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A Midsummer Night's Dream (Sogno di una notte di mezza Estate), op.

61

Felix Mendelssohn Bartholdy, nato da una ricca famiglia della buona borghesia berlinese, ebbe il
meglio per la sua educazione. Fra i tanti privilegi, gli toccò anche quello di frequentare la cerchia
del più grande poeta tedesco dell’ epoca, Wolfang von Goethe. In questa cerchia non si amava
Beethoven, per due motivi: in primo luogo in un celebre incontro avvenuto a Teplice, cittadina
boema famosa per le sue acque curative, Beethoven e Goethe non si erano trovati affatto
simpatici; in secondo luogo, la musica di Beethoven sembrava troppo moderna e rivoluzionaria,
per i suoi riferimenti etico-filosofici che andavano ben al di là del linguaggio dei suoni. Goethe
assegnava a questo linguaggio limiti ben definiti, al contrario dei romantici, e compositori come
Mozart e Beethoven gli sembravano troppo desiderosi di uscire da questi limiti.
Mendelssohn tuttavia non si conformò del tutto alle idee di Goethe e a diciassette anni compose
un piccolo capolavoro progressista, l’ ouverture intitolata Sogno di una notte d’ estate, ispirata alla
(quasi) omonima commedia di Shakespeare. La novità si manifesta in un trattamento virtuosistico
dell’ orchestra, animata da una timbrica leggera e vivace. Non ci sono cambiamenti nella forma
dell’ ouverture sinfonica, costruita secondo il codice della “forma sonata”, ma il tono fantastico e
umoristico dell’ orchestrazione apre nuovi orizzonti: nella cultura ottocentesca entra il nuovo mito
letterario romantico, quello del barbaro Shakespeare, contrapposto alle regolamentazioni del
teatro classico. Il colto e aggiornato Mendelssohn si affrettò a tradurlo in musica.
Così , quando nel 1841, ormai trentaduenne e musicista affermato, fu chiamato a Berlino dal
nuovo re di Prussia, Federico Guglielmo IV ad allestire tragedie greche e drammi shakespeariani
insieme al poeta Ludwig Tieck, Mendelssohn non esitò a riutilizzare le musiche composte per l’
overture scritta a diciassette anni, riadattate in modo che non si notasse nessuno stacco stilistico.
Altro non fa, quindi che riprendere l'Ouverture com'era nata, estrarne disegni e motivi primari per
comporre musiche necessarie all'allestimento: otto numeri, oltre ai brani inseriti nella recitazione.
Impiegando due soliste di canto, coro femminile e orchestra, Mendelssohn si riaggancia dunque
alla pagina sinfonica del '26, usando un'ammirevole coerenza stilistica. Il gioco sottile svolto su
diversi piani prospettici, reale e fittizio, del "teatro nel teatro", gli interventi soprannaturali di
personaggi della mitologia celtica (Oberon e Titania e il genietto spiritoso e perverso Puck), danno
luogo a interscambiabilità tra sogno e realtà, tra sentimenti autentici e illusori, con una rete di
risonanza, echi, richiami, appelli, da cui Felix trae spunto per puntare le sue carte migliori sugli
aspetti fiabeschi, grotteschi, sentimentali.
Le musiche di scena, pubblicate come op. 61, comprendono, oltre all'Ouverture, tredici «numeri».
Sono pagine sinfoniche, brani vocali, e «Melodramen» (in italiano li chiamiamo melologhi: sono
pezzi dove la musica strumentale accompagna e commenta la recitazione degli attori; nel Singspiel
tedesco servivano come mediazione ideale fra la prosa e le parti cantate). In sede di concerto si
esegue, per lo più, una Suite cosi composta: Ouverture, Scherzo, Notturno e Marcia nuziale,
oppure il complesso dei brani sinfonici e vocali, con l'esclusione dei melologhi.
Il primo brano è lo Scherzo, destinato a seguire il primo atto. Con esso si prepara, dopo un atto
interamente dedicato agli uomini (la corte di Teseo e Ippolita e il piccolo mondo degli artigiani),
l'ingresso delle creature soprannaturali, sullo sfondo, gonfio di allusioni magiche, della foresta. Il
virtuosismo arditissimo del flauto (abbastanza inedito, per l'epoca) annuncia il mondo fantastico di
Puck e delie fate (ma «fairy», in inglese, come «Elfe» in tedesco, significa qualcosa di diverso dalla
nostra fata; senza un sesso preciso, fra l'altro). Dal Melodram (n. 2) che vi segue direttamente è
tratta la Marcia degli Elfi, che accompagna l'ingresso di Titania e del suo seguito.

Il terzo pezzo è un «Lied mit Chor». Due Elfi cantano una berceuse: sul sonno di Titania si passa
direttamente ad un altro Melodram, quarto numero della partitura, mentre Oberon spreme sugli
occhi di lei il succo del fiore magico. La conclusione dell'atto è commentata dall'Intermezzo (n. 5).
Dall'atmosfera magica del secondo atto si è ricondotti alla realtà del mondo degli uomini: Ermia
scompare nella foresta, nell'affannosa ricerca di Lisandro; nella seconda sezione dell'Intermezzo
assistiamo all'ingresso del gruppo degli artigiani.

Nel terzo atto, un lungo Melodram (n. 6); al termine, il favoloso Notturno: il sonno delle coppie si
colora di magia nel fascino irripetibile del timbro dei corni,in una pagina che segna una delle vette
della poesia, naturalistica di Mendelssohn. Un altro Melodram nel quarto atto; poi, al numero 9, il
brano più celebre, la Marcia Nuziale: il sipario si apre sull'ultimo atto, mentre sfila il corteo di
Teseo e di Ippolita e dei loro cortigiani. Dal Melodram n. 10 è tratta una Marcia funebre, a
commento di un episodio della recita degli artigiani (è il suicidio di Tisbe sul cadavere di Piramo!).
La conclusione della commedia, dopo la danza (n. 11) e il Melodram (n. 12), soppressi in questa
esecuzione, giunge con la canzone delle fate. Mondo reale e mondo fantastico si mescolano una
volta di più: quale sarà quello più autentico? Si riascolta un motivo dell'Ouverture: Puck augura
buonanotte agli spettatori.

Maria Rosaria Ettorre

Fonti:

Claudio Casini, L’ arte di ascoltare la musica, Bompiani, 2007;

Franco Sgrignoli, testo tratto dal n. 68 (Luglio 1995) della rivista Amadeus;

Guido Turchi, testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,

Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 maggio 1990;

Daniele Spini, testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,

Firenze, Teatro Comunale, 5 giugno 1978 .

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