto pronunciata di norma intensa in posizione intervocalica, z si scrive scempia in alcuni casi
come:
1) nelle terminazioni in:
-àzia e -azìa (grazia, democrazia) (eccezioni → pazzia, razzia)
-èzia, -èzie ed ezìa (es.inezia, spezie, peripezia)
-ìzia, ìzie ed izìa (es.giustizia, canizie, polizia)
-ozìa(idiozia) -ùzia(astuzia) -zione(valutazione, perfezione)
-àzio, -èzio, -ìzio, -òzio, -ùzio (topazio, edilizio, negozio)
- in tutti i derivati: giustiziere, perfezionato, screziare
-nei nomi propri che presentano le stesse sequenze es Bullazio, Cremuzio, Scozia.
2) quando z è l’elemento iniziale della seconda parte di un composto (es omozigotico, protozoo, prozio)
3) in alcuni vocaboli isolati, di origine latina(pazienza), greca(sizigia),cinese (bazar)
4) in diversi nomi propri: nomi storici, nomi geografici moderni, cognomi
5) nei sostantivi femminili in ​-sione, -zione​ (es. pretenzione o pretensione?)

In generale si richiede la Z → quando al nome corrisponda un participio,aggettivo,o nome in cui ci sia t →


es.estinzione(estinto), intenzione(intento), menzione(mente)

ci vuole S → se si ha per corrispondente un participio, aggettivo o nome con s → es confusione(confuso),


dissensione(dissenso) (astensione, estorsione ecc)
h
E’ il grafema diacritico per eccellenza, dato che non rappresenta mai un suono, tranne, ma solo con
realizzazione facoltativa, quando compare in interiezioni (ah, eh, ehm, oh).
In tal caso h può corrispondere ad una fricativa glottidale(aspirata) cioè a un’articolazione realizzata a livello
della glottide e indicata con simbolo [h].
Funzione principale di h → è quella di indicare la pronuncia velare di ​c e g davanti a i ed ​e​: che, chino, saghe,
ghiotto.
valore → puramente diacritico anche nelle 4 persone del presente indicativo di avere(​ho,hai ,ha, hanno​) , per
distinguerle dagli omofoni ​o (​ congiunzione e interiezione), ai​(preposizione articolata), ​a​(preposizione
semplice),​anno (​ sostantivo).

L’h NON SI SCRIVE → nel composto ​riavere: riò, riai, rià, rianno

L’h compare senza valore diacritico:


a)come residuo in alcuni cognomi (theodoli, de matthaeis)
b)nel digramma ph col valore di /f/ (es. pamphili)
c)con varie motivazioni storiche nei toponimi (es. mathi → torino, thiene → vicenza)
d)in derivati italiani di vocaboli o nomi propri stranieri(es.hobbista, hockeista)

DIGRAMMI E TRIGRAMMI
Combinazioni di due lettere aventi valore di un solo fonema​:
1) gn+a,e,i,o,u ​(es. cagna, montagne, bagno)
2) gl+i ​(es.figli)
3) sc+i,e ​(es.lasci, scena)
4) ci+a,o,u​ (es.ciao, ciocca)
5) gi+a,o,u​ (es.giardino, mangio, giù)

si deve ricorrere a trigrammi in due casi:


● sci+a,o,u (es.sciame, lascio, sciupare)
● gli+a,e,o,u(es. maglia, moglie, piglio)
gn s​ i pronuncia come nesso biconsonantico /gn/ in alcuni germanismi e in àmbito dotto specie filosofico in
alcuni grecismi come gnosi, e gnoseologia.

​ nesso biconsonantico all’inizio di parola (glia, es.glicine, glicemia, glittica)


gl è
eccetto in ​gli​ e composti (es.glielo, glie ne)

In posizione interna ha valore di /gl/ quando è preceduto da n(anglicano), in geroglifico, in negligente, in tutte le
voci del verbo siglare e in nevroglia.

​ ​g va usata solo davanti ad ​a,​ ​o,u,​ mentre non dovrebbe esserci quando la vocale sia
La ​i diacritica dopo ​c, sc e
​ ato che essa basta da sola a garantire il suono palatale della consonante precedente.
e, d

La ​i​ può trovarsi:


​ s camicie, valigie
1)nei plurali dei nomi in ​ -cia, -gia: e
​ nella quinta persona
2)nelle quarte persone dell’indicativo e del congiuntivo dei verbi in ​-gnare (sogniamo) e
del congiuntivo( es sogniate contro sognate indicativo)

va OMESSA:
​ ei verbi uscenti in ​-ciare, -sciare, -cciare, -giare, -ggiare(​ es. bacerò, lascerei,
a)nelle voci verbali in ​-erò, -erei d
caccerò, trangugerei, gareggerò)
b) nei derivati in ​-etta, -etto, -ezza, -eta, -eria, -ese f​ ormati da basi in ​-cia, -scia, -ccia, -cio, -scio, -ccio, -gio
​ erchè la i sia atona. (es. fascia → fascetta, poggio → poggetto)
-ggio, p

La i si conserva in alcune parole come specie, fattispecie, superficie, effigie.

La i si mantiene nei suffissi ​-(c)iente,​ -​ (c)ienza, -(c)iero, -(c)iera, -(g)iero, -(g)iera


es. cosciente e coscienza, deficiente e deficienza, efficiente ed efficienza
invece la i non è inserita in → beneficenza, conoscenza, licenza
va inserita → artificiere, braciere, paciere, pasticciere, usciere, formaggiera, raggiera.

è stata eliminata → leggero, cavalleggero, messaggero, passeggero

J
Nei nomi propri j regge discretamente, ma solo in posizione iniziale, in alcuni toponimi es. Jonio, Jugoslavia,
Jolanda. In generale si può dire che, non esistono casi in cui ​j​ non possa essere sostituita da i.

K
k → ha sempre valore di occlusiva velare
k compare:
a) nelle sigle → ​kg, kl, kW ​(in forma piena è preferibile ricorrere alla grafia italianizzata es chilogrammo,
chilometro)
b) con valore connotativo per il prestigio legato alla sua non usualità in ambito commerciale (es. bank in
inglese) e pubblicitario (es.kristall, go kart)

W
Compare solo in forestierismi moderni, oscillando tra due valori fonetici, v e w.
a) In generale, w vale v nelle parole italianizzate, quindi innanzitutto in quelle che ammettono oscillazione
grafica tra w e v che hanno terminazione vocalica o che sono derivate da un nome proprio straniero
(es.water, watt).
b) sempre v inoltre nelle parole di origine tedesca (es.weber)
c) w vale w nelle parole inglese o angloamericane non adatte (es.whisky, windsurf)

X
Corrispondeva in latino a un nesso di velare sorda + sibilante sorda.
Con questo valore ​x compare in italiano nella quasi totalità rappresentati da grecismi (es, parole formate con i
prefissi ​mixo-, xanto-, xeno-, xero-, xifo-, xilo-)
Eccezionalmente il nesso ​ks​ è rappresentato nella grafia da ​cs​ come in ​fucsia.​

ACCENTO
Col termine di ​accento espiratorio o dinamico si indica ​il rilievo assunto, ​nella catena parlata, ​da una
sillaba* rispetto alle altre​, attraverso un generale accrescimento della forza espiratoria.

L’ ​accento si sovrappone al segmento fonico​, per questo è considerato un ​tratto soprasegmentale​. L’accento
viene ​prodotto nello stesso momento in cui è prodotta la vocale ​che è colpita dall’accento; pertanto è detto
soprasegmentale quell’elemento linguistico che è in rapporto con gli altri elementi della frase pronunciata ​in
simultaneità con uno o più di essi.
I tratti soprasegmentali ​(o simultanei) più importanti sono l’​accento ​(che riguarda la parola) e l’​intonazione
(riguarda l’enunciato).
[SPIEGAZIONE A PAROLE DELLO SCHEMA SOPRA]
Si distingue:
- accento di parola​ (quello sulla prima sillaba, es. di tavolo)
- accento di frase​ → in una frase non tutte le parole sono dotate di accento:
alcune si appoggiano alla parola seguente quasi fondendosi con essa (proclitiche: ti in ti dirò)
altre si appoggiano alla parola che precede (enclitiche, unite ad essa anche graficamente: me e lo in dimmelo)

In italiano l’accento si può trovare:


● sull’ultima sillaba (vocaboli ossitoni o
tronchi: è, partirà)
● sulla penultima (parassitoni o piani: es.
andare)
● sulla terzultima (proparossitoni o
sdruccioli: es.mettere)
● sulla quartultima (bisdruccioli:
es.considerano)
● sulla quintultima (trisdruccioli:
es.comunicamelo)
sulla sestultima (quadrisdruccioli:es
fabbricamicelo)

Trisdruccioli ​e ​quadrisdruccioli ​sono


possibili solo con voci verbali che includano
enclitiche

I ​bisdruccioli oltre che da forme di questo


tipo es.telefonagli, risultano in grande maggioranza della 6° persona dell’indicativo e del congiuntivo di verbi
aventi l’infinito di almeno quattro sillabe (es.meritano, telegrafano, precipitino)

ACCENTO GRAFICO
L’ortografia italiana prevede l’obbligo di segnare l’accento in un numero limitato di casi.
L’accento grafico deve essere segnato:
a) sui polisillabi tronchi → ​quaggiù, sentirà anche quando risultino composti di monosillabi che di per sè lo
rifiuterebbero es ​ventitrè, gialloblù, nontiscordardimé.
b) sui monosillabi che rischierebbero di confondersi con omografi (vedi foto sotto)
Si segna ​l’accento anche sul monosillabo​ ​fè​ nelle due accezioni: fede e fece

L’accento​ sull’avverbio ​sù​ è


superfluo​ (per distinguerlo
dalla preposizione),​ e su ​dò
come verbo ​(per distinguerlo
dalla nota musicale).
c) sui seguenti monosillabi con 2
grafemi vocalici: ​chiù, ciò, già,
giù, più, può, scià, diè, piè

All'interno di parola l’accento può


servire a distinguere gli omografi
(​dài​ verbo e ​dai ​preposizione
articolata, ​dànno​ verbo e ​danno
sostantivo​, prìncipi ​e ​princìpi.​
FORMA DELL’ACCENTO​:
acuto​ → accento a destra (é)
grave ​→ accento a sinistra (ò)
schema più raccomandabile: à, ì, ù, é, è, ò e o con accento a destra
sempre grave → nei tre casi in cui non si può distinguere tra diversi gradi di apertura (à, ì, ù)
la ​o ​ con accento a destra può figurare all’interno di parola, mentre la o finale è sempre aperta es.portò.

