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Gianluca Giannetta
1. Introduzione
La società è profondamente cambiata da quando la macchina è stata introdotta nel mondo del
lavoro. Dai primi vagiti della rivoluzione industriale fino ad arrivare ai grandi stabilimenti del
giorno d'oggi è presente un abisso tecnico e sociale ma c'è un fattore che accomuna queste due
epoche, un trait d'union che mette in contatto gli inizi della società industriale con l'attuale stato
delle cose.
La macchina o per meglio dire il macchinario è il mezzo con cui l'industria ha preso piede, si è
evoluta e con cui ha raggiunto l'importanza fondamentale che ha oggi. Passando attraverso vari
sistemi produttivi il settore si è evoluto a tentoni, facendo esperimenti e cercando di trovare il
miglior compromesso tra il profitto ed il benessere dei lavoratori. L'industria ha anche creato delle
nuove classi sociali e ha dato adito a molte critiche così come a molte lodi sia da parte di industriali
sia da parte di operai e dei sindacati che li rappresentavano.
L'industria è “de facto” il simbolo del progresso di un paese. Se non si è industrializzati significa
che si è arretrati, significa che il benessere materiale è lontano e che si è quindi ancora distanti dal
raggiungere l'obiettivo di una società migliore o perlomeno questo è il criterio con cui viene
misurato il progresso di una nazione e, in generale, è ciò a cui ogni Stato mira.
In questo manoscritto verranno trattati i sistemi taylorista e fordista e come questi hanno influito sia
negativamente che positivamente sulla vita degli operai, andando a rivoluzionare il mondo
industriale e cambiando per sempre il metodo di produzione e di approccio tra lavoratori dipendenti
e capitalisti. Ford e Taylor hanno influenzato in modo decisivo tutta l'industria americana e poi
mondiale, mettendo da parte i vecchi sistemi e attuandone di nuovi, più progressisti e sicuramente a
loro maniera sperimentali e rischiosi. Ai tempi infatti l'equazione per un buon profitto era quella di
tenere i salari il più basso possibile in modo da ridurre i costi. Ford ebbe la geniale idea, tra le tante,
di aumentare gli stipendi dei dipendenti in modo che potessero anche loro contribuire alla crescita
del mercato, creando quindi una situazione di benessere generalizzato che era quasi sconosciuto agli
europei di quel periodo mentre Taylor cambiò il rapporto che l'operaio aveva con il lavoro,
facendolo certamente diventare più impersonale e negativo in quanto perdeva completamente quel
tratto nobilitante che inizialmente lo caratterizzava.
Cercherò quindi di analizzare gli aspetti positivi e negativi di queste nuove politiche societarie,
cercando di mettere in particolare evidenza quelli che sono stati i cambiamenti per quanto concerne
i lavoratori. Le scelte effettuate dai due industriali americani sono riuscite a innovare
1
completamente un settore e hanno dato un grande contributo alla creazione della società moderna
con i loro prodotti standardizzati e destinati alla massa. Si possono senza dubbio inserire tra quella
lista di persone che hanno contribuito a creare il nuovo modo di pensare il mercato che prende il
nome di consumismo.
Henry Ford e Frederick Taylor sono stati dunque uomini decisivi nello schema della storia moderna,
due personaggi che hanno contribuito a creare la società del XX secolo e che hanno influenzato
l'avvenire dell'industria capitalistica.
2
2 L'industria americana prima di Taylor
Lo sviluppo dell'America preindustriale è stato portato avanti in modo assai differente rispetto a
quello avvenuto in Europa. Il Nuovo Mondo divenne in breve tempo (circa un secolo) il trainatore
dell'economia mondiale e sicuramente il paese più prosperoso e con un livello di benessere più alto
rispetto a tutti gli altri paesi del mondo. Si può constatare questo "dominio" economico dal fatto che
nel 1914 ben il 40% dell'intera capacità produttiva mondiale era manifatturata negli Stati Uniti 1. Si
può quindi capire come il miglioramento dell'efficienza abbia dovuto essere per forza di cose
enorme e ad un livello mai visto fino ad allora, in quanto altrimenti non sarebbe potuta essere
concorrenziale nei confronti dell'Inghilterra. La causa di questa efficienza è da ricercarsi nelle
grandi invenzioni scientifiche avvenute durante e dopo la rivoluzione industriale. Possiamo citare
ad esempio l'elettricità per il funzionamento dei macchinari e per l'illuminazione, il telefono, la
radio, il motore a combustione e molti altri 2. Queste invenzioni hanno velocizzato in maniera
esponenziale il passaggio che è stava avvenendo dal precedente modo di concepire la produzione a
quello nuovo, basato sui macchinari e su schemi padronali molto più sviluppati, risultanti
nell'annichilimento della dignità del lavoratore. Le conseguenze saranno poi evidenti: delle nuove
classi sociali verranno formate, questa volta non più basate su diritti di nascita, bensì basate su
fattori economici e di imprenditorialità. Sarà il lavoro adesso a fare la differenza tra un ricco ed un
povero e non più l'appartenenza ad una certa famiglia. Antonio Gramsci 3 definisce questa situazione
una "composizione demografica razionale" 4 e cioè l'assenza di classi parassitarie che approfittano
del lavoro altrui. Seppur il lavoro sia concepito in modo diverso infatti anche il capitalista è
obbligato ad esso perché senza di questo si ridurrebbe a non essere nulla all'interno di una società
basata sulla produzione.
Per capire l'evoluzione del lavoro negli Stati Uniti possiamo far riferimento a questi dati 5: nel 1790
il giovane stato americano contava poco meno di quattro milioni di abitanti, sparsi su un territorio
che definire vasto è un eufemismo. Circa due terzi della popolazione attiva era concentrata nel
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 13, Roma 2005.
2 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 13, Roma 2005.
3 Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) è stato un politico, filosofo, giornalista e critico
letterario italiano ed è tra I fondatori del Partito Comunista Italiano. - http://bit.ly/bKuBMT
4 A. Gramsci, Quaderno 22. Americanismo e Fordismo, pp.13 e ss., Torino 1978
5 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 14, Roma 2005.
3
settore agricolo e solo il 5% della gente abitava in centri cittadini. L'attività produttiva industriale
era quindi quasi assente e la manifattura era di basso profilo, destinata cioè a rifornire un mercato di
piccolissime dimensioni e che aveva come fine soprattutto quello del sostentamento.
Mentre gli Stati Uniti si stavano lentamente evolvendo dal profilo demografico in Inghilterra ci fu
lo scoppio della rivoluzione industriale, la quale cambiò il modo stesso in cui il lavoro era
concepito. La rivoluzione poté avvenire solo grazie alla grande disponibilità di manodopera a basso
costo presente nello stato europeo, prerogativa che era assente in America poiché il tenore di vita
della classe che sarebbe diventata operaia era decisamente più alto 1 e la popolazione troppo poca
per poter permettere uno sfruttamento della manodopera come quello avvenuto nelle industrie
inglesi. Altro requisito fondamentale della rivoluzione industriale era che il modo di produrre
doveva evolversi rispetto al passato perché l'efficienza doveva essere portata al massimo, in modo
che gli sprechi andassero eliminati completamente in fase produttiva. Il lavoro stesso ora avrebbe
richiesto caratteristiche assai differenti rispetto al passato e quindi il lavoratore doveva cambiare di
conseguenza. Smith nel suo “The Wealth of Nations” 2 aveva anticipato quello che sarebbe poi
effettivamente avvenuto nelle fabbriche: la lavorazione di un prodotto non sarebbe più stata affidata
nella sua interezza a un singolo uomo, bensì essa sarebbe stata divisa in tante piccole parti e ogni
uomo avrebbe lavorato a quella piccola parte e in questo modo si sarebbe ottenuta una produttività 3
totale più alta rispetto alla somma delle singole parti. Facendo questo si sarebbero potuti quindi
eliminare i tempi morti in cui un lavoratore si doveva spostare e doveva cambiare mansione e
magari doveva eseguire un compito in cui non eccelleva in abilità. Invece rimanendo al proprio
posto e svolgendo sempre la stessa operazione non ci sarebbero stati sprechi di tempo e dato che si
sarebbe svolto sempre lo stesso lavoro con continuità, questo lo si sarebbe fatto alla perfezione. Si
stava così creando il concetto di standardizzazione della produzione, il quale esigeva la
fabbricazione di pezzi sempre uguali in serie.
