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ISTITUTO SUPERIORE DI STUDI MUSICALI

CONSERVATORIO DI MUSICA “DOMENICO CIMAROSA” di

Avellino

Alta formazione Artistica e Musicale

Tesi per il Diploma Accademico di

I Livello in CANTO LIRICO

A RITMO DI VALZER NELL’OPERA

Candidato : Gaia Ammaturo

Relatore : Annamaria Dell’Oste

Matricola : 11210

Anno accademico 2020_/2021


INDICE:

Introduzione……………………………………………………..

“Il bacio” ……………………………………………………….

“Mein Herr Marquis”……………………………………………

“Quando men vo’” ……………………......................................

“Les oiseaux dans la charmille” ………………………………..

“Tace il labbro”……………………………………………………

Conclusione………………………………………………………….

Bibliografia …………………………………………………………..

Ringraziamenti ………………………………………………………..
INTRODUZIONE:

Il valzer , dal tedesco “ Walzer”, derivato da “walzen”, propriamente


'rullare, rotolare'.
E’ una danza nata alla fine del XVIII secolo come evoluzione del
Ländler, danza popolare in 3/4 tipica dell'Austria, delle regioni meridionali
tedesche e della Svizzera tedesca. Il valzer conquistò ben presto gran parte
dell'Europa: dalla Francia (dove fu introdotto da Maria Antonietta) alla
Russia, dall'Italia all'Inghilterra, diventando una danza internazionale. Il
successo fu dovuto non solo al carattere fluente e orecchiabile della musica
ma anche al fatto che per la prima volta la coppia di ballerini danzava
abbracciata.
Questa nuova postura, molto confidenziale, fu da alcuni aspramente
criticata, ma la semplicità del valzer che contrastava con il carattere
aristocratico del minuetto, contribuì a procurargli popolarità, così che alla
fine del Settecento valicò i primitivi confini, dilagando con furore.
Ben presto furono scritte pagine di fuoco per dimostrare quanto il valzer
‘nuocesse gravemente alla salute’, del corpo e dell’anima, che il valzer
fosse una delle principali fonti di debolezza del corpo e della mente della
nostra generazione, ma, come spesso avviene in questi casi, il divieto
accende il desiderio: il valzer si dimostrò la forma di danza più praticata e
longeva. La sua influenza sulla storia della musica fu probabilmente
maggiore di quella di qualsiasi altro ballo.
Tra il 1814 e il 1815 si riunirono a Vienna tutti i capi di stato dell'Europa
per discutere della riorganizzazione dei confini dopo la sconfitta di
Napoleone. Nei nove mesi del Congresso di Vienna circa 100.000 ospiti da
quasi 200 stati, ducati, principati e città indipendenti affollarono la grande
città. Molti viennesi avevano l'impressione che Vienna si fosse trasformata
in una gigantesca “kermesse” dell'aristocrazia di tutta l'Europa che non
faceva altro che organizzare feste e balli. Fu in quell'occasione che il
valzer ebbe il suo primo trionfo internazionale. "Il congresso balla" fu la
spiegazione ricorrente quando i capi di stati non riuscivano ad andare
avanti nelle loro trattative.
Dal quel momento il valzer si impose definitivamente come ballo più
popolare per tutti gli strati della società.
Presente sporadicamente nelle opere dei grandi compositori del
classicismo viennese (le danze di corte composte da Franz Joseph Haydn e
Ludwig van Beethoven, il quale, oltre a scrivere alcuni minuetti a tempo di
valzer, diede il titolo di valzer ad alcuni brani per pianoforte),il valzer
cominciò a delinearsi musicalmente con “Aufforderung zum Tanz” (1819)
famoso rondò per pianoforte di Carl Maria von Weber alla cui struttura
formale s’ispirarono Johann Struss padre (1804–1849) e Joseph Lanner
(1801–1843)suo collega e rivale, che elevarono ulteriormente il valzer al
rango di composizione, oltre che di ballo.
Quando Strauss viaggiò in tournée con la sua orchestra, il valzer divenne
un fenomeno internazionale. Con Johann (1825–1899) e Josef Strauss,
entrambi figli di Johann Struss, il valzer raggiunse l’apice artistico,
affermandosi come simbolo di un’epoca gioiosa ed elegante. Il famoso
compositore viennese Johann compose, oltre a molte operette, marce e altri
balli, ca. 200 valzer ed è noto proprio come "re del valzer". La sua più
famosa composizione è il valzer "An der schönen blauen Donau" (“Sul bel
Danubio blu”). Con Johann Strauss nasce il "valzer viennese" che da allora
in poi non mancò più a nessun festeggiamento della corte degli Asburgo.
Ancora oggi, il "Neujahrskonzert der Wiener Philharmoniker" (Concerto
di Capodanno di Vienna) che si tiene ogni anno a Vienna e che è uno
degli avvenimenti musicali più noti al mondo, si conclude sempre con il
valzer "An der Schönen blauen Donau" e con altre composizioni dello
stesso.
Esportato nel resto d’Europa, fino alle Americhe, s’ibridò in numerose
varianti.
Il valzer viennese, soprattutto con Johann Strauss figlio, conservò un
andamento veloce e spigliato, mentre in Francia la nuova danza toccò la
massima popolarità all'interno del genere operettistico, acquistando un
carattere più languido e sentimentale. In Inghilterra alla fine del XIX
secolo si affermò il valzer lento.
In Francia diventò una forma classica, pianistica e sinfonica, grazie a
Hector Berlioz e Fryderyk Chopin. Quest’ultimo ne compose 19, tra questi
il famosissimo Op.64 n°2. In Italia si sviluppò soprattutto in ambito
operistico, mentre in Russia fu impiegato correntemente da Pëtr Il'ič
Čajkovskij, in particolare nei balletti ma anche nelle suite e nelle
composizioni per pianoforte. Possiamo senza dubbio citare il suo “Valzer
dei fiori”, che resta uno dei più celebri al mondo, insieme al valzer
all’interno del balletto “Il lago dei cigni” e al valzer all’interno del balletto
“la bella addormentata”.
Il valzer dei fiori

Il lago dei cigni E La bella addormentata


Solitamente prevede un’introduzione di carattere estraneo a quello della
stessa composizione, spesso un enfatico Adagio, o una breve Fantasia; può
essere, inoltre, un pezzo espressivo o di virtuosismo tecnico, avulso dal
ballo. Analogamente a quel che accadde con altre danze, la forma tipica
tradizionale fu infatti adattata all’intenzione estetica dei compositori.
Il valzer divenne in seguito un elemento centrale nell’operetta e fu
utilizzato nell’opera teatrale (“Il Brindisi” della Traviata) . Trovò posto
anche nel repertorio storico della musica leggera con “Parlami d’amore
Mariù”, scritta da Ennio Neri e musicata da Cesare Bixio, per la voce di
Vittorio De Sica per il film “gli uomini,che mascalzoni…” , e più
recentemente con “Buonanotte fiorellino” di De Gregori e “Valzer per un
amore” di Fabrizio De Andrè.
Il valzer viennese sopravvisse nelle opere di compositori come Franz
Lehár e Robert Stolz, ma anche i compositori espressionisti e pre-
espressionisti di area germanica - da Gustav Mahler a Richard Strauss e
Alban Berg - lo utilizzarono largamente, sia pure con uno spirito nuovo,
caustico e dissacratorio.
Il valzer fu usato anche nella musica jazz. Uno dei principali esponenti fu
Bill Evans che spesso utilizzava il tempo 3/4 o anche il 5/4 nelle sue
improvvisazioni.
Oggigiorno, è è un ballo, anche in ambito popolare, eseguito con poche
varianti in tutti i repertori e accompagnato con strumenti tradizionali come
l'organetto, la fisarmonica, il piffero e la cornamusa.