Un altro sistema accentuativo prevede l’accento acuto per tutte le vocali chiuse → i’, é, u’, o’ e il grave per tutte
le aperte → à, è, ò
L’accento circonflesso ^ può comparire in due casi:
a) nel plurale di sostantivi e aggettivi in ​-io
b) per distinguere parole che siano omografe e omofone
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★ MORFOLOGIA:
morfemi ​(flessivi, lessicali, grammaticali, semiliberi), ​morfologia flessiva ​e ​derivativa ​(prefissazione, suffissazione,
composizione), ​formazione delle parole ​(regole, aggiustamenti, produttività, paradigmi e trascategorizzazione) e
polirematiche + morfologia dei nomi, degli aggettivi (+ i gradi dell’aggettivo e la comparazione ), ​dei pronomi,
degli articoli, degli avverbi e dei verbi (+ introduzione gramm. delle valenze, formazioni parasintetiche, tempi:
passato remoto e prossimo, congiuntivo, participio, gerundio).
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!!! La ​morfologia ha come oggetto di studio la struttura delle parole: vale a dire, ​l’analisi dei modi in cui gli elementi
minimi dotati di significato (​i morfemi​) si combinano tra loro per formare le parole​ di una lingua.
​ rospettiva sia ​sincronica​sia d
La morfologia può essere studiata in una p ​ iacronica​
.
Analizziamo qui, la ​morfologia sincronica​, la quale si divide in ​due settori​:
❖ morfologia flessiva
❖ morfologia derivativa

I principali ​processi di formazione delle parole (​derivativi) sono:


> suffissazione
> prefissazione
> composizione
SUFFISSAZIONE
​ Altri p
​ rocessi derivativi​sono:
a) L'​ALTERAZIONE è un particolare ​tipo di derivazione ottenuta con determinati suffissi, in virtù dei
quali ​il significato della parola di base muta soltanto per alcuni aspetti​, riguardanti le dimensioni e le
qualità del referente e/o relativi al modo con cui e se considerato dal parlante. ​Non comporta il passaggio da una
categoria grammaticale all'altra​. ​N → N (libro → libretto) / A → A (bello → bellino) / V →V (cantare → canticchiare)
L'uso degli alterati ​dipende anche dalla disposizione emotiva (​affettività​) ​di chi parla​: è necessario
distinguere il ​significato generale ​(valido in tutti i contesti e per tutti parlanti) da quello ​occasionale (che
dipende dalla carica affettiva che si può attribuire un alterato).
Si distingue tra ​alterati veri e alterati falsi​: ​quelli falsi​, che derivano dai veri, ​hanno un significato specifico​:
fantino, rosone, cavalletto, manette. Nella produzione di alterati ​si evita la successione delle stesse sillabe nella
base nel suffisso​: da tetto si può avere tettino o tettuccio, ma NON tettetto. ​La differenza di significato degli
alterati ​rispetto alla base​ r​ iguarda​:
> la​ q
​ uantità​: v​ alore diminutivo/ accrescitivo
- alterati diminutivi​: -ino, -(i)c(c)ino e -olino, -etto, -ello.
- alterati accrescitivi​: -one, -accio.
- alterati verbali​: es. fischiare → fischiettare -- giocare → giocherellare.
> la ​qualità​:​ valore positivo/negativo
- ha prevalenza il valore della simpatia: v​ ezzeggiativi
- ha prevalenza il valore del disprezzo: p
​ eggiorativi

b) La ​CONVERSIONE ​è il ​processo per il quale un vocabolo, appartenente a una classe, passa a un'altra
classe assumendo nei i tratti categoriali, ma senza cambiare la propria forma​.
Es. il verbo ​piacere diventa il nome ​piacere e in quanto tale può avere un articolo, una forma plurale e di essere
accompagnato da un aggettivo.
La ​conversione dei verbi ​riguarda anche:
- il participio presente (cantante → il cantante)
- il participio passato (l’udito, l’andata)
- il gerundio (il divenendo, il laureando)
- intere locuzioni (il fai-da-te)
La ​conversione riguarda anche gli aggettivi (pieno → il pieno -- sociale → il sociale), ​gli etnici (napoletano
→ il napoletano), ​i nomi in -ista​usati come aggettivi (un amico ottimista).

c) La ​RETROFORMAZIONE è un ​procedimento contrario alla derivazione, vale a dire da un participio


passato si forma un infinito: es. redatto, redazione → redarre invece di redigere / correlazione → correlare.

TRANSCATEGORIZZAZIONE
PARTI DEL DISCORSO E LE LORO CATEGORIE FLESSIVE

1. LA FLESSIONE DEL NOME


La ​flessione è il processo grazie al quale ​si distinguono le parole che hanno forme diverse della stessa unità
lessicale​: cugin-o, cugin-a, cugin-e, cugin-i (flessione nominale);
bell-o, bell-a, bell-i, bell-e (flessione aggettivale),
am-o, am-i, am-a (flessione verbale).
Queste forme diverse rispondono a r​ egole flessive​, le quali rientrano nel campo della morfologia flessiva.

I ​morfemi grammaticali ​(flessionali e derivazionali) costituiscono ​classi chiuse​; i ​morfemi lessicali costituiscono
classi aperte​. Gli uni e gli altri costituiscono il “nucleo
forte” della morfologia; ritroviamo anche un’area di
morfemi che hanno ​forme e usi variabili (componente
analitica della morfologia).

La lingua italiana conserva ancora alcuni tratti fusivi


del latino:
1. le parole sono formate ​da una base e da almeno
un suffisso flessivo
2. gli affissi possono ​cumulare più funzioni ​(es. o:
masch. + sing.)
3. i ​valori di genere, numero, tempo si
raggruppano nelle​classi flessive ​→

Es. i ​due tratti masch. e sing. nella maggioranza dei casi


è indicato dalla ​desinenza -o​, ma hanno stesso valore anche ​-e ​(in portiere, barbiere, ecc.) e ​-a (in autista, artista, ecc.)
→ può essere interpretato come una manifestazione di disordine morfologico (-e è tipico del femm. Plur. E -a femm.
Sing.), ma l’ordine si ristabilisce se consideriamo il plurale dei nomi e osserviamo la diversità dei paradigmi
[portiere-portieri (masch.), donna-donne/ autista-autisti, tavola-tavole).
La stessa desinenza ha valori diversi in paradigmi diversi; al tempo stesso, un ​pacchetto morfemico ​(es. masch.
Sing.)​ può essere reso con più varianti (​ ​morfi​) dello stesso morfema.
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I GRADI DELL’AGGETTIVO E LA COMPARAZIONE


I concetti espressi dagli aggettivi qualificativi, così come quelli espressi da molti avverbi, possono essere
soggetti ad una gradazione secondo la misura o l’intensità della qualità posseduta.
Per l’​aggettivo qualificativo la grammatica ha codificato 3 modalità funzionali di espressione della qualità, ossia
tre tipi di gradazione o gradi​:
1) grado positivo ​→ in cui la qualità è espressa senza particolare riguardo alla sua quantità o intensità, e
nessun segnale esterno interviene a modificare l’aggettivo (es. maria è simpatica, giorgio è un uomo
ambizioso).
2) grado comparativo → in cui la gradazione intensiva della qualità viene messa a confronto con quella
posseduta da un altro termine di paragone o con un’altra qualità posseduta dallo stesso soggetto.
3) grado superlativo ​→ in cui la gradazione intensiva viene espressa al suo massimo, in senso assoluto o
relativo.

GRADO COMPARATIVO
Il ​grado comparativo dell’aggettivo serve a mettere in relazione due termini, secondo l’intensità di una
qualità posseduta da entrambi, nella stessa misura (maria è bella come paola) o in misura diversa (maria è
più bella di paola).
I gradi di ​comparativo di maggioranza e di minoranza sono i due gradi per mezzo dei quali esprimiamo la
relazione di non-uguaglianza tra i due termini.
La​ relazione di uguaglianza​ è espressa dal grado comparativo di uguaglianza.

Il grado comparativo dell’aggettivo (precisamente, comparativo di maggioranza e minoranza) ​si forma


aggiungendo gli avverbi ​più o ​ ​meno ​all’aggettivo qualificativo. Il ​secondo termine di paragone può
essere introdotto dalla preposizione ​di ​ o dalla congiunzione ​che.​
La preposizione ​di a​ dopera quando:
a) il secondo termine di paragone è costituito da ​un nome o da un pronome non retti da preposizione
(es.​ Mario è più esperto di luisa)​
b) il secondo termine è un ​avverbio ​(es.più esperti di prima)

Si adopera invece la congiunzione ​che​ quando:


1) il secondo termine di paragone è un nome o pronome retto da preposizione (es.mario è più gentile con
me che con te)
2) si mettono a raffronto non due nomi caratterizzati dall’aggettivo qualificativo (es.mario è meno religioso
di gino) ma due qualità riferite in misura differente allo stesso nome, che funge, per così dire, da
termine di paragone rispetto a sé stesso (es.mario è più furbo che intelligente)
3) si paragonano fra loro parti del discorso che non siano aggettivi (es.l’ha detto più per scherzare che per
offenderti)

Il comparativo di uguaglianza non comporta alcuna forma di alterazione dell’aggettivo, ma la messa a


confronto di qualità possedute in egual misura da entrambi i termini della comparazione.
Il primo termine di paragone può essere preceduto da ​tanto,altrettanto(​con ​quanto) e ​ ​così​(con ​come) che sono
però ridondanti (es.una camicia (​tanto)​ costosa ​quanto​ la tua)
Il secondo termine di paragone è introdotto di norma dagli avverbi ​quanto e ​ ​come.​
Le forme correlative sono necessarie quando si mettono a confronto due qualità dello stesso soggetto
(es.un’auto ​tanto​ veloce​ quanto​ silenziosa).
Talvolta il grado di uguaglianza può mettere in relazione due comparativi di maggioranza o minoranza in
relazione a un terzo termine di raffronto (es.Carlo ​è tanto​ più forte di Mario ​quanto​ Giovanni).

