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La scorsa lezione abbiamo analizzato i meccanismi attraverso cui viene regolata l’espressione
genica nelle cellule eucariotiche. Con i procarioti la questione è relativamente semplice con il
modello dell’operone inducibile o reprimibile, mentre nel caso degli eucarioti la questione è
estremamente più complessa e di fatto la regolazione dell’espressione di un singolo gene è il
prodotto della combinazione di un gran numero di meccanismi regolatori che fanno affidamento sui
fattori di trascrizione. Negli eucarioti più che un ingombro sterico che impedisce il passaggio
dell’RNA polimerasi (cosa che avviene nei batteri ad opera dei repressori), abbiamo che i fattori di
trascrizione agiscono da attivatori quindi sono in grado di aumentare l’intensità di trascrizione di un
determinato gene, che dipende dal numero di RNA polimerasi che nell’unità di tempo partono dal
promotore per effettuare una copia del trascritto. Questo è un evento che in una certa misura è
casuale, ma che dipenderà dalla concentrazione per esempio dell’RNA polimerasi nelle vicinanze
del promotore.
Queste sono alcune delle modifiche possibili, in realtà vi è un numero estremamente grande di
modifiche. Definiamo codice istonico o epigenetico le modifiche a carico di istoni che non vanno ad
influire sulla sequenza del DNA ma in qualche modo possono mediare una repressione della
trascrizione che può anche essere piuttosto duratura (ma non completamente irreversibile) e la
cellula figlia tende a mantenere lo stesso status di regioni aperte e chiuse della cromatina della
cellula madre. Quindi questi meccanismi permettono il mantenimento di questa specie di memoria
cellulare, anche se non c’è una completa ereditarietà di questi fenomeni, permettono comunque a
livello del differenziamento uno stato non accessibile della cromatina di geni che in quel particolare
tessuto non devono essere espressi e viceversa.
Ovviamente così come è possibile attivare la trascrizione vi sono proteine che sono state
selezionate nel corso dell’evoluzione che svolgono il ruolo contrario, i repressori, anch’essi reclutati
dal legame con sequenze consensus (e quindi anche loro hanno un dominio di legame con il DNA
simili a quelli visti finora) ma che esercitano l’effetto opposto. Infatti invece di reclutare gli enzimi
che acetilano i nucleosomi reclutano enzimi che deacetilano, ovvero gli enzimi istone deacetilasi
HDAC, che sono in grado di rimuovere il gruppo acetile (effetto del gruppo acetile è quello di
rendere la cromatina più aperta) e così facendo rendono la cromatina più compatta. Inoltre,
possono anche essere reclutate delle istone metiltransferasi che hanno come substrato per
esempio la lisina 9, la cui metilazione compatta la proteina. Sono meccanismi tramite cui
specifiche proteine possono essere utilizzate in corrispondenza di un promotore di una regione
genica per silenziare l’espressione genica. Dal bilanciamento nel reclutamento sul promotore e
sugli enhancer che regolano un certo numero di attivatori o repressori dipenderà poi il risultato
finale in termini di abbondanza dell’mRNA che viene prodotto da quel particolare gene.
Vi è un ulteriore livello di
regolazione, che procede attraverso
una modifica del DNA. Consiste
nell’aggiunta dei gruppi metile
direttamente su una delle basi del
DNA. Si tratta di un fenomeno
conservato in tutti i regni (batteri,
archea, eucarioti) e il nucleotide che
viene principalmente metilato è la
citosina, nella posizione 5 dell’anello
della citosina (si parla di 5
metilcitosina).
Regolazione post-trascrizionale
La regolazione dell’espressione genica può avvenire anche a livello post trascrizionale. Vi sono
una serie di meccanismi che permettono di effettuare un ulteriore controllo dell’espressione genica.
