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È una disciplina, come può esserelo la storia dei media per esempio o la
storia della del cinema, la storia della fotografia… quindi è una disciplina
con i suoi confini, con il suo statuto, con le sue diverse metodologie.
Diciamo che su questo non c'è consenso fra gli studiosi: infatti gli stessi
autori dell'archeologia dei media sostengono che questa disciplina non si
possa considerare tale ma sia piuttosto un metodo, un modo di pensare,
di lavorare e agire sui media e con i media.
Il primo aspetto importantissimo dell' archeologia dei media è che
l’archeologia dei media prevede una componente pratica molto molto
forte, quindi può essere utilizzata da uno storico del cinema, una
fotografia può essere utilizzata da un artista, da un filmmaker.
Altro aspetto molto importante dell'archeologia di media: ha una
componente politica perché sovverte le narrazioni dominanti e quindi in
qualche modo si presta ad essere utilizzata nel contesto di un agire
collocato.
Possiamo dire che l'archeologia dei media è una metodologia, una
prospettiva, un modo di pensare e di praticare i media.
È una metodologia già da più di due decenni (forse anche tre). I primi
studi, le prime teorizzazioni, in questo senso sono dell’inizio metà degli
anni 90 con i primi saggi.
Alcuni teorici l'hanno definita una disciplina indisciplinata cioè una
disciplina che fugge, che evita ogni sorta di teoria totalizzante o di
interpretazione, ogni comprensione.
L'idea di base dell' archeologia dei media è quella di rifiutare una teoria
precostituita e impacchettata, e quindi di presentarsi come un qualcosa
che è anarchico e antiaccademico. Uno degli aspetti più rilevanti della
teologia dei media è che l'archeologia in primis non è soltanto un
discorso, una pratica, un modo di pensare che si dipana a livello teorico
dagli studi e nell'ambito di quello che è la ricerca degli studiosi dei media
MA è anche una forma di attività pratica.
Essendo la teologia di media anche parte del clima culturale del nostro
tempo un altro dei punti fondamentali dell' archeologia dei media è la
domanda: qual è rispetto al tempo storico la sua linearità?
Altro punto fondamentale: la problematizzazione del rapporto fra vecchio
e nuovo —> L’archeologia dei media guarda al passato nella prospettiva
del presente
Non si agisce solo con il pensiero ma anche con le mani, col fare pratico,
non soltanto prendendo, recuperando e manipolando ciò che fa parte del
dimenticato, della spazzatura, dello scarto, e quindi dispositivi
obsolescenti, dispositivi che non hanno avuto la meglio sul mercato… Ma
l’archeologia dei media prevede anche la manipolazione, quindi
l’intervento su dispositivi nuovi.
Esempio di Bruno Munari, molto eloquente in questo senso. —>
manipolazione della diapositiva. Munari le usa per far giocare i bambini
che si appropriano di questo strumento in maniera creativa, ci mettono
mano. Modifica lo strumento modificandone l’uso e quindi anziché inserire
la fotografia all’interno della diapositiva, vengono inseriti pezzi di foglie,
pezzi di carta… che poi ingranditi e proiettati contro una parete creano
effetti sorprendenti (perché l'idea è anche quella di sorprendere).
Altro aspetto molto importante è proprio quello della sorpresa.
Altro esempio: Munari e l’uso della fotocopiatrice —-> La fotocopia è solo
un mezzo per comunicare dati, notizie, relazioni? No, può riservarci molte
sorprese se useremo la macchina fotocopiatrice per esprimere le nostre
fantasie. «Non bisogna mai copiare per imbrogliare, bisogna copiare per
capire. In questo caso copiare vuol dire imparare a fare. Ma ognuno di voi
deve realizzare una propria idea personale che non sia copiata»9 . Munari
inizia questo laboratorio come un gioco: fa indossare una mascherina
nera a un bambino per imitare un falsario, che usa lʼapparecchio per
riprodurre una banconota! Dopo aver elencato gli usi normali della
macchina fotocopiatrice, rivela che essa «può riservarci molte sorprese»,
e chiede ai bambini di poggiare le mani: «Mettete le manine insieme qui!
Passa la luce, che legge le vostre mani». E, tra lo stupore generale, ecco
uscire la fotocopia della «composizione˗mani». Munari poi appoggia la
fotografia di un animale sulla lastra della fotocopiatrice. «E proviamo a
muoverlo... La fotocopiatrice legge il movimento». Ed ecco apparire uno
stranissimo cane «liquido», unico nel suo genere. Poi con un foglio a
pallini neri si ripete lʼoperazione: cosa viene fuori? Non si sa, ma proprio
questo smuove lʼimmaginazione. Si prova ancora delle foglie: «dal foglio
alle foglie». Si aggiunge una reticella bianca, ma bisogna inserire un foglio
scuro a coprire la retina, altrimenti la macchina non riesce a catturarla. La
composizione si complica con una foto di un cane, un rametto con foglie,
uno straccetto: un cane dietro ad un cespuglio che vuole saltare lo
straccetto? Si passa dal fare, allo sperimentare, al pensiero narrativo. I
bambini provano pieni di entusiasmo, perché il risultato è sempre una
sorpresa.
Anche in questo caso siamo di fronte ad un'azione che ha dei profili
politici: idea di recuperare oggetti obsolescenti e cercare un modo di
contrastare l'obsolescenza programmata.
Munari era un archeologo dei media.
Altro aspetto fondamentale del lavoro di Munari: bisogna distruggere il
lavoro una volta terminato, questo perché l'opera collettiva che si crea
non deve diventare un modello da imitare. Non è l’oggetto che va
conservato ma il metodo progettuale, il processo, l'esperienza
modificabile pronta a produrre.