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III MODULO

Testi
Virgilio: Georg. 1, 118-159
(lettura metrica, traduzione letterale in modo da rendere ragione, dare immediatamente conto delle strutture che si incontreranno e
commento letterario e linguistico + particolarità di ordine metrico per prendere familiarità con alcuni fenomeni prosodici che si
incontrano nella lettura)

Ictus: significa, oltre a un colpo apoplettico, l’accento ritmico, che è diverso dall’accento grammaticale è quello che è
posseduto da ogni parola: secondo le regole dell’accentologia latina) è un accento del tutto diverso perché può cadere in una
serie diversa da quella sulla quale cade l’accento grammaticale.Se io vado a leggere in prosa hominumque l’accento ritmico
coincide perfettamente con l’accento grammaticale.Se io vado a leggere in metrica versando, questo ablativo del gerundio
non abbiamo due accenti (versandò), ma uno solo ovvero versando: ecco che cosa significa ictus o accento ritmico e
l’accento grammaticale o accento di parola.

vv. 118 -135


Traduzione: Tuttavia, sebbene le fatiche degli uomini e dei buoi abbiano sperimentato questi disagi (traduco così il pronome
neutro haec che normalmente si traduce con queste cose, ma siccome ci troviamo in un contesto tale che ci permette di precisare la
genericità di questo pronome neutro, mi permetto di tradurre il neutro con questo sostantivo) con il rivoltare la terra, la ingorda
oca, le gru dello Strimone e la cicoria dalle fibre amare arrecano danno o l’ombra è nociva.

(fenomeni prosodici) Nella traduzione non rendiamo in alcun modo le due negazioni che si trovano:

 La prima all’inizio del brano al v.118 ovvero Nec


 La seconda si trova a v.119 ovvero nihil
Che significa né (Nec) e nessuna cosa (nihil) : questa è la traduzione letterale, ma non le traduciamo perché affermano. È come se
il poeta dicesse “non è che le gru non arrechino danno”, il che significa “che arrecano danno”: due negazioni in latino
affermano.

Traduzione: il Padre stesso (ovvero Giove) ha voluto che la via della coltivazione non fosse facile e per primo fece dissodare
i campi con l’arte (attraverso l’arte/ per mezzo dell’arte), inasprendo di preoccupazioni il cuore dei mortali e non tollerò che i
suoi regni intorpidissero a causa di una dannosa inerzia.

Prima di Giove nessun colono lavorava i campi: non era permesso neppure segnare o dividere con un confine la campagna;
(gli uomini: accorgimento per mettere in evidenza che il soggetto è sottinteso, ecco perché abbiamo tra parentesi quello che non
troviamo nel testo) si procacciavano ogni cosa in comune* (cercavano il cibo per metterlo nel mezzo o per condividerlo)

*in medium quaerebant: quaero significa cercare, naturalmente cercavano il cibo in medium... che significa questo sintagma? In
+ accusativo: è un complemento di fine: significa per condividerlo, per metterlo, propriamente, nel mezzo. Che significa mettere
qualcosa nel mezzo o al centro? Significa che tutti possono godere di quel bene. Questa è una traduzione alternativa per chiarire
una traduzione libera.

Traduzione: E la terra da sé stessa produceva più generosamente ogni frutto senza che nessuno glielo richiedesse/la
sollecitasse (nullo poscente). Quello (si tratta di Giove) aggiunse ai serpenti il dannoso veleno*
*qui c’è la connotazione atris : ai neri serpenti , ma quest’aggettivo è metaforico ; anche la morte è rappresentata con questo
colore, la Nera Morte. Possiamo tradurre ater, atra, atrum, aggettivo I classe, anziché con questa connotazione cromatica che
rimane sempre libera con funesti, nocivi appunto perché causano la morte.

Ecco che cosa c’è dietro questa connotazione che richiama i serpenti, i quali ovviamente non sono neri: il colore nero non è quello
comune dei serpenti, hanno alcuni più colori, altri sono grigiastri. Ater fa riferimento alle conseguenze che il loro morso
determina.

Traduzione: E comandò ai lupi di predare e al mare di agitarsi, scosse via dalle foglie il miele e sottrasse il fuoco e arrestò il
vino che scorreva qua e là in ruscelli, affinché il bisogno forgiasse a poco a poco con la riflessione le varie arti, e cercasse
nei solchi l’erba del frumento, affinché facesse sprigionare il fuoco nascosto nelle vece della selce.

Considerazione: Il comportamento che Giove ha nei riguardi del genere umano attraverso tutti questi provvedimenti
negativi non è certamente un comportamento benefico, almeno nell’apparenza. Ma ha ben vedere tutto quello che fa è in
antitesi con quello che accadeva nell’età dell’oro: ricordiamoci, per poter comprendere e contestualizzare questo brano, che
nell’età dell’oro regnava Saturno che fu defenestrato dal figlio, fu cacciato via dall’Olimpo e il figlio era Giove che
inaugurò l’età dell’argento.

È una delle concezioni del mondo antico per quanto riguarda il primitivismo, ovvero l’origine dell’uomo.

Considerazione che approfondiremo in seguito in sede di commento, ma teniamo presente quest’antefatto per comprendere
questo strano comportamento: che i serpenti prima innocui, diventano velenosi, il lupo, prima un cagnone domestico, si
abitua a rubare, cioè nel suo istinto è inserita l’inclinazione all’arrocinio e il mare lascia intendere che nell’età dell’oro fosse
tranquillo, pronto ad accogliere chiunque diventa il più umorale degli elementi, pronoto cioè a modificare il suo aspetto.

Fatto prosodico piuttosto ricorrente:

v. 2 : si incontrano due parole , terram experti. In poche parola la m , quando è finale di parola (che è in latino sempre
preceduta vocale, non può essere preceduta da consonate) , si incontra con la parola successiva iniziante per vocale avviene
un fenomeno di sintassi fonetica. Che significa sintassi fonetica? Significa che si incontrano due suoni, i quali non hanno
ciascuno una propria autonomia, ma la m finale di parola, con chiaramente la vocale con cui fa sillaba, viene a fondersi
con la vocale iniziale.

Noi vediamo si due sillabe, ovvero ram di terram e ex di experti, ma dal punto di vista prosodico queste due sillabe
contano come una sola e conta come una sola quella che segue nella valutazione dei piedi che compongono il verso.

Spieghiamoci meglio dividendo il verso secondo le figure metriche che lo compongono:

Versando terram experti, nihil improbus anser

Nell’esamentro dattilico possono coabitare due figure metriche

 Dattilo: lunga + breve + breve


 Spondeo: formata da due lunghe

Ver/san | do/ter(ram) | ex/per | ti/,nih/il | im/pro/bu/san/ser


S | S | (sinalefe)| S | D | D | bisillabo finale

ram /ex/per : sentiamo tre sillabe, non è un dattilo perché sono tutte lunghe e il dattilo è formato da una lunga e due breve…
ma che figura è allora? È uno spondeo, ma è formato da tre sillabe? Si , perché ram non conta nulla dal punto di vista
prosodico e metrico perché questa sillaba si fonde con quella successivo ed è quindi la prima sillaba dello spondeo ramex, e
invece per è la seconda sillaba dello spondeo.

A scuola insegnavano, ci riferiamo all’età dell’oro, ad eliminare la sillaba che precede anziché leggere ramex, si leggeva rex
e facevano giustizia sommaria anche perché più comodo leggere in questo modo della sillaba precedente. Bisogna leggere
però anche la sillaba che prosodicamente non conta…perché è obbligatorio leggerla? Perché contiene la desinenza, ovvero il
morfema di un accusativo. Immaginiamo se un latino o un romano ci sentisse leggere non capirebbe, elidendo am, il caso id
questa parola, non capirebbe più il rapporto morfologico che questa parola ha con le altre parti del discorso.

Quindi la sillaba che non conta nulla dal punto di vista prosodico non va eliminata, ma nella lettura dev’esser fatto
sentire.

Il fenomeno si chiama sinalefe, che significa fusione ed e un termine della grammatica greca.

La sinalefe la troviamo anche

 al v. 122 :facil(em) esse


 al v. 126 : quidem aut
 al v. 134: paulatim,et
 al v. 135 : abstrusum excuderet
 al v. 140 : inventum et
 al v. 144 : atque argutae
 al v. 145 : venere artes
 al v. 148 : glandes atque
 al v. 149 : silavae et
 al v. 151 : segnisque horreret, anche qui abbiamo una sinalefe, perché anche all’inizio della parola horreret c’è l’h e
non la vocale sappiamo che l’h è un acca muta ( “non valore un acca” deriva da qui) perché l’h non è una realtà
fonetica in latino. Anche se originariamente era un signum ad aspirationis ovvero un segno che stava a intendere , a
indicare. Quindi non (h)omo, ma homo ; non (h)orreret , ma horreret senza esagerare naturalmente
quest’aspirazione.
 al v. 153: tribolique,interque troviamo ancora questo fenomeo
 al v.154 : troviamo l’altro tipo di sinalefe lolium et
 v. 155 : si fa notare perché in esso ci sono due sinalefe
 tra vocale e vocale nisi et
 l’altro è quello tra la m finale e la vocale inziale: herbam insectabere ; Questo fenomeno è da notare perché Virglio
tende ad evitare questo fenomeno per non appesantire l’esametro : addensa sinalefe nell’ambito di un solo verso, lo fa
solo per intenti stilistici , questa è quasi una norma nella stilizzazione nel verso Virgiliano. Ecco perché dobbiamo
notare la presenza di due fenomeni: per richiamare una tendenza tipica del poeta.
 v. 158 : anche qui c’è la sinalefe tra magnum e alterius
 v. 159 : anche qui sinalefe fra famem e la preposizione in

Tutti casi in cui è la m finale a collidere con la sillaba iniziale per vocale della parola successiva

Ci sono due tipi di sinalefe:

 uno che è quello appena illustrato


 l’altro è quello che troviamo al v. 142 ( , ma anche a verso 141 con arque alitus): pelagoque alius, in questo secondo
caso di sinalefe abbiamo una parola che termina per vocale (pelagoque) e la seguente inizia per vocale (alius),
quindi anche in questo caso avviene quello che abbiamo fatto rilevare a proposito della nasale finale di
parola.

Ce ne sono ancora altri che poi noteremo.

Qualcuno al v.141 potrebbe domandarsi… come mai tra funda e iam non è stata fatta sentire la sinalefe? Visto che funda
finisce per vocale e iam inzia per vocale? Perché la i di iam è una i semivocalica o semiconsonantica (come in italiano la
i di iesi, Iannacci, Iesolo): questo significa che non ha più la realtà di una vocale.

Pensiamo al latino iuvenis dove io cito come esempio una i inziale seguita da altra vocale, la u, come qui dove i è seguito
dalla vocale a, iam.

Che questa i di iam e questa i di iuvenis non sia una vocale è dimostrato dall’esito romanzo, ovvero dall’esito che
queste parole hanno in italiano: qual è il seguito di iam in italiano? Già,sviluppa una velare… qual è il seguito di
iuvenis? Giovane, ancora questa velare.

Quindi se in questa trasformazione della lingua è sviluppata una consonante significa che alle origini dobbiamo
postulare la presenza di un qualcosa che non è vocalico, ma consonantico perché le vocali latine tendono a rimanere
in italiano.

Quindi prestiamo attenzione alla pronuncia di iam : non ìam, per il semplice motivo che l’accento non cade sulle
consonanti, ecco la spiegazione semplice.

Ecco perché qui non avviene la sinalefe: perché la collisione avviene tra una vocale e una consonante.

vv. 136 - 159


Traduzione: Allora per la prima volta i fiumi sentirono gli ontani incavati; allora il navigante contò e denominò le stelle*

*siamo a verso 137: navita tum stellis numeros et nomina fecit

La traduzione di questo erso è un po’ più libera ed è questo il motivo: allora (tum) il navigante (navigante) , poi abbiamo un
verbo con due complementi oggetti ovvero fecit. Tradurre fece i numeri alle stelle e fece i nomi alle stelle: in altre parole il
predicato verbale a seconda del complemento oggetto da cui è seguito assume un significato diverso.

Se il verbo facio può andar bene con nomina, è un’espressione idiomatica, che significa dare il nome a qualcuno, non va più
bene con numeros, questo è un fenomeno che appartiene a quell’ambito che è denominato economia linguistica: ovvero si
evita di impiegare un predicato verbale per numeros.Fecit va bene per tutti e due anche se l’espressione, quando fecit è
collegato a nomina, ma non è più propria, ma è impropria quando è collegato a numeros.

È una figura retorica che è da annoverare nell’ambito di quell’ampio capitolo che può essere intitolato la lingua
come istituto economico : significa che il parlante tende a dire con meno parole il maggior numero di concetti
possibili, questa è la base in buona sostanza di quello che stiamo dicendo.
La figura retorica si chiama zeugma: che significa congiungimento, in altre parole nel verbo fecit vanno a rifluire
due significati:

 uno proprio che va bene con nomina


 l’altro che è forzato, che è una forzatura che è quello attraverso il quale è collegato con l’oggetto numeros

Ecco il motivo per cui io nella traduzione italiana risolviamo il predicato verbale fecit con due predicati verbali
assegnando ad ogni oggetto il verbo che fosse il più pertinente all’oggetto.

Traduzione: (adesso vengono dette le stelle che furono contate e denominate) le Treiadi, le Iadi (che significa le piovose) e
la luminosa orsa di Licàone. Allora si inventò il catturare le fiere con i lacci, l’ingannarle con il vischio, il circondare con i
cani grandi radure; ed inoltre già uno, dirigendosi al largo, sferza/ batte (verberat) con il giacchio (questa parola designa un
tipo di rete, è un tecnicismo del linguaggio della pesca. È un tipo di rete con cui si pesca a strascico e come metodo vietato
oggidì) un largo fiume e un altro tira dal mare le umide reti.

Allora comparvero il rigido ferro ( nel testo troviamo rigor ferri: che è una giuntura poetica che significa propriamente il rigore
del ferro che rendiamo adattandolo un po’ alle esigenze della lingua italiana, il rigido ferro, ma propriamente è nome +
complemento di specificazione, ovvero il rigore del ferro, il sostantivo definisce una caratteristica di questo metallo) e la lama
della stridula sega (infatti i primi nuovi spaccavano con cunei il regno facile a fendersi) , poi comparvero le varie arti.

Il lavoro, quando è smisurato, supera ogni ostacolo e lo supera il bisogno che sprona nelle situazioni dure.

Riflessione. Labor omnia vicit : è un proverbio che spesso si trova come medaglione/logo nei libri cui fa riscontro un altro
proverbio virgiliano che è stato costruito sulla falsa riga di questo, ovvero Omnia amor vicit.Ma vicit è un perfetto
indicativo dal verbo vinco che io ho tradotto però con un presente… perché? Perché siamo in presenza di un uso del
perfetto latino: quest’uso del perfetto latino è chiamato, denominato perfetto gnomico, ovvero perfetto sentenzioso: è
il perfetto dei proverbi, delle massime, è il perfetto di tutto ciò che vale non per il momento presente soltanto, ma vale per
l’umanità tutta, di ogni periodo, di ogni epoca.Noi solitamente rendiamo le massime con il presente, possiamo anche
metterci un verbo di consuetudine del tipo “il lavoro suole vincere tutto”, per meglio renderla, ecco la ragione per la quale al
perfetto noi non troviamo una traduzione corrispettiva, perché è il perfetto gnomico.

Traduzione: per prima Cerere insegnò agli uomini a rivoltare,rivolgere,coltivare la terra con il ferro, poiché oramai le
ghiande e i corbezzoli della sacra selva mancavano e Dodona (è il nome di una divinità a cui erano state consacrate le querce,
ecco perché la selva è chiamata sacra: perché si fa riferimento a un albero che era consacrato a questa dea) rifiutava il suo cibo.

Poi, subito dopo anche ai frumenti fu aggiunta la fatica, così che (ut) la ruggine dannosa,cattiva, nociva(mala robigo)
consumava gli steli e il pigro cardo si ergeva ispido nei campi; le messi periscono, subentra l’aspra selva, lappole *(*le
lappe: se vengono tirate addosso si attaccano suoi vestiti)

*lappole:Quando noi ci troviamo con la nomenclatura vegetale: viviamo il dramma che si pone tra il significante e il
significato. Questo vuol dire che: quando denomino “casa”, l’idea della casa l’abbiamo in testa tutti; quindi, avviene subito
un collegamento tra il nomen e la res designata. Quando dico corbezzoli, o faccio riferimento a un’altra specie vegetale che
non si conosce, quante ce ne sono, tant’è che nei trattati che attengono a questa materia c’è un disegno per creare l’idea, il
concetto della cosa designata altrimenti uno stacco.

Questo è un dramma che spesso accade quando si leggono le Georgiche e c’è necessità, per capire il significato del
testo trasmesso, quali sono le res designate. Oggi normalmente si trova su Internet e si trovano tutte le specie di quel
particolare prodotto vegetale.

Traduzione: e triboli e tra le lussureggianti colture dominano il loglio (altra specie vegetale: è qualcosa di simile
all’evangelica zizzania) infecondo e le sterili avene.

Che se tu non incalzerai continuamente con i rastrelli l’erbaccia, non spaventerai gli uccelli con il fragore, non eliminerai
con la falce l’ombra della campagna oscurata e non avrai invocato la pioggia con preghiere, ahimè continuerai a guardare
inutilmente il grande mucchio altrui, di un altro(alterius) e placherai la fame con lo scuotere nelle selve (in silvis:
complemento di stato in luogo) la quercia.
Commento
Ci attendono a livello di commento due operazioni:

 la prima è di natura linguistica che faremo immediatamente


 la seconda è quella che concerne la posizione ideologica di Virgilio: perché il brano altamente descrittivo appena
letto si riferisce a due concezioni dominanti nell’antichità per quanto concerne l’origine dell’uomo:
 Una concezione è propriamente poetica ed è pessimistica che risale a Esiodo: poeta greco che ha scritto un poema
didascalico alla cui tradizione si riferisce anche il poema virgiliano intitolato in greco, ma traslitterato in latino Érga
kaì Hēmérai: significa Le Opere e i Giorni.

In altre parole, in questo poema didascalico Esiodo spiega quando in campagna debbono essere fatti determinati
lavori nel rispetto di un calendario agricolo ecco perché parla di opere e di giorni (quando si deve vendemmiare,
in quali giorni si deve seminare etc.).

In questo poema Esiodo rappresenta la storia dell’uomo come caratterizzata dal trapasso da un’età ottima a
un’età meno ottima a un’età brutta e via via sempre più brutta: questi passaggi sono rappresentati dal
decrescere del valore dei metalli.Per cui rappresenta la generazione vissuta nell’età dell’oro, è il momento
culminante ed è molto simile al nostro paradiso terrestre, l’età dell’argento che ha meno valore dell’oro, e quindi
rappresenta una generazione qualitativamente inferiore rispetto a quella vissuta nell’età dell’oro e poi c’è l’età del
ferro, del bronzo e così via.

Va a sottolineare il decrescere della qualità della vita dell’uomo e questo a livello narrativo è rappresentato
attraverso la metafora dei metalli. Perché è una rappresentazione pessimistica? Per il semplice motivo che
l’uomo, il quale originariamente si trovava in una situazione di beatitudine, ha finito a poco con la sua
degradazione morale a quella che è la sua condizione di estrema precarietà.

 L’altra concezione laica e razionalista che ha un punto di partenza che è quella di un greco : Democrito di Abdera, il
fondatore dell’atomismo di questa interpretazione filosofica che esclude dal mondo e dall’uomo tutto ciò che è
trascendente, tutto ciò che è metafisico perché ritiene che la realtà umana, l’uomo stesso, anche quelle componenti che
non si riescono a vedere ma solo a postulare(come l’anima e l’animus : sono due cose ben distinte) queste realtà sono
costituite dalla combinazione di atomi, da una combinazione atomica. Per cui la vita risulta essere costituita da
un’aggregazione atomica, combinazioni casuali, fortuite, senza un piano provvidenziale, viene esclusa una causa
estera, gli atomi si scontrano da soli. La morte invece è rappresentata dal momento opposto: ovvero dalla
disgregazione degli atomi.
Due sono in buona sostanza i momenti che scandiscono questa dialettica: aggregazione e disgregazione in un
processo continuo ed eterno.

Perché nell’antichità, questo è un concetto fondamentale, la materia era eterna, non è concepito mai un
creatore, ma un demiurgo. Gli antichi non avevano il concetto di creazione perché presupponevano una
materia eterna.
Per quel che ci riguarda, partendo da questa premessa ineludibile che abbiamo dovuto fare per legittimare com’è
considerato l’uomo all’interno di questo sistema… com’è considerato l’uomo? L’uomo è considerato come una
realtà semi ferina: vive addirittura inizialmente sugli alberi, si procura il cibo vagando per campi (di tutto, anche cibi
che fanno del male), non è costituito in una societas, non ha linguaggio perché il linguaggio sorge nel momento in cui
un io dialoga con un tu e tutto questo presuppone la costituzione di un’aggregazione, ma non conosce i metalli (perché
gli è ignoto il concetto di ars), quindi combatte contro una realtà futile.
Le sue acquisizioni sono progressive: in altre parole la civilizzazione umana avviene passando attraverso vari stadi, in
altre parole il fenomeno ars o tèchne nasce nel momento in cui l’uomo per sopravvivere deve congegnarsi perché
è spinto continuamente dalla necessità e dal bisogno.

Presso questi autori la necessità e il bisogno che esprimono il medesimo concetto è chiamato: presso i greci
didáskalos che significa maestro, presso i latini magister. Perché una necessità svolge una funzione pedagogica al
punto che è denominato o che esprimono lo stesso conceto? Perché l’uomo da un suo torpore da un sua quiescenza è
sollecitato a congegnarsi, a trovare i mezzi per una sua sussistenza.
L’ars nasce nel momento in cui l’uomo è pressato dall’ostilità esterna: più è ostile la natura più deve agire forzando
la natura perché il conflitto che avviene , avviene tra l’uomo e la natura.

Il progresso nasce, e questo è pericolosissimo perché può portare a degli estremi, attraverso la forzatura continua
della natura in modo che essa sia ridotta alle esigenze dell’uomo.

Questo accade anche con Virgilio con l’altra concezione perché abbiamo visto che l’usus determina nell’uomo la nascita
delle artes, infatti è scritto: venere artes, fecero la loro comparsa le arti.

Se nonché diversi sono i contesti: perché qui l’uomo parte da uno stato di estrema precarietà per affrancarsi poco a poco da
questo stato, per arrivare a un culmine. Ovvero alla scoperta di tutte quelle arti che possano ridimensionare che possano
diminuire le sue richieste,le sue esigenze.

Qui si parte da un nulla per arrivare a qualcosa di consistente: è come dire la celebrazione della ratio umana, è una sorta di
illuminismo ante litteram quello che è stato inaugurato da Democrito di Abdera fonte alla quale si sono abbeverati tutti
gli atomisti successivi.

Spesso si dice che la fisica di Epicuro è un’assoluta verità: Lucrezio lo celebra come un maestro insuperato. Epicuro
ha saccheggiato a piene mani dall’atomismo di Democrito di Abdera ed ha introdotto solamente nel sistema
dell’atomismo, poi senza darne nessuna spiegazione, quella teoria denominata teoria del clinamen: secondo la
quale gli atomi quando scendono perpendicolarmente, sempre nello stesso modo, sempre nella stessa direzione e si
scontrano con altri atomi dando poi vita a varie cose, tra cui l’uomo, determinano un’aporia, una difficoltà a livello di
pensiero.

E qual è l’aporia? Ma se tutto accade così meccanicisticamente la libertà del l’uomo dove va a finire? Il libero
arbitrio dove fa a finire? Quindi a un certo punto, come un deus ex machina, si inventa la teoria del clinamen ovvero
che a un certo punto questi atomi devierebbero la loro traiettoria, non si sa chi (ecco dove sta la difficoltà
nell’introduzione di Epicuro) abbia determinato questa deviazione del moto degli atomi. Questo per dire che
Epicuro è fortissimamente debitore nei riguardi di Democrito di Abdera, come lo è naturalmente Lucrezio.

Quindi noi ci troviamo dinanzi a due teorie che si contrappongono dove l’ars sorge sempre, sebbene queste due
teorie partano da due basi diverse, è sempre presente come una reazione dell’uomo a una situazione di estrema
difficoltà.

Noi che cosa dovremmo considerare? Qual è la posizione ideologica assunta da Virgilio nel brano? Da quale parte si
schiera? Dalla parte di Esiodo o dalla parte di Lucrezio?

E questo è il commento che dovrò fare in un secondo momento, ma dovevano esser dette queste cose perché sono i
prerequisiti per qual è in questa corrente di pensiero la posizione che ha il poeta, non dimentichiamoci che il poeta frequentò
a Napoli la scuola dell’epicureo Sirone, dobbiamo tenere in considerazione anche questo fatto.
Riepilogo delle posizioni teologiche assunte da Virgilio nei riguardi del lavoro
In altre parole, quali sono le precise concezioni di Virgilio in merito alla genesi del lavoro nella storia della civilizzazione
umana? Per quanto concerne tale questione: Virgilio si trova a metà strada tra la concezione di Esiodo, autore greco,
che è il primo poeta didascalico e Lucrezio.

Esiodo riteneva che il lavoro fosse una punizione degli dèi per colpe commesse dall’uomo, atti di superbia e
atteggiamenti consimili e in questo la posizione di Esiodo è in linea con la tradizione vetero testamentaria a tutti nota
che è quella che ha come oggetto il racconto dell’espulsione di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre che macchiati di
una colpa hanno perso la loro beatitudine originaria. Quindi la posizione di Esiodo è una posizione che vede nel lavoro
una maledizione.

Per quanto invece concerne Lucrezio, anch’egli un poeta didascalico, lui si oppure a questa concezione innanzitutto per la
ragione che gli dei non hanno alcun posto nel sistema filosofico epicureo: gli die non si curano affatto, non è che non
esistano, ma Lucrezio li pone in un luogo chiamato Intermundia dove conducono una vita tranquilla e senza preoccupazioni,
vivono immersi nella più profonda atarassia ovvero disinteresse verso tutto ciò che li circonda. In buona sostanza non
sono mai turbati, né hanno, e questo è molto importante, alcun atteggiamento provvidenzialistico nei riguardi
dell’umanità derelitta. Quindi il mondo è stato creato dal caso, dalla combinazione atomica, il mondo non è stato
creato finalisticamente, teleologicamente ovvero la sua creazione non è stata finalizzata al bene dell'uomo, alla
felicità dell’uomo.

Quindi partendo da una tal premessa per Lucrezio il lavoro non è una maledizione, nel modo più assoluto, anzi il
lavoro testimonia la positività dell’uomo che confidando nelle sue sole forze si affranca gradualmente dallo status
semiferino delle origini; il progresso è visto come acquisizione nel tempo della ratio umana.

Queste sono le posizioni di Esiodo e di Lucrezio.

Ci troviamo agli antipodi e Virgilio si trova qui nel mezzo… In altre parole, ci dobbiamo chiedere che cosa Virgilio
intuì da Esiodo e in che cosa aderisca alle concezioni lucreziane, quel che emerge dal brano letto.

Virgilio è in linea con Esiodo per quanto concerne la coincidenza del lavoro con la fine dell’età dell’oro: in altre parole
il lavoro nasce nel momento in cui l’uomo, nella Bibbia ha perduto la sua beatitudine originaria, nella discrezione di
Esiodo, a motivo della sua superbia, è un concetto che in greco è denominato hybris che significa superbia, superbia
commessa nei riguardi degli dèi. Finisce il regno di Saturno, subentra il regno di Giove, ovvero l’età dell’argento e in
questo Virgilio aderisce alla fabula che ha come punto di riferimento Esiodo, questa rappresentazione nasce con Esiodo e da
lui è trasmessa a tutta la poesia sia greca che latina e non è accolta naturalmente da Lucrezio.

Invece accoglie da Lucrezio la positività del lavoro: ovvero il lavoro come strumento che consente all’uomo di liberarsi
da una natura ostile, da una natura che l’uomo cerca di soggiogare. È in linea il pensiero di Virgilio con Lucrezio per quanto
concerne la genesi dell’ars o tèchne: ovvero l’ars come strumento attraverso il quale l’uomo reca una violenza alla natura
per sottrargli a poco a poco degli ambiti, pensiamo all’agricoltura. L’uomo riesce a coltivare un appezzamento di terra
togliendo alla natura territori selvaggi e li adatta a quelli che sono i propri obbiettivi e i propri scopi.Quindi è una lotta che
l’uomo conduce serratamente contro la natura e per far questo necessita di strumenti che possano aiutarlo e l’ars è l’unico
strumento che permettere all’uomo di raggiungere a poco a poco le sue acquisizioni.

Il lavoro per Virgilio è qualcosa di positivo, se non altro libera l’uomo da uno stato di torpore e di neghittosità, di
pigrizia.

Ma la sua posizione è una posizione molto oscillante perché in questo è lucreziano, ma in altri atteggiamenti è
esiodeo: abbandona il razionalismo lucreziano nel momento in cui attribuisce a Cerere (v.147) l’insegnamento
dell’agricoltura all’uomo.

È Cerere che ha insegnato agli uomini l’agricoltura:


Prima Ceres ferro mortalis vertere terram instituit
Cerere per prima insegnò agli uomini a rivoltare la terra

Facendo questo, precipita in una concezione che è diametralmente opposta al razionalismo lucreziano, cioè si rifugia
nell’atteggiamento provvidenziale che era tipico della dottrina storica: ovvero gli dèi intervennero in soccorso degli uomini.

Ecco cosa intendiamo quando diciamo che Virgilio in parte aderisce al pensiero esiodeo, ma in parte aderisce anche questa
descrizione, alle posizioni lucreziane.

