Elisa Bignante
Sentieri metodologici
Gli studi visuali operano in due ambiti fra di loro interconnessi:
1. Analisi delle immagini, ricerca sulle immagini.
2. Produzione delle immagini, ricerca con le immagini.
Tuttavia è una distinzione più teorica che pratica, spesso i ricercatori si avvalgono di
entrambi i metodi.
In entrambi i casi l’immagine non è un documento oggettivo (la realtà può essere
modificata prima di venire fotografata), è usata come strumento attraverso cui
produrre delle conoscenze, tenendo conto della relazione con il contesto sociale.
Attraverso l’utilizzo di immagini il geografo riesce a dare profondità alle proprie
capacità di osservare. Ad esempio come fulcro di un’indagine può esserci la funzione
emotiva, ci si concentra su aspetti differenti della fotografia.
Ricerca sulle immagini
Analizza le funzioni di foto, video e altre rappresentazioni visuali prodotti da terzi, da
un altro gruppo sociale per comprendere ed analizzare la società stessa.
In quest’indagine l’attenzione si concentra su 4 dimensioni diverse:
a. Contesto in cui l’immagine è stata fatta
b. Il suo contenuto
c. Contesti e dimensioni soggettive attraverso cui le immagini vengono osservate
d. Il loro materiale.
Ricerca con le immagini
Il ricercatore in questo caso porta con sé videocamere e macchine fotografiche.
Può essere egli stesso a produrre materiale visivo o i partecipanti all’analisi.
Sulla base di queste due prospettive, le tecniche di analisi sono distinte secondo chi
produce l’immagine.
Tutti gli atti di registrazione (fotografia, filmati…) sono influenzati da valori economici,
sociali e culturali. Nel momento in cui la foto viene prodotta c’è già una consapevolezza
del pubblico che la guarderà, la si scatta quindi per ottenere un consenso sociale.
Analizzandole si può quindi capire cosa viene considerato giusto o sbagliato…
Non esiste uno specifico quadro metodologico per analizzare un discorso, il primo
passo è però capire di cosa ci si vuole occupare, per trovare poi le fonti da indagare.
Una volta catalogate le fonti esse verranno analizzate secondo le domande guida. In un
discorso si intrecciano diverse prospettive, è necessario trovarle tutte per rendere conto
del discorso nella sua complessità.
Capitolo 3, fare ricerca con le immagini
Il capitolo è organizzato intorno a due questioni:
- Quali ragioni e quali obiettivi rendono opportuno e utile che il geografo produca
immagini durante la sua ricerca?
- Com’è possibile farlo? Attraverso quali strumenti e percorsi?
La ricerca attraverso la produzione di materiale visuale è utile per due motivi,
perché permette di raccogliere informazioni sui luoghi, sul loro funzionamento e sui
fenomeni che li riguardano. In secondo luogo perché permette di restituire visivamente
i risultati ottenuti, cercando forme alternative di coinvolgimento dell’audience.
Tuttavia le immagini non sono usate con una concezione positivista di “magazzino
oggettivo”, ma permettono di dare un senso alla realtà, che varia a seconda del
contesto.
La scelta fra fotografia e filmato
Ci sono metodologie di indagine che per loro natura richiedono l’uso o della fotocamera
(photo essay) o della videocamera (filmato di ricerca).
Altre metodologie invece implicano la scelta del ricercatore.
Le immagini fisse e in movimento offrono potenzialità diverse:
- LA MACCHINA FOTOGRAFICA permette in un unico scatto di registrare una
molteplicità di aspetti materiali e spaziali dei luoghi e dell’interazione umana,
coglie attimi separati.
- Anche la VIDEOCAMERA permette di fare fotografie, ma questo è solo un uso
limitato, che ne appiattisce le potenzialità. Un video non è solo la somma di
immagini fisse o di scene. La videocamera consente di fare interagire immagini
e parole, e di seguire i fenomeni nel loro dispiegamento naturale.
(l’introduzione di strumenti digitali, facili da trasportare e utilizzare ed economici, ha
permesso di poter produrre materiale visivo anche a ricercatori non esperti registi,
anche se spesso, proprio per la loro accessibilità, non permettono un’analisi adeguata
dello strumento di ricerca).
Non in tutte le indagini e ricerche l’introduzione del materiale visivo è utile.