In quest'epoca storica (XIX secolo) però la produzione procedeva al ritmo dell'uomo, non al ritmo
della macchina di cui doveva essere “servitore”. In questo modo gli operai dovevano rimanere
all'interno di un livello produttivo prestabilito ma potevano adattare il ritmo di lavoro al loro corpo
(entro certi limiti chiaramente).
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 14, Roma 2005.
2 Pubblicato nel 1776, La ricchezza delle nazioni (The wealth of nations in inglese) è l'opera principale di Adam Smith,
ritenuto il fondatore dell'economia politica liberale. - http://bit.ly/dueyiS
3 La produttività è il rapporto tra la quantità di risorse prodotte e la quantità di risorse utilizzate.
4
Con questi concetti che man mano si radicavano sempre più nelle industrie si andava via via
creando quella che sarebbe poi stata la fabbrica moderna, le cui caratteristiche sono le seguenti 4:
4 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 16, Roma 2005.
2 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 16, Roma 2005.
3 Nelson in Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 17, Roma 2005.
5
implicito che se avessero avuto un minimo di passione per il lavoro che erano chiamati ad eseguire
sarebbero stati più produttivi. Dato poi che l'organizzazione del lavoro è ancora in larga parte nelle
mani del singolo operaio, il quale decide modi e tempi dell'operazione produttiva, è ovvio che
questa auto-gestione è fuori dal controllo del management. Date queste premesse, uno dei principali
obiettivi che aveva Taylor era quello di trasferire le conoscenze tecniche dalle mani della
manodopera a quella del capitalista, svelando tutti i misteri che si celano dietro al lavoro in modo da
poterlo controllare dall'esterno 1.
Le condizioni in cui gli operai dovevano lavorare e vivere erano terrificanti. Condizioni di sicurezza
minime quando non assenti, nessuna assicurazione che il giorno dopo si sarebbe riavuto il posto di
lavoro, salario al minimo della sussistenza, orario massacrante (si arrivava facilmente anche a sedici
ore al giorno), condizioni igieniche pessime (spesso si contraevano molte malattie direttamente in
fabbrica) e abitazioni fatiscenti. Come esempio di città operaia possiamo prendere alcuni spunti
dalla descrizione che Friederich Engels fa di Manchester in “La situazione della classe operaia in
Inghilterra” nel 18452.
[...] Aggiungerò che gli stabilimenti industriali si allineano per la maggior parte lungo il corso dei tre fiumi o dei vari
canali che corrono attraverso la città, e immediatamente mi appresto a descrivere i quartieri operai. Innanzi tutto vi è
la città vecchia di Manchester, che si stende dal limite settentrionale della zona commerciale al fiume Irk. Le strade
qui, anche le migliori, sono anguste e tortuose, [...] le case sudicie, vecchie e in rovina, e le vie laterali sono uno
spettacolo davvero orrendo. Se dalla Cattedrale si imbocca Long Millgate, sulla destra si incontra subito una schiera
di antiquate case, delle quali non si è conservata diritta una sola facciata; sono quanto resta della Manchester
preindustriale, i cui abitanti di un tempo con le loro famiglie si sono trasferiti in quartieri meglio costruiti,
abbandonando quegli alloggi per loro ormai troppo squallidi a una razza operaia con abbondanti tracce di sangue
irlandese.
In verità, è questo un quartiere quasi manifestamente operaio, dato che anche le botteghe e le osterie non si curano di
apparire un tantino pulite. Ma questo è ancora uno scherzo in confronto ai vicoli e ai cortili che si aprono dietro le
case, l'unico accesso ai quali è costituito da passaggi coperti tanto stretti che nemmeno due persone riescono a
camminarvi fianco a fianco. È arduo immaginare la caotica mescolanza delle case, che irride ogni razionale criterio
urbanistico, l'accozzaglia prodotta dal fatto che si ergono letteralmente le une sulle altre. E la colpa non è solo degli
edifici superstiti della vecchia Manchester: il disordine ha toccato l'apice in epoca più recente, poiché ovunque si
trovasse un minimo di spazio tra le strutture esistenti, si è costruito e accomodato senza posa, finché tra le case non
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 69, Roma 2005.
6
sono rimasti neppure pochi centimetri di terreno libero da poter sfruttare. [...]
In basso scorre, o meglio ristagna, l'Irk, uno stretto corso dall'acqua scura e maleodorante, che deposita la spazzatura
e i rifiuti di cui è zeppo sulla riva destra, più piatta. Quando il clima è secco su questa riva resta una lunga fila di pozze
repellenti e fangose, di color verdognolo, la cui superficie ribolle di continuo per i gas mefitici che salgono dal fondo,
emanando un fetore insopportabile anche per chi è sul ponte, una quindicina di metri sopra il livello dell'acqua.
Inoltre, il fiume incontra un frequente ostacolo negli alti argini, dietro i quali si ammassano e marciscono grandi
quantità di fango e rifiuti. In capo al ponte si trovano grandi concerie, più oltre tintorie, mulini per polverizzare ossa e
gasometri e tutti i loro scarti e canali di scolo confluiscono nell'Irk, dove pure si riversa il contenuto di fogne e latrine
nelle vicinanze.
Con ciò, non è difficile intuire la natura dei residui che il fiume si lascia alle spalle. Ai piedi del ponte si notano le
macerie, i rifiuti, il sudiciume e lo sfacelo dei cortili affacciati sulla scoscesa sponda sinistra; le case si susseguono
fitte e, per il dislivello della riva, se ne scorge di ognuna un pezzetto: annerite per il fumo, diroccate e vecchie, con le
finestre dai telai e i vetri in frantumi. Fabbriche anacronistiche simili a caserme fanno da sfondo. La riva destra, meno
ripida, è costeggiata da una lunga fila di abitazioni e stabilimenti; già la seconda casa è in rovina, non ha più tetto ed è
piena di macerie, e la terza è talmente bassa che il piano inferiore è inabitabile e pertanto privo di finestre e porte.
Le condizioni della classe operaia nelle città europee erano pessime e il livello della vita era così
basso che migliaia e migliaia di persone decisero di abbandonare il proprio paese ed emigrare negli
Stati Uniti, paese che offriva un livello di benessere assai più alto e che quindi attirava molte
persone. Questa immigrazione era favorita dal governo e dalle industrie americane in quanto
proprio in quegli anni il livello di espansione delle fabbriche sul suolo statunitense raggiunse
proporzioni molto importanti. È proprio in questo periodo (metà del 1800) che si venne a creare la
classe proletaria americana che era composta da due tipi di lavoratori immigrati: i nord europei, che
avevano un grado di specializzazione più elevato dato dal loro precedente lavoro all'interno di
industrie del Vecchio Continente, e immigrati del sud e dell'est europeo, i quali erano caratterizzati
dal lavoro non qualificato e d eranodi estrazione principalmente contadina 1. I primi si seppero
facilmente integrare e di conseguenza ricevettero salari che erano al livello degli operai americani
mentre i secondi erano una massa difficile da controllare e alla ricerca di un lavoro che erano
disposti ad accettare ad un salario qualsiasi pur di farsi assumere, cosa subito sfruttata dagli
imprenditori americani che, vedendo la domanda crescere esponenzialmente, diminuirono il salario
(rimaneva comunque un tenore di vita superiore rispetto a quello che avevano facendo i contadini in
Europa). Tra il 1881 e il 1915 il numero di immigrati sul suolo statunitense raggiunse la
ragguardevole cifra di venti milioni di persone, originarie di un po' tutti i paesi europei. Come
termine di paragone per vedere l'aumento dell'emigrazione che si ebbe in Europa possiamo prendere
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 18, Roma 2005.
