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Tecnologie Biochimiche e Cellulari

Aminoacidi e Proteine: dalla struttura alla funzione

Tutto viene governato o gestito da interazioni molecolari. La maggior parte delle tecniche analitiche si
basano su questo punto.

Parliamo di azioni che avvengono nel nucleo il quale presenta componenti estremamente dinamiche.
Infatti la cromatina può essere eu o eterno, se in forma eu significa che c’è del lavoro.

L’argomento che più ci interessa è il passaggio dal gene all’informazione detto trascrizione.

Tissue-specific Expression: cellule con lo stesso corredo genetico ma con espressione diversa

Controllo dell’espressione genica

Le differenze di espressione differenziano le tipologie cellulari. Sintetizzano e accumulano RNA e


proteine diverse.

Prodotti comuni:

• Proteine strutturali
• Proteine ribosomiali
• Proteine del metabolismo di base
• Enzimi del metabolismo di base
• Enzimi di riparazione
• RNA e DNA polimerasi

Prodotti gene specifici:

• Proteine specializzate

Le cellule possono cambiare l’espressione genica in base a stimoli esterni (extracellulari).


L’espressione genica viene regolata lungo la via DNA➔RNA➔Proteine (a diversi livelli) controllando:

▪ Quando e quanto spesso un gene è trascritto – Controllo trascrizionale-


▪ Splicing -Controllo modificazione RNA-
▪ Quali mRNA maturi sono nel citosol -Controllo del trasporto e localizzazione-
▪ -Controllo della traduzione-
▪ -Controllo della degradazione del mRNA-
▪ -Controllo dell’attività della proteina-

Controllo trascrizionale

Avviene mediante proteine che legano il DNA (regolatori trascrizionali/fattore di trascrizione)

▪ Riconoscono sequenze cis-regolatrici


▪ Si legano in modo specifico
▪ Innescano reazioni che regolano la trascrizione

Alcuni geni sono controllati da una sequenza cis-regolatrice, altri da molte.

I fattori di trascrizione TFs riconoscono sequenze specifiche sul DNA, riconoscendo caratteristiche
biochimiche peculiari con l’utilizzo di interazioni deboli e per tanto farmacologicamente malleabili.
Riconoscono quindi:
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▪ Zone idrofobe
▪ Zone donatrici di legami H
▪ Zone accettatrici di legami H

I TFs legano il SOLCO MAGGIORE del DNA. I motivi strutturali comuni nei TFs sono:

- Proteine elica-giro-elica
- Proteine con omeodominio
- Proteine a cerniera di leucina (dimero)
- Proteine a foglietto β
- Proteine a dita di zinco
- Proteine elica-ansa-elica

Questi motivi strutturali possono fungere da reclutatori di proteine.


Il fattore di trascrizione che dimerizza (riconosce 12-20 copie di nucleotidi) o rimane come monomero
(riconosce 6-8 copie di nucleotidi). La dimerizzazione se forma un eterodimero (=diversi TFs) permette
in alcuni casi un miglior riconoscimento delle sequenze.

Il TFs lega il DNA, ma può e deve essere attivato. Il passaggio più importante è la traslocazione dal
citoplasma al nucleo dove esplica la sua azione.

➔ Elemento regolatore in cis: Sito di legame sul DNA di una proteina che regola l’espressione di un
gene
➔Elemento regolatore in trans: Proteina regolatrice (TF) che presenta un dominio strutturale di
legame al DNA

Verifica di un promotore che presenta la sequenza di legame di un TFs

1. Conosco la sequenza del promotore


2. Enucleo la sequenza che mi interessa (blindo il sito di legame del TFs)
3. Ordino la sequenza oligonucleotidica ad una ditta specializzata
4. Radiomarco la sequenza
5. Stimolazionee del TF (estratto dalla cellula)

Saggio EMSA (Elecrophoretic Mobility Shift Assay)

Il saggio EMSA è un saggio che viene effettuato in vitro, ci


consente di studiare l’interazione. La risposta a questo è
“si o no” e con quali altri fattori, mentre nel saggio di
footprinting del DNA mi permette di capire esattamente
dove un fattore si lega al DNA.

Gli oligonucleotidi vengono marcati in 5’, qualunque altra


strategia sarebbe perdente per un oligonucleotide. È
chiaro che in 5’ si possono marcare anche DNA di grandi
dimensioni.

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L’enzima coinvolto è la polinucleotide chinasi (trasferisce gruppo P) che in questo caso in particolare
prende un gruppo fosfato gamma P32 dell’ATP e lo trasferisce.
È chiaro che il risultato se pur positivo conterrà sempre del precursore contente gamma-ATP è
necessario quindi separarli tramiti purificazione.

Devo sempre stare attento alla radioattività mentre opero con questo tipo di marcatura. (contatore
gaiger, pannello in plexiglass e fare la radiografia).

Purificazione sonda:

L’eccesso di nucleotidi marcati non incorporati viene eliminato mediante cromatografia su colonna (ad
esclusione dimensionale) utilizzando come fase fissa delle resine (sephadex)
Nelle resine, la matrice inerte è in grado di trattenere le molecole più piccole, mentre le molecole più
grandi (DNA, oligonucleotidi) passano velocemente attraverso perché non riescono a penetrare nel
gel.
Queste colonnine sono molto efficienti e permettono di ottenere in pochi minuti di recuperare il
prodotto finito della reazione. (se non ho prodotto la reazione non ha funzionato)
Il risultato della purificazione può essere immediatamente utilizzato per l’EMSA.

Se si eseguono reazioni incrementando la quantità di fattore nucleare ovviamente ho una integrazione


più efficiente. C’è un rapporto stechiometrico tra TFS e DNA.
Dunque il primo esperimento è dimostrare e trovare le concentrazioni ideali di TFs che devo mettere
nella reazione.
Con eccesso di proteina tutte le molecole di legano all’isotopo radioattivo.
Superato questo è importante dimostrare la presenza del fattore nel complesso ritardato, infatti questo
risultato per ora mi dice che negli estratti nucleari ci sono una o più proteine che legano il DNA.

Supershift con anticorpi:

Gli anticorpi hanno un’importante qualità legano le proteine con una avvertenza riconoscendone un
dominio particolare (es. nei TFs potrebbe riconoscere il sito di binding al DNA, un altro il sito di
omodimerizzazione). Posso utilizzare questa caratteristica per vedere se il fattore è effettivamente
legato al DNA, grazie al complesso fattore + anticorpo che deve essere stabile e specifico.
Aggiunto l’anticorpo faccio una elettroforesi e se ho una banda ancora più in ritardo (supershift) allora
sarò sicuro che nel complesso sia presente quel TFs.

È chiaramente possibile la presenza di altre proteine in qualche complesso ritardato, soprattutto per
dei preparati crudi.

Esempio di applicazione del saggio EMSA

Il fattore di trascrizione NF-kB:


• Fattore di trascrizione coinvolto in diverse attività cellulari
o Ciclo cellulare
o Apoptosi
o Infiammazione
• Dimero inattivo nel citosol
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• Una volta attivato migra nel nucleo per legare sequenze specifiche a livello dei promotori di
geni e attivare la trascrizione.

NF-kB ha un chiaro ruolo nell’infiammazione, si trovano nei promotori di due geni importanti per
l’infiammazione (IL-8 e IL-6).
Molto banalmente il ricercatore produce una sequenza bersaglio di NF-Kb lo rende radioattivo e la
mette in presenza di molecole che sta studiando in modo da trovare qual è che interferisce con il
legame NF-kB-DNA.

Come faccio a sapere se il mio TFs lega in modo specifico il DNA?

Utilizzo dei competitori non radioattivi del DNA, utilizzo quindi molecole che hanno esattamente la
stessa sequenza del DNA bersaglio ma non sono radioattivi (freddi).
Per fare questo in soluzione aggiungo sia molecole radioattive che non radioattive, queste ultime in
eccesso stechiometrico in quanto il legame non è favorito altrimenti tra radioattiva e fredda.
Ciò quindi comporterà il legame del TFs solo con le molecole fredde e non con quelle radioattive

Riformo una soluzione quindi, ma questa volta con molecole di DNA non specifiche a questo punto il
TFs non si lega sebbene la nuova molecola di DNA sia in quantità stechiometrica molto maggiore
rispetto a quella del radioattivo.

Questo è il concetto di Specificità

➔L’EMSA può essere fatto anche con frammenti grandi (100-150 pb). In questo caso è possibile che
si leghino diversi TFs. Ciò che si può fare in questi casi è l’utilizzo di tecniche cromatografiche
(avremmo una presenza differenziale dei fattori in base al tempo della cromatografia) per estrarre i
diversi fattori dall’estratto crudo.
Andando poi ad analizzare frazione per frazione questi TFs si formano diversi complessi. Posso quindi
abbinare separazione cromatografica con EMSA per dividere i parzialmente i fattori (ottengo frazioni
arricchite)

➔EMSA ha dimostrato formalmente che tra tutti i fattori genici che intervengono nella trascrizione è il
TFIID ad essere il fattore leader che aiuta tutti gli altri fattori e che è effettivamente necessario.

L’EMSA ha un problema: in un contesto complesso non riesce ad identificare i siti di binding


(interazione)
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Footprinting

Questa tecnica risponde alla domanda: dove si lega il fattore al DNA?

Posso sapere esattamente dove lega contando le basi dall’estremità radiomarcata del DNA sino al sito
di taglio. Infatti se il Foot è in alto il TF lega distalmente alla marcatura se il foot è in basso lega in
maniera ravvicinata alla marcatura.

L’obbiettivo è far apparire le regioni di


interazione come un’orma molecolare
sull’analisi dei frammenti (i frammenti quindi
scompaiono lasciando solo un’impronta).

Si usa Dnasi I (desossiribonucleasi I) per


saggiare una regione del promotore: una
proteina (TF) legata al DNA proteggerà una
determinata regione del DNA dal taglio operato
dall’enzima. Il DNA è marcato ad una sola delle
estremità (marcatura in 5’) e, dopo digestione
enzimatica, viene analizzato su gel di sequenza
e autoradiografia.

Il Footprinting utilizza sempre pezzi di DNA di


grandi dimensioni. A differenza dell’EMSA
inoltre il utilizza gel denaturanti di poliacrilamide
(sono solitamente lunghi simili ai gel di
sequenza di DNA).

Si basa sul concetto che se il TF lega il DNA


nella regione in cui è legato la Dnasi I non
taglia, quindi il fattore protegge il DNA dal
taglio.

Le reazioni di footprinting si fanno a condizioni subottimali per riuscire a vedere tutti i frammenti,
perché verrebbero prodotti altrimenti un numero di frammenti rilevante e in particolare quelli marcati
saranno tutti a basso peso molecolare.
Queste condizioni subottimali sono tali per cui in media la Dnasi tagli una volta sola per ogni molecola.

Nel caso in cui il fattore interagisca con proteine avremmo dei foot più larghi.

Autoradiografia:

Dopo la corsa elettroforetica il gel viene essicato (gel dryer), poi viene messo a contatto con una lastra
per autoradiografie (kodak) all’interno di scatole di metallo apposite.
La lastra viene lasciata in esposizione per alcune ore (-80°C) ed infine viene sviluppata con liquido di
sviluppo e fissaggio.

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È chiaro che in autoradiografia non sono in grado di vedere ciò che
si trova dopo il sito di legame in quanto non è radiomarcato (dopo a
dove si forma l’impronta).

Il TF deve legare tutte le sequenze del DNA a cui è affine, infatti se


ne lega solo una parte non vedrò una chiara orma, ma solo
un’ombra in diminuzione. Per tanto è bene lavorare in quantità
incrementali di TF (esagerando con la concentrazione si può andare
incontro a foot non specifici in altri punti del DNA).
Importantissime sono quindi le concentrazioni sub-ottimali di Dnasi I
e TF.

Tecnica
1. Preparare un DNA marcato in 5’ (soltanto ad una delle due estremità)
2. Operare per permettere l’operazione con proteine che legano il DNA
3. Tagliare il DNA legato al fattore con una digestione “mild” con Dnasi I che in queste condizioni
taglia in modo random, in media una volta a sequenza.
4. Separazione dei frammenti di DNA su un gel di poliacrilamide denaturante.

Per andare a dimostrare la specificità utilizzo la stessa tecnica che utilizzavo in EMSA, creo quindi dei
mutanti e se TF non lega è specifico.

Per la marcatura di una sola delle due estremità 5’ è necessario fare un passaggio in più utilizzando
un’enzima di restrizione Ecori (GAATTC). Infatti l’enzima che utilizziamo per la radiomarcatura andrà a
segnare ambedue le estremità 5’, risulta quindi imprescendibile l’eliminazione di una delle due
estremità con un DSB.

NB: le tre tecniche non mi permettono di entrare nel merito della reazione (non capisco se non
enhancer o silencer).

CAT assay

Cloranfenitol Acetil Trasferasi (CAT), gene batterico che codifica per un enzima che trasferisce gruppi
acetili al clorafenitolo.
È una tecnica che facilita grandemente lo studio dei promotori, aiutandoci a capire se è funzionale. Più
in generale riguarda un approccio su geni che si definiscono reporter, ovvero geni che se espressi
funzionano da silencer o enancher

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I geni reporter codificano per una specifica attività enzimatica che risponde a diverse caratteristiche:
• Il reporter deve essere assente nella specie in esame e facilmente distinguibile da ogni attività
enzimatica simile presente nella cellula, o se presente deve essere distinguibile.
• Non deve presentare competizione o interferenza con altre attività enzimatiche cellulari
• Il saggio deve essere semplice, rapido, sensibile e riproducibile

In saggi in cellule eucariotiche i geni reporter più usati sono quelli codificante per enzimi batterici:
- CAT (cloramfenicolo acetil transferasi)
- Beta-galattosidasi
- GUS (beta-glucuronidasi)
E tra i recentemente introdotti che danno anche colorazione vediamo
- GFP
- LUC (luciferasi)

Saggio reporter

I geni reporter sono utilizzati privi del proprio promotore o con


un promotore minimo e l’intensità della loro trascrizione
dipende interamente dalla regione del promotore a cui
vengono fusi dalla regione enhancer. Il promotore utilizzato per
il gene CAT è quello di mio interesse infatti CAT viene legato a
valle di questo.

È un esperimento che viene fatto in vivo, sulle cellule.


Noi cloniamo il promotore completo che stiamo studiando a
monte del gene CAT, assente nelle cellule eucariotiche. Devo
quindi trasferire questo costrutto alle cellule (=trasfezione:
trasferimento coatto/forzatura di un costrutto nelle cellule).
Questa forzatura ha due valenze: di laboratorio (per vedere
quello che mi interessa devo essere sicuro che la molecola sia
entrata nella cellula) e terapeutico (devo avere un modo per
controllare il trasferimento della molecola a cellule bersaglio in
vivo).
Posso avere quindi due possibilità o il promotore funziona nelle nuove cellule oppure no (questo può
avvenire in cellule tessuto specifiche ad esempio.) dipende quindi dall’istotipo della cellula.
Se il promotore viene riconosciuto (producono i fattori regolativi del promotore) e attivato, inizia la
produzione dell’enzima/proteina.
A questo punto viene eseguita una lisi cellulare e il lisato viene aggiunto al cloramfenicolo C14, se
questo si metila significa che l’enzima c’è.
Il risultato di questa incubazione tra lisato cellulare e cloramfenicolo C14 lo vediamo tramite una
cromatografia su strato sottile.

Questa tecnica può aiutarci a capire la tessuto-specificità dell’espressione genica.

Mutazioni progressive del promotore: controllo se togliendo un frammento del promotore la


produzione enzimatica cambia. (da -350 a -300 è presente una regione enhancer riconosciuta e se
viene tolta la trascrizione non avviene).

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Può capitare che tolto un frammento in modo inatteso la trascrizione aumenta e di molto, in questo
caso possiamo dire di aver delezionato un elemento in cis sul promotore che probabilmente lega un
repressore trascrizionale.

Ulteriore caratterizzazione dei TF e delle proteine:

Il sistema è artificiale, che crea il ricercatore. Questo sistema mi serve per specificare il ruolo di quel
specifico fattore nella regolazione di quel promotore.

Cotrasfezione:

Ho bisogno di due fattori, il primo è il gene


CAT sotto controllo di un promotore dove è
presente un sito di binding per il TF (X), il
secondo costrutto è un gene codificante per il
TF e che necessita di un fortissimo promotore
(promotori di origine virale: SV40, IV …)
necessario perché la cellula produca questo
TF (X) ad altissimo livello.

Nella cellula quindi il primo ricombinante


produrrà il TF (X) che si legherà al sito di
binding del secondo attivandolo o reprimendolo.

Nella cotrasfezione possiamo avere due risultati:


• Se non avviene la produzione, il promotore quindi non viene riconosciuto dalle cellule.
• Se viene trasfettato, avviene l’introduzione di CAT e capisco così che quel fattore è un
potentissimo attivatore trascrizionale.

È possibile anche fare esprimenti multipli: dove il costrutto viene trasfettato nelle cellule però, le cellule
possono essere a loro volta trasfettate con costrutto 1 e 2, di fatto uguali, ma che codificano per due
TF differenti (quindi per due proteine regolatrici diverse, e potenzialmente con ruolo diverse).
Da questo esperimento multiplo posso capire se i due fattori sinergizzano o hanno inibizione reciproca.
Infatti se avviene una tripla trasfezione (CAT base + costrutto 1 + costrutto 2) abbiamo una fortissima
attività CAT abbiamo una sinergia, al contrario se in trasfezione tripla non abbiamo attività CAT
significa che c’è inibizione da parte di uno o più dei fattori (ammesso che almeno uno dei tre codifichi
per un’attività di CAT).

Cellule in coltura

Applicazioni di colture di cellule e tessuti:

▪ Modelli sperimentali in biochimica, farmacologia, fisiologia


▪ Studi delle necessità di crescita di particolari cellule (!!!)
▪ Studi dello sviluppo e del differenziamento cellulare
▪ Studi patologici
▪ Manipolazione genetica
▪ Applicazioni biotecnologiche
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Tecniche sterili

➔Metodi di sterilizzazione
▪ Trattamento con il calore (sterilizzazione al calore rosso, secco, umido)
▪ Radiazioni
▪ Filtrazione
▪ Agenti chimici (disinfettanti)

Equipaggiamento di laboratorio:

▪ Mezzi di coltura (mezzo liquidi o solidificato)


▪ Pipette
▪ Contenitori
▪ Cappa a flusso laminare (facilita un ambiente in cui la contaminazione è limitata, il punto chiave
è il filtro che purifica l’aria)
▪ Incubatori

Le cellule possono essere isolata da tessuti tramite disgregazione della matrice extra-cellulare (con
tripsina, collagenasi, EDTA), a questo punto si prospetta l’ottenimento di una popolazione omogena
grazia alla marcatura con Ab specifici di cellule e la successiva separazione con citofluorimetro a
flusso (cell sorting). La proliferazione in coltura avviene in vitro con crescita di colture primarie e
secondarie.

Linee cellulari erucariotiche

▪ Senescenza cellulare replicativa: le cellule muoiono (non si replicano più)


▪ Cellule immortalizate: indotte a proliferare indefinitamente (es. fibroblasti)
▪ Fibroblasti:
o Dopo 20-30 divisioni muoiono
o Non esprimono più telomerasi che mantiene i telomeri
o I telomeri ad ogni divisione si accorciano
o Le cellule smettono così di dividersi
o Si può introdurre il gene per la telomerasi con risultate proliferazione indefinita
▪ Altre cellule: non basta il precedente espediente: nonostante i telomeri rimangono lunghi,
smettono di dividersi in coltura: SHOCK da cultura.