Oggi , discuterò nella mia tesi di alcuni di questi celeberrimi compositori,


che sfruttano il tempo/ritmo di valzer in alcune delle loro opere/arie: Luigi
Arditi, Johann Strauss (già nominato precedentemente), Giacomo Puccini,
Jacques Offenbach, Franz Lehar.

“IL BACIO” DI LUIGI ARDITI

Luigi Arditi (Crescentino, 22 luglio 1822 – Hove, 1º maggio 1903) è stato


un violinista, compositore e direttore d'orchestra italiano, attivo
internazionalmente, con lunghi soggiorni specie negli Stati Uniti e in
Inghilterra.
Studiò musica al Conservatorio di Milano, avendo come insegnanti
Bernardo Ferrara (violino) e Nicola Vaccai (composizione). Terminati gli
studi nel 1842, intraprese subito la carriera concertistica come violinista in
varie città italiane, e l'anno successivo fece il suo debutto come direttore
d'orchestra a Vercelli, dove fu nominato membro onorario dell'Accademia
Filarmonica. Diresse opere liriche in giro per l'Italia prima di imbarcarsi,
nel 1846, per L'Avana , insieme al grande contrabbassista ed ex
compagno di conservatorio Giovanni Bottesini.
Sino al 1856 condusse varie orchestre negli Stati Uniti e in Canada,
dirigendo opere a New York, Filadelfia, Boston e in altre città, ed
accompagnando tutti i divi del canto lirico che si presentavano
oltreoceano. A Londra diresse l'orchestra del Her Majesty's Theatre dal
1858 al 1869, e, negli anni 1869-70, del Covent Garden Theatre. A lui si
deve la prima rappresentazione completa di un'opera di Wagner in terra
inglese, “L'olandese volante”, andata in scena in una versione in italiano al
Drury Lane a luglio del 1870. Andò a dirigere anche in Germania e in altre
grandi città europee, come San Pietroburgo, Vienna e Madrid.
Durante la sua lunga carriera cantarono sotto la sua direzione molte fra le
più grandi interpreti della seconda metà dell'Ottocento, fra cui in
particolare Marietta Alboni, Marietta Piccolomini, Etelka Gerster e
Adelina Patti.
La prima composizione di Arditi, un'ouverture, risale al 1840. Le sue opere
più conosciute sono “I briganti” (1841), “Il corsaro” e “La spia” (1856),
quest'ultima, composta durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, fu la
prima opera lirica di un compositore italiano, e una delle prime in assoluto,
ad essere basata su un testo americano: il romanzo “The Spy” di James
Fenimore Cooper. Compose inoltre numerose canzoni e valzer cantati, i
più popolari dei quali sono “Il bacio” (dedicato a Marietta Piccolomini),
“Le tortorelle” (dedicato a Etelka Gerster), “ Se saran rose e Parla!”

Il suo Inno turco (1856) per il sultano Abdul Mejid I, composto su un testo
in ottomano, fu eseguito successivamente al Crystal Palace di Londra,
durante la visita ufficiale del sultano Abdul Aziz nel luglio 1867, da un
coro inglese di 1600 elementi. La prima registrazione mondiale dell'Inno
turco, con l'Orchestra sinfonica e coro di Praga diretta dallo storico della
musica turco Emre Aracı, fu incisa nel 2005 dall'etichetta Brilliant
Classics.
“IL BACIO”

Brano composto nel 1860 per Marietta Piccolomini ,sui versi del
baritono Gottardo Aldighieri.
Il soprano, restò così entusiasta della romanza che volle memorizzare
parole e musica, eseguendola a Brighton dove suscitò clamorosi
entusiasmi fra il pubblico.
Una romanza molto allegra e briosa ricca di agilità, per una vocalità
altrettanto briosa e leggera, propria dell’epoca in cui ci troviamo.
La protagonista , con frasi piuttosto “osè”, parla al suo innamorato ,
pensando e sognando tutto ciò che gli farebbe se gli fosse accanto, e lo
invita a seguirla.
“MEIN HERR MARQUIS” DAL
“DIE FLEDERMAUS” DI JOHANN STRAUSS

Johann Strauss (Vienna, 25 ottobre 1825 – Vienna, 3 giugno 1899) è stato


un compositore e direttore d'orchestra austriaco figlio dell'omonimo
compositore Johann Strauss.

Johann Strauss figlio, il re del valzer, è principalmente noto per la sua


attività di compositore di musica da ballo e di operette. Suoi fratelli furono
i compositori Josef ed Eduard Strauss. Alla sua figura e a quella degli altri
membri della sua famiglia è dedicato l'annuale Concerto di Capodanno,
offerto dal Wiener Philharmoniker, in diretta mondovisione dalla sala
dorata del Musikverein di Vienna. Un sondaggio di opinione nel 1890 lo
rivelò essere il terzo tra le personalità più celebri d'Europa.
Johann Strauss è stato il più celebre membro di una famiglia di musicisti
che, per quasi un secolo, dominò le scene musicali viennesi e oscurò artisti
contemporanei a lui. Nonostante la propensione del giovane agli studi
musicali, suo padre fu sempre assolutamente contrario al desiderio del
figlio di seguire le sue impronte e di diventare musicista a sua volta; infatti
Johann padre aveva già previsto per il figlio una sicura carriera come
bancario. Dal 1841 Johann frequentò il Politecnico di Vienna, nella
sezione a indirizzo commerciale. In questi anni, nonostante il divieto
imposto dal padre, la madre Anna gli permise di prendere segretamente
lezioni di violino e di teoria della musica e suo primo maestro fu il primo
violino dell'orchestra di suo padre, Franz Amon. Quando il padre lo scoprì,
come Strauss stesso raccontava, ebbe una violentissima reazione.
Dal 1843 al 1844 Johann prese lezioni di violino da Anton Kohlmann,
violinista delle opere di corte e corripetitore di balletto, e il 15 ottobre
1844 Johann Strauss figlio entrò nella storia della musica, esibendosi per
la prima volta in una soirée dansante al Casino Dommayer, con orchestra
e composizioni proprie.

La sua fama è legata soprattutto ai suoi valzer, alcuni dei quali ancora oggi
celeberrimi, come “Wiener Bonbons”, “Künstlerleben”, “Geschichten aus
dem Wienerwald”, “Wein”, “Weib und Gesang”, “Wiener Blut”, “Rosen
aus dem Süden”, “Frühlingsstimmen”, “Kaiser-Walzer” , e quello che
viene considerato il valzer più famoso di tutti i tempi, “ An der schönen
blauen Donau” (già ripetutamente citato). Fra le altre danze della sua
lunga produzione (la lista delle sue opere comprende circa 500
composizioni fra valzer, polke, marce e quadriglie) vale la pena di
menzionare “Annen-Polka”, “Leichtes Blut”, “Éljen a Magyar!”,
“Pizzicato Polka” (scritta a quattro mani col fratello Josef), “Auf der
Jagd!”, “Unter Donner und Blitz” e la “Tritsch-Tratsch-Polka”. Strauss
seppe distinguersi anche nel campo dell'operetta, arrivando a comporne
sedici nell'arco di poco meno di trent'anni. Il suo più grande successo
l'ottenne con “Die Fledermaus” (Il Pipistrello) che, ancora oggi, è
considerata il culmine di quel periodo musicale che venne rinominato
Goldene Operettenära (Era d'oro dell'operetta viennese).