Quindi se dovessimo riassumere con una brevissima conclusione qual è la posizione ideologica virgiliana: il poeta
oscilla tra:
 il razionalismo di Lucrezio
 e la fabula Esiodea, intendendo per fabula tutto l’apparato mitologico: quindi età dell’oro, età dell’argento e
anche età del ferro perché a v. 143 Tum ferri rigor atque argutae lammina serrae, ferri rigor è stato tradotto il
rigido ferro, la rigidità del ferro è un’espressione con la quale poeta vuole intendere che dall’età dell’argento si è
passati già all’età del ferro secondo questa visione decrescente pessimistica che rappresenta la storia umana e che è
simboleggiata dal valore del metalli che si avviliscono via via (oro, argento, ferro). In questa breve descrizione
Virgilio riproduce tre delle cinque età che si leggono nella rappresentazione esiodea del poema didascalico Le
Opere e i Giorni (archetipo del genere didascalico)

L’altro tipo di commento è un commento linguistico che andiamo a espletare

A livello linguistico

Incipit:
Nec tamen, haec cum sint hominumque boumque labores
versando terram experti, nihil improbus anser
Strymoniaeque grues et amaris intiba fibris 120
officiunt aut umbra nocet

 Tamen: quando vediamo in un brano latino il tamen che è una congiunzione avversativa ed è una congiunzione
di ripresa della proposizione concessiva, è una particella che funge da elemento correlativo della proposizione
concessiva. La proposizione concessiva può essere introdotta esplicitamente da congiunzioni del tipo
quamquam(benchè) quamfis (per quanto) exti e così via. Ma quando è introdotta da queste congiunzioni non
abbiamo alcuna difficoltà a individuarla (ben inteso: se conosciamo il valore delle congiunzioni concessive), ma
quando è introdotta dal cum, come qui, cum sint (cum + congiuntivo in latino è un costrutto implicito che
corrisponde un po’ al nostro gerundio, che è implicito) perché è implicito? Perché cum + congiuntivo può esprimere
una causale, una temporale, suppositiva, la concessiva. Ma in casi come questi quando noi vediamo tamen :
tamen assume la medesima funziona che ha un segnale stradale perché è un signum linguistico che ci avverte
immediatamente in merito alla presenza di una proposizione di tal genere.
 Ecco il motivo per cui traduciamo: “Sebbene le fatiche (labores) degli uomini e die buoi abbiano sperimentato
(esperti sint: siamo in presenza del verbo deponente experior,experiris, expertus sum, experiri che significa provare,
sperimentate) queste cose, disagi (heac)”. Non dimentichiamoci che questo brano è stato estrapolato, c’è un
prima: nella parte precedente Virgilio ha esposto quali sono le grandi difficoltà alle quali va incontro
l’agricoltore quando si accinge a praticare l’agricoltura.
Nonostante queste difficoltà affrontate ce se ne mettono delle altre ovvero: improbus anser (un’oca ingorda), oppure le
gru dello Strimone (fiume della Tracia) (sono riferimenti topici : non hanno alcun significato ; avrebbe potuto citare
anche qualsivoglia fiume), poi chi altri? L’intiba, che è la cicoria che è una pianta dannosa ai raccolti. Quindi oltre alla
fatica di rivoltare una terra ostile ci sono anche questi elementi esterni, ecco perché traduciamo heac con questi
disagi in riferimento a tutte le fatiche affrontate dall’agricoltore
 Versando: è l’ablativo di un gerundio*

*il gerundio è un nome verbale: è un nome in quanto si di declina e di questo verbo abbiamo il nominativo che è versari, è
un verbo deponente, che può fungere da soggettivo, il genitivo è versandi, il dativo è versando, l’accusativo è
preposizionale ovvero ad versando, in versando e poi abbiamo l’ablativo versando che è quello che troviamo qui.

Genitivo: versandi
Dativo: versando
Accusativo: ad versandum
Ablativo: versando

È nome verbale perché:

 si declina, quindi si comporta come qualsivoglia nome, lo possiamo dimostrare declinandolo


 e in più esprime una nozione verbale che è quella del rivoltare

ecco perché queste parti del discorso sono denominate in questo modo

che tipo di ablativo è? Solitamente l’ablativo del gerundio è un ablativo strumentale.

Due sostantivi dobbiamo notare, qui abbiamo due temi particolari della terza declinazione:

 Uno è il gentivo boum: il cui nominativo è bos che è una forma dialettale e che lo sia è presto spiegato perché questo
sostantivo insieme a Iuppiter, Iovis ; io lo pronuncio iovis con la v, ma la struttura fonetica implica che sia una u , Iouis
e bouis. Che cos’è questo ou? È un dittongo. Sono gli unici due temi in dittongo ou della terza declinazione: la
forma del dittongo noi la troviamo al di fuori del nominativo in tutti gli altri casi, quindi

SINGOLARE
Nom. bōs
Gen. bovis
Dat. bovi
Acc. bovem
Abl. bove
Voc. bōs
PLURALE
Nom. boves
Gen. boum
Dat. bobus, bubus
Acc. boves
Abl. bobus, bubus
Voc. boves

*Nell’ablativo singolare la u semivocalica è sostituita con la u


*nel dativo e nell’ablativo al plurale vengono date due forme:
 una è bobus che non è documentata da nessuna parte
 la forma autentica è bubus… che potrebbe essere successo in bubus con la u lunga? Il dittongo ou si è chiuso e
ha dato vita a quello che denominato monottongo: il monottongo è una derivazione del dittongo. Il destino dei
dittonghi latini è quello di chiudersi nel tempo.

 L’altro è grues (v. 120) : è il nominativo plurale di grūs,is che insieme con sūs ,is (grus significa gru e sus maiale)
sono gli unici due temi in ū lungo della terza declinazione (mentre i temi in u breve sono quelli riuniti nel sistema
della quarta declinazione, tipo fructus, senatus)Che ne è di questa u lunga del nominativo nel corso della declinazione?
Si abbrevierà…e perché? Perché al genitivo gruis da lunga che era nel nominativo diventa breve: e così pure nel dativo
grui, e così pure nell’accusativo gruem e anche qui. Perché c’è una norma fonetica: vocale davanti a vocale si
abbrevia: naturalmente stiamo parlando delle vocali lunghe perché se una vocale già è breve conserva la sua
quantità breve.

SINGOLARE
Nom. grūs
Gen. gruis
Dat. grui
Acc. gruem
Abl. grue
Voc. grūs
PLURALE
Nom. grues
Gen. gruĭum
Dat. gruĭbus
Acc. grues
Abl. gruĭbus
Voc. grues

 amaris intiba fibris: e la cicoria dalle amare fibre, è un ablativo di qualità


 Pater ipse colendi haut facilem esse viam voluit : il padre stesso, il padre in persona, proprio lui (ipse è un
aggettivo determinativo) volle che la via della coltivazione.
 Traduco così colendi anche se è un nome verbale: prima abbiamo incontrato versando ora abbiamo colendi e questo è
il genitivo (non dico singolare perché il gerundio non ha una declinazione al plurale) di colere che significa coltivare
(tra i vari significati) che ha come gen. colendi, dat.colendo. posso in italiano tradurlo con un astratto anziché dire “la
via del coltivare”.
 Haut facilem esse: non(haut) fosse facile, non fosse agevole è una proposizione infinitiva dove esse esprime un
rapporto di contemporaneità come in tutte le proposizioni infinitive l’infinito presente con la sua
sovraordinata.
 La negazione veramente non è haut con la t, se andiamo a consultare nel dizionario, questa negazione che non ha un
seguito nelle lingue romanze (in nessuna lingua romanza noi la troviamo) equivale a non, la negazione che avrà
fortuna è non.

Nel dizionario troviamo haud con la dentale sonora… come mai qui è scritta con dentale sorda? Perché la
differenza tra la t e la d risiede nella sonorità: t è dentale sorda e d dentale sonora.
Che è successo? Siamo ancora in presenza della sintassi fonetica, ovvero la consonante che segue, che è la f di facilem
,la cui definizione è fricativa labiodentale sorda (rispetto alla nostra v che è una fricativa labiodentale sorda) :in altre
parole la consonante che segue ha esercitato il suo influsso su quella che precede, ecco il motivo per cui la
dentale sonora è stata assimilata alla natura della consonate che precede. *È una sorta di assimilazione
regressiva perché la f , sorda, incide sulla d sonora rendendola anch’essa sorda. È un fenomeno di fonetica
sintattica che qui avviene, diversamente da quello che abbiamo visto nella sinalefe, in relazione all’incontro tra
consonanti. Ad esempio adpello : che è un composto di pello, diventa appello con due ,pp, ad è una dentale sonora
che viene assimilata da quella che segue.

 Vv. 121 - 124

Pater ipse colendi


haut facilem esse viam voluit primusque per artem
movit agros curis acuens mortalia corda
nec torpere gravi passus sua regna veterno.

La costruzione di questa frase: dal verbum voluit dipende l’infinitiva haut facilem esse viam coledi : il padre stesso
(Giove) volle che il metodo, la via, il procedimento (viam : è la traduzione latina di mezzodos (?), metodos,
metodo)dell’agricoltura non fosse facile. Ricordiamo la negazione haut con la dentale sorda che invece in latino è haud
con la dentale sonora: è una negazione che non ha avuto una vita nelle lingue romanze come l’ha avuta ad esempio non.
* È che qui è da notare un fenomeno fonetico che si riferisce all’incontro tra consonanti: si incontrano in buona
sostanza la dentale sonora haud, con la fricativa (la f) labio dentale sorda, se haut cambia in haud con la dentale sorda è
perché la fricativa sorda che segue ha esercitato quest’influsso sulla consonante che precede, è un’assimilazione
regressiva: ciò che segue influisce su quello che precede.

In latino, come anche in greco, nelle lingue classiche bisogna tenere in considerazione quel capitolo della fonetica che
ha come oggetto l’incontro tra consonanti: quando determinate consonanti si incontrano tra di loro capitano fenomeni
fonetici. Quello che è più noto è l’incontro della velare + la spirante : cg + s da la doppia x, questo è un esempio.

In questo caso si incontra una dentale sonora che è quella di haud (perché questa è la negazione) con la fricativa
(ovvero la f) labio dentale sorda che è quella che segue: on altre parole la fricativa labio dentale sorda trasmette il
proprio valore fonetico alla consonante che precede, ecco le ragioni per cui nel testo è documentato haut invece di haud
che è la forma corrente di questa negazione.
Questo capita nei preverbi, nei verbi composti che sono costituiti da preverbi: ad + pello diventa appello con due
bilabiali sorde, qui ancora una dentale sonora, la d del preverbio, che viene a trovarsi con la bilabiale sorda ovvero la p.
Se noi abbiamo appello è perché in forza di questa assimilazione regressiva la bilabiale sorda influisce su quella
sonora che precede.

 primusque per artem movit agros : e per primo (complemento predicativo del soggetto) mosse, rimosse, ( o meglio
ancora con il causativo perché non è Giove che va a lavorare, ecco che significa causativo: ) fece rimuovere,
dissodare i campi… per artem.
 Per artem : è un sintagma difficile da valutare, noi lo traduciamo attraverso l’arte, cioè l’arte dell’agricoltura.. che
complemento è?

 È soprattutto un complemento di mezzo che è espresso con per + accusativo. Ma se andiamo a consultare
la sintassi latina ci dice che il complemento di mezzo per + accusativo è voluto da un essere animato: qui l’ars,
a meno che non venga dal poeta personalizzata, c’è qualcosa che non corrisponde alla normativa corrente.
 Può essere anche un complemento di moto per luogo figurato: ovvero attraverso l’arte, ovvero attraverso
il percorso che l’uomo fa attraverso questa risorsa.
Noi lo traduciamo normalmente con l’arte, attraverso l’arte e risolviamo il problema, però l’individuazione
precisa delle funzioni non è delle più semplici.

Questo è un sintagma molto importante perché da qui comprendiamo che nel trapasso dall’età dell’oro all’età
dell’argento nel rispetto delle intenzioni della divinità nasce il fenomeno ars, cioè il punto, il momento di
nascita dell’ars avviene in questo preciso momento quando la divinità vuole che l’agricoltura non sia un
procedimento facile.

 Movit : perfetto del verbo moveo, il cui paradigma è moveo, movis, movit,motum, movere. Notiamo questo verbo
perché forma il perfetto attraverso l’allungamento della vocale radicale: quando io parlo di vocale radicale faccio
riferimento al fonema vocalico che si trova nella radice. In moveo la vocale radicale è questa o che fa parte della
radice: nel tema dell’infectum questa o è breve, nel tema del perfetto si allunga. È un perfetto ad allungamento
della vocale radicale: avviene in altre parole l’apofonia quantitativa, chiamata così perché la quantità della
vocale cambia, da breve passa a lunga.

 A questa proposizione principale il cui predicato verbale è voluit è coordinata una seconda proposizione
principale attraverso la copulativa nec

 Il predicativo verbale di questa seconda proposizione principale è passus, ma passus manca di qualcosa, non è il
participio perfetto del verbo patior , ma manca est , nec passus est. In altre parole siamo in presenza del fenomeno
dell’ellisse, ovvero è sottintesa la terza persona singolare del presente indicativo; passus est è il perfetto dei verbi di
forma passiva e dei verbi deponenti.

 nec torpere gravi passus sua regna veterno : né sopportò che i suoi regni intorpidissero (torpere) a causa della
pigrizia (veterne). Ecco che cosa fa Giove: Giove non vuole che gli uomini dell’età dell’oro continuino a vivere
nella loro neghittosità e quindi complica loro la vita

 ci interessa questa parola: veterno che significa pigrizia, ma da dove deriva questo significato? Ovvero qual è
l’etimologia di questo sostantivo che appartiene alla II declinazione ovvero è un tema in o breve veternus,
veterni. In questo sostantivo è visibile la stessa radice che si incontra nell’aggettivo vetus, veteris : aggettivo
della II classe a una sola uscita che significa vecchio.

Quindi la pigrizia, la neghittosità, questa sorta di torpore è messa in relazione con questo aggettivo che
riferito alle persone anziane indica anche la loro poca reattività, quindi il loro torpore al quale, per motivi
fisici, si abbandonano; quindi sono due corradicali, ovvero presentano la medesima radice.

Notiamo la perfetta simmetria dal punto di vista sintattico: abbiamo due preposizioni principali coordinate tra
di loro, aventi come predicato nominale la prima voluit, la seconda passus est:

Pater ipse colendi


haut facilem esse viam voluit primusque per artem
movit agros curis acuens mortalia corda
nec torpere gravi passus sua regna veterno.

Da ognuna di queste due preposizioni principali dipendono due infinite:


 Una infinitiva da voluit
 L’altra infinitiva da passus (est)

È come dire la concinnitas ciceroniana trasportata nel verso, nell’esametro : la concinnitas vuol dire simmetria
dei membri non disarticolazioni, geometria del periodo

 v.127 : Ante Iovem nulli subigebant arva coloni: prima di Giove nessun colono lavorava i campi.
 Nullus , nulla , nullum in latino si declina anche al plurale, in italiano no : ecco le ragioni per cui nulli colini
bisogna necessariamente tradurlo al singolare
 Arva è una parola che ci interessa: arvum, arvi , abbiamo ager,agri che significa campo, terreno e arvum, arvi
significa anch’esso campo, nessuno lavorava la lettera… ma qual è la differenza sul piano semantico?
 che ager è il terreno che dev’essere ancora dissodato;
 argum , se prestiamo attenzione alla radicale, capiamo che significa ben altro, in argum c’è il radicale ar ed è
quello che troviamo nel verbo aro, aras , quindi è il terreno arativo è quello che è incominciato già ed è già
preparato per la semina

Ecco la differenza: è una differenza che riguarda due tipologie di terreni: la prima è quella che attende una
lavorazione, la seconda invece, quella di argum , è quella di un terreno che è stato preparato per essere lavorato

enzione al sostantivo fas (v. 127) (erat) :è un’ indeclinabile, è una parola antichissima come tutti i monosillabi*

*monosillabi: mos, ius ; mos , moris che significa costume, l’abitudine; ius , iuris che significa diritto ,ma c’è un altro ius,
iuris che significa brodo per non confondere i due termini).

Fas e ius stanno in un rapporto antitetico: perché fas è il diritto divino; quindi, per norma degli dei i terreni non
potevano essere divisi, appartenevano a tutti; ius è invece il diritto umano, ecco la differenza tra questi due termini

 Ipsaque tellus (v.127): attenzione al sostantivo tellus,telluris significa che la u è lunga e che la consonante finale ,
questa s non è la desinenza del nominativo*

* il nominativo della III declinazione può essere di due tipi:

 O sigmatico: ovvero può avere come desinenza dal s: civis, nominativo sigmatico
 O asigmatico: ovvero si forma senza la s: consul , nominativo asigmatico

Però ci sono dei nominativi che hanno questa s che non figura naturalmente come la s morfema del nominativo singolare,
desinenza del nominativo singolare: è la s tematica, ovvero questo sostantivi sono temi in sibilante ,oppure come
qualcuno li chiama, in spirante.

Che cosa comporta tutto questo sul piano fonetico? Che quando questa s tematica verrà a trovarsi in posizione
intervocalica naturalmente nel corso della flessione: perché quando passiamo al genitivo la s che è la s del tema dovrà
essere mantenuta…quindi che cosa dovremmo aspettarci? Tellus, tellusis : la s è passata quindi ad una situazione diversa,
si viene trovare in posizione intervocalica.

Quando accade questo la s passa ad r, ovvero si rotacizza: ecco perché abbiamo telluris : questo è un fenomeno
fonetico con il quale bisogna prendere familiarità e grazie al quale si può comprendere anche altre situazioni consimili.

Come accade ad esempio con ius, iuris, mos ,moris : sono tutti temi in spirante ove la s in posizione intervocalica è
soggetta al fenomeno del rotacismo, chiamato così dalla lettera rho (Ρ; ρ; ϱ) che in greco rappresenta la lettera r,
ecco il motivo di questo nome.

 v.129 : Ille malum virus serpentibus addidit atris : Giove (ille, quello, pater ispe) aggiunse ai neri serpenti, quindi ai
velenosi serpenti un nocivo veleno (malum virus)

virus: ma che sostantivo è questo? a quale declinazione a appartiene? È una delle particolarità della seconda
declinazione.
Sappiamo che il neutro della seconda declinazione è caratterizzato dalla desinenza -m: nominativo originario donom, la
o breve finale di parola si oscura in sillaba chiusa , donom > donum.
La m è il morfema, il segna caso dei neutri della seconda declinazione.

Ma nell’ambito della seconda declinazione figurano tre neutri che presentano un nominativo con la s e ne sono
tre:
 virus
 pelagus (mare) : grecismo, parola greca passata in latina
 vulgus (popolo)

Per quanto concerne il sostantivo di virus noi non abbiamo il genitivo: la declinazione di virus in buona sostanza è
circoscritta soltanto ai casi diretti del singolare, nominativo, accusativo e vocativo che presentano la stessa forma
essendo parola neutra (caratteristica della declinazione del neutro è quella di presentare i casi diretti uguale sia del
singolare che del plurale).

Come si supplice ai casi mancanti di virus? Il latino ricorre a venenum: quindi di virus il genitivo sarà veneni e così
pure al plurale venena. Quindi è un nome difettivo perché manca delle forme che distinguono tutti gli altri casi. È una
parola che ha avuto una grande fortuna, non felice perché poi è passata poi nella lingua medica.

 v. 128:
omnia liberius nullo poscente ferebat
la terra stessa produceva tutto con maggiore generosità, più generosamente (liberius)

*liberius: comparativo dell’avverbio libere * Nullo poscente: è un ablativo assoluto

Ablativo assoluto è un costrutto formato da:

 un predicato verbale, che è espresso con il participio


 e da un soggetto che è espresso da un nome o da un pronome

soggetto e predicato verbale vanno in caso ablativo

Ma l’ablativo assoluto racchiude una proposizione: è come dire una struttura implicita e dobbiamo aprirlo per capire il
significato.

Nel contesto due possono essere i valori:

 uno è quello che abbiamo tradotto: senza che nessuno lo richiedesse alla terra. Quindi la terra produceva
automaticamente senza essere sollecitata: in altre parole non esisteva l’ars nell’età dell’oro perché è l’ars quella che
sollecita la terra a produrre.
 Oppure può avere valore concessivo: sebbene nessuno lo richiedesse, sebbene nessuno la forzasse la terra

Nell’analisi del periodo le proposizioni che sono introdotte da senza che, eccetto che si chiamano proposizioni esclusive.

 v.130:
praedarique lupos iussit pontumque moveri
Comandò (il soggetto è Iuppiter) che i lupi predassero, fossero predatori e che il mare si agitasse

Guardiamo l’ordine delle parole: il predicato verbale occupa posizione centrale e a mettere in evidenza la centralità
nell’economia del verso di questo predicavo verbale contribuiscono anche le risorse ritmiche perché iussit viene a trovarsi
esattamente tra la cesura pentamimere (predarique lupos) e la cesura eftemimere (iussit) che sono le cesure fondamentali
dell’esametro latino.

In altre parole, il poeta colloca il verbo non solo visivamente al centro del verso, cioè con gli occhi noi lo vediamo, ma
lo sentiamo anche da un punto di vista ritmico, questa è una scelta.

Quali sono le altre due considerazioni? Da iussit dipendono le due proposizioni infinitive che praticamente cernitano il
predicato verbale, ma queste due proposizioni infinitive che sono composte da soggetto in caso accusativo (ovvero lupos e
potum). Se guardiamo che posizione occupano rispetto ai verbi: i predicati agli estremi e i soggetti delle infinitive ai
medi, ovvero è una struttura chiastica. *

I verbi si corrispondono agli estremi, i soggetti delle infinitive si corrispondono ai medi.

*chiasmo: A – B ; B1 – A1 (quando mettiamo gli esponenti è per indicare le funzioni diverse)


 v.131:

mellaque decussit foliis ignemque removit

Anche questo verso è formalmente curato: se il v. 130 è improntato alla struttura chiastica, il v. 131 si fa distinguere per un
ordo verborum, cioè una disposizione delle parole opposta, antitetica al chiasmo.

La struttura opposta al chiasmo, ovvero all’incrocio, è quella parallela: quest’esametro infatti presenta questa
struttura.

Qui il predicato verbale viene relegato in esplicit(removit), alla fine del verso e prima ancora l’altro predicato
verbale(decussit) si trova dopo il complemento oggetto.

Vediamo la sequenza: complemento oggetto + predicato verbale.

Removit : è un perfetto indicativo. Se vogliamo il paradigma di questo verbo: consideriamo che è un verbo composto (=
significa che è composto da un preverbio + verbo semplice) da re + moveo.

I verbi della seconda coniugazione sono unificati tutti dal fatto di avere come vocale tematica la ē lunga, questo non
potrebbe significare nulla per chi ignora le leggi dell’accento latino: la legge fondamentale dell’accento latino, la legge della
penultima, afferma che se la penultima sillaba è lunga l’accento cade sulla penultima, se la penultima è breve l’accento cade
sulla terzultima.

Se si pronuncia removére significa, secondo questa legge, che la penultima è breve; se uno pronuncia légere significa che la
penultima sillaba è breve e l’accento cade sulla terzultima, c’è questa geometria per quanto riguarda la collocazione
dell’accento sulle parole latine.

Perché è sbagliato pronunciare remóves? Perché quando removeo passa a perfetto: perché il tema dell’infectum, del presente
ha la o breve, se la o breve e uno pronuncia remóveo secondo la legge della penultima significa che la e che sta davanti alla
o è breve, senno pronunceremo removéo, è una parola quadrisillabica (re – mo – ve – o).

Quando andiamo alla seconda persona singolare ci sono re – mo – ves tre sillabe e qui la penultima non più la e di prima,
bisogna ricalcolare quella o che noi sappiamo essere breve e se pronunciamo remóves non intendiamo che è breve,
ma che è lunga secondo la legge dell’accento latino.

 v.133:
ut varias usus meditando extunderet artis
affinché l’esperienza con il meditare, con il riflettere producesse le varie arti

 Qui meditando è un ablativo strumentale


 Extunderet: propriamente battesse come si fa con i metalli perché extundo significa questo, ma traduciamo forgiasse
le varie arti
 Artis : il nominativo è ars, artis è appartiene alla terza declinazione ; artis va con varias e il caso di artis è accusativo
plurale, ma l’accusativo plurale dei nomi della terza declinazione non esce in -es?*

*Dobbiamo precisare che: nella terza declinazione confluiscono le due categorie principali:

 temi in consonante: che sono numerosissimi


 e temi in vocale ĭ breve: l’originario accusativo plurale dei temi in i breve in ottemperanza alla vocale tematica i
usciva in -is

Perché questo era un originario sostantivo che apparteneva alla declinazione dei temi in ĭ breve diverso cioè da consul,
consulis che è un sostantivo che appartiene alla declinazione dei temi in consonante.

Originariamente i temi in consonante all’accusativo uscivano in es, quindi consules ; i temi in vocale i uscivano in is,
quindi artis.

Questo fino a quando l’analogia non ha influito sui temi in i che è una categoria molto meno numerosa per cui
questi sostantivi, originariamente temi in i breve, presentano due desinenze all’accusativo plurale:
 una che è la loro propria originaria che vediamo qui
 l’altra è quella derivata dai temi in consonante

ecco perché abbiamo artes, accusativo plurale e anche artis


(ci sono altri casi di questi accusativi plurali in seguito)

 v. 136 : questo verso inizia con l’avverbio tunc che per quanto riguarda la struttura del brano è un avverbio molto
importante perché da questo momento è inaugurata dal poeta la serie delle invenzioni fatte dall’uomo, quindi è un
signum all’interno del brano che ci permettere di distinguere questo brano secondo unità tematiche.

Tunc alnos primum fluvii sensere cavatas


Allora i fiumi per la prima volta sentirono gli alni (gli alberi) incavati

Sensere: non nel senso di audio, ma nel senso di avvertirono, come qualcosa che stavano sopra di essi; sentio ha questo
valore
Alnos cavatas: gli alberi incavati, vuol dire alberi, tronchi di alberi dai quali sono stati ricavati le prime imbarcazioni,
quelle che in altre culture si chiamano pirone , imbarcazioni molto semplici, rudimentali

 sensere (v.136) e (v.145) : non sono naturalmente infiniti, come il movere di prima, ma questi sono perfetti
indicativi* di terza persona plurale.
*Il perfetto indicativo è un tempo che si distingue nella flessione verbale latina perché presenta desinenze sue proprie
che non sono comuni alle desinenze degli altri tempi. Tutte le desinenze degli altri tempi per quanto riguarda la forma
attiva sono:

I sing. -o/-m
II sing. -s
III sing. -t
I plur. -mus
II plur. -tis
III plur. -unt
Queste sono desinenze che hanno tutti i tempi dell’attivo del modo indicativo e del modo congiuntivo, il perfetto ha
desinenze più proprie che sono queste:

PERFETTO
I sing. -i
II sing. -isti
III sing. -it
I plur. -ĭmus*
II plur. -istis
III plur. -ērunt -ēre**

* ĭmus : mettiamo l’accento breve sulla penultima suggeriamo immediatamente come dobbiamo accentare tutti i
perfetti indicativi di tutte le coniugazioni perché questa i capita, essendo desinenza come penultima.

Quindi quando andiamo a coniugare il perfetto e arriviamo alla I plurale dobbiamo pronunciare, ad esempio, laudávimus,
non laudavímus come spesso si sente e questo in tutte le coniugazioni.

Come anche quando nel dativo e ablativo plurale della III coniugazione vediamo che escono in – ibus anche qui abbiamo
una desinenza bisillabica che capiterà sempre con penultima : qui vediamo che nella desinenza -ibus dobbiamo mettere
l’accento della breve sulla i perché quando andiamo a pronunciare consul, consulis non andremo a pronunciare consulíbus ,
ma consúlibus.

Questo perché la i è breve ed essendo breve la penultima l’accento cade sulla terzultima.

**erunt: desinenza bisillabica, ma sulla e va il segno della lunga; la stessa cosa vale per ere

In altre parole: la terza persona plurale del perfetto indicativo del verbo sum è fuerunt oppure fuere: amaverunt oppure
amavere ; senserunt o sensere.

Qual è la differenza tra le due? È una differenza di ordine stilistico, non morfologico né semantico significano sempre
perfetto indicativo terza persona plurale: dal punto di vista stilistico la desinenza in ere è la più antica e fra le lingue
indoeuropee è documentata nel tocario, lingua scoperta nel XX secolo insieme con l’ittita, questo per dire che è comune alle
altre lingue indoeuropee. Se il poeta la usa lo fa, oltre che per esigenze metriche, anche per un intento stilistico che è quello
di arcaizzare: l’arcaismo nella poesia epica e nella poesia tragica serve per conferire maggiore solennità al dettato
poetico, ha una funzione eminentemente stilistica.
 v.140:

Tum laqueis captare feras et fallere uisco


inventum et magnos canibus circumdare saltus;
si inventò,fu inventato il catturare le fiere con i lacci

 invenutm : è sottinteso est, anche qui come passus(deponente) di prima è la terza persona del perfetto indicativo
passivo di invenio che significa fu scoperto,fu ritrovato. Anche se questo verbo è al singolare risulta essere il
predicato verbale di tutti gli infiniti qui documentati: captare, fallere (ingannare, fu inventato l’ingannare) poi
circumdare (fu inventato il circondare grandi radure, magnus saltos, con i cani : altra tecnica di caccia) infatti il
soggetto di inventum est non è uno, ma sono tutti gli infiniti presenti che seguono.
 Circumdare : circumdo è un composto del verbo do il cui paradigma è do,das, dedi,datum, dare , questo sembrerebbe
un verbo della I coniugazione collegandolo a laudare, amare perché la a che vediamo è la vocale radicale.

Il verbo dare si divide in due parti:

 Da
 + la desinenza… quale differenza c’è quindi rispetto ad amare? Che cosa troviamo in più in amare rispetto a dare? La
sillaba in più che è la vocale a che svolge la funzione di vocale tematica.