7
i dati della Gran Bretagna: nel 1815 erano circa 2000 le persone che scelsero di andare negli Stati
Uniti ma, solo quindici anni dopo, nel 1830, il numero di questi emigrati aumentò a 57'000 1.
8
3 L'organizzazione taylorista del lavoro
Frederick Taylor è nato nel 1856 a Philadelphia da genitori benestanti e all'età di 19 anni, dopo aver
abbandonato l'idea di studiare legge nell'università di Harvard, diventa apprendista macchinista in
un'impresa nella sua città natale. Nel 1876 finisce l'apprendistato e in pochi anni diventa capo
ingegnere alla Midvale Steel Company 2, dove è incaricato alla riparazione e manutenzione delle
macchine. Poco dopo diventa capo ingegnere della fabbrica e ricomincia gli studi al Stevens
Institute of Technology dove nel 1883 si laurea in ingegneria meccanica. È qui che inizia ad
elaborare le sue teorie. Una volta tornato al suo posto di lavoro in fabbrica comincia ad aumentare
la produzione agendo su fattori come quello del cottimo o licenziando i meno produttivi, venendo
promosso in breve tempo a capo dell'officina meccanica. Nel 1901, dopo aver fatto esperienza in
altre aziende, decide di diventare consulente manageriale a tempo pieno e scrive un libro chiamato
“Taylor system of shop and management” che introduce in tutte le industrie americane. Il 31 marzo
1915 muore e lascia dietro di sé un eredità che in quel momento influiva sulla vita di circa 63'000
operai.
Dinanzi alla sempre più forte importanza che la produzione e le industrie assumevano nell'economia
si sentì il bisogno di diminuire gli sprechi e rendere il lavoro il più efficiente possibile, in modo che
tutte le risorse che si avevano a disposizione rendessero al massimo. Se da una parte questo poteva
essere risolto con la scienza tecnica che aveva il compito di migliorare i macchinari per renderli più
veloci e meno costosi, dall'altra c'era il punto debole della catena produttiva, debole in quanto non
poteva venir facilmente controllata e migliorata. Questa variabile era costituita dall'uomo o meglio
dall'operaio, colui che con la sua attività doveva portare a compimento quei lavori che le macchine
non potevano fare da sé. Per portare anche l'uomo a lavorare efficientemente e precisamente come
una macchina ci si servì dello scientific management, sistema che permise di estendere i rigidi
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 44, Roma 2005.
2 Acciaieria piuttosto famosa per la sua produzione di artiglieria pesante. Ha cessato le sue attività nel 1972 ma ha
riaperto i battenti in Svizzera, mantenendo lo stesso nome.
9
concetti ingegneristici che erano una prerogativa delle macchine anche all'analisi e al controllo delle
attività umane. “Il nucleo essenziale dello scientific management era l'idea che l'attività umana
potesse essere misurata, analizzata e controllata”, cioè il concetto che il lavoro ed i movimenti ad
esso associati fossero scientificamente e dunque minuziosamente pianificati 1. Questi sono dunque i
principi del taylorismo e, rispetto a quella che era la gestione dell'epoca, richiedevano una
trasformazione radicale di quella che era l'intera struttura organizzativa dell'impresa. Si doveva
studiare scientificamente il miglior metodo di lavoro in rapporto alle caratteristiche dei lavoratori e
delle macchine, si doveva addestrare in modo preciso e minuzioso la manodopera, si doveva creare
uno stretto rapporto di collaborazione tra la direzione e gli operai, si doveva distribuire
uniformemente il lavoro tra operai e amministrazione 2.
Taylor trovava infatti che nelle aziende ci fosse una sbagliata valutazione di quelle che erano le
capacità delle singole persone e che queste, dovendo lavorare in ambienti ostili e pericolosi per la
salute, non potessero lavorare efficientemente e quindi produrre di più. Inoltre a nessuno importava
assolutamente nulla del lavoro che era chiamato a svolgere e non c'era quindi nessun interesse per il
profitto dell'imprenditore 3. Egli si convinse che tutte le carenze che le fabbriche avevano erano da
imputarsi all'auto-gestione del lavoro operaio e che quindi la dirigenza avrebbe dovuto imporsi in
modo preciso e calcolato anche nella “micro-economia aziendale”. Il suo obiettivo sarebbe stato
quindi quello di ottenere dagli operai il “giusto ritmo di lavoro” 4 perché la dirigenza non sapeva
quanto effettivamente un operaio potesse produrre in una giornata e, a causa di questo, veniva di
fatto minata la sua potenziale produzione. Si era dunque in un epoca in cui le industrie
sottostimavano la loro capacità produttiva effettiva e Taylor decise di cambiare questa situazione.
Ora, per contrastare l'autodeterminazione del lavoro produttivo degli operai (che egli asseriva
limitasse la produzione giornaliera ad un terzo di quella che si sarebbe potuta ottenere con una
migliore efficienza), Taylor iniziò con l'analizzare i metodi che i capisquadra utilizzavano per
cercare di migliorare la produttività dei lavoratori. Tra queste figuravano la minaccia del
licenziamento e i tagli alle tariffe di cottimo 5. Secondo lui infatti gli operai cercavano di limitare in
modo volontario la loro efficienza. Questo può sembrare un controsenso dato che producendo di più
1 Hugh G.J Aitken., Scientific Management in Action. Taylorism at Watertown Arsenal, pg. 75, 1960 Cambridge, in
Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 27, Roma 2005.
2 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 28, Roma 2005.
3 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 28, Roma 2005.
4 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 28, Roma 2005.
5 Sono i tagli al salario che il datore di lavoro effettuava per cercare di far incrementare la produzione degli operai -
Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 29, Roma 2005.
10
in teoria si riceveva un salario maggiore. Il metodo però funzionava in modo diverso: ad un iniziale
aumento di produzione la paga effettivamente saliva ma una volta che questa era stata aumentata
anche la produzione per ricevere la stessa quantità di salario doveva salire e quindi si doveva
lavorare molto più di prima (i benefici venivano quindi oltremodo compensati dagli svantaggi). È
quindi naturale che con un sistema del genere, creato appositamente per utilizzare fino all'ultima
goccia di sudore dell'uomo addetto alla macchina, questi operai non erano spinti ad aumentare la
produzione oltre una certa soglia. Questo prefigura uno sfruttamento da parte dell'imprenditore nei
confronti dei suoi sottoposti che essi non vedevano certo di buon occhio, non interessandosi del
futuro della compagnia per la quale lavoravano. Di conseguenza lavoravano unicamente per il
proprio “benessere” e ai loro ritmi. Citando una frase dello stesso Taylor possiamo comprendere
meglio questa situazione: «un operaio, dopo aver visto il suo salario decurtato in tal modo come
ricompensa alla maggiore produzione giornaliera, dev'essere un uomo straordinario se non adotta il
sistema di andare adagio per impedire al suo datore di lavoro di derubarlo della sua fatica»1.
Al fine di risolvere questo primo problema ideò un sistema di cottimo diverso, chiamato
“differenziale”. Questo consisteva in un mix di ricompense e punizioni, un po' come quando si
educano i bambini, per cui se la produzione aumentava il salario veniva aumentato in modo stabile
mentre se essa calava anche il salario corrispondente veniva diminuito in modo fisso. È facile
intuire per che motivo venne introdotto questo nuovo sistema di retribuzione. Al momento
dell'assunzione si veniva a creare una sorta di selezione automatica senza che ci fosse più una scelta
arbitraria degli operai; solo i più produttivi rimanevano nell'azienda mentre gli altri si allontanavano
di propria spontanea volontà dato che la paga per chi produceva poco era talmente bassa che
conveniva cercare un altro lavoro.
Grazie al cottimo differenziale Taylor sperava anche di evitare la chiusura delle fabbriche a causa
degli scioperi e delle proteste operaie in quanto, dal suo punto di vista, questo sistema di
retribuzione premiava gli operai “bravi” e di conseguenza questi non avrebbero avuto di che
lamentarsi. Quelli che invece ricevevano una paga troppo bassa non avrebbero potuto lamentarsi
poiché le cause del basso salario sarebbero state imputabili solo a loro.