Splicing alternativo
Innanzitutto abbiamo un
fenomeno che si chiama splicing
alternativo, ulteriore livello di
complessità dello splicing che
presenta delle differenze rispetto
a quest’ultimo. Lo splicing
avviene necessariamente per
ogni gene che contiene introni
(nella specie umana più del 99%
dei geni contengono introni),
mentre quello alternativo accade
solo in alcuni geni laddove lo
spliceosoma (macchinario di
splicing) salta alcuni esoni. Il
gene nell’immagine ha forme
diverse di RNA messaggeri,
isoforme in cui la prima contiene
tutti gli esoni codificati dal gene,
nella seconda il macchinario di
splicing ha saltato l’esone 3, che non è compreso nell’mRNA maturo. Il macchinario di splicing
lavora reclutando componenti dello splicing in corrispondenza di sequenze consensus che si
trovano al margine tra un introne ed un esone. Ma se questa sequenza consensus è mascherata
da una proteina oppure ha una sequenza leggermente diversa e non viene riconosciuta in assenza
di una proteina accessoria del macchinario di splicing, questo proseguirà nell’mRNA e troverà la
sequenza successiva. In questo modo l’esone 3 se ne va come se fosse un introne. Questo
meccanismo può far sì che un singolo gene tramite questi mRNA possa codificare per proteine
diverse, proteine che contengono diversi domini. Nella maggior parte dei casi queste differenze
sono piuttosto marginali e vanno a codificare per isoforme diverse della stessa proteina espressa
in tipi cellulari diversi e che ricoprono ruoli simili anche se non perfettamente identici. Vi sono
proteine che in un certo contesto devono interagire con alcune proteine tramite un determinato
dominio di interazione, mentre in un altro contesto hanno dei partner per quella funzione. Ma ci
sono anche casi in cui lo splicing alternativo può alterare completamente la funzione della proteina.
Ci sono per esempio dei fattori di trascrizione in cui lo splicing alternativo può far saltare gli esoni
che codificano per il dominio di transattivazione. Le due proteine che si vengono a formare
saranno una che contiene il dominio di transattivazione e quindi attiverà la trascrizione, mentre la
sua isoforma codifica per lo stesso fattore che ha solo il dominio di legame al DNA e codificherà
per una proteina che reprime la trascrizione; questo perché si lega esattamente nello stesso punto,
quindi compete per il legame in quel pezzo di DNA ma non ha il dominio di transattivazione, quindi
andrà a spiazzare il vero fattore di trascrizione. Quindi per splicing alternativo possiamo avere
anche proteine che hanno funzioni considerevolmente diverse tra loro a partire dallo stesso gene.
Qui abbiamo alcuni esempi di
proteine e vediamo che nel
campo delle proteine che
regolano l’apoptosi lo splicing
alternativo può far sì che uno
stesso gene codifichi per un
polipeptide che è pro
apoptotico (promuove la morte
cellulare programmata) oppure
anti apoptotico (previene la
morte cellulare programmata).
In altri casi le isoforme sono
diverse a seconda che
vengano espresse in fasi
diverse dello sviluppo, ad
esempio il gene PKN codifica
per le proteine PKN1 negli
adulti, PKN2 normalmente espressa nel contesto embrionale e in maniera patologica nei tumori.
Nel caso del VEGF che codifica per un fattore angiogenico, saltare o meno una porzione
dell’esone 8 determina che la proteina risultante possa promuovere la formazione di vasi sanguigni
oppure no.
Il legame di alcune proteine (RNA binding proteins) può influenzare lo splicing ottenuto, quindi in
alcuni casi ci sono proteine appartenenti alla famiglia SR che favoriscono il riconoscimento di una
particolare sequenza consensus e altre proteine di una vasta famiglia chiamata hnRNP sono in
genere inibitorie dello splicing, ovvero laddove si legano favoriscono il salto di quella particolare
regione di splicing. Sia le proteine SR che le hnRNP sono delle famiglie abbastanza abbondanti,
con diversi membri espressi differenzialmente in diversi tessuti o contesti. L’isoforma di splicing
che in una particolare cellula sarà espressa dipende da quali proteine SR o hnRNP sono espresse
in quel tessuto e quali faranno si che alcune giunzioni di splicing vengano promosse (quindi c’è il
reclutamento del complesso di splicing che viene utilizzato) e altre no. Ricordiamo come il fatto di
non utilizzare la giunzione di splicing mascherandola porta il macchinario a usare quella
successiva. Basta una proteina che mascheri la giunzione di splicing affinchè l’esone venga
saltato. Oppure in caso complementare, per la promozione basta che ci sia una proteina che
favorisce lo splicing. Il meccanismo è quindi finemente regolato.
La regolazione può essere anche attuata a livello della traduzione, nonostante la stabilità
dell’mRNA non venga influenzata, è comunque possibile che questo sia o meno tradotto.
MicroRNA
Un ulteriore livello di
complessità è dovuto ai
microRNA. Si tratta di piccoli
RNA formati da circa 20
nucleotidi, i quali sono in grado
di appaiarsi con la regione UTR
dell’mRNA. Questi microRNA
fanno parte di un complesso
che si chiama complesso di
silenziamento mediato
dall’RNA, detto complesso
RISC, il cui componente
principale è rappresentato dalle
proteine argonauta e sono
capaci di bloccare l’inizio della
traduzione e reclutare fattori
che promuovono la deadenilazione e il decapping di questi messaggeri bersaglio. I messaggeri
bersaglio vengono riconosciuti per la complementarietà delle basi, quindi c’è una regione dei
microRNA che va dal secondo nucleotide fino al settimo/ottavo che deve essere necessariamente
appaiata, mentre nella regione restante sono tollerati anche un certo numero di non appaiamenti.