Colture di cellule e tessuti

➔Culture primarie:
▪ Colture cellulari derivanti da frammenti di tessuto o di organi espiantati
▪ La cultura primaria termina alla prima sottocoltura
▪ Riflettono maggiormente le attività biochimiche delle cellule in vivo
▪ Vita limitata in coltura (necessari ripetuti isolamenti per progetti a lungo termine)

➔Culture continue:
▪ Coltura di un singolo tipo cellulare
▪ Coltura con una capacità di moltiplicazione e disponibilità illimitata in vitro
▪ Più facile da coltivare, protocolli di coltura noti
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▪ Danno risposte più riproducibili essendo clonali (minor variabilità rispetto alle colture primarie)
▪ Mantengono poco le caratteristiche originali delle cellule in vivo.

La crescita avviene in sospensione o in adesione a 37°C, CO2 5%, in opportuno terreno di coltura

Composizione dei terreni di coltura:

• Sali organici (aiutano a mantenere l’equilibrio osmotico cellulare e a regolare il potenziale di


mebrana mediante l’apporto di ioni calcio, sodio, potassio)
• Tamponi (per assicurare)
• Carboidrati (zuccheri come glucosio e galattosio, ma anche maltosio o fruttosioo)
• Amminoacidi (amminoacidi essenziali e non, glutammina)
• Vitamine (nel siero sptt e/o aggiunte nei terreni serum free, i più comuni sono colesterolo e
steroidi
• Elementi in tracce (zinco, rame, selenio)

➔Siero (aggiunto al 10-20%, miscela di albumine, fattori di crescita, inibitori, lipidi, elementi in tracce.
È uno dei componenti principali, importante per la crescita cellulare, protezione cellulare contro danni
meccanici, neutralizza e lega le tossine).
➔Antibiotici (per ridurre la possibilità di infezioni batteriche e fungine indesiderate)

Immortalizzazione: Si fa su cellule geneticamente modificate, senza allontanarsi dal fenotipo originale.

• Fibroblasti
o Induzione alla proliferazione mediante introduzione del gene che codifica per la
subunità catalitica della telomerasi
• Altre cellule
o Non basta introdurre le telomerasi, si devono inattivare i meccanismi di protezione che
arrestano il ciclo cellulare (la cultura causa eccesiva stimolazione mitogenica, attiva
questi meccanismi). Vengono quindi introdotti gli oncogeni che promuovono il cantro
• Cellule di roditori
o Non spengono la produzione di telomerasi per cui si dividono all’infinito
o Inoltre, in coltura si verificano cambiamenti genetici spontanei che inattivano i
meccanismi di protezione, producendo di fatto linee immortalizzate spontanee.

Linee cellulari trasformate

Da cellule cancerose di possono generare linee cellulari dette trasformate, infatti differiscono da quelle
preparate da cellule normali. Spesso crescono in sospensione e possono proliferare molto.

Proprietà simili possono essere indotte sperimentalmente in cellule normali, trasformandole con un
virus o con un agente chimico che produce tumori.

Come vantaggi vediamo che sono facili da coltivare e possiamo riprodurre le stesse risposte.

Come svantaggio l’ambiente fisiologico non è propriamente riproducibile.

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Criopreservazione

Le cellule vengono conservate in azoto liquido (-196°C) ovvero in criopreservazione spinta. Tutti i tipi
di cellule possono essere conservate con questosistema.
L’importanza di questa tecnica è un risparmio di tempo, soldi e mantenimento.

La crioconservazione serve per avere stock cellulare conservati per evitare di coltivare tutte le linee
cellulari in coltura contemporaneamente. Questa tecnica riduce di rischi di contaminazione microbica,
cross-contaminazioni con altre linee cellulari, selezione genetica e cambiamenti morfologici ad altri
passaggi e i costi.
Fondamentale per la crioconservazione e il ripristino in coltura della linea crioconservata uno
scongelamento-congelamento lento.

Le colture devono essere sane, non contaminate, vitali (>90%) e nella fase di crescita log.
La composizione del freezing medium (terreno per criovials) è 90% siero e 10% DMSO (o glicerolo)

Le cellule una volta contate vengono centrifugate, risospese in freezing medium (in genere 2-4 x 108
cellule/mL) aliquotate in criovials da 1 mL, posizionate in un freezer a velocità controllata di
raffreddamento e trasferite poi in azoto liquido.

Metodologia congelamento:

1. Raccogliere le cellule in fase logaritmica


2. Determinare il numero delle cellule
3. Centrifugare la sospensione cellulare
4. Risospendere le cellule nel medium di congelamento (20% FBS e 10% DM SO)
5. Dividere in criovials
6. Dare inizio al processo di congelamento (che prevede un abbassamento non drastico della
temperatura: immersione in ghiaccio poi a -80°C e poi in azoto) la temperatura deve
abbassarsi in modo progressivo.

Metodica di scongelamento

1. Scongelare la vial nel bagnetto a 37°C


2. Pulire l’esterno con alcool assoluto
3. Aprire la vial sotto cappa e trasferire il contenuto in una salcon sterile contenente 3-5 mL di
mezzo completo
4. Centrifugare 5 m a circa 1000 g/min per eliminare il DMSO
5. Aspirare il sovranatante
6. Risospendere il pellet cellulare in terreno fresco
7. Seminare in nuove piastre

Ovvio che allo scongelamento, le cellule hanno un’elevatissima mortalità, devono perciò essere
ricoltivate con diverse tempistiche a seconda della mortalità, è possibile che questa sia tale da perdere
completamente la cultura cellulare.

Mantenimento delle linee cellulari: in sospensione o adesione.

Le colture cellulari aiutano per operare screening che abbattono costi operativi standard.
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NB. Le cellule che crescono in fiasca formano un monostrato e la crescita si bloccherà per inibizione
da contatto. (questo avviene solo nelle cellule normali, in quelle tumorali c’è una crescita su più strati).

Terreni di coltura

I terreni più usati sono MEM (minimum essential medium), DMEM (dublecco’s modified MEM), PRMI
(roswell park memorial institue) e altri terreni più ricchi per culture particolari. Tra loro variano per
differenza di concentrazioni di Sali e nutrienti e per l’addizione di diversi elementi nutritivi.

Molto importante è il pH del terreno dove, intorno al 7.3 (fisiologico) il colore è rosso-arancio, a pH
acido il colore vira al giallo (proliferazione dei batteri causa acidificazione, è necessario un cambio del
terreno), a pH basico il core vira al viola, tale colorazione indica che le cellule non sono più
metabolicamente attive.

Al terreno può essere aggiunto siero fetale bovino, che contiene fattori di crescita e adesivi, altre
sostanze indispensabile per il metabolismo sono: albumina, veicolanti dei lipidi, vitamine liposolubili,
colesterolo, acidi grassi, glucocorticoidi, transferrina, Cu, Zn, Co, Se, Va e cofattori enzimatici.

➔è possibile che vi siano contaminazioni dovute ad altri batteri, virus, lieviti, muffe/funghi, micoplasmi,
per ovviare a questo problema è possibili utilizzare antibiotici, antimicotici trattando le colture per
diversi giorni (o settimane).

Le colture cellulare hanno innumerevoli applicazioni, come lo studio della citotossicità, studio del
meccanismo di azione dei farmaci, dei meccanismi di interazione cellule-cellula, anomali genetiche,
biologia molecolare, processi infettivi virali, caratterizzazione dei tumori e studio di effetti farmacologici
e tossici di farmaci.

Metodi per misurare la crescita delle cellule in coltura:


• Conta diretta al microscopio (conta cellulare in volume noto di mezzo usando una camera di
conta o emicitometro)
• Contatori elettronici delle particelle
• Metodi di conta basati sulla coltura
• Altri basati sulla torbidità, assorbanza…

➔Camera di conta o emocitometro


Metodo basato sulla conta umana e l’applicazione di una formula per stimare da una piccola quantità
alla totale.
➔Contaglobuli o contatore coulter
Determina una conta totale diretta di una sospensione cellulare, rivela particelle dovute a cambiamenti
nella resistenza elettrica quando queste passano attraverso una piccola apertura in un tubo di vetro
(legge di Ohm). Esegue misurazioni ripetute di un gran numero di campioni, la criticità maggiore è una
mancata discriminazione tra cellule vive e morte, aggreganti cellulari, polvere….
➔MTT assay
Saggio clorimetrico standard per la misurazione dell’attività degli enzimi che riducono l’MTT a
formazano, conferendo alla sostanza un colore blu/violaceo. Ciò accade prevalentemente nei
mitocondri; può essere utilizzato per determinare la citotossicità di farmaci o altri tipi di sostanze
chimicamente attive e potenzialmente tossiche.

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L’enzima mitocondriale succinato deidrogenasi, è attivo infatti soltanto nelle cellule vive, e la sua
funzione consiste nel tagliare l’anello di tetrazolio dell’MTT con la formazione, di conseguenza di
formazano (sale blu). Tale reazione è valutata e misurata mediante la lettura spettrofotometrica del
campione, alla lunghezza d’onda di 570 nm.

Metodi di rottura di cellule e tessuti:

Metodi meccanici:
• French press
• Omogeneizzatori potter-elvejhem e Douce
• Sonicazione (ultrasuoni)
• Omogeneizzatori a lama
• Macinazione con mortaio
• Glass beads
Metodi non meccanici:
• Lisi per osmosi (o shock osmotico)
• Congelamento e scongelamento
• Digestione enzimatica

Le cellule possono essere separate nelle frazioni che le compongono tramite centrifugazione
differenziale. È una tecnica che si basa sulla diversa velocità di sedimentazione delle particelle diverse
tra loro per densità e dimensione. Si sedimentano prima quelle di maggior dimensione, le particella
con massa identica ma diversa densità sedimenta prima di quelle a densità maggiore.

Dosaggio di emoglobine con metodi cromatografici (Ilaria Lampronti)

Questo saggio si effettua sia in laboratori di ricerca che in laboratori di analisi cliniche per analizzare le
emoglobine, soprattutto riferendosi alle emoglobinopatie.
Essendo delle malattie genetiche molto particolari gli esami vanno fatti su più livelli:
• Analisi di primo livello ovvero un esame emocromocitomerico dove si può vedere una grave
anemia
• Analisi di secondo livello cioè analisi cromatografiche che vengono effettuate per andare a
studiare i livelli di espressione e sintesi delle emoglobine (analisi molecolare) che presentano
un difetto genetico che porta alla non sintesi dell’emoglobina adulta o a sintesi di emoglobine
patologiche non funzionali.
• Analisi di terzo livello ovvero analisi di tipo genetico (per arrivare ad una terapia
personalizzata)

Emoglobine:

I geni che codificano per le catene di emoglobine sono geni presenti in cluster del cromosoma 11 e
16.
A livello del cromosoma 11 vediamo il gene che codifica per la subunità epsilon (subunità di
emoglobine embrionali si sviluppano solo a livello intrauterino e durante le primissime settimane di
gestazione) poi vediamo il gene per le gamma (sempre emoglobina fetale), la parte che codifica per le
subunità delta (nell’individuo adulto forma l’emoglobina A2 coniugata con catene alfa) e beta.
Nel cromosoma 16 vediamo i geni che codificano per le catene alpha e zeta 1 e 2 che prendono parte
alla formazione di emoglobine embrionali.

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Emoglobine embrionali:
- Gower I
- Gower II
- Portland
Emoglobine fetali:
- F
Emoglobine adulte:
- A2
- A

Emoglobinopatie:

Possono essere di diverso tipo:


- Talassemie: patologie genetiche dovute a diverse mutazioni del gene della beta o alfa globina e
rispettivamente parleremo di beta (più comune) o alfa talassemia.
- Emoglobinopatie C/E/S: dovuta alla presenza di un’unica mutazione che codifica la patologia.
▪ C la mutazione è una sostituzione di un acido glutammico con una lisina in
posizione 6
▪ E la mutazione è una sostituzione di un acido glutammico con una lisina in
posizione 26
▪ S la mutazione è una glutammico-valina in posizione 6 (anemia falciforme)

Patologia della SCA (sickle-cell anemia/ Sickle-cell disease)

L’anemia falciforme è l’emoglobinopatia più comune, è dovuta ad una mutazione puntiforme del gene
della catena beta dell’HbA. La mutazione comporta una sostituzione nell’mRNA

Questa variazione causa una mutazione nell’aspetto e biochimica dell’emoglobina determinando la


presenza di una zona idrofoba (tasche) che interagiscono tra loro creando delle fibrille che danno
diversi problemi.
Queste fibrille causano un cambiamento morfologico dei globuli rossi ovvero la classica forma a falce.
Infatti tendono a precipitare e a rendere l’emoglobina più rigida, modificando così la morfologia.
Questo cambiamento comporta una diminuzione del trasporto di ossigeno e queste cellule essendo
più rigide possono creare delle ostruzioni a livello periferico.

È una malattia genetica autosomica recessiva. Questa malattia come la talassemia ha un rapporto con
la malaria, in queste zone infatti si sono selezionati questi soggetti portatori (anemia
falciforme/talassemie) in quanto sono resistenti al plasmodio, infatti i globuli rossi delle persone affette
hanno una emivita minore non adatta al ciclo della malaria.

Sintomi:

- Grave anemia
- Pallore
- Astenia
- Crisi dolorose (dovute alle ostruzioni del flusso sanguigno)
- Ittero
14
- Ritardo della crescita e pubertà
- Modificazioni ossee

Complicanze:
- Occlusioni capillari che possono provocare ictus, trombosi e infarti.

Terapia:

Il trattamento si basa su trasfusioni di sangue (ogni due o tre settimane) associati a farmaci chelanti del
ferro (nasconde e smaltisce il ferro troppo presente). Spesso vengono trattati con terapia chirurgica sino
all’esportazione della milza (Splenectomia), trapianto di midollo osseo.
Possono essere utilizzate anche cure farmacologiche come: Palliativi (antidolorifici) e alcuni in gradi di
stimolare la produzione di emoglobina fetale (idrossiurea) riattivando il gene gamma-globinico.

Terapia sperimentale➔ Nuovi induttori di HbF e terapia genica.

Β-Talassemia

È una malattia genica autosomica recessiva che può essere causata da più di 200 mutazioni diverse, e
in base alla mutazione si possono avere diverse sfaccettature:

▪ Talassemia minor: soggetto solo portatore detto microcitemico dove i globuli rossi hanno un
diametro leggermente minore rispetto alla norma.
▪ Talassemia intermedia: forma intermedia dove il soggetto acquisisce da entrambi i genitori le
mutazioni, ma permettono comunque una piccola produzione di emoglobina
▪ Talassemia major o morbo di Cooley: i pazienti non sono in grado di produrre emoglobina adulta.

Generalmente le mutazioni più frequenti sono puntiformi o delezioni.


La talassemia può essere β + ciò con lieve produzione di emoglobina o β 0 ciò non vi è produzione.

Questa patologia con l’assenza delle catene alpha causa: precipitazioni, inclusioni, rigidità e fragilità
meccanica con conseguente iperemolisi periferica, emolisi, eritropoiesi inefficace. Tutto ciò porta ad
anemia.
L’anemia causa a sua volta ipossia, con rottura dei globuli rossi e un aumento dell’accumulo di ferro che
causa siderosi
E di conseguenza una iperplasia midollare che causa alterazione del metabolismo, crescita e mutazioni
ossee soprattutto a livello del cranio.

Terapia

Trasfusioni di sangue ogni 15 giorni con chelanti del ferro, trapianto di midollo osseo e terapia genica.

I farmaci ferro chelanti a volte possono essere di difficile somministrazione, infatti soprattutto quelli di
prima generazione dovevano essere somministrati a lento rilascio per diverse ore.

Diagnosi:

▪ Esame emocromocitometrico con parametri sballati nel numero degli eritrociti (RBC) basso
rispetto alla media, volume medio minore e un contenuto medio di emoglobina inferiore (MCH)
15
▪ Separazione identificazione e quantificazione dei vari tipi di Hb prodotti con tecniche
elettroforetiche o cromatografiche (HPLC). Non si possono utilizzare le tecniche classiche per
via dell’inquinamento da trasfusione, pertanto si isolano cellule totipotenti si coltivano e vengono
analizzate.
▪ Analisi genetiche che prevedono PCR e sequenziamento del DNA.

➔Possibili induttori di emoglobina fetale


▪ Emina
▪ Resveratrolo

Analisi cromatografica di emoglobine

È una tecnica utilizzata tutt’ora grazie alla quale si possono separare le diverse Hb e quantificare, quindi
è sia qualitativa che quantitativa
.

➔Nell’individuo adulto è possibile vedere HbA1c ovvero emoglobina glicosilata (lega una molecola di
glucosio) che ha subito questa modificazione post-traduzionale che in condizioni di digiuno non può
superare il 7% (4-7). Infatti se supera questa soglia siamo in presenza di una malattia metabolica, come
il diabete.
Vediamo anche un HbA1C che lega più molecole di glucosio.

Ci sono due diverse cromatografie: a scambio cationico e a ripartizione.

Colture di precursori eritroidi isolati dal sangue.

Dobbiamo prelevare del sangue del paziente e isolare i precursori eritroidi dal sangue periferico grazie
al ficoll un copolimero sintetico e quindi avviene una centrifugazione.
I nostri eritroidi si trovano nell’interfase che deve venire isolato e lavato, vengono quindi prelevate e
messe in coltura.
La coltura dura 2 settimane divisi in 2 fase:
1. 7 giorni con molti fattori di crescita, che determina proliferazione e in seguito selezione
2. 7 giorni: con aggiunta di eritropoietine per stimolare il differenziamento.

16
Le cellule sono quindi pronte per essere analizzate o si possono coltivare ancora e utilizzare per testare
nuovi farmaci/induttori.

Cromatografia in fase liquida

Serve per permettere la separazione di molecole/sostanze grazie alle loro diverse caratteristiche
chimico-fisiche separandosi grazie alla capacità diversa di interazione con la fase stazionaria.

Utilizzata in diversi settori:


• Analisi biochimiche
• Chimica analitica
• Chimica bromatologia
• Chimica organica e farmacologia
• Medicina e farmacologia
• Proteomica

Fase normale: vediamo un letto stazionario fortemente polare (gel di silice) e una fase mobile non polare
(CH2CL2, EtAc). La fase fissa mostra verso l’esterno dei gruppi OH
Fase inversa: letto stazionario non polare (idrocarburi) e una fase mobile polare (MeOH, H2O). La fase
fissa mostra verso l’esterno degli idrocarburi.

Cromatografia su strato sottile TLC

Troviamo una piccola lastra con un supporto dove viene fatta aderire la fase stazionaria, da qui deriva il
nome strato sottile.
Queste lastrine vengono inserite in un contenitore alla
base del quale viene messa la fase mobile. La lastrina
sulla base viene caricata con la miscela da analizzare.
Una volta che la lastrina è asciugata si mette in modo
tale che la parte bassa sia messa negli eluenti, così per
capillarità la fase mobile salirà e farà separare i diversi
analiti.
Quelli che migreranno più velocemente avranno una
bassa affinità con lo stato stazionario al contrario le più
lente avranno una forte interazione.