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pgg. 29-30, Roma 2005.
11
3.2.2 Analisi scientifica del lavoro
“In our scheme, we do not task for the initiative “Nel nostro progetto, noi non cerchiamo
of our men. We do not want any initiative. All we l'iniziativa dei nostri uomini. Non vogliamo
want is to obey the orders we give'em, do what alcuna iniziativa. Tutto ciò che vogliamo è che
we say, and do it quickly”. eseguano gli ordini che impartiamo, che
(Frederick Taylor) facciano ciò che gli diciamo, e che lo facciano
in fretta”.
(Frederick Taylor)
Nonostante gli sforzi di Taylor la situazione nelle fabbriche americane (ma anche in altri ambiti
come quello della costruzione delle ferrovie per cui venne poi processato 1) non cambiò in modo
radicale come lui inizialmente prevedeva. Deluso dal comportamento che imprenditori e operai
avevano nei confronti della produzione iniziò a sviluppare un sistema in cui ogni aspetto
dell'operaio e della sua mansione veniva minuziosamente analizzato e misurato in modo scientifico
e preciso, fornendo poi il modo migliore per aumentare la produzione.
Tuttavia il comportamento degli operai non era certo semplice da analizzare. Il giusto ritmo del
lavoro non era facile da stabilire in quanto bisognava includere nell'analisi non solo la fatica degli
uomini (fattore di per sé già difficile da quantificare con precisione) ma anche la frequenza e la
durata dei movimenti che andavano a costituire una perdita di tempo, il numero e la lunghezza delle
pause e ovviamente il fattore psicologico (ad esempio se un uomo era nervoso e teso sarebbe stato
più approssimativo nel compito affidatogli, non rispettando pienamente i tempi prestabiliti 2).
Il problema di fondo era dunque la percezione di quello che era ritenuto il “giusto ritmo”. Per i
lavoratori era naturalmente concettualmente diverso rispetto a quello che aveva in mente Taylor ed
il grosso problema da risolvere era far capire agli operai che lavorando meglio e secondo regole
scientificamente trovate avrebbero giovato non solo all'impresa ma anche a sé stessi.
Ciò che Taylor intendeva con “analisi scientifica del lavoro” era il metodo con cui si sarebbero
potuti cronometrare in modo preciso tutti i gesti necessari ad un dato compito. Non era dunque
sufficiente che un imprenditore dichiarasse che, secondo il suo modo di intendere il lavoro, lo
1Taylor venne accusato di ledere i diritti dei lavoratori che stavano costruendo la ferrovia verso l'Ovest e venne
processato e conseguentemente assolto
2Hugh G.J Aitken., Scientific Management in Action. Taylorism at Watertown Arsenal, pg. 78, 1960 Cambridge, in
Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 33, Roma 2005.
12
sforzo dei suoi operai era troppo basso in quanto questo rappresentava solo un giudizio, un'opinione
basata sulla sua scala di valori 1 e che come tale non poteva costituire un preciso risultato scientifico
inconfutabile. Taylor era persuaso che «un corretto ritmo di lavoro fosse possibile misurando
scientificamente uomini con caratteristiche differenti vincolati alle stesse prescrizioni
nell'esecuzione di un lavoro»2. Questo rappresenta la base ideale da cui poi si dipanerà il concetto di
scientific management.
Nel primo caso l'attività veniva suddivisa in una miriade di piccole operazioni la cui totalità dava il
prodotto finale. Come conseguenza ogni singola unità di lavoro doveva venire analizzata e
programmata prima che l'operaio la eseguisse per fare in modo che la svolgesse nel modo più
efficiente possibile. Tutte le azioni che erano considerate superflue e che rallentavano l'attività
dovevano essere eliminate per massimizzare la produzione, poco importa se queste erano necessarie
agli operai per rilassarsi o quant'altro. In questo modo l'uomo diventa una semplice appendice della
macchina, diventa una sorta di servo che non può avere nemmeno il tempo per pensare, il cui unico
scopo è eseguire quei pochi movimenti che gli sono stati affidati e di farlo con la maggiore
efficienza possibile. Questa efficienza non è però derivata dai suoi bisogni e dalle sue capacità ma è
esterna al lavoratore, viene imposta come qualcosa di innaturale che non segue i ritmi del suo corpo.
Per Taylor tuttavia questo costituiva un male minore perché la produttività era la sua principale
preoccupazione e dopotutto un operaio era libero di non accettare un lavoro del genere.
L'importante era che venisse creata una distinzione precisa tra i movimenti “necessari” e quelli
“inutili”4. Per analisi del lavoro si intende quindi questo: come si fa per le scienze classiche, ora
anche l'attività produttiva doveva essere spezzettata ed analizzata punto per punto fino ad arrivare a
trovare la soluzione sostenuta da calcoli precisi che quello era il metodo più efficace per produrre.
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 34, Roma 2005.
2 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 34, Roma 2005.
3Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 34, Roma 2005.
4 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 35, Roma 2005.
13
Il secondo punto fermo dello scientific management era l'analisi dei tempi, ed è una diretta
conseguenza dell'analisi del lavoro. Una volta che l'operazione produttiva veniva divisa in tante
piccole sottoparti queste dovevano venir cronometrate al secondo per poter calcolare il tempo totale
che si impiegava a produrre un bene 1. Se per quanto riguarda i macchinari non esisteva alcun
problema (bisognava semplicemente vedere quanto tempo impiegava una macchina a fare
un'operazione, facendo riferimento alle caratteristiche stesse delle macchine) per gli uomini la
situazione era alquanto più problematica. È vero che bastava cronometrare quanto tempo ci metteva
un operaio a posizionare il pezzo sulla macchina e a rimuoverlo 2, ma se per un macchinario questo
veniva ripetuto all'infinito con praticamente sempre la stessa velocità, non si può dire lo stesso degli
uomini. Qui entrano in gioco fattori come la psicologia o le condizioni fisiche, di certo non uguali
per tutti e non sempre identiche nel tempo. Un operaio che ad esempio è malato (e che va
comunque al lavoro se non vuole perdere il posto) avrà reazioni di certo differenti rispetto ad uno
sano. Altro fattore che entra in gioco è la stanchezza: eseguire per tutto il giorno sempre lo stesso e
ripetitivo movimento stanca fisicamente oltre che psicologicamente e dopo un po' la velocità di
esecuzione rallenterà, anche a causa dell'estrema noia. Taylor avrebbe dovuto quindi fare i conti
anche con questi problemi, tuttavia egli trattava gli operai come accessori del macchinario.
Carl Barth, un suo stretto collaboratore, disse che «il nostro metodo è così chiamato (scientific
management, ndr) perché determina esattamente, ovvero scientificamente, il tempo con cui un
uomo può portare avanti il suo lavoro» 3. Intuibile quindi che le necessità degli operai non erano
tenute in considerazione, se non al fine di migliorare la loro efficienza. Taylor pensava infatti che
avesse poco senso studiare la psicologia degli uomini in quanto era impossibile determinarla con
certezza matematica. Insisteva quindi nel misurare solamente quelle parti del lavoro che erano
scientificamente provabili e quindi quelli che sono i fattori meccanici 4, senza tener conto dei fattori
sociali (ad esempio un operaio poteva aver paura di perdere il posto e il fatto stesso di essere
cronometrati costituiva un fattore di stress che poteva falsare il risultato del cronometraggio).
Questo venir costantemente controllati e cronometrati era fonte di grande fastidio per gli operai,
come testimoniato da Hugo Luaders, un meccanico nell'arsenale di Watertown:
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 35, Roma 2005.
2 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 37, Roma 2005.
3 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 36, Roma 2005.
4 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 37, Roma 2005.
14
«Gli operai accoglierebbero con favore qualsiasi sistema valido. Lo vogliono decisamente. Questo
fatto di avere un tale che ti sta dietro le spalle e che ti segna tutte le operazioni che tu vai facendo,
questa è una cosa che noi [operai] respingiamo nel modo più assoluto» 1.
