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BIOLOGIA

REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA


Iris Elezi, Francesco Guiggi, Alessia Ferdinandi I19/01/2024

La scorsa lezione abbiamo analizzato i meccanismi attraverso cui viene regolata l’espressione
genica nelle cellule eucariotiche. Con i procarioti la questione è relativamente semplice con il
modello dell’operone inducibile o reprimibile, mentre nel caso degli eucarioti la questione è
estremamente più complessa e di fatto la regolazione dell’espressione di un singolo gene è il
prodotto della combinazione di un gran numero di meccanismi regolatori che fanno affidamento sui
fattori di trascrizione. Negli eucarioti più che un ingombro sterico che impedisce il passaggio
dell’RNA polimerasi (cosa che avviene nei batteri ad opera dei repressori), abbiamo che i fattori di
trascrizione agiscono da attivatori quindi sono in grado di aumentare l’intensità di trascrizione di un
determinato gene, che dipende dal numero di RNA polimerasi che nell’unità di tempo partono dal
promotore per effettuare una copia del trascritto. Questo è un evento che in una certa misura è
casuale, ma che dipenderà dalla concentrazione per esempio dell’RNA polimerasi nelle vicinanze
del promotore.

Regolazione trascrizionale: come i fattori di trascrizione attivano la trascrizione?


La concentrazione dell’RNA polimerasi in prossimità del promotore può essere modificata grazie a
fattori di trascrizione che hanno dei domini di transaminazione, cioè domini che permettono di
attivare la trascrizione facendo una serie di cose. La prima, la più ovvia, è la possibilità di legare
direttamente l’RNA polimerasi e in qualche modo di reclutarlo e aumenta la probabilità che l’RNA
polimerasi rimanga sul promotore abbastanza a lungo da far partire la trascrizione.
Un altro aspetto molto importante è la
regolazione dello stato di
compattazione della cromatina. Noi
sappiamo che il DNA delle cellule è
organizzato intorno ai nucleosomi che
sono formati da proteine e il legame
con queste proteine ha delle
conseguenze sull’accessibilità della
molecola di DNA, la quale se è
strettamente legata agli istoni non sarà
disponibile per poter essere trascritta.
Oppure sequenze consenso che sono
importanti per il legame di particolari fattori di trascrizione (sia generali, come la TATA box, sia
specifici) possono essere più o meno disponibili, a seconda della maggiore o minore interazione
tra il DNA e i nucleosomi e questo può essere modificato dai fattori di trascrizioni in due modi
principali:
1. Reclutare i complessi di modificazione degli istoni (che qui sono rappresentati in giallo). Gli
istoni sono delle proteine che sono caratterizzate da un gran numero di amminoacidi basici,
che in soluzione acquosa tendono a portare una carica +, mentre il DNA (che è ricco di
gruppi fosfato) ha carica negativa. Quindi gli istoni riescono a reagire piuttosto bene con il
DNA proprio in virtù del fatto che sono proteine con carica positiva che interagiscono con
una molecola che ha carica negativa.
2. Modifiche sulle catene R degli amminoacidi, in particolare della lisina (amminoacido basico)
possono determinare un cambiamento di affinità tra istoni e DNA, e quindi un maggiore o
minore compattamento della cromatina. Le modifiche sono generalmente di due tipi:
● l’acetilazione, modifica che promuove l’apertura della cromatina. Infatti il gruppo
acetile è un gruppo acido anch’esso come il fosfato e in soluzione acquosa la sua
carica negativa rende più lassa l’interazione con il DNA (perché cariche negative si
respingono).
● la metilazione, che può avvenire in tante posizioni diverse. Per esempio l’istone H3
(uno dei quattro istoni che compongono il nucleosoma) può essere metilato sulla
lisina in posizione 4, modifica che è attivatoria della trascrizione e che rende la
cromatina disponibile per l’interazione con la RNA polimerasi e altri fattori di
trascrizione. Se invece la lisina dell’istone H3 viene modificata in posizione 9 o 27 la
modificazione è inibitoria, quindi la cromatina viene compattata e diventa meno
accessibile al macchinario della trascrizione.

Queste sono alcune delle modifiche possibili, in realtà vi è un numero estremamente grande di
modifiche. Definiamo codice istonico o epigenetico le modifiche a carico di istoni che non vanno ad
influire sulla sequenza del DNA ma in qualche modo possono mediare una repressione della
trascrizione che può anche essere piuttosto duratura (ma non completamente irreversibile) e la
cellula figlia tende a mantenere lo stesso status di regioni aperte e chiuse della cromatina della
cellula madre. Quindi questi meccanismi permettono il mantenimento di questa specie di memoria
cellulare, anche se non c’è una completa ereditarietà di questi fenomeni, permettono comunque a
livello del differenziamento uno stato non accessibile della cromatina di geni che in quel particolare
tessuto non devono essere espressi e viceversa.

Un esempio di uno di questi meccanismi è


quello che riguarda la proteina CBP o p300,
che è in grado di interagire con il promotore
dell’enzima necessario per riconvertire il
piruvato in glucosio, attivato in condizioni di
basso glucosio dal fatto che questa proteina
viene reclutata dai glucocorticoid response
element (che sono le sequenze di DNA che
vengono legate al recettore dei glucocorticoidi).
Queste proteine permettono una acetilazione
degli istoni e di conseguenza si ha una
maggiore disponibilità del DNA a interagire con
il macchinario della trascrizione.

Oltre alla modifica degli istoni abbiamo il


rimodellamento della cromatina che avviene ad
opera di grossi complessi proteici, come il
SWI/SNF. Come lo fa? Agisce perché può
permette lo scorrimento intorno agli istoni
(attorno a cui il DNA compie quasi due giri
completi), poiché ci possono essere siti come
la TATA box (indicata in azzurrino più chiaro)
che possono essere mascherati in una certa
conformazione della cromatina o disponibili se
c’è uno scivolamento di questo nucleosoma più
a destra, più a monte o più a valle. Quindi
l’attivazione di SWI/SNF può permettere di
riorganizzare la cromatina e rendere disponibili
o pienamente accessibili regioni che se si
trovano incorporate nel nucleosoma e che
sono meno accessibili. Questo complesso è reclutato in presenza dei promotori attivi per
mantenere l'accessibilità delle regioni che sono necessarie per la trascrizione.

Inibizione della trascrizione

Ovviamente così come è possibile attivare la trascrizione vi sono proteine che sono state
selezionate nel corso dell’evoluzione che svolgono il ruolo contrario, i repressori, anch’essi reclutati
dal legame con sequenze consensus (e quindi anche loro hanno un dominio di legame con il DNA
simili a quelli visti finora) ma che esercitano l’effetto opposto. Infatti invece di reclutare gli enzimi
che acetilano i nucleosomi reclutano enzimi che deacetilano, ovvero gli enzimi istone deacetilasi
HDAC, che sono in grado di rimuovere il gruppo acetile (effetto del gruppo acetile è quello di
rendere la cromatina più aperta) e così facendo rendono la cromatina più compatta. Inoltre,
possono anche essere reclutate delle istone metiltransferasi che hanno come substrato per
esempio la lisina 9, la cui metilazione compatta la proteina. Sono meccanismi tramite cui
specifiche proteine possono essere utilizzate in corrispondenza di un promotore di una regione
genica per silenziare l’espressione genica. Dal bilanciamento nel reclutamento sul promotore e
sugli enhancer che regolano un certo numero di attivatori o repressori dipenderà poi il risultato
finale in termini di abbondanza dell’mRNA che viene prodotto da quel particolare gene.
Vi è un ulteriore livello di
regolazione, che procede attraverso
una modifica del DNA. Consiste
nell’aggiunta dei gruppi metile
direttamente su una delle basi del
DNA. Si tratta di un fenomeno
conservato in tutti i regni (batteri,
archea, eucarioti) e il nucleotide che
viene principalmente metilato è la
citosina, nella posizione 5 dell’anello
della citosina (si parla di 5
metilcitosina).