17
Cromatografia liquida su colonna

Il concetto è lo stesso della TLC solo che si utilizzano delle vere e proprie colonne. Definita
anche cromatografia a percolazione per gravità.
Alla base delle colonne vi è un setto poroso o cotone idrofilo che possa permettere la fuoriuscita
del liquido. C’è un rubinetto e sotto un vassoio che raccoglie le provette che vengono mano a
mano riempite dal liquido eluente.
Il liquido eluente (campione da analizzare) è sopra e viene percolato dall’alto a pressione
ambiente, la colonna viene impaccata (riempita) con la fase stazionaria che viene
preventivamente mescolata alla fase mobile creando così il cosiddetto gel di silice.

Se si aumenta la pressione con l’utilizzo di pompe che spingono l’eluente, si vanno ad


accorciare di molto i tempi di analisi.

HPLC

In questo caso si utilizzano pressioni elevate all’ingresso (aumentando la velocità di diversi minuti), sono
presenti colonne di accaio di piccolo diametro
(1-5mm), all’interno ci sono particelle molto
piccole con diametro inferiore a quello della
silice, ciò permette una migliore efficacia di
separazione e velocità. Per il caricamento ci
sono valvole o auto iniettori ed in fine c’è un
sistema di detenction con un rilevatore che
riesce a dire quando esce un determinato
analita e ne calcola la concentrazione.
Il detector più utilizzato è uno
spettrofotometro, ma possono esserci anche
fluorimetrie ecc.

La fase mobile può essere una eluizione


isocratica (stessa concentrazione) o a gradiente (varia la concentrazione per facilitare la separazione).

Il processo separativo

Se non ci fossero interazione fra campione e fase fissa, il soluto viaggerebbe alla stessa velocità della
fase mobile, cioè quando esce il volume morto (volume interstiziale).
A causa dell’interazione il soluto esce con un certo ritardo detto tempo di ritenzione.

Il fattore di separazione (alfa) descrive la posizione relativa di due picchi adiacenti. Se il valore è vicino
ad 1 la separazione dei picchi sarà difficile.
Alpha deve essere sempre >1 (ma non comunque troppo elevato)

18
Risoluzione

Il fattore di separazione esprime la posizione relativa dei 2 picchi, ma non fornisce un’informazione
completa circa l’effettiva separazione che dipende anche dalla larghezza dei picchi.
Diversi cromatogrammi possono avere lo stesso fattore alfa, ma una risoluzione diversa.

La risoluzione la possiamo modificare, scegliendo diversi materiali es. un elemento molto poroso, una
copertura pellicolare e un diametro tra 5-10 micron.

Diverse tecniche di separazione

• Cromatografia di adsorbimento liquido-solido

È la classica HPLC con una fase stazionaria e una fase mobile.

• Cromatografia di ripartizione

È caratterizzata da catene più o meno lunghe di idrocarburi, la fase mobile è un liquido e una un
solido (la maggior parte delle analisi cromatografiche è fatta in questa maniera)

• Cromatografia a scambio ionico

Può essere a scambio ionico cationico (per emoglobine) o anionico. Questo significa che la fase
fissa viene sensibilizzata con uno ione – (cationico) o + (anionico), c’è quindi una funzionalità. Si
utilizza questa tecnica quando c’è una carica netta infatti il controione deve avere la stessa carica
del materiale da analizzare. La fase mobile è una soluzione tampone.

• Cromatografia ad esclusione dimensionale

Dipende dalla dimensione degli analiti, perché viene utilizzato un riempimento sferico di tipo
polestirenico poroso in cui le molecole più piccole di dimensione inferiore riescono ad interagire e
rimanere più tempo all’interno della colonna.

• Cromatografia di affinità

È una tecnica biologica che non si basa sulle differenze nelle proprietà fisiche ma le interazioni
altamente specifiche delle molecole biologiche. Viene utilizzata solo se si sa bene cosa devo
separare, in quanto utilizza determinati legami specifici che legano solo una molecola.
Posso separare enzimi, antigeni, cellule…
Vediamo sempre la presenza di una fase liquida e una fissa, quest’ultima caratterizzata da ligandi
funzionalizzati in maniera specifica ad esempio un substrato o un anticorpo.
Una volta preparata la fase fissa viene aggiunta la miscela alla colonna, si fa eluire e avviene l’attacco
con la fase specifica.
La seconda fase è consta di un distacco dalla fase solida della molecola di interesse, modificando il
pH o aggiungendo un eccesso del ligando specifico.

Strumentazioni

➔Colonne con diversi letti stazionari sono analitiche o preparative.


19
➔Iniettori:
• Con siringa per mezzo di una valvola
o Sistema conveniente
o Riproducibile
• Iniezione automatica
o Più veloce
o Presenza di un carrello su cui caricare diversi campioni che vengono iniettati
automaticamente uno dopo l’altro
➔Rivelatori:
Si basano sulla legge di Lambert-Beer, misurando l’assorbanza (log I0/I), che secondo la legge di
Lambert a α1c ovvero la concentrazione.
Esistono diversi rivelatori, i più utilizzati oggi sono a serie di diodi in grado di rilevare anche diverse
lunghezze d’onda in parallelo. Il risultato sarà un cromatogramma che è subito visibile e mi da la
concentrazione dei singoli analiti.

MTT ASSAY

Il saggio MTT, dove la sigla indica il composto bromuro di 3-(4.5-dimetiltiazol-2-il)-2,5-difeniletrazolio, è


un saggio clorimetrico standard per la misurazione dell’attività degli enzimi che riducono l’MTT a
formazano, conferendo alla sostanza un colore blu/violaceo. Ciò accade prevalentemente nei
mitocondri; può essere quindi utilizzato per determinare la citotossicità di farmaci o altri tipi di sostanze
chimicamente attive e potenzialmente tossiche.

L’enzima mitocondriale succinato deidrogenasi, è attivo infatti soltanto nelle cellule vive, e la sua
funzione consiste nel tagliare l’anello di tetrazolio dell’MTT (sostanza di colore giallo) con la formazione,
di conseguenza, di formazano (un sale blu).

Tale reazione è valutata e misurata mediante la lettura spettrofotometrica del campione, alla lunghezza
d’onda di 570 nm.

Interazioni biolomolecolari: Biacore (Gambari)

La semplificazione del processo di ricerca si attua tramite l’utilizzo di tecniche biomolecolari.

Come tecniche di biacore vediamo: Risonanza plasmonica di superficie (SPR) e tecnologia dei
bionsensori.

➔I saggi realtime permettono all’operatore di vedere la reazione nel momento preciso in cui avviene,
ed è proprio il caso delle reazioni biacore.

Biosensori: (analisi di interazioni biospecifiche)

Il concetto su cui si basano i biosensori è l’affinità tra proteine (dettata in gran parte dalla struttura
terziaria) che ci permette l’analisi in tempo reale che sta avvenendo tra delle molecole.

20
È ovvio che sto parlando di un sistema semplificato in cui gli attori sono proteine purificate, il DNA è SS
ecc.

I biosensori ci permettono quindi di analizzare l’interazione e presenta un sistema di trasduzione che


trasforma l’interazione in un segnale misurabile, che poi verranno confrontati.
L’interazione può essere monitorata nel tempo (pochi secondi).

In inglese parliamo di Real time BIA (biomolecular interaction analysis).

Avremmo quindi due elementi:


• Ligandi: che vengono immobilizzati su una superficie (sensor chip). Il ligando immobilizzato su
una superficie ci permette di far passare altre molecole, che influssate nel sistema ci permettono
di vedere se sono o meno specifiche per il sistema.
• Analiti: molecole sottoposte ad analisi (in soluzione), ci chiediamo se sono e in che modo
specifiche per il ligando.

Il sistema di trasduzione è di tipo ottico che si basa sulla risonanza plasmodica di superficie (SPR), che
è legato ad una variazione dell’indice di rifrazione sulla superficie del sensor chip quando il ligando si
lega all’analita. Tale segnale è monitorato in continuo (real time).

➔Questo metodo mi permette di capire:


▪ Se le molecole interagiscono tra loro (a questa domanda si può rispondere anche con EMSA,
ma la reazione non è in tempo reale inoltre queste molecole non hanno bisogno di isotopi
radioattivi)
▪ Quanto è specifica questa interazione
▪ Quanto è stabile l’interazione
▪ Qual è la cinetica dell’interazione
▪ Quali sono gli effetti della temperatura

Una delle caratteristiche del chip è la riusabilità permettendo l’abbattimento dei costi.

È chiaro che se il tempo di reazione è breve, l’associazione è molto rapida. Se la reazione ha delle
tempistiche relativamente lunghe, l’associazione è più lenta.
Nel momento del lavaggio con il tampone, se l’analita non è stabile si dissocia dal ligando.

Il BIA core è costituito da 3 elementi:


▪ Sensor chip: nello strumento ci sarà un ambito di
allocazione del sistema.
In questa parte dello strumento si vedono 4 cellette
microfluidiche, permette quindi 4 reazioni in parallelo.
Ciascuna cella ha una matrice dove andremo a legare il
ligando.
Il sensor chip non è altro che la superficie su cui avviene
la reazione e che funge da trasduttore del segnale. I
vantaggi sono sati dalla biocompatibilià, ridotto binding
specifico e la stabilità.
▪ Unità di processamento
▪ Sistema di analisi computerizzato
▪ Sistema SPR è il sistema di rilevamento
21
➔è presente anche un sistema microfluidico, delicatissimo che va sostituito una volta all’anno. Viene
detto IFC (integratedi micro-fluidic cartridge), presenta due sistemi di ingresso o uscita, il buffer (la
pompa inietta il materiale da analizzare) e il sample. Il percorso è organizzato con delle microvalvole e
tutto il sistema converge nelle 4 celle di reazione preventivamente programmate.

Due sono le operazioni fondamentali:


1. Immobilizzazione del ligando (permette la riutilizzabilità del chip)
2. Iniezione dell’analita

Tipi di sensori chip (I)

▪ CM5: la cui matrice è carbossimetil-destrano, l’immobilizzazione avviene grazie a legami


covalenti di gruppo -NH2, -SH, -CHO, -OH, -COOH. È molto versatile, idrofila, con bassa
percentuale di interazioni non specifiche, elevata capicità di legame, di facile attivazione e facile
rigenerazione.
▪ SA: la cui matrice è basata su carbossimetil-destrano + SA (streptavidina), l’immobilizzazione
avviene grazie all’ interazione di molecole biotinilate. Gli impieghi possono essere con molecole
marcate di biotina, acidi nucleici e proteine.

➔Il BIA può essere utilizzato come un micro-purificatore di molecole. Grazie al suo sistema microfluidico
che ci permette: miniaturizzazione, richiesta di ridotti volumi di reagenti, automazione, riproducibilità e
possibilità di recupero del campione.

L’unità di rivelazione è costituita da prisma, interfaccia ottica in silicone, un rilevatore.

L’angolo di riflessione SPR dipende da varie cose:


▪ Film metallico
▪ Lunghezza d’onda di radiazione incidente
▪ Indice di rifrazione dei due mezzi adiacenti al film metallico (vetro e soluzione)

Mi permette di valutare l’indice di rifrazione alla superficie del chip. Che dipende dalla concentrazione e
peso molecolare dell’analita.

22
Il sensorgramma:

a) Al tempo zero vediamo il sensorchip legato con il ligando.


b) Segue quindi un periodo di associazione, dove l’analita inizia a legarsi al ligando. Vedremo una
pendenza della curva più o meno accentuata in base alla velocità di reazione. Al limite
dell’associazione arriviamo a plateau.
c) A questo punto avviene la dissociazione (tramite il lavaggio) con decremento dell’unità di
risonanza dato dalla dissociazione del ligando, sino all’arrivo del residuo (RUres: parte di
analita che forma complessi stabili del ligando)
d) Alla fine dell’esperimento avviene la rigenerazione del chip (HCl 1M) per staccare l’analita. È
chiaro che bisogna tenere in considerazione il tipo di legame formato tra ligando-analita, ad
esempio con legami H la rigenerazione è molto semplice, se entrano in ballo legami più forti è
possibile che non possa nemmeno avvenire (stessa cosa vale con analisi di proteine).

Informazioni ricavabili dal sensorgramma:

➔ Affinità: RUfin - RUin

➔ Stabilità: RUres – Ruin

➔ Cinetica dall’andamento della curva.

Procedimento:

1. Inserimento del sensor chip


2. Scelta del running buffer (HBS-EP + buffer)
3. Preparazione e posizionamento dei campioni
4. Immobilizzazione del ligando
Molto importante con diverse modalità, ne ricordiamo 3: covalente, indiretto con utilizzo di una
molecola di cattura, idrofobico (es. membrana cell. per lo studio dei recettori)
5. Iniezione degli analiti (manuale o impostata)
6. Analisi del risultato

23
Vantaggi della tecnologia:

▪ Semplicità
▪ Automazione
▪ Rapidità
▪ Riproducibilità
▪ Analisi in tempo reale
▪ Più analisi sullo stesso sensor chip
▪ Richieste ridotte quantità di analita e ligando
▪ Sensibilità
▪ Analisi di molecole di piccole dimensioni

Applicazione BIA:

▪ Studio interazioni antigene-anticorpo


▪ Studio interazioni ligando – recettore
▪ Rilevazione e caratterizzazione proteine, DNA o altre molecole
▪ Studio molecole che legano il DNA
▪ Scoperta meccanismi molecolari fisiologici o patogenitici

Esempi vari:

Presentano 3 variabili

- Il ligando
- L’analita da utilizzare (singolo o combinato)
- Condizioni sperimentali (tampone) che permettono di studiare l’interazione

Affronteremo sempre la problematica della cinetica di interazione, e verrà posta attenzione


sull’eventuale dissociazione dei complessi generati.

➔ Studio di proteine

Analisi di tossine presenti nel veleno di alcuni serpenti, in grado di avere effetto sul collageno di tipo I

1. Immobilizzazione del collagene I (il ligando)


2. Iniezione delle tossine (gli analiti)
3. Analisi di associazione e dissociazione

L’idea era di immobilizzare il collageno I, flussare la


molecola di studio e verificare quali sono e con che
efficienza queste creavano un complesso. Studiando i
sensorgrammi riusciamo a capire:

- Se sono tutti in grado di legare il collagene


- Se formano un complesso stabile con il collagene

Prendiamo in considerazione 3 tossine di serpente: Atrolysin A, Jararhagin e Catrocollastatin C:

24
Le cinetiche tra tre tossine diverse sono molto diverse. La prima e l’ultima presentano una cinetica
molto veloce con formazione di un complesso poco stabile. La seconda è più lenta ma forma un
complesso più stabile.

Notiamo inoltre dai grafici che l’interazione è dose-dipendente (l’esperimento è fatto a dosi
incrementali), e ci sono diverse cinetiche di associazione e dissociazione.

➔Il biacor è un ottimo metodo per studiare delle proteine e mettere in evidenza le associazioni e
dissociazioni.

Epitope mapping (interazioni multiple)

Utilizzato per mappare gli apitopi presenti in una proteina e vedere su quali domini si lega un
anticorpo. (dimostro se l’anticorpo si lega a domini differenti)

1. Immobilizzazione della proteina attraverso binding diretto o protein capturing (ligando)


2. Iniezione sequenziale di anticorpi (analiti)
3. Analisi di associazione e dissociazione
4. Ripetere eventualmente l’analisi cambiando l’ordine di iniezione degli anticorpi

Vediamo un sensorgramma complesso


con incrementi delle RU coincidente con
l’iniezione degli anticorpi.

Da questo grafico riusciamo a capire


che: l’anticorpo 2, se lega, lega lo
stesso epitopo dell’anticorpo 1 ; gli
anticorpi 1, 3, 4 e 5 riconoscono epitopi
differenti; l’anticorpo 6 riconosce un
epitopo riconosciuto da uno degli altri
anticorpi.

Come faccio ad essere sicuro che l’anticorpo 2 leghi o no lo stesso epitopo dell’anticorpo 1?
Deve essere fatto un secondo esperimento in cui viene iniettato direttamente l’anticorpo 2 sulla
proteina immobilizzata. Se non c’è incremento di RU significa che non funziona, al contrario se c’è
incremento significa che 2 riconosce lo stesso dominio di 1.

➔ Interazioni farmaci-DNA

1. Immobilizzazione di una sequenza di DNA (ligando – singola elica)


Iniettando il ssDNA biotinilato si forma un chip legato con il complesso a singola elica, per
creare il complesso a doppia elica inietto una sequenza a doppia elica.
2. Formazione di una doppia elica attraverso iniezioni di una sequenza di DNA complementare (il
ligando – doppia elica)

25
3. Iniezione di una molecola in grado di legare il DNA
(l’analita)
4. Analisi di associazione e dissociazione

L’immobilizzazione del DNA sul chip è un’operazione


delicata, infatti il punto chiave è quello di creare un DNA a
doppia elica.

Mitramicina (A) e Cloromicina (B) sono farmaci antitumorali


non molto utilizzati e hanno la possibilità di essere usati in altri
campi.

Il primo incremento di RU mi identifica la creazione della


doppia elica, il secondo invece è l’iniezione del farmaco.
Notiamo che il pattern di interazione dei due farmaci sono
molto simili, ma la cloromicina ha un legame decisamente più
stabile, infatti la mitramicina si stacca completamente dal
DNA.
La molecola che lega in modo stabile il DNA risulterà essere
tossica.

➔ Interazioni DNA-proteina

Nel momento in cui l’interazione tra TF e DNA sta avvenendo vedo un incremento di RU proporzionale
al numero di molecole di TF che si è legato al DNA.
I polimorfismi di sequenza che consentono o meno al TF di legarsi, sono importanti da studiare.

Se cambio la sequenza cosa cambia tra l’interazione di DNA e TF?

Se modifico una sequenza solo di un nucleotide il nostro TF si lega comunque, ma l’interazione è meno
stabile. Se vado a modificare ulteriormente la sequenza (diversi nucleotidi), il TF non lega affatto la
sequenza bersaglio.

1. Immobilizzazione di una sequenza di DNA (ligando – singola elica)


2. Formazione di una doppia elica attraverso iniezione di una sequenza di DNA complementare
(ligando – doppia elica)
3. Iniezione di una molecola in grado di legare il DNA
3.1. Iniezione di TFB (buffer TF)
4. Iniezione del TF (si lega nel protocolla 3.1)

Nel caso del 3.1 se io occupo il DNA con un farmaco il TF non lega il DNA (caso estremo, solitamente
si ottengono risultati intermedi).

➔Interazione DNA-DNA diagnosi molecolare di malattie genetiche)

Obbiettivo è identificare una mutazione (puntiforme).

26
Posso immobilizzare un oligonucleotide
biotinilato, flussando delle sonde
molecolari, questo serve solo per
dimostrare che posso identificare
mutazioni puntiformi (A).

Nel formato B posso immobilizzare il


DNA del paziente (derivante da PCR) e
flusso le sonde molecolari, che
riconoscono mutazione o wild type.

Nel modello C, immobilizza sul sensor


chip le sonde molecolari e influsso il
prodotto di PCR.

➔Il biacor può essere utilizzato in diagnostica molecolare con l’ausilio di due tecniche diverse: B e C.
Immobilizzando le sonde (C) è possibile fare l’esperimento sino ad 80 volte.

Elettroforesi su gel (lampronti)

È composta da una sostanza reticolata che agisce da setaccio, in cui le forze di attrito diminuiscono la
mobilità delle molecole più grandi.
I composti a PM maggiore migrano meno velocemente rispetto a quelli
con PM maggiore.

I composti vengono messi all’interno di pozzetti, in cui solitamente nel


primo è presente un marker (di derivazione industriale) che serve come
parametro di controllo.