“DIE FLEDERMAUS”.

Operetta in tre atti, su libretto di Carl Haffner e Richard Genée da “ Le


Réveillon” (Il veglione) di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, a sua
volta derivato dalla commedia “Das Gefangnis” ( la prigione) di
Roderich Benedix.
Il musicista impiegò solo quarantré giorni per musicarne la partitura, la
fortuna con le operette di Strauss venne appunto con questa. Debuttò al
Theater An der Wien, di Vienna, il 5 aprile 1874 , ma non ebbe molto
successo. I critici non accettarono il libretto ,trovandolo banale come
alcuni brani ed alcuni personaggi superflui, come scrisse anche
Ziehrer sul suo “ Deutsche Musikzeitung”, ma il pubblico ne decretò il
successo pieno e duraturo. L'8 luglio successivo avviene la prima nel
Deutsches Theater di Berlino.
Dopo due anni l’operetta di Strauss contava oltre cento repliche nella sola
Vienna. Oggi è insieme a “La vedova allegra” l’operetta più applaudita
nel mondo. Incarna lo spirito stesso del genere fondendo intimamente la
musica – il valzer – alla brillante commedia che fornisce la trama. Ricca
di smaglianti melodie che si annunciano fin dalla famosa ouverture, “ Il
Pipistrello” diverte e affascina per la situazione in cui la vicenda è
collocata: una festa mascherata dove ognuno è un altro, dove tutto si
confonde in un crescendo di situazioni comiche sino allo scioglimento
finale, dove tutti brindano alla burla cantando “Bevi amore, solo allora
mostrerà il suo volto la realtà”.

Trama:

Siamo a Vienna , e in una stanza della villa di Gabriel von Eisenstein,


marito di Rosalinde, Adele ascolta una serenata rivolta alla padrona di
casa: la cameriera sa che l’autore della serenata è un insegnante di canto,
Alfred, che Rosalinde ha conosciuto bene prima di sposarsi. Nel
contempo Adele legge una lettera di sua sorella Ida, che le chiede di essere
accompagnata al ballo organizzato dal ricco principe russo Orlofsky a
condizione che si faccia prestare un vestito elegante della sua padrona.
Felicissima cerca di ottenere la serata libera raccontando a Rosalinde una
bugia, ma la padrona di casa nega il permesso: proprio quella sera
Eisenstein, suo marito, inizia a scontare una lieve condanna in prigione per
aver schiaffeggiato un pubblico ufficiale e così Adele, dovrà far
compagnia a Rosalinde, che altrimenti resterebbe sola in casa, esposta a
molestie o tentazioni. Giunge Eisenstein, il quale si lamenta con il suo
avvocato Blind per l’aumento di tre giorni della pena inflitta in sede di
appello. Partito Blind, Eisenstein si fa consolare dalla moglie. Arriva poi il
dottor Falke, un amico di Eisenstein che lo convince a rimandare l’inizio
della pena, per andare con lui al ricevimento di Orlofsky. Dunque
Eisenstein si lascia facilmente convincere, a patto però che sua moglie non
sappia nulla!

Rosalinde torna con i vecchi vestiti che il marito le ha chiesto per andare in
prigione e si meraviglia quando egli le dice che metterà l’abito da sera. Ma
che importa, ella pensa che avrà la possibilità di incontrare lo spasimante
Alfred, naturalmente senza testimoni e quindi accorda ad Adele la serata
libera che le aveva rifiutato prima. Nel frattempo Eisenstein si prepara ad
andare in prigione, profumato ed elegantissimo, mentre Adele fa finta di
dispiacersi che Rosalinde resti sola. Anche Rosalinde, naturalmente,sta al
gioco: rimasta sola sente arrivare Alfred che entrato nella villa di
Eisenstein si mette gli abiti da casa di quest’ultimo ed è pronto per una
saporita cenetta, che Rosalinde, in prospettiva di rimaner sola, ha cucinato
per se stessa. Del tutto inaspettato, arriva un guastafeste: è Frank, nuovo
direttore delle carceri, che è venuto a prendere Eisenstein, prima di recarsi,
come tutti, da Orlofsky. Alfred, che ama Rosalinde, per non
comprometterla, si lascia portar via al posto del marito, che Frank non ha
mai visto. Non gli resta che darle un bacio d’addio, che lei non può
rifiutare…

In attesa del principe Orlofsky si festeggia e ci si diverte . Arriva Adele e


incontra sua sorella Ida, molto meravigliata della sua presenza. «Uno
scherzo» le dice Ida, che si vergogna che una donna di rango così basso
partecipi a un tale ricevimento. Decide di fare buon viso a cattiva sorte
presentando sua sorella come un’artista. Ma ecco arrivare il principe
Orlofsky con Falke, a cui chiede che cosa potrebbe divertirlo nel corso
della festa, dato che si annoia mortalmente. Il dottore ha già un piano:
vuole ordire uno scherzo ad Eisenstein, per vendicarsi di quella volta che
a carnevale l’amico, lo aveva fatto tornare a casa, a luce del giorno, vestito
da pipistrello. Ida presenta sua sorella al principe come un’artista
esordiente di nome Olga e Falke dice sottovoce che essa sarà un
personaggio della sua scena comica. Arriva Eisenstein travestito da
marchese Renard e Falke chiede al principe di intrattenerlo, mentre cerca
di far venire alla festa sua moglie Rosalinde. Orlofsky gli offre da bere e
gli dice che la sola sua speranza di divertimento sta nella promessa che
Falke gli ha fatto di ridere di lui, il Marchese Renard. Eisenstein rimane un
po’ interdetto. Ma la sua meraviglia aumenta quando riconosce Adele, che
tenta di fargli credere che si sbaglia, che la somiglianza è casuale. A
Eisenstein-Renard viene poi presentato il cavalier Chagrin, che altri non è
se non il direttore delle carceri travestito. Alcune dame vorrebbero cenare,
ma Falke dice loro che occorre aspettare l’arrivo di una contessa ungherese
che vuol mantenere l’incognito . Tutti sono molto curiosi. Eisenstein
continua a pensare alla strana somiglianza tra Olga e Adele tuttavia ne è
affascinato, la ritiene più graziosa della sua cameriera e decide quindi di
corteggiarla . Ma ecco giungere finalmente Rosalinde, travestita da
contessa ungherese, Falke l’ha informata che suo marito è alla festa e non
in prigione. E infatti non tarda a vedere il marito che corteggia la sua
cameriera, che indossa un suo vestito. Il marito, che non l’ha riconosciuta
decide subito di corteggiarla e le mostra il solito orologio, che lei gli
sottrae con grande astuzia per avere una prova inconfutabile del
tradimento. Giunge il momento in cui gli invitati dovrebbero svelare le
rispettive identità , ma Rosalinde non vuole . Ora gli invitati vogliono che
Falke faccia lo scherzo promesso: la storia del pipistrello. A queste parole
Eisenstein si ricorda della beffa fatta a Falke e la racconta a tutti.