Se noi andiamo a divedere amare nelle sue componenti avremmo:

 Am- : radice che troviamo in amor


 -a la vocale tematica* grazie alla quale differenziamo il verbo amo da amor che è sostantivo
 -re: desinenza

*Che cos’è dunque la vocale tematica? È quell’elemento che fa da raccordo tra la desinenza e la radice, una sorta
di cuscinetto. Quando un verbo ha la vocale tematica significa che appartiene alla coniugazione tematica : è chiamata così
perché ha questo elemento.

In dare questo elemento non c’è : abbiamo la desinenza che si attacca direttamente a un elemento che noi chiamiamo
radicale ,quindi attenzione a non confondere questa a che in dare svolge una funzione completamente diversa.

Viene si annoverato con laudare, amare etc. ma è un verbo atematico con la breve con a breve e questo è molto
importante: ovviamente non si sa questo quando si va a pronunciare do,das,dedi,datum, dare perché è una voce
bisillabica…come facciamo a capire che è una a breve? In parole bisillabiche l’accento cade sulla prima sillaba.

Ma se entriamo in composizione : circumdo e recitiamo in paradigma circumdo, circundas ,circumdedi, circumdati,


circumdare notiamo che l’accento cade sulla terzultima e non sulla penultima perché la penultima è breve.

Questo a differenza dell’italiano dove si è verificato il fenomeno dell’analogia: cioè questa finale in are ha condotto
inevitabilmente a uniformare questo verbo a tutti quelli della I declinazione.

I composti del verbo do hanno questa caratteristica:

 se il loro preverbio è bisillabico, come questo, ovvero circum(do) o venum(do) che significa do in vendita, quindi
venumdare, il verbo appartiene alla I coniugazione
 se invece il preverbio è monosillabico, perché di composti del verbo do ce ne sono tantissimi, ad esempio red (do), ab
(do), de(do) con(do), in(do), su(do) e vediamo il paradigma di reddo (reddo, reddis, redditi, redditum, rendere)
vediamo che è cambiata coniugazione e dalla I è passata alla III

Ed ecco la caratteristica del verbo do: se il preverbio è bisillabico esso segue lo stesso schema del verbo semplice
(dare) se è monosillabico (e sono i più) il verbo rientra nel sistema della terza coniugazione

 Notiamo in questa frase che funge da soggetto un infinito presente: può fungere da soggetto perché è un nome
verbale*

*Nome verbale ovvero significa che:

 Come nome: , può svolgere tutte le funzioni sintattiche che svolgono i nomi ovvero può essere soggetto, può essere
complemento oggetto: io amo il cantare, ecco un complemento oggetto; può essere complemento di specificazione il
desiderio di cantare, può essere un complemento di termine è una persona adatta a cantare; può essere anche un
complemento di mezzo con il cantare passo il tempo
 verbale: perché esprime una nozione, un’accezione verbale
Mentre lupus è semplicemente un nome, l’infinito è un nome verbale perché ha questa caratteristica in più dal punto di vista
semantico.

 v.142: pelagus è un grecismo lessicale perché in greco il termine è pelagos ed è stato traslitterato perfettamente in latino se
non che in latino la o breve finale di parola in sillaba chiusa si oscura ecco perché da pelagos > pelagus
 v.147: mortalis (come artis) è un accusativo plurale perché gli aggettivi della seconda classe appartenevano alla declinazione
dei temi in i breve,ecco il motivo per cui l’accusativo mortalis plurale alterna con mortales
 v.150 :
 ut è una congiunzione subordinante che introduce le due consecutive i cui i predicati verbali sono esset e horreret ;
 anche qui additus sottinteso est
 culmos è un accusativo plurale che significa stelo
 esset: uno direbbe è il congiuntivo imperfetto del verbo sum (essem,esses,esset: che io fossi, che tu fossi, che egli fosse ),
ma qui c’è un accusativo che dipende da esset… come fa il verbo sum a essere transitivo? Problema morfologico: allora si
pone la questione, esset oltre a essere congiuntivo imperfetto del verbo sum può essere il congiuntivo imperfetto (perché
siamo in presenza di una consecutiva) di qualche altro verbo? Il verbo è edo, non il composto di do, *

*Edo: ci sono due edo in latino


 un ĕdo con la ĕ breve ed è questo il cui radicale e
 l’altro ēdo è con la e lunga il cui radicale non è ed perché se andiamo a scomporre la parola è e, prefisso, do composto
(quindi verbo semplice)

Sono omografi e omofoni, ma hanno una formazione diversa:

 Ĕdo (edo,edis, ēdi*, esum,edere): io mango, quindi io consumo, corrodo

*ēdi: nel perfetto accade la stessa cosa vista in moveo dove la vocale radicale si allunga, cioè forma il perfetto attraverso
l’apofonia quantitativa, quindi edi con la e lunga

 ēdo (paradigma: edo,edis,edidi,editum,edere) : io emetto, do fuori, pubblico, ecco l’editoria, edere, pubblicare, edizione tutto
viene da qui

qual è l’imperfetto congiuntivo del verbo edo? È un verbo della III coniugazione… allora uno si domanda come si forma il
congiuntivo imperfetto in tutte le coniugazioni attive o passive?

Si forma dal tema dei verbi : se è della terza coniugazione sarà ed (radicale) e (vocale tematica) re (suffisso caratteristico
dell'imperfetto congiuntivo, originariamente il suffisso era se, la s si è rotacizzata edese > edere) e poi le desinenze personali. È
uno scherzo coniugarlo perché la sola variabile è rappresentata dalle desinenze personali, quel che precede è comune dalla
prima persona fino alla terza plurale che è edere e cambia solo m,s,t.. ederem,ederes,ederet, ederemus,ederetis, ederent

Ma come mai esses se la terza persona singolare ederet? Perché questo verbo è un verbo che presenta anche voce atematiche: non
tutta la coniugazione, alcune e una di queste voce è il congiuntivo imperfetto.

Accanto alla forma ederem,ederes,ederet vi è la forma atematica: questo significa che dobbiamo togliere la vocale tematica e
avremmo edsem …perché con la s e non più come prima? perché non c’è più motivo del rotacismo, perché venendo meno una
vocale la s originaria non si trova più in posizione intervocalica.

Ederem > ed(e)rem > edsem (non accade : edeses >ederes*)

*s in posizione intervocalica si trasforma in r


Ed – se – m
(radicale)(suffisso temprale) (desinenza)

Che accade? Accade la stessa cosa di haut, cioè la fonetica sintattica

Edsem > essem

La dentale sonora di ed viene a incontrarsi con l’aspirante sorda di se e abbiamo un assimilazione regressiva: ovvero la
spirante sorda si estende su questa dentale,ecco da dove nesce essem,esses, esset che è omografo e omofono del congiuntivo
imperfetto del verbo sum.

Capiamo quindi quanto la coniugazione atematica altera la struttura fonetica di una parola: basta che questa vocale
venga meno come accade nella coniugazione atematica che rispunta il vecchio suffisso del congiuntivo imperfetto che è se .
E che sia se lo capiamo dal congiuntivo imperfetto del verbo sum che è es (tema) se (suffisso)m desinenza: non è avvenuto
il rotacismo del verbo sum e non può avvenire perché mancano le condizioni fonetiche, la s non si trova in posizione
intervocalica.

 vv.155 – 159
Quod nisi et adsiduis herbam insectabere rastris 155
et sonitu terrebis aves et ruris opaci
falce premes umbram votisque vocaueris imbrem,
heu magnum alterius frustra spectabis acervum
concussaque famem in silvis solabere quercu.

Che se tu non taglierai (insectabere) l’erba con continui rastrelli, assiduamente, continuamente con i rastrelli e non
atterrirai gli uccelli con il fragore (sonitu) e non opprimerai, soffocherai l’ombra della campagna scura, opaca con la
falce…

In altre parole, che sta facendo Virgilio? Sta consigliando all’agricoltore in merito a delle operazioni che deve fare
continuamente affinché il suo campo non si riduca a qualcosa di non coltivabile e quindi non produca nulla e quindi
quando ha fame non ha da cibarsi delle ghiande.

Se andiamo a vedere la parte iniziale di questo brano noteremo che dal punto di vista tematico vi era una
situazione simile: le gru che minacciavano il raccolto, l’intiba, ovvero la cicoria, l’ombra degli alberi.

In altre parole, all’inizio vengono menzionate tutte quelle situazioni che potrebbero offendere un capo e così alla fine.

Questa è una tecnica poetica comune all’età augustea: ovvero che l’incipit viene richiamato nell’esplicit, che la
parte iniziale è richiamata nella parte finale.

Questa struttura che è stata individuata dalla critica tedesca è stata denominata : ringkomposition , che significa
componimento anulare a descrivere questa precisa tecnica. Anulare perché i motivi che si trovano all'inizio
vengono ripresi dal poeta alla fine: quindi possiamo chiamarla struttura anulare.

Insectabere e solabere: sono due voci verbali che indicano la stessa cosa di insectaberis e solaberis, in altre parole
cambiano le desinenze, re è una desinenza e l’altra alternativa è ris (insectabe – re , insectabe – ris ) ; è la seconda persona
del futuro semplice.

Le desinenze del passivo che vengono impiegate soltanto nei tempi semplici:

I sing. -Or -r
II sing. -ris, -re*
III sing. -tur
I plur. -mur
II plur. -mĭni
III plur. -ntur

*questa seconda forma è quella che vediamo qui in queste due voci verbali insectabere e solabere

Il morfema r è quello, se andiamo a dare un giudizio di massa, è quello che distingue le desinenze del passivo: lo
troviamo in tutte le forme eccettuata la II plurale mini.
2. Verg. georg. 1, 461-514.

È la parte finale del Libro I quando Virgilio parla del sole come astro premonitore: nel senso che, come il sole, rivela ai
contadini attraverso dei segni inconfondibili le variazioni del tempo atmosferico allo stesso modo il sole svolge funzioni
divinatorie quando Cesare fu ucciso, assassinato.

vv. 460 - 479


Traduzione: Infine (Denique) che cosa il vespero tardivo porti da dove il vento candide spingale nubi(notiamo la
collocazione delle parole) , che cosa mediti l’umido Austro, il sole a te darà il segni. Chi oserebbe sarebbe dire che il sole è
ingannevole? Quello anche spesso avverte che incombono invisibili tumulti e stanno fermentando il tradimento e guerre
nascoste; quello anche commiserò Roma alla morte di Cesare, quando avvolse il suo volto splendente di fosca ruggine e le
empie generazioni tenettero una notte eterna. Per quanto in quel tempo anche la terra, le distese del mare, le malaugurate
cagne e gli infausti uccelli davano pronostici. Quante volte vedemmo, abbiamo visto che l’Etna, fluttuando dalle rotte
fornaci, ribollì, ribollire sui campi del Ciclopi e rovesciò globi di fiamme e massi liquefatti! La Germania udì lo strepito
delle armi per tutto il cielo, le Alpi tremarono a causa di insoliti sussulti. Anche una voce fu percepita ovunque attraverso i
sacri boschi silenziosi, immane (igens; riferito a voce: notiamo la distanza tra aggettivo e sostantivo che nella traduzione
dobbiamo rispettare questa distanza) e furono visti nell’oscurità della notte (sub obscurum noctis) fantasmi (simulacra)
straordinariamente pallidi e bestie parlavano (cosa indicibile!) ;si arrestano i fiumi e le terre si aprono e nei templi mesto
(mestum) versa lacrime l’avorio e il bronzo suda.
 In questa sezione sono descritti da Virgilio, oltre ai fenomeni celesti riguardanti le trasformazioni, i segni del sole altri
eventi naturali che hanno accompagnato il cesaricidio.
 Da questa breve traduzione vediamo come la Natura è attraversata da monstra: neutro plurale di monstrum che non
significa mostro come noi siamo abituati a credere ovvero qualcosa di enorme che va contronatura. I monstra nel
linguaggio divinatorio: la radice è mon di moneo che significa ammonire, richiamare alla memoria. È come dire un
avvertimento che gli dèi danno agli uomini non parlando direttamente agli uomini, questa era la credenza, si servivano
di questa ars che fungeva da intermediaria tra la volontà degli dèi e gli uomini. Questa mostra erano poi
interpretati da collegi sacerdotali adibiti a questa funzione.

Considerazioni linguistiche
 v. 465: ille etiam exstincto miseratus Caesare Romam, ci sono due sinalefi
 v.469: Tempore quamquam illo tellus quoque et aequora ponti, altra sinalefe
 v. 480 et maestum inlacrimat templis ebur aeraque sudant, altra sinalefe

 v.461:
De /ni/que,/ quid /Ves/per/ se/rus/ ve/ha/t, un/de/ se/re/nas

 De/ni/que: è un dattilo ed è il primo metro


 Quid / ves : è uno spondeo , sono due sillabe chiuse quindi lunghe
 Per / se : è uno spondeo, il terzo piede
 Rus ve hat : interpretiamo questa sequenza di sillabe come un dattilo. Ma se andiamo a controllare la sequenza di
queste sillabe notiamo che : rus è una sillaba chiusa e quindi è lunga, del resto segue un'altra parola che inizia per
consonante quindi più chiusa di questa non c’è ; ve è una sillaba breve quindi lunga breve ; at si pensa sia sillaba
chiusa , tutti lo vedono, e quindi è lunga e ci si chiede come mai c’è un dattilo? E io lo leggo come un dattilo e si
risolve in questo modo: perché la t di vehat non appartiene a questa parola, ma appartiene a unde perché quando
una consonante, come nel caso della t, si trova in posizione intervocalica appartiene alla sillaba che segue.
Quindi quando noi andiamo a divedere in sillabe non dobbiamo dividere parola per parola , ma le parole
vanno tutte unite in modo da fare una catena sillaba ed è questo il flusso che dobbiamo divedere: da qui si
capisce che appoggiandosi la t alla sillaba che segue quella sillaba che prima era lunga non è più lunga, ma è una
sillaba aperta e siccome era prima una sillaba chiusa con vocale breve, appoggiandosi la t alla sillaba che segue, sarà
una sillaba aperta con vocale breve che consente la realizzazione del dattilo.

 v. 462: lo stesso problema lo notiamo al verso seguente notando la clausola esametrica (formata dal dattilo di quinta
sede, il quinto piede e il bisillabo finale) che è umidus Auster (dattilo + bisillabo finale) noteremo che se andiamo a
valutare:
 Umidus : dattilo dove U è lunga, mi è breve, ma dus se uno si ferma a valutare la parola in se è chiaro che dus è
sillaba chiusa e quindi è lunga e se così fosse non avremmo più il dattilo e il verso sarebbe anomalo
 Auster : bisillabo finale

U / mi / du /s Aus / ter

Si applica la stessa considerazione fatta prima: ovvero che la s nella divisione in sillabe di tutta la catena appartiene alla
sillaba che segue in nome del principio che consonante in posizione intervocalica appartiene alla sillaba successiva.
Questo è fondamentale per poter leggere in metrica correttamente e per poter dividere e individuare le figure metriche
che costituiscono l’esametro altrimenti si sbaglia se non si tiene in considerazione questo principio.

 Questo primo periodo che comincia con denique e finisce con dabit è costituito da tre proposizioni interrogative
indirette coordinate tra di loro per asindeto : ovvero manca un collegamento costituito da una congiunzione,
asindeto significa questo.La preposizione principale sol tibi signa dabit è relegata alla fine del periodo.

Quali sono le preposizioni interrogative indirette?


1. quid Vesper serus vehat
2. unde serenas ventus agat nubes
3. quid cogitet umidus Auster

Vediamo che tra loro non sono collegate da congiunzioni copulative ( come et,que,atque) sono giustapposte l’una
all’altra: quando capita questo si dice che la coordinazione è per asindeto, ovvero manca il sindeton, ovvero la
congiunzione.
 Attenzione al rapporto che corre tra l’aggettivo e il rispetto sostantivo: in Vesper serus e serenas nubes e umidus
Auster c’è questa sorta di parallelismo. Quando vediamo questo: ovvero quando l’aggettivo o segue direttamente o può
precedere è un aggettivo attributivo*

*In latino l’aggettivo ha una duplice funzione:

‡ può avere funzione attributiva: ovvero qualifica la cosa o la persona che designa
‡ oppure può avere valore predicativo

Osservando come sono tra di loro uniti gli aggettivi Vesper serus e umidus Auster noteremo che qualcosa di diverso
accade per quanto concerne il collegamento di serenas nubes: c’è uno stacco, c’è un forte iperbato.

Non si può tradurre da dove il vento spinga le serene nubi come se fosse un aggettivo attributivo: la posizione che ha
quest’aggettivo rispetto al sostantivo al quale è riferito ci suggerisce immediatamente che ha valore predicativo.
Da dove serene il vento spinga le nubi: facciamo attenzione a questo perché quando si vede aggettivo e sostantivo
vengono uniti senza riflettere sulla posizione che hanno entrambi gli elementi che ha aggettivo rispetto al
sostantivo.

Si chiama complemento predicativo: perché quando diciamo che un aggettivo ha funzione predicativo significa
che completa la nozione del predicativo verbale.

 Serenas nubes : le serene nubi di cui qui si sta parlando sono state imitate da Ugo Foscolo in A Zacinto dove sono le
nubi foriere del bel tempo . Espressione che è stata riecheggiata da Foscolo nel sonetto a Zacinto a v.6 e seguenti:
non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l’inclito verso di colui che l’acque cantò fatali, il poeta italiano
riecheggia la giuntura virgiliana serens nubes.
 Quis audeat solem dicere falsum : quis audeat è un congiuntivo potenziale (chi direbbe, chi potrebbe dire). Anche qui
abbiamo un complemento oggetto che è solem al quale è unito un aggettivo, diciamo meglio un participio da fallo che
svolge funzione di aggettivo

Notiamo la posizione: uno non tradurrebbe mai il falso sole dando all’aggettivo una funzione attributiva, chi oserebbe
dire il sole falso, solo complemento oggetto mentre falso complemento predicativo dell’oggetto.

Se togliamo falso dal testo sarebbe chi oserebbe dire il sole… rimarrebbe la frase sospesa: la funzione dell’aggettivo è
quella di completare il senso del verbo ecco perché si chiama complemento predicativo che completa il senso del
predicato verbale che altrimenti resterebbe sospeso.

 v.464:

Ille etiam caecos instare tumultus


saepe monet fraudemque et operta tumescere bella; 465
ille etiam exstincto miseratus Caesare Romam,
cum caput obscura nitidum ferrugine texit
impiaque aeternam timuerunt saecula noctem.

Quello (il sole) spesso avverte, richiama all’attenzione, ammoniste che incombono oscuri tumulti e prende forza,
(propriamente) si gonfia,prende corpo (tumescere) l’inganno , la frode, il tradimento(fraude) e guerre nascoste
 Moneo
‡ da questo verbo, da questo predicato verbale dipendono due proposizioni infinitive i cui predicati sono instare e
tumescere.
‡ è un verbo molto importante perché molto spesso viene tradotto o interpretato in un modo che non rende giustizia alla
radicale mon. Viene tradotto ammonisce, ma il suo primo significato è: richiamare alla mente è la stessa radice che
noi ritroviamo in monumentum e che altro è il monumentum se non un qualcosa di concreto che richiama o un
personaggio o un evento o un fatto accaduto.
‡ Moneo , quindi mon è corradicale di men (che noi ritroviamo nel sostantivo mens ,mentis) cambia solo la vocale
radicale: da una parte abbiamo la o e questo è un esempio di apofonia indoeuropea.

 Tumescere : è un verbo particolare come tutti i verbi che sono composti con suffisso sco.
Noi abbiamo un verbo semplice che è tumeo che significa sono gonfio perché i verbi in -eo della II declinazione
indicano una durata, uno stato permanente (rubeo, sono rosso ; vireo , sono verde) ; -sco invece indica un
divenire graduale nel tempo.
Che valore ha tumesco rispetto a tumeo? O rubesco rispetto a rubeo? O veresco rispetto a vireo? Che mentre i verbi in
eo esprimono uno stato permanente gli altri, formati dal suffisso sco, indicano un divenire graduale dell’azione.

La definizione verbi incoativi che spesso si da dei verbi che sono dotati di questo suffisso è errata: perché incoativo
significa verbo che è relativo all’inizio di un’azione, inco significa incominciare, non è l’inizio dell’azione che viene
tenuto in considerazione, ma il graduale divenire.

Rubesco non significa comincio a diventare rosso,ma divento rosso : nel senso che questo rossore che imporpora il viso,
per fare un esempio ,riceve, assume gradazioni diverse a seconda dell’emozione che il singolo ha provato. Quindi non è
tanto il momento iniziale, ma è un divenire progressivo.

 v.466 : exstincto Caesare è un ablativo assoluto ; exstincto : è formato da ex + stinguo che significa spegnere, annullare
quindi essendo stato annullato, spento in riferimento alla vita di Cesare

 v. 467

cum caput obscura nitidum ferrugine texit.

 Questa è una preposizione temporale, il cum + il modo indicativo esprime la preposizione temporale.
 Notiamo che tra la congiunzione subordinate cum e texit c’è una bella distanza: è un iperbato a cornice o a
inquadramento. In altre parole due elementi che sono sintatticamente molto stretti, molti congiunti (in questo
caso congiunzione subordinante e predicativo verbale) si trovano all’estremità dell’esametro: la congiunzione
all’incipit dell’esametro e il predicato verbale nell’esplicit dell’esametro

Quando capita questo l’iperbato è chiamato a cornice o a inquadramento perché racchiude tutte le parole che
si trovano all’interno dei limiti dell’esametro.

 V. 468:

impiaque aeternam timuerunt saecula noctem


(a) (b) (x) (A) (B)

Questo esametro a motivo della sua struttura è stato denominato esametro aureo: è un esametro geometrico che
presenta una struttura geometrica.

Quali sono gli elementi che colpiscono? Che l’esametro aureo è composto da 5 parole
(se si pensa che siano 6 perché c’è la congiunzione copulativa que non è così: perché la congiunzione copulativa que quando si
unisce alla parola che precede crea un nesso nuovo, una parola nuova):

 Una di queste parole è costituita da predicato verbale che occupa la posizione centrale: in altre parole è cernitato ai
suoi fianchi da due coppie, sia a sinistra che a destra.
 L’altra considerazione da fare è che queste due coppie sono sintatticamente collegate tra di loro, non sono parole che
esprimono ognuna un concetto. Quindi impia va con saecula e aeternam va con noctem, gli empi secoli temettero
una notte eterna.

In altre parole, l’arte di Virgilio di congegnare esametri di questo tipo consiste nel piazzare al centro il predicato verbale
e poi godere di un’ampia libertà nel collocare ai lati gli elementi che costituiscono le due coppie.

Se noi lo riprodurremo con uno schema fatto da lettere per poter visualizzare una struttura di questo tipo daremo:

 all’aggettivo impia la lettera a minuscola


 All’aggettivo aeternam che concorda con noctem la lettera b minuscola
 x : con la quale si intende il verbo che è stato collocato al centro

Poi vengono i sostantivi di riferimento con i quali gli aggettivi concordano


 Ora se impia abbiamo affidato la a minuscola a secula affideremo la A maiuscola per poter sottolineare questo
collegamento
 E a noctem che concorda con aeternam assegneremo la B maiuscola

In altre parole, c’è un parallelismo di aggettivi a sinistra e di sostantivi a destra, questo è ben visibile.

Oppure questo parallelismo lo notiamo anche nell’alternanza aggettivo – sostantivo: perché abbiamo impia poi
aeternam e poi secula, dall’altro lato abbiamo aeternam, poi tutte le altre parole, e poi noctem, ma con le lettere che
mettiamo per meglio forgiare la struttura siamo in grado di capire quale criterio ha seguito il poeta.

Il quale molto spesso si comporta così anche con strutture simili all’esametro aureo che è la struttura più congeniata,
artisticamente più elaborata dell’esametro dattilico

 v. 469 : tellus , tellūris in questo sostantivo ricordiamo che è ha la u lunga

 v. 469 aequora ponti : notiamo questa giuntura che è stato tradotto con le distese del mare. Quindi si tratta di un mare
tranquillo, di un mare non increspato da orde, da marosi: questo lo capiamo dal fatto che in aequora c’è lo
stesso radicale dell’aggettivo aequus,aequa,aequm che significa, più che giusto, livellato, poi da qui nasce il concetto
di equità. Gli equora non sono solo del mare, ma ci sono anche gli equora campi, ovvero le distese della campagna;
quindi, è un concetto che è applicato, questo della pianura, sia al mare che ai campi.

 v. 471 – 472 :

Quotiens Cyclopum effervere in agros


vidimus undantem ruptis fornacibus Aetnam,

Quante volte abbiamo visto l’Etna , traboccando dalle rotte fornaci*, ribollire (effervere) nei campi, pianure dei Ciclopi.

*Ma propriamente ruptis fornacibus è un ablativo assoluto con valore temporale, dopo le fornaci furono rotte:
abbiamo visto l’Etnia, rotte le fornaci, rifluire, poi nella traduzione mettiamo insieme undantem con ruptis fornacibus

 v. 470 : obscenaeque canes importunaeque volucres , notiamo il parallelismo aggettivo sostantivo: è un esametro
costituito da queste due coppie.

 v. 475: Virgilio continua una tradizione con l’espressione Alpes tremuerunt motibus insolitis : ovvero le Alpi
tremarono a causa di sussulti, di movimenti insoliti. Come mai i movimenti delle Alpi o di altre montagne in genere
sono insoliti? Perché si era diffusa una teoria fisica in base alla quale i monti non erano colpiti dai terremoti :
questa teoria fisica che si trova ancora in Plinio il Vecchio è fatta propria dal poeta attraverso l’aggettivo insolitus,
ovvero non abituale.
 v. 476: notiamo il rapporto tra vox e ingens, questo è un iperbato che addirittura va a finire nel verso successivo.
Sappiamo che quando un verso come senso trabocca nel verso successivo siamo in presenza di una figura
retorica nota come enjambement e vox e ingens non possono essere tradotti come una voce immane, ma nella
traduzione dobbiamo rispettare questo distacco. Quindi diffusamente(vulgo) fu udita anche una voce, attraverso boschi
sacri*, silenziosi**.

 *vediamo che nella traduzione c’è un aggettivo in più dobbiamo rendere il significato di lucos che significa bosco
rispetto a nemus che significa anch’esso bosco: ma lucos, che è propriamente la radura, notiamo che è corradicale
di lux,lucis è il bosco in cui sorgeva il tempietto dedicato alla divinità ecco perché è stato qualificato con
l’aggettivo sacro

 **silentis: ancora questa desinenza in -is che distingue i temi in i breve della terza declinazione, questo è un accusativo
plurale del participio presente silens, silentis
 Ingens: immane,mostruosa riferito a vox
 v.478:visa (sottinteso sunt) quando si vede il verbo video al passivo si pensa sempre al verbo sembrare, ricordiamoci
però che video ha anche un passivo. Videor è vero che può significare sembrare, ma possiamo trovare videor che
significa “sono visto”, del resto come nasce questo deponente? Qual è il suo atto di nascita? Nasce dal passivo di
video: perché videor significa sono visto, quindi appaio, quindi sembro: ecco da dove nasce questo significato.

Il visa che troviamo qui è il perfetto indicativo III persona plurale che concorda simulacra
 v.477: modis pallentia miris : il rapporto logico e morfologico è miris – moris che è un ablativo e queste due parole
sono staccate dal participio presenze pallentia.

Il poeta agisce così perché in latino le parole possono essere messe dove uno vuole: il poeta qui sta creando un nesso
sintattico, cioè far capire che pallentia è strettamente congiunto con miris e modis ed è cernitato dall’aggettivo miris e
dal sostantivo modis con cui questo aggettivo concorda.

Ecco perché è stato tradotto fantasmi straordinariamente pallidi, pallidi in modi straordinari: con straordinariamente
rendiamo l’ablativo di modo.Vediamo come la collocazione delle parole è anche una chiave d’interpretazione.

 v.478: sistunt amnes terraeque degiscunt questo è un chiasmo*, vediamo infatti che i predicati verbali fungono da
estremi e da interni abbiamo i sostantivi.

* Un chiasmo semplice lo abbiamo quando una sequenza di parole, almeno quattro, si trovano ad avere incrociati i
loro rapporti morfologici: incrociati perché chiasmo è una parola che deriva da una lettera greca che si chiama chi, che è a
forma di croce.

Quindi quando i predicati verbali si trovano ai lati e i rispettivi soggetti si trovano al centro, a contatto, questa è la
figura chiastica.

 il contrario è il parallelismo e si realizza, prendendo questo esempio, quando si inverte : amnes sistunt terraeque
degiscunt ,quindi soggetto – predicato verbale ; soggetto – predicato verbale.

Queste sono due figure che si riferiscono al così detto ordo verborum

 v.480 anche qui abbiamo un chiasmo

et maestum inlacrimat templis ebur aeraque sudant

 inlacrimat: predicativo verbale ; ebur : soggetto di questo predicato verbale ; aera : soggetto ; sudant : predicato
verbale. Abbiamo una struttura metrica uguale alla precedente.
 maestum : anche quest’aggettivo svolge funzione predicativa, è riferito a ebur e se non altro si trova a una certa
distanza da ebur. Infatti, traduciamo e afflitto, mesto, triste versa lacrime nei templi l’avorio (ebur) e i bronzi
sudano.Mesto versa lacrime e non il l’avorio versa lacrime dove la funzione è attributiva.
 templis : è un complemento di stato in lungo… ma la preposizione in che si costruisce con l’ablativo per esprimere lo
stato in luogo perché qui non c’è? Perché in poesia normalmente le preposizioni sono omesse: quindi vediamo
omessa in , ma anche ad o ex ,questa è una consuetudine del poeta epico, ma non solo, anche elegiaco.

I motivi sono da ricercare sempre nella lex metri : ovvero la legge del metro, quando un termine di per se riesce
a spiegare una funzione immediata non occorre mettere la preposizione.