La velocità di migrazione delle molecole dipende:


• Carica
• Peso molecolare
• Campo elettrico applicato (non si può esagerare)
• In base alla forza ionica del tampone nel quale sono immersi i gel
• pH del tampone
• Viscosità del mezzo
• Temperatura del sistema

Nell’elettroforesi avviene una corsa elettroforetica all’interno di un campo elettrico. Ci sono quindi due
forze opposte una all’altra: F1=forza di spinta e F2 = forza frenante:

• F1 =QE
• F2 = 6 πλrv

Q: carica elettrica del campione


E: gradiente di potenziale: C/d (V: differenza di potenziale, D: distanza tra gli elettroliti)
Λ: Viscosità del mezzo
R: raggio delle particelle
27
V: velocità

Una velocità di migrazione costante si raggiunge all’equilibrio:

• F1 = F2
• QE = 6πλrv
• v: QE / (6πλrv)

Nell’elettroforesi si possono separare peptidi e proteine così come acidi nucleici.

➔ Elettroforesi su gel di agarosio:

Per questa tecnica si utilizza un potenziale pari ad 80-90 V. Viene utilizzata per separare acidi nucleici.

Vediamo agarosio in diverse %, un colorante di solito etidio bromuro (rende visibile la corsa), un
tampone TAE 1x , 1 microlitro di DNA, 1 microlitro di blu di bromofenolo, 8 microlitri di acqua.

Le bande vengono visualizzate mettendo il gel sotto una lampada UV (gel-doc).

• L’agarosio è una sostanza costituita da agarobiosio e agaropectina che sono derivati del
galattosio. Si trova sotto forma di polvere che va eluita in acqua e scaldata in modo da
ottenere una soluzione liquida.
L’agarosio caldo viene quindi colato nella cella elettroforetica e lasciato a solidificare
(semisolida)

Quale RNA si riesce a vedere?

L’RNA più abbondante che può essere visualizzato attraverso elettroforesi è l’RNA ribosomiale che
rappresenta circa l’80% di tutto l’RNA.

L’RNA ribosomiale è costituito da diverse subunità:


o Nei procarioti 23 s, 16s e 5 s (70S)
o Negli eucarioti 18s, 18s e 5s (80S)

• L’etidiobromuro è un intercalante che si fa a legare ai due strand (solitamente nel solco


maggiore, ma non necessariamente). Al momento è stato soppiantato da altri coloranti in
quanto risulta essere tossico.
Va aggiunto sia al campione che deve essere caricato all’interno del gel, sia al buffer
(tampone) utilizzato per la corsa.
• La cella elettroforetica è una celletta in plexiglas con all’interno una slitta dove viene colato il
gel e presenta un pettine che crea i pozzetti nel gel mentre si solidifica. È importante che la
cella sia in bolla (dritta)

NB: solitamente nel campione si tende a mettere del glicerolo in modo tale da renderlo pesante, per
farlo entrare e rimanere nei pozzetti.

28
➔Elettroforesi su cellulosa acetato

È un’elettroforesi di tipo orizzontale (200V), permette


separazioni più nette rispetto alla carta e utilizzata per la
separazione di proteine.

Viene utilizzata una colorazione con Ponceau S e una


decolorazione con ac. Citrico (decolorare lo sfondo e
mettere in risalto le bande).

Si utilizza un apparato di corsa dove la matrice viene


bagnata per capillarità con il buffer, il tampone ha pH basico e i due elettrodi sono immersi nel buffer ai
lati.
Viene utilizzata per la separazione di proteine del plasma.
Anche in questo caso si presentano uno o più marker

➔Elettroforesi su gel di poliacrilammide

È un’elettroforesi di tipo verticale, dove i


campioni vengono caricati dall’alto. I gel
sono molto più sottili e devono correre
all’interno di due vetri.
Il gel è di poliacrilammide che gellifica
grazie alla presenza di TEMED
(ammina) un catalizzatore che assieme
ad AMPS (ammoniopersolfato) forma un radicale libero che attacca la poliacrilammide per creare un
polimero reticolato.
Si può aggiungere SDS che denatura le proteine e ne maschera la carica (tutte con carica -) in modo
che corrano verso un unico polo. (SDS lega un anione ogni 2 aa che causa perdita della struttura
secondaria e terziaria, acquisizione di una carica negativa netta e rapporto carica/massa simile per
tutte le proteine nel campione).
Il trattamento con SDS elimina le differenze di forma (denaturando), quindi la lunghezza della catena
polipeptidica, che riflette la massa, è l’unico determinante della velocità di migrazione. La separazione
avviene quindi per differenza fra pesi molecolari visto che il rapporto massa carica per ogni proteina
denaturata rimane costante.

Questa tecnica ha un elevato potere di risoluzione di proteine e acidi nuclei e presenta una forte
stabilità fisica. Con questa tecnica vi è la possibilità di mantenere le proteine sia in condizioni native
che denaturanti.
La poliacrillamide viene colata in due step, formando due porzioni, una dove le proteine si separano
running gel e una con densità minore (vicino ai pozzetti) detta stacking gel che separa le proteine in
maniera molto grossolana.

➔Elettroforesi bidimesionale

Siamo davanti a dei campioni molto complessi (200-300 proteine), viene spesso utilizzata per lo studio
del proteoma.

29
Le proteine verranno separate prima in una dimensione utilizzando dei gel stretti e lunghi che vengono
chiamati strip, qui viene creato un gradiente di pH (3-7/4-8/7-10) che consente alle proteine di
separarsi in base al loro punto isoelettrico (si separano quando il loro punto diventa pari a 0).
La seconda separazione avverrà tramite un gel di poliacrilammide con SDS (per mascherare la carica)
in modo da farle correre solo in base alla loro massa. In questa fase non vedremo più delle bande, ma
degli spot ad ognuno dei quali corrisponderà una proteina.

Ci sono poi metodi per andare a studiare le singole proteine come la spettrometria di massa.

Si definisce bidimensionale perché ci serve per separare un numero elevato di proteine, è necessario
quindi utilizzare due tipologie diverse combinate.
Una prima elettroforesi fa una separazione grossolana contenente una moltitudine di bande (in una
può esserci anche più di un tipo di proteina), la seconda in maniera ortogonale riesce a separare
singolarmente le proteine in modo tale da ottenere un gel con dei punti dove ognuno rappresenta una
proteina.

Questa tecnica viene utilizzata essenzialmente in proteomica (studio del proteoma), con lo scopo di
ricercare nuovi marcatori, che possono essere di tipo diagnostico oppure targhet terapeutici per lo
studio di nuovi farmaci.

➔Proteoma: insieme delle proteine espresse in un determinato momento, quindi se attuo


un’estrazione da tessuti in momenti diversi ottengo proteine diverse.
Il proteoma è interessante dal punto di vista della ricerca patologia, in quanto possono essere
biomarcatori specifici ed eventualmente anche marcatori.
La maggior parte delle proteine sono rappresentate da recettori di membrana, poi enzimi, ormoni,
DNA BP…
Il proteoma è la rappresentazione quantitativa dell’intero pattern di espressone proteica di una cellula,
organismo o fluido corporeo in condizioni esattamente definite. Il proteoma è varibile.
Il genoma è il complesso dei geni di un individuo, cioè il suo corredo cromosomico, ed è costante.
La ricerca di nuovi marcatori è importante per la diagnosi precoce di malattie.

La proteomica può essere divisa in:


• Strutturale
• Funzionale
• Differenziale (marker)
• Clinica (target)

Le tecniche alla base dello studio del proteoma sono:


• Estrazione proteica
• Separazione con elettroforesi 2D
• Studio delle proteine attraverso MS (spettrometro di massa)
• Ricerca su database
• Sequenziamento proteico

Le tecniche che hanno permesso lo studio del proteoma si sono evolute negli ultimi decenni, è per cui
una ricerca molto innovativa da circa gli anni ’70.

30
Analisi del proteoma per sottrazione (analisi differenziale)

Una cultura cellulare viene portata da uno stato iniziale ad un secondo da un cambiamento delle
condizioni di crescita. Ciò implica una differenza delle proteine prodotto, alcune addirittura assenti o
presenti da l’una all’altra condizione

La quantità effettiva di una proteina in una cellula è determinata dai parametri più svariati ed è
estremamente sensibili ai cambiamenti dei seguenti parametri:
▪ Situazione metabolica
▪ Temperatura
▪ Antibiotici
▪ Stress
▪ Condizioni della crescita in coltura

Gli step di separazione:

1. Le proteine vengono separate in base al loro punto isoelettrico tramite gel caratterizzati da un
gradiente di pH che consentono la separazione
2. Il gel in questo caso è poliacrillamide in sodio dodecil solfato che da correre le proteine solo in
base al loro peso molecolare
In fine abbiamo l’identificazione con la spettrofotometria di massa.

Sono presenti anche altre tecniche che possono essere utilizzate al posto delle tradizionali o
complementari, come la 2D-dige che utilizza una colorazione fluorescente e nuove tecniche basate su
chip.

Spettrometria di massa:

Mi permette di identificare chiaramente le proteine in quanto i gel 2D non possono identificare con
certezza la natura della proteina.
La spettrofotometria di massa è una tecnica analitica che dà informazioni sulla massa e sulla struttura
▪ 50 fmoli sufficienti (taglio dello spot e trispsinizzazione)
▪ Due tecnologie sfruttate: MALDI e ESI per introdurre e ionizzare i campioni da analizzare

È sufficiente una quantità minima di campione.


L’inventore di questa tecnica fu J.J Thompson che lo utilizzò per la prima volta, per la separazione
degli isotopi.

La proteina che proviene dal gel, può essere isolata, e analizzata intera per sapere peso molecolare
specifico, oppure tripsinizzata (si mette a contatto con la tripsina che taglia la proteina in punti
specifici) e analizzare i singoli frammenti.

31
Il risultato è uno spettro di massa in cui ogni picco corrisponde ad un singolo frammento, formiamo
quindi un’impronta digitale caratteristica di questa determinata proteina, e può essere confrontata con
altre spettrofotometrie rilevate o con
profili teorici (derivanti dal gene che
si conosce, tramite una traduzione in
silico, quindi conoscendo i punti di
taglio della tripsina posso ottenere lo
spettro teorico).
La MS è utilizzata per la rilevazione di
agenti dopanti, controllo della
respirazione dei pazienti da parte di
anestesisti, determinare la composti
nello spazio, se il miele è stato
adulterato, localizzare il petrolio,
presenza di diossine, medicina
legale, effettuare analisi di sostanze
inquinanti, identificare la strutttura delle biomolecole, analizzare prodotti della sintesi organica e
farmaceutica, stabilire l’età e origine di campi geochimici ed archeologici.

Come già detto posso utilizzare la MS per l’identificazione di proteine, utilizzando la tecnica detta
peptide mass fingerprinting (PMF) -nell’immagine in alto-. Che si attua così:
• Taglio del gel 2D
• Digesitione in vitro con tripsina della proteina
• Ricerca in database prteici-peptidici o in genomici (per masse peptidiche teoriche da
comparare con reali).
Questa procedura funziona bene per l’identificazione di proteine ma possono esserci problemi, per
non avere informazioni ambigue, si può ricorrere all’analisi della sequenza aminoacidica: avviene il
sequenziamento. Durante l’analisi MS infatti un singolo peptide può essere selezionato e frammentato
all’interno dello strumento (Tandem MS). lo spettro risultante è indicativo della sequenza aa e possono
essere usati per generare una sequenza a scalare. Tale sequenza viene usata per la ricerca in
database genomici, proteici o sequenziamento de novo.

Riassunto dei vari step:

1. Preparazione del campione


2. Prima elettroforesi (IEF focalizzazione isolettrica)
Le proteine migreranno da destra a sinistra secondo gradiente elettrico e si bloccheranno nel
momento in cui il pH le azzererà.
I gel sono sempre costituiti da poliacrilammide ma sono stretti e lunghi (strip) e caratterizzati
da un gradiente di pH, il campione viene quindi caricato o al centro del gel o viene distribuito
lungo tutta la lunghezza. Il gel viene quindi messo in un apparato elettroforetico (multiphor
chamber) con un voltaggio molto elevato, in modo che avvenga l’elettroforesi.
3. Seconda elettroforesi (SDS-PAGE separazione in base alla massa)
Semplice separazione in base al peso, dove le più leggere migreranno più velocemente e più
lentamente quelle pesanti.
A questo punto avviene un assemblaggio tra prima e seconda corsa, dove, la prima viene
posizionata sopra e aggiunto agarosio caldo per incollarli.
4. Colorazione degli spot

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Le proteine devono essere messe in evidenza attraverso coloranti che devono essere:
sensibili, consentire un’analisi quantitativa, compatibili con lo studio attraverso la
spettrofotometria di massa e non tossici. (Blu di Coomassie Silver staining)
5. Analisi dell’immagine
Tramite software anche tridimensionale, in quanto comparativa ad occhio nudo è impossibile.
Per la comparazione di un’immagine è importante creare un gel di riferimento (master gel)
solitamente a controllo negativo, in modo da poter confrontare i gel di match (3/4) con quello in
sperimentazione. Parliamo quindi di gel Matching tramite il quale il software colora in maniera
diversa le proteine che subiscono variazione in base all’aumento, diminuzione, accoppiati e
non accoppiati.
6. Identificazione delle proteine in massa
Identificate le proteine di interesse avviene il taglio del gel (manuale o soprattutto meccanica).
La proteina viene seccata con acetonitrile e tripsinizzata. Quindi viene inviata alla
spettrofotometria di massa.
7. Utilizzo di MS/MS

Spettrometria di massa

È una tecnologia molto sfruttata per l’analisi di molecole, da quelle più piccole di tipo organico a quelle
come DNA, RNA o proteine.

Lo spettrometro di massa è uno strumento utilizzato per misurare la molecola dopo che essa è stata
ionizzata grazie alla presenza di campi elettrici o elettro-magnetici. Il campione però deve essere in
fase gassosa, a questo punto gli ioni formati si muovono all’interno di un campo elettrico e/o
magnetico e vengono separati in base alla massa.

Il peso delle molecole si misura in Dalton (Da= 1.66 x 10-25).

In realtà non si misura direttamente la massa ma il rapporto massa su carica. La carica di uno ione è
espressa come numero z, ma nella maggior parte dei casi gli ioni hanno z 1.

Vediamo un sistema per introduzione del campione, che può essere diretto o indiretto (con strumento
che purifica ulteriormente il campione, come una HPLC).
Il campione deve quindi essere ionizzato, dalla sorgente di ionizzazione e vengono selezionate le
molecole cariche positivamente.
33
Alla fine troviamo poi un rilevatore collegato ad un PC che ci da come risultato lo spettro di massa.
Sorgente:
Possono essere diverse:
• Ionizzazione ad alta energia (hard)
o Ionizzazione elettronica EI
Viene utilizzata per molecole a basso peso molecolare bombardandola con un fascio di
elettroni ad alta energia (70 V) creando così una miscela di ioni + e – (M+).
Vengono spinti verso l’analizzatore e si muoveranno secondo la legge dell’energia
cinetica.
• Ionizzazione a bassa energia (soft)
o Ionizzazione chimica CI
Utilizzata per molecole che si vaporizzano facilmente (a basso PM) e che non si
decompongono durante questa fase. Per la ionizzazione viene utilizzato un gas che
protona vedremo quindi non un M+ ma un M+H+ appunto per questo protone dato dal
gas.
o Bombardamento con atomi veloci
o Desorbimento con laser (MALDI)
I peptidi non vengono frammentati, sfrutta la presenza di matrici ovvero acidi deboli che
vengono addizionati alla miscela peptidica e servono per proteggerla, ionizzarla e
trasferire l’energia necessaria al desorbimento (energia che proviene da un raggio
laser).
La matrice viene depositata su una piastra metallica (targhet) si lascia quindi
evaporare, una volta inserito il laser colpisce il punto che a noi interessa.
o Electrospreay (ESI)
Anche con questa tecnica è possibile analizzare molecole pesanti, i campioni vengono
solubilizzati grazie a solventi, e le soluzioni vengono spruzzati in modo da formare un
cono ricco di microgoccioline che contengono gli analiti. Queste vengono lentamente
desolvatate nel loro movimento nel campo elettrico, per farle convogliare verso
l’analizzatore.

Analizzatori:
• Settori magnetici
• A trappola ionica
Sono analizzatori che possono intrappolare gli ioni formati (e volendo frammentarli) e
cambiando il campo elettrico si possono selezionare le masse. Ha una geometria a sandwich
composta da due coperchi, e un elettrodo anulare al centro
• A quadrupolo
Sono costituiti da 4 poli metallici paralleli, dove viene applicata una differenza di potenziale
generata da correnti continue e alternate, che induce tutti gli ioni a muoversi in base alla loro
massa. L’analisi dipende appunto dalla massa degli ioni e dal moto (sinusuidale), modificando il
voltaggio è possibile selezionare gli ioni.
Molto spesso si parla di analizzatori a triplo quadrupolo utilizzando la tandem massa (analisi
una dopo l’altra per trovare una sequenza di peptidi). Nel primo analizzatore si selezione il
peptide che si vuole sequenziare, nel secondo avviene la frammentazione tramite una
collisione e nel terzo quadrupolo vengono analizzate le singole masse.
• A tempo volo
Separano gli ioni in virtù del tempo impiegato per percorrere una distanza, maggiore sarà a
massa minore sarà la velocità. Ad una estremità c’è un campo elettrico che accelera gli ioni
polivalenti.
34
Il tubo di volo può avere due geometria lineare o reflectron, che con quest’ultimo mi permette
uno spettro di massa molto migliore (viene allungato il viaggio rispetto al lineare).
• Risonanza ionica ciclotronica con trasformata di Fourier (TF-ICR)

Rilevatore:
Caratterizzato da una superficie sulla quale collidono gli ioni, questa eng di collisione viene trasformata
in elettrica e attraverso un fotomoltiplicatore viene amplificata e letta dal computer.

Spettro di massa:

Uno spettro di massa è un diagramma di abbondanza ionica in funzione del rapporto m/z, questi
spettri sono spesso rappresentanti con istogrammi.
Gli ioni e la loro abbondanza relativa permettono di stabilire PM e struttura del composto in esame.

Alcune volte potremmo vedere il peso molecolare intero della molecola, altre volte vedremo anche il
peso di frammenti di molecola (alcuni legami infatti si rompono) utilizzando una tecnica hard.
Nell’analisi di proteine e peptidi vengono utilizzate tecniche soft quindi non si ottengono frammenti,
viene comunque tripsinizzata e lo spettro uscente può essere confrontato con altre molecole.

Cellule in coltura

Una volta seminate le cellule il nostro obbiettivo è trattarle con i farmaci e contare quelle rimanenti
dopo incubazione.

Trattamento:
• Preparazione del protocollo (necessario per le tempistiche in base a quello che devo studiare,
alcuni farmaci necessitano addirittura di un ciclo cellulare completo prima di dare effetto. Da
tenere bene in considerazione è che nella nostra cultura le cellule non sono sincronizzate)
• Preparazione dei derivati da aggiungere
o Studio della solubilità
o Diluizione opportune (necessarie diverse prove per concentrare l’attenzione sull’effetto
del farmaco)
• Aggiunta dei derivanti in studio a diverse concentrazioni
o Scalare larga
o Scalare più fine

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• Controlli negativi
• Controlli positivi

Incubazione:
per diverse ore o giorni in incubatore a 37 °, 95%di umidità e 5% di CO2.