Questo racconto diverte i presenti, ma è ormai giunta l’ora della cena. La


festa è ormai al culmine, Eisenstein tenta ancora, ma invano, di convincere
la “Contessa” a smascherarsi. Alle sei Eisenstein e Frank se ne vanno: tutti
e due verso la prigione, ignorando che l’uno è il direttore del carcere e
l’altro il carcerato.

Nell’ufficio del direttore delle carceri. È l’alba. Alfred sta cantando.

Suona il campanello: sopraggiungono Ida e Adele le quali chiedono del


Chevalier Chagrin e vengono condotte nell’ufficio di Frank. Adele
confessa di non essere un’attrice, ma è venuta per sollecitare l’aiuto del
Chevalier. Si esibisce dinanzi a lui , ma Frank non ha nemmeno il tempo
di riflettere, poiché di nuovo suona il campanello: è Eisenstein-Renard che
si presenta per scontare la pena carceraria. Vedendo dinanzi a sé il cavalier
Chagrin, che gli dice di aver arrestato Eisenstein la sera precedente, resta a
bocca aperta soprattutto perché viene a sapere che stava cenando con sua
moglie. A questo punto il vero Eisenstein non ha più alcuna voglia di
ridere.

Suona di nuovo il campanello della prigione: ora si annuncia di una donna


velata è Rosalinde, essa è venuta a scongiurare Alfred di fuggire per non
rischiare di incontrare suo marito e quindi di comprometterla.
Eisenstein,che si era travestito da Blind, la sottopone ad un interrogatorio
insieme ad Alfred medesimo: cosa è successo in quella casa, la sera prima.
Poi Eisenstein si rivela, ma Rosalinde sdegnata gli mostra l’orologio che
gli ha sottratto alla festa: ecco la vendetta sul marito volubile. Tutti sono in
scena quando Falke rivela che ciò a cui hanno assistito è la vendetta del
pipistrello. Eisenstein non se ne ha a male e tutti insieme danno la colpa di
ogni cosa allo champagne, il Re di tutti i vini!

" Mein Herr Marquis"

A volte chiamata "Adele's Laughing Song", è un'aria per soprano con


accompagnamento corale dall'atto 2 dell'operetta. Appare in molte
antologie di musica per cantanti soprano, ed è spesso eseguito in recital.
Adele, una cameriera che ha preso in prestito uno degli abiti della sua
padrona senza permesso, ed è andata ad una festa, anche senza permesso,
visto che era uno scherzo della sorella , e viene riconosciuta lì dal marito
della sua padrona. Lei tenta di convincerlo che si sbaglia ridendo
sprezzantemente all'idea che una donna affascinante come lei potrebbe
essere un'umile cameriera. Con la sua finissima manina, il suo piedino
piccolino e delicato, il suo portamento e la sua carnagione, tutte
caratteristiche di una nobildonna. Un’aria altamente provocatoria e
sensuale, dal carattere brioso e frizzante.
“ QUANDO MEN VO’ ” DA “LA BOHEME”
GIACOMO PUCCINI

Operista italiano vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo


Novecento, Giacomo Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29
novembre 1924), raggiunse già in vita fama e successo, sapendo
“commuovere con la musica”. Le sue opere, tra le più significative nella
storia del melodramma, proseguono con intensità e raffinatezza la
tradizione musicale ottocentesca, pur cogliendo con sensibilità le novità e
le aperture del Novecento musicale europeo.
Le sue prime composizioni erano radicate nella tradizione dell'opera
italiana del tardo XIX secolo. Tuttavia, successivamente, Puccini sviluppò
con successo il suo lavoro in una direzione personale, includendo alcuni
temi propri del Verismo musicale, un certo gusto per l'esotismo e
studiando l'opera di Richard Wagner sia sotto il profilo armonico che
orchestrale e per l'uso della tecnica del leitmotiv.
Nacque a Lucca , in una famiglia di antica tradizione musicale. Spinto
dalla madre a seguire le orme dei familiari (da quattro generazioni maestri
di cappella del Duomo di Lucca) , Puccini, che era rimasto orfano di padre
a sei anni, grazie all’aiuto di uno zio poté frequentare il ginnasio e l’istituto
musicale di Lucca. Allievo di scarso entusiasmo, dimostrò ben presto la
sua inclinazione per la musica teatrale, inclinazione che si rafforzò dopo
l’ascolto del “l’Aida” di Giuseppe Verdi a Pisa, dove Puccini si era recato
a piedi pur di assistere alla rappresentazione.
Dopo il diploma in composizione (1880) si trasferì a Milano, ricevette la
formazione musicale presso il conservatorio G.Verdi, sotto la guida di
maestri come Antonio Bazzini e Amilcare Ponchielli, dove fece amicizia
con Pietro Mascagni.
Diventò assiduo frequentatore dei teatri ed entrò in contatto con i più
significativi esponenti della vita culturale cittadina. Fu proprio a Milano
che Puccini si fece conoscere grazie all’esecuzione del Capriccio sinfonico
(1883) e delle sue prime due opere: “Le villi” (1884), avvio di un
duraturo legame con l’editore Ricordi, ed “Edgar” (1889).
Fu a Torino, però, che il musicista venne consacrato come l’erede di
Giuseppe Verdi, in seguito alla rappresentazione di “Manon Lescaut” (nel
1893, volutamente organizzata da Ricordi solo otto giorni prima del
Falstaff di Verdi). Il libretto di Manon era stato realizzato con varie
collaborazioni, tra cui Ruggero Leoncavallo, Luigi Illica e Giuseppe
Giacosa.

Illica e Giacosa, con la consulenza di Giulio Ricordi, e in stretto contatto


con Puccini, scrissero anche i libretti delle successive tre fortunate opere:
“La Bohème” (1896), “ Tosca” (1900) e “Madama Butterfly” (1904).
Come Manon, queste opere tratteggiano con intensità e profondità
d’introspezione psicologica i sentimenti di eroine sfortunate, che soffrono
e muoiono per amore.

“LA BOHEME ”

Opera in quattro "quadri" , ispirato al romanzo di Henri Murger “Scene


della vita di Bohème” e rappresentata per la prima volta nel 1896.
Nasce da una sfida fra Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo, i quali
gareggiarono a scrivere contemporaneamente due opere omonime tratte
dalla stessa fonte. Dopo oltre un secolo l'opera di Puccini è ancora fra le
più popolari al mondo, mentre quella di Leoncavallo non ha mai avuto
molto successo.
Ebbe una gestazione abbastanza laboriosa per la difficoltà di adattare le
situazioni e i personaggi del testo originario ai rigidi schemi e
all'intelaiatura di un'opera musicale, e per completare la partitura Puccini
impiegò tre anni di lavoro passati fra Milano, Torre del Lago e la Villa del
Castellaccio vicino Uzzano, messa a disposizione dal conte Orsi Bertolini;
qui completò il secondo e terzo atto, come da lui annotato con una scritta
rimasta sui muri della villa. L'orchestrazione della partitura procedette
invece speditamente e fu completata una sera di fine novembre del 1895.