GRADO SUPERLATIVO
Esprime il massimo livello possibile di intensificazione della qualità posseduta, in relazione ad altre grandezze,
persone, cose (superlativo relativo) o in senso assoluto (superlativo assoluto).
Il superlativo relativo → è preceduto dall'articolo determinativo (es.Mario è il più bravo, Maria è la meno
anziana).
Ha come parametro di riferimento tutti i termini omogenei con i quali è possibile attuare un raffronto.
Il numero di persone, cose, concetti messi a confronto, necessario perchè nel superlativo relativo sia
mantenuta l’idea di ‘’totalità’’ deve essere almeno superiore a due (es.mario è il più bravo dei due piloti).
Il superlativo assoluto→ indica il grado massimo di intensità di una qualità o di un concetto, senza istituire
paragoni con altre grandezze.
si esprime con il suffisso ​-issimo aggiunto all’aggettivo di grado positivo, e occasionalmente può essere
utilizzato con nomi (es.la finalissima, il presidentissimo)
Spesso il superlativo assoluto serve ad amplificare un aggettivo di grado positivo.
Non tutti gli aggettivi possono essere alterati per formare il superlativo, di regola dovrebbero esserlo solo quelli
che esprimono una qualità che può essere accresciuta o diminuita.
Mentre gli aggettivi che hanno un significato molto preciso e circoscritto, che non può essere modificato
intensivamente → hanno il solo grado positivo (es. cristiano, pagano, mortale, immortale, enorme, infinito) non
ammettono di norma grado superlativo.
Alcuni aggettivi formano il superlativo non con il suffisso ​-issimo,​ ma con i suffissi ​-èrrimo ​e ​-entissimo.

Superlativo in ​-èrrimo
POSITIVO SUPERLATIVO

acre acerrimo

celebre celeberrimo

integro integerrimo

misero miserrimo

salubre saluberrimo

Superlativo in ​-entissimo
POSITIVO SUPERLATIVO

maledico maledicentissimo

benefico beneficentissimo

munifico munificentissimo
benevolo benevolentissimo

malevolo malevolentissimo

I superlativi in ​-èrrimo si formano tutti (tranne miserrimo) da una radice alterata rispetto a quella del grado
positivo es,acr-e/acerrimo, celebr-e/celeberrimo.

Diverso è il caso dei superlativi in ​-entissimo → e ​ ssi trovano riscontro nei normali superlativi in ​-issimo di
aggettivi in ​-ente​, del tipo nutriente → nutrientissimo

Accanto alle forme miserrimo e saluberrimo esistono i superlativi regolari ​miserissimo​ e ​salubrissimo.​

1) L’aggettivo di grado positivo può essere preceduto da un avverbio di quantità → molto, assai
es.sono molto stanco stasera
2) L’aggettivo può essere intensificato mediante → ​tutto​ es. tu sei tutta matta
3) L’aggettivo può essere oggetto di una reduplicazione intensiva → es.un grido forte forte, questo può
succedere anche con un nome es un caffè caffè, un caffè vero, un caffè come si deve → ossia la
ripetizione del sostantivo che ha lo scopo di sottolineare quel sostantivo.
4) Molti aggettivi e locuzioni apposti all’aggettivo → gli conferiscono valore di ‘superlativo’ es. innamorato
cotto,​ ubriaco ​fradicio.​
5) Alcuni avverbi attribuiscono all’aggettivo qualificativo una intensificazione asseverativa simile al grado
superlativo → ​davvero, veramente, proprio​ e delle locuzioni come → ​sul serio, per davvero​.

EGLI O LUI?
EGLI è sempre più raro, limitato alla lingua scritta o al parlato formale, mentre LUI in funzione
di soggetto si trova in qualsiasi varietà di lingua: scritta e parlata, formale informale.
EGLI può essere riferito solo a una persona mentre lui può essere riferito a una persona o a
un animale.
Il pronome ESSO può riferirsi sia a un animale sia a una cosa. Tuttavia, nell’italiano corrente
ESSO non si usa quasi mai: o si ripete il nome o si ricorre a QUELLO.
Il corrispondente femminile di EGLI è ELLA, che però e ormai rarissimo anche nell’italiano
scritto. Il pronome soggetto normalmente usato è LEI, riferito a persone e (raramente) ad
animali, nello scritto si incontra anche ESSA, sostituito nel parlato da QUELLA.

Per quanto riguarda il pronome soggetto di terza persona plurale, ESSI es ESSE non si
adoperano mai: per riferirsi alla persone si utilizza LORO, Per riferirsi a cose e a concetti,
invece, o si ripete il nome o si ricorre alla forma QUELLI/QUELLE.

ci troviamo dinanzi a un caso conclamato di schizofrenia linguistica?


perché da una parte la norma codificata dalla tradizione grammaticale e perpetuata
nell'insegnamento scolastico impone EGLI/ELLA e ESSO/ESSA, Mentre dall'altra l'uso reale
della lingua prevede LUI/LEI/LORO?

questo fenomeno di divaricazione ha origini molto antiche: affonda le sue radici nel
fiorentino scritto del ‘300 che, come sappiamo, costituisce la base della nostra lingua
standard.
dal ‘400 in poi virgola in Toscana e fuori dalla Toscana, si fece strada la tendenza ad operare
LUI/LEI/LORO anche in funzione di soggetto, sia negli scambi scritti che in quelli parlati. ma i
grammatici che, a partire dal ‘500, fissarono le regole dell'italiano censurano questa
tendenza perché LUI/LEI/LORO non erano stati usati da Dante, Petrarca e Boccaccio.

E…. GLI?
Nell’italiano parlato contemporaneo c'è una diffusa tendenza a adoperare GLI non solo col
significato di “a lui”, l'unico corretto secondo la grammatica tradizionale.
GLI al posto di LE è ancora oggetto di censura da parte della comunità dei parlanti, per
questo è sconsigliabile usarlo. Invece, può essere usato senza esitazioni GLI per (​ a) LORO
maschile e femminile. con questo valore specifico, GLI fu usato già da Alessandro Manzoni
nell’edizione 1840 dei promessi sposi.

CODESTO
Come negli anni ‘60, così anche oggi CODESTO e parola d'altri tempi, con un'eccezione
geografica e un'eccezione settoriale.
> Nell'accezione geografica: CODESTO è usato normalmente in Toscana per indicare
qualcuno o qualcosa lontano da chi parla, ma vicino che ascolta.
> Nell’accezione settoriale: CODESTO è normalmente usato nel linguaggio burocratico per
indicare qualcuno o qualcosa lontano da chi scrive e vicino a chi legge.

…QUANT’ALTRO
Ci sono espressioni che in sé non hanno niente di sbagliato, ma che nel corso del tempo, per
l'uso eccessivo che se ne fa, hanno finito per diventare banali. nel linguaggio della burocrazia
in cui è nata, questa combinazione di parole era ed è in genere accompagnata da un
participio passato. Poi, dalle carte polverose dei decreti e dei regolamenti, l'espressione ha
perso il participio passato che l'accompagnava e ha cominciato la sua ascesa in altri campi.
Tanto che al suo fascino hanno ceduto alcune “grandi penne”.
Sostituisce i più tradizionali e innocui ‘eccetera’ o ‘via dicendo’ e diventando una moda. Non
tutte le mode però sono buoni e questa ve la sconsiglio.
IL VERBO
Il verbo è una categoria linguistica fondamentale basata sulle categorie grammaticali ​(espresse dalla ​flessione​) ​di
persona, numero, tempo, aspetto, modalità ​; la ​diatesi o ‘disposizione’ serve per distinguere i verbi attivi, passivi e
medi (nel greco) e rappresenta l’atteggiamento dei partecipanti al processo nei confronti del processo stesso.

La ​classe dei verbi ​è costituita prototipicamente ​da verbi che esprimono azioni e hanno funzione predicativa​. La
funzione fondamentale del verbo​è quella di ​predicato di un soggetto​, si distingue tra:
● funzione predicativa​: ​es. I pesci nuotano, Io ho telefonato → ​verbi che esprimono un senso compiuto e posso
essere utilizzati anche da soli.
● funzione attributiva​: ​es. gli studenti ​(nome) ​promossi sono ​(verbo) felici ​(aggettivo) → il collegamento tra
l’aggettivo e il nome avviene attraverso un verbo.

Vi sono poi:
- verbi lessicali​: funzionano da soli come predicatori
- verbi grammaticali​: si accompagnano a forme nominali e verbali (es. ​essere e i verbi di supporto ​avere, dare, fare​)
→ Tra questi ci sono:
> quelli che svolgono la ​funzione copulativa ​→ il verbo essere lega un sostantivo e la parte nominale che serve a
definire il soggetto): es. M
​ ario ​(sogg.)​ è diventato (​ copula)​ generoso ​(parte nominale).
> gli ​ausiliari ​essere e avere → ​sono utilizzati in combinazione ad un altro verbo per dare un particolare significato
della forma verbale. Questo è evidente, in italiano, nella formazione di tempi composti.
> i ​verbi modali​, in Italiano, ​sono quattro: VOLERE, DOVERE, POTERE e SAPERE. Vengono anche detti verbi
servili​, perché ​servono il verbo che segue​, ​esprimendo l'idea di volontà, possibilità o dovere​. Il ​verbo sapere è un
verbo modale​quando esprime una capacità​ (es.​ Luigi deve partire, non può restare con noi​).
> I ​verbi supporto sono quelli che ​forniscono un a​ppoggio al predicato nominale, formando con esso ​un’unità
semantica​: a​ ver bisogno, dare udienza, fare allusione, prendere aria, tenere compagnia.