Applicazione delle culture cellulari

• Studio della citotossicità


• Atudio del meccanismo di azione dei farmaci
• Studio di anomalie genetiche (analisi del cariotipo)
• Biologia molecolare (mappature, transfezioni, analisi di mutanti, proteine ricombinanti, anticorpi
monoclonali)
• Studio di processi infettivi virali
• Caratterizzazione di tumori
• Studio di effetti farmacologici e tossici di farmaci

Come si contano le cellule?

Le cellule possono essere contate tramite l’ausili di strumentazioni, camera di bukner (con
microscopio ottico: vecchio metodo manuale e lungo), conta cellule (contaglobuli automatici – metodo
impedenziometrici) e citometri a flusso.
• Camera di burker o emocitometro: la conta fisica delle cellule viene convertita utilizzando una
formula in cellule su mL. Il vetrino utilizzato è diviso in quadranti e vengono caricati 10 microL
di cellule (in sospensione omogena).
Viene preparato lo strumento (con etanolo), si applica il materiale cellulare e conto fisicamente
le cellule con l’ausilio di un microscopio ottico. Alla fine applico la formula:
(totale cellule/numero quadrati) x 104
• Counter si basa sul passaggio di ogni cellula attraverso un microcapillare, in questo modo
viene contata. Il vantaggio è la misurazione ripetuta in pochissimo tempo (30 s a ciclo).
Lo svantaggio sta nel fatto che non fa discriminazione tra vive, morte o agglomerati.

➔Come posso contare la citotossicità?


Devo vedere la differenza tra cellule vive e cellule morte, l’approccio si chiama trypan-blue exclusion
test è un colorante che colora le cellule di blu, ma questo colorante riesce a penetrare solamente
attraverso le cellule morte.
In questo caso vado a contare le cellule e dal rapporto conosco la citotossicità.

Uno degli argomenti più importanti in oncologia è la capacità di diventare resistenti al farmaco. Una
linea importante per cui è capire se un farmaco agisce o meno.

Metodi di rottura di cellule e tessuti:

Meccanici:
• French press
• Omogenizzatori potter-elvejhem e Dounce
• Sonicazione (ultrasuoni)
• Omogenizzatori a lama
• Macinazione con mortaio
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• Glass dead

Chimici:
• Lisi per osmosi
• Congelamento e scongelamento+
• Digestione enzimatica

Le cellule possono essere separate nelle frazioni che le compongono, utilizzando un qualunque
apparato di centrifugazione. Attenzione al bilanciamento dello strumento e alla velocità di rotazione
che deve essere in funzione della forza di gravità a cui voglio sottoporre il campione.

Centrifugazione differenziale

Si basa sulla diversa velocità di sedimentazione delle particelle diverse tra loro per densità e
dimensione. Si sedimentano prima quelle di maggiori dimensioni.

Posso isolare:
• Nuclei: RNA e DNA
• Mitocondri: succinato deidrogenasi, citocromo C, ossidasi
• Lisosomi: fosfatasi acidi o idrolasi attiva
• Perossisomi: catalasi
• Microsomi: glucosio 6 fosfato

NB: sono in ordine di massa e densità decrescente.

L’analisi dei fluidi biologici nei quali sono contenuti biomarcatori mi permette di raccogliere informazioni
relative alle varie patologie, parliamo di biopsia liquida in questo caso, una tecnica non invasiva, al
contrario della biopsia classica (dai tessuti). Il paziente inoltre può essere monitorato nel tempo con
grande facilità. Iniziamo a parlare di Tecnologie immunochimiche:
• RIA
• ELISA
• BIOPLEX

Mi permettono di identificare antigeni purchè abbiamo anticorpi funzionali. L’anticorpo è una proteina
con la struttura classica a Y, la sua caratteristica è quella di riconoscere in maniera specifica degli
antigeni. La cosa importante è che l’antigene riesca a scatenare la risposta immunitaria.
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Per mettere in evidenza la reazione venivano utilizzati marcatori radioattivi, ma negli ultimi anni si
stanno sviluppando tecniche per evitare questo.

Tecnologie Immunochimiche

➔Per approfondire le basi su anticorpi ecc. vedi APPUNTI PATOLOGIA MOLECOLARE

Liquid Biopsy (biopsia liquida tramite prelievo del sangue)

Il tumore rilascia oltre a cellule tumorale, DNA libero (self free DNA) che può avvenire nel circolo
sanguigno o in altri fluide, che funziona da biomarcatore. L’altra cosa che rilascia è miRNA.
Le tre tecniche immunochimche su cui ci concentreremo sono:
• RIA (radio immuno assay): metodo radioimmunologico (analisi ormonali, marcatori diagnostici
e monitoraggio farmaci)
• ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay): metodo immunoenzimatico (analisi ormonali,
marcatori diagnostici e virologiche)
• BIOPLEX (tecnologia luminex): metodo immunologico (analisi in multiplex di marcatori vari)
Tutte queste tre tecnologie si basano sull’uso degli anticorpi.

Tutti i dosaggi hanno una caratteristica in comune:


Utilizzano uno o più anticorpi per effettuare la misura analitica, negli anni 60-70 cominciò la produzione
commerciale di anticorpi e antigeni marcati. Successivamente al posto del marcato radioattivo si
cominciarono a studiare metodi chimici alternativi, che avessero un potenziale potere di amplificazione
senza rischi.

Gli anticorpi si dividono in policlonali (miscela di anticorpi) e monoclonali.


La regione che ci interessa per l’interazione è la ipervariabile, che fanno parte del sito per il legame
con l’antigene, che dipende strettamente da quale epitopo dell’antigene l’anticorpo è in grado di
riconoscere. (il paratopo è il sito anticorpale che lega l’antigene a livello delle regioni ipervariabili)

➔La biopsia liquida è la metodica non invasiva (o minimamente) che identifica biomarkers circolanti di
ultima generazione nel sangue e in altri fluidi biologici (urine, liquor, saliva, feci, latte, lavaggio
bronchiale, effusioni pleuriche e peritoneali).

Biopsia convenzionale vs liquida

La biopsia liquida è poco invasiva, con procedura semplice e facilmente ottenibile. Mi permette una
selezione longitudinale, il DNA circolare è degradato e scarso, vi sono pochi geni e bassa sensibilità, le
proteine però sono molto più stabile.
La biopsia tissutale, è invasiva, complessa (interventi chirurgici) e che richiede tempo. Abbiamo inoltre
un singolo campione e un piccolo frammento della lesione, il DNA però è abbondante, posso avere
tante informazioni su tanti geni ed ha un’alta sensibilità.

Applicazioni della biopsia liquida:

1. Prevenzione, screening di popolazione, screening di soggetti predisposti o ad alto rischio,


diagnosi precoce.
2. Diagnosi molecolare in assenza di tessuto
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3. Assegnazione di terapia, resistenza al trattamento.

Dopo l’assegnazione della terapia mi permette di far e una prognosi, un monitoraggio in tempo reale,
di avere predittività (anticipazione decorso) e follow up, discontinuazione, management.

Dosaggio competitivo:

L’antigene marcato e quello non marcato competono con un numero limitato di siti di legame nella
miscela di reazione o in fase fissa, viene utilizzato nel RIA.
Avremmo 3 attori che fanno parte del protocollo: anticorpo, antigene di riferimento (controllo) e
l’antigene da quantificare.

RIA

Il principio si basa su un antigene non marcato e uno radiomarcato, che vengono addizionati ad un
anticorpo, questo può legare uno o l’altro. Metto in competizione quindi questi due antigeni.
Vedremo come prodotto anticorpo + Ag marcato e anticorpo + Ag non marcato, poi in base al
rapporto stecchiometrico vi sarà anche antigene marcato e non libero.
Questa reazione mi permette di quantificare l’antigene non radiomarcato.

Ag + Ag* + Ab ➔ AgAb + Ag*Ab + Ag + Ab*

Più è concentrato l’antigene radiomarcato, meno complesso antigene marcato anticorpo si forma.

Es: peptide C nel sangue

La concentrazione del peptide nel sangue è direttamente proporzione alla concentrazione di insulina, è
inoltre più stabile dell’insulina nel sangue (emivita maggiore).
Quindi il peptide C viene utilizzato per la diagnosi del diabete mellito di tipo 1.

Schema di dosaggio RIA competitivo in fase solida

Anticorpi specifici per l’antigene da dosare sono legati alla fase solida. Si aggiunge il siero contenente
l’antigene endogeno non marcato (il peptide) e lo stesso antigene radiomarcato.
Le molecole di antigene marcato e non, competono per gli stessi siti di legame sugli anticorpi.

Maggiore sarà la concentrazione del Peptide C nel campione, meno peptide C radiomarcato si lega,
così da produrre un segnale radioattivo più debole.

Riassumendo:

Inserisco una quantità nota di antigene radiomarcato e di anticorpo, l’ideale sarebbe che tutte le
componenti anticorpali siano occupate dall’antigene radiomarcato. Viene aggiunto quindi il siero
(anche di più pazienti). L’aggiunta di antigene freddo riduce la quantità di anticorpo legato all’antigene
radioattivo, un punto chiave è avere un metodo di separazione antigene/anticorpo, solitamente basta
operare un lavaggio.

39
È sicuramente una tecnica molto sensibile, specifica (basandosi su anticorpi). Purtroppo alcuni
antigeni radiomarcati sono costosi e la tecnica è potenzialmente un pericolo per l’operatore, la tecnica
è molto lunga e difficile da automatizzare.

Utilizzi

• Ricerca di sostanze stupefacenti


• Controllo preventivo della qualità del sangue
• Identificazione di cancro
• Misurazione del livello ormonale
• Tracciamento del virus della leucemia
• Diagnostica e trattamenti dei peptidi

È necessario un buon sistema di separazione per il recupero/isolamento dei complessi. Ci sono


diverse procedure, fisiche (filtrazione, cromatografia, elettroforesi…), chimiche (lavaggio con solventi
come etanolo, PEG …) o il semplice attaccamento dell’anticorpo ad una fase solida.

ELISA

Utilizza un dosaggio non competitivo: quindi anticorpi a sufficienza (in eccesso) per legare tutto
l’antigene presente nel campione. (meno efficiente del RIA).
Gli Ab sono legati a fasi fisse (biglie, micropiastre, provette). Si aggiunge il campione contenente Ag e
si lascia reagire con gli Ab.
Si lava e si incuba con un Ab secondario marcato (che lega differenti epitopi dell’Ag): struttura a
sandwich. Si lava ancora e si misura.

Le fasi in sintesi:
1. Immissione di una soluzione dell’anticorpo primario (specifico per l’antigene da ricercare nel
siero o in un dato liquido biologico) nei pozzetti di una apposita piastra da saggio in poliestre. il
fondo del pozetto viene saturato con l’anticorpo che aderisce al fundo dei pozzetti per mezzo
solitamente di gelatina di pesce e l’eccesso viene lavato via.
2. Aggiunta del campione da saggiare
3. Incubazione per consentire l’interazione molecolare
4. Lavaggio con soluzione tampone
5. Aggiunta dell’anticorpo secondario specifico coniugato con un enzima perossidasi o fosfatasi
alcalina
6. Incubazione per consentire l’interazione molecolare (l’anticorpo
seocndario si lega selettivamente all’antigene, se presente)
7. Lavaggio con soluzione tampone. L’eccesso di anticorpo
secondario coniugato viene lavato via.
8. Aggiungo p-nitrofenilfosfato che è substrato dell’enzima
coniugato all’anticorpo secondario.
9. Il p-nitrofenilfosfato viene convertito in p-nitrofenolo di colore
giallo. Se l’antigene caratteristico dell’organismo patogeno è
assenta

40
10. L’aggiunta di idrossido di sodio blocca la reazione catalizzata dall’enzima fosfatasi. Quindi si
effettua la misurazione della quantità di prodotto della reazione (p-nitrofenolo) mediante lettura
spettrofotometrica di colore o luce.

Elettroforesi capillare: (Lampronti)

Si utilizza un microcapillare inerte in silice fusa (parte interna) e polimmide (esterno), con diametro
interno compreso tra 10 e 100 micron, con lunghezza tra i 30 e i 50 cm.

Possono essere riempiti da una sostanza che funge da setaccio molecolare. La matrice può essere di
poliacrilammide, dimetilacrilammide o altri polimeri lineari come poletilenossido o idrossietilcellulosa.
Oppure possono essere caratterizzati da pareti cariche (flusso elettroosmotico).

Questo tipo di elettroforesi può essere utilizzato nel caso in cui si abbia una marcatura fluorescente o
ci siano gruppi cromofori: a livello del capillare ad un certo punto ci sarà una finestra trasparente a UV
e VIS, attraverso la quale passerà una luce, in grado di eccitare i fluorocormi o i cromofori e indurre
una risposta captabile dai rilevatori.

Vantaggi:
• Utilizzando dei micro-capillari si possono separare delle miscele anche a partire da volumi
molto piccoli
• Lo strumento è completamente automatizzato, abbiamo quindi un risparmio di tempo di analisi
• Sono stati sviluppati strumenti automatici che possono far correre in parallelo 16, .96 o 384
capillari (campioni diversi)
È una tecnica analitica che sfrutta
alti campi elettrici (1000 V), si
utilizzano stretti capillari in vetro
riempiti con elettroliti conduttori.
➔Flusso elettrosmotico: tutti gli
ioni, positivi o negativi, sono spinti
nella stessa direzione. Le
particelle si separano durante lo
spostamento per via della loro
mobilità elettroforetica e sono
quindi rilevate all’altro capo
capillare (detector e computer)

Il cromatogramma derivante da
questa tecnica viene detto elettroferogramma.

La parete interna dei capillari:

Viene resa carica negativamente, costituita da silice fusa (gruppi silanolici SiOH), resa negativa grazie
ad un condizionamento ante analisi da un passaggio di un flusso di basi forti come la soda.

Si usa un tampone acquoso come fase mobile dove sono contenuti i controioni che creano il
controflusso elettrosmotico che attrae le molecole cariche e neutre verso il catodo.
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Tale flusso dipende dalla carica superficiale e dal buffer. Il
senso del flusso elettrosmotico dipende dal segno della
carica superficiale della parete interna del capillare: se
questa è caricata negativamente, le molecole positive e il
liquido si spostano verso l’elettrodo negativo. Il solvente
(H2O tampone) trascina nella zona centrale molecole
neutre e con carica opposta (-), mentre i cationi (+) vicini
alle pareti del capillare hanno maggiore mobilità.

Applicazioni:

L’elettroforesi capillare è la più recente tecnica separativa introdotta nel mercato. La separazione si
basa sull’effetto elettroforetico classico utilizzando come mezzo separativo, una colonna capillare di
silice fusa. Gli analiti sottoposti ad un intenso campo elettrico migrano ad una estremità della colonna
capillare e vengono rivelati in base al loro assorbimento di luce (legge di Lambert – Beer).
Molecole a basso PM:
• Sostanze di interesse farmaceutico
• Enantiomeri di farmaci chirali
Molecole ad alto PM:
• Peptidi
• Proteine
• Acidi nucleici

Il sistema di elettroforesi capillare può essere multiplo e quindi ad alta efficienza nella scoperta di nuovi
farmaci, con capacità di analizzare molti campioni in parallelo, si possono settare diverse condizioni
simultaneamente, separazione di molecole con basso PM e separazione di proteine e DNA.

Si parla di HPCE (high performance CE) perché sono molto efficienti nella separazione, funzionano ad
alte pressioni con tempi di analisi brevi, un basso consumo di reagenti e piccoli volumi di campione
utilizzati.

Rivelatori:
La maggior parte assomigliano a quelli di HPLC che funzionano grazie all’utilizzo di lampade UV visibili
che possono emettere tra 195 – 780 nm.
Esistono anche i LIF che mettono in evidenza fluorocromi, più sensibili, ma usati molto meno.
(si basano sulla legge di Lambert Beer per il calcolo dell’assorbanza)

➔I 96 capillari pescano i campioni da 96 pozzetti, la fila (array) converge nel rilevatore in


corrispondenza del quale il rivestimento poliimmidico dei capillari è stato rimosso. Alla fine i capillari
convergono in una piastra 8x12 collegata con semplici contenitori (recevoirs).

➔Una lampada a deuterio viene usata come sorgente di luce UV, la luce trasmessa passa attraverso
una lente piatta e visualizzata grazie ad un detector a serie di diodi. I segnali di assorbanza UV sono
monitorati simultaneamente, un alto voltaggio viene applicato agli estremi del sistema durante la
separazione.

Applicazioni biochimiche:
• Analisi di palsmaproteine ed emoglobine

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È un metodo utilizzato di routine nei laboratori di analisi cliniche dove abbiamo ricerca e analisi
delle plasmatroteine, HbA1c, patologie legate all’espressione di HbA2, ricerca di Hb
patologiche, e analisi e sequenziamento del DNA.

Sangue come campione biologico

Costituito da una parte corpuscolata e da una parte liquida. La sede dell’emopoiesi sono le ossa piatte
e lunghe, che varia a seconda dell’età (durante la vita intrauterina nella milza e fegato, nelle prime
settimane dal sacco vitellino e dal quarto mese in poi avviene quasi esclusivamente nel midollo).

Preparazione del campione:

Deve essere mantenuto in base alla tipologia di analisi successiva (congelamento, anti coagulanti ..).
Generalmente si divide la parte corpuscolata (analisi delle plasmaproteine con HPLC, elterroforesi o
CE) dal plasma (analisi di emoglobine con HPLC, elettroforesi e CE).

Il sangue intero per l’ottenimento del plasma viene separato trattandolo con reagenti, poi
centrifugazione, e si trova nella parte superiore. Per le emoglobine siamo costretti ad ottenere degli
emolisati, quindi la parte corpuscolare che rimane (sotto) viene lavata tramite soluzione isotonica
(fisiologico) e si prosegue con la lisi cellulare (emoglobine all’interno dei globuli rossi) che può essere
osmotica (per globuli rossi, in contatto con acqua), chimica (generalmente utilizzata nei laboratori) o
meccanica. Una volta che è avvenuta la lisi si centrifuga per la rimozione dei residui (precipitazione), si
preleva quindi il surnatante che contiene le emoglobine (si può aggiungere ferrocianuro di potassio per
la stabilizzazione).
L’emolisato viene quindi analizzato, per quantificare l’emoglobina totale (spettrofotometro), e un’analisi
dettagliata delle emoglobine (con HPLC o CE).

Le analisi derivanti mi permetteranno di vedere:


• Albumina, una proteina di trasporto utilizzata per trasportare ormoni, acidi grassi, birrirubina e
farmaci
• Alfa 1 fetoproteina, un marcatore diagnostico tumorale del marcatore al fegato e del
carcinoma epatico. Durante la vita fetale (sintetizzata dal vitello) serve come trasportatore nel
sangue, fa quindi le veci dell’albumina. Il suo reperimento nell’adulto ha significato patologico (i
geni che la eprimono vengono repressi dall’albumina).
I livelli sierici:
▪ Alla nascita: 15-50 μg/L
▪ Nel bambino dai 2 anni: 1-10 μg/L
▪ Nell’adulto: 1-10 μg/L
▪ Nella donna gravida possono variare (16 e 18 settimana), e possono essere
indice di malfomazioni congenite (spina bifida) si procede con screening per
difetti del tubo neurale. Aumento fisiologico nel parto gemellare
▪ Epatocarcinoma: fino a 150
▪ Valori che non superano i 200 abbiamo neoplasie del tescticolo.