Quindi ci sarà un gruppo di mRNA che sono bersaglio di questi microRNA che regolano
l’espressione genica a livello post trascrizionale.
RNA interference
Meccanismi di questo tipo seppur in piccolo sono presenti anche nelle cellule eucariote: un
esempio ne è la beta-actina, necessaria per la migrazione dei fibroblasti. La sua presenza è infatti
più necessaria verso i confini della cellula che si sta estendendo (immagine d).
Abbiamo poi un ulteriore livello di regolazione, stavolta a livello del controllo dell’abbondanza del
prodotto finale dell’espressione genica: le proteine. Questo avviene grazie a due principali mezzi: il
proteasoma, grosso complesso proteico situato nel citoplasma e che è in grado di degradare
specifici polipeptidi purché questi siano marcati da catene di ubiquitina (le proteine poliubiquitinate
sono marcate come target per i proteasomi).
Possiamo notare la presenza di un canale centrale in questa struttura , all’interno del quale sono
presenti enzimi per la degradazione del polipeptide che passa attraverso il canale (rompono
legame peptidico). La proteina verrà prima denaturata e poi, una volta resa lineare, verrà
degradata dal proteasoma.
Per parlare di replicazione del DNA dobbiamo introdurre il concetto di ciclo cellulare.
Mentre i procarioti finché sono presenti nutrimento ed energia in abbondanza continuano a
riprodursi il più possibile, negli eucarioti soprattutto pluricellulari questa strategia non è affatto
funzionale, anzi quando ci troviamo di fronte a un accrescimento eccessivo è spesso patologico. Il
ciclo cellulare è quindi quella serie di eventi che intercorrono tra una replicazione cellulare e la
successiva, con passaggi di fase finemente regolati da meccanismi complessi.
È suddiviso in:
● Fase mitotica (o fase M): fase molto breve durante la quale la cellula si divide in due cellule
figlie
● Interfase: tutto il resto del ciclo cellulare, durante il quale la cellula si prepara alla divisione.
● Mitosi: fase durante la quale il materiale genetico è ripartito in maniera identica fra le due
cellule figlie; momento più complicato della divisione cellulare.
● Citocinesi /citodieresi: ripartizione meno precisa e più probabilistica del materiale cellulare
Nell’uomo abbiamo 46 cromosomi (23 coppie) in tutte le cellule del corpo (diploidi), tranne nei
gameti in cui ne abbiamo 23 (aploidi).
Più recentemente per confermare questa teoria sono stati usati marcatori di DNA che risultavano
assenti dopo la seconda generazione, avvalorando così la teoria semiconservativa.
La replicazione del DNA avviene a partire da un’origine di replicazione grazie alla formazione di
una struttura detta forcella o forca di replicazione, formando le due regioni parentali che faranno da
stampo ai neo-filamenti.
Oltre a questi enzimi è necessaria anche una proteina detta SSB (single strand binding)
Questa proteina serve perché i legami H del
DNA, anche se rotti dall’ elicasi tendono
spontaneamente a riformarsi. Per prevenire la
riformazione le SSB legano il DNA a singolo
filamento fino all’ arrivo della DNA polimerasi
che scalza via leSSB e sintetizza il nuovo
filamento.
Come dicevamo la DNA polimerasi funziona
solo se è presente un innesto di RNA ma che
fine fanno tutti i primer di RNA all’inizio di ogni
frammento di Okazaki? Ovviamente l’RNA
non è mantenuto visto che la molecola finale è
formata solo da DNA. Questo avviene grazie alla DNA polimerasi che prima rimuove l’RNA, poi
arriva a sintetizzare fino all’ultimo nucleotide, riempiendo il gap lasciato dal primer. Infine ligasi
sigilla le due estremità.
Questa immagine ci aiuta a comprendere
come, sebbene le 2 DNA polimerasi
sintetizzino 2 filamenti diversi esse
appartengano ad una stessa struttura proteica.
Il processo di replicazione avviene quindi
come mostrato in figura, con il filamento in
ritardo che si piega in questa conformazione
particolare per permettere alle due DNA
polimerasi di procedere associate.