Il verbo si accorda in genere e numero con un nome che prominenza all’interno della frase e non necessariamente
con quello più vicino.
I verbi si distinguono in classi​. Un’opposizione fondamentale è quella tra:
● verbi transitivi​: hanno ‘oggetto diretto’ e possono avere due argomenti (il soggetto e l’oggetto diretto). I verbi
transitivi hanno t​ ransitività alta​ (colpire, distruggere) ​o bassa​ (possedere).
● verbi intransitivi​: non hanno il complemento diretto, né la forma passiva.
Si dividono a loro volta​ (questa divisione, detta ‘​intransitività scissa’​,​ h
​ a un riscontro semantico e sintattico​) in:

​- piano semantico -
- ​inergativi​: esprimono attività intenzionali (​ballare, camminare, parlare​) o funzioni corporee (​dormire, giocare,
piangere​)
- ​inaccusativi​: esprimono un cambiamento di stato repentino (​arrivare, entrare, venire, fuggire​), uno stato (​restare,
rimanere​), un avvenimento (​accadere, avvenire, succedere​).

- piano sintattico -
- i​ nergativi​: hanno l’ausiliare avere
- ​inaccusativi​: hanno l’ausiliare essere → gli unici che ammettono l’uso del clitico ​ne (ne sono arrivati molti) e possono
avere il costrutto assoluto (es. arrivato Luigi, la festa è cominciata​). Infine, il soggetto si può collocare dopo il verbo (es.
è venuto Mario, rimane un dubbio​).

Alcuni verbi hanno ​un uso transitivo e intransitivo​ (presto finirò i compiti).
​ I​ v
​ erbi pronominali s​i distinguono per la ​presenza di un pronome clitico →
​ sei classi di verbi in -​ si​:
1. verbi riflessivi (lavarsi)
2. verbi con uso riflessivo indiretto (tagliarsi i capelli)
3. verbi con uso intensivo (bersi una birra)
4. verbi reciproci (salutarsi)
5. verbi reciproci indiretti (stringersi la mano)
6. verbi intransitivi pronominali (inquietarsi).
Vi sono verbi pronominali costruiti con ​altri clitici (andarci, finirla, prenderle, volerne) e con ​combinazioni ​di clitici
(​andarsene, cavarsela, mettercela​).
I verbi si definiscono ​in rapporto alla qualità dell’azione c​he rappresentano:
❖ Verbi durativi​ (ha dormito per un’ora)
❖ verbi non durativi​ (si è addormentato subito)
❖ verbi telici​ (arrivare, costruire, spegnere)
❖ verbi non telici​ (bere, riflettere, spaventarsi)
❖ verbi fattivi​: ​si dicono fattivi ​quei verbi che ​instaurano un referente nella frase e con la negazione la cancellano
(​es. La case non è stata ancora costruita e ieri l’ho visitata​).

Quanto all’​aspetto​, si ricorda che questo termine ​si riferisce a quelle categorie verbali che distinguono lo ​stato
dell’evento in rapporto al suo svolgimento​,​si distingue tra:
● Aspetto grammaticale​: segnala la ​durata interna del verbo (il passaggio un punto originario a un punto finale,
ha un esito).
● Aspetto semantico​: provocato dall’ausiliarizzazione, che ​produce una variazione di significato tra i lessemi
verbali (perfettivo/imperfettivo).
● Aspetto lessicale​: che s​i esprime mediante perifrasi e ha valore incoativo, progressivo, terminativo​. Si
distingue tra aspetto perfettivo/imperfettivo, abituale/continuo, progressivo/non progressivo.

Nei verbi distinguiamo: la ​radice​, la ​vocale semantica (​che individua nell’infinito le tre coniugazioni) e le varie
desinenze ​(che esprimono i modi, i tempi e le persone).
Es. ​PARL​A​RE →​ parl- (radice); -a- (vocale tematica); -re (indica il tempo: l’infinito).

Le forme verbali:
>​ accentate sulla radice​si dicono f​ orti o rizotoniche (​ es.​ sènto, dìssi​)
> a​ ccentate sulla desinenza​si dicono d ​ eboli o rizoatone ​(es. s​ entirémo, dirànno​).

Le ​forme finite del verbo sono costruite ​aggiungendo alla radice il


morfema di tempo/modo/aspetto ​del verbo insieme alla ​vocale tematica
e il m
​ orfema di accordo​ c​ ol soggetto.

Le ​coniugazioni dei verbi italian​i hanno ​paradigmi non sempre


omogenei​; tale carattere dipende da vari fattori.
● alcuni si formano da p ​ iù di una base
Es.​ venire​: (1) veng-o, (2) vien-i, (3) ven-iamo, (4) venn-i, (5) verr-ò.
● vi sono casi di ​suppletivismo (processo morfologico per il quale una forma sostituisce un’altra forma) Es. in
andare ci sono ​due forme diverse​: and- e vad- → vado e vanno sono due forme suppletive, ​suppliscono forme
mancanti​ di andare.
● i ​verbi sovrabbondanti s​ i dividono in due gruppi:
- quelli che d
​ ifferiscono solo nella forma​ (es. adempiere -adempire, dimagrare-dimagrire)
- quelli che m
​ utano coniugazione e significato​ (es. arrossare ‘far diventare rosso’ – arrossire ‘diventare rosso’).

Altri verbi presentano ​alterazioni desinenziale​dovute a diverse cause:


varietà delle basi​: i composti di fare (​assuefare, contraffare​) hanno spesso concorrenti (​soddisfaccio/soddisfo/soddisfò​);
verbi con participio​ p ​ assato forte​ in -to, -tto, -so, -sto (a​ssolvere/assolto, mungere/munto​);
forme verbali in cui la vocale tematica è​ c​ aduta​ (​sapere/saprò sa saperò, vedere/vedrò da vederò​);
forme che si alternano per la presenza dell'affisso​ -isc (​applaude/applaudisce, inghiotto/inghiottisce​).
Ci sono poi i ​verbi parasintetici​ , ​formati con l’aggiunta simultanea di un suffisso di un prefisso una base.
Nell’italiano di oggi sono presenti numerosi ​verbi frasali​, composti da un verbo di significato generico seguito da un
avverbio specificante: andar dietro, buttar giù, tirar su, ecc.

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IL PRESENTE… NON SEMPRE PRESENTE


Nella lingua parlata, la collocazione dell’azione nel futuro è affidata non al tempo verbale
(che dunque può essere benissimo un presente), ma alle determinazioni di tempo che
accompagnano il verbo.
II presente usato come futuro, oltre ad essere tipico dell’italiano colloquiale contemporaneo,
è ben documentato anche nell’italiano antico.
L’uso del presente storico affonda le sue radici nel latino. Gli storici latini, quando dovevano
fare il resoconto di battaglie e rendere più avvincente la narrazione, usavano questo tipo di
presente. Il presente storico è più usato nella lingua letteraria, ma è molto usato anche in
quella parlata, per la medesima esigenza di suspense e immediatezza richiesta anche al
racconto orale.

PASSATO REMOTO E PASSATO PROSSIMO


Il passato remoto indica un’azione:
1. sempre collocata in un momento anteriore rispetto a chi parla
2. priva di legami, obiettivi o psicologici, col presente

Il passato prossimo qualifica invece un’azione:


1) che è relativa al passato ma non è necessariamente anteriore al momento dell’enunciazione
→ es. se entro due ore marco non se n’è andato, gliene ​dirò​ di tutti i colori
Il passato prossimo indica un’azione proiettata nel futuro rispetto al momento in cui sto
parlando e valutabile come anteriore solo relativamente al​ dirò ​della proposizione reggente.
2) e in cui emerge la → rilevanza attuale del processo

qual è la differenza tra passato remoto, passato prossimo e imperfetto?


abbiamo 3 fasi:
1- da giovane ​leggevo​ molto
2- da giovane ​lessi ​molto
3- da giovane ​ho letto ​molto

come si può osservare, il processo descritto è lo stesso, ma cambia la prospettiva del parlante,
l’atteggiamento col quale il passato viene percepito.
La frase 1→ sottolinea l’abitualità dell’azione, lasciandone indeterminati i contorni (= avevo l’abitudine di
leggere, ero solito leggere molto).
La frase 2 → inserisce l’azione entro coordinate temporali nette, marcandone la compiutezza, lo stacco
rispetto al presente
La frase 3→ rivive il processo nei suoi riflessi successivi, collegando il fatto di ‘’aver letto’’ con un implicito
risultato attuale (es: ho letto molto e :a) ho la vista indebolita, b) mi considero istruito).
Talvolta l’uso del passato remoto o del passato prossimo può dipendere da poche ore di differenza, anche se
va osservato che la distanza temporale rispetto al momento dell’enunciazione non costituisce mai un
discrimine rigido nella scelta tra i due tempi).

CONGIUNTIVO ​PAG.475
Il congiuntivo dispone di 4 tempi:
-presente -passato -imperfetto -trapassato

E’ un modo caratteristico soprattutto delle subordinate e il tempo è se non strettamente vincolato, certo
condizionato dal tempo della reggente.
Il congiuntivo riflette bene la componente volitiva-potenziale-dubitativa, in alcune subordinate tra cui: causali,
consecutive, ipotetiche, restrittive, concessive, temporali, avversative (solo dopo nonché), comparative,
eccettuative, relative, incidentali, finali ed esclusive.
Oltre che nelle subordinate il congiuntivo compare anche in alcuni tipi di frasi semplici → nelle interrogative con
valore dubitativo, nelle volitive e ottative.

