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BIOLOGIA MOLECOLARE PROTEINE

30/03

REGOLAZIONE DELLA TRADUZIONE

ANTIBIOTICI

Alcuni composti chimici hanno la capacita di interagire con il macchinario molecolare


responsabile della traduzione, sia la subunità minore che quella minore, legandosi alla regione
reattiva impedendone il funzionamento.

AMMINOGLICOSIDI (streptomicina, gentamicina, etc) queste molecole riconoscono la


subunità 30S e impediscono la tappa di inizio interferendo con il riconoscimento codone-anti
codone.

TETRACICLINE queste molecole agiscono impediscono l’inserimento degli aa-tRNA nel sito A.
sono essenzialmente atossiche per gli eucarioti in quanto non capaci di passare le membrane
citoplasmatiche. La resistenza dei batteri è dovuta all’evoluzione di un sistema di trasporto di
membrana che espelle tutte le molecole non endogene.

PUROMICINE sono analoghi della Tyr-tRNA e, grazie a questa similarità, riesce a legarsi al sito
A indipendentemente da EF-Tu e causa la terminazione precoce. Questa molecola è attiva anche
negli eucarioti.

KIRROMICINE hanno come bersaglio il fattore EF-Tu e ne impediscono il cambiamento


conformazionale durante il processo di traduzione bloccando il ribosoma.

CLOROFENICOLO in queste molecole è presente un legame ammidico molto simile a quello


peptidico il che gli permette di legarsi alla subunità 50S e di bloccare la sintesi proteica nei
procarioti, compresi i mitocondri e i cloroplasti, ma non ha effetto sui ribosomi citoplasmatici
eucariotici.

MACROLIDI (azilomicina, eritromicina) l’eritromicina ha la capacita di inibire la traslocazione


del complesso durante la traduzione legandosi alla subunità 23S del ribosoma e bloccando quindi
la tappa dell’allungamento. La resistenza insorge quando i batteri evolvono la capacita di metilare
una base critica per il legame in questione della subunità bersaglio.

TOSSINA DIFTERICA questa tossina è resa tale dall’infezione di un fago che inserisce il suo
genoma all’interno di quello di un batterio ospite rendendolo patologico. La tossina agisce
modificando l’ADP-ribosio al fattore eEF-2 (simile al fattore EF-G) inibendo la fase di
allungamento.

TOSSINA RICINA tossina vegetale composta da due catene:

- La catena B (lectina) che si lega alla superficie cellulare della cellula bersaglio e media
l’ingresso mediante endocitosi
- La catena A, che è un enzima con attività N-glicosidasica, taglia un’Adenina in posizione
4324 dell’rRNA 28S della subunità maggiore eucariotica inattivandola (questa attività è
altamente efficace facendo sì che una sola molecola possa uccidere una cellula intera)

Questa molecola, e le sue catena, è stata utilizzata per creare le immunotossine coniugate alla
catena B in modo che ci sia un dominio in grado di riconoscere una cellula bersaglio specifica,
come ad esempio una cellula tumorale.

RIPIEGAMENTO E TRASPORTO DI UNA PROTEINA

FOLDING DELLE PROTEINE

Teoricamente la sequenza di amminoacidi che costituisce una proteina è sufficiente a far sì che
la proteina si ripieghi a ottenere la sua struttura nativa.

La denaturazione è il processo tramite il quale una proteina perde la sua struttura nativa per
alterazione di una condizione ambientale mentre la rinaturazione è il processo inverso; questi
due processi sono generalmente reversibili per proteine semplici.

IN VITRO La struttura di una proteina è stabilizzata dalla presenza di interazioni di tipo


covalente e non che si oppongono all’entropia, fattore che invece rema contro al folding delle
proteine (si pensi che stiamo passando da una situazione altamente disordinata a una in cui una
molecola si ripiega ad ottenere una struttura ben definita). Gli amminoacidi non polari vengono
localizzati all’interno della struttura esponendo sulla superficie quelli carichi che possono avere
interazioni con il solvente in cui le proteine sono disciolte. Comunque, nonostante il ripiegamento
sia un processo energeticamente favorevole l’energia libera del complesso è relativamente molto
bassa con un ΔG = -5/15 kcal/mol, che equivale quasi all’energia di un legame a idrogeno.