La replicazione ha quindi inizio grazie alle origini di replicazione, ed è grazie alla regolazione delle
stesse che la cellula evita un secondo inizio di replicazione.
Negli eucarioti questo meccanismo è un pò più raffinato, visto che la replicazione deve rispondere
alla regolazione del ciclo cellulare. Questa regolazione è gestita da delle proteine dette cicline (
che introdurremo quando parleremo del ciclo cellulare) che agiscono insieme agli enzimi CDK (
chinasi cicline dipendenti). Questi enzimi sono in grado di fosforilare una serie di proteine bersaglio
che si trovano sui siti di inizio replicazione e quindi attivare le origini di replicazione, determinando
l’ingresso della cellula nella fase S.
Però questo meccanismo non può essere sostenibile generazione per generazione, perché ad un
certo punto accorcia, accorcia, accorcia, la parte finale del cromosoma verrà tutta quanta
consumata e cominceremo a perdere l’informazione genetica, cosa che ovviamente non può
essere accettabile.
Quindi in alcuni tipi cellulari specifici, in particolare nelle cellule della linea germinale e in una certa
misure nelle cellule staminali (quelle che sono pronte a proliferare per generare nuove cellule o in
risposta al danno o perché questo è quello che normalmente avviene, ci sono tanti tessuti che
vengono continuamente rigenerati per tutta la durata della nostra vita (per esempio la pelle o il
sistema immunitario). In queste cellule è attivo un enzima particolare che si chiama telomerasi.
La telomerasi è una DNA polimerais speciale perché non utilizza una molecola di dna come
stampo ma “si porta appresso” il suo stampo sotto forma di una molecola di RNA
[questo rappresentato in rosa è una molecola di RNA che è incorporato in questo enzima (è un
altro esempio di ribozima, il terzo che incontriamo)]
La telomerasi è un enzima molto importante, malattie genetiche che colpiscono questo enzima
determinano una senescenza precoce di alcuni tessuti che quindi non possono più essere
rinnovati e tipicamente si manifestano all’interno di una famiglia con fenotipo via via più severo
generazione dopo generazione (quindi il primo individuo che porta questa mutazione che si rende
conto di avere un fenotipo, una malattia intorno ai 50 anni per esempio, il figlio se ne rende conto
intorno ai 30 e il nipote che invece già nell'infanzia può dimostrare alcuni sintomi o alcuni difetti
potenzialmente anche molto gravi.
La telomerasi è molto importante anche perché questo meccanismo dei telomeri è un meccanismo
di protezione intrinseco contro lo sviluppo dei tumori, perché le cellule somatiche (ovvero le cellule
terminalmente differenziate nel nostro organismo) non esprimono la telomerasi è questo significa
che se accumulano un certo numero di mutazioni che le portano a proliferare in maniera
incontrollata comunque dopo qualche decina di replicazioni avranno un tale accorciamento dei
telomeri da andare incontro a quella che viene definita comunemente una “crisi proliferativa” dalla
quale normalmente non si salva nessuna cellula del clone, e quindi di fatto questa cellula che
aveva cominciato a proliferare in maniera incontrollata va incontro a senescenza e muore. Questo
succede perché quando i telomeri non sono più correttamente rigenerati, i monconi che si formano
al termine dei cromosomi vengono riconosciuti dal sistema di riparo del DNA come un danno del
dna che non può essere riparato e questo innesca una apoptosi (questo lo vedremo tra poco).
Ma invece purtroppo può avvenire invece che ci siano rare mutazioni che in maniera aberrante
permettono l’espressione della telomerasi in cellule che invece non dovrebbero farlo (questa è una
delle tante mutazioni che si devono accumulare in una stessa cellula per trasformarla in una cellula
tumorale).
MITOSI
Arriviamo adesso alla fase M (mitosi) che è la fase del ciclo cellulare nella quale avviene la
ripartizione del materiale nucleare tra le due cellule figlie (per materiale nucleare si parla di
cromosomi).
La mitosi si divide in quattro diverse fasi che sono chiamate profase, metafase, anafase e
telofase.
Adesso andiamo a vedere più nel dettaglio cosa succede perché questo stato dei cromosomi è
semplicemente un “hallmark” di ciascuna delle diverse
fasi della mitosi ma succedono molte altre cose meno
facilmente visibili.