PARTICIPIO
abbiamo 2 tempi del principio: presente e passato
Il participio presente → raramente adoperato con funzione verbale
il participio passato → frequente l’uso verbale che si ha con i tempi composti di qualsiasi verbo e inoltre, come
costrutto implicito, nelle subordinate causali, ipotetiche, concessive, temporali
il più delle volte non esprime un rapporto sintattico così puntuale, ma si risolve in una più generica
subordinazione relativa.
caratteristici i principi passati assoluti → ossia con un soggetto diverso da quello della reggente
Possono essere accostati al participio assoluto alcuni costrutti:
1- nominali e aggettivali → con funzione di proposizione subordinata (es.contento te, lui, presente te, lui)
2- Nominali con valore modale-descrittivo → caratteristici della prosa narrativa

Sia il participio presente, sia in misura ridotta il participio passato sono andati incontro a processi di
sostantivazione o di aggettivazione che spesso ne hanno del tutto obliterato l’antica natura verbale
es. di sostantivazione (participio presente) → l’affluente, il battente, il cantante, il dirigente
es. di sostantivazione (participio passato) → la camminata, l’entrata, il significato, l’udito.
es. di aggettivazione (participio presente) → ​apparente b ​ uonumore, professore ​esigente, p​ ersone
invadenti

si noti che:
1) Il confine tra participio pienamente verbale e participio sostantivato non è rigido.
In una stessa forma possono alternarsi uso verbale e uso sostantivale, non solo nel caso in cui la
sostantivazione abbia condotto ad un significato specifico, ormai distante da quello del verbo originario;
ma anche quando le due forme mantengano lo stesso significato.
2) in diversi casi il processo di sostantivazione vale solo sul piano sincronico.
GERUNDIO
E’ un modo verbale di funzioni larghissime e non sempre definibili con precisione.
E’ connesso ad un verbo finito, sia che i due verbi costituiscano due frasi distinte, sia che diano luogo a una sola
struttura verbale.
Un uso autonomo del gerundio è possibile solo in casi particolari → per es. in titoli come ‘’cantando con le
lacrime agli occhi’’, o ‘’ballando, ballando’’, in cui si fa implicito riferimento a un più ampio contesto che li
determini, oppure quando il gerundio ha perso natura verbale diventando un sostantivo: es. termini musicali
calando, crescendo,​ spesso adoperati metaforicamente.

Il gerundio ha 2 tempi: presente e passato.


Il gerundio passato → contrassegna un’azione anteriore rispetto alla sovraordinata.
il gerundio presente → ha più ampi margini d’uso, indicando contemporaneità, anteriorità, oppure posteriorità
rispetto alla reggente.
Il gerundio, di norma, condivide il soggetto del verbo finito al quale si collega.
Diversità di soggetti può aversi:
1) quando il gerundio si riferisce a un complemento oggetto o a un complemento indiretto
2) nel gerundio assoluto, ossia quando il gerundio abbia un proprio soggetto espresso
3) quando uno dei due verbi, o entrambi, abbiamo soggetto generico , e quando vi sia identità di soggetti
logici.

3 TIPI DI GERUNDIO dal punto di vista sintattico:


1) gerundio subordinato → se esso corrisponde a una proposizione subordinata
2) gerundio coordinativo → se si risolve piuttosto in una coordinata
3) gerundio appositivo → se fa le veci di un participio presente, risultando l’apposizione di un altro termine.

Tra i valori più frequentemente assunti dal gerundio subordinativo c’è quello modale.
Ricordiamo anche il gerundio con funzione causale, ipotetica, concessiva, temporale, comparativa ipotetica,
esclusiva.

gerundio coordinativo → quando l’atto verbale risulta semplicemente contemporaneo o successivo a quello
della reggente, senza nessuna funzione circostanziale.
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★ SINTASSI:
la ​frase ​(semplice e complessa + frase nominale), ​analisi sintattica (scomposizione della frase e rappresentazione
grafica + grammatica delle valenze), ​parti del discorso (soggetto, predicato), il ​sintagma ​(tipologie), ​differenze tra
frase, enunciato e proposizione (rapporti di coordinazione e subordinazione + tipi di subordinate: argomentali,
circostanziali, relative), la modalità ​(frase dichiarativa, interrogativa, esclamativa e imperativa) ​e polarità della frase
(affermativa e negativa); ​grammatica delle valenze ​(argomenti, attanti), ​tema/rema (topicalizzazione), le frasi
marcate​(dislocazione a destra e a sinistra + focalizzazione) e ​punteggiatura​.
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!!!​ La ​sintassi è​ lo studio delle relazioni tra parole e altre unità (insiemi di parole) che formano una ​frase​.
La sintassi si fonda sul principio della ​combinabilità​e​ sul ​principio della sequenzialità​e​ si occupa:
• dei ​modi​ in cui le p
​ arole si combinano tra loro​ per ottenere per ottenere un significato
• delle ​sequenze con cui si combinano
• delle ​trasformazioni che​ tali ​sequenze possono subire.

!!!​ La ​frase​ è una forma linguistica indipendente dotata di un significato compiuto.


FRASE

La frase è l​’unità minima di comunicazione dotata di senso compiuto.


Una frase è dotata di senso compiuto quando si trova almeno un ​predicato nella forma di un ​verbo di modo
finito​, che può essere accompagnato (quando la frase non sia impersonale, es.piove) da un ​soggetto​.
Appartengono a questo tipo tutte le frasi in cui il soggetto è espresso da un nome o da un pronome​, ed il
predicato è espresso da un verbo predicativo (predicato verbale) oppure dal verbo essere in unione con una
parte nominale (predicato nominale) ad es:
SOGGETTO PREDICATO
Il cane abbaia
Mia moglie è abruzzese
il mare è agitato

Una frase di questo tipo può mantenere invariata la sua fisionomia di base anche quando altri elementi
sintattici (apposizioni, attributi, complementi) ne determinano l’espansione.

Frase semplice → ​ un solo predicato (es. ​il mio cane abbaia​)


Frase complessa o periodo → più predicati (es. ​se sente dei rumori, il mio cane abbaia per avvertirmi che
qualcosa non va​).
Una frase contiene generalmente un verbo. Ma a volte si può esprimere una predicazione anche senza far ricorso al
verbo: B
​ ella, questa macchina! ​= Questa macchina è bella.
Frase nominale → è una proposizione in cui ​categorie grammaticali diverse dal verbo hanno funzione verbale
assolvendo al compito del predicato (es. qui ​tutto bene​,​ ultime notizie ​dall’estero)

La parte predicativa di una frase nominale non è in realtà equivalente ad un predicato verbale regolarmente
espresso da un verbo.
Il verbo è dotato di un sistema flessionale che implica tempi, modi, diatesi, l’aspetto dell’azione​; mentre
le ​frasi con sintagma nominale predicativo si situano in una dimensione di atemporalità assoluta e hanno di
solito funzione assertivo-descrittiva.
monoremi → frasi costituiti da una sola parola, molto frequenti nelle forme di dialogo serrato, a botta e risposta.
_________________________________

In una frase ​si combinano tra loro le varie parti del discorso​, in genere troviamo: soggetto, predicato e
complemento.
SOGGETTO E PREDICATO
Il ​soggetto è​ un argomento del verbo​, è qualcuno o qualcosa di cui si dice/predica qualcosa);
Es. ​Mario è​ il soggetto nelle frasi: M
​ ario è ingegnere; Mario è mio fratello.

Il ​significato delle frasi è il ​risultato di una predicazione​. Un argomento deve avere un ​rapporto di
legittimazione col predicato​, poichè ​il predicato è il ​nucleo di un nesso sintattico​, per cui ​esso lo inizia e vi
legittima le funzioni argomentali​. Il predicato, quindi, può legittimare un argomento (​Antonio starnutisce​), può
giustificarne due (​Antonio colpisce la palla​) o tre (​Antonio dà un libro alla sorella​).

In un ​rapporto di predicazione​, a proposito di qualcuno o di qualcosa:


• si afferma una ​caratteristica (​ es. ​Mario è gentile​)
• si afferma una ​proprietà (​ es. ​Mario è mio fratello​)
• si presenta un'​azione ​(es. ​Mario percuote Luigi​).

La ​relazione fondamentale in una frase​ è quella che​ collega un sintagma nominale​(SN, detto​ soggetto​) e​ un sintagma
verbale​(SV, detto p​ redicato​) → SN e SV costituiscono la f​ rase nucleare​.

L’ANALISI SINTATTICA
“Il principale aspetto della struttura di un enunciato e il fatto che esso, a dispetto della sua
linearità, ha una struttura gerarchica, nella quale cioè esistono ​costituenti sopraordinati
(rappresentati dai nodi che “dominano” qualcosa) e ​costituenti sottoordinati (rappresentati dai
nodi dominati da un altro nodo)”​.

SINTAGMA
Il ​sintagma è ogni insieme di elementi che in una frase costituisce un’unità (sono combinazioni di parole più
piccoli di una frase). I sintagmi sono i​ costituenti della frase​.
Il sintagma è composto da una ​testa ​(centro del sintagma) e da elementi accessori, ​detti ​modificatori ​(articoli,
aggettivi, ecc.).
Es. Nella frase “​un televisore a cristalli liquidi”, il centro è “​un televisore​” → se eliminiamo “a cristalli liquidi” e/o
l’articolo (“un”) quello che rimane (“televisore”) è un componente che ha comunque un significato; se INVECE,
eliminiamo “televisore”, la parte rimanente del sintagma non avrà alcun significato.

=​ Il sintagma ha significato fino a quando avrà la testa, il suo centro​.

Ci sono diversi tipi di sintagmi:


> S​ intagma nominale​(SN): la testa del sintagma è un nome
> S​ intagma verbale​(SV): la testa del sintagma è un verbo
> S​ intagma aggettivale​(SA): la testa del sintagma è un aggettivo
> S​ intagma preposizionale (​SPrep): la testa del sintagma è una preposizione
Es. “​Lo studente molto bravo ha riletto ora il breve articolo con grande attenzione​”​.
“​ha riletto ora il breve articolo​” → s​ intagma verbale: la​ t​ esta è il verbo
“​con grande attenzione​” → sintagma preposizionale: la testa è la preposizione
“​molto bravo​” → sintagma aggettivale: la testa è l’aggettivo.