Se prima dell'arrivo di Taylor l'assunzione della manodopera era del tutto arbitraria, dopo
l'introduzione del metodo scientifico questa cambiò e diventò imparziale e oggettiva (quantomeno
nelle intenzioni). In precedenza i capireparto assumevano il personale con criteri come quelli
dell'amicizia, della parentela e in particolare si affidavano al caso, prendendo quelle persone che la
mattina si accalcavano ai cancelli della fabbrica. Per Taylor tutto ciò non poteva che rappresentare
un inutile spreco di risorse in quanto i datori di lavoro non sapevano quali erano le abilità e le
competenze di chi assumevano e assai raramente le proprie abilità risultavano poi utili all'attività
produttiva. Ciò che introdusse fu quindi il sistema “dell'uomo di prima categoria” 2, concetto che al
giorno d'oggi è assolutamente scontato, ma che non lo era alla fine del XIX secolo.
Un dipendente doveva essere assunto in base alle sue abilità peculiari e di conseguenza gli doveva
essere affidato un lavoro conforme a queste abilità, ovviamente perché avrebbe potuto essere più
efficace nella risoluzione dei compiti che gli erano assegnati. È ovvio che una persona a cui sia
affidata una mansione che sa fare, la eseguirà meglio rispetto ad una persona che non la sa fare.
Questo semplice e scontato dogma lo convinse che questo «era il modo più democratico per trattare
i lavoratori»3. Inoltre al posto di una continua minaccia di licenziamento che alimentava un clima di
concorrenza tra i lavoratori della fabbrica, lui ideò un sistema in cui gli operai che non riuscivano a
produrre le quantità pattuite nel contratto sarebbero stati istruiti su come meglio procedere cosicché
al posto di concorrenza si formò un cameratismo non troppo dissimile da quello che si può trovare
nelle caserme militari.
Venne così introdotto il concetto di “cooperazione taylorista” 4 che, guardando con occhi distaccati,
non corrisponde all'idea che abbiamo comunemente di cooperazione, almeno per quanto concerne
l'operaio. Se per il management la cooperazione era costituita dal lavoro che veniva
1 D. Montgomery, Quali standard? La classe operaia e la riorganizzazione della produzione negli Stati Uniti, in D.
Montgomery, Rapporti di classe nell'America del primo '900, Torino 1980, in Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a
Ford, pg. 63, Roma 2005.
2 F. Taylor, Shop Management, New York 1911, in Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 38, Roma 2005.
3 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 38, Roma 2005.
4 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 39, Roma 2005.
15
scientificamente e in modo ugualitario impartito alla manodopera, per questa era questione di
ricevere gli ordini ed eseguirli alla lettera. Le indicazioni dei direttori dovevano essere eseguite
senza porre domande o condizioni che potessero rallentare il processo produttivo, perché il
management aveva impostato il lavoro in un modo preciso e scientifico, determinandone il miglior
procedimento possibile (Taylor lo chiama il “one best way”). Di conseguenza i lavoratori non
avrebbero avuto nulla da obiettare (si stava utilizzando il metodo migliore, l'unico possibile)
rendendo così inutili i sindacati e gli scioperi. Sappiamo che ciò non avvenne perché questo sistema
portò i lavoratori a una condizione di stress ancora superiore rispetto al passato non avendo più
nessun controllo sul proprio corpo e sui propri pensieri, uccisi dalla monotonia ripetitiva del lavoro
che erano chiamati a svolgere. Inoltre essere cronometrati per tutto il tempo e lavorare ad un ritmo
così sostenuto portò molti operai a protestare, come nel caso del “Watertown Arsenal” 1. Qui si
accorsero che lo scientific management non era applicato allo stesso modo in tutte le fabbriche,
risultando alla prova dei fatti molto poco scientifico, e riguardo al cronometraggio un operaio disse:
«non ho nulla in contrario che loro verifichino in quanto tempo io svolgo il mio lavoro, ma obietto
sul fatto che mi si segua in continuazione con un cronometro come se fossi un cavallo o
un'automobile». L'operaio si sentiva quindi spersonalizzato nel lavoro che era chiamato a svolgere,
sentendosi ridotto ad essere parte di un processo e venendo privato di quella dignità che dovrebbe
caratterizzare tutte le persone, sentendo anche che il sistema scientifico era qualcosa di falso e
imposto loro in modo autoritario.
Per arrivare al livello di cooperazione voluto da Taylor, bisognava rinnovare l'apparato direttivo
che, come abbiamo visto, era ancora piuttosto antiquato e non rispondeva alle esigenze della
produzione in serie standardizzata moderna. Dato che le alte sfere dell'impresa solitamente
lasciavano che a gestire i problemi più ricorrenti e di natura produttiva fossero i subalterni, Taylor
introdusse nel sistema queste tre innovazioni 2:
• campi di competenza limitati: i subalterni dovevano occuparsi solo di quelle questioni che
erano di loro diretta competenza e non occuparsi della gestione della produzione
• formalizzazione e regolamentazione delle procedure di direzione
• costituzione dei quadri intermedi: creazione di una nuova categoria di lavoratori che
fungono da tramite tra direzione e subalterni
1 United States Congress, Hearings before special committee of the house of representatives to investigate the Taylor
and other systems of shop management, in Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 42, Roma 2005.
2Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 40, Roma 2005.
16
Grazie a queste tre ferree regole Taylor cambiò il modo in cui le informazioni venivano trasmesse
all'interno della fabbrica, facendo in modo che gli operai facessero solamente il loro lavoro e non
quello che teoricamente sarebbe spettato a persone con compiti dirigenziali o di supervisione. Il
processo produttivo era ora sottoposto al supervisionamento di più persone, le quali avevano una
visione unitaria dell'azienda e potevano così meglio dirigere il flusso di lavoro. In questo modo ci
sarebbe potuta essere una comunicazione più efficiente tra direzione e manodopera, eliminando di
fatto il problema dell'autogestione che per Taylor era uno dei fattori principali da eliminare per
migliorare la produttività delle imprese.
Questo sistema di gestione è la base dell' “one best way”, l'unico modo con cui valga la pena di
produrre, in quanto dimostrato con metodo e rigore scientifici.
Per riassumere abbiamo questa divisone del lavoro 1:
Per concludere, Taylor evidenzia prepotentemente quello che è l'obiettivo finale del lavoro di
fabbrica per quanto concerne l'operaio. Bisogna sviluppare in lui dei comportamenti che siano il più
vicino possibile ad una macchina e interrompere quella connessione psico-fisica che è caratteristica
dell'uomo pensante. Dal lavoratore non si vogliono più né fantasia né creatività, ma comportamenti
meccanici2 e quindi il lavoro viene per forza di cose percepito come una condanna. Se prima
almeno l'operaio aveva ancora libertà sul suo corpo, con l'introduzione delle teorie tayloriste anche
questo viene posto sotto un rigido controllo in nome dell'aumento della produzione. Nonostante
Taylor sostenesse che tutte le classi dovessero cooperare per un bene comune, richiedere che gli
uomini accettassero una teoria del genere solo per permettere un aumento della produttività non
poteva che essere un'illusione
Le teorie di Taylor sarebbero però probabilmente rimaste tali se solo negli stabilimenti della Ford
Motor Company non fosse stato introdotto un metodo produttivo che fissava il ritmo, perché gli
uomini non si sarebbero fatti meccanizzare di proprio spontanea volontà 3.
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 41, Roma 2005.
2Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 61, Roma 2005.
3 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 65, Roma 2005.