Per la sua analisi si può utilizzare il sangue (siero), nell’adulto può servire per epatiti, cirrosi,
necrosi e neoplasie (testico, polmoni, ovaie). Per analisi prenatali viene utilizzato il liquido
amniotico (amniocentesi), valori aumentati in questo caso possono determinare: anencefalie
(malformazione del cranio), mielomeningocele o spina bifida (erniazione delle meningi e tessuto
43
nervoso), encefalocele (erniazione tessuto celebrane e meningeo per malformazione del
carnio) e onfalocele (erniazione dei visceri, non contenuti in maniera corretta nell’addome).
Con valori diminuiti invece si può parlare di trisomie fetali (18 e 21)
• Proteine C reattiva
È un marcatore diagnostico indice di infiammazione acuta o cronica (IBD o artrite reumatoide).
È presente nel sangue a basse concentrazioni e se aumentato indica infiammazione, il test
utilizzato è l’ELISA.
Calori devono essere inferiori a 8.00 mg/L negli adulti.

➔Test ELISA può essere effettuato tramite il metodo classico o tramite kit commerciali. (VEDI PER
ELISA PATOLOGIA)

• Transferrina
Glicoproteina sintetizzata dal fegato, ha una funzione di trasporto (ioni ferro assorbiti) è
presente nel siero.
Dosaggio è una misura diretta della quantità di ferro nel sangue. Se è bassa può indicare
epatite o emocromatosi, se è alta indica carenza di ferro, anemia o gravidanza

• Ferritina
Ha funzione di deposito del ferro nel fegato, se bassa può denotare anemia, gravidanze,
emoraggie, se alta, sindromi emolitiche, talassemie

All’interno della parte corpuscolata:


• Emoglobina glicata (HbA1c)
È adulta ed ha subito un trasformazione, se è < 7% rispetto alle altre emoglobine può
significare diabete. (disordine che riguarda il metabolismo del glucosio, come sintomi vedremo
poliuria, poldipsia, poliplasia. Sono presenti 2 tipi di diabeti mellito 1 insulina dipendente (età
giovanile dato da iperglicemia e chetosi, data dalla distruzione autoimmune delle cellule del
pancreas, diabete di tipo 2 non dipendente da insulina, causata da obesità e tarda età.
Per la diagnosi, abbiamo test di tolleranza al glucosio, iperglicemia a digiuno, test RIA, test
dell’emoglobina glicata).
• Emoglobina 2 (HbA2)
Se risulta aumentata siamo incontro ad anemia emolitica, ipertiroidismo o emoglobinopatie,
con valori bassi alfa talassemie ed anemie sideroferriche.

FACS

Si basa sulla citometria a flusso e permette di analizzare sospensioni cellulari all’interno di un flusso
laminare.

La tecnica Facs è un uuna particolare tecnica di citometria a flusso basata sullo sporting cioè la
capacità di separazione di cellule in base a differenze fenotipiche. (attualmente è di uso comune)

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Questa tecnica si avvale di un citometria a flusso associato ad un computer. L’elemento più
importante è la camera di conta dove le cellule del campione subiscono una focalizzazione
idrodinamica (vengono allineate per essere esaminate una ad una) in modo da poterle analizzare.
Troviamo anche il sistema fluidico che permette
alle cellule di raggiungere la camera di conta, il
sistema ottico che permette l’analisi delle
cellule, un sistema elettronico di analisi e in fine
può essere presente il sistema di sorting che
separa le cellule di interesse.

• Sistema fluidico: che convoglia le cellule


(in soluzione isotonica) tramite una
pompa che spinge con pressione
elevata un tampone che preleva le
cellule.
• Sistema ottico: analizza le cellule grazie
ad uno o più sorgenti luminose che vadano ad incidere sulla cellula, a questo punto si va a
vedere come la cellula reagisce. Può reagire in due modi: light scattering dispersione delle
radiazioni per la determinazione delle proprietà fisiche il secondo è la fluorescenza che mi
permette di studiare le caratteristiche biochimiche.
Le sorgenti luminose possono essere:
▪ Lampade: da 350 nm sino ad infrarosso
▪ Laser: radiazione monocromatica ad alta intensità, molto stabili e molto
sensibili. Solitamente si trova laser blu 488 nm e rosso 633 nm.

Light scattering: a noi interessano due fenomeno SSC (laterale: si misura a 90° rispetto al
raggio incidente e misuriamo gli effetti dei fenomeni di riflessione e radiazione, che dipendono
dalla complessità interna della cellula) e FSC (frontale: stessa incidenza della radiazione, mi dà
un’idea della deviazione dei raggi, mi da un’idea della dimensione della cellula)

Fluorimetria: Efin < Ein ➔ λfin > λin, queste molecole vengono detti fluorocromi, nel caso della
citometria a flusso, dobbiamo essere in grado di fornirgli la lunghezza d’onda necessaria e
dovremmo essere in grado di rivelare la fluorescenza.
Il fluorocromo si può trovare o già nella cellula, o viene utilizzato per marcare il campione (lo
attacco ad un anticorpo).
Si possono utilizzare dei fluorocromi tandem (una molecola eccita l’altra).
• Dispositivi ottici: lenti, specchi, prismi e filtri (diotici lasciano passare o riflettono una radiazione
elettromagnetica a seconda della lunghezza d’onda, bandpass che lasciano passare soltanto
determinate lunghezze d’onda all’interno di un range)
• Sistema elettronico: utile per rilevare tutte le radiazioni elettromagneti in uscita, segnali che
vengono digitalizzati ed elaborati. In particolare si utilizzano fotomolptiplicatori.
• Sorting: avviene la separazione di cellule fenotipicamente differenti, che a seconda delle
caratteristiche della cellule, viene caricata elettricamente che fanno in modo di veicolare le
gocce nei tubi di raccolta.

Dopo ogni analisi, otteniamo dei Diagrammi di distribuzione che possono essere istogrammi (per 1
parametro) e citogrammi (per 2 parametri) che possono essere dot plot, density plot, contour plot.

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Operativamente:

dobbiamo preparare prima di tutto il campione, nel caso in cui debba essere fluorescente posso
coniugarlo con un anticorpo.
Quindi preparazione controlli negativi per taratura e compensazione, impostazione strumento, taratura
per eliminare autofluorescenza, compensazione se si usano più fluorescenze, acquisizione dei
campioni e analisi dei dati.

Per tarare lo strumento, bisogna utilizzare un campione che non faccia fluorescenza (controllo
negativo), e manualmente sposto il picco verso sinistra (nel grafico che risulta), se leggiamo diverse
fluorescenze, devo fare la compensazione (inserisco campioni con singola fluorescenza agendo
manualmente per mettere nella posizione corretta la nuvola)

Vantaggi:

• Multiparametricità
• Analisi di più caratteristiche contemporanee
• Analisi di grandi quantità di cellule
• Riproducibilità ed affidabilità statistica
• Sensibilità
• Rapidità
• Identificazione di popolazioni nuove o rare.

• Possibilità di analisi successive su dati salvati


• Attenzione alla scelta dei fluorocromi

Svantaggi:

• Reagenti non sempre disponibili nei colori richiesti


• Attenzione alla compensazione
• Attenzione ai controlli opportuni
• Costo elevato
• Lavaggi e manutenzione

Applicazioni:

• Caratterizzazione fenotipica cellulare:


o Volume e complessità morfologica
o Antigeni di superficie
o Antigeni intracellulari
o Antigeni nucleari
o Produzione di molecole fluorescenti
• Saggi funzionali
o Analisi DNA
o Ciclo cellulare
o Apoptosi

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Marcatura con PI (interazione con DNA) e annessina V (interazione con PS fosfatidil-
serina). Così siamo in grado di verificare l’espressione di cellule/marcatori di
membrana.
• Saggio reporter
o Espressione proteine fluorescenti

➔Applicazione del FACS ai tumori:

Il tumore è un evento multi-step, più di un evento epigenetico deve avvenire perché una cellula possa
perdere la capacità di autoregolarsi. Le cellule che possono causare tumori maligni (detti anche
cancro) hanno varie proprietà che le distinguono dalle cellule del tessuto sano:
▪ Resistono all’apoptosi (suicidio programmato della cellula)
▪ Si riproducono, dividendosi, in maniera incontrollata (o non muoiono) e solitamente si dividono
con frequenza maggiore del normale.
▪ Sono autosufficienti per quanto riguarda i fattori di crescita.
▪ Non rispondono agli antagonisti dei fattori di crescita e l’inibizione da contatto è soppressa.
▪ Possono presentare una differenziazione alterata.

Se coltiviamo delle cellule in vitro, le normali cresceranno in monolayer mentre le cellule cancerose
crescono anche in multistrato.
Alcuni tumori presentano cellule che abbandonano i tumori primari e vanno ad innestarsi in altri siti, in
questi casi anche se elimino chirurgicamente il tumore principale, non lo debello.

La cellula produce delle proteine che se overprodotte causano una forte proliferazione con tendenza
alla degenerazione in cellule cancerogene (oncogeni), di reimpeto sono prodotte proteine che tendono
a sopprimere questo fenomeno (tumor-suppressor).
Sono gli oncogeni ad avere un’importanza terapeutica, solo nel caso in cui il paziente sviluppi un
tumore dovuto alla non espressione del tumor-suppressor, vado a sviluppare un farmaco che
incrementi l’espressione, o ne mimi la funzionalità.

I micro RNA sono sequenze non codificanti di circa una 20ina di nucleotidi, sono coinvolti in diverse
funzioni, legando, interagendo e identificando una regione
presente nella sequenza 3’ UTR dei messaggeri bersaglio.
Questo comporta, l’inibizione dell’espressione del
messaggero, sono dei controlli negativi (simili a
repressori), o degradazione del messaggero. ➔Controllo
post trascrizionale importantissimo.
I miRNA possono funzionare come tumor-soppressor,
possono quindi colpire un oncogene inibendolo, può però
funzionare anche come oncogene, andando a colpire un
tumor-soppressor.
Attualmente si stanno cercando di colpire (se effetto
patogenetico) o mimare (se effetto positivo) i miRNA e il
loro effetto.

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miRNA therapeutics:

Ci sono due tipologie di terapie miRNA:


▪ AntimiRNA therapeutics, dove vengono usate molecole complementare ai miRNA (in grado di
colpirli). Le molecole devono essere dapprima internalizzate nelle cellule, quindi legherà il
miRNA bersaglio che non potrà più legare la sua sequenza. Ottengo quindi una up-regolazione
del mRNAs.
▪ miRNA replacement Therapy, cerco di mimare l’attività del miRNA rimpiazzandolo con
molecole diverse. Introduco una molecola che prende le sembianze del miRNA e crea una
down-regulation of target mRNAs.

Proteina antanomiRNA

Svolge un ruolo fondamentale nel modulare gli mRNA

Peptide Nucleic Acid (PNA)

Sono polimeri sintetizzati artificialmente, simili al DNA o RNA. Presentano uno scheletro
pseudopeptidico e non zucchero-fosfato, espongono le basi azotate e sono in grado di interagire
(ibridizzare) con il DNA o RNA, la loro carica è tendente al
neutro.

Vantaggi:
▪ Resistenza alla nucleasi e proteasi
▪ Stabili nelle culture cellulari
▪ Alta affinità tra RNA e DNA
Applicazioni:
▪ Agenti antitumorali
▪ Agenti antivirali e antibatterici
▪ Utili nella diagnostica come sonde molecolari
▪ Utili per l’alterazione dell’espressione genica

Il limite maggiore che presenta è il bassissimo uptake nelle cellule (rimane al di fuori di esse), è
necessario quindi veicolarlo all’interno (ad esempio tramite l’utilizzo di peptidi), potrebbe essere visto
come un vantaggio nel caso in cui riuscissi a funzionalizzare l’entrata solo nelle cellule che mi
interessano.
Il PNA seleziona i miRNA da colpire, e le mutazioni del PNA possono fare la differenza nell’interazione in
quanto è molto sensibile a piccoli fenomeni di modificazione.

Una risposta positiva al FACS deve essere ulteriormente controllata, perché se una popolazione
cellulare non internalizza la molecola, ma è semplicemente adesa alla membrana, il risultato è lo stesso.
Viene utilizzato quindi un microscopio, a fluorescenza o confocale per essere sicuri che la molecola sia
stata internalizzata.

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Con i biosensori possiamo analizzare in tempo reale le interazioni con il sensor-chip, quindi se noi
immobilizziamo nel sensorchip una sequenza antagomirna con il 221 notiamo che:

Iniettando il miRNA 221 abbiamo un immediato aumento in termine di


risonanza, quindi abbiamo l’ibridazione tra il miRNA e la sequenza
complementare che abbiamo immobilizzato (curva blu). Siamo
sicuramente difronte ad una interazione sequenza specifica. Se iniettiamo
altri miRNA, quello che avviene è la mancanza di binding, nessuna
interazione (curva fucsia e rossa).
Con questa tecnica sono in grado di dimostrare che in un sistema
ricostruito avviene una interazione di complementarietà specifica.

L’interazione è molto sensibile a cambiamenti di sequenza.

Il FACS mi aiuta a quantificare l’internalizzazione delle molecole, soprattutto se bioattive. L’unico punto
su cui prestare attenzione è che la molecola positiva al FACS, può essere solo adesa alla membrana e
non internalizzata, è perciò necessario controllare con altre tecniche, solitamente viene associato ad un
microscopio a fluorescenza o confocale.

Che tecniche posso utilizzare per dimostrare che l’effetto biologico è specifico?

Posso utilizzare un RT-qPCR, ovvero un’amplificazione preceduta da una reazione di retrotrascrizione.


Questa tecnica mi permette di capire quanto RNA è stato trascritto. Utilizzando un kit opportuno riesco
a determinare quali trascritti vengono modulati.
Se un PNA contro un miRNA entra nelle cellule, vedo un effetto di soppressione del miRNA dove se uso
un PNA mutato non vedo effetto e in fine se uso un PNA non funzionalizzato ho un effetto molto minore.

Se contiamo le cellule poi ci renderemo conto che trattando le cellule con il PNA 221 avremmo un blando
decremento della proliferazione, se invece le cellule di questo glioma vengono trattate con quantità
incrementali del PNA mutato, non avremmo nessun effetto inibitorio.

FACS biparametrico per lo studio dell’apoptosi

Il FACS mi permette di considerare una popolazione in crescita, in apoptosi, nella


fase tardiva di apoptosi e morte.

Se una cellula cresce bene in coltura, la maggior parte delle cellule sono vitali (il
pattern è quello su sfondo verde, dove vedo maggior concentrazione di cellule),
altrimenti incontro le altre tipologie, cosa non rara in quanto l’utilizzo di agenti
transfettanti è molto spesso causa di tossicità e apoptosi per le cellule.
Dopo il trattamento con PNA-221 con basse concentrazioni abbiamo un aumento
delle cellule in apoptosi precoce (secondo grafico), colpiamo quindi un effetto anti-
apoptotico del miRNA andandola ad incrementare. (cellule in apoptosi precoce nel
quadrante in basso adx).

In altre linee di glioma, l’apoptosi indotta dal PNA è maggiore, possiamo quindi dire,
che l’effetto del PNA è diverso a seconda della linea che utilizziamo.

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Trattamento combinato:

Lo studio dell’apoptosi è fondamentale per scovare sensibilità diverse per linee cellulari diverse. Uno
degli obbiettivi è cercare di rendere sensibili le linee resistenti, per questo motivo sono importanti le
terapie combinate.

Infatti se trattiamo cellule resistenti alla temozolomide con PNA, ho un effetto pro apoptotico a
concentrazioni crescenti, a questo punto quindi trattandole con temozolomide mi rendo conto di aver
superato la resistenza. ➔ Parliamo di terapia combinata.

Esperimenti di docking molecolari: posso creare strutture tridimensionali e vedere dove molecole ne
legano altre, siamo nel campo della bioinformatica.

La corilagina farmaco di origine vegetale ha effetto anche sulla linea T98G che è resistente alla
temozolomide.

Posso utilizzare tre farmaci con meccanismo diverso, con basso dosaggio avendo potenzialmente effetti
genotossici molto inferiori e non targheting effects molto minori, rispetto a quello di utilizzare un singolo
farmaco in alte concentrazioni.

Questo meccanismo funziona anche con la combinazione di due PNA diversi per due targhet diversi,
noteremo un incremento di apoptosi non indifferente.

A prescindere dalla neoplasia il


tumore rilascia diverse
molecole che posso aiutare
nell’identificazione del tumore,
e nel capire quale sia il targhet.

La biopsia liquida mi aiuta in


diversi campi: diagnosi
precoce (metastasi),
stadiazione del tumore,
predizione della risposta alla
terapia, follow up e verificare il
funzionamento della terapia.

Può essere molto utile per


diagnosticare ad esempio
tumori al cervello, c’è un problema dato dalla barriera ematoencefalica, che se funzionale, può diventare
un impedimento per il raggiungimento dei farmaci, e anche per l’immissione in circolo di molecole che
ci permettano la sua diagnosi. In realtà non è un problema che sussiste perché in caso di tumori cerebrali
la barriera è fortemente danneggiata.

I fluidi possibili da studiare sono: il cerebro spinale, saliva, sputo, siero, plasma, tool, urine, plasma
seminale. Di fatto è coperto tutto il corpo umano.

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Terapia personalizzata:
In un esame bioptico posso paragonare il tumore alla parte “normale” adiacente ad esso, che porta
differenze che con grandi numeri possono essere significative. Con questa applicazione, possiamo
renderci conto che l’espressione del miRNA nel glioma è molto elevata in alcuni pazienti (sotto
popolazione), ma nella maggior parte è molto simile al normale.
La stessa conclusione la posso ottenere in biopsia liquida.

Quello che occorre fare all’inizio è l’identificazione del bersaglio molecolare. Tra i miRNA sregolati ne
troveremo di iperespressi e di sottoespressi, potremo quindi stratificare i pazienti e capire quale miRNA
è up o down regolato, targhettizando così il mio bersaglio. Decisa la terapia da applicare posso
comunque monitorare l’andamento nel paziente sempre con biopsia liquida.

ELISA

Mi permette di arrivare alla quantificazione della presenza o meno di molecole di interesse in un fluido
biologico.

È un esempio di dosaggio non competitivo, servono anticorpi a sufficienza (in eccesso) per legare
l’antigene presente nel campione, Ab legati a fasi fisse (bigli, micropiastre, provette). Si aggiunge il
campione contenente Ag e si lascia reagire con Ab, si lava e si incuba con un Ab secondario marcato
(che lega differenti epitopi dell’Ag) -struttura a sandwich-. Si lava ancora e si misura.

È un metodo di analisi immunologica usato per rilevare la presenza di un dato antigene (proteina
endogena da identificare ì/dosare o caratteristica di un organismo patogeno).
Trova inoltre ampio uso anche per misurare la concentrazione di anticorpi nel plasma sanguigno,
come ad esempio nei test per l’HIV, la celiachia ecc.
Esistono due metodiche di ELISA:
• Metodo diretto: dimostra la presenza o l’assenza di uno specifico antigene in un campione
biologico.

1. Immissione di una soluzione dell’anticorpo primario (specifico per l’antigene da


ricercare nel siero o in un dato liquido biologico) nei pozzetti di una apposita piastra
da saggio in polistirene. Il fondo del pozzetto viene saturato con l’anticorpo che
aderisce al fondo dei pozzetti per mezzo solitamente di gelatina di pesce e
l’eccesso viene lavato via.
2. Aggiunta del campione da saggiare
3. Incubazione per consentire l’interazione molecolare
4. Lavaggio con soluzione tampone (l’antigene se presente si è legato
specificatamente con l’anticorpo, mentre gli altri componenti che non hanno
interagito vengono lavati via).
5. Aggiunta dell’anticorpo secondario specifico coniugato con un enzima perossidasi
o fosfatasi alcalina.
6. Incubazione per consentire l’interazione molecolare (l’anticorpo secondario si lega
in maniera selettiva all’antigene se presente)
7. Lavaggio con soluzione tampone. L’eccesso di anticorpo secondario coniugato
viene lavato via. L’assenza dell’antigene specifico per l’anticorpo comporta che
tutte le molecole di anticorpo secondario vengano lavate via.