03/04/17

Il ripiegamento di una proteina è un processo cooperativo nel quale molte interazioni si formano
in maniera concertata cosi che un piccolo numero di interazioni iniziali favorisce la formazione
di quelle successive. Molto raramente si possono trovare degli stadi intermedi sufficientemente
stabili e questi rappresentano forme della proteina che non porta ma alla struttura nativa (vicoli
ciechi): queste strutture intermedie si possono formare sia nel caso si formino delle interazioni,
ma non tutte, cosicché la proteina non sia totalmente strutturata (on pathway) sia nel caso in
cui si formino veri e propri vicoli ciechi in cui le interazioni che si sono formate sono sbagliate
e non permettono di
raggiungere lo stato
nativo (off pathway).
Quando si formano gli
stadi intermedi liberi
può accadere che
siano esposte le
regioni idrofobiche
della proteina
all’esterno; diverse
proteine che espongono queste regioni possono aggregare in maniera aspecifica; questa
condizione spesso porta a condizioni patologiche (come la neuro degenerazione). Gli intermedi,
quando aggregano, possono indurre stati non fisiologici sia sottraendo proteina nativa, formando
interazioni con essa, sia precipitato e portandosi con se proteine funzionali.

PONTI DISOLFURO

I ponti disolfuro conferiscono un vantaggio energetico


stabilizzando la struttura nativa ma diminuiscono anche la
probabilità di formare la corretta struttura nativa.
nell’immagine si vede la differente stabilita a parità di sequenza
nucleotidica ma a differente stato di formazione dei ponti
disolfuro (la curva rossa indica una proteina che ha un legame
SS). Il problema di queste interazioni covalenti nasce nel caso
in cui si debbano formare due legami di questo genere
(necessitiamo di 4 residui di cisteina): durante il folding può
accadere che si associno i residui non corretti che normalmente non dovrebbero interagire. I
ponti quindi contribuiscono a stabilizzare la struttura ma devono essere appaiati correttamente
per non dare origine a forme non produttive, dato che non è semplice rompere e riformare
questi legami.

IL PARADOSSO DI LEVINTAH nonostante la proteina denaturata abbia un numero enorme di


possibili folding, se si misura in vitro il tempo necessario alla proteina di assumere la corretta
conformazione essa ci impiegherà seconda se non meno. Anche in vivo la proteina si ripiega
correttamente in pochissimo tempo, anche perché in questo caso essa è facilitata e protetta
da una serie di proteine che impediscono la formazione di strutture non volute. Tutte queste
osservazioni hanno portato alla teoria del folding: questa teoria afferma che si parte da un
ampio panorama di strutture possibili per una proteina denaturata ma, dato che la struttura
contiene intrinsecamente l’informazione per il suo ripiegamento, essa tende a formare delle
interazioni secondo un pathway ben preciso. Nelle cellule la s situazione è resa più complicata
dalla presenza di una concentrazione molto elevata di altre proteine che possono interagire con
quella che si sta ripiegando andando ad influenzare lo stesso processo; perciò la cellula ha
evoluto una serie di strategie chiamate nell’insieme FOLDING ASSISTITO, in modo che si
possa evitare il cosiddetto misfolding.

Durante tutti i passaggi della formazione di una


proteina la cellula esegue un controllo di qualità
in modo che a ogni step ci sia la struttura
ottimale affinché alla fine si arrivi alla struttura
nativa. Questo processo si svolge a più riprese;
durante la traduzione la proteina fuoresce
denaturata e da qui a diversi destini: può essere
legata da degli chaperon molecolari o può essere
avviata alla degradazione o può aggregare o
possono essere riconosciute da proteine che ne
riconoscono le regioni idrofobiche per prevenirne l’aggregazione o possono essere espulse dal
RE in uno stato non ottimale di proposito in modo che vengano indotte a degradazione
precocemente.

Molte proteine poi contribuiscono al ripiegamento corretto delle proteine in vivo; prossimo
dividere queste proteine in tre categorie (le prime due delle quali sono formati da enzimi):

 Le disolfuro isomerasi (PDI) hanno la funzione di catalizzare lo scambio di ponti disolfuro


mal appaiati per poi riformare i legami corretti, se non dovessero funzionare nel modo
corretto allora di potrebbe arrivare a uno stato patologico
 Le peptidil-prolil-cis-trans-isomerasi (PPI) hanno la funzione di catalizzare l’Inter
conversione cis trans dei legami peptidici che coinvolgono la prolina: la prolina è un
amminoacidi cui il gruppo amminico in alfa è coinvolto nella formazione della catena
laterale cosicché la struttura del peptide che coinvolge uno di questi residui ne viene
influenzata. Questo residuo preferisce formare legami in cis, diversi da quelli
normalmente in trans; queste isomerasi hanno il compito di accelerare questo processo,
dato che questo cambiamento avverrebbe lo stesso, solo che richiederebbe molto più
tempo se non ci fosse l’enzima
 La terza categoria è formata dagli chaperon molecolari che aumentano la quantità di
proteina correttamente ripiegata all’interno della cellula impedendo al contempo la
formazione di aggregati e la stabilizzazione degli intermedi parzialmente strutturati.
Queste simil strutture sono indotte anche dall’ambiente intracellulare, estremamente
concentrato di protein (300 mg/ml)

CHAPERON MOLECOLARI (nonostante si usi la parola substrato bisognerebbe parlare di


ligando)