Parentesi.A questo proposito si dice spesso che le preposizioni reggono l’accusativo, preposizioni come, ad o l’ablativo: si
è diffuso questo concetto di reggenza. La realtà è un’altra: è che originariamente erano le desinenze a svolgere questa
funzione.Quando si diceva eo Romam (vado a Roma) : si dice che è una particolarità perché non c’è la preposizione, mentre
in altri moto a luogo c’è la preposizione ; questo è un errore perché eo Romam è il costrutto più antico che abbiamo
perché basta l’accusativo -m per indicare che si tratta di un moto a luogo.Quando comincia a morire la desinenza in
latino? Quando si mette la preposizione per definire una funzione: le preposizioni originariamente erano degli
avverbi che per il fatto di trovarsi accanto ai verbi hanno finito con il far insorgere questo concetto del tutto
scolastico della reggenza.Annibal ad portas che viene tradotto comunemente Annibale è alle porte si dice che ad regge
l’accusativo significa propriamente Annibale là perché ad era un avverbio che indica una direnzione, là in relazione,rispetto
alle porte ; questa era l’interpretazione originaria.Infatti, la morte del latino comincia già nel latino classico quando le
preposizioni cominciano a sostituire quelle che erano invece le funzioni dei casi: perché bastavano le desinenze dei
casi a indicare la funzione svolta.

Quindi per -is di templis basta la is dell’ablativo per indicare questa funzione anche se l’ablativo è un caso
ricchissimo di funzioni.

vv. 481 - 497


Traduzione: il re dei fiumi, l’Eridano, proruppe travolgendo le foreste con la sua furiosa piena e trascinò per tutti i campi gli
armenti con le stalle. Né in quel medesimo tempo o le fibre mancarono di apparire minacciose nelle cupe viscere o il sangue
cessò di sgorgare dai pozzi e sulle alture le città non mancarono di riecheggiare durante la notte dell’ululato dei lupi. In altre
circostanze non caddero folgore (plurale) più numerose a ciel sereno né tante volte nefaste brillarono, arsero le comete (diri
comete) (perché è la credenza, e lo è tutt’ora che la cometa è foriera di tristi eventi). In conseguenza Filippi vide
nuovamente schiere romane scontrarsi tra loro con armi uguali; né fu cosa indegna per gli dei del cielo che l’emazia e vaste
pianure dell’Emo per due volte divenissero grasse, ingrassassero(pinguescere) con il nostro sangue, del nostro sangue.
Naturalmente verrà anche un tempo in cui in quei territori il contadino, smuovendo la terra con l’aratro ricurvo, troverà
corrosi, dalla scabra ruggine i giavellotti/ le lance o con i pensanti rastrelli urterà vuoti elmi e le immense ammirerà le ossa
nei sepolcri scavati.

Analisi linguistica
 v.482:

flu/vio/ rum/ rex/ E/ri/da/nus /camp | osque per omnis

Qui c’è una particolarità metrica perché fluvio è bisillabico e non trisillabico perché la vocale i trovandosi in iato;
quindi, davanti ad altra vocale si è consonantizzata ed diventata semivocale. Quindi anche se noi vediamo tre vocali è
uno spondeo perché la i ,che sta davanti alla o, è una semiconsonante.

 V. 484: tristibus aut extis fibrae apparere minaces, c’è la sinalefe


 V.492: Emathiam et latos Haemi pinguescere campos, altra sinalefe ; l’accento su et che è la prima sillaba dello
spondeo
 V. 495: exesa inveniet scabra robigine pila , altra sinalefe
 v. 486: ululantibus urbes qui troviamo l’armonia imitativa, la sequenza di queste u evoca il verso lucubre dei lupi
 alias è un avverbio e non è l’accusativo plurale del pronome femminile alius,alia,aliud
 v.488 : fulgura nec diri totiens arsere cometae, brillarono nefaste le comete è un complemento predicativo

 v. 497:
grandiaque effossis mirabitur ossa sepulchris
le immense ammirerà le ossa nei sepolcri scavati

Potrebbe essere un verso misterioso …come mai le ossa, dei caduti, su queste pianure sono immense, spropositate, non
misurabili? (perché immensus è formato da in privativo + metior che significa misurare)

Perché correva una credenza che gli uomini del passato avessero una struttura fisica più poderosa rispetto alle
generazioni successive, ecco il motivo, la ragione. Quindi a livello antropologico correva questa credenza tant’è che
i giganti che noi ritroviamo in ogni cultura occidentale e orientale sembrano prefigurare questo: un momento in
cui c’erano uomini giganteschi che sono andati via via scemando.Questa è la credenza che troviamo nell’aggettivo
immensus.

 v.484
tristibus aut extis fibrae apparere minaces

‡ Verso che merita di essere considerato perché qui è realizzata un’anastrofe: la congiunzione disgiuntiva aut
dovrebbe essere scritta prima di tristibus invece per effetto di questo fenomeno che riguarda la coniugazione delle
parole si trova dopo; è da interpretare aut tristibus extris.
‡ Extis :
 è un ablativo di luogo, la preposizione in non è espressa, come in questo caso, anche in altre casi, le preposizioni in
contesti poetici (molto spesso per esigenza del poeta o per esigenze poetiche non vengono espresse).
 Quest’ablativo extis ha come nominativo exta ,extorum è un neutro plurale e un nome della II declinazione ed
documentato soltanto nella forma del plurale : è un pluraria tantum. Il termine designa le viscere che sono
comprensive degli intestini, del polmone, del cuore e del fegato che l’organo più divinatorio ovvero l’organo che ha
seconda della posizione ha nella vittima può meglio di ogni altro organo dare informazioni in merito al futuro; siamo
naturalmente nel campo dell’ars divinatoria.
 Fibrae: le fibre sono un altro termine tecnico che sta ad indicare propriamente i filamenti, le vene e i nervi.

Questo per quanto riguarda la nomenclatura che distingue questo passo.

Per quanto riguarda la struttura di questo periodo:

Nec tempore eodem


tristibus aut extis fibrae apparere minaces
aut puteis manare cruor cessavit, et altae 485
per noctem resonare lupis ululantibus urbes.

Il periodo che inizia con Nec tempore (v.483) e finisce con ululantibus urbes (v.486) rileviamo che esso periodo risulta
costituito da tre proposizioni principali i cui soggetti sono nell’ordine: fibrae (v.484) cruor (485) e urbes(486).

Il predicato verbale è uno solo ed è cessavit , ma è da notare che questo predicato verbale nella struttura del periodo è
riferito a cruor ,concorda con cruor, ma dev’essere riferito anche altri soggetti.

In altre parole: sia fribreae,cruor,urbes hanno come predicato verbale comune questo verbo.

Quindi la traduzione, per riprendere le fila della struttura di questo periodo è la seguente:

Né (Nec) nel medesimo tempo (tempore eodem) o le fibre cessarono (ecco il predicato verbale che si riferisce a fibre) di
apparire minacciose nelle infauste viscere (tristibus extis) o il sangue cessò di zampillare dai pozzi e le città costruite sui
colli cessarono di risuonare durante la notte dell’ululato dei lupi.

 v.484 extis: le viscere, sono denominate tristibus non nel senso che siano tristi , ma qui l’aggettivo assume il significato
di infausto perché danno dei segni non molto ottimistici per quanto riguarda il futuro
 v.485 urbes :è qualificato dall’aggettivo altae , le alte città. Questo alte che è riferito a città non fa tanto riferimento
al fatto che le città in sé e per sé sono elevate, ma fa riferimento al luogo sul quale le città sono state edificate: ecco
perché traduciamo sugli alti colli, le città alte costruite sugli altri colli. Alte in quanto il terreno sul quale sono state
edificate non è un terreno pianeggiate, ma si trova ad una certa altezza, altrimenti la resa alte città non esprime molto la
situazione descritta dal poeta.
 v.466 : lupis ululantibus è una struttura onomatopeica perché :
 grazie alle tre laterali: lupus ululantibus
 e grazie alle tre vocali di timbro scuro lupis ululantibus

riproducono questo verso sinistro che si diffonde nel cuore della notte

 v.466 per noctem : è un complemento di tempo continuato


 v.491 e seguenti

nec fuit indignum superis bis sanguine nostro


Emathiam et latos Haemi pinguescere campos.

 Anche qui il periodo è formato da una preposizione principale che è rappresentata dal costrutto impersonale fuit
indignum : costrutto impersonale perché formato dalla III persona singolare del perfetto del verbo sum + l’aggettivo
neutro
 Traduzione: Né fu cosa insegna (superis) per gli dei del cielo che l’Ematia e le vaste pianure dell’Ero fossero grasse,
ingrassassero per due volte del nostro sangue
 Il poeta sta facendo riferimento alle battaglie che si svolsero a Filippi nel 42 a.C.
 Dal punto di vista sintattico da fuit indignum dipende l’infinitiva soggettiva (quando c’è un costrutto impersonale
nella sovraordinata segue sempre un’infinitiva soggettiva) che ha come predicato verbale pinguescere e che ha
come soggetti Emathiam e latos campos
 v.492 : Emathiam : l’Ematia è l’antico termine con il quale si designa la Macedonia ; Haemi: l’ Emo è anch’esso con
un nome geografico con il quale si designa la dorsale montuosa dei Balcani . Sono dei termini ai quali i poeta ricorre
per localizzare altri eventi luttuosi che si verificarono in quelle regioni.
 v.495:
exesa inveniet scabra robigine pila
(a) (x) (b) (B) (A)

 Esametro che si distingue per la collocazione delle parole: quest’esametro risulta costituito da cinque parole.
Quando il poeta costruisce un esametro di cinque parole le intenzioni sono sempre impiegate alla creazione di una
struttura elaborata e che lo sia è dimostrato dal fatto che queste cinque parole sono costituite da un predicato
verbale che occupa la seconda posizione e poi da altre quattro parole che stanno in rapporto morfologico e
semantico tra di loro.

Traduzione : Un agricoltore (il soggetto è agricola del verso precedente) troverà lance, giavellotti (pila) corrosi dalla
scabra ruggine.

Come vediamo ci sono due coppie che hanno tra di loro che hanno tra loro uno stretto collegamento morfologico:
‡ exesa pila: che l’oggetto dipendente da inveniet. Per quanto riguarda il participio exsa *che si trova a inizio verso
e il sostantivo a cui esso è legato che si trova in esplicit di verso notiamo che siamo in presenza di un iperbato a
cornice o a inquadramento, il che vuol dire che le due parole che incorniciano il verso si trovano l’una nell’incipit
e l’altra nell’esplicit.
‡ l’ablativo scabra robigine che si anilizza come un ablativo di causa efficiente, ovvero la causa esterna che
determina la corrosione di questi giavellotti consunti dal tempo

Non ha nulla a che vedere quest’esametro con l’esametro aureo solo per un motivo: perché il predicato verbale non
occupa una posizione centrale, ma per quanto riguarda il numero e l’organizzazione delle parole all’interno del verso
non è da meno questa struttura dell’esametro aureo.

 Lo schema di quest’esametro è axbBA : schema con il quale si vuole rappresentare i rapporti delle quattro parole sia
sul piano morfologico che sintattico
*Considerazione di ordine morfologico. Il participio exsa è un participio perfetto del verbo exĕdo, è un verbo composto
del verbo semplice ĕdo, con la e breve, che significa mangiare, poi in senso traslato significa corrodere, consumare,
logorare.

Il prefisso sta ad indicare che la corrosione è arrivata ai minimi termini rispetto al verbo semplice, questa è la funzione che
ha il preverbio.

Il verbo edo , ben inteso quello che significa mangiare, il cui radicale è ed ha questo paradigma: ĕdo, edis.ēdi, esum,
edere…che cosa dobbiamo notare? In questo verbo ha luogo l’apofonia così detta indoeuropea: ovvero l’apofonia di
tipo quantitativo perché la vocale radicale, ovvero la e, che è breve nel breve del tema del presente (o tema
dell’infectum, comunque vogliamo chiamarlo) , questa e si allunga nel tema del perfetto.

Quindi questo verbo forma il perfetto con l’allungamento della vocale radicale e siamo quindi in presenza di quel
tipo di apofonia che definiamo apofonia di tipo quantitativo.

Ma quando andiamo a pronunciare il paradigma del verbo semplice edo non ci accorgiamo certamente che al perfetto la
vocale si allungata perché la pronuncia di ĕdo (presente) , ĕdi (perfetto) non dà adito a cambiamenti, modificazioni.

Ma nel verbo composto tutto questo risulta percepibile dal paradigma di questo verbo compsoto: exedo (la penultima è
breve quindi accento sulla e), exedis, exedi (l’accento si sposta sulla penultima perché si è allungata), exesum (anche la e del
supino è lunga), exedere.

Anche per quanto riguarda il verso seguente:

 v.496

aut gravibus rastris galeas pulsabit inanis


(a) (A) (B) (x) (b)

 Abbiamo una struttura elaborata, anche questo risulta costituito da cinque parole
 Aut è la congiunzione disgiuntiva che non inseriamo nel computo delle parole.
 Abbiamo il predicato verbale pulsabit ,che occupa la quarta posizione, mentre le altre quattro parole stanno in
rapporto sintattico e morfologico e sono strettamente collegate in modo da riprodurre uno schema che è
rappresentabile con le lettere aABxb.

In buona sostanza: con le lettere minuscole a e b che si trovano agli estremi dello schema indiciamo gli
aggettivi che si riferiscono ai rispettivi sostantivi : gravibus> rastris ; inanis > rastris

Traduzione : o (il soggetto è sempre il contadino) urterà, colpirà (pulsabit) con i pesanti rastrelli i vuoi elmi.

 Inanis : è un accusativo plurale, è un originario tema i breve che presenta come desinenza dell’accusativo
plurale la forma is, ma anche la forma es; quindi accanto a inanis è documentata anche l’altra forma inanes

È un passo questo molto solenne e questi due esametri ci illuminano abbastanza: il poeta non è sciatto , pondera bene le
parole altrettanto bene le organizza all’interno dell’esametro.

Il punto culminante di questa descrizione è il verso seguente, il v.497 che è un esametro aureo, gli altri due stavano quasi
preparando con la loro struttura formale, questo ultimo esametro aureo.

 v.497
grandiaque effossis mirabitur ossa sepulchris
(a) (b) (x) (A) B)

 grandiaque: aggettivo + enclitica que


 Capiamo che è un esametro aureo perché rispetto agli altri, che pur di cinque parole che sono state esaminati dinanzi,
il predicato verbale occupa la posizione centrale: è stato collocato esattamente la censura pentemimere la così detta
censura che spacca, divide ritmicamente in due l’esametro dattilo.Quindi è un punto nevralgico del verbo e non a caso
il predicato verbale è collocato in questa posizione centrale.

La differenza rispetto agli esametri esaminati consiste nel fatto che il verbo qui divide le quattro parole in 2 + 2,
mentre prima la divisione era diversa ( o 3 +1 o 1+ 3)

I rapporti che le parole hanno tra di loro solo grandia > ossa e effossis > sepulchris
Quest’esametro è così rappresentabile: abxAB.

È un crescendo in buona sostanza dal punto di vista dell’elaborazione formale che il poeta realizza nei versi 495 –
496 – 497.

Dal verso 498 in avanti ha inizio l’ultima senza del Libro I delle Georgiche: sezione occupata dall’invocazione agli
dèi della patria.

È la preghiera finale in buona sostanza che viene elevata agli dèi della patria affinché consentano ad Ottaviano (dobbiamo
chiamarlo così perché in questo periodo non era ancora Augusto: lo sarà a partire dal gennaio del 27 a.C.) di salvare le sorti
di Roma.

Ottaviano quindi non è presentato come uno dei responsabili della Guerra Civile, questa è la posizione ideologica da cui
parte Virgilio, ma è presentato come uno che dovrà rimediare alle malefatte della guerra civile che è stata causata da altri:
secondo la visione virgiliana dai cesaricidi, ovvero dagli uccisori del suo padre adottivo.

vv.498 - 514
Traduzione: Oh dei patrii, Indigeti,e Romolo, e tu, madre Vesta, che proteggi l’etrusco Tevere e il romano Palatino, almeno
non impedite che questo giovane (si riferisce ad Augusto qui) soccorra una generazione sconvolta. Già abbastanza da tempo
abbiamo lavato con il nostro sangue gli spergiuri della città di Laumendonte (è la città di Troia); già da tempo (iam pridem)
a noi la reggia del cielo invidia te, o Cesare, e si lamenta che tu ti dia cura, ti dia pensiero di umani tronfi(triumphos
hominum) , dal momento che qui( cioè qui sulla terra )il giusto e l’ingiusto (no riferito a persone: la cosa giusta e la cosa
ingiusta) si sono invertiti: canto numerose sono le guerre nel mondo, tanto varii sono i volti dei crimini, nessun degno onore
ha l’aratro; i campi sono nello squallore dopo che sono stati condotti via i coloni, e le ricurve falci son battute per forgiare
una rigida spada. Da una parte muove guerra l’Eufrate, dall’altra la Germania; città vicine ricorrono alla armi dopo che sono
stati rotti i trattati tra loro; l’empio Marte incrudelisce per tutto il mondo come le quadrighe, quando si sono lanciate fuori
dai cancelli, accelerano di giri in giro e l’auriga, tendendo inutilmente le briglie, è trascinato dai cavalli e il carro non sente i
freni.

Analisi linguistica
 v.502: in Laome/ donte/ae (luimus periuria Troiae) ci sono due piedi e mezzo: Laome : dattilo ; Donte: spondeo ; Ae :
sillaba in arsi del terzo piede
 v. 505: quippe ubi fas versum atque nefas : tot bella per orbem, qui abbiamo due sinalefi
 v. 498:

Di patrii Indigetes et Romule Vestaque mater

Chi sono questi Indigites? O dei patri, poi Indigites è un altro appellativo: qualcuno ha ritenuto che si trattassero di divinità
native nel Lazio protostorico attraverso un’etimologia dove si riconosce ge in Indigites che richiamerebbe gigno però è una
pseudo etimologia che non ha alcuna base scientifica.

Le teorie sono diverse:

 secondo alcuni gli Indigites sarebbero stato gli eroi, nativi del luogo, gli eroi indigeni che dopo la loro morte furono
onorati come divinità nazionali: ad esempio Romolo dopo che morì non fu onorato con il nome di Romolo, ma con il
nome di Quirino.Secondo alcuni gli Indigites sarebbero uomini che per aver compiuto azioni degne di lode sono
stati poi divinizzati, elevati al rango di divinità.
 Altri sostengono che il termine fosse da riferire a dignità preposte a compiti specifici : ad esempio c’era una dea
chiamata Cunina, da cune che significa culla perché il suo compito era quello di vegliare sugli infanti che giacevano
sulla culla. In buona sostanza erano altre divinità che si aggiungevano a quelle già note con dei compiti minori
 Infine, l’altra teoria è quella che queste erano divinità che appartenevano al Lazio protostorico e che non erano state
importate dall’esterno

 v.505:
quippe ubi fas versum atque nefas: tot bella per orbem,

Notiamo il seguente il costrutto:


 È da sottintendere est.
 Traduzione: Dal momento che qui il giusto (fas) e l’ingiusto (nefas) si sono invertiti, hanno cambiato la loro
posizione
 Quippe ubi : funge da congiunzione subordinante che introduce una proposizione relativa di natura causale.

 v. 512 e seguenti

ut cum carceribus sese effudere quadrigae,


addunt in spatia et frustra retinacula tendens
fertur equis auriga neque audit currus habenas.

 qual è la funzione di ut qui? Ut introduce una similitudine nella quale i predicati verbali sono addunt , fertur,
audit.
 Mentre la posizione cum (…) quadrigae è una proposizione temporale e introdotta dal cum temporale
 Effudere: III persona del perfetto indicativo che alterna con effuderunt

In buona sostanza la similitudine che è stata costruita dal poeta è la seguente: la Repubblica Romana ormai a causa
dei disordini, a causa delle guerre che imperversano in ogni parte del mondo è paragonata a una quadriga che una
volta uscita dalle barriere (carceribus) si lancia sfrenatamente nella corsa lungo il circo.

Questa sua corsa è così sfrenata, è così violenta che l’auriga, che simboleggia naturalmente il rettore dello stato,
colui che governa lo stato, non è più in grado di governarla perché l’auriga è trascinata dalla furia, dalla foga dei
cavalli e il carro non obbedisce più ai freni che sono stati azionati.

Quindi la traduzione è : Come quando una quadriga si è lanciata fuori dalle barriere aumenta in velocità(addunt in
spatia ) e l’auriga tendendo vanamente le redini (1frustra 3retinacula 2tendens) è trascinato dai cavalli (fertur equis:
complemento d’agente, notiamo che anche qui manca la preposizione) né il carro riesce a sentire (audit) i freni
(habenas)

 Addunt in spatia: È un’espressione idiomatica della lingua circense: significa propriamente, il sostantivo spatium,
nel linguaggio circense sta a indicare la distanza di un giro che doveva essere percorso nella quadriga.

In buona sostanza nelle gare che avevano luogo nel circo gli spatia erano 7: ovvero i giri che le quadrighe
dovevano compiere erano sette.

Nel linguaggio del circo significa aggiungere spazio su spazio, quindi aggiungere velocità su velocità: è un
costrutto che è stato esemplato su addere ingradum che significa giungere passo dopo passo, qui significherà
aggiungere giro dopo giro, giro dopo giro nel senso che la velocità è aumentata vertiginosamente.
Commento
Questo brano appartiene alla sezione conclusiva del Libro I delle Georgiche: in esso Virgilio ha deplorato il Cesaricidio ,
ossia un evento dal quale poi sono scaturiti altri fatti luttuosi per la storia di Roma.

Il poeta non riuscendo a dare una spiegazione e non essendo nemmeno in grado di dare una interpretazione della tragedia
che sta dilaniando Roma con la propria fantasia immagina di travalicare la sua età e di immergersi in un’età futura dove
descriva un contadino che intento alla sua attività si imbatte con lance arrugginite, con elmi vuoti che testimoniano la
tragedia del passato.

Il poeta si rifiuta di avviare un processo di empatia con la realtà che lo circonda, preferisce fuggire dal momento presente e
immaginare un futuro di pace dove alla guerra possa essere contrapposta l’attività umana e il lavoro umano.

È appunto nel finale di questo I Libro che Virgilio pronuncia un giudizio assolutamente negativo sulla guerra e sulla sua
inutilità alla quale è contrapposta la pace, ma il dato interessante è che questa pace si fonda esclusivamente su un’ideale di
vita che secondo Virgilio è il lavoro dei campi.

Questo è il messaggio che si ricava dal finale del I Libro che è un finale tragico dove la natura sembra essersi ribellata
all’uomo, dove la natura presenta manifestazioni negative (terremoti, esondazioni).

Ma in complesso il poeta vuole lasciare una punta di ottimismo: ovvero la guerra può essere superata soltanto con la pace, la
tranquillità che è garantita dal lavoro dei campi.
3. Verg. georg., 2, 109-176
Brano che ha come oggetto la celebrazione dell’Italia

vv. 109 - 135


Traduzione: E certamente ogni terra non può generare ogni prodotto. Sui fiumi nascono i salici, nelle paludi melmose
nascono gli ontani, sui monti sassosi sterili nascono gli orni; i litorali sono rigogliosissimi di mirteti; infine, Bacco ama i
colli aperti, i tassi amano la tramontana e il freddo. Considera anche il mondo sottomesso dagli agricoltori più lontani, le
dimore orientali degli arabi e i geloni tatuati: le patrie sono divise dagli alberi. Soltanto l’India produce il nero ebano,
soltanto i Sabei hanno il ramoscello d’incenso. Che cosa dovrei dirti del balsamo che trasuda dal legno odoroso e delle
bacche dell’acanto sempre coperto di foglie? Che dovrei dirti dei boschi degli Etiopi biancheggianti di soffice lana e come i
Seri traggano con il pettine bioccoli dalle foglie sottili? Oh (che dovrei dirti : la stessa espressione che riprendiamo dalla
parte precedente) delle foreste che l’India più vicina all’Oceano produce, angolo estremo del mondo, dove nessuna freccia
con un lancio ha potuto superare la sommità dell’aria di un albero? E certamente quel popolo non è pigro nell’usare le
faretre. La Media produce succhi acidi e il sapore persistente del cedro, del quale nessun rimedio è più efficace, se talora
crudeli matrigne hanno avvelenato le coppe [verso che dev’essere espunto perché è un’interpolazione: e mescolarono le
erbe e parole nocive], ed espelle dalle membra gli esiziali velini. L’albero stesso è gigantesco e molto simile nell’aspetto
all’alloro, e sarebbe stato un alloro, se non sprigionasse per un largo tratto un profumo diverso; le foglie non cadono in
seguito ad alcuna raffica di vento, il fiore è assai resistente; i Medi curano con esso l’alito e le bocche maleodoranti e lo
usano come medicina per i vecchi asmatici.

 vv. 109 - 112

Néc/ ve | ró ter | raé * ferre ómnes ómnia possunt.


Flú/mi/ni|bús sálicés * crassisque paludibus alni 110
náscuntúr, steriles * sax os is mon | tibus orni;
litora myrtetis* laetissima; denique apertos

In questi tre esametri abbiamo la cesura pentemimere: censura più importante nell’economia ritmica dell’esametro dattilico.
È una cesura così importante perché l’esametro risulta essere diviso in due, emistichi semi versi i quali sono formati
ciascuno da tre sillabe in arsi, ovvero da tre ictus, poi nel senso emistichio sono ospitati gli altri tre ictus. Quindi è un taglio
per così dire geometrico che divide il verso in due esatte metà formate ciascuna da tre arsi, ovvero da tre sillabe che sono
incise dall’accento ritmico.

E la stessa cosa accade nei versi successivi, anche qui abbiamo la censura pentemimere, ma anche nel terzo verso. Il punto
ritmico che dà quasi un via dà quasi la possibilità di fare pausa che consente poi di arrivare nella lettura alla fine
dell’esametro. Quindi se orecchiamo questo ritmico si ripete nella maggior parte dei versi.

Traduzione: Ma nella terra dei Medi ricchissima di selve ( è possibile anche in questa interpretazione: ma nelle selve dei
Medi, terra ricchissima) ,né il nobile Gange e inoltre l’Ermo intorbidito dall’oro potrebbero contendere nei pregi con l’Italia,
non Battra né gli Indi e l’intera Panchea pingue di arene che portano incenso. Non hanno rivoltato questi luoghi tori spiranti
fuoco dalle narici dopo che vi furono seminati i denti dell’orribile serpente, né spuntò una messe di guerrieri ispida di elmi e
di fitte aste; ma li hanno ricolmati di biade rigogliose e l’umore Massico di Bacco; li posseggono ulivi e armenti fiorenti.Da
qui il cavallo da battaglia si avanza a testa alta nella pianura; da qui, Clitunno, bianche greggi e il toro, grandissima vittima,
spesso bagnati dalla tua sacra corrente, hanno guidato i trionfi romani ai templi degli dei; qui è una primavera continua e i
mesi diversi l’estate; il bestiame è gravido due volte l’anno, due volte l’anno l’albero è atto a produrre frutti.

Mancano invece le tigri rabbiose e la feroce razza dei leoni né l’aconito inganna gli infelici che lo raccolgono, né lo
squamoso serpente trascina per terra le sue gigantesche spire né si raccoglie per formare una spira con la sua tanto grande
estensione. Aggiungi tante città straordinarie e la fatica di opere, tanti castelli edificati dalla mano dell’uomo su rupi
scoscese e i fiumi che scorrono sotto antiche mura. O forse che dovrei ricordare il mare che la lambisce sopra, e quello che
la lambisce sotto? O dovrei forse ricordare i laghi tanto grandi? Te, oh grandissimo Lario, e te , o Benaco,che ti innalzi con
flutti e fragore simile a quello del mare? O dovrei ricordare i porti, la diga aggiunta al Lucrino e il mare infuriato con i suoi
grandi stridori, dove l’onda giulia risuona per un lungo tratto al rifluire del mare e la marea del Tirreno penetra nel lago di
Averno? Questa terra medesima mostra nel suo seno ruscelli d’argento e miniere d’oro e ricchissima fluì d’oro. Questa
produsse una razza forte di uomini, i Marsi, la gioventù sabella, il ligure abituato alla sofferenza, i Volsci armati di spiedo;
questa produsse i Deci, i Marii, i grandi Camilli, gli Scipiadi duri nella guerra, e te, grandissimo Cesare, che ora vincitore
nelle estreme regioni dell’Asia allontani l’Indo imbelle dalle rocche romane. Salve, oh grande madre di messi, o terra di
Saturno, grande madre di uomini: per te avanzo a cose di antica gloria e arte, osando dischiudere le sacre fonti, e canto per
le città romane un poema ascreo.