Profase
Nella tarda fase S/inizio della fase G2: la cellula
comincia a prepararsi per la divisione cellulare, questo
sia perché c’è un “commitment” molto forte se la
cellula ha replicato il suo DNA, sia perché il suo
destino normalmente dovrebbe essere quello di
dividersi. Questo avviene con la duplicazione dei
centrosomi. Un centrosoma è un punto della cellula
da cui partono tutti i microtubuli. I microtubuli partono da un anello di γ-tubulina che si trova sulla
superficie del centrosoma e si diramano circa dal centro della cellula verso tutte quante le direzioni
(infatti il centrosoma è in genere adiacente al nucleo). La duplicazione dei centrosomi è
contemporanea ad altri cambiamenti: infatti, simultaneamente, i cromosomi iniziano a condensarsi
in corrispondenza del centromero del cinetocore (il
cinetocore è una piattaforma proteica, che servirà durante
la mitosi). Abbiamo poi la disgregazione dell’involucro
nucleare, dovuto alla fosforilazione della lamina nucleare
(cioè della proteina filamentosa che si trova all’interno del
nucleo sotto l’involucro nucleare che quando fosforilata
perde la sua struttura). L'involucro non sparisce ma si
riorganizza in piccole vescicole all’interno delle quali
rimarranno tutti i complessi del polo e le membrane
nucleari che poi si assembreranno nuovamente nei due
nuclei dopo la mitosi. E poi scompare il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi, che
esattamente come l’involucro nucleare si frammentano in piccole vescicole. Differentemente gli
altri organelli di membrana come i mitocondri e i lisosomi restano lì nel citoplasma.
Metafase
Telofase
‘
Citodieresi
In questa immagine sono rappresentate diverse categorie di danno al dna. Vedete che sono
alterazioni della molecola di dna. Tra queste troviamo:
- single strand break = cioè la rottura di un singolo filamento
- Lesioni che sono alla formazione di dimeri, dovuti in genere all’ irradiamento con raggi
ultravioletti che promuovono la formazione di legami tra basi consecutive
- Mismatch = causano il cambiamento della geometria del dna
- Double stand break
Tutti questi sono esempi di danno alla molecola di dna.
La molecola di dna si presenta con una geometria, con dei legami che non sono quelli canonici
della normale molecola di dna
[Una molecola che invece contiene al suo interno una mutazione è una molecola di dna perfetta
dal punto di vista formale funzionante, perché non ha un danno.
Una mutazione è un qualcosa di cui la cellula non può rendersi conto, è una sequenza di dna
diversa dal wild type che può avere delle conseguenze ( certamente non è detto che sia
necessariamente una cosa negativa o positiva), ma è un cambiamento della sequenza di dna che
è avvenuto su tutte e due le basi interessate al cambiamento di sequenze e dunque è presente in
una molecola di dna perfettamente regolare.
il danno al dna è invece un’alterazione della molecola di dna che rende la cellula non funzionale.
È dunque potenzialmente riconoscibile e quindi anche riparabile dalla cellula.
A seguito del tentativo di riparare il dna da parte della cellula possono esserci diversi esiti: il
perfetto riparo del dna, che avviene nella maggior parte dei casi; oppure riparo che avviene con
introduzione di mutazioni. Ciò accade di tanto in tanto, la mutazione è una caratteristica di tutti gli
esseri viventi ed è il fenomeno alla base dell’evoluzione, senza la quale gli organismi viventi in
presenza di cambiamenti ambientali potrebbero inesorabilmente estinguersi senza progenie
perché non hanno la capacità di adattarsi alle condizioni ambientali cambiate. Esiste tuttavia un
altro esito in cui la cellula è sopraffatta dal danno al dna e non riesce a ripararlo correttamente.
Nelle cellule eucariotiche e dunque in quelle umane viene attivata la morte programmata della
cellula che si chiama apoptosi, che è un meccanismo che fa morire in maniera ordinata la cellula
in maniera che tutti i suoi costituenti possano essere riciclati senza determinare informazione. È
dunque un sistema di allarme nelle cellule circostanti, e ovviamente prevenendo la possibile
insorgenza di malattie che possono essere causate dall’accumulo eccessivo di mutazioni in quella
cellula e che interesserebbero e danneggerebbero l’intero organismo.
In alcuni casi non è necessaria la rimozione del filamento ma è sufficiente l’escissione della
base. La differenza qui è se è tutto il nucleotide che viene scisso (per nucleotide facciamo
riferimento ciò che è composto non solo dalla base azotata ma anche dallo zucchero
desossiribosio e il fosfato associato).
Nel base excision repair c’è invece solo l’escissione della base. Il backbone della molecola,
composto da fosfato e zuccheri, viene mantenuto in posizione, mentre viene rimpiazzata solo
quella singola base e non tutto lo stretch di nucleotidi che sono circostanti alla lesione.