Avviene ad opera di enzimi che


riconoscono un particolare contesto di
sequenza, nel caso del DNA dei
mammiferi la metilazione avviene in
corrispondenza del nucleotide CG,
ovvero se una C è seguita da una G
sarà tendenzialmente metilata.
Questa metilazione in genere non
avviene in tutto il genoma con la
stessa frequenza, ma vi sono regioni
specifiche dei cromosomi in cui ci
sono molto più frequentemente di una
sequenza casuale le C e le G. Ci si
aspetterebbe che la probabilità di
trovarle una dopo l’altra sia 1/16
(essendo 4 le basi azotate) ma ci
regioni in cui la frequenza del
dinucleotide CG è molto più elevata di
quanto non ci si aspetti. Questo fa pensare che sia una selezione per mantenere un’elevata
frequenza di questo dinucleotide in quelle regioni del genoma e in effetti queste regioni definite
isole CpG (dove P indica il gruppo fosfato che fa da ponte per il gene da trasferire nel legame
fosfodiestere tra C e G) hanno questa maggiore frequenza. Le isole CpG si trovano tipicamente in
corrispondenza dei promotori, a monte di un gene che deve essere trascritto. Generalmente il
meccanismo con cui funziona questa metilazione è che quando la isola che si trova a monte di un
gene ha le citosine metilate; questo reprime l’espressione del
gene, mentre quando il gene è espresso le CpG non sono metilate e la trascrizione avviene.
Questa è una modifica anch’essa duratura, nel senso che esistono enzimi che riportano la
metilazione sul filamento di DNA di nuova sintesi con questa caratteristica. Questo è possibile in
virtù del fatto che la caratteristica CpG sarà presente nello stesso punto in entrambi i filamenti del
DNA e viene mantenuto nel corso del differenziamento. E’ un meccanismo epigenetico
sicuramente più stabile e più forte rispetto alle modifiche degli istoni di cui abbiamo parlato
precedentemente e generalmente è un meccanismo che viene innescato durante il
differenziamento.
Nell’immagine si osserva una rappresentazione del livello di metilazione: quanto più i blocchi sono
in alto tanto più sono metilate le isole CPG nel genoma, nei gameti c’è un livello piuttosto basso di
metilazione, nello zigote esattamente la media di quello che si osserva nei due gameti, poi c’è una
fase nei primissimi stadi di sviluppo embrionale che porta ad una completa cancellazione di questa
modifica e nello stadio di blastocisti la metilazione non si osserva. Durante lo sviluppo embrionale
vengono di nuovo istituite delle regioni metilate all’interno del genoma che corrispondono nei
diversi tipi cellulari ai geni che non vengono espressi in quel particolare tessuto e questa
metilazione viene mantenuta nelle divisioni successive e in tutte le cellule somatiche adulte con
l’eccezione delle cellule germinali primordiali, dove viene largamente rimossa.
La metilazione del DNA ha un ruolo importante anche nel meccanismo dell'inattivazione del
cromosoma X e dell'imprinting genetico. La determinazione del sesso nei mammiferi dipende dalla
presenza di una o due copie del cromosoma X, questo determina una serie di fenomeni e crea un
potenziale problema: gli individui del sesso femminile hanno due copie del cromosoma X in tutte
quante le cellule e questo comporterebbe che tutti i geni sul cromosoma X siano espressi due volte
negli individui di sesso femminile, ma ciò non è vero. I geni espressi sul cromosoma X sono
espressi in un livello comparabile tra maschio e femmina e questo è possibile perchè durante lo
sviluppo dell’embrione di sesso femminile una delle due copie scelta casualmente del cromosoma
X viene resa inattiva, compattata nell’eterocromatina e questa copia (che può essere quella di
origine materna o paterna) resta inattivata in tutte le cellule che discendono da questa. Poichè cio
avviene durante la blastocisti in cui vi è circa un centinaio di cellule, negli individui di sesso
femminile ci sono di fatto dei mosaici di cloni di cellule in cui vi è alternativamente in maniera
casuale inattivata la copia paterna o materna del cromosoma X. Questo fatto si rispecchia per
esempio nel fenotipo di molti mammiferi, che possono presentare il colore del pelo pezzato più
frequentemente nelle femmine perchè se un individuo femminile eredita dei cromosomi X che
portano il gene per il colore del pelo per due colori diversi ciascuna porzione della pelle in base alla
copia X inattivata avrà il pelo scuro o chiaro in quella particolare regione. Ciò ha anche un ruolo
nella penetranza del fenotipo, mutazioni associate a patologie legate al cromosoma X che negli
individui di sesso femminile possono mostrarsi o meno in cloni di cellule diverse.

Regolazione post-trascrizionale

La regolazione dell’espressione genica può avvenire anche a livello post trascrizionale. Vi sono
una serie di meccanismi che permettono di effettuare un ulteriore controllo dell’espressione genica.
Splicing alternativo

Innanzitutto abbiamo un
fenomeno che si chiama splicing
alternativo, ulteriore livello di
complessità dello splicing che
presenta delle differenze rispetto
a quest’ultimo. Lo splicing
avviene necessariamente per
ogni gene che contiene introni
(nella specie umana più del 99%
dei geni contengono introni),
mentre quello alternativo accade
solo in alcuni geni laddove lo
spliceosoma (macchinario di
splicing) salta alcuni esoni. Il
gene nell’immagine ha forme
diverse di RNA messaggeri,
isoforme in cui la prima contiene
tutti gli esoni codificati dal gene,
nella seconda il macchinario di
splicing ha saltato l’esone 3, che non è compreso nell’mRNA maturo. Il macchinario di splicing
lavora reclutando componenti dello splicing in corrispondenza di sequenze consensus che si
trovano al margine tra un introne ed un esone. Ma se questa sequenza consensus è mascherata
da una proteina oppure ha una sequenza leggermente diversa e non viene riconosciuta in assenza
di una proteina accessoria del macchinario di splicing, questo proseguirà nell’mRNA e troverà la
sequenza successiva. In questo modo l’esone 3 se ne va come se fosse un introne. Questo
meccanismo può far sì che un singolo gene tramite questi mRNA possa codificare per proteine
diverse, proteine che contengono diversi domini. Nella maggior parte dei casi queste differenze
sono piuttosto marginali e vanno a codificare per isoforme diverse della stessa proteina espressa
in tipi cellulari diversi e che ricoprono ruoli simili anche se non perfettamente identici. Vi sono
proteine che in un certo contesto devono interagire con alcune proteine tramite un determinato
dominio di interazione, mentre in un altro contesto hanno dei partner per quella funzione. Ma ci
sono anche casi in cui lo splicing alternativo può alterare completamente la funzione della proteina.
Ci sono per esempio dei fattori di trascrizione in cui lo splicing alternativo può far saltare gli esoni
che codificano per il dominio di transattivazione. Le due proteine che si vengono a formare
saranno una che contiene il dominio di transattivazione e quindi attiverà la trascrizione, mentre la
sua isoforma codifica per lo stesso fattore che ha solo il dominio di legame al DNA e codificherà
per una proteina che reprime la trascrizione; questo perché si lega esattamente nello stesso punto,
quindi compete per il legame in quel pezzo di DNA ma non ha il dominio di transattivazione, quindi
andrà a spiazzare il vero fattore di trascrizione. Quindi per splicing alternativo possiamo avere
anche proteine che hanno funzioni considerevolmente diverse tra loro a partire dallo stesso gene.
Qui abbiamo alcuni esempi di
proteine e vediamo che nel
campo delle proteine che
regolano l’apoptosi lo splicing
alternativo può far sì che uno
stesso gene codifichi per un
polipeptide che è pro
apoptotico (promuove la morte
cellulare programmata) oppure
anti apoptotico (previene la
morte cellulare programmata).
In altri casi le isoforme sono
diverse a seconda che
vengano espresse in fasi
diverse dello sviluppo, ad
esempio il gene PKN codifica
per le proteine PKN1 negli
adulti, PKN2 normalmente espressa nel contesto embrionale e in maniera patologica nei tumori.
Nel caso del VEGF che codifica per un fattore angiogenico, saltare o meno una porzione
dell’esone 8 determina che la proteina risultante possa promuovere la formazione di vasi sanguigni
oppure no.

Il legame di alcune proteine (RNA binding proteins) può influenzare lo splicing ottenuto, quindi in
alcuni casi ci sono proteine appartenenti alla famiglia SR che favoriscono il riconoscimento di una
particolare sequenza consensus e altre proteine di una vasta famiglia chiamata hnRNP sono in
genere inibitorie dello splicing, ovvero laddove si legano favoriscono il salto di quella particolare
regione di splicing. Sia le proteine SR che le hnRNP sono delle famiglie abbastanza abbondanti,
con diversi membri espressi differenzialmente in diversi tessuti o contesti. L’isoforma di splicing
che in una particolare cellula sarà espressa dipende da quali proteine SR o hnRNP sono espresse
in quel tessuto e quali faranno si che alcune giunzioni di splicing vengano promosse (quindi c’è il
reclutamento del complesso di splicing che viene utilizzato) e altre no. Ricordiamo come il fatto di
non utilizzare la giunzione di splicing mascherandola porta il macchinario a usare quella
successiva. Basta una proteina che mascheri la giunzione di splicing affinchè l’esone venga
saltato. Oppure in caso complementare, per la promozione basta che ci sia una proteina che
favorisce lo splicing. Il meccanismo è quindi finemente regolato.