17
4 Il fordismo
Henry Ford nacque il 30 luglio 1863 nell'attuale Dearborn (ai tempi chiamata Greenfield Township)
2
da entrambi i genitori immigrati, il padre era irlandese e la madre belga. Come Taylor, ebbe la
fortuna di nascere in una famiglia contadina piuttosto benestante e grazie alla loro situazione
economica poté ricevere una buona istruzione e soprattutto ebbe la possibilità di coltivare le sue
passioni in piena libertà. Già in giovane età si interessava dei macchinari che il padre usava in
agricoltura, pensando che gran parte di quel lavoro sarebbe potuto essere svolto meno faticosamente
ed in condizioni migliori 3, e, a quindici anni, si guadagnò il soprannome di “watch repairman” 4 per
la sua passione a smontare e riparare gli orologi. A sedici anni decise di abbandonare la fattoria per
trasformare la sua passione in lavoro e si diresse così a Detroit 5 dove trovò lavoro come apprendista
macchinista. Dopo vari anni passati a lavorare per aziende di Detroit e ad aiutare il padre nella
gestione della fattoria si mise in proprio aprendo una segheria. Nel 1888 sposò Clara Bryant da cui
Ford poi ebbe un figlio, Edsel.
È vero che aveva una gran passione per la meccanica, tuttavia l'idea di costruire automobili non gli
venne subito. Riteneva infatti di maggiore importanza la costruzione di macchinari per l'agricoltura
che potessero in qualche modo facilitare la vita dei contadini. Cominciò quindi col costruire varie
macchine a vapore nel tempo libero e solo in seguito, una volta constatato il grande interesse che
c'era per le automobili, si dedicò alla loro costruzione.
Nel 1891 la sua segheria fallì e va così a lavorare per la Edison Illuminated Company dove la sua
carriera ebbe una svolta: diventò in poco tempo ingegnere capo e, col sostegno dello stesso Edison,
si dedicò alla costruzione di un motore a combustione e di un quadriciclo. Grazie ai successi tecnici
in questo campo e soprattutto alla sua passione, fondò la Detroit Automobile Company con la quale
2 Dearborn è una città di circa 100'000 abitanti dello stato del Michigan, nel nord degli Stati Uniti
3 H. Ford, pg, 82, Milano 1982 in Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 47, Roma 2005.
4 Riparatore di orologi
5 Detroit è la principale città dello stato del Michigan ed è oggi nota come la capitale dell'industria automobilistica
essendo la sede della General Motors. Per saperne di più: http://bit.ly/b3POZa
18
produsse solo un numero limitato di automobili e ad un prezzo spropositato, finendo nuovamente
col dover chiudere l'attività a causa della scarsità delle vendite. Nonostante questo ci riprovò e dopo
una parentesi nella Henry Ford Company (poi rinominata Cadillac Motor Car Company) fondò la
Ford Motor Company nel 1903, che diresse fino alla sua morte nel 1947 e dalla quale ottenne
grandissime soddisfazioni.
“A business that makes nothing but money is a “Un'impresa che ha come unico obiettivo i soldi
poor kind of business” è un povero tipo di impresa”
(Henry Ford) (Henry Ford)
All'inizio del XX secolo le auto erano una prerogativa della classe più benestante della società in
quanto erano costosissime e si rompevano facilmente, necessitando un continuo ricambio di pezzi.
L'obiettivo di Ford divenne mettere un'automobile a disposizione di ogni americano, agendo su
fattori come il prezzo e l'affidabilità. Il profitto, anche se ovviamente non lo disdegnava affatto, non
era il suo obiettivo principale. Credeva fermamente che le imprese dovessero avere come scopo non
quello di conseguire un profitto il più alto possibile, bensì di produrre per il consumo cioè per la
gente. Voleva estendere il mercato automobilistico non per avere una base più ampia a cui vendere i
propri prodotti ma per fornire a tutta la società un servizio che egli riteneva indispensabile 1. Proprio
per queste ragioni c'era bisogno che il prezzo delle auto fosse basso e la qualità il più alta possibile
in rapporto ai costi sostenuti dall'impresa per poter assicurare una grande affidabilità.
La Ford Motor Company iniziò la produzione di automobili nel 1903 con un modello di vendita non
in linea con le ambizioni di Ford. Le auto infatti erano prodotte solo e unicamente su ordinazione,
cosa che non era accettabile se si voleva entrare nel mercato di massa. La soluzione di Ford fu la
standardizzazione2 ossia lo smontaggio in fasi della fabbricazione delle auto, le cui parti dovevano
essere identiche e prodotte indipendentemente dal risultato finale. Per fare questo ovviamente ci
sarebbe voluto molto più tempo in fase di progettazione perché, se prima producendo un'auto per
1 H. Ford, pg, 75, Milano 1982 in Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 49, Roma 2005.
2 H. Ford, pg 116, Milano 1982 in Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 49, Roma 2005.
19
volta si poteva migliorare con quelle successive, ora si costruivano migliaia di pezzi tutti uguali,
quindi se si sbagliava a costruirli erano tutti quanti da scartare.
Grazie alla standardizzazione i costi (e di conseguenza i prezzi) diminuirono e sfondò così tra il
grande pubblico. Nel 1921 deteneva il 55% del mercato mondiale 1 dell'automobile, soprattutto
grazie alle vendite del “Modello T” 2.
Per arrivare all'obiettivo della standardizzazione però c'era bisogno di un nuovo metodo produttivo
dato che questa richiedeva una velocità ed una precisione che gli operai lavorando normalmente non
potevano offrire. Così, nel 1913, nello stabilimento di Highland Park, venne introdotta la prima
catena di montaggio
Tramite la catena di montaggio, le teorie di Taylor vengono applicate in modo preciso e sistematico
a tutto il processo produttivo. Quello di Taylor però è principalmente uno studio sull'organizzazione
del lavoro; quello che mette in atto Ford è una “completa parcellizzazione dei movimenti degli
operai”3 messa in atto con l'introduzione della catena di montaggio. Ora non solo il prodotto doveva
essere standardizzato ma pure l'operaio, il quale doveva essere controllato sotto tutti i punti di vista.
Grazie all'applicazione pratica della teoria tayloristica i lavoratori diventano dei robot, progettati da
altri, e, come tali, non si discostano dal compito che gli è stato assegnato.
Il primo cambiamento della catena di montaggio fu che ora era il lavoro ad andare dal lavoratore, e
non viceversa.
2 http://nyti.ms/cA20Kg
3 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 52, Roma 2005.
4 H. Ford, pgg 152-153, Milano 1982 in Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 53, Roma 2005.
20
La struttura della catena di montaggio è costituita da un nastro trasportatore, sopra il quale scorrono
diverse parti dell'oggetto finale che si deve costruire, in questo caso un'automobile. Invece che
lavorare intorno ad un unico mezzo che si dovrà pian piano costruire, vedendolo crescere con la
fatica del proprio lavoro ed infine terminarlo come fosse un'opera d'arte, si lavora ad un unico pezzo
per tutto il tempo, senza sapere (se non in modo approssimativo) a quale livello della produzione si
è posizionati. In questo modo si nega l'umanità e si annulla il processo creativo che sta dietro alla
produzione di un bene, il personale diventa totalmente indifferente al lavoro e di conseguenza
apatico. Se nel passato l'artigiano poteva dirsi il creatore di un certo oggetto, oggi a causa di
taylorismo e fordismo questa concezione del lavoro non esiste più, sacrificato ad una produzione
seriale che porta benefici ai consumatori, ma che aliena in modo terribile l'operaio e la sua dignità.
Se prima si vedeva nascere e crescere un'auto grazie al sudore della propria fronte, ora ci si limita a
pochi e infinitamente ripetuti movimenti che definirei meccanici, in modo da assimilarsi meglio col
comportamento dei macchinari. Ora infatti il vero lavoro di creazione si è spostato nelle mani del
capitalista, relegando l'operaio ad attuare un volere superiore, usandolo come semplice strumento e
dandogli non più dignità di quanta ne merita una macchina. La maggior parte del lavoro è
comunque quello fatto dalle macchine, con l'operaio costretto a fare da comprimario a tutto il
processo. Questo portò le industrie di Ford ad aumentare notevolmente il ritmo produttivo e ad
abbassare i costi così da essere molto competitivi sul mercato.
Come detto prima, l'idea che maggiormente fece della catena di montaggio un successo fu lo
spostamento del lavoro verso l'operaio, in modo che costui potesse lavorare senza interruzioni di
sorta dovute a spostamenti o al cambio degli attrezzi di cui aveva bisogno. Ognuno lavorava su una
piccola unità finché il prodotto non si creava da sé, assemblando man mano che procedeva sul
nastro trasportatore e dato che per fare un lavoro del genere non c'era bisogno di alcuna
preparazione, ogni operaio obbediente e fedele era un operaio adatto per la catena di montaggio.