Commento:
 A questa sezione dai commentatori è solitamente assegnato come sottotitolo Lodi dell’Italia.
 Questa sezione che è stata estrapolata dal II libro delle Georgiche si apre con un esametro sentenzioso che è impostato
sul poliptoto omnes ominia :Nec vero terrae ferre omnes omnia possunt : non tutte le terre possono generare tutti i
prodotti.È un esametro sentenzioso con il quale il poeta vuole immediatamente sottolineare che non tutte le specie
arboree nascono nel medesimo posto.
 Parafrasando i versi iniziali dagli esempi che fa cita: i salici i quali nascono lungo i fiumi, sono citati gli ontani che
attecchiscono nella melma delle paludi melmosi, sui monti sassosi nascono gli orni e poi sono sterili perché poco
irrorati dalle acque, i litorali sono invece rigogliosi di mirteti, la vite (non dimentichiamoci che all’interno di questa
sezione dove figura quest’excursus geografico non dimentichiamoci che questa sezione è dedicata alla coltivazione
della vita), dice il poeta, ama i colli aperti che sono inondati dal sole, mentre i tassi (altra specie arborea) amano il
freddo e il vento di tramontana. In buona sostanza la varietà delle specie arboree è attribuita alla diversa qualità
dei terreni: è tutta una premessa questa che nell’economia dell’excursus ritornerà poi essere utile perché
vedremo in che funzione essa è stata concepita e con quali obiettivi
 Virgilio poi continua in questa sua digressione:
 soggiungendo che l’India si distingue per il nero ebano
 gli abitanti della regione di Saba (che oggi corrisponde allo Yemen) si distinguono invece per la produzione
dell’incenso (v.127)
 poi vengono citati altri popoli come i Seri, che sono stati identificati con gli attuali Cinesi, si distinguono nella
produzione della seta.
 La Media, chiamata così per il semplice motivo che era quella regione che si trovava tra i due fiumi Tigri e Eufrate,
quella che in greco è chiamata Mesopotamia, questa regione poi, a sua volta, si distingue per la produzione del cedro
che è una pianta molto salutare, una pianta benefica e tra l’altro efficacie nella cura delle difficoltà respiratorie.
Virgilio denomina questa piana a v.127 → abbiamo il genitivo felicis mali che al nominativo fa felix malum che
significa il benefico, salutare pomo; attenzione a non confondere mālum che significa appunto pomo con invece
mălum che è il neutro dell’aggettivo malus, mala, malum che significa male
 Perché Virgilio ricorre a questa premessa? Qual è la funzione di questi versi che fungono essenzialmente come
un’introduzione? Virgilio ricorre a questa premessa sulla diversa qualità dei terreni per preparare il lettore alla
descrizione dell’Italia, cioè la lettera che possiede le qualità migliori che altrove invece sono possedute solo
parzialmente.
Questa è la differenza che Virgilio vuole mettere in evidenza tra l’Italia che possiede il massimo di queste qualità
rispetto invece ad altri paesi stranieri che si distinguono uno per un'eccellenza l’altro invece per un’altra
eccellenza.

L’Italia è rappresentata come il luogo ideale che eccelle non solo per le sue caratteristiche naturali, ma anche per
la presenza di antichissimi monumenti che adornano bellissime città.

Quindi è lodata non solo in relazione al territorio e alla salubrità del territorio, ma è lodata anche in relazione
alle opere dell’uomo: quindi opere della natura e opere dell’uomo sono le eccellenze che distinguono l’Italia.

 Alla fine del brano Virgilio si sofferma a celebrare la civiltà italica e ad idealizzare, esaltare un passato glorioso…come
mai questo sguardo retrospettivo alle antiche civiltà che hanno abitato l’Italia? Anche qui la narratio virgiliana è
concepita in funzione di un intento ben preciso che è quello di contrapporre la gloria italica alle corruzioni, alle
nefandezze dell’Oriente governato da Antonia e Cleopatra. In altre parole: ritorna ancora una volta un motivo che in
passato è stato molto caro agli storici che è quello della contrapposizione tra un Oriente, che è incline alla lussuria,
alle effeminatezze e un Occidente sobrio, profondamente radicato nella virtù. Naturalmente questa piattaforma
ideologica scelta da Virgilio perché in questo momento del poema il mantovano sta svolgendo una propaganda politica
filo augustea a favore di Ottaviano. Quindi non è immune neanche il poeta dalle sollecitazioni di una politica che è
decisamente favorevole al partito di Ottaviano e addirittura tanta è la spinta che il poeta sente di questa propaganda che
arriva perfino a dire alla fine del brano che Augusto, ancora Ottaviano, è tornato dall’Oriente vincitore su una
molteplicità di popoli tra i quali figurano anche gli Indiani che non sono stati mai sottomessi da Ottaviano, quindi la
propaganda lo porta a delle esagerazioni che offuscano addirittura la verità storica.

Questo è il significato che in una sintesi scheletrica può essere dato al brano appena letto.

Quali sono i momenti fondamentali del brano? (in modo che il commento che si andrà a fare possa risultare più
agevole)

Il brano presenta nella sua struttura una tripartizione, le sezioni sono:

1. vv.109 – 135 → dove Virgilio presenta una varietà dei prodotti che dipende dalla natura dei terreni e poi sempre
all’interno di questa sezione presenta le diverse eccellenze che distinguono paesi stranieri
2. vv. 136 – 154 → ove è ospitato un elogio delle caratteristiche fisiche dell’Italia, quindi esaltazione dal punto di vista
geografico, orografico, idrografico dell’Italia
3. vv. 155 – 176 → è dedicata all’elogio dell’Italia in relazione alle opere effettuate dall’uomo: opere non solo materiali
come la costruzione di monumenti, ma anche res gestae oppure opere virtuose, attività virtuose com'è documentato dal
fitto elenco che Virgilio relega nella parte conclusiva tutti i nomi che hanno legato la loro immortalità a imprese che
riguardano la storia di Roma come ad esempio le imprese compiute da Publio Decio Mure (qui sono chiamati Deci
perché sono coinvolti sia il nonno, sia il padre che il nipote i quali si distinsero per avere fatto voto della propria vita
alla vigilia di battaglie importanti)
(Gli aspetti meritevoli di considerazione da un punto di vista linguistico)

Analisi linguistica

 v.109 → notiamo il poliptoto omnes omnia


 v. 112 → litora myrtetis laetissima , i litorali fecondissimi di mirteti :
 myrtetis è un ablativo di abbondanza che dipende da quest’aggettivo*
 *litora: propriamente è un originario participio letus, leta, letum come dichiara il suffisso to (questo è un suffisso che
indica un originario participio) letus che naturalmente non significa lieto, felice, gioioso che è uno sviluppo semantico
successivo di quest’aggettivo participio. In letus vi è il medesimo radicale che vi è in laetamen che significa concime,
letus propriamente significa concimato cioè un terreno che è stato messo nelle condizioni di essere fecondo. Sia ha
questo participio aggettivo, ovvero letus, sia il sostantivo letamen sono tecnicissimi della lingua agricola
 v.113 → denique apertos Bacchus amat collis : Bacco ama i colli, ovvero i luoghi aperti (apertos collis).
 Dobbiamo notare che Bacchus sta per vitis : siamo in presenza di quella figura retorica nota come metonimia
mitologica, cioè è un cambio di nome che attinto dalla mitologia ;per cui Volcanus o Vulcanus è sinonimo di ignis
(fuoco), venus è sinonimo di Amor e Baccus è sinonimo di vitis.
 Collis è un accusativo plurale e conserva una desinenza che era caratteristica della declinazione dei temi in i breve

 v. 114 → Aspice et extremis domitum cultoribus orbem , traduzione: considera anche (aspice) il mondo, la parte del
mondo soggiogata, domata da agricoltori che vivono alle estremità, in regioni estremi. Cultoribus è un dativo d’agente
che dipende dall’accusativo del participio perfetto *domintum il quale a sua volta concorda con orbem

*paradigma: domo, domas, domui, domitum, domare: è un verbo che appartiene alla I coniugazione, ma esibisce, rispetto ai
paradigmi normali, consueti, rituali dei verbi della I coniugazione l’abbreviamento della a nel tema del perfetto e nel tema
del supino: in altre parole non abbiamo né domavi né domatum. Se abbiamo domitum è dovuto al fatto che la a è
abbreviata: questo è un esempio di apofonia latina, il tema è doma con la breve al quale aggiungendo il tema del supino tum
questa a breve finale di parola diventa interna, si trova in sillaba aperta ed ecco il motivo per cui cambia in i breve, anche
qui possiamo invocare come spiegazione il fenomeno dell’apofonia latina).

Notiamo anche qui che l’esametro è molto elaborato: vi son le solite cinque parole prescindendo dall’et intensivo che
ha il valore di anche. Questo esametro è elaborato dal punto di vista formale come è sottolineato dal fatto che è formato
da cinque parole con il verbo questa volta che sta in prima posizione e poi abbiamo le solite due coppie formate
da elementi che sono sul piano morfologico strettamente connessi tra di loro. Facciamo riferimento a:
 extremis cultoribus
 domitum orbem

se andiamo a rappresentare con uno schema la struttura di questo esametro esso esibirà questa sequenza:

Aspice et extremis domitum cultoribus orbem


X a b A B

Attenzione a come leggiamo in prosa Aspice con l’accento sulla terzultima: questo è un composto di specio (ad +
specio) e anche qui scatta l’apofonia latina aspicio , aspicis (II persona singolare) ovvero quando la parola diventa
trisillabica l’accento cade sulla vocale apofonica che è la i breve.

(Attraverso questo testo ripassiamo, rafforziamo le nozioni impartite a Mod. 2)

 v. 117 → Sola India nigrum fert hebenum , traduzione : solo l’India produce il nero ebano. Richiamiamo l’attenzione
alla terza persona singolare del presente indicativo del verbo ferro che è fert : notiamo che la desinenza di terza persona
singolare ,che è la t, è collegata direttamente alla radice fer senza alcun “cuscinetto vocalico”, senza alcuna
intermediazione vocalica o vocale tematica. Questo perché il verbo fero in alcune sue voci segue la coniugazione
atematica ovvero prima della vocale tematica.

Se ripercorriamo come esempio la coniugazione del presente indicativo possiamo meglio renderci conto di questa
caratteristica che ha il verbo fero insieme con altri pochi verbi latini :

PRESENTE
I sing. fĕro
II sing. fĕrs
III sing. fĕrt
I plur. fĕrĭmus
II plur. fĕrtis
III plur. fĕrunt

fĕrs :segue la coniugazione atematica perché la s, come la t della terza, è collegata allo stesso modo con il radicale senza
vocale tematica. Ma quando arriviamo alla I plurale abbiamo ferimus che invece segue la coniugazione tematica perchè se
andiamo a scomporre questa voce negli elementi che la costituiscono abbiamo: fer (radicale) i (vocale tematica che
distingue il presente indicativo) e mus (desinenza di I persona plurale) Ma nella seconda persona plurale ecco che ritorna
fertis ove la desinenza tis è collegata direttamente con il radicale e poi la terza persona plurale è tematica perché abbiamo
ferunt ovvero fer + o > u + (poi questa u che nient0altro è che l’oscuramento di una precedente o breve, quindi feront ) nt
(che è desinenza di terza persona plurale.

La grammatica chiama solitamente questi verbi irregolari, ma propriamente sono verbi atematici.

 v.118→ Quid tibi (…) , traduzione: che cosa dovrei, potrei riferirti. (Quid) Referam è un congiuntivo potenziale che si
può tradurre anche con il futuro “che cosa potrò riferirti”.
 v. 120 → Quid (referens) nemora Aethiopum molli canentia lana,
 quando passiamo a questo verso che inizia con il solito pronome interrogativo che abbiamo visto a v.118 è
naturalmente, sottintendere referam , quindi : che cosa potrei riferirti dei bianchi boschi (nemora canentia) degli
Etiopi dalla morbida lana. Quindi abbiamo un’ellissi di questo verbo che è già stato prima menzionato.
 Richiamiamo l’attenzione al participio presente canentia (da canens , canetis: il participio presente funziona dal punto
di vista della declinazione come un aggettivo della I classe) che concorda che concorda con memora. Esistono due
canens :
 uno è quello del verbo caneo che è quello che ci interessa e qui documentato che significa “sono bianco” è un
verbo in -eo , della seconda coniugazione che, definisce uno stato. Ricordiamo che i verbi in eo definiscono uno
stato : caneo (sono bianco(, rubeo (sono rosso), frigeo (sento freddo, nel senso che è un sensazione prolungata e
così via)
 l’altro verbo che ha come participio presente una forma perfettamente identica è il verbo cano, canis che significa
canto.

Attenzione a : caneo, canes, canui, canere (è un verbo della II coniugazione) e attenzione a cano, canis, cecini, cantum,
canere (è un verbo della III coniugazione)

Dal verso 120 e seguenti…


 v.121→vellera(que) attenzione a questo sostantivo, questo è un tema neutro della III declinazione che al nominativo
singolare esce in – us come sidus, quindi come sidus fa sideris, vellus fa velleris

 la preposizione di v.121 è una proposizione interrogativa indiretta che dipende sempre da referam

Quid nemora Aethiopum molli canentia lana, 120


velleraque ut foliis depectant tenuia Seres?

In questa coppia di versi il referam sottinteso determina l’accusativo nemora e la preposizione interrogativa indiretta ut
depectant.

Quindi la traduzione sarà: che dovrei dirti dei bianchi boschi degli Etiopi dalla morbida lana e come i seri ( è un popolo
che appartiene all’estremo Oriente identificato con i Cinesi) tolgano dalla foglie i leggeri bioccoli.

Fa riferimento qui il poeta alla raccolta della seta dalle foglie che avviene secondo una tecnica analoga a quella che
viene applicata per raccogliere il cotone: ecco come accade nel verso precedente.

Il verbo è depecto ed è un verbo denominativo che deriva da pecten, pectinis che significa pectine, quindi de è il
prefisso separativo: come con un pettine tolgano via dalle foglie (foliis : che è un ablativo di separazione) i
leggeri,sottili bioccoli.

 v. 122 e seguenti
Aut 1quos 5Oceano 4propior 3gerit 2India lucos,
extremi sinus orbis, ubi aëra vincere summum
arboris 1haud 2ullae iactu potuere 3sagittae? -

Ancora una volta è da sottintendere referem, ma sta volta anche quid.

Traduzione: (,oh che cosa dovrei raccontarti, dirti, sottinteso, Oh quindi referam) dei boschi sacri (lucos : è il
complemento oggetto che significa boschi sacri che è il termine di riferimento della preposizione relativa quos gerit )
che l’India più vicina all’Oceano produce( 1quos 5Oceano 4propior 3gerit 2India) angolo dell’estremità del
mondo(extremi sinus orbis) (sinus: nominativo, termine della IV declinazione che contestualmente funge da
apposizione di India. Sinus è riferito a India), dove (ubi) nessuna freccia (1haud 2ullae 3sagittae : hude ullae corrisponde
a nulle) (qui abbiamo ullus al plurale perché ullus in latino si declina al plurale, ma in italiano no quindi dobbiamo
tradurre nessuna freccia) con un lancio(iactu)ha potuto (potuere) superare, vincere (ora attenzione a quest’immagine:
aëra summum arboris* che significa:) la sommità dell’area di un albero.

*aëra summum arboris : Anziché il poeta parlare della sommità dell’albero e dire che nessuna freccia è riuscita a
superare il vertice dell’albero usa come immagine l’aria che si trova sul vertice dell’albero, questa è l’immagine dove:
nessuna freccia con un lancio ha potuto (potuere : III persona del perfetto indicativo)superare la sommità dell’aria , il punto
di alto dell’aria (aera summum) di un albero (questa è la traduzione letterale)

Se vogliamo rendere in modo più libero: che non ha potuto superare la cima aerea di un albero, questa è anche un’altra
traduzione accettabile.

Dal punto di vista morfologico:


 ubi : è una proposizione relativa, ubi potuere che qui è introdotta da un avverbio relativo
 aëra: è un grecismo morfologico, nel senso che è un termine greco che viene trasportato in latino con la
medesima desinenza greca. In altre parole, si tratta dell’accusativo singolare della III declinazione greca che
ha come desinenza la a, in greco si chiama alfa. Il segno che troviamo sopra la ë è il segno della dieresi e ci dice
che questa parola è trisillabica: in buona sostanza ae non fa dittongo tant’è la lettura metrica di quest’esametro è la
seguente:

èxtre (S) | mì sinus (D) | òrbis, u (D)| bi àëra* (D) | vincere summum
*qui avviene la sinalefe: la i non conta nulla, quindi l’accento va sulla e non sulla i nonostante sia la prima sillaba del piede.
Dal punto di vista prosodico aëra è il dattilo che noi dobbiamo considerare.

In altre parole, i primi quattro piedi sono costituiti da uno spondeo e da tre dattili e non dimentichiamoci la
sinalefe tra bi e aëra , di conseguenza l’ictus cade sulla a di aëra

Questo albero così gigantesco oltre il quale i pur validi arcieri dell’India non riescono a superare è la Sicus Indica
ovvero il fico d’India in buona sostanza che era un albero altissimo.

 v. 126 e seguenti
Media fert tristis sucos tardumque saporem
felicis mali 1quo 2non 5praesentius 6ullum,
10
pocula 5si 6quando 7saevae 8infecere 9novercae
[miscueruntque herbas et non innoxia uerba,]
4
auxilium 3venit ac membris agit atra venena. 130

Traduzione: La Media (è un’altra regione) produce ( fert: ritorna ancora questa voce verbale commentata prima) i
succhi amari, aspri e il sapore persistente ( tardum: perché è un sapore che tende a rimanere nella bocca) del pomo
salutifero ( felicis mali : questo pomo salutifero di cui abbiamo già parlato è il cedro) del quale (quo) non si presenta
(non venit) un rimedio (auxilium) più efficace (quindi è un secondo termine di paragone) (non praesentius ullum :
praesentius ullum è un comparativo neutro con aggettivo indefinito sempre neutro che ha come termine di riferimento
auxilio a v. 130) quando se (si) tavolta (quando) crudeli matrigne hanno avvelenato (infecere : III persona plurale del
perfetto indicativo del verbo inficio, composto di facio) tazze, coppe (pocula).

Per quanto riguarda venit che può essere un presente o un perfetto perché sono omofoni e omografi, la metrica ci dice
che ci tratta di un presente.

Infatti se andiamo a scandire il verso risulterà:

àuxili (D) | ùm venit(D)| àc memb (S)| rìs agit (D) | àtra venena.

Quindi se um venit è un dattilo composto da una lunga (um) e da due brevi (ve / nit) ricaviamo che questo è un presente
indicativo).

Traduzione: (e agit sempre l’efficacia di questo cedro) caccia via dalla membra (membris : ablativo di allontamento) i
veleni esiziali, i neri veleni*

*atra venena : nero naturalmente è un aggettivo per così dire espressionistico nel senso che il nero richiama
immediatamente il colore della morte. Perché può essere tradotto, quest’aggettivo che si distingue per la sua accezione
cromatico, con esiziale, nefasto.

[miscueruntque herbas et non innoxia uerba,]

 poi abbiamo qui in mezzo quest’esametro che si trova germinato fra le parentesi quadre.
 […]: Questo simbolo sta ad indicare che quest’esametro, che è Virgiliano, lo si torva in un altro passo delle Georgiche,
è stato interpolato, da qualcuno, o da uno scriba o da un dotto, è stato inserito in questo passo per il semplice motivo
che in questo passo si sta parlando di una situazione analoga a quella in cui si trova il verso.
Siamo a Georgiche 3 v. 333 per il fatto che si presenta qui una situazione contestuale analoga a quella di
Georgiche 3 283 dove si trova l’esametro qualche scriba ha pensato di interpolarlo.

280 Hic demum, hippomanes uero quod nomine dicunt


Pastores, lentum destillat ab inguine uirus,
Hippomanes, quod saepe malae legere nouercae
Miscueruntque herbas et non innoxia uerba.
Sed fugit interea, fugit irreparabile tempus,
285 Singula dum capti circumuectamur amore.

 Traduzione dell’esametro espunto: E (il soggetto è sempre noverce , ovvero le matrigne) se qualche volta (crudeli
matrigne) hanno infettato tazze e hanno mescolato in esse erba e parole non innoque (abbiamo la doppia litote : parole
infauste, malauguranti. La doppia negazione, parliamo di doppia litote è quella che troviamo in non e nel prefisso
negativo in nel composto innoxia)
 Perché deve essere interpretato questo verso debba essere considerato un’interpolazione? E quali sono le prove
filologiche delle quali disponiamo per poter arrivare a questa conclusione? Perché quest’operazione, fatta da non so
chi, a un certo punto della tradizione manoscritta è da considerare un’operazione illegittima?

1. Innanzitutto, dobbiamo dire che nel Codice Mediceo che è il più importante,è il più antico della tradizione
Virgiliana questo verso non figura in questo punto del poema, questa è la prima considerazione da fare
2. La seconda: Virgilio pur dipendendo sia per quanto riguarda gli stilemi, sia per quanto riguarda sotto molti
rispetti i contenuti, da Lucrezio non è ad uso ripetere, come fa Lucrezio, gruppi di versi all’interno del De
Rerum Natura. In Lucrezio vive per così dire una certa formularità : noi troviamo medesimi versi che ricorrono
in più parti del poema, questa è una caratteristica che il poeta didascalico ha ereditato indubbiamente dalla
formularità omerica in una certa misura è tributario di questo modo di fare, di procedere verso i poemi omerici.
Ma nulla di tutto questo accade mai in Virgilio : Virgilio non ricorre mai alla ripetizione dei versi.

Quindi per arrivare a una conclusione attraverso la quale noi possiamo interpretare come del tutto illegittima
l’operazione che è stata compiuta da questo conosciuto scriba o doctus disponiamo di due argomenti:

I. Argomento filologico: ovvero che nel codice Mediceo non vi è presenza di questo verso in questa parte del
libro II
II. Argomento che chiama in causa l’usus scribendi di Virgilio ovvero il suo stile: il suo stile è estraneo alla
ripetizione di versi.

Ecco le ragioni per le quali gli editori lo hanno nella maggior parte dei casi, all’unanimità espunto.

Le parentesi quadre sono il segno convenzionale in filologia dell’espunzione.

Ecco, quindi, le ragioni alle quali noi ci dobbiamo appellare per considerare inopportuna l’operazione che qui è
stata fatta.

 v. 129 → membris è un ablativo di allontanamento


 v. 131 → Ipsa ingens arbos faciemque simillima lauro : l’albero stesso gigantesco e molto simile (simillima)
all’alloro nell’aspetto ( faciem: accusativo di relazione). Qui arbos è citato come tema in spirante e non come arbor
come solitamente si trova a partire da Cicerone.
 v. 132 e seguenti abbiamo un periodo ipotetico misto:
et, si non alium late iactaret odorem,
laurus erat

si iactaret: è la protasi dell’irrealtà del III tipo espressa con il congiuntivo imperfetto, mentre erat è la podosi. Quindi da
una parte il congiuntivo dall’altra il modo indicativo: è un periodo ipotetico misto con protasi della irrealtà e apodosi
dell’oggettività.

 Il v. 136 può essere interpretato in due modi e vanno bene entrambi:

Sed neque Medorum silvae ditissima terra

 Alcuni intendono silvae come un nominativo plurale e ditissima terra come un’apposizione con attributo di
silvae, in altre parole intendono così: Ma né le selve dei Medi terra richissima
 L’altra interpretazione invece è che terra è soggetto e silvae è genitivo di abbondanza dipendente da ditissima che è
un attributo di terra : Ma né la terra dei Medi richissima ( ditissima che si può costruire con il genitivo) di boschi
(silvae è un singolare collettivo , è un genitivo di abbondanza)

 v.138→ (v.137 nec pulcher Ganges atque auro turbidus Hermus) laudibus Italiae certent, non Bactra neque Indi,
certent è predicato verbale o di silvae o di terra a seconda che sia considerato l’uno o l’altro come soggetto, è predicato
verbale di Ganges e di Hermus turbidus.

Quindi la traduzione sarà: né le selve dei Medi, nè il maestoso Gange, né l’Ermo torbido d’Oro potrebbero gareggiare
(certent : congiuntivo potenziale) con Italia (si costruisce con il dativo questo verbo certo) nelle lodi (ablativo di
limitazione).

 Attenzione a questi due verbi:


 v. 141 → Invertere : III persona plurale del perfetto indicativo
 v. 144 → implevere : III persona plurale anch’essa del perfetto indicativo

 v.148→ Romanos ad templa deum duxere triumphos.


 Traduzione: Il soggetto sono greges (le greggi) : le greggi condussero, guidarono i trionfi romani (notare l’iperbato
a cornice Romanos triumphos: uno in incipit e l’altro in esplicit di esametro) ai templi degli dei.
 Facciamo attenzione a deum che è un arcaismo morfologico : è l’originaria desinenza del genitivo plurale della
declinazione latina e non diciamo né I…IV , è l’originaria desinenza plurale di tutto il genitivo latino.

Deum > che deriva questo um dall’indoeuropeo om con la o lunga, questa era la desinenza. E om con la o lunga
nel sistema fonologico del latino che vuole che le vocali lunghe in sillaba chiusa si abbrevino eccettuate quelle
vocali che sono seguite dalla s , tutte le altre qualsiasi sia la desinenza ( o m, r,t,l ) si abbreviano tutte. Da ōm si è
passati ad ŏm e poi si è passati all’oscuramento della o breve finale di parola in sillaba chiusa.

Questa è la nascita del gen. plurale in um e il passaggio è il seguente:

ōm > ŏm > um

La desinenza recensiore , ovvero quella più recente, invece è -rum ,ovvero deorum.

 v. 152 → (v. 151 At rabidae tigres absunt et saeva leonum) semina, nec miseros fallunt aconita legentis : le tigri
rabbiose mancano e la razza (semina : qui è impiegato traslatamente) crudele dei leoni né la conito (pianta velenosa)
inganna i miseri , le persone infelici (miseros : aggettivo sostantivato ; legentis: accusativo plurale, come abbiamo visto
prima per collis ed è un tema in i breve della III declinazione* che è da riferire a miseros) che lo raccolgono.

*III declinazione: gli aggettivi della III declinazione sono stati inquadrati nel sistema della i breve
 v. 158
 Traduzione : (est)An mare quod supra memorem, quodque alluit infra? Forse che (sottinteso est) (An : introduce
un’interrogativa retorica) dovrei ricordare (memorem: congiuntivo dubitativo) il mare superiore, che è sopra e quello
che lambisce, che bagna sotto(infra)?
 A quali mari si sta riferendo qui Virgilio nella sua descrizione fisica dell’Italia?
 Il mare superiore è il Mar Adriatico
 Il mar inferiore è il Mar Tirreno

Quindi uno è un mare Settentrionale e l’altro invece è un Mar Meridionale.


Nelle cartine geografiche cinquecentesche dove rimangono le espressioni latine entrambi sono designati così:
Mare(neutro) Inferiorius (Mar Tirreno) e Mare Superius (Mar Adriatico).

 v. 159→ Anne lacus tantos? Te, Lari maxime, teque ; anche qui abbiamo l’ellisse di memorem. Traduzione : forse che
dovrei ricordare laghi tanto grandi? , quindi segue qui il poeta lo stesso procedimento dell’ellissi che ha seguito prima a
proposito di referam.

Il procedimento morfologico è quello dell’ellissi, ma la figura retorica sia con referam, sia con memorem è quella della
preterizione: da pretereo che significa tralasciare ed è una figura di pensiero.

Che cosa vuol dire preterizione? E perché è una figura retorica? Perché tu affermi di non ricordare qualcosa, ma poi in
effetti lo ricordi, ma poi in effetti menzioni quel qualcosa che vuoi sottacere.

 v. 159 e seguenti
 → richiamo di morfologia: Te, Lari maxime, teque, fluctibus et fremitu adsurgens Benace marino? Traduzione: forse
che dovrei ricordare laghi tanto grandi (ecco che la preterizione è disattesa perché il poeta non tace, ma li nomina) te
oh grandissimo Lario (maxime Lari) e te oh Benaco che ti levi, che ti gonfi(adsurgens) con i flutti e con la tempesta
simile al mare.
 Lari è il vocativo di Larius : vocativo che abbiamo nella II declinazione quando il sostantivo esce nel nominativo in –
ius. Larius come Vergilius, come filius hanno al vocativo rispettivamente: Lari, Vergili e Fili. Venace è anch’esso
vocativo , ma di Venacus ed è vocativo della II declinazione, come lupe. In Larius ,tant’è che gli abitanti di quella
città sono chiamati Lariani, è il lago di Como e i Lariani sono gli abitanti di Como che dovrebbero chiamarsi
Comaschi ; mentre il Venacus , che assomiglia a un mare, quando in esso scoppiano le tempeste assomiglia a un mare
a motivo della sua estensione tale da poter cogliere tempeste è il Lago di Garda

 v. 172 : anche qui abbiamo un esametro molto elaborato costituito da cinque parole

(riprendendo da prima)
Scipiadas duros bello et 2te, 3maxime 4Caesar,
1
170
5
qui 6nunc 11extremis Asiae 7iam 8victor 9in 10oris
imbellem avertis Romanis arcibus Indum.

Traduzione: e te o grandissimo Cesare che ora ( qui nunc) oramai vincitore (iam victor) nelle estreme regioni dell’Asia
(in oris extremis Asiae)

E arriviamo al nostro esametro: allontani (avertis) dalle roccaforti Romane l’Indo imbelle.
L’esametro si fa notare per la collocazione del predicato verbale in II posizione (avertis) e poi ci sono le solite due
coppie con rispettivi elementi strettamente collegati sul piano morfologico:
 prima coppia formata da imbellem Idum che realizzano anche un iperbato a cornice
 la seconda coppia è costituita da Romanis arcibus che è un ablativo di allontanamento

lo schema sarà: axbBA , qui l’ordine ha ricevuto una disposizione chiastica degli elementi
Questo è il verso di cui abbiamo parlato nel commento ove è presente l’esagerazione dettata dalla propaganda
politica che Caesar, con cui si intende Ottaviano, avrebbe sconfitto ,stornato da Roma la minaccia dell’Indo
imbelle.

Notiamo questa notazione: imbellem che è un aggettivo composto della II classe a due uscite, imbellis, imbelle formato
da prefisso negativo in + la radice del sostantivo che rinvia a bellum (la guerra).
Notiamo anche qui una base ideologica: l’aggettivo non è stato scelto a caso, l’Indo,ovvero l’abitante dell’India,
non può essere dedito all’attività della guerra perché altre sono le sue attività ovvero il lusso, la vita molle.

Ancora una volta la visione ideologica di Virgilio, ma non solo di lui, questa volta è sintetizzata dall’aggettivo che
richiamerebbe l’indole degli Orientali contrapposta alla virtus degli Occidentali

 il commiato:
Salve, magna parens frugum, Saturnia tellus,
magna virum: tibi res antiquae laudis et artis
ingredior sanctos ausus recludere fontis, 175
Ascraeumque cano Romana per oppida carmen.
Traduzione: Salute oh grande genitrice delle messi (frugum),Salve oh Saturnia terra, grande genetrice di eroi (Magna
parens: non è solo delle messi, ma anche virum ) per te (tibi : è un dativo di vantaggio che si riferisce a tellus Satunia) fa che
il mio ingresso in argomenti (res) di antica lode ed arte. Osando (asus: participio semideponente del verbo audeo)
dischiudere i santi fonti / le santi fonti e canto un carme ascreo tra le città di Roma

Virum: attenzione a non confonderlo con l’accusativo singolare di vir, viri. Virum qui è un genitivo plurale che, come il
deum esaminato, prima è un arcaismo morfologico.