Regolazione della stabilità degli


mRNA

Altro meccanismo della


regolazione dell’espressione
genica è quello che riguarda la
stabilità dell’RNA messaggero.
Quanto più è stabile tanto più
proteine corrispondenti a quel
mRNA vengono sintetizzate.
Anche qui ci sono diversi
meccanismi con cui può essere
regolata la stabilità dell’mRNA.
Principalmente questo passa alla
rimozione delle due importanti
modifiche necessarie nell’mRNA
eucariotico: il CAP e la coda di
poli A. Ci sono enzimi che si
chiamano deadenilasi che vanno a “mangiare” la coda di poli A e lo stesso avviene per quelli che
rimuovono il cappuccio. Una volta perso il cappuccio o la coda di poli A, l’mRNA viene degradato o
da esonucleasi che procedono da 5’ a 3’ o da un macchinario più complesso che si chiama
esosoma che procede nella direzione opposta, ma in entrambi i casi il risultato finale è che questi
RNA messaggeri vengono degradati e ciò comporta un decremento della quantità di proteina
corrispondente che viene prodotta. Questa regolazione della stabilità degli mRNA viene regolata
da sequenze che si trovano nel 3’ UTR dell’mRNA. Gli mRNA sono suddivisi in diverse regioni: la
UTR al 5’ (dove UTR sta per untranslated region=regione non tradotta e si trova a sinistra) e in
questo caso la regione non tradotta è molto breve perché i ribosomi eucariotici vanno a scegliere il
primo AUG dopo il CAP quindi in genere questa regione è lunga 40/50/60 nucleotidi ma non di più;
la UTR al 3’ che si trova all’estremità opposta quindi dopo la cornice di lettura (a valle del codone
di STOP) che generalmente negli mRNA eucariotici è molto lunga (2000/3000 nucleotidi ma anche
fino a 10000) all’interno della quale si trovano siti di legame per proteine regolatorie le quali
possono influenzare la stabilità dell’mRNA reclutando enzimi di decapping, di deadenilazione
oppure reclutando gli mRNA sui corpi P, che in questa immagine sono evidenziati in giallo. Il
nucleo è colorato in rosso, le macchie più scure sono i nucleoli (anche più di uno per ciascun
nucleo). I corpi P sono un altro esempio di quel fenomeno chiamato liquid-liquid phase separation,
sono delle regioni del citoplasma dove c’è un’alta concentrazione di mRNA che in quel momento
non sono tradotti (perché dentro i corpi P non ci sono i ribosomi) e si pensa che sia una specie di
meccanismo di immagazzinamento temporaneo di mRNA che non devono essere tradotti ma che
possono essere o ripristinati e rilasciati per poter essere tradotti oppure degradati, a seconda delle
situazioni che la cellula incontra.
Regolazione a livello traduzionale

La regolazione può essere anche attuata a livello della traduzione, nonostante la stabilità
dell’mRNA non venga influenzata, è comunque possibile che questo sia o meno tradotto.

Ciò è dovuto a proteine come le


Maskin, che sono in grado di
mascherare il CAP 5’, impedendo il
legame dei fattori di inizio della
traduzione eIF4G ed eIF4E e quindi il
reclutamento della subunità del
ribosoma. La fosforilazione del partner
della proteina Maskin determina un
cambiamento conformazionale per cui
Maskin rilascia il CAP e rende
possibile l’inizio della traduzione. La
proteina CPEB si lega ad una
sequenza che si trova nella regione
non tradotta al 3’, che prima abbiamo
detto essere molto lunga perché
contiene molti siti che determinano il
destino di un mRNA in termini di stabilità
e di traduzione.

Questo è vero per una grande varietà di


meccanismi che possono influenzare la
traduzione; per esempio ci sono
meccanismi di risposta allo stress che
possono portare alla fosforilazione di
fattori di inizio della traduzione e quindi
bloccare la trascrizione generale e
favorire invece la trascrizione di uno
specifico gene.
Meccanismo attraverso cui una proteina
regolatrice del ferro a seconda
dell’abbondanza o meno del ferro
all’interno della cellula può determinare la
traduzione di un mRNA che codifica per
un prodotto proteico necessario nel
metabolismo del ferro. Questo è mediato
da una struttura secondaria presente
nella molecola di RNA che permette o
meno la traduzione a seconda dello stato
di abbondanza del ferro all’interno della
cellula: in presenza di ferro questa
proteina regolatrice si stacca dall’UTR e
lascia passare il ribosoma, che quindi
sintetizza il prodotto finale; in assenza di ferro questa proteina si lega alla struttura dell’RNA,
blocca il passaggio del ribosoma e quindi non si avrà la traduzione di questa proteina.

MicroRNA

Un ulteriore livello di
complessità è dovuto ai
microRNA. Si tratta di piccoli
RNA formati da circa 20
nucleotidi, i quali sono in grado
di appaiarsi con la regione UTR
dell’mRNA. Questi microRNA
fanno parte di un complesso
che si chiama complesso di
silenziamento mediato
dall’RNA, detto complesso
RISC, il cui componente
principale è rappresentato dalle
proteine argonauta e sono
capaci di bloccare l’inizio della
traduzione e reclutare fattori
che promuovono la deadenilazione e il decapping di questi messaggeri bersaglio. I messaggeri
bersaglio vengono riconosciuti per la complementarietà delle basi, quindi c’è una regione dei
microRNA che va dal secondo nucleotide fino al settimo/ottavo che deve essere necessariamente
appaiata, mentre nella regione restante sono tollerati anche un certo numero di non appaiamenti.
Quindi ci sarà un gruppo di mRNA che sono bersaglio di questi microRNA che regolano
l’espressione genica a livello post trascrizionale.
RNA interference

Legato al concetto dei microRNA


c’è anche il concetto di RNA
interference. Si tratta di una
tecnologia estremamente efficace
sviluppata una ventina di anni fa.
Si è scoperto che mentre nelle
cellule animali ci sono dei geni
che codificano per queste
strutture a forcina che poi
vengono processate per produrre
microRNA, che può agganciarsi a
RNA bersaglio e reprimerne la
traduzione, in alcuni organismi
come piante o caenorhabditis
elegans un macchinario molto
simile a quello che processa
questi elementi endogeni può
essere attivato in risposta ad
introduzione artificiale di RNA a doppio filamento. Infatti normalmente l’RNA è a singolo filamento,
ma se introduciamo artificialmente RNA a doppio filamento questo viene processato in delle
molecole che assomigliano molto ai microRNA che vengono caricate sullo stesso complesso RISC
che contiene le proteine argonauta. Solo se questi piccoli RNA hanno una perfetta
complementarietà (mentre come abbiamo visto i microRNA hanno delle regioni di mismatch, non
appaiamento) quello che succede è che l’RNA complementare viene tagliato esattamente a metà
della molecola (tra il nucleotide 10 e 12) dalla proteina argonauta. Un mRNA che viene tagliato
viene immediatamente degradato, perché i due monconi sono privi rispettivamente del CAP e della
coda poli A e sono immediatamente substrato di quelle esonucleasi che abbiamo visto agire sui
messaggeri dopo il decapping e dopo l’adenilazione. E’ un meccanismo efficiente perché un
singolo piccolo RNA può catalizzare in un tempo molto breve decine di copie di mRNA, perché
esso rimane sul complesso argonauta, può essere poi guidato a tagliare altre molecole ed è molto
specifico perché la combinazione di 20 nucleotidi su base probabilistica è rappresentata una sola
volta nel nostro genoma.
Questo è stato sfruttato a livello biotecnologico e soprattutto nell’ambito della ricerca, perchè si è
scoperto che introdurre piccoli RNA perfettamente complementari al gene di interesse è un modo
estremamente rapido per far quasi completamente scomparire la proteina corrispondente nella
cellule che venivano trattate. E’ stato anche proposto come meccanismo terapeutico per alcune
patologie, ma sono ancora in fase di sperimentazione. C’è una considerevole aspettativa circa il
fatto che nuove tecnologie come quelle sviluppate per i vaccini a RNA possano favorire in futuro
l’applicazione anche in ambito terapeutico di questa tecnologia, ma per il momento è limitata
principalmente all’ambito di ricerca e alla somministrazione in animali di laboratorio e in sistemi
molto controllati.
REGOLAZIONE POST-TRASCRIZIONALE