Meno di due mesi dopo, il 1º febbraio 1896, La bohème fu rappresentata


per la prima volta al Teatro Regio di Torino, diretta dal ventinovenne
maestro Arturo Toscanini.
Il successo di pubblico fu buono, mentre la critica ufficiale, dimostratasi
all'inizio piuttosto ostile, dovette presto allinearsi ai generali consensi.
Dopo la rappresentazione torinese l'opera venne leggermente ritoccata da
Puccini: questa seconda versione, considerata oggi quella definitiva e
usualmente eseguita, venne messa in scena per la prima volta al Teatro
Grande di Brescia, riscuotendo così tanti applausi da far tremare le pareti
di scena.

L'esistenza spensierata di alcuni giovani artisti bohémien nella Parigi del


1830, costituisce l'ambientazione dei diversi episodi in cui si snoda l'intera
opera.

Trama:

Il periodo è la vigilia di Natale. Marcello e Rodolfo tentano di scaldarsi


davanti a un caminetto. Marcello sta dipingendo, mentre Rodolfo usa le
pagine di un suo poema per ravvivare il fuoco.
Si unisce a loro prima il filosofo Colline e in seguito il musicista
Schaunard con un cesto di cibarie e la notizia di aver finalmente
guadagnato qualche moneta. L'inaspettata visita di Benoît (il padrone di
casa) smorza gli entusiasmi.
Con uno stratagemma il padrone di casa viene allontanato e il gruppo di
amici si reca al caffè Momus.
Rodolfo rimane indietro, promettendo di raggiungerli non appena avesse
finito di scrivere il suo articolo.

Mimì, la giovane vicina di casa, bussa alla porta di Rodolfo per chiedergli
una cortesia: il suo lume si è spento e vorrebbe una candela per
riaccenderlo. La ragazza però ha un mancamento: è il primo sintomo della
tisi.
Quando alfine si accinge a tornare a casa, si rende conto di aver perso la
chiave della sua stanza. Sia Rodolfo che Mimì si inginocchiano per
cercarla; nella concitazione del momento, entrambi i lumi si sono spenti.
Rodolfo, volendo trascorrere più tempo in compagnia di Mimì, nasconde
in tasca la chiave appena ritrovata. I due conversano delle loro vite, mentre
continuano a cercare la chiave al buio. Mimì racconta di vivere da sola e di
essere una rcamatrice di fiori.

L'intimità dei due viene interrotta dalle grida degli amici di Rodolfo, che
reclamano la sua presenza al caffè; Mimì gli propone di accompagnarla,
quindi entrambi si recano al caffè Momus.

Il gruppetto di amici si ricongiunge al locale , dove Rodolfo presenta agli


altri la giovane Mimì.
Intanto giunge anche Musetta, una vecchia fiamma di Marcello, insieme al
ricco e non più giovane Alcindoro. Lei aveva lasciato Marcello per tentare
nuove avventure. Musetta fa di tutto per attirare l'attenzione di Marcello,
arrivando a togliersi una scarpa e scoprire la caviglia, con la scusa di un
dolore improvviso al piede.
Marcello non può resisterle e si ricongiunge quindi alla giovane. La coppia
di amanti ritrovati insieme al gruppo di amici, se ne va, lasciando ad
Alcindoro la scarpetta e il conto.

E' giunto ormai il mese di Febbraio e la neve ricopre qualunque cosa. Le


due coppie di giovani amanti scoprono ben presto che la convivenza è
impossibile. I litigi tra Marcello e Musetta scatenati dalla gelosia sono
ormai la norma, così come le incomprensioni tra Rodolfo e Mimì. Lei
viene incolpata di eccessiva leggerezza e infedeltà.
Rodolfo ha intuito la malattia di lei, capisce anche che vivere in una
soffitta potrebbe peggiorare le sue condizioni.
Il ricordo dei bei momenti passati insieme ha però la meglio, e i due
rinviano l'inevitabile addio all'ormai prossima primavera.
Musetta e Marcello si separano dopo l'ennesima lite.

In soffitta come all’inizio del primo atto, Marcello e Rodolfo, separati


ormai da Musetta e Mimì, parlano dell'amore e delle pene che porta con sè.
L'atmosfera diventa più giocosa condo sopraggiungono anche Colline e
Schaunard. I giochi e le battute, però, servono solo a mascherare la
profonda disillusione che i quattro provano realmente.
Arriva di corsa Musetta che avverte di aver visto Mimì sulle scale,
sofferente.
Musetta invia Marcello a vendere i suoi orecchini per comprare delle
medicine per Mimì. Lei stessa parte alla ricerca di un manicotto per
scaldare le mani di Mimì. Colline decide di contribuire, vendendo il suo
amato cappotto.
Nella soffitta del loro primo incontro, Rodolfo e Mimì ricordano con
tenerezza i giorni del loro amore. Mimì si spegne così, dolcemente,
circondata dai suoi amici. Mimì sembra assopita; il primo ad accorgersi
della sua morte è Schaunard, che lo confida a Marcello.
Rodolfo, una volta accortosi di quanto accaduto abbraccia piangendo la
sua amata ripetendo straziato il suo nome.

“ Quando men vo’ ”

Il brano che più caratterizza Musetta è una romanza, cantata in tempo di


valzer lento, con cui la ragazza si pavoneggia della propria bellezza e
dell'effetto che essa fa sugli uomini, dandole una sensazione di piacere.
Tale vanteria nasconde in realtà un messaggio rivolto a Marcello, che ella
spera di riconquistare, provocandone la gelosia. Il brano è accompagnato
da una serie di pertichini (ovvero interventi di altre voci) da parte di
Marcello, Alcindoro e Mimì, che commentano la situazione e che
contribuiscono, drammaturgicamente parlando, a "creare un collegamento
tra la dimensione lirica del brano e il realismo dell'azione". Nelle battute
finali, Musetta si rivolge direttamente a Marcello, dandogli del tu.

Inutilmente Marcello prova a resistere alla seduzione di Musetta:


nonostante le sue parole astiose, infatti, la ama ancora. E la cosa è
reciproca ("Io vedo ben / ell'è invaghita di Marcello!", commenta Mimì).
Dopo altri capricci e provocazioni ad arte, allontanato Alcindoro con una
scusa (Musetta finge di avere dolore al piede, e lo manda da un calzolaio a
comprare un altro paio di scarpe), i due amanti possono finalmente
abbracciarsi. "Siamo all'ultima scena!", commenta Schaunard,
proseguendo nel suo paragone con una commedia il cui finale era già noto
a tutti.
L’episodio di Musetta e del suo riavvicinamento a Marcello, a differenza
dell’incontro tra Rodolfo e Mimì, non comporta una vera e propria
divisione del quadro in due metà ma s’inserisce fluidamente nel contesto
della scena concertata. Puccini piegò con estrema abilità un materiale
melodico piuttosto omogeneo a varie funzioni. Dal tema mosso, che si ode
nel momento in cui la ragazza fa il suo ingresso, ricavò la capricciosa
melodia che ne caratterizza la frivolezza, destinata a ricomparire più volte
in stretta relazione con le parole con cui Musetta la intona. Puccini, fermò
l’azione ponendo al centro il sensuale valzer lento tripartito «Quando men
vo soletta», usato come musica di scena: Musetta intona una vera canzone
per sedurre il suo uomo. Davvero impossibile resistere più a lungo a tanta
grazia, e dopo l’ironico concertato, Marcello riprende la melodia della
ragazza, doppiato dall’orchestra al massimo volume, con la sonorità che
poi passa di colpo al più che pianissimo: un coordinamento magistrale fra i
tempi drammatici sullo spazio scenico diviso, che porta la seconda coppia
a ricongiungersi in un abbraccio, ma sempre con un distacco ironico da
parte dell’autore, che trova voce nel disincantato commento di Schaunard
(«Siamo all’ultima scena!»). Su questo soffuso clima sonoro s’innesta il
suono della banda proveniente dalle quinte di destra: il concreto richiamo
degli ottoni che attraversano il palcoscenico, una «ritirata francese», scuote
presenti e spettatori dallo statico incanto dell’idillio di un attimo. Come di
consueto, nella coda Puccini applica il principio della reminiscenza, e al
tema principale affidato alla banda sovrappone i temi che ricordano le
varie azioni precedenti: quello di Schaunard quando il musicista si
rovescia invano le tasche per trovare i quattrini per pagare il conto, quello
dell’entrata di Musetta, la principale trasformazione del tema del Quartiere
latino, infine la fragorosa ripresa della fanfara delle tre trombe, sigla
sonora dell’intero quadro.
“LES OISEAUX DANS LA CHARMILLE”
DA “ LES CONTES D’HOFFMANN” DI JACQUES
OFFENBACH