 V. 175: in questo verso conclusivo abbiamo il solito iperbato a cornice Ascraeum* carmen.

*Ascraeum è un aggettivo toponomastico: ovvero designante un luogo, è un aggettivo che richiama la città di Ascra, ma
veramente era un piccolo borgo alle pendici del monte Elicona ( monte consacrato alle Muse). È il carmen Ascraeum
perché ad Ascra nacque Esiodo ovvero il creatore del genere didascalico: è un tribuito che qui Virgilio sta rendendo
all’inventor ( quello che i greci chiamavano euretes) generis per il semplice motivo che anche le Georgiche si iscrivono
all’interno di questo carme.

4. Verg. georg., 2, 315-345


(notiamo i tre momenti che distinguono dal punto di vista narrativo il brano)
Traduzione: INessun consigliere, pur essendo tanto saggio potrebbe convincerti di lavorare la terra quando è irrigidita
(rigidam) al soffio di Borea. Allora l’inverno rinserra con il gelo le campagne né consente che la radice congelata, una volta
che sia stato gettato il seme, faccia presa nella terra/attecchisca a terra. II La semina è molto utile per i vigneti quando, con la
primavera rosseggiante, è giunto il bianco uccello inviso alle lunghe bisce, oppure (la semina è molto utile per i vigneti) ai
primi freddi dell’autunno, quando il Sole infuocato non tocca ancora l’inverno con i suoi cavalli, ma oramai l’estate è
trascorsa. III La primavera è specialmente utile alle fronde dei boschi, lo è per le selve; a primavera le terre si rigonfiano e
richiedono i semi fecondatori. Allora il Padre Onnipotente, l’Etere, con piogge feconde discende nel grembo della coniuge
fertile, e grande, congiuntosi con il grande corpo di lei, alimenta tutti i frutti. Allora i remoti boschetti risuonano del canto
degli uccelli e gli armenti cercano nuovamente l’amore in giorni determinati ; il campo datore di vita partorisce e le terre
arate, grazie alle brezze tremolanti di Zefiro, allargano il loro seno; un tenero umore sovrabbonda in tutti; e le erbe osano
affidarsi sicuramente ai raggi del nuovo sole; né il pampino teme il sorgere dell’Austro o la pioggia riversata dal cielo dai
possenti Aquiloni, ma spinge fuori le gemme e apre tutte le fronde; sarei del parere di credere che giorni non diversi
rifulsero alla prima origine del mondo che si stava sviluppando o ebbero un diverso andamento : quella era la primavera, il
grande universo viveva la primavera e gli Euri (vediamo questo come altri sono tutti nomi di venti) trattenevano i loro soffi
invernali, quando le bestie per prime (nella traduzione manteniamo l’immagine di Virgilio) bevvero la luce, la terrestre
progenie degli uomini levò il capo dai duri campi , le fiere furono sparse nelle selve e le stelle nel cielo. Né i teneri prodotti
potrebbero sopportare questa fatica, se non procedesse una quiete tanto grande tra il freddo e il caldo e se la benignità del
cielo non ristorasse le terre.

L’elogio della stagione della primavera: Virgilio celebra la primavera come la stagione della rinascita, come quella
stagione nella quale, secondo una credenza assai diffusa in letteratura, sarebbe nato il mondo, avrebbe avuto origine
l’universo.

Commento

 L’esordio di questo brano è costituito da una breve descrizione della stagione invernale quando regna nelle campagne la
desolazione, quando i campi sono irrigiditi dalla morsa del freddo e sono sferzati dalle raffiche violente della
Tramontana.
 Poiché uno degli argomenti principali del II Libro delle Georgiche che è in toto dedicato alla coltivazione degli alberi,
ma all’interno di questa cornice, di questo argomento un posto privilegiato è stato assegnato da Virgilio alla
coltivazione della vite. Ora poiché a questo albero in particolare, anche per la sua sacralità, essendo dedicato a Bacco, è
dedicato uno spazio di tutto rilievo nell’economia del Libro dopo la descrizione che Virgilio ha fatto delle campagne
desolate introduce un preceptum agricolo che ha come oggetto la coltivazione della vite ovvero dice quali sono i
momenti più favorevoli, più propizi per la satio, ovvero la semina di questo albero.
 Prima di Virgilio Lucrezio aveva già svolto questo tema della primavera come stagione di rinascita, come stagione in
cui tutto torna a rigermogliare, a rivivere: Lucrezio si dedica a questo topos letterario nell’Inno Inaugurale al suo poema
didascalico, ovvero nell’inno a Venere dove il contesto in cui si rivolge a Venere che nient’altro che è una
personificazione (dal poema lucreziano è noto il fatto sono assenti gli dei) che rappresenta una quella forza della natura
che è l’amore e che grazie ad esso tutto torna a rivivere;le generazioni si conservano: il mondo vegetale e il mondo
animale non finiscono.
In questo Virgilio torna a essere tributario nei riguardi dell’autore didascalico che lo ha preceduto.

 La descrizione virgiliana, se andiamo a restringere i contenuti di questo brano: è caratterizzata da due immagini:
 La prima immagine molto suggestiva è quella della pioggia primaverile che scende per fecondare le zolle:
l’acqua rigeneratrice è concepita miticamente come amplesso; quindi, connubio che il cielo (denominato nel contesto
Aether: è identificato con il Pater Onnipotens, ovvero con Giove) ha con la sua consorte che è la Terra. In buona
sostanza nel pioggia primaverile è visto lo sviluppo di quest’abbraccio che il cielo stringe con la terra e da
questo abbraccio le piantagioni vengono irrorate e la natura riprende a rifiorire.È identificato con il Pater
Onnipotens : l’espressione si trova a v.325 perché Giove tra i tanti titoli divini che aveva ricevuto era ritenuto altresì la
divinità alla quale dovevano essere ricondotti tutti i fenomeni atmosferici.
 La seconda immagine invece è quella della vite che qui è denominata da uno dei suoi filamenti che è il pampinus (v.
333) che non paventando più, non avendo più paura della cattiva stagione si espande rigogliosamente con il mandare
fuori le gemme e con il dispiegare le sue fronde.

Queste sono le due immagini che nella descrizione virgiliana ricevono una collocazione centrale.

 In questo brano occorre ancora rilevare che Virgilio aderisce ad un’antica credenza secondo la quale il mondo sarebbe
nato e si sarebbe sviluppato a primavera: secondo questa credenza il genere umano sarebbe nato dalla terra. Anche in
questo Virgilio aderisce a una credenza che si trova già in Lucrezio: Lucrezio ritiene, bandendo naturalmente il
mito di Deucalione e Pirra (i quali avrebbero dato nuovamente origine al genere umano dopo il diluvio universale:
Pirra lanciano delle pietre dietro di sé dalle quali sarebbero nate donne e Deucalione , secondo il racconto del mito
lanciano dietro di sé delle pietre dalle quali sarebbero nati degli uomini) e lo rifugge dalla rappresentazione del mito
in quanto fuorviante e in modo più razionalistico attribuisce l’origine degli uomini alla terra. E vi è
un’espressione nel suo poema in cui questa credenza è condensata, l’espressione è: terrigenarum genus , ovvero gli
uomini, la stirpe umana è definita come genus terrigenraum ovvero stirpe di coloro che sono nati dalla terra (terrigena è
un composto formato da terra e dal radicale gen di gena che si ricollega con il verbo gigno, gignis, genui, genitum,
ginere).

In buona sostanza , andando a riassumere, il brano è scandito da una struttura tripartita nella quali si riconoscono i
seguenti tre momenti:

1. Il primo riferimento alla desolazione causata dalla stagione invernale: vv. 315 – 318
2. Il secondo momento è occupato dalla precetto agricolo, il precectum che il poeta in relazione alla semina della
vite: vv. 319 – 322
3. Il terzo momento è costituito dalla parte restante: vv. 323 – 345 che sono dedicati alla celebrazione della
primavera

Analisi linguistica

 v. 315 e seguenti

1
Nec tibi 4tam 5prudens 2quisquam 6persuadeat 3auctor
8
tellurem Borea rigidam spirante 7movere.

Traduzione: nessuno consigliere (nec quisquam : è il pronome indefinito che viene impiegato in frasi negative come
qui) sebbene tanto assenato, saggio (tam prudens : prudens è un aggettivo che svolge funzione predicativa e ha valore
di una preposizione concessiva) potrebbe convincerti di (persuadeat: congiuntivo potenziale costruito con l’infinito)
smuovere la terra (movere tellurem : quindi smuovere la terra, quindi dedicarsi all’agricoltura) resa rigida, irrigiditasi
(rigidam) in seguito allo spirare di Borea ( si tratta di un ablativo assoluto con valore temporale : mentre Borea spira.*

Ma ciò non impedisce, considerata anche la posizione che ha ricevuto rigidam: vediamo che si trova cernitato fra il
nome del vento e il participio presente, questo significa solo una cosa ovvero che dal punto di vista concettuale le tre
parole sono strettamente collegate tra di loro, irrigitasi allo spirare di Borea.

Tellurem: Capiamo che l’ablativo assoluto quando è espresso con il participio presente esprime contemporaneità e
questo è un tema in spirante: tellūs, telluris.

 v.319 → Optima vinetis satio, cum vere rubente:


 vinetis è un dativo di vantaggio
 satio è la semina che è ottima per i vigneti, è un tecnicismo della lingua agricola come in genere sono tecnicismi la
maggior parte delle parole che sono formate con il suffisso – tion o – sion (come nel sostantivo responsio). Sono
termini non poetici appunto perché appartengono alle così dette lingue speciali. Satio è l’astratto verbale del verbo
sero , ben inteso, quello che significa seminare e il cui paradigma è sero, seris , serui, seratum, serere.
 cum venit: preposizione temporale. Per quanto concerne il predicato verbale di questa preposizione temporale
ovvero venit : è una voce verbale perfettamente identica sia nella III persona del presente indicativo che nella III
persona del perfetto indicativo noi dal contesto metrico possiamo desumere che si tratta di un perfetto. Questo
giustifica il motivo per cui traduciamo con : quando è arrivato il bianco uccello… come facciamo a giovarci del
contesto metro? Perché candida, che è la prima parola del verso, è un dattilo, la seconda parola, che inizia con il
secondo piede, ha per forza di cose la prima vocale lunga ,vēnita.

Se ha la prima vocale lunga significa che la vocale radicale del verbo venio si è allungata e si allunga nel
perfetto indicativo: questo è uno di quei verbi in cui il tema del presente, è contrapposto al tema del perfetto,
attraverso l’allungamento della vocale radicale: è l’apofonia vocalica quantitativa.

 v. 320 → candida venit avis longis invisa colubris: questo bianco uccello (candida avis: avis in latino può essere sia
maschile che femminile) è la cicogna che gradiva in modo particolare cibarsi ,e lo gradisce ancora,dei serpentelli, delle
bisce. Ecco perché la cicogna è invisa colubris.
 v. 321:
 notiamo l’anastrofe, ovvero la postposizione della congiunzione avversativa vel: il senso logico è vel prima e
mostra che il poeta, per ragioni metriche, è ricorso a questa figura che è inserita nell’ordo verborum.

 Attenzione alla preposizione sub:


 che può costruirsi con l’ablativo, e il quel caso, è un ablativo di luogo (sub arbore, sotto l’albero)
 oppure può costruirsi con l’accusativo: quando si costruire con l’accusativo può avere due valori: quello di moto a
luogo (che non è quello che è qui) e quello di tempo (che è quello che ha qui). All’intorno, all’incirca, intorno ai
prima freddi: sub prima frigora autumni

 vv. 321 – 322

prima vel autumni sub frigora, cum rapidus Sol


nondum hiemem contingit equis, iam praeterit aestas.

Abbiamo qui un’altra preposizione temporale: cum (…) contingit.

Traduzione: quando (cum) il sole infuocato (il che significa che tutto trascina violentemente con il suo calore:
ricordiamoci di questo aggettivo di cui abbiamo già avuto modo di trattare quando avevamo parlato il radicale che lo
caratterizza) non tocca ancora l’inverno con i suoi cavalli. *

*Che cosa significa? Qui ha fatto riferimento riguardo il famoso mito di Fetonte, figlio del Sole, che implorò il padre di
fargli guidare questa biga che soltanto una mano esperta poteva dirigere. Fetonte con una guida non accorta, disordinata
minacciò di distruggere la terra: quindi qui Virgilio rappresenta il Sole secondo una visione mitica , ovvero da un carro
condotto da quattro cavalli poderosi che passano poi attraverso le varie costellazioni.Ecco perché si dice che questa
quadriga non ha ancora toccato, non tocca ancora l’inverno : ovvero non entra nella costellazione che distingue
l’inverno.

iam praeterit aestas : (Ma ) l’estate ormai è trascorsa, qui il ma non c’è e siamo in presenza di un asindeto avversativo.
Praeterit : è un composto del verbo praeter – eo che significa vado oltre il cui paradigma è praetéreo, praéteris,
praeterii,praeteritum,praeterire.

Qualcuno potrebbe chiedere…ma come mai praeterit è stato tradotto con il perfetto che ha tutta l’aria di essere un
presente III persona singolare? Prater – it, perché qui è successo questo fatto: innanzitutto non può avere il valore di
un presente perché il poeta sta facendo riferimento a un lasso di tempo che è passato (parla dei freddi autunnali:
quindi è chiaro che l’estate dev’essere trascorsa e non si può tradurre quando oramai passa l’estate, è un fatto
successivo).

Al perfetto succede questo: praeterii, le due i si contraggono e contraendosi danno inevitabilmente luogo a una vocale
lunga, però dando luogo a una vocale lunga accade che praeterit è il dattilo di quinta sede : abbiamo prae (lungo) – te
(breve)- rit (lungo) , non può avere più luogo l’esametro , l’esametro salta in ragione del fatto che in quinta sede
abbiamo una figura metrica che è costituita da lunga- breve – lunga.
Che è successo allora? Ricordiamo la legge secondo la quale le vocali lunghe in sillaba chiusa, come qui, finale di
parola in latino si abbreviano purché la consonante di chiusura non sia una s: qui abbiamo una t, ecco come
finisce con l’abbreviarsi una vocale diventata lunga in seguito alla contrazione e per effetto di questa norma che
distingue il sistema fonologico del latino.

Qui abbiamo un’applicazione di quanto abbiamo detto a proposito dell’abbreviamento delle vocali lunghe finali
di parola, ma in sillaba chiusa, ma non chiuse dalla s.

 v.323
 adeo ha qui il valore asseverativo (di solito adeo è il termine correlativo nelle proposizioni consecutive: adeo ut , a tal
punto che) di principalmente, specialmente, appunto
 mentre i due dativi frondi e silvis sono dativi di vantaggio dipendenti dall’aggettivo utile: la primavera (di genere
neutro) appunto è utile per le fronde dei boschi (nemorum), lo è (senza star a ripetere la primavera è utile) per le selve.

 v. 333...e poi continua: le terre a primavera si rigonfiano → vere tument terrae : vere è ablativo del tempo determinato,
potremmo anche chiamarlo, se ricordiamo l’ablativo singolare della III declinazione, ablativo locativo perché
l’ablativo ha ereditato le funzioni di questo caso la cui funzione era quella di localizzare un’azione nello spazio e
nel tempo. Qui l’azione era localizzata nel tempo: quindi questa e in vere non è la e dell’ablativo strumentale, ma è la e
breve che si è aperta in seguito alla i breve finale che è la desinenza che distingue il caso locativo.

Qui inizia il terzo momento del brano che è quello della celebrazione della primavera, della lode della primavera.
Richiamiamo l’attenzione a un fatto lessicale: ovvero la triplice ripetizione di questo sostantivo a indicare che
questo termine è il termine più importante della descrizione che Virgilio sta per effettuare.

E che sia molto importante è dimostrato anche dal fatto che è collocato il posizioni nevralgiche del verso , in
posizioni significative del verso:
 ovvero all’inizio: Ver adeo frondi nemorum, è collocato dopo la censura eftemimere (la cesura più importante di
questo verso*), dopo una pausa di senso come l’editore si è premurato di annotare inserendo una virgola

*dietro la quale si trova ancora questo termine: questa cesura divide il verso il due emistichi:

 il primo è formato da 4 piedi : Ver ade | o fron| di nemo |rum e si arriva all’arsi del IV piede
 il secondo che principia con questa parola è formato da due piedi : ver| utile (silvis)

 poi abbiamo il termine all’inizio del verso successivo sempre all’inizio del verso, ma in una forma diversa

Come possiamo definire con un termine tecnico della retorica questa sequenza formata da ver, ver, vere? È un’ anafora
(ma non basta il termine anafora: anafora significa ripetizione in quanto il termine è richiamato tre volte, ma dobbiamo
aggiungere l’aggettivo) poliptotica , perché qui avviene anche un poliptoto (figura retorica in base alla quale il
medesimo termine viene impiegato in forme diverse* (le prime due sono in caso nominativo, la terza forma è in caso
ablativo).

* Ecco che cos’è il poliptoto: significa propriamente più casi, è una parola greca che indica semplicemente questo,
indica più casi ovvero una parola che ritorna in casi diversi all’interno naturalmente di un breve contesto.

 v. 325 : Aether è un grecismo integrale, in altre parole il termine viene trasferito dal latino così come è dal greco.
Ancora più precisamente: in latino avviene una leggera variazione perché in greco il termine Aiser, abbiamo il dittongo
ai, quindi è semplicemente un grecismo per il semplice motivo che il dittongo ae è tipico del latino. Che sia un termine
greco lo desumiamo altresì dal fatto che è caratterizzato da questa dentale aspirata ovvero th: una caratteristica del
sistema fonologico del latino è quello di essere de aspirato, ovvero non possiede le consonante aspirate (ch, bh, ph, e
th).

Quindi questo è un segno di grecità e in latino quest’aspirate sono state introdotte, come la y e la z, solo per la
trascrizione, la traslitterazione di parole greche.

 v. 326 → attenzione all’aggettivo laete. Discende (descendit) il padre onnipotente sotto forma di pioggia (fecundis
improbus : ablativo strumentale), con piogge feconde nel grembo della consorte laete, non liete , ma rigogliosa, fertile.
Quest’aggettivo participio come il corradicale laetamen appartiene alla lingua agricola e ha il significato di fertile,
rigoglioso, propriamente significa concimato; quindi essendo stato concimato, questo è il significato primario, è fertile e
rigoglioso.

È una metafora d’amore quella che qui Virgilio sta rappresentando: ovvero l’amplesso che avviene tra il padre
fecondatore e le piogge naturalmente stanno a simboleggiare l’umore fecondatore e la terra concepita
miticamente come la consorte di Giove.

Poi il poeta passa dalla metafora al senso reale nel verso successivo:

 v.327 dove dice le cose come stanno : essendo egli grande(magnus), il cielo, mescolatosi, unitosi , congiuntosi
(commixtus )con il grande corpo della terra alimenta la prole/nutre i frutti (alit fetus : il verbo alo ha questo significato,
è un corradicale del termine alumnus che è propriamente è colui che imbevuto, nutrito di insegnamenti )

 v.328 → Avia tum resonant avibus virgulta canoris :


 i boschetti remoti, fuor di mano (avia) allora risuonano degli uccelli canori/del canto degli uccelli. Notiamo qui una
figura retorica denominata paronomasia che noi abbiamo quando due parole sono molto somiglianti dal punto
di vista della composizione fonetica (come ad es. in italiano tradurre e tradire, tradire è il testo di partenza: vediamo che anche qui
è realizzata una paronomasia perché confrontando le due strutture fonetiche non possiamo non notare che ci sono fonemi che ricorrono
nell’una e nell’altra parola). Come qui, non abbiamo difficoltà a notare che tra āvia e ăvibus vi è un’indubbia
somiglianza: le due a si distinguono per il semplice motivo che la a di avia è lunga e la di avibus è breve.

Perché la a di avia è lunga? Perché quest’aggettivo è un aggettivo composto della I classe (avius, avia, avium) che
formato dalla preposizione a (tutti i monosillabi in latino sono lunghi) a quantità lunga e sta ad indicare separazione,
allontanamento da qualcosa come anche l’altra preposizione che è ab - .

Che significa propriamente avia,avius? Significa che è ciò che sta distante dalla via maestra :
 a è la preposizione che esprime questa nozione dell’allontanamento
 via è la via maestra, quella battuta da tutti, quella attraverso la quale tutti passano

Quindi ciò che è appartato, remoto , isolato.

 Attenzione a resonant che è un composto di sono, sonas , ma attenzione al perfetto e al supino che esibiscono le forme
sonui, sonitum.

 v. 329
 traduzione: et Venerem certis repetunt armenta diebus : e gli armenti cercano nuovamente (traducendo in questo
modo esprimiamo anche il preverbio re che esprime iterazione, è un composto di peto) in determinati giorni (ablativo
di tempo determinato) Venere (Venerem)
 Venerem : che traduciamo però con l’Amore, qui siamo in presenza di un’altra figura retorica che è la metonimia
mitologica, ovvero viene impiegato il nome di una divinità per designare ciò che a questa divinità è consacrato

 v. 330 →almus, abbiamo ancora a che fare con alo ,ecco perché quest’aggettivo è un corradicale di alo. Che significa
almus propriamente? Datore di nutrimento, ciò che nutre : il nutrimento che può essere sia materiale che spirituale
(come nel nesso Alma Roma che si trova nelle Metamorfosi di Ovidio : che significa non Roma semplicemente che
nutre, che da il pane , Roma che nutre, ovvero che alimenta l’animus , lo spirito ,da una cultura al genere umano).
Quindi almus > alumnus > alo : all’interno di questo brano abbiamo ricomposto una famiglia di parole.

 v.332 → gramina, queste sono le erbe. Alcuni editori accolgono l’altra dizione che è germina: che sono invece i germi,
ma conserviamo questa dizione perché utilizziamo il testo di Conte.
 v.332 – 333: inque novos soles audent se gramina tuto credere,le erbe si affidano , osano(audent) affidarsi (se credere)
sicuramente (tuto) a nuovi soli (ovvero ai nuovi raggi del sole che sono quelli della primavera). Notiamo qui un
costrutto virgiliano perché lo incontriamo qui : in quanto il verbo credo si costruisce abitualmente con il dativo in
latino(credere a qualcuno, affidarsi a qualcuno…) in + accusativo è un costrutto molto raro che ricorre qui.

 Il verbo audeo è un verbo semideponente il cui paradigma è : audeo, audes, ausus sum, audere

 v. 338 , ma riprendiamo dai versi precedenti

2
Non 3alios 5prima 7crescentis 6origine 8mundi
4
inluxisse 1dies aliumve habuisse tenorem
crediderim: ver illud erat, ver magnus agebat.
orbis,

Da crediderim dipendono le due proposizioni infinitive che hanno come predicati verbali inluxisse e habuisse.
Crediderim è un congiuntivo potenziale: è il così detto potenziale della modestia perché chi esprime un enunciato
lo esprime con cautela e in italiano questa cautela, questa circoscrizione va espressa con perifrasi adeguate.
Quindi crediderim : sarei del parere di credere, oserei credere ; ecco perché è denominato potenziale della modestia.

E due proposizioni infinitive sono:


(sarei del parare di credere che)
 giorni non diversi (dies non alios) brillarono (inluxisse) alla prima origine dell’universo (crescentis: participio
presente attributivo che rendiamo con una proposizione relativa : dell’universo che si stava sviluppando, che stava
creccendo)
 o abbiamo avuto(aliumve habuisse) una condotta, un andamento (tenorem) diverso

Notiamo anche qui quanto detto a v.232 che la parola più importante di tutto questo contesto è la parola che designa la
stagione che è celebrata, ovvero la primavera, ecco un’altra anafora: ver illud erat, ver magnus agebat orbis,
(traduzione) quella era la primavera il grande universo (magnus orbis) trascorreva, viveva, stava vivendo la primavera.

 V.340 → Attenzione all’immagine che Virgilio mutua di sana pianta da Lucrezio: 3lucem 1pecudes 2hausere, il bestiame
bevve la luce. Ci rendiamo conto del fatto che è un immagine ardita perché la luce non si beve, il verbo è haurio,
hauris,hausi, haustum, haurire che significa propriamente attingere acqua dal fiume, dalla fontana e quindi bere. Ausere
è un perfetto indicativo III persona plurale.

 v. 341 → Virgilio sta aderendo alla credenza secondo la quale gli uomini nacquero terrea progenies, la progenie della
terra levò il campo dai duri campi (duris ardis).

È un’espressione che riecheggia quella lucreziana che è : terrigenarum genus, qui noi riconosciamo il tributo o la
memoria, ancor meglio, che Virgilio ha del testo lucreziano.

Tutta la poesia latina è fondata su questo concetto, ovvero sulla memoria: la poesia è memoria di quello che altri
hanno scritto ; memoria che non significa arida ripetizione, ma che significa rielaborazione come accade qui.

Perché c’è una bella differenza tra terrigenarum genus e terrae progenies : il concetto è lo stesso, ma viene utilizzato un
diverso materiale lessicale.

 v. 343 – 345

Nec res hunc tenerae possent perferre laborem,


si non tanta quies iret frigusque caloremque
inter, et exciperet caeli indulgentia terras. 345

Negli ultimi versi si nota un periodo ipotetico di III tipo la cui apodosi è possent .

Traduzione: né le cose (possent perterre :notiamo l’allitterazione) ,né i teneri prodotti (res tenerae) potrebbero tollerare
questa fatica (hunc laborem) se tra il freddo e il caldo non si interponesse un riposo (quies) tanto grande.
Si iret è invece la protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà che continua ancora nel verso successivo exciperet.

Che cosa vuol dire Virgilio in questo verso? Qual è il concetto che egli esprime? È che le giovani piante (res tenerae) in
altre parole sono i germogli della vite, perché è di questa che si sta parlando dopo che è stata richiamata attraverso
pampinus (una sorta di sineddoche: una parte della vite che richiama tutto l’albero)

Quindi Virgilio vuol dire che i germogli della vite in particolare non potrebbero sopportare il travaglio dovuto
alle vicende della temperatura se tra il caldo estivo e il freddo invernale non si interponesse una stagione come
una stagione come la primavera che è così calma e così mite che permette alle piante di crescere e di rafforzarsi.

 v.334 → considerazione di natura metrica. Si non | tanta qui | es i | ret fri |gusque ca | loremque , siamo arrivate
all’ultimo piede che è caratterizzato dalla presenza delle tre sillabe perché noi leggiamo lo – rem – que.

E tutti ormai sappiamo che caratteristica dell’esametro dattilo è che si chiude, questa struttura metrica, con una
struttura bisillabica, ma di fatto lo è: perché la e di que non ha alcun valore prosodico in quanto si fonde, per sinalefe,
con inter del verso successivo che comincia per vocale.

5. Verg. georg. 2, 458-540.

Introduzione (dal punto di vista contenutistico, per quanto concerne l’impostazione di questo brano)

 Questo è l’epilogo del II Libro delle Georgiche che per quanto concerne il suo contenuto non ha nulla da condividere
con l’epilogo cupo, pessimistico del I Libro

 Nell’epilogo del II Libro delle Georgiche figura un elogio della vita agreste, della vita trascorsa dai contadini nei
campi: quest’elogio sembra essere in evidente contrasto con altre sezioni precedenti nelle quali Virgilio aveva fatto
rilevare la vita oltremodo dura e piena di angosce dei contadini, piena di angosce perché temono sempre per il loro
raccolto da parte di nemici esterni, da parte di agenti atmosferici.

Quindi è legittimo chiedersi, sulla base di questi due atteggiamenti che potrebbero sembrare contradditori, qual è il
nesso, qual è il collegamento tra questa sezione in esame ove la campagna viene assimilata a una sorta di Paradiso
Terrestre e invece altre sezioni del poema didascalico nelle quali la campagna sembra essere una maledizione.

Questi sono i due atteggiamenti che il poeta assume in alcuni luoghi del Libro I , ma anche del II quando ad esempio
dice quanto è difficoltosa la coltura della vite , come essa si un albero delicatissimo che possa da un momento all’altro
vanificare tutta la fatica profusa dai contadini
 L’elemento che collega anche se sottilmente questi due atteggiamenti di Virgilio è il seguente: è vero che è
indubbiamente evidente che gli agricoltori debbono sopportare grandi fatiche , fisiche e anche psicologiche,
però , osserva Virgilio ,quello che la campagna riesce a dare al contadino non viene dato dalla città, non viene
dato da nessun altro luogo, ma soprattutto dalla città dove è condotta una vita lussuriosa, dispendiosa, pretenziosa. In
campagna ci si accontenta di poco, in città no, in campagna l’uomo può stare a contatto con la natura e alla fine può
trovarsi a contatto sé stesso, cosa che invece non si verifica nella città: è come se il poeta mettesse sui piani di una
bilancia tutti i pro e tutti i contra.

Il poeta sostiene che è vero, l’attività agricola è la più dura, forse non ce ne sono altre, o non ce ne erano altre in quella
situazione , però tutto questo è ampiamente compensato da quello che la campagna da più che al corpo alla
psiche dell’individuo: ecco questo è il legame che noi possiamo trarre mettendo a confronto quei passi in cui la Natura
stessa è presentata come una matrigna e questo passo dove invece sembra che l’uomo si trovi in simbiosi con una natura
benevola, con una natura che quasi produce spontaneamente sotto la sollecitazione del lavoro dell’uomo.

Questo per quanto riguarda la soluzione di un’aporia che potrebbe insorgere che potrebbe insorgere a livello di
interpretazione dei due diversi atteggiamenti del poeta.