Il sintagma è:
❖ Endocentrico​: ​quando ha il suo centro in se stesso.
Es. “​L’auto corre velocemente​” → due sintagmi “L’auto” (SN) e corre velocemente (SV) → corre = testa;
velocemente = modificatore. Il sintagma corre velocemente può essere sostituito da corre ma non da velocemente.
I sintagmi endocentrici possono essere:
● Coordinativi ​(Uomini e donne → i due termini sono sullo stesso piano sintattico)
● Subordinativi ​(Uomini onesti → onesti è subordinato a uomini)
❖ Esocentrico​: non si comporta sintatticamente come uno dei suoi componenti.
Es: “​Io vivo in città​” → il sintagma “in città” (SPrep) ha un comportamento sintattico diverso rispetto sia a “in” che
a “città”.

Un sintagma non è sempre costituito da elementi posti l’uno accanto all’altro, per questo parliamo di:
● Sintagmi continui​: elementi posti l’uno accanto all’altro (Es. ​Un aspirapolvere nuovo​)
● Sintagmi discontinui​: unità del sintagma interrotta (Es: ​Va subito giù!​ → “va giù” è interrotto da “subito”).

Fenomeni fondamentali: C ​ ollegamenti ed espansioni


Per​ collegare tra loro le parole​in un sintagma e successivamente in una frase esistono vari mezzi:
1. Ci si riferisce a un antecedente ​mediante p ​ ronomi e sostituenti​, i quali svolgono la funzione di coesivi.
Es. “​Filippo e Maria uscirono insieme. LI vidi dalla finestra. I DUE GIOVANI camminavano sotto gli alberi​”. LI
(pronome) e I DUE GIOVANI (sostituente)→ utilizzati al posto di Filippo e Maria
2. Ci si collega a una parte qualsiasi del testo ​mediante dei c​onnettivi​(​ congiunzioni, avverbi, ecc.).

N.B. ​L’uso ​delle preposizioni, la reggenza e l’ordine delle parole sono ​fattori che garantiscono la ​coesione del
testo​, permettendo la costruzione di sintagmi, che tra loro formano frasi e a loro volta periodi.

Si parla di ​ ESPANSIONE ​quando ​nuovi elementi sono aggiunti a una costruzione sintattica s​enza
modificarne la struttura di base. Es. “​La moto procede verso il centro della città​” → “​La bella moto del mio vicino di
casa procede tutte le mattine verso il centro della città a velocità moderata​”.

Si realizza in due modi:


1) La ​ricorsività​: è il fenomeno per il quale u
​ na regola può essere applicata più volte di seguito​.
2) L’​incassamento​: consiste nell’​inserire una sequenza sintetica all'interno di un'altra sequenza​. Ciò accade con
la ​proposizione relativa​, eventualmente ripetuta più volte. Si possono incassare anche a​ pposizioni e incisi​.
FRASE, PREPOSIZIONE, ENUNCIATO
Accanto al termine frase vi sono altri ​due termini​: ​proposizione ed ​enunciato​, i quali si riferiscono alla medesima
entità ma con alcune differenze.
➢ la F​ RASE ​ riguarda la ​sintassi​. È un'​entità astratta del sistema linguistico in cui risultano applicate le
regole della lingua italiana​. Una frase comprende, di solito, un verbo; ma esiste anche la ​frase nominale che ne è
priva (favorisce la sintassi breve e lineare).
➢ l'​ENUNCIATO ​riguarda la ​pragmatica​; ​è l'insieme di parole pronunciate da un parlante in un tempo e in
un’occasione determinati. ​È un'​entità concreta ​composta di elementi pronunciati (o scritti) realizzati di volta in
volta in modi diversi. E’ un prodotto individuale c​ olto nella sua immediatezza​.
➢ la ​PROPOSIZIONE ​riguarda la ​semantica​. È lo stato di cose descritto dall’enunciato ed è indipendente
dalla lingua in cui è espressa (“​Io mangio una mela​”/ “​I’m eating an apple​” esprimono la stessa proposizione).
MA nell'uso corrente​ proposizione​ ​è una parte di una frase complessa e​d equivale a clausola​ (ing. clause).

Frase semplice​: frase che comprende al suo interno un’unica struttura sintattica, provvista di un soggetto e un
predicato. Es. ​Gianni è partito
Frase complessa (o periodo): frase che contiene proposizioni. Es. ​Anche se non ho fame / mangerò una fetta di
quella torta / che ha fatto ieri la mamma / perché /se dovesse arrivare mio fratello / non ne lascerebbe una briciola.

COORDINATE E SUBORDINATE
In una frase complessa, d​ ue proposizioni possono legarsi:
- in un ​rapporto di coordinazione → proposizioni collegate tra loro su un piano di parità sintattica in modo tale
da mantenere ciascuna la propria autonomi (es. ​Gianni è partito​ e M ​ aria è rimasta a casa​).
- in un ​rapporto di subordinazione → una proposizione dipende dall’altra (Es. A mezzanotte, il poliziotto catturò
il ladro davanti alla casa​ (principale)​ che aveva appena svaligiato (​ secondaria)).
Se una proposizione da sola ha senso compiuto è detta ​proposizione indipendente (o principale), se invece non
può stare da sola è detta ​dipendente​(o subordinata) dall’altra.
La frase estesa e composta di più proposizioni è detta ​periodo​. In una frase complessa (o periodo) è ​sempre presente
una proposizione principale e una o più subordinate​.
Es. ​Quando venne a Roma (proposizione temporale) ​Giovanni visitò il Colosseo ​(proposizione principale) ​perché
questo era nel programma​ (proposizione causale) → vi sono tre proposizioni o clausole.

Le subordinate si distinguono​:
● argomentali ​(o completive), costituiscono ​l’espansione di uno degli argomenti della frase principale​; a loro volta
distinte in:
- ​oggettive (​funzione di complemento oggetto);
- soggettive (​funzione di soggetto);
- completive oblique​(funzione di complemento indiretto)

● circostanziali​: sono ​aggiunte alla principale al fine di determinare, specificare, connettere con altri concetti
quanto è stato espresso nella principale (causali, consecutive, temporali, finali* ecc).

● relative​: non sono ​un’espansione del verbo della frase principale, ma ​di un elemento nominale​, detto
antecedente​, contenuto nella principale.
​ In rapporto alla​ m​ odalità verbale,​ l​ e ​proposizioni subordinate s​i dividono in:
● esplicite​:​ costruite con verbi di modo finito e introdotte da congiunzioni
● implicite​ :​ costruite con verbi di modo non finito.

Le frasi presentano una​ diversa MODALITÀ​:


1. frase d ​ ichiarativa o assertiva​ - es.​ Gianni è partito
2. frase i​ nterrogativa​ → 3 tipi:
❏ interrogativa ​polare (​o “totale” o “chiusa” o “domanda si/no”) - es. ​Gianni è partito?
❏ interrogativa ​parziale (​o “aperta”) - es. C ​ hi è partito?
❏ interrogativa ​a coda​ : è una domanda polare seguita da una ripresa (negativa o positiva)
3. frase e​ sclamativa ​ - es. ​Che sorpresa mi ha fatto Gianni!
4. frase i​ mperativa​ (esprime un comando) - es. G ​ ianni, parti!

POLARITÀ DELLA FRASE:


Le frasi possono essere a​ ffermative (​es. ​Gianni è partito​) o
​ negative​(es. ​Gianni non è partit​o).

Le principali teorie e procedure di​ a​nalisi sintattica​


:
LA GRAMMATICA DELLE VALENZE
La ​grammatica delle valenze ​di Lucien Tesnière ​esamina la strutturazione linguistica nella prospettiva della
connessione e delle funzioni dei componenti della frase​.
Si parte dal principio che i verbi esprimono una ​valenza ​(termini utilizzato in chimica per riferirsi alla capacità dei
atomi di formare legami tra loro) e che l’​argomento ​è un componente sintattico autorizzato/legittimato dal
verbo​, questo perchè il verbo è il n
​ ucleo del nesso sintattico​ (lo inizia e vi legittima le funzioni).
I verbi possono esprime un certo numero di valenze e, quindi, un certo numero di argomenti possono far
parte del nucleo​.
In base al numero massimo di argomenti che ammette, un verbo può essere ​zerovalente​, ​monovalente ​(1^argomento:
soggetto), ​bivalente ​(soggetto e oggetto), ​trivalente ​(soggetto + oggetto indiretto e diretto) e ​tetravalente ​(soggetto +
oggetto diretto + 2 oggetti indiretti).
Es. Al verbo ​nevicare non possiamo riferire alcun componente (non diciamo, ad esempio: ​il cielo nevica la neve​) →
nevicare ​ha valenza zero.
Al verbo t​ ossire ​possiamo attaccare un soggetto (es. G
​ ianni tossisce​) → tossire è monovalente. Ecc.

Gli ​argomenti ​sono gli elementi a cui il ​verbo assegna un ​ruolo tematico​; l'insieme delle relazioni tra verbo e
argomenti è la s​ truttura argomentale​.

Ciascuno dei ​costituenti che si possono collegare il verbo è un ​attante ​(o argomento)→ Sono chiamati così i
costituenti che​, partecipando all’azione verbale,​ risultano direttamente subordinati al verbo​.
Gli attanti sono ​classificati in base al loro r​uolo sintattico-semantico​:
primo attante = ​agente​, secondo attante = p ​ aziente​, terzo attante = ​beneficiario​.
In relazione alle sue proprietà lessicali, ​un verbo richiede un determinato numero di attanti​, creando in tal modo
una sua cornice funzionale di caselle vuote da riempire.

Es. i verbi ​vendere ​e ​comprare ​sono trivalenti, poichè prevedono 3 partecipanti all’azione verbale: un venditore, un
compratore e l’oggetto che viene venduto/comprato.