L’indagine video/fotografica
È un lavoro sistematico, attraverso il quale si dà risposta ai quesiti che la ricerca si
pone. Non si tratta di documentare semplicemente una ricerca con materiale
multimediale, per renderla più evocativa. Le immagini sono prodotte per indagare il
fenomeno oggetto di studio.
La fotografia e la ripresa danno la possibilità di rivedere, analizzare e reinterpretare più
volte i dati, il ricercatore si trova fra le immagini il materiale attraverso cui operare la
propria analisi.
Passaggi da seguire nel condurre l’analisi, di Malcom Collier:
- Individuare temi e sottotemi di ricerca
- Individuare schemi di classificazione
- Accortezze nella produzione di immagini, scattare o riprendere da diversi
angoli, altezze, distanze… può permettere di arricchire le informazioni raccolte.
- Prendere appunti
- Analizzare le immagini prodotte
(esempio: analisi sulla gentrification di città come Amsterdam o Chicago)
Produzione di immagini come attività complementare
Nell’indagine video/fotografica, le immagini possono essere usate dal ricercatore
anche per arricchire di informazioni l’indagine, senza rappresentare lo strumento
principale di analisi.
In questi casi si ricorre a foto e video per immagazzinare dati e informazioni che
altrimenti non si registrerebbero (solo con audio e appunti), che rimangono quindi
sempre disponibili per un’analisi.
PHOTO ESSAY
Consiste nell’organizzare una sequenza di fotografie, solitamente accompagnate da un
testo, in modo tale da trasmettere uno o più messaggi definiti a priori dal
ricercatore.
Deve quindi essere dotato di una fonte narrativa che leghi il testo e le immagini in
sequenza. (bisogna studiare bene la sequenza delle immagini, le loro interazioni, i testi)
Può essere organizzato in due modi:
- Prevalenza di immagini con testi brevi.
- Prevalenza di testi, intervallati da immagini
L’utilizzo di questo strumento non significa tuttavia limitarsi al racconto di qualche
vicenda, ma si tratta di avvalersi delle immagini per trasmettere informazioni
affinché possano essere colte più efficacemente.
Fasi di produzione di una photo essay:
1. Definire con chiarezza la storia/il messaggio che si vuole trasmettere
2. Raccogliere le immagini da utilizzare
3. Confrontare vantaggi e svantaggi di immagini rispetto al testo
4. Decidere se usare in prevalenza immagini o testi.
5. Organizzare la presentazione, definendo bene ordine delle immagini e del testo.
FILMATO DI RICERCA
Così come le foto, anche il video può essere utilizzato per trasmettere i risultati di
una ricerca. Il filmato è così un modo sia per condurre l’analisi, sia per raccogliere ed
elaborare informazioni, che per restituire i risultati della ricerca.
Nel momento della ripresa il ricercatore cerca risposta ai suoi quesiti, interpreta la
realtà. Al momento della restituzione, con il montaggio, li trasmette all’audience.
Il momento del montaggio è una fase delicata perché la realtà può essere
modificata, l’obiettivo è quello di trasmettere informazioni, non di raccontare una
storia.
Ci sono due modi di montare il filmato:
- Per riduzione, cutting, non modifica il senso delle riprese, ma ne taglia parti
superflue.
- Per assemblaggio, assembling, assembla le scene, esportandole dal loro contesto.
GENTRIFICATION
Tutte le città come Disneyland
Giovanni Semi
- È un rinvestimento che interessa edifici e quartieri, spesso nel centro città, che
hanno perso il proprio valore.
- Muta sia l’economia (i nuovi prezzi sono insostenibili per i vecchi abitanti) che
l’estetica dei vecchi quartieri. I quartieri gentrificati producono copertura
mediatica, rilanciano l’economia, MA si assomigliano tutti, secondo un modello
riconoscibile universalmente.
- Si crea un’immagine della città moderna, affascinante e globale (spariscono i
piccoli negozietti a conduzione familiare, sostituiti dalle grandi catene…)
Capitolo 1, una piccola storia della gentrification
La gentrification è uno degli elementi fondanti delle fasi di urbanizzazione, è una
delle forme classiche e principali del progetto urbano della modernità.