 C’è da considerare anche un altro aspetto per quanto concerne il finale idilliaco che è delineato da Virgilio: questo
finale può ricevere una valutazione equilibrata solo se noi guardiamo al contesto storico all’interno del quale
sono state concepite e realizzate le Georgiche. Questo contesto, e l’abbiamo già visto nell’epilogo del I Libro, è
dominato da guerre intestine, è sconvolto dalla brama di potere, è sconvolto dalla brama sfrenata delle ricchezze, ma
soprattutto è attraversato da un timore sempre crescente. Quelli che soprattutto vivono nelle città temono ogni
giorno per la loro vita, la vita non è più sicura perché la pace non esiste più : tutte le leggi umane, tutte le leggi
divine sono state sconvolte : ricordiamo la frase dell’epilogo del Libro I , nefas et fas vorsum est , ovvero il lecito e
l’illecito sono stati sconvolti, non c’è più un discrimen, non c’è più una linea che separi, distingua ciò che è lecito e ciò
che invece non è lecito.

Questo epilogo invece festoso del Libro II contrasta vistosamente con l’epilogo lugubre del Libro I : ricordiamo
l’oscuramento del sole e altri fenomeni ,e altri fatti che accompagnarono il cesaricidio, è scritta in quell’epilogo
la drammatica situazione in cui versava Roma

Perché abbiamo fatto questa premessa? Non solo per mettere a confronto i due epiloghi:
 uno attraversato dalla luce, è un epilogo luminoso questo
 l’altro invece, anche per quanto riguarda la descrizione, è immerso nella notte : il sole che si oscura, i lupi che
bullono durante la notte sulle città poste in alto

è anche dal punto di vista cromatico che fra i due epiloghi intercorre una profonda differenza

Ora se noi riflettiamo bene… dove Virgilio colloca quest’epilogo festoso? Lo colloca all’interno di un tale contesto, è
una forte antitesi che il poeta crea nel momento in cui in altri passi del poema didascalico ha descritto il contorno, la
cornice, tutto quello che circonda Roma, sangue, guerre e lotte.

In questo contesto la vita del contadino è descritta dal poeta come una situazione esistenziale in cui sono
realizzati ideali filosofici che richiamano indubbiamente quell’etica che era praticata dall’epicureismo:
richiamano quell’imperturbabilità, quell’atarassia che caratterizzavano nelle descrizioni dei filosofi epicurei, il sapiens
epicureo.

In altre parole, Virgilio colloca in campagna alcune massime che distinguono l’etica epicurea: a un certo punto
dice che la gioventù è abituata, assueta, avvezza ad accontentarsi del poco (tutte le scuole filosofiche ellenistiche
avevano sottolineato che la felicità può raggiungersi solo se uno si accontenta di poco: il detto epicureo era Esse
contentum suo , che significa essere contento di ciò che si ha, essere contento del poco)

 Che cosa rappresenta la vita del contadino? In buona sostanza qual è l’ideale di vita che è prefigurato nella vita agreste?
Questo è quello che vuole sottolineare il poeta rispetto a tutto ciò che circonda altri ambienti come la vita cittadina della
quale subito dopo l’inizio è data una descrizione feroce che è rappresentata da quella massa di clientes che vanno a
rendere la salutatio mattutina ai rispettivi patroni e avendone in cambio una sorta di protezione. Questo era il rapporto
che si era venuto a creare tra i cives, Marziale lo descrive, proprio nel bel mezzo dei dissidi civili ed era stato potenziato
perché il patronus restava solo un punto di riferimento: un patronus che doveva essere naturalmente ricco e potente in
grado di proteggere.

La campagna in buona sostanza è presentata da Virgilio come una sorta di fuga dalle brutture della vita quotidiana e
c’erano altre soluzioni oltre a questa fuga che erano già prospettate dalle filosofie ellenistiche. Ad esempio i soggetti
che erano più deboli, che erano più inclini alla teoresi e che aspiravano alla felicità pur in mezzo ai terrori della
vita quotidiana cercavano questa felicità in un modello esistenziale, di vita che era stato teorizzato come bios
(citato nella formulazione con cui la troviamo nelle varie scuole filosofiche) filosophos , cioè la vita improntata
alla sapienza filosofica, la vita che può dare felicità soltanto se essa è improntata a quest’obbiettivo.

C’erano anche altri tipi di opzioni, scelte che erano classificate sempre dalla filosofia ellenistica ma tutte scelte
che erano una conseguenza di quello che l’individuo oramai solo cercava, una conseguenza delle legittime pretese
dell’individuo alla felicità.

Quello che cambia è soltanto il metodo per arrivare alla felicità, il bios filosophos si presentava come una delle opzioni
preferibili, ma altre erano ad esempio quelle note come:
 bios philochrematos : crema significa ricchezza, l’aggettivo philos sta ad indicare l’attaccamento a qualcosa quindi
il bios philochrematos è un modello di vita che ha come obbiettivo l’accumulo delle ricchezze
 vi era il bios philedonos : anche qui la formazione è la stessa, edonè significa piacere ovvero quella scelta di vita
che ha nei piaceri la sua massima soddisfazione, piaceri naturalmente di ogni tipo , piaceri per mezzo dei quali
l’incubo di ogni giorno viene stornato, o per lo meno uno ha l’illusione di stornarlo
 da ultimo un altro tipo di vita: bios philodoxos , doxa tra i vari significati che ha in greco ha quello anche di gloria ,
prestigio e la vita philodoxos è la vita che trova nel raggiungimento della gloria l’aspirazione maggiore.
Una vita militare, ad esempio, una vita trascorsa nel servizio militare può far raggiungere un obbiettivo di questo
tipo, o anche una vita com’era stata quella scelta da Cicerone consistente nell’impegno in politica.

Ma tutte inferiori al filosophos.

Quindi in buona sostanza Virgilio attraverso l’elogio della vita campestre prospetta un’ideale di vita, una
scelta per la quale non bisogna nemmeno lottare per il semplice motivo che essa bella e pronta, è bella che
confezionata nella realtà agreste a differenza invece di tutti quei modelli esistenziale elencati poco fa dove il
singolo per poter realizzare i suoi personali progetti deve darsi da fare, de fare un percorso.

Come se in questa concezione piramidale dei modelli esistenziali Virgilio ponesse sul vertice la vita agreste
coincidente con il bios filosophos e sotto in una posizione subalterna è come se ponesse tutte le altre opzioni.
Naturalmente questo desiderio di ricercare un qualcosa che soddisfacesse le aspirazioni del singolo è stato
prefigurato, non è qui che accade per la prima volta: era già stato prefigurato da Catone il Censore, nella prefatio
al De Agricoltura che si distingue da un punto di vista stilistico da tutto il trattato tecnico che segue.

Che cosa dice Catone il Censore nella prefatio del De Agricoltura? Praticamente mette a confronto la vita utile e
laboriosa del contadino con la vita del mercante che è rischiosa, che non è produttiva per la società se non per chi la
esercita e anche con altre attività meno decorose, quindi questo modello esistenziale, la ricerca di un modello
esistenziale era stata già prefigurata per la prima volta da Catone nella prefatio del De Agricoltura dove
naturalmente all’esercizio di quest’attività è concesso il primato. Catone mette anche in evidenza il fatto che
l’agricoltore, secondo un ideale che appartiene alle origini di Roma, è anche soldato perché all’occorrenza dovrà
indossare altre armi, non l’aratro, per difendere i suoi possedimenti.

Dal punto di vista contenutistico abbiamo già detto tutto per quanto concerne l’impostazione di questo brano Virgiliano.
Unità tematiche

I. vv. 458 – 474 : in questa sezione il poeta proclama la buona sorte toccata all’esistenza dei contadini.
Il brano inizia quasi con un grido, un giubilo (Oh fortunatos nimium agricolas :sono stati baciati dalla sorte e non ce lo
sanno):i contadini non sanno di essere stati baciati dalla sorte come si ricava dalla proposizione suppositiva (sua
si bona norint) che segue: “oh contadini eccessivamente felici solo se conoscessero, solo se fossero in grado di
conoscere i propri beni”.

Il contadino vive in campagna, il contadino non è nemmeno in grado di fare un confronto tra i beni dei quali è
circondato e i beni o gli pseudo beni che invece offre la città : è come dire che il contadino è immerso in una
beatitudine senza sapere che vive nella beatitudine questo secondo l’interpretazione che può essere già data al verso
inaugurale del libro.

Infatti, subito dopo, sempre in questa sezione/prima unità tematica Virgilio abbozza alcuni quadri della vita cittadina
dove tutto è lussuria, dove tutti è artefatto perchè occorre il colore della porpora per tingere la lana che già la natura
ha prodotto bianca, occorre la cannella e altri aromi per guastare l’olio. In buona sostanza è come dire che in città è
perpetrato ogni giorno un crimine contro la natura, un comportamento questo contronatura: è come dire che il
dono fatto dalla natura non è accettato così com’è , ma occorre intervenire modificandolo, naturalmente in
peggio.

II. Vv. 475 – 489 : la materia cantata dal poeta è costituita dal soggetto agricolo.
Ma Virgilio ritiene che la più alta forma di poesia sia quella scientifica, di ispirazione lucreziana, si tratta
naturalmente di un omaggio che Virgilio sta rendendo al suo predecessore, a chi lo ha preceduto nel genere
didascalico.

Poi Virgilio ricorda brevemente quali sono gli argomenti trattati dalla poesia scientifica: cioè la spiegazione di
determinati fenomeni fisici (come l’infrangersi del mare sugli scogli e poi il ritirarsi, l’ecclissi del sole, quelle della luna
e così via). Però nonostante quest’apparente priorità che Virgilio assegna alla poesia scientifica, e abbiamo quasi
l’impressione che volesse dedicarsi egli stesso alla composizione di un poema scientifico, nonostante questa premessa
Virgilio non intende imitare Lucrezio e spiega questa sua scelta attraverso un topos retorico al quale i poeti
ricorrono : spesso quando ad esempio sono invitati dal princeps a cimentarsi in un poema epico, a un poema che
glorifichi Roma e allora inventano delle giustificazioni però plausibili che non offendano colui dal quale parte la
richiesta.

Qui naturalmente Virgilio si sta giustificando davanti al pubblico dei lettori dice che non si cimenterà con un poema
scientifico perché il suo ingegnium non è all’altezza di dare una veste poetica decorosa a un soggetto tanto impegnativo:
è il così detto topos dell’umilitas,ovvero il poeta quasi degrada, abbassa sé stesso per giustificare questa rinuncia a un
progetto più impegnativo.

III. vv. 490 – 494 : sono solo cinque versi dove sono proclamati felici , coloro che grazie al loro ingegnium sono
riusciti a conoscere le cause dei fenomeni naturali, a disprezzare la paura della morte e a mettersi sotto i piedi
L’Acheronte. È un’immagine per dire che hanno disprezzato tutte le descrizioni che sono state date sulla realtà ultra
mondana , si tratta , in questo passo di un secondo omaggio che Virgilio rende al suo predecessore , che rende a
Lucrezio.
Però questo merita di essere immediatamente preso in considerazione perché sono chiamati fortunati i contadini (al v.
490) e sono chiamati felice, ma possiamo usare anche il plurale, felici ,quelli che hanno potuto conoscere le cause delle
cose.

È molto importante soffermarsi per un solo momento: Virgilio impiega in buona sostanza due aggettivi
 Uno è fortunatus
 L’altro è felix

Come se noi potessimo intenderli come sinonimi, ma la situazione non è così valutabile per il semplice motivo che è
l’etimologia che ci permette di distinguere che un conto è dire di una persona che è fortunatus e un conto è dire che è
felix, anche se i due aggettivi preludono, anticipano un qualcosa di positivo.

 Chi è fortunatus? O meglio che cosa si intende quando diciamo che una persona è fortunata? Dobbiamo andare a
considerare il corradicale di fortunatus che è fors,fortis : è un sostantivo che è a livello di flessione nominale lo si
trova un accusativo avverbiale (fors) e nell’ablativo forte che significa per caso; ma fors, nominativo che noi
possiamo facilmente ricostruire significa caso, sorte.

Quindi fortunatus è colui che è stato messo dalla sorte in una determinata situazione, che non ha fatto nulla
egli per raggiungere quella condizione perché da altri proviene questo dono, questa che noi chiamiamo
fortuna. Infatti, non a caso Virgilio designa fortunati gli agricoltori perché è la sorte che li ha inseriti in
campagna e sono ancora così fortunati anche per il semplice motivo che non sanno che cosa sia la sfortuna:
perchè in campagna si trovano nel bel mezzo della sorte.

 Felix invece chi è? In felix c’è il medesimo radicale di fetus che è ciò che è prodotto, è il frutto, il raccolto: pensiamo
fecundus ,è tutto ciò che si ottiene attraverso il lavoro, è tutto ciò che una acquisisce sudando sopra.Felix qui potuit
rerum cognoscere causa: è il filosofo, è il naturalista che studia le ragioni delle cose: lo studio non da dei
risultati immediati, lo studio presuppone un iter, anche il dolore, delusione.

Quindi quando si acquisisce la condizione di felix ci si trova dinanzi a uno che qualitativamente ha raggiunto
un obbiettivo in modo diverso da chi è fortunatus perché chi è fortunatus si è trovato tra le mani qualcosa
senza spendere nulla, mentre chi è felix è quello che ha speso per poter raggiungere risultati. Dobbiamo fare
molta attenzione alla scelta del lessico che Virgilio opera per istituire la differenza che intercorre tra il contadino e lo
scienziato.

Queste due allocuzioni fatte da Virgilio ai contadini che sono menzionati fortunati e ai filosofi della natura, tra cui
figura anche Lucrezio che sono felices è anch’esso un motivo che appartiene alla tradizione delle letterature
classiche. Lo troviamo in greco: c’è un aggettivo su tutti che è Ολβιος/Olbiòs significa felice, però in greco manco
questa distinzione che abbiamo in latino:

‡ Tra ciò che si ha per volere della sorte


‡ Ciò che si ha per un lavoro personale

Questo motivo che è tipico delle letterature, lo troviamo un po’ ovunque è denominato makarismos: in greco
makarismos significa felice, makarismos significa beatitudine , o ancora meglio l’elogio che uno fa della
beatitudine di qualcuno, quello che Virgilio opera a v. 1 e a v. 90 è un makarismos.

Sono due makarosmoi:


‡ Uno rivolto ai contadini che sono chiamati fortunati
‡ L’altro rivolto ai filosofi naturalisti, agli studiosi della natura che sono chiamati felices

Un esempio celeberrimo di makarismoi perché ce né più di uno lo troviamo nel Vangelo, nei Sinottici, nel
discorso della montagna quando Gesù predica la felicità di varie categorie di persone e dice: beati i poveri di
spirito, beati i miti perché erediteranno la terra, i mansueti e così via.
Sono diverse queste beatitudini questi makarisoi : Virgilio qui si sta richiamando a un motivo molto diffuso però lo
fa con profonda cognizione di causa, scegliendo in modo adeguato gli aggettivi con i quali designare beatitudini
che sono diverse tra di loro sul piano qualitativo.

IV. vv. 595 -502 : in questi versi è descritta la vita semplice e felice del contadino che non è accecato dalla brama delle
cariche, dal cursus honorum, dal potere e non è , questo è molto importante, turbato da tutto quello che risulta essere
esterno alla realtà della vita agreste, non si dà preoccupazione di ciò che accade a Roma,non si da preoccupazioni
della vita politica, non si da preoccupazione delle guerre esterne, la sua realtà è quella agreste. Non invidia il
povero perché per il contadino la povertà non è un male, abituato com’è ad accontentarsi di poco, non invida la
ricchezza per il semplice motivo che non considera un bene la ricchezza, non invida i ricchi per il semplice motivo che
non considera un bene la ricchezza.

V. vv. 503 -512 : alla vita quindi imperturbabile del contadino che, come dire, impersona con questo suo
comportamento , o per lo meno è Virgilio che lo veste così, l’atarassia del sapiens, questa sua imperturbata verso tutto
ciò che accade fuori della campagna.

Quindi alla vita imperturbabile del contadino sono contrapposti i modelli esistenziali della vita cittadina, come
quella di chi esercita il commercio: Virgilio a v. 503 Sollicitant alii remis freta caeca, altri con i remi forzano il ceco
mane; è un’allusione a quei mercati dei quali già parlava Catone nella prefatio all’Agricoltura. Perché i mercanti non
solo mettono a rischio la propria vita per raggiungere la ricchezza, quindi i mercanti sono coloro che hanno fatto una
scelta di vita, che è quella philocrématos , cioè una vita amante della ricchezza, sono inquadrati in questa categoria.

Ma i mercanti sono da vituperare, non solo per questo motivo, ma perché violano il mare, si comportano in modo
empio perché violano i così detti foedera naturae , i patti della natura …che cosa sono? La natura ha stabilito dei
confini per le specie animali: agli uccelli ha dato il cielo, e quello è il loro habitat, ai pesci ha dato il mare, e quello è il
loro habitat, e agli uomini ha dato la Terra e questo è l’habitat degli uomini.

Se uno esce dal proprio habitat, naturalmente chi esce dal proprio habitat è chi ha la possibilità di scegliere, ovvero
l’uomo, compie un’empietà perché infrange una regola, un patto, un fedus che la Natura ha stabilito ecco perché sono
da vituperare anche per questo motivo.

VI. vv. 513 – 531: poi prosegue con la vita tranquilla e felice dei cittadini

VII. vv. 532 – 540 : la sezione conclusiva del brano merita una riflessione
 Questa idealizzazione che Virgilio ha condotto per tutte queste sezioni dell’epilogo vengono bruscamente ricondotte
alla realtà, alla concretezza del quotidiano: da che cosa lo arguiamo? Dal fatto che Virgilio dichiara che tutto quello
che ha descritto precedentemente non appartiene alla vita del contadino contemporaneo, qui mischia un po’ le carte
il poeta. Dica che questa è la vita dei sabini, della Roma antica, dice che questa era la vita degli Etruschi, dice
che questa era la vita che si viveva nell’età di Saturno.

 Sono dei versi molto importanti e che ci lasciano sotto un certo riguardo interdetti, il lettore è completamente
spiazzato per questa semplice considerazione: e cioè che nelle sezioni precedenti Virgilio ha idealizzato la vita
agreste , ci ha presentato quali siano i vantaggi della vita agreste che sono stati contrapposti ad altri ideali di vita per
cui il finale del secondo libro delle Georgiche da al lettore l’impressione di essere una rappresentazione idilliaca del
mondo dei contadini tanto che, sotto certo sguardi ,la descrizione che è contenuta in questo brano richiama molto da
vicino l’atmosfera delle Bucoliche, la pace dei canti che è descritta nelle Bucoliche.

 Certo il lettore non si sarebbe mai aspettato il finale che segue…perché che cosa dice Virgilio nel finale che segue?
Dice : Sabini olim coluere hanc vitam= questa è la vita che un tempo vissero gli antichi Sabini.
Come a dire che, questo Virgilio lo lascia come sottointeso, è esplicito come a dire che “guardate che le sezioni
precedenti da me descritte nelle quali ho decantato la vita beata e felice del contadino appartenevano a un’età
passata, si riferivano a un’età passato non all’età contemporanea, a quella che si sta vivendo”.

In altre parole si tratta di un flashback che è operato da Virgilio : Virgilio si volge a meditare sul passato nel
momento in cui descrive questa felicità. Ma questo noi lo apprendiamo alla fine, anzi mentre noi leggiamo
quest’idealizzazione siamo abbastanza sconvolti dopo aver letto quello che dice della campagna del primo
epilogo.

Vedi : 2. Verg. georg. 1, 461-514.

Il primo epilogo parla del Cesaricidio , del tutto che è vissuto a Roma, dei turbamenti esibiti dalla natura alla viglia
del Cesaricidio e delle grandi difficoltà che vide Roma con il divampare delle guerre in ogni parte dell’impero.
È un’atmosfera molto cupa quella che è descritta nell’epilogo del I Libro e sentiamo cosa dice a proposito della
campagna ai v. 506 – 508

quippe ubi fas versum atque nefas: tot bella per orbem, 505
tam multae scelerum facies, non ullus aratro
dignus honos, squalent abductis arva colonis,
et curvae rigidum falces conflantur in ensem.
Hinc movet Euphrates, illinc Germania bellum;
vicinae ruptis inter se legibus urbes 510

nella traduzione italiana: l’aratro non ha alcuna degna considerazione (non ullus aratro dignus honos) , i campi
giacciono nella squallore dopo che i contadini ne sono stati allontanati (squalent abductis arva colonis) e le falci
ricurve sono fuse (quindi tolte alle falci la loro identità per dare a questo strumento un’identità nuova che è la
seguente) per ricavarne una rigida spada (quindi un altro utilizzo : et curvae rigidum falces conflantur in ensem).

Quindi la campagna contemporanea a Virgilio è quella che lui descrive nel così detto I° Epilogo che è quello del
Libro I, quindi quando il lettore memore di quello che già ha letto nel Libro I va a leggere questa idealizzazione che
fa della campagna si trova spaesato fino a quando arriva da parte del poeta la dichiarazione con cui chiarisce questa
sua idealizzazione, con cui motiva il perché di questa sua idealizzazione.

“Quella che io descrivo” , è come se dicesse Virgilio, “è la vita delle originarie popolazioni italiche” : in altre parole
Virgilio ha indossato le vesti di un topos letterario che prima di lui aveva avuto già una grande fortuna e
sarebbe stato destinato ad averne altrettanta, ovvero il lautador temporis acti ,ovvero colui che loda il tempo
passato. Tutto questo si verifica puntualmente quando non si riesce a tollerale, quando non si riesce a fronteggiare i
disagi della vita presente ;ecco che subentra il rifugio nel passato che è per così dire colorato, idealizzato.

Nel fare quest’operazione che è ospitata negli ultimi versi del finale Virgilio ricorre a una figura retorica nota come
aprosdoketon :è un termine greco, figura che significa inaspettato, ciò che non ci si aspetta e che crea una
sorpresa, è intanto una figura retorica perché ha l’obbiettivo di suscitare, o nello spettatore se si tratta di un
genere drammatico, o nel lettore se si tratta di altri generi con altre finalità di suscitare la sorpresa, un
cambiamento ; ecco perché è una figura retorica.

Parentesi: Marziale è stato un poeta che ha ricorso a questa figura retorica: il così detto fulmen in clausula : (parafrasando
questo motivo in un epigramma brevissimo di Marziale) a Tizia erano rimasti due denti, con un colpo di tosse lì sputò, un
secondo colpo di tosse non aveva più niente da sputare.Ecco è come dire una rappresentazione di una persona dove si parla di
questi denti e il lettore non immagina la battuta finale che è il fulmen in clausola che devia completamente dal riferimento ai denti.
Tutta l’arte di Marziale è impostata su questo: ovvero sulla costruzione di un’attesa che di solito è fatta nell’esametro e
sullo scioglimento dell’attesa è fatta nel pentametro.
Quelli più efficaci sono gli epigrammi che si compongono di due distici:
(Primo) Il primo prepara l’attesa del lettore
(Secondo) Nel secondo vi è lo scioglimento ovvero la realizzazione del fulmen in clausula

Qui Virgilio ricorre alla stessa tecnica in buona sostanza: è come avesse preparato un’attesa nel lettore ,
nell’idealizzazione condotta nei versi precedenti per poi arrivare a uno scioglimento che non è quello che il lettore
si aspetta perché il lettore fino a questo momento rimane con un punto interrogativo.

Ma come c’entra tutto questo con la descrizione dell’epilogo del libro I dove tutto è squallore nella campagna, dove
tutto è abbandono, dove ci si è dimenticati del labor? Per abbracciare l’ideologia della guerra.

E tutto questo è dimostrato dalla bellissima immagine della falce, attrezzo dei contadini, è tramutata,
metamorfosata in uno strumento di guerra che è la spada.

 Virgilio fa coincidere questo fulgido tempo antico, abitato dai Sabini, che rappresentano tutte le popolazioni
italiche, questo periodo quasi atemporale, quasi acronico, che è fuori da una dimensione che noi possiamo fissare
con dei paletti cronologici) con l’età di Saturno.

È un particolare questo non di poco conto perché l’età di Saturno è un riferimento mitico che rappresenta
l’età dell’oro : Virgilio sta qui richiamando il mito dell’età del mondo che era stato introdotto nella tradizione
poetica latina da Esiodo nelle Opere e i Giorni, poema didascalico. Esiodo parla dell’età dell’oro, dell’età
dell’argento, del ferro, del bronzo propriamente non usa il termine età, usa il termine ghenos, che in greco
significa generazione: quindi la generazione dell’oro, dell’argento e così via.

I latini hanno reso questo ghenos , che corrisponde al genus latino, con etas e non con la generazione degli uomini
vissuta in quel periodo, questa è la sola differenza.
Ma nel fare quest’operazione il poeta si allontana anche dal mito perché nell’età dell’oro vigeva l’otium ,
l’inattività, tant’ è che a un certo punto Giove, successore di Saturno, si secca di questo andazzo e mette sotto sopra
i campi creando l’ars, la tèchne perché temeva che gli uomini intorpidissero alquanto rimanendo così inattivi. Ma
nell’età dell’oro la terra produceva, da sola, senza essere sollecitata dall’ars, ovvero dall’agricoltura, tutti i prodotti.

Qui invece non accade questo, nel momento in cui Virgilio fa coincidere quest’età felice dei Sabini con l’età
dell’oro si dimentica di questo particolare: perché i Sabini, nella rappresentazione Virgiliana, pur vivendo una vita
di stenti, ma felice, lavoravano la terra per sostentare sé stessi e non stavano nell’ozio.

In buona sostanza Virgilio sta alternando il mito: si allontana da quella che era la visione tradizionale del
mito.

Traduzione

Vv. : 458 – 489

Traduzione: O fortunati anche troppo gli agricoltori, se solo conoscessero i propri beni! (Solo) per loro la terra giustissima
produce di per sé dal suolo un facile vitto lontano dalle armi discordi. Se un eccelso palazzo dalle porte superbe non riversa
fuori da tutta la casa la folla di coloro che rendono il saluto al mattino e (gli agricoltori) non stanno a bocca aperta davanti ai
battenti screziati di bella tartaruga e davanti alle vesti ricamate d’oro e ai bronzi di Corinto, né la bianca lana è colorata con
la porpora assira, né l’uso del limpido olio è corrotto dalla cannella, ma almeno una pace priva di preoccupazioni e una vita
incapace di ingannare, ricca di beni diversi , non mancano , ma almeno non mancano il riposo nei vasti poderi, le spelonche
e i laghi naturali, la fresca Tempe, il muggito dei buoi e i dolci sonni sotto un albero ; lì balse selvose e tane di fiere e una
gioventù che sa sopportare le fatiche ed è abituata al poco, il culto per gli dei e venerati padri; la Giustizia , abbandonando la
terra, lasciò le sue ultime impronte tra quelli. Me per la verità prima le Muse innanzitutto dolci, delle quali io, colpito da
immenso amore, porto le sacre insegne, accolgano e mostrino le vie del cielo e le costellazioni, le varie ecclissi del sole e le
fasi della luna, da dove derivi il terremoto alle terre, per quale forza il mare profondo si gonfi infranti gli argini e di nuovo si
ritiri in sé stesso, perché soltanto i soli inverali si affrettino ad immergersi nell’Oceano o quale indugio si opponga alle notti
che scorrono lentamente. Se invece un freddo sangue intorno al mio cuore mi impedirà di poter accedere a questi ambiti
della Natura, voglia il cielo che a me piacciano le campagne e i fiumi che scorrono nelle valli, possa io amare, pur non
ricevendone gloria le correnti dei fiumi e le selve. O possa io trovarmi dove sono le pianure, lo Spercheo( è un fiume) e il
Taigeto risonante dei canti bacchici levati dalle fanciulle spartane! (O possa esserci qualcuno) che mi posi nelle fresche
convalli dell’Emo (è un monte) e mi ripari con l’ampia ombra dei rami!

Analisi linguistica

 v. 486 : o ubi campi : attenzione a questo verso ove non ha luogo la sinalefe nella clausola esametrica , leggiamo o - ubi
campi è un dattilo. Quando la sinalefe non ha luogo pur essendoci le ragioni prosodiche per la quali deve aver luogo il
fenomeno si chiama iato : quindi la sinalefe è l’incontro, la fusione di due sillabe ; io iato è invece l’autonomia
prosodica delle due sillabe come quest’esempio.

Vv. : 490 – 512

Traduzione: Felice chi ha potuto conoscere le cause delle cose e inoltre ha messo sotto i suoi piedi tutti timori, il Fato
inesorabile e lo strepito dell’avido Acheronte. Fortunato anche colui che conosce gli dei agricoli, Pan, il vecchio Silvano e le
Ninfe sorelle. Quello non lo hanno piegato i fasci popolari, non la porpora dei re e la discorso che agita infidi fratelli o il
Daco che discende dall’Istro, unitosi a questo con un giuramento, non ne vicende di Roma e i regni destinanti a perire ; né
quello ha provato dolore commiserando l’indigente o ha inviato il ricco. Egli raccoglie i frutti portati dai rami, i frutti
prodotti volentieri e spontaneamente proprio dalle sue campagne ; né ha visto le ferree leggi, l’insano foro o i pubblici
archivi. Alcuni agitano con i rami acque ignote e si precipitano alle armi, penetrano nelle corti e nelle dimore dei re ; questo
assale con eccidi la città e misere dimore per bere da una gemma e per dormire tra porpore di Sarra; un altro nasconde
ricchezze e si distende sul suo oro sepolto ; questi resta stupito, attonito davanti ai rostri; quest’altro, che rimane a bocca
aperta tra i settori del teatro, è stato inebriato dagli applausi – sono infatti duplici, sia della plebe sia dei senatori ; godono
dopo essere stati bagnati dal sangue dei fratelli e mutano con l’esilio le loro dimore e le dolci soglie e cercano una patria che
giace sotto un diverso sole.