TEMA E REMA
La coppia ​tema/rema a​ppare nella ​struttura informazionale​​(non argomentale) ​della frase​.

Una frase è anche una ​struttura informativa​: comprende una parte che contiene ciò di cui si parla (​tema ​- topic)
e una parte che​ dice qualcosa a proposito di ciò di cui si parla (​​rema ​- comment).
tema/rema = noto/nuovo.
Normalmente ​il ​soggetto grammaticale coincide con il ​tema ​e con l’elemento noto ​(all’interlocutore); il
predicato​c​oincide con ​il r​ ema ​e l’elemento nuovo​. Ma​ non sempre ​si ha questa perfetta coincidenza.
Es. ​Il libro di fisica l’ho prestato a Carla​ (tema: il libro = compl. ogg)
È scoppiata una bomba​ (non c’è il noto, ma solo il nuovo)
In una frase, un elemento ​può essere ​noto ​perché ​è designato con un modo che lo ​rende identificabile, ad
esempio l'utilizzo dell’​articolo indeterminato (es. ​ho salutato ​un​’amica ​- nuovo) /​determinativo (​ho salutato ​l’​amica ​-
dato).
IMPORTANTE: come anticipato, il ​rema ​non si identifica sempre con il predicato verbale e ​la nozione di ​tema
non deve essere confusa con quella di soggetto​. Anche se quest’ultimo coincide spesso con il tema, si tratta di ​due
entità distinte​: il s​ oggetto s​ i riferisce alla ​struttura linguistica​della frase; il ​tema a​ l s​ ignificato ​della frase.
Il ​tema​ p​ uò essere:
> un complemento​(diretto o indiretto):
es. G​ iovanni, l’hanno elogiato i suoi superiori​; A
​ tua moglie, quando pensi di dirlo?
> anche una p ​ orzione di frase​:
es. C ​ he Mario sia una brava persona lo dicono tutti.

Il ​confine tra tema e rema​, tra dato e nuovo, ​muta in rapporto al ​cotesto (cioè il contesto linguistico) ​e alla
situazione comunicativa ​(cioè in rapporto ai fini comunicativi che il parlante si propone).

Il ​rapporto di predicazione tra soggetto e predicato ​presente in una frase, appare con evidenza quando la frase è
scomposta in ​tema​ (ciò di cui si parla nella frase) e​ r​ ema​ (la predicazione che viene applicata al tema).
Il tema, inoltre, può essere marcato da un ​introduttore ​(es. ‘​quanto a​’, ‘riguardo’).
PROGRESSIONE TEMATICA
Analizzando un testo composto si nota che la struttura “tema-rema” di una singola frase iniziale è ripetuta sovente
nelle altre frasi o comunque intrattiene con le altre frasi rapporti di vario tipo. In questo caso si parla di ​progressione
tematica​, se ne individuano 5 tipi:
● Tematizzazione lineare​ : il re ma di una frase diventa il tema della frase seguente.
● Progressione a tema costante​ : il medesimo tema è ripetuto in frasi che si susseguono.
● Progressione a temi derivati da un ipertema​ : il tema di ogni frase è compreso in un tema più ampio, chi
appare all'inizio del discorso e mette in relazione tra loro le frasi che seguono.
● Progressione a temi derivati da un iperrema​ : in rema della prima frase diventa il tema che unisce tutte le
frasi successive
● Progressione tematica a salti​ : un tema diverso appare in ciascuna frase.

Ogni testo ha un suo ​dinamismo comunicativo​, che riguarda il rapporto tra il dato e il nuovo, che per lo più
coincidono con il tema e il rema. Il ​rema​, rispetto al tema, ​ha un più alto valore informativo ed è il ​fattore che fa
progredire l'informazione​.
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Sintassi e punteggiatura
Due aree linguistiche interconnesse: la punteggiatura può avere un forte valore sintattico.
In molti manuali la punteggiatura è collocata in un capitolo insieme all’ortografia, all’inizio della trattazione, prima
della sintassi. Tale scelta induce a pensare che l’uso corretto della punteggiatura sia, come l’ortografia, una questione
arbitraria legata alla tradizione dell’uso.
PUNTEGGIATURA

Per ‘​punteggiatura’​ si intende ​l’insieme di segni non alfabetici, funzionali alla scansione di un testo
scritto e all’individuazione delle unità sintattico-semantiche in esso contenute.
In italiano distinguiamo i seguenti ​segni interpuntivi ​→ punto, punto interrogativo, punto esclamativo, virgola,
punto e virgola, due punti, puntini di sospensione, virgolette, trattino, parentesi tonde e quadre, sbarretta,
asterisco.
Restano fuori da questa lista i segni diacritici che modificano un singolo grafema e che sono di uso arcaico e
straniero, tra cui parentesi aguzze < >, parentesi graffe.
Le FUNZIONI ​della punteggiatura sono 4:
1) FUNZIONE SEGMENTATRICE → è la funzione principale e consiste nel segmentare un testo
distanziando rispettivamente componenti di esso.
Alcune frasi possono cambiare completamente di significato a seconda dell’interpunzione usata. Possono
rientrare in questa funzione anche i segnali di apertura o apertura-chiusura di un discorso diretto.

2) FUNZIONE SINTATTICA ​→ i segni interpuntivi possono esplicitare il rapporto sintattico, la gerarchia che
sussiste tra due proposizioni o tra due elementi della medesima proposizione.

3) FUNZIONE EMOTIVO-INTONATIVA → caratteristica, ma non esclusiva, del punto interrogativo,


esclamativo e dei puntini di sospensione, suggerisce l’intonazione della frase.

4) FUNZIONE DI COMMENTO → si ha quando si compie un qualsiasi intervento esterno al testo.(es. le


parentesi tonde possono includere un commento o una precisazione).
Allo stesso modo le virgolette, oltre a introdurre un discorso diretto, possono contrassegnare un termine o
un’espressione insoliti o un’accezione particolare in cui essi vengano adoperati).

PUNTO
Serve per indicare una pausa forte, che conclude un periodo o una singola frase. E’ il segno interpuntivo
fondamentale.
Si usa anche nelle abbreviazioni, e possono distinguersi a seconda che avvengano:
a) per contrazione → se consistono nelle lettere iniziali e finali (es.f.lli=fratelli, s.lle=sorelle,
ill.mo=illustrissimo)
b) per compendio → quando riproducono una o più lettere iniziali della parola abbreviata (es.dott =dottore,
avv= avvocato)
c) per una sequenza consonantica → quando risultano dalla consonante iniziale seguita da una o più
consonanti (es. sg e sgg =seguente, seguenti).
Quando una frase si conclude con un’abbreviazione, il punto fermo non si scrive perchè è inglobato nel punto
abbreviativo.
Le lettere di una sigla possono essere seguite da un punto.
Nelle sigle complesse, in cui per ottenerne la pronunciabilità si aggiungono una o più vocali alle consonanti che
le costituiscono, il punto manca es. CONAD, FIAT

PUNTO INTERROGATIVO ED ESCLAMATIVO


Contrassegnano rispettivamente l’interrogazione diretta e l’esclamazione, imponendo al lettore la caratteristica
intonazione discendente-ascendente(interrogazione) o ascendente-discendente(esclamazione).
Si usa ?! nel caso di interrogative apparenti o anche quando si riprende un’espressione detta da altri che ci
sorprenda per qualsiasi motivo.

VIRGOLA
E’ il segno di uso più largo, vario e articolato.
Indica una pausa breve e ​non va usata​ all’interno di blocchi unitari, in particolare:
- tra ​soggetto e predicato​ (giorgia legge, paolo scrive)
- tra ​predicato e oggetto​ (leggo il giornale)
- tra ​aggettivo e sostantivo​ (il cantante preferito)
Tuttavia questa norma viene meno tutte le volte che uno dei due elementi del sintagma è messo in evidenza,
alterando l’ordine abituale delle parole.
La virgola​ ​può​ trovarsi​:
a) nelle enumerazioni e nelle coordinazioni asindetiche
La virgola può mancare per ricerca di maggiore tensione espressiva, nelle serie sindetiche con membri
separati da una congiunzione coordinativa (e,né,o,ma).
Nelle enumerazioni prima di eccetera e dell’abbreviazione ecc. la virgola può esserci oppure no.
b) prima di un’apposizione
c) prima, ed eventualmente anche dopo, un vocativo assoluto​(cioè non preceduto da interiezione,
es.Senti, babbo)
d) negli incisi di qualunque tipo
e) prima e dopo​(o solo prima o solo dopo, a seconda della posizione nel periodo) ​alquante proposizioni
subordinate che condividono in qualche misura le caratteristiche dell’inciso.
es. Latina, che fu fondata nel 1932, è la seconda città del Lazio
niente virgola, invece, prima di una relativa limitativa → es. i discorsi che tu fai
f) nelle ellissi​ (es. il primo indossava un berretto; il secondo, un cappello di feltro)

PUNTO E VIRGOLA
Indica una pausa più forte della semplice virgola e si può trovare nei seguenti casi:
1) per separare due proposizioni coordinate complesse
2) nelle enumerazioni di unità complesse
3) in luogo della virgola, quando può generare equivoco.

DUE PUNTI
assolvono il compito di semplice scansione del periodo
funzione → illustrare, chiarire, argomentare quanto affermato in precedenza
ha diverse funzioni:
a) FUNZIONE SINTATTICO-ARGOMENTATIVA → indicano la conseguenza logica di un fatto, l’effetto
prodotto da una causa.La causa può essere espressa anche nella frase che segue i due punti.
b) FUNZIONE SINTATTICO-DESCRITTIVA → se si esplicitano i particolari di un insieme o enumerando le
singole componenti di quell’insieme, o rilevandone i tratti salienti
c) FUNZIONE APPOSITIVA​ → se presentano una frase con valore di apposizione della frase precedente.
d) FUNZIONE SEGMENTATRICE​ → se servono a introdurre un discorso diretto, perlopiù in combinazione con
gli specifici segni demarcativi, virgolette o trattini

PUNTINI DI SOSPENSIONE
si usano per indicare sospensione, allusività
sono comunemente posposti, ma possono essere anche anteposti, e in tal caso inseriscono la frase che segue
nel flusso di un discorso cominciato in precedenza.
Sono tradizionalmente usati per riprodurre i cosiddetti cambi di progetto del parlato, che si accentuano in chi
sia preda di emozione o turbamento.
uso brillante → quando si vuole preparare il lettore a un gioco di parole, a una battuta di spirito.
servono infine nelle citazioni per indicare un’omissione volontaria.