Le città sono in continuo cambiamento, si impoveriscono e arricchiscono, e la
gentrification ne è un indicatore.
PARIGI, CAPITALE DELLA MODERNITÀ
La prima trasformazione urbana gentrificata è stata l’haussmanizzazione di Parigi
(1853-1870).
Sotto il governo di Napoleone 3, Haussman rase al suolo parte del centro storico della
capitale con due motivi principali:
- Eliminare le fasce più basse della società, le aree fatiscenti della città.
- Costruire i grandi boulevard per ridefinire la circolazione e l’immagine di Parigi.
Le ondate di gentrification
A partire dagli anni 70 in poi aumentano esponenzialmente i casi globali di
gentrification.
La gentrification è stata suddivisa in quattro ondate: tre nel modello originale si
Hackworth e Smith, e la quarta aggiunta poi da Lees, Slater e Wyly.
1. La PRIMA ONDATA è definita gentrification sporadica (caso londinese). È
caratterizzata da un ritorno non sistematico dei capitali in città, spesso legato
alla diffusione di politiche locali che serviranno da stimolo per gli investimenti.
Il modello proposto da Hackworth e Smith interseca fasi di gentrification a fasi di
latenza, chiamate transizioni. La transizione che seguirà la prima ondata di
gentrification è caratterizzata dalla diffusione dell’opera, condotta da alcuni
pionieri, che entravano in città attraverso l’affitto di alloggi. È una fase di
stabilizzazione, dove anche i vecchi quartieri di Londra conoscono una fase di
miglioramento.
2. La SECONDA ONDATA, detta di ancoraggio, è caratterizzata da un sempre più
solido legame fra la gentrification e il settore finanziario, immobiliare, con
politiche di riqualificazione culturale.
3. La TERZA ONDATA di gentrification è diffusa anche al di fuori dei centri urbani e
dall’incorporazione di riqualificazione anche pubblica, non solo sponsorizzata
da privati.
4. La QUARTA ONDATA corrisponde al periodo fra il 2000 e il 2006, un periodo
caratterizzato dalla più grande bolla speculativa della storia. È una speculazione
immobiliare, finanziata dalle famiglie tramite il pagamento dei mutui. La città
che quindi esce da questa quarta fase di gentrification è una città a misura di
famiglia, che riempiono la città post-fordista.
Smith si occupa dei primi tre punti, in particolare del primo, è necessario infatti contare
su aree e investitori disponibili, secondo lui la relazione fra produzione e consumo è
simbiotica, i produttori della gentrification si attivano quando si accorgono che si
amplia il differenziale di rendita, il rent gap. (differenza fra quanto si potrebbe
guadagnare in un’area, rendita potenziale del terreno, e quanto si guadagna prima degli
investimenti, rendita capitalizzata del terreno).
Chiaramente la rendita capitalizzata del terreno è al massimo per ogni edificio nuovo
costruito, e si abbassa naturalmente con il passare del tempo, è una curva
tendenzialmente decrescente, e può riguardare sia il singolo edificio che l’intero
quartiere. Il valore dei quartieri interessati è cresciuto fino al 2000%.
LE GROWTH MACHINES
Le due grandi dimensioni che collaborano nei processi di gentrification sono quella
economica e quella politica, Molotoch è il primo a cogliere questa collaborazione.
Il valore di un immobile non è un valore intrinseco, ma cambia varia a seconda degli
“accessori” che possiede, ad esempio la vicinanza a zone di interesse. I luoghi di
interesse sono così difesi dai cittadini per non far perdere valore alla propria abitazione,
e gli stessi cittadini saranno molto interessati al place-making, la produzione di luoghi.
I luoghi sono quindi il frutto di una continua costruzione sociale da parte dei
cittadini e dei produttori di spazio (place entrepreneurs), che sono distinti in
“imprenditori per caso”, ereditieri, “imprenditori attivi”, partecipano alle scelte
residenziali, “speculatori strutturali”, producono attentivamente le scelte, per ottenere
ad esempio modifiche alla viabilità…, hanno quindi necessità di una stretta
collaborazione con la sfera politica.
- La teoria della growth machine di Molotoch e Logan sostiene quindi che per
sfruttare economicamente il valore dei luoghi e produrre crescita, alcuni
attori si coalizzano e creano le “macchine della crescita”, meccanismi di
produzione del consenso economico e politico che fanno incamerare i benefici
della trasformazione urbana a spese dei non membri della coalizione e delle aree
non interessate.