• gli uomini e gli strumenti di lavoro devono essere collocati secondo l'ordine delle operazioni
da svolgere, in modo che mentre si lavora si percorrano poche distanze
• utilizzare dei carrelli trasportatori così che un operaio completi il suo lavoro sempre nella
stessa posizione e che il prezzo finito da un operaio arrivi all'altro, utilizzando i carrelli
trasportatori
• le distanze tra una postazione di lavoro e quella successiva devono essere le più brevi
possibile
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 53, Roma 2005.
21
Applicando queste regole si ottiene da parte dell'operaio la riduzione del ragionamento su quello
che sta facendo e si creano automatismi che riducono al minimo i movimenti necessari.
Insorsero però diversi problemi di natura sia psicologica che fisica dovuti alla monotonia ed agli
sforzi profusi nella fase produttiva. Ad esempio molti operai soffrirono un senso di frustrazione
costante, dovuto non solo alla noia dei procedimenti (non si aveva nemmeno il “lusso” di poter
decidere che movimenti compiere) ma anche alla loro natura spersonalizzante in cui non si sa quale
sarà poi il prodotto finale. Il pensiero creativo non deve essere di loro competenza, se ne occuperà
un altro lavoratore specializzato, l'operaio ha come unico interlocutore il macchinario che gli si
trova davanti e deve interagire con esso col numero minore di movimenti possibile. La maggior
parte delle volte era vietato addirittura parlare coi propri vicini perché questo poteva distrarre dal
proprio scopo. La macchina, se solo la tecnica fosse stata più avanzata, avrebbe potuto facilmente
rimpiazzare gli uomini e questo, unito al fatto che le decisioni erano prese lontano da loro
dovendone semplicemente subire le conseguenze, costituiva un altro fattore di allontanamento dalla
realtà.
Tutto ciò creava un ambiente che era decisamente ostile e che non suscitava interessamento,
portando ad astrarsi dal proprio contesto e creando così quella che viene chiamata alienazione 1.
Oltre all'alienazione c'erano anche ricadute sul fisico derivanti dai movimenti (ripetuti migliaia di
volte potevano provocare ad esempio tendiniti, mal di collo e altri problemi scheletrico-muscolari)
ma anche derivanti dallo stress (a causa del persistente rumore presente all'interno della fabbrica ad
esempio) e questi potevano portare anche a problemi gravi come infarti e ulcere. Dallo stress
potevano derivare anche problemi psichici come depressione e ansietà 2. Le problematiche che
nacquero attorno alla catena di montaggio sono molto ben rappresentate nel film “Tempi Moderni”
di Charlie Chaplin, in cui si possono ben vedere gli effetti alienanti e stressanti del lavoro nelle
fabbriche.
Naturalmente sono poi presenti forti differenze salariali dovute alla divisione del lavoro. Il lavoro
creativo, di pensiero e di invenzione è molto più pagato rispetto a quello meramente manuale, cosa
che generalmente crea un grande distacco con chi ti è sopra e ti comanda. Dover risolvere i
problemi che un'attività industriale comporta è certamente meno impegnativo dal punto di vista
fisico ma è una cosa che, al contrario del muovere una manovella per una quantità infinita di volte,
non tutti sono in grado di a fare. Ci vuole dunque una certa capacità e questa viene subito premiata
2 Dr. S. Kvarnström, Stress prevention for blue-collar workers in assembly line production, pg. 7, Ginevra 2009, in
http://bit.ly/cb8Wjw
22
con un avanzamento di “grado”, a cui conseguono benefici sociali ed economici. In questo modo si
formano diverse classi sociali, più istruite e ricche di quelle che c'erano in precedenza.
Tuttavia taylorismo e fordismo non hanno portato solo elementi negativi per gli operai. In
particolare Ford cercò di rendere i propri uomini il più felici possibile, attuando diversi piani che
furono etichettati come fallimentari ma che invece funzionarono a meraviglia, sia per i dipendenti
che per gli affari in senso stretto.
Il titolo di questo paragrafo può sembrare una contraddizione in termini. Trovare una sorta di
socialità abbinata al concetto di capitalismo fino a quei tempi era cosa abbastanza insolita e pure al
giorno d'oggi, con tutte le conquiste sociali che sono state fatte, non è facile accostare questi due
termini senza far montare un polverone. Il capitalismo dopotutto è stato, durante la rivoluzione
industriale e gli anni seguenti, una questione di sfruttamento della manodopera per aumentare nel
modo maggiore possibile il profitto. Non che ciò sia ora cambiato, ma certamente si è capito che lo
sfruttamento non porta necessariamente al guadagno e che le persone sono individui e non
macchine da sfruttare. Tuttavia credo che l'espressione “capitalismo sociale” sia un buon riassunto
di ciò che Ford fece in quei primi anni dell'industria moderna, andando non solo a creare prodotti
per un mercato che fosse di tutti dove prima era di appannaggio solo dei più benestanti, ma
favorendo anche in modo diretto i propri dipendenti con un miglioramento del tenore di vita che
non aveva pari fino ad allora, né negli Stati Uniti né nei paesi del vecchio continente.
Nonostante la grande divisione del lavoro e le condizioni alienanti del lavoro di fabbrica, Ford non
vede gli uomini come delle macchine ma piuttosto concepiva le sue industrie come un insieme di
individui1 dove tutti hanno un ruolo e delle responsabilità sia verso l'azienda per cui lavorano sia
verso tutta la società nella quale vivono. L'idea principe del pensiero fordista era infatti quella di
rendere un servigio alla comunità e per farlo partiva dai propri dipendenti.
Per cominciare utilizzava il principio che Taylor aveva già utilizzato in passato, cioè quello
“dell'uomo giusto al posto giusto” (l'assecondamento delle inclinazioni naturali degli operai 2), cosa
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 54, Roma 2005.
2 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 54, Roma 2005.
23
che rendeva i lavoratori più partecipi e che creava una sorta di meritocrazia all'interno dell'azienda.
Se infatti un operaio dimostrava grandi capacità non era raro vederlo salire di grado.
A questo proposito esiste una leggenda che narra che un giorno uno dei direttori delle fabbriche
Ford chiedesse al suo fondatore di assumere un responsabile del reparto metallurgico. Ford additò
un uomo che in quel momento stava spazzando il pavimento e disse: «Ce l'avete, semplicemente
dovete insegnargli il mestiere»1.
Per cercare di limitare le accuse derivanti dall'alienazione dei lavoratori Ford cercò di spingere i
suoi dipendenti ad aiutarsi l'un l'altro (il motto aziendale era “help the other fellow”, ossia aiuta il
tuo compagno), istruendoli sui rischi che correvano e su come evitarli al meglio.
Un altro fondamentale contributo offerto ai propri operai fu il cosiddetto Profit Sharing Plan, che, se
da una parte portava gli operai a diventare dei consumatori della propria azienda, dall'altra
aumentava il loro grado di benessere in generale. Il 12 gennaio 1914 la Ford annunciò ai propri
dipendenti che avrebbe condiviso con loro 10 milioni di dollari di profitti di quell'anno perché senza
di loro non sarebbero mai arrivati a guadagnare tanto. Questo successe perché semplicemente gli
operai erano fondamentalmente poveri e Ford voleva assicurare loro una vita dignitosa, così oltre al
piano di divisione dei profitti, aumentò loro la paga a 5 dollari al giorno 2, praticamente
raddoppiandogliela e fece diminuire la giornata lavorativa ad un massimo di 8 ore 3. Questa fu una
completa rivoluzione rispetto al sistema adottato prima, dove si cercava di sfruttare al massimo il
lavoratore dandogli una paga al minimo della sussistenza. Ford puntava sul loro benessere per farli
arrivare a lavoro felici, senza preoccupazioni economiche e di conseguenza più produttivi, cosa che
funzionò alla grande. In questo modo Ford raggiunse vari obiettivi: aumentò la produzione,
fidelizzò i propri operai e li fece diventare clienti oltre che lavoratori (vendendo loro le auto ad un
prezzo ridotto parte dei salari pagati sarebbero rientrati nelle casse societarie). Ma non è finita qui.