Jacques Offenbach ( Colonia, 20 giugno 1819 – Parigi, 5 ottobre 1880) è


stato un compositore, violoncellista e impresario francese di origine
tedesca del periodo romantico. È ricordato per le sue quasi 100 operette
dal 1850 al 1870 e per la sua opera incompiuta “ The Tales of Hoffmann”.
Fu una potente influenza sui successivi compositori del genere operetta, in
particolare Arthur Sullivan e Johnann Strauss; anch’egli autore di
valzer, collaborò con quest’ultimo per omaggiare l'associazione di
giornalisti “Concordia” con un pezzo scritto in onore del ballo del
circolo, ed entrambi composero un valzer: Offenbach, “Abendblatter”
(Foglie della sera) e Strauss “Morgenblätter” (Foglie del mattino).
Entrambi apprezzatissimi .
Le sue opere più conosciute sono state continuamente rianimate durante il
20 ° secolo, e molte delle sue operette continuano ad essere messe in scena
nel 21 °. “The Tales of Hoffmann” rimane parte del repertorio operistico
standard.
Nato a Colonia,figlio di un cantore della sinagoga, Offenbach mostrò il
primo talento musicale. All'età di 14 anni, fu accettato come studente al
Conservatorio di Parigi, ma trovò lo studio accademico insoddisfacente e
se ne andò dopo un anno. Dal 1835 al 1855 si guadagnò da vivere come
violoncellista, raggiungendo fama internazionale e come direttore
d'orchestra. La sua ambizione, tuttavia, era quella di comporre pezzi
comici per il teatro musicale. Trovando la direzione della compagnia
parigina dell'Opéra-Comique disinteressata a mettere in scena le sue opere,
nel 1855 affittò un piccolo teatro negli Champs-Élysées. Lì presentò una
serie di suoi pezzi su piccola scala, molti dei quali divennero popolari.
Nel 1858, Offenbach produsse la sua prima operetta completa, “Orphée
aux enfers” ("Orfeo negli inferi"), che fu eccezionalmente ben accolta ed è
rimasta una delle sue opere più rappresentate. Durante gli anni 1860,
produsse almeno 18 operette a figura intera, oltre a più pezzi in un atto. Le
sue opere di questo periodo includono “La belle Hélène” (1864), “La Vie
parisienne”(1866), “La Grande-Duchesse de Gérolstein” (1867) e “La
Périchole” (1868). L'umorismo risqué (spesso sull'intrigo sessuale) e le
battute satiriche per lo più gentili in questi pezzi, insieme alla facilità di
Offenbach per la melodia, li resero noti a livello internazionale, e le
versioni tradotte ebbero successo a Vienna, Londra e altrove in Europa.
Offenbach fu associato al Secondo Impero francese di Napoleone III;
l'imperatore e la sua corte furono genialmente satirizzati in molte sue
operette. Napoleone III gli concesse personalmente la cittadinanza
francese e la Legion d'Onore. Con lo scoppio della guerra franco-prussiana
nel 1870, Offenbach si trovò in disgrazia a Parigi a causa dei suoi legami
imperiali e della sua nascita tedesca. Tuttavia, ebbe successo a Vienna e
Londra. Si rabilitò a Parigi durante gli anni 1870, con revival di alcuni dei
suoi precedenti preferiti e una serie di nuove opere, e intraprese un
popolare tour negli Stati Uniti. Nei suoi ultimi anni si sforzò di finire “ The
Tales of Hoffmann”, ma morì prima della prima dell'opera, che è entrata
nel repertorio standard in versioni completate o curate da altri musicisti.

“LES CONTES D’HOFFMANN”

E’ un'opera fantastique , il cui libretto francese è stato scritto da Jules


Barbier e Michel Carré, che fu rappresentata postuma nel 1881, dopo
essere stata completata da Ernest Guiraud.
Già alla sua “prima”, avvenuta a Parigi, il lavoro conobbe numerosi tagli
e, da quel momento, iniziarono le vicissitudini di una partitura che ha
subito numerose versioni, arrangiamenti e ricostruzioni filologiche, a mano
a mano che riemergevano, talora in modo fortunoso, le parti mancanti
dello spartito originale.
Divisa in un prologo, tre atti ed un epilogo, il lavoro narra di alcuni degli
amori infelici dello scrittore tedesco Hoffmann.

Trama:

L'azione si sviluppa in diverse città durante i primi anni del XIX secolo. Il
prologo e l'epilogo sono ambientati a Norimberga; gli atti II, III e IV si
svolgono rispettivamente a Parigi, Monaco e Venezia.
Il prologo è ambientato nell’osteria di Luther, dove troviamo il perfido
Lindorf che, invaghitosi di Stella, una cantante d’opera, medita il modo di
soffiarla ad Hoffmann che la sta corteggiando.
A tale scopo paga il servo dell’artista Andrès, per non far giungere a
Hoffmann la lettera con la quale Stella gli dà appuntamento alla fine dello
spettacolo.
A questo punto entra in scena Hoffmann, ignaro dell’esito positivo dei suoi
sforzi, seguito dal fido amico Nicklausse ed entrambi incontrano Lindorf,
che completa il suo diabolico piano offrendo loro da bere.
Non ci vuole molto per rendere ubriaco lo scrittore che, in preda ai fumi
dell’alcool, si abbandona alla rievocazione di tre suoi amori infelici, a
cominciare da Olympia, automa dalle sembianze femminili, spacciato
dallo scienziato Spalanzani per sua figlia.
La triste realtà verrà a galla solo dopo un litigio fra lo studioso e
l’inventore rivale Coppelius che, pagato dal primo con un assegno
scoperto, si vendicherà distruggendo l’automa.
E’ poi la volta della struggente storia di Antonia, figlia del liutaio Crespel
e orfana di madre, giovane dalla meravigliosa voce, che non può sforzarsi
in quanto malata di tisi.
Morirà per un acuto sollecitatogli dal perfido dottor Miracle, che lei
credeva giunto in casa sua per curarla, e della morte verrà incolpato
Hoffmann, considerato che il dottore svanisce, per riapparire
misteriosamente nelle vesti del medico chiamato per constatare il decesso
di Antonia.
Il terzo ed ultimo amore è Giulietta, cortigiana veneziana, che si servirà di
Hoffmann, e della complicità dello stregone Dapertutto, per eliminare
l’amante Schlemil e fuggire con Pitichinaccio, così che lo scrittore rimarrà
nuovamente solo.
L’opera si chiude con Stella che entra nell’osteria e, trovando Hoffmann
ubriaco fradicio, ne esce a braccetto di Lindorf.
Allo scrittore non rimarrà che consolarsi con l’unico personaggio
femminile che gli è sempre stato accanto, ovvero la Musa ispiratrice dei
suoi componimenti letterari.