VIRGOLETTE
Servono essenzialmente per riportare una parola o un discorso altrui, o per contrassegnare l’uso particolare di
una qualsiasi espressione
In tipografia si distingue tra virgolette basse, alte e apici; nelle scritture a mano si usano in genere le virgolette
alte.
La scelta tra virgolette basse e alte dipende dalle varie tradizioni tipografiche, le virgolette più adoperate sono
in genere quelle basse, ma entrambe sono utili per citazioni interne.
La nostra grammatica indica invece le citazioni interne per mezzo del trattino oppure mediante apici.
Gli apici si usano per sottolineare una singola espressione o per qualificare un significato.

TRATTINO
Il trattino ha nella stampa due lunghezze diverse: - e ---
Il trattino più lungo può essere usato per introdurre un discorso diretto, generalmente se ne adopera solo uno,
in apertura.
Il trattino di chiusura compare quando al discorso diretto segua una didascalia.
Davanti al trattino di chiusura vanno collocati il punto interrogativo, punto esclamativo e i puntini.
Un’altra funzione svolta dal trattino lungo è quella di introdurre un inciso.

Il trattino breve si trova, nella stampa, per l’indicazione dell’a capo e in qualunque tipo di scritto, per
sottolineare il legame esistente tra due membri di un composto che non presenti una stabile univerbazione.
non c’è una regola che indichi se si deve scrivere minibus o mini-bus, sociolinguistica o socio-linguistica,
entrambe sono accettabili.
Le parole che non hanno il trattino sono: capostazione, palcoscenico, francobollo, altoforno, capobanda,
antiarea, antifascismo, anticomunismo.

CASI DOVE RICORRE L’USO DEL TRATTINO BREVE sono​:


a) per separare due cifre (11-12 ottobre)
b) tra due nomi propri, per indicare un rapporto di relazione (es.il derby juve-milan)
c) in coppie di aggettivi giustapposi (dei quali il primo è sempre maschile singolare)
d) con alcuni prefissi e prefissoidi
e) in coppie di sostantivi giustapposti (es.guerra-lampo, anni-luce) o di sostantivi-avverbi (la Milano-bene)
f) nel linguaggio scientifico, chimico, biologico quando si susseguano due parole composte che abbiano in
comune il secondo elemento.

PARENTESI TONDE E QUADRE


Le parentesi tonde servono a introdurre un inciso.
Quando la parentesi include una frase molto lunga, che può far perdere il filo del discorso è possibile dopo la
parentesi chiusa riprendere una o più parole precedenti.
Le parentesi potrebbero essere sostituite da trattini o virgole anche se non risulterebbe molto chiaro.
Le parentesi sono obbligatorie → nei rinvii che punteggiano un testo tecnico e scientifico, e nei rinvii numerici.

Le parentesi quadre sono di uso più occasionale delle tonde, sono usate per introdurre una parentesi entro
un’altra parentesi (....[...]....)
Le parentesi tonde e quadre servono inoltre a introdurre un particolare tipo di inciso, quello rappresentato dal
commento dello scrivente.
Quanto alla collocazione degli altri segni di punteggiatura, nell’ortografia il punto interrogativo ed esclamativo
vanno posti prima della parentesi chiusa, gli altri segni interpuntivi dopo di essa.

ASTERISCO E SBARRETTA
Sono entrambi segni rari e di uso particolare.
L’asterisco può indicare un’omissione volontaria.
In linguistica, l’asterisco contrassegna forme non attestate, ma ricostruite dagli studiosi, oppure forme ed
espressioni inaccettabili grammaticalmente o semanticamente *io ando, *loro mangia.

La sbarretta può segnalare alternanza tra due possibilità.


essa sostituisce il capoverso nelle citazioni di poesia, quando non si ha voglia di andare a capo.

APOSTROFO
Segnala l’apocope postvocalica:
a) nelle preposizioni articolate maschili plurali es. a’ (ai), de’(dei), né(nei)..
b) nelle forme imperativali da’, fa’, sta’, va’ tratte dall’indicativo e affiancatesi a quelle tradizionali da, fa, sta, va.

Reca l’apostrofo anche di’,imperativo di dire.


L’apostrofo in di’ è giustificabile con l’opportunità di distinguerlo da di preposizione e dì sostantivo.
Quanto a ​da’ l​ ’apostrofo oltre a suggerire l’assenza di raddoppiamento, può giovare ad evitare omonimie.
Di queste la più grave colpirebbe ​da’​ perchè priva di segni si confonderebbe con la preposizione.
Talvolta l’apostrofo segnala l’apocope sillabica → po’, be’, to’, ve’, mo’, ca’.
L’apostrofo può segnalare una riduzione delle cifre indicanti un anno (es. il ’98)
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★ LESSICO : ​norma linguistica​, ​varietà d’uso della lingua (Varietà funzionali-contestuali,
Varietà geografiche, Varietà sociali, variazioni diamesiche).
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NORMA LINGUISTICA
● Risultato di un processo
● Il processo è condivisa dalla maggior parte dei parlanti
● comportamento linguistico a tutti i livelli
● si modifica nel tempo
● è composta da regole che sono stabilite dai parlanti attraverso usi linguistici
abitudinari
● socialmente accettata
● adattamento a determinati comportamenti linguistici
● codificata da studiosi, che trasformano tali regole non scritte in regole scritte *​​ (a volte
gli studiosi “creano” regole dal nulla o quasi)
● descrizione di un comportamento linguistico già presente

Mentre lo standard è arrivato ad essere codificato da studiosi, il neo standard sta ancora
nella fase di accettazione sociale.
la natura sociale della norma fa sì che questa abbia la somma delle sensibilità linguistica
della società. Questa esercita una funzione di controllo della norma, favorendo quelle che
rientrano nelle abitudini linguistiche.

Luca Serianni paragona la norma al senso del pudore. un repertorio grammaticale di 50 anni
fa poteva dire che alcuni francesismi, ora radicati nel lessico, erano da evitare. A questo
punto la codificazione linguistica da parte degli studiosi, dei grammatici in realtà costituisce
una fotografia di un determinato stato della norma.

VARIETÀ D’USO DELLA LINGUA​:


Il criterio per ordinare il lessico consiste ​nell’​osservare quali rapporti intercorrono tra i parlanti italiani e ​lessico
della nostra lingua​, consideriamo​ t​re varietà d'uso​:
● Varietà funzionali-contestuali ​(o ​diafasiche​): riguardano sia la situazione in cui avviene lo scambio
comunicativo e il ruolo svolto dai parlanti (in questo caso si usa il termine ‘registri’), sia la sfera di attività,
l’ambito del discorso, l'argomento di cui si parla (più propriamente sono detti ‘​linguaggi settoriali o
sottocodici​’)​ .
● Varietà geografiche ​(o ​diatopiche​): riguardano la diversa diffusione areale (differenti tipi di italiano regionale,
detti r​ egionalismi​
)

● Varietà sociali ​(o ​diastratiche​): sono in rapporto con lo strato sociale cui appartiene il parlante e con altre
variabili riguardanti i fattori identitari e generazionali (propriamente detti ‘​ ​socialetti​
’​).
Importante, nella scelta di vocaboli e di espressioni, è la ​variazione diamesica ​che ​riguarda il mezzo con cui è
attuate la comunicazione (​lingua, parlata, scritta, trasmessa).

Es. formula tipica usata al telefono fisso: ​pronto? Chi parla?​, mentre al cellulare: ​non prende; mi sposto per sentirti
meglio​.
​Le varietà descritte influiscono sulla scelta e sull’uso dei vocaboli e dell’espressione che ricorre nel parlato e

nello scritto; non si usano quasi mai isolatamente (soprattutto nel parlato).
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★ SOCIOLINGUISTICA
Una ​varietà di lingua si può definire un insieme solidale di varianti e di variabili sociolinguistiche​. Dalle scelte
di pronuncia, di lessico, di grammatica, di organizzazione del discorso e di stile distinguiamo una persona colta da un
individuo scarsamente acculturato. L’uso di una varietà linguistica funge certamente da indicatore sociale. ​Ogni
lingua è suddivisa in varietà dipendente da fattori sociali ed extralinguistici​. Le varietà che comprendono,
dialetto, parlate locali, registri, linguaggi settoriali, si classificano in:
→ ​Varietà diacroniche​d ​ istribuite lungo l’asse temporale (​dipendono dal tempo).
es.: italiano moderno e italiano antico
→ ​Varietà diatopiche​d ​ istribuite nello spazio geografico​(dipendono dal luogo).
es.: i dialetti delle varie regioni ​(regionalismi: visti sopra)
→ ​Varietà diafasiche ​dipendono dalla situazione comunicativa (formale e informale) e ​dalla modalità
colloquiale- ricercata​; tali differenze si realizzano mediante l’uso di ​diversi registri ​e mediante l’adozione di
sottocodici e lingue speciali. e​ s.: i linguaggi settoriali ​(sopra).
→​Varietà diastratiche ​dipendono dalla situazione dei parlanti, quindi dalla loro provenienza, dal livello di istruzione,
dall’età, dalla mobilità sociale, ecc.. e​ s.: varietà sociali e/o socioletti

→​Varietà diamesiche ​dipendono dal canale o mezzo di comunicazione (orale, scritto o trasmesso).
Canale di trasmissione.

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