Per cercare di aiutare sempre più i propri operai vennero istituiti degli speciali centri di assistenza
finanziaria direttamente nelle fabbriche e perfino delle scuole per gli operai immigrati. Arrivò anche
a donare molti fondi per la costruzione di ospedali gratuiti a Detroit (l'assistenza medica negli Stati
Uniti è molto gravosa e praticamente nessun operaio poteva permettersela) e questo ci fa capire
quanto fosse davvero attaccato alla causa sociale. Con la politica dei salari elevati riusciva a rendere
1 http://bit.ly/aKUfBe
2 5$ al giorno, quasi 8000$ l'anno, era un salario che sarebbe stato considerato di buon livello negli anni '50 e loro lo
guadagnavano già nel 1915.
3 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 55, Roma 2005.
24
gli operai felici in quanto non mancava loro nulla di materiale, facendoli sentire dei soci
dell'azienda1.
Nel 1917 oltre 40'000 dipendenti partecipavano al Profit Sharing Plan e grazie a questo oltre 11'000
famiglie poterono trasferirsi in quartieri migliori e condurre una vita più dignitosa rispetto al
passato. Come è facilmente intuibile l'offerta di manodopera era altissima, non c'era operaio
d'America che non volesse lavorare in uno stabilimento Ford, si vedevano addirittura operai girare
per la città con una spilla rappresentante il marchio del gruppo proprio per far vedere quanto erano
fieri di lavorare in quell'azienda. Un altro suo grande merito fu quello di premiare molto l'iniziativa
personale legata al miglioramento della produzione piuttosto che dei prodotti. Ogni persona che
avesse un'idea era esortata a far sentire la propria voce e il solo fatto di sapere di non essere costretti
a subire passivamente e in qualche modo essere padroni del proprio ruolo all'interno dell'azienda
riusciva a rendere felici i dipendenti. Oltre a questo Ford cercava di far capire ai propri operai che il
benessere e l'efficienza dell'azienda equivaleva con il loro, con quello di tutta l'industria, del
mercato e di conseguenza con quello della nazione intera formando un tutt'uno. Chi lavorava male
era quindi segnalato dagli altri operai e questo non costituiva un atto di spionaggio, era patriottismo
e visto quanto sono patriottici gli americani fu senz'altro un idea molto ben pensata. Come
conseguenza ci fu una quasi totale assenza di appartenenza a forze sindacali, di conflitti e
rivendicazioni in quanto semplicemente non servivano in un ambiente del genere. Se si forniva un
servizio alla comunità non c'era bisogno di combattere perché si stava già facendo la cosa giusta.
Come controprova delle sue convinzioni egli, all'inizi degli anni Venti scrisse: «Io penso che gli
uomini, se si dà loro la libertà di svilupparsi e la coscienza del servizio a cui tutti sono chiamati,
metteranno sempre tutta la loro forza e tutta la loro sagacia anche nelle mansioni più comuni e più
umili». E dato che era anche ben cosciente del ruolo che un aumento di reddito nelle famiglie
comportava per l'incremento dei consumi e della produzione disse: «le nostre stesse vendite
dipendono in una certa misura dai salari che noi paghiamo. Se ci è possibile distribuire alti salari,
sarà tanto denaro che verrà messo in circolazione, ed esso gioverà a rendere più prosperi negozianti,
intermediari, imprenditori e operai di altri rami industriali, sì che le loro buone condizioni trovino
un riflesso sullo smercio dei nostri prodotti. Gli alti salari diffusi in un intero paese equivalgono al
generale benessere». Inoltre come egli stesso affermò, il suo non era un gesto filantropico che a suo
parere in qualche modo avrebbe sminuito la figura del lavoratore. Il suo era un atto teso a migliorare
ogni componente della società in cui viveva e infatti gli effetti del fordismo si fecero presto vedere
nell'America di allora. Una larga parte delle famiglie americane viveva assai più agiatamente
rispetto alla famiglia media europea (che vedrà questo benessere solo alcuni decenni più tardi) e per
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 55, Roma 2005.
25
loro era una cosa normale possedere un'auto ed elettrodomestici di vario tipo e il livello di
istruzione era generalmente superiore.
26
5 Conclusione
Taylor e Ford nel bene e nel male hanno rivoluzionato sia la produzione che le condizioni lavorative
degli operai di fabbrica. Questo risultato è stato raggiunto agendo sul pensiero stesso di “lavoro”
modificandolo radicalmente rispetto al passato. Ora gli uomini dovevano avere la caratteristica
fondamentale di essere plasmabili, di diventare qualcosa che non erano naturalmente, codificando il
loro comportamento e perdendo le loro prerogative umane. Fordismo e taylorsimo hanno addirittura
tolto agli operai l'autonomia del movimento e in un certo modo anche quella del pensiero perché
stare chiusi tutto il giorno in una fabbrica facendo in continuazione le stesse cose porta a sviluppare
una forte apatia verso quello che si sta facendo.
Riporto la conclusione del libro che ho utilizzato per redigere questo lavoro:
“L'operaio in queste condizioni rischia veramente di diventare l'uomo-macchina: svolge una mansione di cui non
capisce le connessioni con il resto del ciclo lavorativo, parcellizzata e, oltretutto, la sua gestualità nel lavoro è
plasmata lontano da lui, negli uffici pensanti della fabbrica. Il taylorismo, alla ricerca di una nuova razionalità nel
lavoro, se da una parte, con la catena di montaggio, ha raggiunto lo scopo, dall'altra, per fare ciò, ha volutamente
negato qualsiasi cosa che assomigli ad un lavoro giusto, umano, in cui sia possibile provare soddisfazione1.
I problemi relativi alla condizione lavorativa possono essere gravi, pensiamo in particolare
all'alienazione che l'operaio prova ripetendo infinitamente le stesse operazioni in un ambiente di
certo non idilliaco ma gli aspetti positivi a mio parere sono assai superiori. Si è creato in America e
di riflesso in Europa un benessere che prima di allora non aveva pari tra la classe operaia, un
risultato di grande prestigio sia economico che sociale.
Ford diventò uno degli uomini più ricchi del mondo riuscendo anche a trasformare in meglio le
condizioni di vita di chi lavorava per lui e delle loro famiglie. Ritengo che sia il più grande risultato
che ha ottenuto, anche perché è riuscito a migliorare la vita di persone che facevano uno dei lavori
più alienanti che esistesse, da egli stesso creato.
1 Patrizio Di Nicola, a cura di, Da Taylor a Ford, pg. 72, Roma 2005.
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Indice Generale
1. Introduzione......................................................................................................................................1
2 L'industria americana prima di Taylor...............................................................................................3
2.1 Livello di sviluppo..................................................................................................................... 3
2.2 (Auto)gestione dell'impresa....................................................................................................... 5
2.3 Emigrazione europea................................................................................................................. 6
3 L'organizzazione taylorista del lavoro...............................................................................................8
3.1 Breve descrizione di Taylor....................................................................................................... 8
3.2 Il sistema tayloristico................................................................................................................. 8
3.2.1 Idee e principi.....................................................................................................................8
3.2.2 Analisi scientifica del lavoro............................................................................................ 11
3.2.3 La selezione degli operai..................................................................................................14
4 Il fordismo....................................................................................................................................... 18
4.1 Breve descrizione di Ford........................................................................................................ 18
4.2 Obiettivi di Ford.......................................................................................................................19
4.3 L'inizio di un era: la standardizzazione................................................................................... 19
4.3.1 Un nuovo modo di concepire la produzione: la catena di montaggio e le sue
problematiche............................................................................................................................20
4.3.2 Capitalismo sociale.......................................................................................................... 23
5 Conclusione..................................................................................................................................... 27
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