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8. Aggiunta di p-nitrofenilfosfato, che è substrato dell’enzima coniugato all’anticorpo
secondario
9. Il p-nitrofenilfosfato viene convertito in p-nitrofenolo di colore giallo. Se l’antigene
caratteristico dell’organismo patogeno è assente (non c’è neanche l’anticorpo
secondario coniugato) la reazione non avviene.
10. L’aggiunta di idrossido di sodio blocca la reazione catalizzata dall’enzima fosfatasi.
Quindi si effettua la misura della quantità di prodotto della reazione (p-nitrofenolo)
mediante lettura spettrofotometrica di colore o luce.

Un punto chiave di questa tecnica è il lavaggio degli anticorpi con una soluzione tampone, il
suo obbiettivo è quello di eliminare tutti i componenti che non hanno interagito con l’anticorpo,
mantenendo solo gli antigeni specifici.

• Metodo indiretto: dimostra la presenza o l’assenza di uno specifico anticorpo in una campione
biologico:

1. L’antigene è immobilizzato sul fundo del pozzetto


2. Ai aggiunge il campione biologico da testare
3. Si effettua un’incubazione per permettere all’anticorpo, se presente nel campione
biologico, di interagire con l’antigene (si forma così un complesso antigene-
anticorpo)
4. Si effettua un lavaggio per eliminare tutto ciò che ha interagito
5. Si aggiunge un anticorpo secondario anti-immunoglobuline coniugato con un
enzima
6. SI effettua un’incubazione per permettere all’anticorpo secondario anti-
immunoglobulina di interagire con l’anticorpo (endogeno) dal complesso antigene-
anticorpo precedentemente formatosi.
7. Si aggiunge il substrato dell’enzima
8. Lo sviluppo del colore è indicativo della presenza dell’anticorpo che si voleva
saggiare e l’intensità della colorazione, misurata allo spettrofotometro, è riferibile ad
una scala arbitraria di intensità.
9.
Per l’ELISA vengono utilizzati mini-pozzetti in cui avvengono le reazioni ELISA, le piastre in un secondo
momento vengono poi sottoposte ad analisi allo spettrofotometro per definire l’esatta concentrazione
di antigeni o anticorpi ricercati.

52
BIOPLEX (biological multiplex analysis)

La tecnologia multiplex o luminex permette di misurare simultaneamente e quale-quantitativamente i


livelli di proteine (soprattutto) espresse in diverse matrici. Le proteine analizzabili possono essere
citochine, fosfoproteine, antigeni di superfici di origine umana o murina, allergeni, micotossine,
Le matrici (campioni) analizzabili possono essere: supernatanti, fluidi biologici, estratti cellulari …..

Si forma anche in questo caso la tipica struttura a


sandwich, ma l’anticorpo secondario non è legato
all’antigene, ma è marcato a una qualunque proteina
reporter (che mi permette di quantificare un segnale).

1. Interazione: avviene mescolando le biglie


magnetiche al fluido biologico
2. Binding dell’anticorpo secondario
3. Reazione e identificazione della reazione che
avviene mediata dall’anticorpo secondario

La tecnica si basa su 3 principi:


• La famiglia di microsfere fluorescenti a cui si legano le proteine di interesse
• Sistema laser che permette di misurare le variazioni di fluorescenza per ogni pozzetto
analizzato
• Un processore che traduce in modo efficiente il segnale di fluorescenza emessa in dati quali-
quantitativi.

Le microsfere possono essere differenziate in 100 colori diversi e diventano fisicamente visibili dallo
strumento e possono essere separate. Ogni microsfera (che appartiene ad una categoria diversa) ha
un anticorpo, però un anticorpo diverso, a questo punto quando aggiungo a queste microsfere il fluido,
ciò mette in contatto gli antigeni del fluido con gli anticorpi presenti sulle biglie. Vedremo così biglie
che legheranno più o meno forti e diversi antigeni, e alcune che non legheranno niente.
A questo punto entra in gioco il tagging ovvero le molecole fluorescenti legate all’anticorpo
secondario.
Non è necessario avere un controllo positivo, in quanto lo abbiam già internamente perché ci saranno
biglie che legano completamente l’anticorpo.

Ogni biglia tramite un sistema microfluidrico passerà singolarmente attraverso un sistema di


rilevazione a due laser, uno per la quantificazione delle biglie e uno per la rilevazione della
fluorescenza.

La mix di reazione viene detectata attraverso aggiunta di streptavidina-ficoeritrina (PE) che lega gli Ab
biotinilati ed evidenzia la fluorescenza emessa.

Questa tecnica è molto importante in quanto mi permette di fare numerosissime analisi con costi
estremamente ridotti, e non necessita di un controllo.

➔Con il bioplex posso modulare NF-KB (dimero), utilizzando delle molecole ncoin che copiano le
sequenze di binding del NF-KB, in questa maniera sono loro che vanno a bloccarsi e NF-KB non può
più legarsi al promotore. Con il luminex riesco a dimostrare questa competizione.

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Tecnologia Luminex

I targhet sono:
• Citochine, chemochine e fattori di crescita
• MMP umana e TIMP assays
• Apoptosi
• Diabete, metabolismo e analisi ormonali
• Tossicità
• Ricerca di patologie

La tecnica è molto versatile, alle biglie infatti oltre all’anticorpo si può legare un recettore, per studiarne
l’interazione, oppure un DNA a singola elica e dimostrare che ne esca un duplex oppure ancora legare
una proteina che lega un anticorpo.

➔Uno dei kit più utilizzati è un pannello quasi completo di citochine, chemochine e fattori di crescita, è
possibile fare analisi contemporanee (con questo 27).
È sempre necessario avere dei controlli, i kit sono sempre accompagnati a delle proteine di riferimento
(ad esempio IL-10 alla x concentrazione da quel livello di fluorescenza).

ELISA LUMINEX

• Non multiplexin • Multiplexing


o Pochi dati per volta o Molti dati per volta
o Molto campione necessario o 150 micro litro di campione max
o Costi molto alti o Costi bassi e lavoro
o Molto laboriosa • Range di analisi ampio
• Range di analisi ridotte o Alta sensibilità
o Bassa sensibilità o Alta specificità
• Poco quantitativi • Quantitativi
o In elisa si approssimano molto i • Ripetibili
dati o Fluorescenza
• Poco ripetibili • Sistema aperto
o L’attività enzimatica è molto
variabile

Western Blotting

Tecnica utilizzata per il rilevamento di specifiche proteine separate tramite elettroforesi con l’utilizzo di
antibiotici.
Si basa sul trasferimento su un filtro un qualsiasi soluto su un gel.

Le membrane sono di materiale poroso, sono necessari degli anticorpi che daranno una reazione.

Il punto chiave del western blotting, è che si parte da una elettroforesi su poliacrilammide, trasferisco
le proteine su una membrana, che catturerà le proteine. L’anticorpo specifico recluta il secondario che
da una reazione cromogena.
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L’anticorpo evidenzierà solo la proteina a lui specifica.

La tecnica si basa sul trasferimento di proteine da un gel, dopo separazione, ad una membrana
immobilizzante. La reazione successiva avviene con un anticorpo specifico per l’identificazione.

Le membrane sono costituite da


materiale poroso (con diversa
porosità), il diametro dei pori
diminuisce via via che ci si allontana
dal gel. I materiali utilizzati possono
essere nitrocellulosa,
polivinildifluoruro o nylon.

Gli anticorpi utilizzati sono specifici per identificare le proteine di interesse. L’idea è basata sulla
formazione del complesso Ag (proteina) – Ab (anticorpo marchiato). Viene poi aggiunto del substrato
dell’enzima (p-nitrofenolo che è colorato o un mix che crea luminescenza).
In fine otterremo il prodotto colorato o
luminescente.

A. SDS-PAGE con proteine separate


B. Trasferite le proteine sulla membrana
(blotting), catturerà le proteine.
C. Le proteine immobilizzate vengono messe
a contatto con un anticorpo specifico
D. Aggiunta dell’anticorpo secondario
marcato con enzima
E. Aggiunta del substrato
F. Visione del segnale

➔L’anticorpo specifico recluta il secondario che da una reazione cromogena.

Il punto più importante da ricordare è che non tutti gli anticorpi funzionano bene per il western blotting,
infatti alcuni reagiscono con poche proteine e altri con molte.

Cellule staminali, clonazione umana a scopo terapeutico, cellule iPS

La medicina rigenerativa, si è da sempre interessata allo sviluppo e utilizzo di particolari cellule, che
hanno una multipotenza, ovvero riescono in vitro a diventare tessuti.

Alcune cellule staminali si possono isolare da embrioni.

Le cellule staminali possiedono due importanti caratteristiche che le differenziano dagli altri tipi:
▪ Sono cellule non specializzate
▪ In determinate condizioni sperimentali, possono essere indotte ad assumere funzioni
specializzate, come le cellule del muscolo cardiaco, o le cellule produttrici di insulina del
pancreas.

55
Applicazioni in terapia cellulare:
▪ Parkinson
▪ Alzhaimer
▪ Infarto
▪ Epilessia
▪ Diabete
▪ Sclerosi multipla
▪ Artrite reumatoide
▪ Ect, ect,

Le cellule staminali possono essere isolate: dall’adulto, dal feto e dai blastocisti (non sono più
totipotenti ma multipotenti, sono in grado di dare luogo a tessuti diversi).

Il distretto più importante per isolare cellule staminali nell’adulto, è il midollo osseo. Il problema in
questo caso è, scovarle, fenotipizzarle e metterle in cultura, con un margine di efficienza inferiori di
quello del feto.

Gli obbiettivi principali nel campo della ricerca nelle cellule staminali sono:
▪ Determinare perché le cellule possono rimanere non specializzate e proliferare per anni.
Avere un protocollo che impone uno stato non differenziato, è molto importante per il
mantenimento delle cellule.
▪ Identificare i segnali che provocano il differenziamento tessuto-specifico.

Problemi nell’utilizzo di cellule staminali dall’adulto:


▪ Sono già specializzate
▪ Non sono disponibili per molti tessuti
▪ Scarsa capacità di proliferare in coltura

Isolare le cellule dall’adulto non da nessun problema bio-etico, a differenza dell’isolazione dal feto.

Le cellule staminali dell’embrione sono un serbatoio di cellule


specifiche e importanti dal punto di vista dell’applicazione
clinica, come ad esempio cellule ossee, muscolari, epatiche,
del sangue ….

Nell’uomo le metodologie per coltivare le cellule staminali da


embrione sono state messe a punto recentemente (1998)
utilizzando embrioni umani generati in seguito a pratiche di
fecondazione in vitro; embrioni in soprannumero non più
necessari per questo obbiettivo sono stati donati per la
ricerca, dopo il consenso informato del donatore.
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Nella blastocisti è presente una massa cellulare interna che contiene le cellule staminali, la procedura
di estrazione quindi è molto semplice.
L’embrione coltivato in vitro dopo 5/7 giorni dalla fecondazione, avviene la produzione della blastocisti
e sono quindi visibili le cellule staminali, a questo punto l’embrione può essere piantato in utero,
oppure può essere utilizzato come produttore di cellule staminali (ne consegue la distruzione). Nel
secondo caso, vengono quindi estratte le cellule staminali, amplificate in vitro e poi utilizzate.

Le cellule possono essere isolate dall’embrione in modo da eseguire test genetici, è possibile utilizzare
l’approccio molecolare, pre-impianto, in modo tale da fare lo screening degli embrioni.

Clonazione di Embrioni umani a scopo terapeutico

È stata oggetto di ricerca, che è arrivata alla produzione di una blastocisti identica al paziente. È un
tipo di pratica utilizzata esclusivamente a scopo terapeutico, per scongiurare il rigetto.

➔Il primo intervento di clonazione, mai stato eseguito è stato quello di Dolly. È stato necessario
produrre un oocita (di pecora in questo caso), senza materiale genetico, non tutti gli oociti riescono a
rimanere vitali dopo la denucleazione, a questo punto si possono introdurre i nuclei dei fibroblasti
(precedentemente isolati dalla pecora da clonare).
Alla fine di questo passaggio l’oocita avrà il set genetico della “cellula donatrice”, l’oocita viene
sviluppato in vitro sino a blastocisti e successivamente impiantato nell’utero di una pecora che funga
da madre surrogata.

Per riuscire ad ottenere la pecora Dolly è stato necessario iniettare questi nuclei in 276 oociti, sono
risultati 247 embrioni analizzabili, ed utilizzando il microscopio solo 29 sono riusciti a raggiungere lo
stadio di morula-blastocisti.
I 29 pre-embrioni furono trasferiti nell’utero di 13 pecore (in nessun caso più di due).
Ne è risultata solo Dolly.

Clonazione umana a fini terapeutici:

Abbiamo bisogno di:


▪ Donatrici di oociti
Avviene in donne giovani con utilizzo di ormoni per indurre una superovulazione di oociti
▪ Viene asportato il materiale genetico degli oociti
▪ Avviene una iniezione negli oociti di:
o Cellule di cumulo
o Nuclei di fibroblasti della cute

Dati aggiornati al 2001: 71 oociti, 7 donatrici, 2 embrioni

1. Isolamento di oociti ed Eliminazione del materiale genetico dell’oocita


2. Inserimento nell’oocita di un singolo genoma
3. Attivazione dell’oocita
4. Induzione delle ES

Sistemi sperimentali animali hanno dimostrato l’efficacia della terapia basata su cellule staminali.
Posso essere utilizzate:
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▪ Differenziandole e iniettandole all’interno del paziente
▪ È possibile sottoporre a terapia genica le cellule del paziente, selezionare i cloni utili e
immetterle nel paziente.

IVF – In vitro ferilization

Una cellula staminale è in grado di auto-rigenerarsi e di differenziarsi, possono addirittura


retrodifferenziare (sino ad un certo punto) tornando ad essere cellule staminali.

Sono importanti dal punto di vista delle biocanche, retrodifferenziandole e utilizzandole poi in terapia
rigenerativa. Bisogna solo capire da quali cellule è più semplice ottenere il retrodifferenziamento.

Cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs)

Sono cellule staminali pluripotenti prodotte in laboratorio a partire da cellule somatiche adulte di
diversa natura (fibroblasti della cute, cheratinociti, sangue…).
Le cellule adulte (somatiche) di partenza vengono modificate geneticamente (riprogrammate) così da
esprimere geni tipici delle staminali embrionali.

Nella prima parte della riprogrammazione le cellule si comportano come cellule embrionali. Vengono
coltivate in vitro e differenziate per dare tutti i possibili tipi di cellule specializzate.

Il vantaggio di questa tecnica è che non vengono utilizzati embrioni.

I geni utili per l’induzione di queste cellule codificano per la maggior parte per fattori di trascrizioni,
molto importanti per l’espressione in cellule staminali embrionali.

Esistono fattori di trascrizione, che se trasfettati alle cellule somatiche, le fanno retrocedere a
staminali.

Vantaggi:
• Non derivano dagli embrioni
• Permettono la produzione di cellule staminali pluripotenti paziente-specifiche
• Utili per trapianti, per studiare lo sviluppo e funzioni dei tessuti umani, per creare modelli
sperimentali per malattie genetiche, per scoprire e valutare nuovi farmaci.

Svantaggi:
• Possibile sviluppo di tumori a causa dell’impiego di c-Myc (ad esempio combinazioni
alternative: Oct4, Sox2, Lin28, Nanog, oppure Oct4, Sox2, Klf4)
• Possibile sviluppo di tumori per l’utilizzo di retrovirali (in alternativa usare sistemi di veicolazione
integration free)

Animali transgenici modello di malattie

Il tumore ha due chiare situazioni che possono essere oggetto di strategia terapeutica: crescita del
tumore in una zona localizzata (tumore primario) e crescita nel flusso sanguigno (metastasi).

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Modelli utili per lo studio di farmaci antitumorali:

A. Iniezione di cellule tumorali nello stesso sito in cui si


sviluppa il tumore, viene detta iniezione ortotopica.
➔Tumore primario
Il trapianto ortotopico è definito dall’iniezione di cellule
tumorali o dal trapianto di tessuto tumorale in siti
anatomicamente appropriati, come il loro
microambiente di origine.
Questo ha il vantaggio di creare tumori primari
fisiologici rilevanti che possono portare a metastasi
spontanee in vari siti distanti in contrasto con metastasi
indotte dopo l’iniezione di cellule tumorali nella
circolazione sanguigna. È necessario partire dal tessuto, disgregare le cellule e iniettarle. È uno
studio per tumore primario, ma nel tempo può essere utilizzato per le metastasi.

B. Iniezione di cellule tumorali nel circolo sanguigno➔Tumore secondario


In questo caso si salta completamente il tumore primario si crea un sistema prometastatico.
Vengono prelevate delle cellule da un tumore, disgregate (per arrivare a singola cellula) e
iniettate per via endovenosa, quello che otterremo saranno delle metastasi polmonari. Questo
sistema seleziona le cellule più aggressive, più lo ripeto e più seleziono.
Con questo approccio posso capire, quali sono le caratteristiche fenotipiche delle cellule ad
alta attività metastatica, e avere un sistema che mi premetta di studiare in vivo dei composti
che possono interferire.

C. Xenotrapianti derivati dal paziente➔Biopsia liquida


Vengono trapiantati in cavie immunodepresse (nude), potenzialmente in grado di recepire e far
crescere qualunque cellula tumorale, di qualunque paziente. Sono molto molto utili per mettere
appunto delle tecniche diagnostiche.
Dalle cavie posso estrarre il materiale/tessuto tumorale, o il plasma. Studiando il tessuto e i
biomarcatori posso vedere se trovo gli stessi elementi nel topolino come nell’uomo.

D. Modificazioni genetiche
Vengono utilizzate cavie transgeniche, solitamente il topo (simile all’uomo, animale complesso
e la manipolazione genetica è estremamente versatile). Gli animali transgenici sono molto
importanti perché possono: confermare il ruolo di un gene mutato, aiutare a capire i
meccanismi molecolari e biochimici in vivo e riuscire a sviluppare e testare nuove strategie
teraputiche. Le tecniche più utilizzate sono la microiniezione in pronucleomaschile, infezione
con entivirus e utilizzo si embrioni stem da blastocisti. Lo screening avviene per PCR. La cosa
importante è che sono emizigoti, in quanto il transgene si integra a caso in uno dei due alleli. Ci
sono due variabili importanti in questa tecnica, la purezza del miRNA e l’espressione
dell’oncogene. È importante sviluppare una linea omozigote, che abbia quindi i transgeni in
ambedue gli alleli

The onc-omouse

L’idea è di creare cavie che nel tempo sviluppino un tumore. Con questa tecnica posso sapere:
• Quale tipo di tumore si produce
• Sistema ideale per studiare la potenza di un oncogene
59
• Studio della cooperazione e sinergismo degli oncogeni

Avendo un sistema modello posso studiare anche della terapia sperimentale, ma anche molecole o
agenti chimici che fungono da oncogeni.

Il tipo di tumore sviluppato dall’onco-mouse dipende dal promotore che utilizzo.

Posso capire la potenza di un oncogene, farmaco o un agente pro-tumorale, confrontando il tempo di


sviluppo di diversi tumori.