Esistono meccanismi di regolazione post-trascrizionali


che non riguardano la stabilità dell’mRNA, bensì la sua
localizzazione. Questi meccanismi molto importanti sono
stati studiati nello sviluppo dell’ embrione di drosophila e
sono essenziali per stabilire i meccanismi secondo i
quali si va a stabilire un orientamento fra la parte
anteriore e posteriore dell’animale. Questo orientamento
è appunto deciso dal trasporto e dal confinamento di
particolari mRNA. Sebbene l’embrione di drosophila non
segua uno sviluppo esattamente identico a quello
dell’essere umano (è presente per gran parte dello sviluppo un sincizio, ovvero un’unica cellula
con molti nuclei) è un esempio perfetto per questo tipo di regolazione. Possiamo infatti marcare gli
mRNA corrispondenti a 2 geni (immagine b,c)e notare come essi siano confinati in regioni opposte
nell’embrione. Questo determinerà una diversa concentrazione nell’embrione stesso delle proteine
e grazie proprio a questo gradiente nell’adulto si andranno a sviluppare i diversi segmenti
funzionalmente differenti nell’organismo adulto(immagine a).

Meccanismi di questo tipo seppur in piccolo sono presenti anche nelle cellule eucariote: un
esempio ne è la beta-actina, necessaria per la migrazione dei fibroblasti. La sua presenza è infatti
più necessaria verso i confini della cellula che si sta estendendo (immagine d).

Abbiamo poi un ulteriore livello di regolazione, stavolta a livello del controllo dell’abbondanza del
prodotto finale dell’espressione genica: le proteine. Questo avviene grazie a due principali mezzi: il
proteasoma, grosso complesso proteico situato nel citoplasma e che è in grado di degradare
specifici polipeptidi purché questi siano marcati da catene di ubiquitina (le proteine poliubiquitinate
sono marcate come target per i proteasomi).

Possiamo notare la presenza di un canale centrale in questa struttura , all’interno del quale sono
presenti enzimi per la degradazione del polipeptide che passa attraverso il canale (rompono
legame peptidico). La proteina verrà prima denaturata e poi, una volta resa lineare, verrà
degradata dal proteasoma.

L’ubiquitina è un piccolo polipeptide (76 amminoacidi) e la


marcatura tramite ubiquitina avviene tramite enzimi specifici,
gli ubiquitina ligasi (E3), che hanno però bisogno di altri due
enzimi: gli attivatori di ubiquitina (E1) e quelli che invece la
coniugano (E2). Ci sono varie famiglie di questi enzimi che
mediano la marcatura di diverse proteine target.

LA REPLICAZIONE DEL DNA

Per parlare di replicazione del DNA dobbiamo introdurre il concetto di ciclo cellulare.
Mentre i procarioti finché sono presenti nutrimento ed energia in abbondanza continuano a
riprodursi il più possibile, negli eucarioti soprattutto pluricellulari questa strategia non è affatto
funzionale, anzi quando ci troviamo di fronte a un accrescimento eccessivo è spesso patologico. Il
ciclo cellulare è quindi quella serie di eventi che intercorrono tra una replicazione cellulare e la
successiva, con passaggi di fase finemente regolati da meccanismi complessi.

È suddiviso in:
● Fase mitotica (o fase M): fase molto breve durante la quale la cellula si divide in due cellule
figlie
● Interfase: tutto il resto del ciclo cellulare, durante il quale la cellula si prepara alla divisione.

A loro volta l’interfase è suddivisa in:

● Fase G1 (G= gap, intervallo, pausa rispetto


alla sintesi di DNA): inizio della vita di una cellula.
● Fase S (sintesi): viene sintetizzato nuovo
DNA, passando da un contenuto di DNA pari a n(23
cromosomi, 22 somatici e 1 sessuale) a 2n (46
cromosomi)
● Fase G2: la cellula ha doppio contenuto di
DNA. È una fase molto breve durante la quale la
cellula esamina se la duplicazione è andata a buon
fine ed è pronta per entrare in mitosi

La fase M è invece divisa in:

● Mitosi: fase durante la quale il materiale genetico è ripartito in maniera identica fra le due
cellule figlie; momento più complicato della divisione cellulare.
● Citocinesi /citodieresi: ripartizione meno precisa e più probabilistica del materiale cellulare

Nell’uomo abbiamo 46 cromosomi (23 coppie) in tutte le cellule del corpo (diploidi), tranne nei
gameti in cui ne abbiamo 23 (aploidi).

REPLICAZIONE DEL DNA


Già Watson e Crick avevano ipotizzato una probabile replicazione semiconservativa del DNA,
basandosi sulla sua struttura a doppia elica. Secondo loro infatti i 2 filamenti di DNA, una voluta
dissociati, potrebbero essere utilizzati come stampo per la sintesi di un nuovo filamento,
producendo così 2 nuove molecole di DNA ognuna con un filamento “vecchio” e uno “nuovo”.

Sintesi acidi nucleici : i nucleotidi vengono aggiunti


all’estremità 3’(OH) di un acido nucleico,
idrolizzando il legame fosfoanidridico nel nuovo
nucleotide trifosfato per poi formare un nuovo
legame fosfodiestere con il nucleotide precedente.
L’ipotesi della replicazione semiconservativa è stata
preferita a quelle della replicazione conservativa
(una nuova doppia elica veniva sintetizzata ex novo
prendendo come esempio l’altro doppio filamento) e
dispersiva (il DNA originario si frammenta e si
disperde nella nuova molecola, con graduale
diminuzione del materiale genetico originale nelle
generazioni successive).

Per dimostrare la semiconservativa si sono utilizzati


due esperimenti:
Meselson e Stahl hanno marcato con dell’ azoto pesante (un neutrone in più) le molecole di DNA
di una generazione di Escherichia Coli, facendo crescere i batteri in colture con azoto pesante. Le
generazioni successive venivano poi introdotte in colture con azoto leggero e si misurava alla fine,
centrifugando i filamenti di DNA, che si andavano ad ottenere filamenti con densità intermedia fra i
due isotopi. Questo risultato esclude a priori l’ipotesi conservativa perché in quel caso avremmo
dovuto riscontrare 2 filamenti a densità diverse.
La seconda generazione ha infine sfatato anche l’ipotesi dispersiva, perché si osservava dopo la
centrifugazione 2 doppi filamenti a densità intermedia e 2 a bassa densità, lasciando come unica
teoria verificata quella semiconservativa.

Più recentemente per confermare questa teoria sono stati usati marcatori di DNA che risultavano
assenti dopo la seconda generazione, avvalorando così la teoria semiconservativa.

Andiamo ora a vedere come avviene la replicazione del DNA

La replicazione del DNA avviene a partire da un’origine di replicazione grazie alla formazione di
una struttura detta forcella o forca di replicazione, formando le due regioni parentali che faranno da
stampo ai neo-filamenti.

Questa immagine ci mostra come la sintesi sui


due filamenti di DNA non avviene esattamente
nello stesso modo:
Notiamo intanto la presenza di un “pezzettino”
verde che rappresenta un breve filamento di
RNA.Questo perché le DNA polimerasi non sono
in grado, contrariamente alle RNA polimerasi, di
congiungere fra di loro con un legame
fosfodiesterico due nucleotidi, ma hanno bisogno
di una sequenza di nucleotidi già abbastanza
lunga (15/20 nucleotidi) a cui poi aggiungere
nuovi nucleotidi. Per questa ragione è presente
un primer o innesto di RNA, sintetizzato da un particolare tipo di RNA polimerasi detto primasi. A
partire da questo innesto la DNA polimerasi sintetizza il neo-filamento aggiungendo i nucleotidi
tramite l’idrolisi del legame fosfoanidridico e la formazione del nuovo legame fosfodiestereo in
direzione 5’-3’.
Proprio questa direzione fa sì che i due filamenti non vengano sintetizzati in maniera analoga.
Perché se è vero che una DNA polimerasi segue la direzione in cui va la forcella di replicazione,
l’altra si trova impossibilitata a sintetizzare in maniera continua il nuovo filamento.
È qui infatti che abbiamo la distinzione in filamento veloce o continuo o di guida(quello di sopra) e
filamento lento o discontinuo o in ritardo(quello di sotto).
Il primo sarà replicato dalla DNA polimerasi in direzione 5’3’, il secondo invece sarà replicato un
frammento alla volta tramite i Frammenti di Okazaki ( lunghi circa 1000 nucleotidi).
Da notare come quella che osserviamo in questa immagine sia solo metà della bolla di
replicazione, dall’altro lato abbiamo una situazione analoga ma invertita, con il filamento in basso
che sintetizza in maniera continua nella stessa direzione della forcella di replicazione e quello in
alto invece che diventa il filamento lento.