“LES OISEAUX DANS LA CHARMILLE”

Olympia, la bambola meccanica

Nel secondo atto – “Les Contes d’Hoffmann. La bambola” di Offenbach –


entra in scena il personaggio più famoso dell’opera. Molte sono state le
interpretazioni musicali di Olympia, il primo amore del poeta, che fin da
subito viene rapito dalla perfetta bellezza della fanciulla e non riesce a
vedere la sua vera natura da robot. Olympia non è altro che l’ultima
creazione di un fisico, un tempo maestro di Hoffman stesso, che mette alla
prova l’invenzione spacciandola per una donna vera e celebrando il suo
ingresso nella società. Malgrado i numerosi avvertimenti del suo fidato
amico Nicklausse, Hoffman continua imperterrito a voler conquistare
Olympia. Così entrambi si ritrovano ad assistere con ammirazione alla
chanson cantata dalla fanciulla durante la festa in suo onore.

“Les oiseaux dans la charmille” è l’aria più conosciuta di tutta l’opera! Avente
ritmo di valzer, evidentemente concepita per strappare una risata, la
chanson non racchiude in sé un significato profondo. È tuttavia un grosso
ostacolo di rappresentazione che ha bisogno soprattutto di bravura
recitativa e di grande padronanza lirica. Il canto di quest’ultima è infatti
costellato di fioriture musicali, ovvero ornamenti e abbellimenti melodici
che modificano la struttura lineare di una frase.
Ancor più arduo se si pensa all’interpretazione. La bambola infatti deve
muoversi con gesti legnosi e automatici, col volto stranamente statico e
inespressivo, solo la voce dà parvenza di umanità, tutto il resto è fin troppo
artificialmente perfetto. Nonostante tutti questi particolari il protagonista
continua a non accorgersi della verità intorno alla fanciulla e questo rende
ancora più suggestivo il lato comico della situazione quando, nel bel
mezzo dello spettacolo, il creatore di Olympia deve correre a ricaricare il
congegno per evitare di farla spegnere del tutto.
“TACE IL LABBRO” DA “LA VEDOVA
ALLEGRA” DI FRANZ LEHAR

Franz Lehár (Komàrno, 30 aprile 1870 – Bad Ischl, 24 ottobre 1948) è


stato un compositore austro-ungarico. È noto principalmente per le sue
operette,di cui la più riuscita e conosciuta è “La vedova allegra” (Die
lustige Witwe).
Nacque nella parte settentrionale di Komárno, figlio maggiore di Franz
Lehár (senior) un maestro di banda austriaco e Christine Neubrandt , una
donna ungherese proveniente da una famiglia di origine tedesca.
Studiò violino al Conservatorio di Praga,dove il suo insegnante di violino
era Antonín Bennewitz,ma fu consigliato da Antonín Dvořák di
concentrarsi sulla composizione.
Nel 1896 produsse la sua operetta “Kukuschka”. In “La vedova allegra”
(1905), su libretto di Viktor Léon e Leo Stein, Lehár creò un nuovo stile di
operetta viennese, introducendo melodie di valzer e imitazioni delle danze
cancan parigine e un certo elemento satirico. Il suo successo fu tale che
due anni dopo fu suonato a Buenos Aires in cinque teatri
contemporaneamente.
Molte altre operette di Lehár seguirono e divennero famose in Inghilterra e
negli Stati Uniti con i loro titoli inglesi. Tra questi c'erano “L'uomo con tre
mogli” (1908), “ Il conte di Lussemburgo” (1909), “L'amore zingaro”
(1910) e “La terra dei sorrisi” (1923). Molte delle sue opere sono state
filmate, tra cui “La vedova allegra” e “La terra dei sorrisi”. Scrisse una
sola grande opera, “Giuditta” (1934), che ebbe meno successo.

“LA VEDOVA ALLEGRA”


Operetta in tre atti, Debuttò con immediato grande successo il 30
dicembre 1905 al Theater an der Wien di Vienna.
Ha attraversato tutto un secolo di cambiamenti profondi, eppure il suo
successo non si è mai appannato ed è sicuramente destinato a rinnovarsi
nel terzo millennio.
Basti pensare che quest’operetta è a tutt’oggi uno dei titoli più
rappresentati nelle Stagioni Teatrali di tutto il mondo.

Trama:

All’ambasciata del Pontevedro a Parigi, c’è grande fermento.


Sta arrivando la Signora Hanna Glavari , giovane vedova del ricchissimo
banchiere di corte.
L’ambasciatore, il Barone Zeta, ha ricevuto l’incarico di trovare un marito
pontevedrino alla vedova e questo per conservare i milioni di dote della
signora, in patria. Infatti se la signora Glavari passasse a seconde nozze
con un francese, il suo capitale lascerebbe la Banca Nazionale
Pontevedrina e per il Pontevedro sarebbe la rovina economica.
Njegus, cancelliere dell’ambasciata, é un po’ troppo pasticcione per una
simile impresa ma c’é il conte Danilo che potrebbe andare benissimo.
Njegus e Zeta tentano di convincerlo ma lui non ne vuole sapere. Tra
Danilo e Hanna c’era stata una storia d’amore finita male a causa della
famiglia di Danilo. Da parte sua la vedova, pur amando Danilo, non lo
vuole dimostrare e fa di tutto per farlo ingelosire. Frattanto si snoda
un’altra storia d’amore che vede protagonisti Valencienne, giovane
mogliettina di Zeta, e Camillo de Rossillon, un diplomatico francese che la
corteggia con assiduità . I due si danno convegno in un chiosco. Li sta per
sorprendere il barone Zeta quando Njegus riesce a fare uscire per tempo
Valencienne ed a sostituirla con Anna.
La vedova sorpresa con Camillo! Tutti sono sconvolti, Danilo furioso
abbandona la festa. Tutto ormai sembra compromesso ma Njegus, vero
Deus ex-machina, riesce a sciogliere gli equivoci e a far confessare ad
Hanna e Danilo il loro reciproco amore. La patria é salva. D’ora in poi la
signora Glavari non sarà più “La vedova allegra” ma la felice consorte del
conte Danilo Danilowitch.