C’è quindi una sorta di competizione interna per accaparrarsi la crescita.
Fanno parte della coalizione uomini politici, media locali, dirigenti delle
infrastrutture pubbliche, e le istituzioni di rilievo, come le università, i
commercianti… hanno tutti interessi diversi ma convergenti nella crescita di una
determinata area, richiede una collaborazione di discipline solitamente non unite.
Diversi interessi portano sul piano decisionale, diversi argomenti, come:
Benessere fiscale, riqualificazione per migliorare il bilancio pubblico
Tasso di impiego, con il lavoro edilizio, nelle nuove infrastrutture…
Consumistica, nuovi residenti più ricchi, più consumi (giustificazione
a favore del ricambio di popolazioni).
Eliminazione dei problemi e delle fasce sociali che non qualificano
positivamente un territorio.
Sostenibilità ambientale
I regimi urbani
Clarence Stone individua l’approccio del “regime urbano”, per molti tratti simile alla
teoria della GM, ma che a differenza di quest’ultima assume che il governo della città
sia rivolto semplicemente al place-making. Secondo Stone gli attori si coalizzano per
governare la città attraverso una modalità che chiama appunto regime urbano.
I RU sono delle coalizioni che consentono un salto di livello qualitativo in
termini di possibilità di intervento e quindi possono incidere maggiormente, ma non
c’è necessariamente un disegno politico forte prima della nascita della coalizione.
Il RU non si occupa solamente della costruzione di luoghi, ma anche di un insieme molto
vasto di politiche e tematiche.
Un elemento fondamentale della teoria è l’agenda, ovvero l’insieme degli obiettivi che
un RU si pone, essi infatti possono essere di diverso tipo, di mantenimento, di
espansione per le classi inferiori, di sviluppo…
La teoria dei RU offre alcuni insegnamenti importanti:
1. Le trasformazioni urbane sono frutto di decenni di gestazione, la pianificazione
richiede molto tempo.
L’approccio postindustriale
L’avanzata delle nuove classi sociali, produttrici e consumatrici allo stesso tempo della
città, è un fiume in piena, in concomitanza con la nascita dello stato fordista.
Crescono a dismisura i servizi offerti, e con essi i posti di lavoro, è il boom
economico.
Più lavoro più reddito più consumi, che cambiano rispetto alle generazioni prima.
Le città, una volta colonizzate si adattano ai gusti e agli stili di vita dei propri
cittadini.
Le classi medie filtrano a Londra
Un approccio simile a quello di Ley (), è quello di Hamnett, che analizza Londra. La
capitale britannica, come le altre città industriali è stata caratterizzata dallo
spostamento della centralità del settore industriale, a quello del settore finanziario.
Crescita esponenziale dei professionisti, i ricchi si arricchiscono sempre di più, i poveri
invece vanno assottigliandosi imborghesimento di Londra
Londra è una città che come molte altre, essendo ricca e piena di capitali in
circolazione, subiscono sia la seconda che la terza ondata di gentrification, L. è infatti
diventata un polo finanziario globale (da polo manufatturiero che era).
Le classi più povere vengono allontanate dal centro di Londra, e con essi il lavoro
operaio, tendenza alla terzizzazione.
- Non è solo la città a trasformare la sua componente sociale, ma anche il
contrario, i cittadini infatti modificano la città a loro volta, in funzione di
interessi, luoghi di interesse…
I figli della generazione postindustriale allo stesso modo lavorano per trovarsi una zona
nella quale vivere con i loro simili, con i luoghi di interesse vicini.
Londra diventa così una scacchiera di gioco, ambita da molte persone, anche i migranti
lavorativi.
Creativi di tutto il mondo
La classe dei migranti lavorativi, detta anche classe creativa, ha una forte influenza
nell’organizzazione della città.
Tesi di FLORIDA: l’ascesa della creatività, anche quella individuale, è il motore
propulsore del cambiamento sociale, culturale ed economico della città.
La creatività è una proprietà degli individui, quindi è condivisa da una classe, appunto
la classe creativa, che si divide in:
- Nucleo super creativo (scienziati, ingegneri, docenti, artisti, designer…)
- Professionisti creativi, impegnati nell’applicazione di ciò che il nucleo super
creativo ha ideato e proposto.