Per la replicazione del DNA, oltre ai già citati


primasi e polimerasi, sono necessari molti enzimi:
● Elicasi: enzima che tramite l’energia
ricavata dall’ idrolisi di ATP rompe i legami H che
tengono insieme i filamenti di DNA parentale.
● Topoisomerasi: enzima che catalizza delle
isomerie all’interno della molecola di DNA. “Topo”
perché va a modificare la topologia del DNA,
ovvero il modo in cui la molecola si organizza nello
spazio,tagliando i superavvolgimenti ed eliminando
lo stress torsionale della doppia elica. Senza
questo enzima la replicazione non avverrebbe. Inibitori di questo enzima causano prima
danni al DNA e poi la morte cellulare
● Ligasi: congiunge fra di loro i vari frammenti di Okazaki

Oltre a questi enzimi è necessaria anche una proteina detta SSB (single strand binding)
Questa proteina serve perché i legami H del
DNA, anche se rotti dall’ elicasi tendono
spontaneamente a riformarsi. Per prevenire la
riformazione le SSB legano il DNA a singolo
filamento fino all’ arrivo della DNA polimerasi
che scalza via leSSB e sintetizza il nuovo
filamento.
Come dicevamo la DNA polimerasi funziona
solo se è presente un innesto di RNA ma che
fine fanno tutti i primer di RNA all’inizio di ogni
frammento di Okazaki? Ovviamente l’RNA
non è mantenuto visto che la molecola finale è
formata solo da DNA. Questo avviene grazie alla DNA polimerasi che prima rimuove l’RNA, poi
arriva a sintetizzare fino all’ultimo nucleotide, riempiendo il gap lasciato dal primer. Infine ligasi
sigilla le due estremità.
Questa immagine ci aiuta a comprendere
come, sebbene le 2 DNA polimerasi
sintetizzino 2 filamenti diversi esse
appartengano ad una stessa struttura proteica.
Il processo di replicazione avviene quindi
come mostrato in figura, con il filamento in
ritardo che si piega in questa conformazione
particolare per permettere alle due DNA
polimerasi di procedere associate.

Le DNA polimerasi sono agganciate alla


molecola di DNA da una proteina che viene
chiamata propriamente “pinza”, questa forma un anello attorno al filamento e vi mantiene
costantemente associata.
Mentre sul filamento guida usato va assolutamente bene, sul filamento in ritardo questo ha dei
limiti, perché la polimerasi ogni tanto deve fare un salto che la riporta più indietro nel filamento.
Questo processo prevede ogni volta che la pinza venga aperta e poi richiusa.Tutto ciò è regolato
da una proteina detta “caricatore della pinza” che ha la responsabilità di aprire la struttura ad
anello, permettere di sganciare il complesso dal filamento di DNa, ricaricarlo e poi richiuderlo.

La DNA polimerasi è molto più fedele nella


sua attività di sintesi di acidi nucleici
rispetto all’RNA polimerasi, questo è dovuto
alla presenza di due siti cataliticamente
attivi sulla DNA polimerasi: il primo, che
abbiamo già descritto, adibito all’idrolisi del
legame fosfoanidridico e catalisi legame
fosfodiestere. Il secondo è in grado di
eseguire un taglio esonucleasico in
direzione 5’3’. Questo in parte serve a
rimuovere il primer in direzione 5’3’ ma
soprattutto determina la funzione
esonucleasica dell’enzima in direzione 3’5’.
Questo taglio avviene perché di tanto in tanto anche la DNA polimerasi sbaglia ad aggiungere un
nucleotide. Quando questo succede la DNA polimerasi si ferma, taglia il nucleotide sbagliato, e poi
riprende la sintesi.
Questa funzione esonucleasica riduce la capacità di errore dell’enzima di circa 100 volte.

Nell’immagine seguente possiamo apprezzare


la presenza dei due siti all’interno dell’enzima:
uno adibito alla sintesi del DNA (quello che si
trova al centro della molecola) e un’altra per
l’attività esonucleasica (quello in basso)
Ma come viene riconosciuto un errore nell’appartamento delle basi?
Errori di questo tipo generano alterazioni della geometria e della distanza fra i filamenti della
molecola di DNA. Questa alterazione storica ( della geometria tridimensionale) viene riconosciuta
dalla DNA polimerasi.

La replicazione inizia in un punto preciso del


genoma. Per quanto riguarda i procarioti con
un DNA circolare e relativamente corto, c’è
una singola origine di replicazione. Molto
importante perché tutte le molecole di DNA
prive dell’origine di replicazione non vengono
replicate e quindi perdute nella proliferazione
delle cellule batteriche.
Negli eucarioti il genoma è incredibilmente più
grande ed organizzato in cromosomi lineari
piuttosto che DNA circolare. Questo giustifica
il fatto che negli eucarioti al posto di avere una
singola origine di replicazione ne abbiamo molteplici.

Come prevenire un secondo inizio di


replicazione?
La replicazione inizia grazie all’arrivo delle origini
di replicazione, che, legandosi a specifiche
sequenze consensus sul DNA, richiamano tutte
le proteine necessarie per l’inizio della
replicazione (elicasi, ligasi ecc..)
È molto importante, soprattutto nelle cellule
eucariotiche, prima che la cellula si sia divisa
(ovvero prima della fase G2 ed M) che la
replicazione non avvenga di nuovo in quanto la
cellula è già con una quantità di genoma doppia.
Nei diversi organismi ci sono vari meccanismi
che regolano la capacità delle origini di replicazione di avviare la replicazione del DNA.

La replicazione ha quindi inizio grazie alle origini di replicazione, ed è grazie alla regolazione delle
stesse che la cellula evita un secondo inizio di replicazione.

Nei procarioti questa regolazione è abbastanza


semplice e fa affidamento sul fatto che l’origine
di replicazione è metilata. Questa modificazione
(metilazione) di DNA ha bisogno di tempo per
avvenire, infatti i filamenti neo sintetizzati non
possiedono gruppi metili, dando origine a due
doppi filamenti emimetilati (il filamento
parentale con gruppi metile, quello neo
sintetizzato no). In questa condizione i
meccanismi di origine di replicazione non riconoscono le sequenze consensus e quindi non danno
inizio alla replicazione. Nel giro di una decina di minuti gli enzimi adibiti alla metilazione del DNA
avranno avuto il tempo di metilare anche il filamento neosintetizzato e quindi la replicazione potrà
avere inizio. Nei procarioti la replicazione ha luogo ogni volta che siano disponibili nutrimento e
possibilità di replicare, quindi ha senso vedere nuove replicazioni dopo soli 10 minuti.

Negli eucarioti questo meccanismo è un pò più raffinato, visto che la replicazione deve rispondere
alla regolazione del ciclo cellulare. Questa regolazione è gestita da delle proteine dette cicline (
che introdurremo quando parleremo del ciclo cellulare) che agiscono insieme agli enzimi CDK (
chinasi cicline dipendenti). Questi enzimi sono in grado di fosforilare una serie di proteine bersaglio
che si trovano sui siti di inizio replicazione e quindi attivare le origini di replicazione, determinando
l’ingresso della cellula nella fase S.