“TACE IL LABBRO”

Questo duetto si incontra nel terzo atto, verso la fine dell’operetta,


quando Danilo dichiara il proprio amore ad Hanna.
Uno dei brani più romantici nella storia dell’opera, ed uno dei più
famosi. Sulla scena , il canto solitamente è accompagnato dalla
danza,che esprime ancor di più l’unione tra i due.
CONCLUSIONE:

La scelta del mio argomento è stata molto semplice, considerando


l’amore a primo ascolto di due delle arie che ho incluso, ovvero
“Mein Herr Marquis” e “Les oiseaux dans la charmille”, studiate per
l’ultimo esame di canto; essendo entrambe in tempo di valzer, mi
diedero l’idea.
Due arie dalle caratteristiche simili, ambedue per voci leggere e di
coloratura: la prima dal carattere burlesco e provocatorio, la seconda
dal carattere molto buffo.
Qui si necessita di una forte tecnica vocale, soprattutto nella
seconda aria che presenta molte più agilità e note acute rispetto
alla prima, e ci vuole un grande sostegno dato dal diaframma in
particolar modo sui picchettati ; una buona dizione considerando la
pronuncia non semplice soprattutto del tedesco nella prima e la
tecnica dell’interpretazione che gioca sempre un ruolo più che
fondamentale .
Stesso discorso ovviamente vale per le altre tre arie;
ne “Il Bacio”, bisogna mantenere la voce più morbida e flessibile
per tutti i cambi dinamici, un flusso che deve saper trasportare
l’ascoltatore “nell’ebrezza d’un amplesso” … che deve saper
conquistare con la sua sensualità; nel “valzer di Musetta”, è da
considerare sia la duttilità vocale, da sfruttare in ogni frase sotto
precisissima richiesta del compositore, nei continui crescendo ,
diminuendo e ritardando, sia il portamento sbarazzino e altezzoso
dell’esecutrice, che deve forzatamente possedere per rendere appieno
l’idea del personaggio. Tutto ciò, naturalmente accompagnato da una
voce più piena e rotonda rispetto alle altre arie , come vuole il
periodo.
Infine, dopo queste quattro tutte un po’ somiglianti tra loro
soprattutto interpretativamente parlando, c’è l’ultima aria, “Tace il
labbro”, che rappresenta il pieno romanticismo nella discussione;
solitamente conclusa danzando, per dare ancora più l’idea dell’amore
e della complicità tra i due protagonisti.
BIBLIOGRAFIA:

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https://www.treccani.it/enciclopedia/valzer

https://www.viaggio-in-austria.it/valzer.html

https://unaparolaalgiorno.it/significato/valzer

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https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-arditi_(Dizionario-Biografico)

https://www.ilgiornale.it/news/bacio-che-ha-fatto-storia-musica.html

https://blog.libero.it/channelfy/13811767.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Strauss_(figlio)

https://www.tutelapipistrelli.it/2012/04/20/il-pipistrello-di-johann-straus/
https://www.teatrocarcano.com/il-pipistrello/

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http://www.cantarelopera.com/libretti-d-opera/la-boheme

https://operaomniablog.blogspot.com/2016/04/la-boheme-12-quando-men-
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https://www.treccani.it/enciclopedia/jacques-offenbach

https://www.settemuse.it/musica/jacques_offenbach.htm

https://www.musicacolta.eu/offenbach-breve-biografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_Offenbach

http://guide.supereva.it/critica_di_musica_classica/interventi/2009/09/offe
nbach-les-contes-dhoffmann

https://ilchaos.com/les-contes-d-hoffmann-la-bambola-di-offenbach-fa-
divertire/
https://www.britannica.com/biography/Franz-Lehar

https://www.treccani.it/enciclopedia/ferenc-lehar

https://www.musicacolta.eu/la-vedova-allegra/

https://tonykospan21.wordpress.com/2017/04/06/la-vedova-allegra-storia-
trama-e-video-della-mitica-ed-affascinante-operetta/
RINGRAZIAMENTI:

Un importante capitolo del mio percorso musicale si è concluso, e


per questo, ci tengo a ringraziare tutte le persone che mi sono state
accanto in questi anni e che mi hanno sostenuto, nei momenti bui
come in quelli raggianti.

In primis, ringrazio per tutto l’amore , la vicinanza ed i consigli che si


possano ricevere, la mia meravigliosa famiglia: Mia madre Donatella,
mia nonna Anna, mia zia Raffa, mia zia Chiara, Eva, zio Maurizio,
Paolo e Maria, la mia àncora e guida;

Ringrazio la mia maestra Annamaria Dell’oste, per avermi guidato ed


accompagnato fin qui;

Ringrazio Alessandra, mia sorella, “la mia persona”, la più importante,


per tutto ciò che da 20 anni fa e che so continuerà a fare per me.
La mia spalla in tutto, senza di lei ed il suo sostegno,non ce l’avrei
mai fatta ad arrivare fin qui. Sono orgogliosa di averla accanto a
me, e questo traguardo, per quanto mi riguarda, è anche un po’ suo.
Siamo una forza;

Ringrazio Luisa e Monica, anch’esse come sorelle di sangue, mie


metà, per tutta la vicinanza e il supporto soprattutto in questo
periodo. Avervi nella mia vita è stato ed è un gran dono;

Ringrazio Giuliana, il mio “monamour”, per tutto il tempo passato


insieme a parlare dei miei problemi, dei miei successi e paranoie
davanti alla cioccolata calda, e per avermi saputo sempre incoraggiare
alla grande! Ti adoro;

Ringrazio Maria,la migliore, che con la sua saggezza riesce sempre (o


spesso…) a calmarmi o a farmi essere più “riflessiva” nelle cose. Sei
un bene prezioso, averti accanto è da sempre una gran fortuna, per
me e per chi ti conosce;

Ringrazio Claudia, che conosco da poco tempo, ma è come se fossimo


praticamente nate insieme. Grazie per la comprensione e gli abbracci,
per le nostre risate insieme, e per la nostra complicità assurda. Rendi
il conservatorio un posto migliore;

Ringrazio Simone, che con la sua stupida ironia mi fa sorridere ogni


giorno. Il mio amico più caro, con cui ormai condivido ogni singolo
momento della vita. Sei prezioso, ovviamente soprattutto per la tua
limonata;

Ringrazio Mariangela, la mia gioia, per la sua allegria nell’affrontare


le cose e la sua speranza. Da sempre pronta a tirarmi su ed a
sostenermi, sempre con le giuste parole piene di postività. Ti adoro;

Ringrazio Marta, per la sua infinita dolcezza, per tutte le belle


parole che mi ha saputo dire da quando ci conosciamo. Abbiamo
scelto lo stesso tortuoso percorso, e sono sicura che sempre e dico
sempre ci saremo l’una per l’altra;
Ringrazio Mariachiara, per la sua allegria, simpatia e spensieratezza
che fanno bene al cuore. Per la sua voglia di divertirsi e di non
pensare a niente, per la sua capacità di sorridere nonostante le
difficoltà, che mi è stata d’aiuto;
Ringrazio Antonella, che occupa un posto importante nel mio
cuoricino. La ringrazio per tutte le videochiamate , le registrazioni, le
chiacchierate fatte insieme, sia per studiare che per sfogarci, per la
nostra sincronia, nello studio musicale e nella vita;

Ringrazio Sara, che è sempre stata presente fin dall’inizio del mio
percorso, per tutte le cose che abbiamo condiviso facendo parte
anche della stessa classe di canto.

Ed infine ringrazio Gio’, che anche se conosco da poco, non ci ha


messo molto a mostrarsi ai miei occhi come la persona bella e
speciale che è. Ed inoltre, la mia fotografa preferita.

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