Vv. : 513 – 540


Traduzione: L’agricoltore smuove la terra con l’aratro ricurvo, da qui proviene la fatica, da qui sostiene la patria e la sua
piccola casa, da qui sostiene gli armenti e i meritevoli giovenchi e non c’è il riposo senza che l’anno sovrabbondi di frutti o
di prole del bestiame o di covoni dello stelo di Cerere di abbondanza i solchi e vinca i granai. È sopraggiunto l’inverno:
sono pestate le olive Sicione nei frantoi, ritornano pasciuti di ghiande i maiali, le selve danno i corbezzoli; e l’autunno
imbandisce frutti di ogni genere, e in alto sulle rupi esposte al calore del sole dolce matura la vendemmia. Fra tanto i teneri
nati intorno ai baci, la casa, casta, mantiene la pudicizia, le vacche lasciano pendere le poppe piene di latte, e grassi sull’erba
rigogliosa i capretti lottano tra loro scontrandosi con le corna. Egli ( il contadino) celebra giorni di festa e , disteso sull’erba,
dove un fuoco è al centro e i compagni inghirlandano il vaso del vino, te invoca, o Leneo, facendo libagione e per i custodi
del bestiame, pone su un olmo il bersaglio della gara del veloce giavellotto e denudano i corpi robusti in una agreste
palestra. Un tempo menarono questa vita gli antichi Sabini, la menarono Remo e il fratello, così crebbe valorosa l’Etruria,
come è noto, e Roma divenne la più bella delle cose, ed essa da sola con un muro si è circondata le sette rocche/ ed ella da
sola con un muro si è circondata le sette rocche (è l’allusione ai sette colli). Anche prima del regno del sovrano Ditteo
(epiteto di Saturno) e prima che una generazione empia banchettasse con gli uccisi giovenchi l’aureo Saturno trascorreva
questa vita sulla terra, e non avevano ancora sentito esser suonate le trombe belliche, non avevano ancora sentito stridere le
spade poste sopra le dure incudini.

 539 : ci sono due sinalefi ( necdum etiam audierant)

Commento
Per quanto concerne l’incipit : ricordiamo l’aggettivo fortunatos (v.458), sul valore, motivo introdotto da quest’aggettivo e
da altri consimili come felix, beatus e il motivo è quello del macarismo.

Ricordiamo la differenza che corre tra l’aggettivo fortunatos e felix che possono sembrare sinonimi per il semplice motivo
che richiamano il medesimo motivo, ma che presentano sul piano semantico delle differenze sostanziali perché fortunatus
rappresenta quello che è felice per un dono della sorte e felix invece è felice perché questa felicità se l’è costruita,
conquistata. Quindi non è un caso, o una semplice variatio lessicale quella utilizzata da Virgilio quando si riferisce con felix
al filosofo naturalista, lo fa con cognizione di causa, è perché chi è riuscito a scoprire le cause dei fenomeni naturali e quello
che ha raggiunto uno stato di beatitudine con un proprio contributo, impegno ; rispetto al contadino che invece deve staccare
come un frutto dalla pianta semplicemente la felicità perché già è immerso in questa felicità e non se ne rende nemmeno
conto.

Analisi Linguistica
 Al v. 459 : quibus ipsa procul discordibus armis, questo quibus si riferisce ai contadini : per essi la terra giustissima
da sola, di per sé stessa (ipsa) diffonde un facile vitto. Questo quibus è un nesso del relativo ed è un dativo che
didatticamente svolge la funzione di dativo di vantaggio.

 Vv. 461 – 466 : in questi versi Virgilio descrive quello che accade nella città, che cosa offre la città , descrive la
frenesia che si verifica nella città ogni mattina quando una folla di clientes va presso le case dei rispettivi patroni
a rendere la salutatio mattutina.

Descrive la realtà cittadina in relazione alle artificiosità che la contraddistinguono: come esempio adduce la lana
che è bianca, è un epiteto questo fisso (è come dire “la bianca luna” praticamente è l’epiteto che coincide con la realtà
stessa a che designa, sono epiteti fissi in questo senso) che è come dire adulterata dal colore rosso, ma altra
adulterazione della natura compiuta da chi vive in città è quella di inserire nel limpido olio d’oliva la cannella che toglie
quello che è il profumo naturale che ha questo prodotto della terra.
A questi versi, dove è descritta la realtà cittadina con tutta la sua lussuria e con la sua artificiosità, è contrapposta la
pace che offre la tranquillità dei campi.

Questa seconda sezione che è contrapposta alla prima è introdotta dalla più forte, più potente delle congiunzioni
avversative: facciamo riferimento a v. 467 alla congiunzione avversativa at che è diversa da sed, che è diversa da
vero, che è diversa da verum per citare altre congiunzioni avversative.

Questa è la più precisa e questa congiunzione è ripetuta, quindi abbiamo la figura dell’anafora, nel secondo emistichio
del verso seguente:
at secura quies et nescia fallere vita,
dives opum variarum, at latis otia fundis,

 Quindi sono due quadri quelli che il poeta rappresenta:


 La città con alcune scene tipiche della realtà urbana
 La quies che offre la campagna

A questo riguardo notiamo che anche qui è da mettere in evidenza un altro topos letterario: quella della realtà urbana e
della situazione che si verifica in campagna, cioè l’antitesi città – campagna che si trova non solo qui, ma per fare un
esempio in una favola di derivazione esopica questo tops e incarnato da due ratti, il topo di campagna e il topo di città.
Lì la situazione è un po’ invertita: perché sappiamo come va a finire questa favola, che poi è riadattata da Orazio in
una delle sue Satire, ma anche Varrone quando inizia il De Rerum Rustica / Rerum Rusticarum Libri ,quale è il
titolo trasmessoci dai codici, comincia con questo topos ovvero con la differenza che intercorre tra la vita di
campagna e la vita di città. Pare che Varrone si schieri dalla parte della campagna quando afferma che tutte le grandi
città, è una costatazione più che ovvia, sono state fondate in aperta campagna: come ha dire che la campagna ha la
priorità sulla città.

 Per quanto riguarda invece l’analisi di singoli termini richiamiamo l’attenzione a frigida Tempe (v.469) : Tempe è un
nominativo plurale, il suo predicato è non absunt che troviamo a v. 471. Virgilio dice in campagna non mancano le
grotte, i laghetti vivi (qui c’è una nota polemica perché i laghetti non vivi sono i laghetti artificiali che sono stati creati
nelle case dei ricchi, quindi vivi può essere una designazione che può sembrare superflua ma in realtà Virgilio
sottintende il lago naturale e non quello che si trova nella casa del ricco che vive in città).

‡ Ritornando a Tempe è un grecismo morfologico integrale, che si vede dalla desinenza perché la desinenza non
è latina: è un nominativo plurale, ma è greca.
‡ Questa località, alla quale sta facendo riferimento Virgilio, è un’amena valle che si trova in Tessaglia tra i monti
Elicona e Ossa, sono due monti della Tessaglia. Ma Virgilio non è che si sta richiamando letteralmente a
questa località : qui è un impiego metonimico di Tempe come a dire che questo luogo rappresenta
qualsivoglia luogo ridente e incantevole.

 v. 471 : lustra ferarum, lustra significa covo, lustrum tana delle bestie selvatiche ,i lustra erano i luoghi fangosi
prediletti dai cinghiali; in latino questo termine è usato generalmente al plurale.

Esiste anche uno altro lustra, che significa purificazione, ma i radicali sono diversi, lustrum si forma da un radicale che
è lut che troviamo nel sostantivo lutum che significa fango; quindi vediamo le ragioni per cui i lustra sono prediletti dai
cinghiali, perché sono luoghi fangosi , dove l’indole di questo animale meglio si ritrova.

Perché come si arriva a lustrum? Perché al radicale lut è aggiunto un suffisso che è molto importante che è il
suffisso tro :

lut- tro – m
(radicale) (è un suffisso) (desinenza del neutro)

Qual è il valore concesso con il suffisso tro?


‡ Può essere un nomen instrumenti : significa nome che designa uno strumento
Esempio : aratrum → deriva da ara – tro – m (suffisso desinenziale), in effetto l’aratro è uno strumento con il quale
si compie una determinata operazione

‡ O può indicare un nomen loci: nome che designa un luogo

Esempio : lustrum → è il luogo invece in cui hanno ricovero gli animali, se ci vanno ,altrimenti rappresenta un
semplice punto della foresta di una selva che si distingue per essere fangosa.

Quindi da lut – tro – m si arriva a lustrum attraverso due fenomeni fonetici:


1. il primo dei quali è la dissimilazione della dentale del radicale (la t di lut per capirci) dinanzi all’altra
dentale (la t di tro) ecco da dove sorge la s.

Lut – tro -m > lustrom > lustrum

Lut – tro : si incontrano due dentali e in seguito a questo incontro la prima delle dentali si dissimila, diventa
una spirante.

2. Poi la o finale di parola, che è breve, parliamo della o del suffisso in sillaba chiusa si oscura in u

Ecco come dalla forma asteriscata *lut – tro- m > lustrum

Lut – tro -m > lustrom > lustrum

 v. 472 : et patiens operum exiguoque adsueta iuventus , dove Virgilio rappresenta le caratteristiche dei giovani che
vivono in campagna, che non sono dei giovani smidollati, sembra dire il poeta, come quelli che vivono in città.

E non lo sono perché questa iuventus , è un nome collettivo, è un sostantivo nel quale è implicita una nozione di
pluralità, perché equivale a giovani ; et patiens operum = in grado di sopportare le fatiche, patiente è participio presente
del verbo patior , paziente dei lavori, delle fatiche.

Ma poi c’è un altro elemento che contribuisce alla caratterizzazione dei giovani ovvero exiguo adsueta: è abituata,
exiguo, a poco.

Virgilio sta vestendo i giovani campagnoli con gli abiti del sapiens epicureo perché è vero che tutte le filosofie
ellenistiche avevano predicato che il raggiungimento della felicità può essere ottenuto attraverso l’accontentarsi
di poco.

Ma il sapiens epicureo aveva eletto questo fatto come fine della sua vita: in Orazio leggiamo esse contentum suo , cioè
l’essere contento di quello che uno ha, dice Orazio, è il sommo/punto più alto della felicità che si può
raggiungere, è la liberazione dalla ricchezza, è la liberazione dai tanti fantasmi che esercitano un potere negativo
sull’uomo.

Qui Virgilio sta facendo quest’operazione: è come dire che in campagna il sapiens può diventare tale, ma senza alcuno
sforzo perché la iuventus di cui parla Virgilio non è che ha studiato sui testi di Epicuro, l’ha saggezza deriva
semplicemente dal fatto che oltre alla felicità offre anche la saggezza.

 v. 473→ sacra deum, significa il rito degli dei.

Deum è un arcaismo morfologico perché è un genitivo plurale: non è che distingue solo questo nome, come detto nei
manuali, è un genitivo plurale che si incontra spesso il latino perché è l’originaria desinenza del genitivo plurale
della declinazione latina, -om che poi è passato a -um ( -om > -um )

Meritano di essere considerati i versi:

 v. 473 e seguenti:

extrema per illos


Iustitia excedens terris vestigia fecit.

Traduzione: la Giustizia, abbandonando la terra/andandosene dalle terre (excedens terris), lasciò le sue ultime tracce
(fecit estrema vestigia) tra quelli (ovvero tra i contadini)

Chi è costei? A che cosa si sta richiamando Virgilio? Notiamo i frequentissimi riferimenti al mito per impreziosire il dettato
poetico, qui è un altro riferimento al mito: si sta richiamando ad Astrea, che è la personificazione della Giustizia. L’ età
dell’oro, oltre a tutti i benefici che le sono state attribuiti dai poeti, era distinta anche dalla presenza di questa divinità a
sottolineare che nell’età dell’oro non esistevano contese, non esistevano guerre. Nell’età di Saturno la tromba di guerra
non suonava e la giustizia abitava felicemente tra gli uomini, ma poi con il deteriorarsi delle generazioni umane,
deterioramento simboleggiato da metalli via via sempre più vili : argento, bronzo, ferro ; la Giustizia ritenne di
abbandonare la Terra e salì al cielo dove fu tramutata in una costellazione, la costellazione della Vergine.
Ecco , fatti di questo genere, nel mito, sono chiamati catasterismi , ovvero: il personaggio è tramutato in una divinità, in
una stella. Nel termine catasterismo è presente, il sostantivo aster, asteros che significa astro , corrisponde all’astrum latino
che significa stella.

Che cosa vuol dire Virgilio per mettere in evidenza la sua idealizzazione della campagna e di chi la abita? E il mito è
uno strumento del poeta per realizzare quest’obbiettivo…che cosa vuol dire?
Vuol dire che quando sdegnosamente la Giustizia abbandonò la Terra si fermò un attimo tra i contadini vestigia fecit
estrema, significa questo: lasciò le sue orme tra quelli , è come dire “soggiornò ancora per un po’ sulla terra in mezzo a
loro”

A sottolineare che gli ultimi giusti che erano rimasti sulla Terra, gli ultimi semplici che erano rimasti sulla terra
erano i contadini : tutto in riferimento al mito è in funzione del vero obbiettivo, ecco quello di idealizzare la
campagna. Il contadino non ha ancora abbandonato i campi per indossare le armi, per impugnare le armi, non
ha ancora trasformato la falce in una rigida spada.

 v. 475 → richiamiamo l’attenzione alla posizione di grande rilievo che nell’economia dell’esametro riceve il
pronome personale me, che vediamo occupa la prima posizione.

Me vero primum dulces ante omnia Musae


quarum sacra fero ingenti percussus amore,
accipiant caelique vias et sidera monstrent,

Traduzione: quanto a me, dapprima (primum), innanzitutto (ante omnia), le dolci muse (dulces Musae) delle quali io
porto le sacre insegne, dopo essere stato colpito (percursus) da un ingente amore, me ricevano.

Questo me dipende da questi verbi, sta in una fortissima posizione di rilevo…che cosa sta dicendo qui Virgilio? Parla
della sua investitura poetica, della sua consacrazione poetica operata dalle muse.

 V. 477 : si fa notare in particolare modo per la collocazione delle parole

accipiant caelique vias et sidera monstrent,

‡ accipiant a incipit di verso


‡ Monstrent in esplicit

Sono due congiuntivi ottativi: possano le Muse accogliere me e possano mostrare le vie del cielo e le costellazioni.

Che vuol dire? Possano ispirarmi, quindi possano mostrare a me le vie del cielo e delle costellazioni : perché per la
realtà agricola sono molto importanti ; le Opere e i Giorni , il titolo del poema didascalico che cosa significa? I lavori
e i Giorni in cui questi lavori devono esser svolti, ma come si fa a stabilire i giorni? È il cielo che suggerisce al
contadino quante determinate operazioni devono essere fatte.Ad esempio il tramonto di determinate stelle non è
favorevole, mentre il sorgere invece sì : è il così detto calendario agricolo.

Questi due congiuntivi ottativi, che si trovano all’estremità del verso cernitano per così dire il verso, sono una
struttura a cornice.
 Da monstret dipendono cinque proposizioni interrogative indirette, quelle che noi troviamo a partire dal verso
479:
accipiant caelique vias et sidera monstrent,
defectus solis varios lunaeque labores;
1
unde tremor terris, 2qua vi maria alta tumescant
obicibus ruptis rursusque 3in se ipsa residant, 480
4
quid tantum Oceano properent se tinguere soles
hiberni, vel 5quae tardis mora noctibus obstet.

Traduzione : mostrino le vie del cielo e le costellazioni e le eclissi del sole (dectus solis) e le varie fasi lunari (vario
labores lunae) (ma l’influsso sintattico di questo verbo monstrent non si ferma qui, perché tutto quello che segue
dipende da monstrent ovvero=) da dove il tremore alle terre (abbiamo l’ellissi di sit : da dove venga, da dove provenga,
da dove sia, da dove si produca il terremoto, perché tremor terris significa questo)
In un primo momento Virgilio vagheggia di attendere a un poema fisico che è della stessa impostazione dei suoi
predecessori:
 sta come dire vagheggiando la possibilità di emulare Lucrezio che aveva trattato tale questioni nel De Rererum Natura.
 Sta vagheggiando la possibilità di emulare Cicerone che anch’egli si era dedicato a un poema fisico sebbene attraverso
una tradizione, ci riferiamo agli Aratea che nient’altro è che la tradizione latina di un poema astrologico composto
da Arato di Soli, poeta ellenistico, in greco il titolo di questo poema è Fenomeni (Faienomena), i fenomeni celesti,
quindi l’argomento è fisico.

Quindi in questo momento Virgilio è condizionato da queste suggestioni.

Le interrogative indirette dipendenti da monstrent sono:


1. unde tremor terris, dove si trova l’ellissi
2. qua vi maria alta tumescant
3. in se ipsa residant
4. quid tantum Oceano properent
5. quae mora obstent

Quel che segue è molto importante invece, segna un trapasso: Virgilio da questo vagheggiamento di poter anch’egli
trattare di un poema fisico, abbandona questo progetto per dedicarsi soltanto a quella che è la sua vocazione, cioè un
poema didascalico che abbia contenuto agricolo.

Sentiamo cosa dice:

Sin has ne possim naturae accedere partis


frigidus obstiterit circum praecordia sanguis,
rura mihi et rigui placeant in vallibus amnes, 485
flumina amem silvasque inglorius. O ubi campi

Traduzione: Ma se io potessi accedere a questi ambiti della natura, frigidus obstiterit circum praecordia sanguis: sta
rievocando in buona sostanza una dottrina medica.

Se invece un freddo sangue intorno al mio cuore


mi impedirà di poter accedere a questi ambiti della Natura

Il freddo sangue che circola intorno al cuore mi impedirà di poter accedere a questi ambiti della natura, vuol dire a
trattare di queste problematiche fisiche: e perché le notti invernali sono più lunghe di quelle estive, e perchè il mare pur
infrangendosi contro gli scogli non perde la sua acqua, ma rimane sempre lo stesso e tante altre problematiche connesse
con il mondo fisico.

Qui Virgilio si sta richiamando a una dottrina medica di cui è traccia in un poema fisico il cui autore è Empedocle, è
un poeta e filosofo greco vissuto nel V secolo a.C., è uno dei modelli di Lucrezio: anch’egli scrisse un poema De Rerum
Natura, se non che in quella lingua non era intitolato così, era intitolato Περὶ Φύσεως, Perì phýseō (phisis in greco
significa natura, perì physeos su significa sulla Natura) ; quindi poema che ha lo stesso titolo del poema lucreziano (De
Rerum Natura).

Empedocle dice che sede dell’intelligenza è il cuore: e infatti anche autori successivi localizzeranno nel cuore l’attività
intellettuale, la memoria; pensiamo al verbo rercordor che noi traduciamo richiamiamo alla mente, ma dovremmo tradurre
, sulla base dell’accezione etimologica, richiamiamo al cuore come sede della memoria.

Quindi il cuore è inteso da un punto di vista anatomico anche come luogo dell’intelligenza, cioè ciò che distingue
l’essere umano dagli animali, ma intorno al cuore, ed è questa la dottrina metrica che ci interessa, poteva circolare:
 sangue caldo: è indice di un’intelligenza vivace
 sangue freddo: invece è indice di una certa ottusità

Quindi quando Virgilio qui dice se un freddo sangue (frigidus sanguis) che circola intorno al cuore (circum praecordia)
mi avrà impedito (obstiterit) di poter avvicinarmi a questi confini, ambiti della natura… che cosa vuol dire? Vuol dire
che Virgilio riconosce di avere un sanguis frigidus ,non un sangue caldo tale che gli possa dare garanzie in merito
alla trattazione di questi soggetti fisici.

Richiama ancora qui il topos dell’umilitas: non riuscirò ovviamente a soddisfare le mie aspirazioni di attendere alla
composizione di un poema fisico perché intorno al mio cuore circola sangue freddo.
È come se mettesse le mani avanti “si il mio progetto sarebbe questo, di trattare di tutte queste problematiche”, è una
sorta di recusatio , cioè di rifiuto davanti al lettore di cimentarsi con questo tipo di soggetto.

E qual è la conclusione? “Se un freddo sangue mi impedirà di realizzare questo progetto” ,

rura mihi et rigui placeant in vallibus amnes

Ecco la materia che tratterrò: mi piacciano, mi siano graditi i campi e i fiumi che scorrono nelle valli.

È un’immagine per dire “non mi rifugerò ,tratterò della materia agricola” che è un soggetto meno impegnativo.

 Per quanto riguarda la sintassi che disciplina questi versi , facciamo notare che la proposizione principale il cui
predicato verbale è placeant , congiuntivo ottativo, possano piacermi, è dislocata in ultima posizione, come spesso
accade nell’ordine delle proposizioni che formano un periodo.Ad esempio, nelle semplici proposizioni principali il
verbo solitamente è collocato in ultima posizione che , come la prima, è una posizione di rilievo.

Quindi se andiamo a vedere com’è strutturato questo periodo:

Sin has ne possim naturae accedere partis


frigidus obstiterit circum praecordia sanguis,
rura mihi et rigui placeant in vallibus amnes, 485
flumina amem silvasque inglorius. O ubi campi

‡ La principale è placeant : Mi piacciono le campagne

‡ La dipendente di I° grado è costituita dalla proposizione ipotetica o suppositiva, sin obstiterit = che è un periodo
ipotetico dell’oggettività essendo obstiterit un futuro anteriore, è il periodo ipotetico del I° periodo: Mi piacciono
le campagne→ se il freddo sangue avrà impedito (questa è la proposizione dipendente di I°)

‡ Da obstiterit dipende una proposizione completiva di II grado che è costituita da ne possime


Mi piacciono le campagne→ se il freddo sangue avrà impedito → che io possa accedere a queste parti della
natura (questa è la proposizione completiva dipendente di II grado)
In latino c’è una categoria di verbi denominativi verba impediendi , come questo , obsto, che:
 quando sono positivi, ovvero non hanno negazione (se mi avrai impedito, che non è se non mi avrai impedito) sono
seguiti da una completiva introdotta da ne.
 Se invece il verbum impediendi è negativo (“se non mi avrai impedito di poter…”) cambia la congiunzione
subordinate che è quominus.

Quindi bisogna vedere se il verbum impediendi della sovraordinata è positivo o è il negativo:


 Se è positivo, come qui, segue nec + congiuntivo
 Se è negativo, segue quominus + congiuntivo

Cambia solamente la congiunzione subordinante.

Infatti la completiva non la traduciamo con nec , perché la nozione negativa è già nella principale : se mi avrai impedito di
poter accedere, vediamo che nella traduzione italiana il ne non lo rendo.

 Notiamo frigidus sanguis : iperbato a cornice,l’aggettivo che si riferisce al sostantivo che si trova in incipit e
invece il sostantivo che si trova in esplicit

Per quale motivo nelle giunture formate da aggettivo – sostantivo l’aggettivo precede sempre in latino? Anche in poesia
laddove c’è la lex metri: perché è nell’aggettivo la forza di connotare il sostantivo.In questa giuntura l’elemento che getta
luce sul valore del sostantivo è dato all’aggetto, da cui il sostantivo è connotato : di questi due elementi il più importante è
sempre l’aggettivo , ecco perché precede: ha una priorità che dipende dalla sua importanza in questa coppia.

Esempio: varios – labores, varios che precede labores e così via.

Quando invece, ed è eccezionale, è perché il poeta vuole mettere in evidenza il concetto particolare che è designato
dal sostantivo e abbandona il valore cromatico che ha l’aggettivo, lo sacrifica per il sostantivo.

Queste sono considerazioni di stilistica.


 v. 490 → Ecco la forte contrapposizione semantica che abbiamo tra felix e fortunatus, Virgilio ancora una volta quasi
esclama:

Felix qui potuit rerum cognoscere causas, 490

Traduzione: Felice colui che ha potuto conoscere le cause delle cose, dei fenomeni

 ma a v. 493 e urla

Fortunatus et ille deos qui novit agrestis

Traduzione: è felice anche (importantissimo questo et) colui che conosce le divinità agresti.

Virgilio riconosce la felicità di coloro che sono pervenuti alla conoscenza della fenomenologia fisica e vi include
Lucrezio, quello che lui voleva emulare, ma poi dopo la sua confessione di umiltà (perché il sanguis frigidus
circola intorno al suo cuore) e quindi dichiara quello che sarà il soggetto della sua materia poetica si
autodefinisce fortunatus; non sono più i contadini fortunati, ma anche colui che li incanta.

Qui novit : l’ho tradotto che conosce le divinità agresti, è questa la traduzione migliore è il così detto perfetto logico
che ha il valore di presente, è il così detto perfetto presente.

 Poi vi è quest’omaggio reso a Lucrezio com’è dimostrato da quel che segue : atque metus omnis et inexorabile fatum=
e ha messo sotto ai suoi piedi ogni timore e il fatto inesorabile e il fragore dell’avido Acheronte.

In buona sostanza si sta richiamando al grande servizio che Epicuro ha reso all’umanità che è stato divulgato da
Lucrezio attraverso il suo poema.

 V. 503
Sollicitant alii remis freta caeca, ruuntque

Qui Virgilio introduce un altro motivo, ovvero il confronto tra le artes:


- sta facendo riferimento ai mercanti, sollictant alii remis freta caeca, altri sollecitano con i remi l’oscuro male
(oscuro perché è denso di pericolo).
- Poi fa riferimento a coloro che hanno scelto come ideale di vita la vita militare
- Fa riferimento ai cortigiani cioè a coloro che hanno scelto come ideale di vita il bios philedonos, ovvero la via fatta
di piaceri perché chi vive a corte praticamente mette da parte tutti i labores, tutte le fatiche

Questo motivo è denominativo, è noto nella tradizione letteraria come confronto tra le artes… qual è lo scopo che presiede
a quest’operazione, ovvero di fare un elenco di altre attività? Lo scopo è quello di costruire una piramide per così dire il cui
vertice è rappresentato dall’ars professata.

Il punto alto, culminante della piramide nel caso da Virgilio è occupato dall’esercizio dell’agricoltura che è l’unica in
grado di dare all’uomo la serenità e la sapienza senza che l’uomo spenda la propria vita sull’apprendimento della
sapienza attraverso una scuola filosofica.È la concezione piramidale dell’ars, tutte le altre occupano una posizione
inferire.

È come dire, quando facciamo un elenco dei vari tipi di vita, il punto culminante è rappresentato dal bios philosophos,
ovvero vita improntata alla saggezza che qui però è raggiunta attraverso un altro metodo, attraverso un'altra via. Ecco il
perché di questi versi all’interno dell’epilogo.

Lo fa anche Catone il Censore nella prefatio al De Agricoltura nel momento in cui decanta l’agricoltura come unica attività
utile e redditizia , fa il confronto:
 con chi presta i soldi all’usura, per il semplice motivo che è redditizio anche questo, ma non è onorevole come
l’agricoltura
 Fa il confronto con chi esercita l’attività di mercante, ma è rischioso e quindi nel confronto con l’attività agricola
l’attività del mercato passa in secondo ordine

Questi sono i criteri che vengono osservati nel momento in cui è condotto questo confronto tra artes che ha come
obbiettivo quello di arrivare a dimostrare la priorità che ha il mestiere esercitato, l’attività esercitata.
 A v. 494 → Panaque Silvanumque : pana è l’accusativo di pan , è un accusativo greco, e anche qui siamo in presenza
di un grecismo morfologico integrale

 A v. 528 : cratera coronant


→ altro grecismo integrale è cratera , crater è un termine greco e cratera esibisce la stessa desinenza dell’accusativo
greca
→ notiamo anche l’allitterazione in clausola

Che troviamo anche…

 A v. 531→ praedura palaestra

Per quanto riguarda i versi conclusivi aggiungiamo questo, dove Virgilio dice “questa è la vita vissuta un tempo dai
Sabini, questa è la vita di Remo e del fratello, la forte Etruria crebbe così”.

Hanc olim veteres vitam coluere Sabini,


hanc Remus et frater, sic fortis Etruria crevit
scilicet et rerum facta est pulcherrima Roma,
septemque una sibi muro circumdedit arces.

E Roma è diventata è diventata la più bella di tutto, la più bella delle cose : è un superlativo relativo.

Poi dice che nell’età dell’oro i classica, cioè le trombe della guerra non contavano, non suonavano(v. 439)

Però Virgilio si è dimenticato di un fatto molto importante, la realtà storica è questa: Roma è diventata pulcherrima
con l’esercizio della guerra: se Roma è diventata la potenza che è diventata nell’antichità, non lo è diventata perché in un
età lontana, rivisitata nostalgicamente da Virgilio, la vita contadina irrobustiva e rendeva felici, si può nel carattere un tipo
di esistenza di questo tipo forgiare, dare un contribuito.

Ma Roma è diventata pulcherrima per le guerre che ha condotto, per l’imperialismo che ha esercitato, per , e diciamo ancora
tutta i genocidi che ha perpetrato (pensiamo a Cesare che ha spazzato via interi popoli) : pensiamo a tutte le guerre di
conquista compiute da Roma che hanno lasciato profondi segni, gli storici parlano solo di trionfi, non parlano delle
devastazioni che sono state arrecate.Devastazioni che per quei tempi non incidevano sul territorio, perché i mezzi con cui si
combattevano erano la lance e le rigide spade, ma i danni alle persone sono state fatte.

Per richiamarci a una triste realtà, per non fermarci soltanto a una visione e a una concezione trionfalistica di Roma,
perché Roma si è macchiata di tutti i delitti di cui si sono macchiati e si stanno macchiando coloro che sognano
imperialisticamente.

Quindi questa è la conclusione che diamo dopo il commento linguistico e contenutistico del testo, ma quando si esce da
questo da questo testo non si può uscire in un modo totalmente neutro e condividere semplicemente le idealizzazioni
costruite dal poeta.
È la costatazione che il poeta fa, Roma pulcherrima che mi porta a dire che questo aggettivo è un po’ troppo
esagerato perché non viene dal fatto che l’ars agricola occupa il vertice di una piramide, viene da ben altro, viene da
altre artes , in primis quelle della guerra.

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