REPLICAZIONE del DNA: TELOMERI


I cromosomi eucariotici pongono un’ulteriore sfida alla sintesi del DNA che è rappresentato dal
fatto che avendo delle molecole di DNA lineare abbiamo la parte terminale di questi cromosomi
che non può essere replicata in maniera completa sul filamento in ritardo, questo perché l’ultimo
pezzo del cromosoma
(nell’immagine abbiamo l’estremità 3’ che è stata
sintetizzata ma la parte finale del cromosoma non potrà
essere sintetizzata dall’altra parte perché qui c’è un
primer a RNA. Il primer a RNA viene rimosso, (se
torniamo indietro vediamo che quasi tutti i primer a RNA
si troveranno tra 2 frammenti di Okazaki, cioè ci sarà a
destra in questa immagine un frammento di Okazaki in
questo lato che provvederà a riempire i gap che
verrebbe lasciato dall’innesto di RNA)
Però se siamo all’estremità del cromosoma, questo
filamento di Okazaki dall’altro lato non ci sarà, e quindi
rimane questo buco. Questo buco è lungo poche decine
di nucleotidi, però effettivamente cosa succede? mano a
mano che succedono diverse replicazioni della cellula, i
cromosomi progressivamente si accorciano (questo
succede normalmente nella nostra specie è tipicamente
questo può essere misurato se da un prelievo di cellule da sangue periferico, per esempio può
essere fatta la misura delle porzioni terminali dei cromosomi, che si chiamano telomeri, e si vede
che la lunghezza di questi telomeri per esempio correla con l’età dell’individuo donatore: se noi
facciamo una misura dei telomeri in un ventenne o in un sessantenne vedremo che il sessantenne
ottiene all’intento delle sue cellule delle estremità dei cromosomi che sono più corte.

Però questo meccanismo non può essere sostenibile generazione per generazione, perché ad un
certo punto accorcia, accorcia, accorcia, la parte finale del cromosoma verrà tutta quanta
consumata e cominceremo a perdere l’informazione genetica, cosa che ovviamente non può
essere accettabile.
Quindi in alcuni tipi cellulari specifici, in particolare nelle cellule della linea germinale e in una certa
misure nelle cellule staminali (quelle che sono pronte a proliferare per generare nuove cellule o in
risposta al danno o perché questo è quello che normalmente avviene, ci sono tanti tessuti che
vengono continuamente rigenerati per tutta la durata della nostra vita (per esempio la pelle o il
sistema immunitario). In queste cellule è attivo un enzima particolare che si chiama telomerasi.
La telomerasi è una DNA polimerais speciale perché non utilizza una molecola di dna come
stampo ma “si porta appresso” il suo stampo sotto forma di una molecola di RNA
[questo rappresentato in rosa è una molecola di RNA che è incorporato in questo enzima (è un
altro esempio di ribozima, il terzo che incontriamo)]

E usando questa molecola come stampo è grado di allungare il cromosoma


(In realtà fate attenzione: vedete al telomeri che c’è un'estremità 3’ che è più lunga e poiché la
telomerasi non fa eccezione (come tutte le altre dna polimerasi è in grado di aggiungere i
nucleotidi soltanto a un 3’ che è già disponibile) di fatto allunga quello che è già il filamento più
lungo.
Tuttavia la conseguenza di questo allungamento del filamento al 3’ è che ci sarà spazio per
sintetizzare un nuovo frammento di Okazaki e quindi anche se l’estremità sarà sempre con un
filamento un po’ più lungo dell’altro perché ci sarà sempre un innesto che viene rimosso alla fine
comunque abbiamo aggiunto alla fine dei nucleotidi e quindi ripristinato in sostanza la lunghezza
del telomero.

La telomerasi è un enzima molto importante, malattie genetiche che colpiscono questo enzima
determinano una senescenza precoce di alcuni tessuti che quindi non possono più essere
rinnovati e tipicamente si manifestano all’interno di una famiglia con fenotipo via via più severo
generazione dopo generazione (quindi il primo individuo che porta questa mutazione che si rende
conto di avere un fenotipo, una malattia intorno ai 50 anni per esempio, il figlio se ne rende conto
intorno ai 30 e il nipote che invece già nell'infanzia può dimostrare alcuni sintomi o alcuni difetti
potenzialmente anche molto gravi.

La telomerasi è molto importante anche perché questo meccanismo dei telomeri è un meccanismo
di protezione intrinseco contro lo sviluppo dei tumori, perché le cellule somatiche (ovvero le cellule
terminalmente differenziate nel nostro organismo) non esprimono la telomerasi è questo significa
che se accumulano un certo numero di mutazioni che le portano a proliferare in maniera
incontrollata comunque dopo qualche decina di replicazioni avranno un tale accorciamento dei
telomeri da andare incontro a quella che viene definita comunemente una “crisi proliferativa” dalla
quale normalmente non si salva nessuna cellula del clone, e quindi di fatto questa cellula che
aveva cominciato a proliferare in maniera incontrollata va incontro a senescenza e muore. Questo
succede perché quando i telomeri non sono più correttamente rigenerati, i monconi che si formano
al termine dei cromosomi vengono riconosciuti dal sistema di riparo del DNA come un danno del
dna che non può essere riparato e questo innesca una apoptosi (questo lo vedremo tra poco).

Ma invece purtroppo può avvenire invece che ci siano rare mutazioni che in maniera aberrante
permettono l’espressione della telomerasi in cellule che invece non dovrebbero farlo (questa è una
delle tante mutazioni che si devono accumulare in una stessa cellula per trasformarla in una cellula
tumorale).
MITOSI
Arriviamo adesso alla fase M (mitosi) che è la fase del ciclo cellulare nella quale avviene la
ripartizione del materiale nucleare tra le due cellule figlie (per materiale nucleare si parla di
cromosomi).

La mitosi si divide in quattro diverse fasi che sono chiamate profase, metafase, anafase e
telofase.

Queste fasi possono essere chiaramente identificate


guardando la colorazione. In questa immagine è
rappresentata in maniera schematica la posizione dei
cromosomi nel corso delle diverse fasi:
- La profase è la prima fase in cui iniziamo a vedere i
cromosomi. Normalmente la cromatina è condensata
all’interno del nucleo e non è possibile vedere effettivamente i
cromosomi come distinti all’interno di esso. Il nucleo, a
seconda del tipo di colorante che si usa, può apparire rosso o
blu brillante, ma all’interno di esso non si possono vedere in maniera distinta i cromosomi.
Questo perché le cellule che si trovano in interfase nella maggior parte del tempo
presentano i cromosomi in una specie di “matassa aggrovigliata” in cui non si distinguono i
singoli componenti. È soltanto nella preparazione alla divisione cellulare che i cromosomi si
condensano per diventare unità distinte. Ciò è ovviamente necessario per ripartirli, cosa
impossibile se non fossero distinguibili gli uni dagli altri . Durante la profase dunque
vediamo che inizia a condensarsi la cromatina all'interno dell’involucro nucleare.
- Nella metafase i cromosomi si allineano tutti al centro della cellula
- Nella anafase i cromosomi verranno tirati verso i poli opposti
- E nella telofase i cromosomi cominciano a condensarsi

Adesso andiamo a vedere più nel dettaglio cosa succede perché questo stato dei cromosomi è
semplicemente un “hallmark” di ciascuna delle diverse
fasi della mitosi ma succedono molte altre cose meno
facilmente visibili.

Profase
Nella tarda fase S/inizio della fase G2: la cellula
comincia a prepararsi per la divisione cellulare, questo
sia perché c’è un “commitment” molto forte se la
cellula ha replicato il suo DNA, sia perché il suo
destino normalmente dovrebbe essere quello di
dividersi. Questo avviene con la duplicazione dei
centrosomi. Un centrosoma è un punto della cellula
da cui partono tutti i microtubuli. I microtubuli partono da un anello di γ-tubulina che si trova sulla
superficie del centrosoma e si diramano circa dal centro della cellula verso tutte quante le direzioni
(infatti il centrosoma è in genere adiacente al nucleo). La duplicazione dei centrosomi è
contemporanea ad altri cambiamenti: infatti, simultaneamente, i cromosomi iniziano a condensarsi
in corrispondenza del centromero del cinetocore (il
cinetocore è una piattaforma proteica, che servirà durante
la mitosi). Abbiamo poi la disgregazione dell’involucro
nucleare, dovuto alla fosforilazione della lamina nucleare
(cioè della proteina filamentosa che si trova all’interno del
nucleo sotto l’involucro nucleare che quando fosforilata
perde la sua struttura). L'involucro non sparisce ma si
riorganizza in piccole vescicole all’interno delle quali
rimarranno tutti i complessi del polo e le membrane
nucleari che poi si assembreranno nuovamente nei due
nuclei dopo la mitosi. E poi scompare il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi, che
esattamente come l’involucro nucleare si frammentano in piccole vescicole. Differentemente gli
altri organelli di membrana come i mitocondri e i lisosomi restano lì nel citoplasma.