Uno dei primi lavori con questi topolini è stato con l’oncogene NEO, dove il costrutto utilizzato, vedeva
nel promotore MMTV, che causa la produzione di tumori mammari. Andremo poi a studiare nel
crescere del tempo la percentuale di topolini con tumori, in questo caso notiamo che al 70esimo
giorno il 100% di topolini sviluppa tumori, cambiando oncogene e mettendo MYC al posto di NEO
dobbiamo arrivare a più di 100 giorni prima di vedere lo sviluppo di tumori. ➔ Capisco quanto è
potente un oncogene, un farmaco o un agente tumorale.

In un altro caso si è provato a creare un doppio transgenico (con MYC e RASS) nello stesso tessuto
(stesso promotore), ci rendiamo conto che questi due oncongeni hanno un chiaro sinergismo d’azione
nella produzione di tumori, causando quindi tumori molto prima.

Riassumendo con gli onco-mouse posso:


• Effettuare terapia sperimentale.
• Studiare l’effetto di diete sull’insorgenza di tumori.
• Sviluppare trattamenti preventivi.
• Identificare fattori chimici, fisici, biologici che possono potenziare l’espressione del
transoncogene.

Β-Talassemia: modelli sperimentali in vivo

È una malattia genetica autosomica recessiva causata dall’assenza o dalla riduzione di catene β
funzionali dell’emoglobina adulta. L’emoglobina adulta rappresenta oltre il 95% dell’emoglobina
prodotta dai nostri globuli rossi, una non produzione causa una importante anemia.
Diminuendo la componente β avremmo un eccesso di alfa, ciò comporta un forte sbilanciamento del
rapporto.

- Nell’embrione vengono prodotte tre emoglobine, nel feto vi è la produzione di emoglobina


fetale. Nell’adulto invece ne vengono prodotte 2: A (α2 β2) e A2 (α2 σ2).

Le condizioni fisiopatologiche di questa malattia sono riconducibili ad alterazioni quali aumento del
capo e deformità facciali, con pesanti problemi dello sviluppo. ➔ La trasmissione genetica è di tipo
mendeliano.

La terapia convenzionale è composta da trasfusioni di sangue associate a chelanti del ferro per
l’eliminazione delle stesso in eccesso. Si può applicare un trapianto di midollo osseo, terapia genica e
riattivazione di emoglobina fetale.

➔Le mutazioni a carico del gene della beta globina sono oltre 300.

60
Con le trasfusioni di sangue abbiamo diversi vantaggi:
▪ Regressione anemia e produzione Epo
▪ Crescita e sviluppo regolari, buone condizioni di vita
▪ Riduzione assorbimento intestinale di ferro
▪ Diminuzione attività midollare
▪ Riduzione eritropoiesi inefficace

Come svantaggio:
▪ Rischio di infezioni virali (paesi in via di sviluppo)
▪ Alta assunzione di ferro

L’unico obbiettivo delle trasfusioni è quello di mantenere i livelli di Hb per soddisfare il bisogno
tissutale, e questa pratica deve iniziare sin dal primo anno di vita.

Il trapianto di midollo può essere eseguito solo su pazienti giovani, e non sempre ha completo
successo. Il rischio principale di questo intervento è il rigetto.

Le mutazioni con genotipo β0/ β0 vengono definite talassemia Major (grave che richiede trasfusioni
regolari), vediamo poi genotipo β0/ β con talassemia intermedia (non richiede trasfusioni regolari) e in
fine con genotipo β+/ β abbiamo talassemia minor asintomatica.

Topi transgenici umanizzati:

Nella terapia generalizzata è il modello ideale, perché voglio curare la malattia.

Sono topi che contengono tutto il cluster dei geni della β-globina eventualmente un po’ modificato
contenuti nel cromosoma umano 11.
Questo è fattibile perché il sistema trascrizionale umano, è molto simile a quello del topo, infatti un
gene umano inserito nel genoma di topo, viene trascritto ed espresso nelle stesse cellule in cui viene
trascritto nell’uomo. La tecnica che viene utilizzata si chiama FISH, tecnica fluorimetrica utilizzata per
l’identificazione del gene esogeno nel topo.

Come possiamo notare dal grafico, in un topo con mutazione IVS1-110, la più
comune in Italia, vi è alta produzione di alfa e beta globina del topo, ma
bassissima produzione di beta globina umana.
(Analisi HPLC)

Chiaro che è molto importante vedere e localizzare i modelli di inserzione.

I topolini transgenici Th3-Th3 riescono a sopravvivere perché creano un’emoglobina mista umano-
topo, al contrario di topolini Th3-Th3 che muoiono ancor prima di nascere

Mutazione IVS110 è una mutazione splicing che causa una non produzione di emoglobina adulta in
topi con questa mutazione notiamo la NON formazione dell’emoglobina ibrida umano-topo.

Posso formare un tetramero ibrido uomo-topo.

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Co-inheritance of α and β thalassaemia in mice ameliorates thalassaemic phenotype

Il topo transgenico può essere utilizzato per avere un’analisi sugli effetti clinici della patologia.

L’assenza di catene beta causa un eccesso di alfa che crea precipitazioni, rigidità e fragilità
meccanica dell’eritrocita, autossidazione, radicali tossici e danno ossidativo. Il tutto porta ad una
potentissima anemia.

Se la beta talassemia viene associata ad un’alfa talassemia, quindi abbiamo 2 difetti genici, le
fisiopatologie sono meno gravi. Questo concetto potrebbe essere usato per lo sviluppo di nuovi
farmaci per il bilanciamento delle subunità della emoglobina.

L’anemia è correlata ad epatosplenomegalia, infatti in topolino β-KO con beta talassemia la milza è
molto ingrossata, invece se la beta talassemia è associata con una alfa talassemia la milza è in
condizioni normali. Clinicamente pertanto questi tipi di pazienti stanno meglio.

Therapeutic heamoglobin synthesis in beta-thalassaemic mice expressing lentivirus-encode human


beta globin

Hanno creato un topolino realmente beta talassemico, e si è curato con terapia genica.

Il cluster per la beta globina umana contiene un gene gamma e beta, due embrionali e un gene delta,
nel topo invece sono presenti due geni embrionali e due adulti che vengono massimizzati intorno al 14
giorno di gestazione.
La diversità quindi è che il topolino non produce una emoglobina fetale, il che comporta che
delettando i geni major e minor (adulti) il topolino morirà ancor prima di nascere.

L’unica condizione compatibile con la vita del cluster delle globine adulte nel topo è in eterozigosi,
perché in monozigosi avviene una morte prematura in gestazione.

I topi Th3 eterozigoti quindi esprimono quasi tutte le caratteristiche della talassemia, quello che manca
però è un vero modello che mima la forma grave di talassemia umana.

Questi topolini talassemici intermedi sono ottimali per lo studio della terapia genica. Una possibilità è
quella di prelevare dal topolino le cellule bersaglia, coltivarle in presenza di un vettore retrovirale
teraputico e poi reimmettere le cellule infettate e trasdotte all’interno del topolino. Verificare quindi se il
topolino ne trae vantaggio. Le cellule eritroidi del topolino idealmente potrebbero produrre la globina
beta umana creando un effetto benefico.

Il vettore terapeutico ha il gene per la beta globina e una regione LCR (locus control region) molto
importante che contiene tutte le regioni che dirigono la tessuto specificità dell’espressione di questi
geni (cellule eritroidi) e la perfetta regolazione dello stadio in cui questi geni vengono trascritti.

Si è visto che senza LCR la terapia genica non si può fare, il problema è in questo punto, infatti questa
regione è troppo grande, incompatibile con il vettore.
È stato per tanto necessario sintetizzare una mini
LCR con tutte le regioni importanti (HS 2-3-4, regioni
ipersensibili).

62
Il vettore corregge completamente il fenotipo talassemico di questi topolini. Possiamo vedere in strisci
di sangue che il topolino trasdotto ha un fenotipo molto più simile al WT, abbiamo quindi una
correzione. Andando a vedere l’emoglobina, possiamo notare un incremento significativo.

Blood, 2003

Non si riesce ad ottenere un modello grave di talassemia come nella forma umana, perché delettando
il cluster completamente, comportava una morte fetale.

Quello che è necessario fare quindi è prendere da un embrione Th3/Th3 le cellule del fegato e
trapiantarle in un topolino adulto che però sarà stato irradiato per sopprimere l’attività del midollo.
Quello che si è ottenuto sono topolini che sono incompatibili con la vita, morendo in poco tempo con
tutte le complicanze che ha la talassemia major.

I ricercatori a questo punto hanno cercato di correggere questo fenotipo, intervenendo con la terapia
genica. Quindi avviene la trasposizione con il vettore. Ci accorgiamo che trasduccendoli con il vettore
terapeutico, inizia la sintesi di beta globina umana.

Terapia genica

Il problema della terapia genica è il potenziale effetto neoplastico, tumorale del vettore. È un problema
importante da risolvere, è necessario infatti sviluppare vettori sicuri, rispettare le condizioni che
comportano l’inserimento di una sola copia di gene terapeutico del genoma delle cellule staminali.

Nel caso di sviluppo di una neoplasia, curarla è più semplice che risolvere problemi gravissimi che la
terapia genica può risolvere.

Spettrofotometria

➔Ricordiamo: le onde elettromagnetiche hanno una frequenza


(numero di onde in unità di tempo) e la distanza tra i picchi è la
lunghezza d’onda.

Si possono utilizzare diverse tecniche spettroscopiche (ovvero che misurano le radiazioni


elettromagnetiche) per analizzare le molecole di interesse biochimico. Quello che a noi interessa è lo
spettro di onde che ci danno la luce visibile (700-400 nm) e la luce UV (400-180 nm).

Spettrofotometria:

Si basa sull’assorbimento dell’energia luminosa visibile e UV da parte della materia. Questo


assorbimento produce transazioni energetiche degli elettroni esterni alle molecole, sia impegnati che
non impegnati in legami.

Le molecole possono passare dallo stato stazionario a quello eccitato nel momento dell’assorbimento
dell’energia. Questo assorbimento avviene a diverse lunghezze d’onda, in diversa quantità e in

63
funzione della loro struttura chimica. Chiaro che una molecola è composta da diversi legami, e quindi
assorbiranno energia con diversi picchi di assorbimento differenziali.

Per misurare l’assorbimento utilizziamo lo spettrofotometro. Composto da:


• Sorgente d luce a molte lunghezze d’onda (policromatica). Negli spettrofotometri vengono
utilizzate diverse lampade, la più semplice è a filamento di tungsteno (emette luce d a330 a
930 nm) non è però adatta per molecole che assorbono la luce UV, per la luce UV utilizziamo
una lampada a gas deuterio, fa parte di quelle dette ad arco voltalico, si applica differenza di
potenziale tra catodo e anodo, la scarica elettrica eccita il gas che emette luce con uno spettro
continuo tra 190 e 400 nm.
• Monocromatore, sistema per selezionare una banda ristretta di lunghezze d’onda (una
principale con altre meno importanti). Il più utilizzato è il prisma, che devia il raggio di luce
incidente (rifrazione) scomponendolo, ruotando meccanicamente il prisma riusciremo a
selezionare la banda di luce che passerà attraverso la fenditura che farà passare più o meno
banda luminosa. (5-20 nm). Un altro tipo di monocromatore è il reticolo a diffrazione, che
scompone la luce policromatica deviando il raggio incidente con fenomeni non dovuta a
rifrazione o riflessione, ruotando il reticolo attraverso la fenditura si selezionerà la lunghezza
d’onda.
• Cuvetta, contenente il campione solitamente in soluzione
• Rilevatore, strumento per convertire la luce trasmessa attraverso la cuvetta in corrente
elettrica. Solitamente un tubo fotomoltiplicatore costituito da diverse lamine metalliche
collegate tra loro e poste in campo elettrico con differenza di potenziale. La prima lamina
esposta alla luce emette un elettrone per ciascun fotone che la colpisce. L’elettrone emesso
colpisce a sua volta una seconda lamina che amplifica l’effetto emettendo diversi elettroni.
L’evento in serie di lamine provoca una corrente elettrica amplificata, ma proporzionale alla
quantità di luce (fotoni) incidenti sulla prima lamina.

➔Strumenti a doppio raggio: utilizzano due cuvette in parallelo una in bianco e una con il campione, in
quanto c’è la necessità di dividere il segnale dato dal fondo, da quello delle effettive molecole che ci
interessano.

La teoria alla base della spettrofotometria è la legge di Lambert Beer:

T(trasmittanza)% = I1/ I0

Dove:

I0 è l’intensità della luca monoscromatica incidente sulla cuvetta


I1 è l’intensità residua della luce dopo il passaggio.

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La trasmittanza % è quindi in funzione del coefficiente di estinzione molare ossia, un coefficiente
proprio di ogni molecola a determinata lunghezza d’onda e solvente.
A(assorbanza) = Log10 I0 / I1 = αcl

È l’unità di misura della densità ottica, è in funzione del coefficiente di estinzione molare ossia un
coefficiente proprio di ogni molecola che determina la lunghezza d’onda e solvente.

Applicazioni:

Per misurare la concentrazione di una molecola a lunghezza d’onda fissa è necessario tenere in
considerazione:
• Picco di assorbimento: conoscere gli spettri di assorbimento della molecola, scegliendo di
misurare la lunghezza d’onda di un picco di assorbanza
• Torbidità: se si misura assorbanza, verificare che il campione non sia torbido perché altera la
misura per fenomeni di riflessione interna alla cuvetta. Eventualmente centrifugare e filtrare il
campione.
• Range di misura: per limitare l’errore della misura effettuare misure nell’ambito di assorbanza
tra 0.150 e 0.7 OD.
• Leggere preferibilmente la misura come assorbanza.

Molto spesso viene utilizzata per l’analisi di:

1. Spettri di assorbimento: utili per verificare picchi massimi di una molecola messa in soluzione,
in uno specifico solvente, per scegliere la lunghezza d’onda fissa alla quale misurare la
concentrazione. Oppure per verificare la presenza di contaminazioni, oppure verificare gli
spettri di trasmissione.
2. Spettrofotometria a lunghezza: utili per misurare la concentrazione di DNA, RNA e proteine,
misurare l’attività di enzimi e misurare con apposite reazioni colorimetriche diversi analiti:
emoglobina, albumina, carboidrati e metaboliti, urea e acido urico, elettroliti, lipidi, ormoni,
farmaci.

Un esempio di applicazione può essere il metodo bradford, dove vado a costruire con lo
spettrofotometro una curva di taratura (concentrazione delle proteine in base all’assorbanza).
Successivamente alla lettura del mio campione posso stimare la concentrazione presente.

Fluorimetria

Fluorescenza: È possibile che alcune molecole dopo l’eccitazione emettano energia non solo come
termica e cinetica, ma anche come energia luminosa. Questa emissione di luce, avviene a seconda
delle molecole con tempistiche diverse. ➔L’energia emessa è inferiore di quella assorbita, per cui la
lunghezza d’onda di emissione sarà maggiore di quella di eccitazione.

Queste molecole fluorescenti sono presenti anche in natura, ricordiamo i cofattori (NADH), FAD e
riboflavina, e le proteine che assorbono a 280 nm ed emettono con picchi tra 320 e 350 nm.
Se ci riferiamo invece a molecole di sintesi la più importante è la fluorescina (490 eccitazione, 520
emissione).

65
Dobbiamo essere in grado di selezionare la lunghezza d’onda di eccitazione e di rilevare quella di
eccitazione.

Così come per lo spettrofotometro vediamo vari elementi:

• Le lampade sono ad arco voltalico con gas a xenon o vapori di mercurio. È necessario che
abbiano una grande potenza.
Il resto della strumentazione è del tutto simile a quella di uno spettrofotometro, a discapito della
geometria, dove la luce di eccitazione è a 90° rispetto al detector, per evitare abbagli.
Il segnale nello spettroflorimetro il segnale può essere amplificato.

La quantità di luce emessa da una molecola fluorescente può annullarsi del tutto (smorzamento o
quenching) se alcune molecole non fluorescenti collidono con le molecole, oppure può aumentare se
alcune molecole costituiscono specifici legami deboli con la molecola. Inoltre può aumentare con il
diminuire della polarità del solvente, ridursi parzialmente all’aumento della concentrazione, può essere
trasferita ad altre molecole fluorescenti e misurata su piani di luce polarizzata.

Le molecole fluorescenti sono utilizzate come marcatori, per rendere visibili acidi nucleici o proteine,
direttamente (legame covalente con molecole) o indirettamente (tramite anticorpi oppure sonde di
ibridazione).
Molto spesso al posto della lampada viene utilizzato un laser, con luce monocromatica ad elevata
potenza.

Le molecole fluorescenti sono molto utilizzate anche nella microscopia, per analisi di immagini in
singola cellula vivente in cinetica. In questo caso per l’eccitazione abbiamo un monocromatore a
reticolo con fibra ottica, per l’emissione vediamo dei filtri di sbarramento a passolungo.
Anche in questo caso, le molecole utilizzabili sono moltissime, addirittura anche in combinazione.

Applicazioni:
▪ Misura di concentrazione di DNA, RNA e proteine
▪ Sequenziamento automatico di DNA con metodo Sanger
▪ Eccitazione con luce monocromatica
▪ Analisi di espressione genica con TR-qPCR
Una sequenza oligonucleotidica viene marcata con una molecola fluorescente e una molecola
che annulla la fluorescenza (quencher), si appaia ad un filamento complementare dell’mRNA
retrotrascritto, durante la reazione di estensione della PCR il quencher viene rimosso e la
molecola è libera di esprimere la propria fluorescenza
▪ Analisi del cariotipo
▪ Marcatura fluorescente di strutture cellulari con sonde specifiche o con anticorpi e analisi
mediante citofluorimetria a flusso

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▪ Marcatura fluorescente di strutture cellulari con sonde specifiche o con anticorpi coniugati con
fluorofori.
▪ Marcatura fluorescente di strutture cellulari
▪ Studio dei segnali ed ioni intracellulari in cellule viventi
▪ Fura-2 e le variazione del Ca intracellulare: il capostipite delle sonde molecolari, si riesce a
vedere la variazione del Ca in singola cellula muscolare liscia stimolata con trombina

 Quantità di luce emessa da una molecola fluorescente


▪ Può annullarsi del tutto, se alcune molecole non fluorescenti collidono con
interazioni deboli con la molecola fluorescente (quenching collisionale) o sono
legate covalentemente (quenching statico) interferendo on la transazione enrgetica
▪ Può aumentare, se alcune molecole costituiscono specifici legami deboli con la
molecola fluorescente
▪ Aumenta con il diminuire della polarità del solvente (ad esempio, maggiore
emissione nelle membrane cellulari che nella soluzione acquosa)
▪ Può ridursi parzialmente all’aumentare delle concentrazione (fenomeno di auto
smorzamento o self-quenching)
▪ Può essere trasferita ad altra molecola fluorescente, comportando eccitazione ed
emissione della seconda molecola qualora la distanza tra le 2 molecole sia
sufficientemente piccola
▪ Può essere misurata su piani di luce polarizzata

Queste caratteristiche che a prima vista possono sembrare svantaggi in realtà sono state utilizzate in
maniera eccelsa, ad esempio per la misura di concentrazione di DNA, RNA e proteine con molecole
fluorescenti che emettono quando instaurano legami deboli a DNA, RNA o proteine permettendo id
misurare la concentrazione in base ad un retta di taratura.

La fluorescenza è una tecnologia altamente sensibile, che permette di misurare analiti a


concentrazioni più basse rispetto alla spettrofotometria.

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