Questa nuova classe è attirata in città dalle 3T: Tecnologia, Talento e Tolleranza, che
hanno permesso di stilare una classifica delle città più “creative”.
È una tesi che è stata molto criticata, soprattutto dal punto di vista scientifico.
Ma va ricordata perché ha mostrato che l’invocazione di politiche urbane alla classe
creativa è una richiesta di gentrification.
I consumi, materiali e simbolici, dei cittadini sono sempre più differenziati, quindi
c’è bisogno di un’offerta differenziata. La città è il luogo di incontro fra le aspirazioni
individuali a consumare in maniera legittima, e l’offerta globale per farlo.
Nel panorama urbano Zukin individua tre tipologie commerciali e quindi di
capitale, sia economici che sociali (variano a seconda del cliente interessato:
- Capitale neoimprenditoriale per le boutiques
- Capitale transnazionale per le catene
- Capitale fortemente locale che caratterizza il commercio tradizionale (in via
d’estinzione).
Si tratta di GENTRIFICATION COMMERCIALE, corrisponde ad una sostituzione della
popolazione commerciale precedente, che talvolta viene espulsa (come quella
residente), caratterizzata dall’essere più benestante (catene commerciali) o elitaria
(boutiques).
Una volta gentrificato commercialmente, il quartiere acquisisce una lingua tutta sua,
spesso incomprensibile ai vecchi cittadini. Cambia sia l’apparenza spaziale che i ritmi
temporali (cosa fanno tutti i giovani di notte qua? Che bevono? Perché hanno i tatuaggi?)
La GAY GENTRIFICATION
Esempio quartiere Le Marais a Parigi, quartiere LGBTQ.
L’unione fra politiche pubbliche e investimenti privati ha comportato in molte città la
nascita anche di quartieri Gay, della cosiddetta “pink economy”, che diventano
anch’essi un consumo, distretti culturali e di divertimento.
La città ha da sempre rappresentato un rifugio per le minoranze, e la nascita di quartieri
dedicati è la normale conseguenza.
La gay gentrification ha posto sotto i riflettori una contraddizione: se la
gentrification ha sempre teso a escludere le fasce invisibili e marginali, la gay g. è
un’eccezione, una fascia marginale è diventata il centro di un quartiere gentrificato.
(è comunque molto criticata sia da membri interni, come intellettuali, che da esterni,
probabilmente per una presunta superiorità etica).
Le città hanno quindi vissuto il doppio progresso assottigliamento della classe operaia
e bassa, consolidamento della classe media.
Le città sono meno segregate del passato, ma con un amalgama di cittadini di classe
medio-alta, la cui distanza fra loro è andata sempre più diminuendo, città sono il
palcoscenico dove avvengono le relazioni fra classi.
La casa degli italiani.
La gentrification italiana, figlia di una crescita generalizzata, va messa in relazione con i
comportamenti residenziali delle nuove classi cittadine.
Non si intende solo il back-to-the-city-movement, il ritorno in città, ma anche la
dinamica e progressiva mutazione della composizione della città. Sono rimasti
all’interno i figli delle classi medie, beneficiari di titoli di studio che permettono
l’accesso lavorativo al mondo terziario.
Come gli abitanti si sono appropriati della città, attraverso quali pratiche di accesso
alla casa?
la casa è un bene posizionale, di cui vedremo le caratteristiche. La gentrification dei
centri urbani è stata segnata dalla proprietà della casa, dalla corsa al mattone (dagli
anni 70 in poi gli investimenti si spostano dalle industrie al settore edilizio), seppure con
qualche differenza. I cittadini sud-europei (Italia, Grecia, Spagna…) sono il 85%
proprietari dell’immobile in cui vivono, percentuali molto diversi dai paesi nordici (60%).
Ad esempio in Italia avere la propria casa è sinonimo di sicurezza, le famiglie in
affitto sono le più vulnerabili socialmente. MA a livello urbano, centro città, la
percentuale diminuisce parecchio.
Le disuguaglianze sociali nell’accesso alla casa segnano geografie molto chiare,
delineate anche dall’azione pubblica che ora tende a tutelare solo le fasce più deboli.