- completata la disgregazione dell’involucro nucleare si inizia a formare il fuso mitotico,


formato dai due centrosomi che cominciano a essere connessi tra di loro da coppie di
microtubuli che si incontrano al centro a metà strada.
A questo punto abbiamo la possibilità di identificare diversi microtubuli: i cosiddetti aster o
astrali che si ramificano verso tutte le direzioni e i microtubuli del fuso che vanno a
connettere tra loro le due strutture che si dipartono dai due centrosomi. Il fuso si fa sempre
più esteso, e alcuni microtubuli cominciano a prendere contatto con i cromosomi. Tale
contatto non avviene direttamente poiché i cromosomi sono fatti di DNA con cui i
microtubuli non sono capaci di interagire direttamente ma attraverso il cinetocore, che è
una struttura proteica che si forma in corrispondenza del centromero. Il centromero invece
è una regione presente in tutti quanti i cromosomi, esso contiene del DNA che è altamente
ripetuto, cioè ci sono centinaia di volte le stesse sequenze (chiaramente il contenuto
informativo è nullo, non è il dna che codifica per proteine o per qualsiasi tipo di trascritto, è
una porzione di DNA che svolge prettamente un ruolo strutturale, cioè che ha la capacità di
interagire con le proteine del cinetocore per permetter l’assemblaggio del cinetocore, grazie
al quale ciascun cromosoma prenderà contatto con uno dei microtubuli che provengono dal
fuso mitotico). Dunque a questo punto abbiamo i cromosomi replicati (quindi ciascun
cromosoma è formato dopo la fase S da due cromatici fratelli, i quali differiscono dai
cromosomi omologhi, perché I cromatidi fratelli hanno sequenza genomica esattamente
identica perché derivano dalla duplicazione dello stesso DNA. I cromosomi omologhi
invece, la cui interazione sarà importante nella meiosi, sono due cromosomi che
contengono gli stessi geni nello stesso ordine ma possono contenere alleli diversi perché
sono uno originati dal padre uno originati dalla madre).
I cromatidi fratelli sono tenuti insieme da una proteina
chiamata coesina e condensati da una proteina che si
chiama condensina. Mano a mano che il cromosoma si
condensa, la coesina permane solo in presenza del
centromero (e il cromosoma mitotico ha questa struttura
altamente condensata in cui i cromatidi fratelli sono legati
da poche molecole di coesina che rimangono in
corrispondenza del centromero). Contemporaneamente
questa gialla sola piattaforma proteica che si assembla
sul centromero in corrispondenza del DNA altamente
ripetuto.

L’involucro nucleare sparisce in virtù del fatto che è


stato fosforilato (ciò avviene tra l’Interfase e la
profase). La fosforilazione della lamina nucleare
permette la disgregazione dell’involucro nucleare. (
la fosforilazione è un esempio molto chiaro di come
una modificazione post traduzionale può modificare
il comportamento di una proteina senza bisogno di
degradarla e poi ricostruirla perché da un punto di
vista energetico sarebbe dispendioso e molto più
lento per la cellula. La semplice fosforilazione
permette la disgregazione, infatti poi ci sarà il
processo inverso cioè la defosforilazione della
lamina nucleare che avviene alla fine della mitosi e
permetterà il riformarsi dell’involucro nucleare ( a quel punto saranno due perché ci saranno due
gruppi di cromosomi).

Questa immagine mette in evidenza la presenza di


tre tipi di microtubuli del fuso mitotico (Il fuso
mitotico fa riferimento all’intera struttura formata dai
due centrosomi e tutti i microtubuli). i microtubuli
astrali si dipartono in varie direzioni ma non verso
l’altro centrosoma. Dopo l'aggancio dei cromosomi
possiamo ulteriormente suddividere i microtubuli
che si propendono verso il centro della cellula: i microtubuli del cinetocore che sono agganciati
ai cromosomi e i microtubuli polari che si agganciano fra di loro, ciascun microtubuli polare con
quello proveniente dal centrosoma opposto. Questo sarà importante nella anafase, nella
separazione dei cromosomi, perché è uno dei meccanismi che permettono di tirare i cromosomi da
due parti opposte.

I microtubuli si inseriscono sul cinetocore. È un meccanismo molto importante del controllo al


legame con il cromosoma. Il meccanismo è capace di ripartire i due cromatidi fratelli nelle due
cellule figlie solo se l'aggancio dei due microtubuli al cinetocore avviene perfettamente. Ciò
significa che ci deve essere un microtubulo che proviene da un estremità agganciata su un lato del
cinetocore e un microtubulo che proviene dall'estemità opposta che si aggancia all’altro lato del
cinetocore. Questa non è un meccanismo così semplice da controllare per la cellula, eppure
questo è uno dei controlli più importanti, un “checkpoint” del ciclo cellulare che, prima della
anafase, (momento in cui i cromatidi fratelli vengono ripartiti nelle due cellule figlie) controlla che
questo aggancio sia avvenuto correttamente. L'aggancio del microtubulo al cinetocore è
stabilizzato dal fatto che ci sia una tensione: se non si formerà tensione il microtubulo tenderà a
staccarsi. Quindi c’è un meccanismo di tentativi ed errori che viene ripetute iterativamente fintanto
che non c’è la generazione di una tensione che stabilizza l'aggancio dei microtubuli da un lato e
dall’altro (questa è la configurazione corretta).
Dunque la configurazione corretta in virtù della tensione associata a entrambi i lati è stabilizzata
mentre tutte le conformazioni errate, in virtù dell’assente tensione, sono instabili e quindi vengono
velocemente perdute. Tutti quanti i cromosomi saranno stabilmente associati al fuso soltanto
quanti tutti saranno nella corretta conformazione tramite un processo di “trial and error” che la
cellula fa.

Metafase

La metafase è la fase in cui il perfetto aggancio di tutti i


cromosomi al fuso porta all’allineamento dei cromosomi
sulla piastra metafasica.

Qui abbiamo la polimerizzazione dei microtubuli e


l'aggancio dei microtubuli al cinetocore
Anafase

L’ anafase avviene soltanto quando tutti i cromosomi sono


correttamente allineati al centro della cellula, e consiste nella
trazione che va a portare verso i poli opposti i cromatidi fratelli.
Dunque questo è il meccanismo che permette alla cellula di
assicurarsi di ripartire correttamente tutti quanti i cromosomi
perché i due cromatidi fratelli sono agganciati a microtubuli
provenienti da da estremità opposte del fuso fino al momento
in cui vengono ripartiti nelle cellule figlie.

Questo avviene tramite l’allungamento del fuso: questo può


essere diviso in due parti:
- in parte c’è l’accorciamento dei microtubuli del
cinetocore (cioè di quelli agganciati al cromosoma) che tirano
i cromosomi da parti opposte
- Un’altra parte riguarda i microtubuli polari ( quelli che
interagivano l’uno con l’altro partendo da cinetocori opposti)
che scorrono e si allontanano e quindi spingono i due
centrosomi ai poli opposti della cellula insieme con i
cromosomi che sono stati agganciati.

Telofase

Nella telofase si cominciano a riformarsi/ abbiamo due


nuclei, la cromatina si condensa, si riformano i nucleoli (ciò
riguarda le cellule animali; nelle cellule vegetali c’è un
meccanismo totalmente diverso) e si comincia a formare il
solco di scissione. Il solco di scissione è formato da filamenti
di actina che si contraggono (essendo i filamenti di actina
ancorati alla membrana cellulare, essi man mano che si
accorciano per la contrazione si portano con sé la membrana
cellulare e quindi questo provoca progressivamente la separazione.


Citodieresi

Arriviamo allora alla citodieresi o citoconesi che è la


separazione fisica delle cellule figlie con la separazione dei
citoplasmi e quindi con la ripartizione di tutti quanti gli organelli
citoplasmatici (ribosomi, perossisomi, ecc…) che sono ripartiti su
base probabilistica tra le due cellule.

RIPARO DEL DANNO AL DNA


Il danno al dna è quello che avviene in una varietà di condizioni.
[il danno al dna e la mutazione sono due cose diverse]

In questa immagine sono rappresentate diverse categorie di danno al dna. Vedete che sono
alterazioni della molecola di dna. Tra queste troviamo:
- single strand break = cioè la rottura di un singolo filamento
- Lesioni che sono alla formazione di dimeri, dovuti in genere all’ irradiamento con raggi
ultravioletti che promuovono la formazione di legami tra basi consecutive
- Mismatch = causano il cambiamento della geometria del dna
- Double stand break
Tutti questi sono esempi di danno alla molecola di dna.

La molecola di dna si presenta con una geometria, con dei legami che non sono quelli canonici
della normale molecola di dna

[Una molecola che invece contiene al suo interno una mutazione è una molecola di dna perfetta
dal punto di vista formale funzionante, perché non ha un danno.
Una mutazione è un qualcosa di cui la cellula non può rendersi conto, è una sequenza di dna
diversa dal wild type che può avere delle conseguenze ( certamente non è detto che sia
necessariamente una cosa negativa o positiva), ma è un cambiamento della sequenza di dna che
è avvenuto su tutte e due le basi interessate al cambiamento di sequenze e dunque è presente in
una molecola di dna perfettamente regolare.

il danno al dna è invece un’alterazione della molecola di dna che rende la cellula non funzionale.
È dunque potenzialmente riconoscibile e quindi anche riparabile dalla cellula.
A seguito del tentativo di riparare il dna da parte della cellula possono esserci diversi esiti: il
perfetto riparo del dna, che avviene nella maggior parte dei casi; oppure riparo che avviene con
introduzione di mutazioni. Ciò accade di tanto in tanto, la mutazione è una caratteristica di tutti gli
esseri viventi ed è il fenomeno alla base dell’evoluzione, senza la quale gli organismi viventi in
presenza di cambiamenti ambientali potrebbero inesorabilmente estinguersi senza progenie
perché non hanno la capacità di adattarsi alle condizioni ambientali cambiate. Esiste tuttavia un
altro esito in cui la cellula è sopraffatta dal danno al dna e non riesce a ripararlo correttamente.
Nelle cellule eucariotiche e dunque in quelle umane viene attivata la morte programmata della
cellula che si chiama apoptosi, che è un meccanismo che fa morire in maniera ordinata la cellula
in maniera che tutti i suoi costituenti possano essere riciclati senza determinare informazione. È
dunque un sistema di allarme nelle cellule circostanti, e ovviamente prevenendo la possibile
insorgenza di malattie che possono essere causate dall’accumulo eccessivo di mutazioni in quella
cellula e che interesserebbero e danneggerebbero l’intero organismo.

Il dna può essere danneggiato da diversi fattori:


- i dimeri di timina si formano in seguito
all’esposizione ai raggi ultravioletti.
- Specie reattive dell’ossigeno possono
portare a cambiamenti all’interno di nucleotidi .
- durante la replicazione la topoisomerasi
funziona correttamente perché c’è uno stress che
blocca la forcella di replicazione provoca una pausa.
La ripresa della sintesi di dna può essere avvenuta
con dei danno.
- Possono esserci dei mismatch anche per
questioni probabilistiche, il meccanismo di esonucleasi (meccanismo di correzione delle
bozze della dna polimerasi non è perfetto, può identificare nucleotidi sbagliati che ha un
tasso di errore intrinseco)
Quindi normalmente, quotidianamente le cellule si trovano ad affrontare una varietà dna
danneggiato che deve essere ripartito.

Per affrontare questa quotidianità le cellule sono


dotate di macchinari di riparo al danno al dna,
che sono dei complessi proteici che scansionano
costantemente la molecola di dna: non fanno
assolutamente nulla quando trovano la molecola
con la geometria e caratteristiche attese del dna
canonico mentre si attivano in risposta a danni al
dna.

Il danno al dna può essere riparato tramite


diversi meccanismi:
● Un meccanismo prevede l’escissione dei nucleotidi (escissione nucleotidica) che si
trovano presso la lesione.
● Altri meccanismi di riparazione che possono essere diversi a seconda del il pezzo del dna
in questione : se è oggetto di trascrizione in quel momento può avvenire una collisione tra
macchinario di riparo e il macchinario di trascrizione o se il danno al dna si trova invece in
una regione che in quel momento non è attivamente trascritta.

Questi sono corretti da proteine.


Tutte le proteine che sono coinvolte nel riparo al dna laddove sono mutate sono associate allo
sviluppo di sindromi caratterizzata dall’eccessivo accumulo di danno al dna ( a seconda della
prevalenza del tessuto in cui è importante quel particolare enzima o quelle proteine di riparo al dna
come le proteine associate all'anemia di Fanconi che sono delle proteine di riparo del dna
importanti nel sistema emopoietico, abbiamo il gene BRCA1 e BRCA2 che sono due geni la cui
mutazione associata al tumore al seno, alle ovaie, alla prostata. Abbiamo una varietà di proteine
che sono coinvolte in questi meccanismi che purtroppo laddove mutate, in virtù al mancato riparo
del danno al dna sono associate allo sviluppo di patologie.

Cosa avviene nel riparo del danno al dna?


Abbiamo diverse fasi:
- in cui c’è prima il reclutamento di fattori specifici
che vanno ad aprire la doppia elica del dna.
- Abbiamo l’escissione del dimero in questo caso di
timina che si è formato ma di tutta quanta una serie di
nucleotidi a monte e a valle.
- Successivamente viene reclutata la dna
polimerasi Delta/epsilon che è una dna polimerasi
specificamente deputata a essere utilizzata nel riparo (in
questo caso non ha bisogno di una primasi perché ci sarà una estremità 3’ disponibile a
monte)
- Poi abbiamo la dna ligasi che sigillerà i due monconi di dna che hanno il legame
fosfodiestere

In alcuni casi non è necessaria la rimozione del filamento ma è sufficiente l’escissione della
base. La differenza qui è se è tutto il nucleotide che viene scisso (per nucleotide facciamo
riferimento ciò che è composto non solo dalla base azotata ma anche dallo zucchero
desossiribosio e il fosfato associato).

Nel base excision repair c’è invece solo l’escissione della base. Il backbone della molecola,
composto da fosfato e zuccheri, viene mantenuto in posizione, mentre viene rimpiazzata solo
quella singola base e non tutto lo stretch di nucleotidi che sono circostanti alla lesione.

Questi sono i tipi di riparo:


-nuclear excision repair (NER)
-base excision repair (BER)
essi intervengono quando ci sono dei danno che
influenzano nucleotidi, quindi in caso di mismatch, in
caso di deamminazione dei nucleotidi che quindi
vengono convertiti in basi non canoniche o come
vedete qui nell’immagine sopra in uracile. in rosa è
rappresentato accoppiato alla guanina che non
dovrebbe esserci, ma la deamminazione della citosina
produce un uracile e quindi il sistema di riparo del dna
individua che c’è una base non canonica e recluta il BER per rimuoverla.

Cosa succede quando c’è la rottura del doppio


filamento?
In questo caso il BER o il NER non sono
meccanismi di riparo che possono funzionare, ma
ci sono in questo caso due meccanismi principali
di riparazione che sono alternativi. Essi hanno
caratteristiche molto diverse tra loro, in particolare
c’è
- il non homologous end joining (l’unione
di due estremità non omologhe, cioè le due
estremità che si sono formate dal danno al dna)
che si limita in maniera estremamente
semplicistica ad associare i due monconi che si sono formati: è chiaro che in questo caso è
quasi sicura la perdita di informazione perché non sappiamo se qui c’è stato un danno che
semplicemente consisteva in una rottura dei due filamenti o se qualche nucleotide fosse
andato perduto. In parte anche perché è lo stesso meccanismo di riparo del danno del
“non homologous end joining" che talvolta rimuove alcuni nucleotidi all’estremità prima di
riunire insieme i due filamenti. Dunque questo è un meccanismo che viene definito “error
prone” che è soggetto alla possibilità di andare incontro ad errori.

- L’alternativa è la ricombinazione omologa che è un meccanismo che viene utilizzato in


particolare durante la fase G2 , quando i cromatidi fratelli sono già presenti perché c’è già
stata la replicazione e del dna. Nella ricombinazione omologa viene usato un filamento di
dna che ha una sequenza omologa come uno stampo: una di queste viene unita e
parzialmente svolta. Questo genera un filamento singolo che va a cercare la sequenza
omologa nel cromatide fratello. Nel cromosoma omologo si appaia e viene allungato per poi
ritornare al suo posto e utilizzare questa estremità che è stata allungata in modo da
ricostruire la sequenza. Poiché si fa riferimento ad uno stampo di una molecola di dna
diversa, in questo caso la cellula tende a non commettere errori nella riparazione del dna.

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