Gli chaperon molecolari, a loro volta, possono essere divisi in due classi:
 Nella prima classe troviamo proteine (di prevenzione) che si occupano di prevenire
l’aggregazione. Tra queste troviamo la Hsp70 (heat shock protein) che ha il compito di
legare e rilasciare le porzioni polipeptidiche esposte in stati non nativi delle proteine
prevenendo l’aggregazione legando il polipeptide in fase di sintesi.
 Nella seconda classe troviamo proteine (di cura) che si occupano di rimettere in strada
gli intermedi ripiegati non correttamente. Tra queste troviamo le Chaperonine come la
Hsp60 che legano stati non nativi delle proteine, forniscono un microambiente protetto
per il folding e, per fare ciò, esse legano il polipeptide rilasciato dal ribosoma ma non
strutturato.

HSP70 e DNAK (sia procarioti che eucarioti)

La proteina DnaK (e. coli) è formata da due domini


strutturali, uno con capacita di legame e idrolisi
dell’ATP e un'altra capace di riconoscere i substrati
grazie alla loro natura idrofobica (generalmente
dovuta alla presenza di una sequenza di 7 residui di
leucine e isoleucine). Generalmente in ogni sequenza
troviamo un peptide del genere ogni 40 residui
quindi possiamo concludere che questo dominio è
presente in quasi tutte le proteine. Ciò comporta un
affinità molto elevata ma anche molto variabile,
l’importanza della proteina DnaK è dimostrata dalla
sua elevata concentrazione, quasi uguale a quella dei
ribosomi. Oltre a DnaK troviamo un cochaperone
chiamato DnaJ (o Hsp40 negli eu) formata da una
regione riconoscente DnaK e un'altra che riconosce il substrato. DnaJ riconosce e lega il peptide
nascente dal ribosoma; questo legame permette l’ingresso di DnaK che si trova libero associato
all’ATP (quando DnaK si trova associato a ATP la sua affinità per il substrato è molto ridotta,
quindi DnaJ serve a fare da puntatore. Questa diversa affinità in funzione della molecola
associata serve a impedire cicli futili di refolding). Questa interazione induce l’idrolisi dell’ATP
a ADP e il rilascio di DnaJ; questa serie di eventi convertono DnaK in una struttura ad alta
affinità per il substrato. Infine GrpE, fattore di rilascio, permette la fuoriuscita di ADP e
induce il legame di una nuova molecola diATP su DnaK cosicché ci sia la conversione a struttura
a bassa affinità e quindi rilascio della proteina. I cicli di ripetono in modo che la stessa molecola
si possa associare e dissociare alla stessa proteina fintanto che essa non si folda
correttamente. I fattori di rilascio procariotici sono molto simili alle proteine eucariotiche che
modulano l’attività delle proteine nucleotide dipendenti inter convertendo il legame di una forma
o di un'altra dello stesso nucleotide trifosfato (come nel caso del GTP/GDP delle g protein).

CHAPERONINE

Le chaperonine, ancora una volta, sono divise in due


gruppi: il gruppo I è presente nei batteri e negli
organelli cellulari mentre il gruppo II comprende
proteine che si possono ritrovare negli
archeobatteri e negli eucarioti a livello citosolico.

Come esempio possiamo prendere il complesso


appartenente al gruppo uno di GroEL e GroES (come
cochaperone) (mentre negli eucarioti troviamo
Hsp60 con Hsp10 come cochaperone) che formano
un complesso molto grande, molto simile alla subunità ribosomiale 30S.

GroEL è un oligomero formato da 14 subunità e queste sono


organizzate in due anelli eptamerici sovrapposti. Una singola
subunità è organizzata in tre domini: il dominio apicale, che
contiene i sito di legame per il substrato poiché costituito da una
regione idrofobica e per il cochaperone GroES, un dominio
intermedio e un dominio equatoriale, che stabilizza la
struttura a 14 subunità. La cavita che essa va a individuare
è aperta solo verso l’esterno in quanto i domini equatoriali
chiudono la base degli anelli. GroES è formato da un anello
costituito da 7 subunità e ciascuna di essa presenta una
catena laterale che, nel complesso, forma un tappo
responsabile della chiusura della cavita.

La proteina da foldare viene riconosciuta dalla regione idrofobica del dominio apicale, che ha
anche il compito di denaturare e inserire all’interno del complesso i substrato; in seguito, il
legame tra GroEL e GroES chiude l’ingresso ad uno degli anelli di GroEL e la proteina substrato
viene sequestrata all’interno del complesso che presenta amminoacidi idrofilici cosicché gli
amminoacidi idrofobici esposti tendono a interagire tra loro e a ripiegarsi per repulsione. Ogni
subunità di ciascun anello può legare e idrolizzare una molecola di ATP (nel complesso quindi
abbiamo la possibilità di legare 7 molecole per anello e 14 per complesso); per facilitare la
distinzione dei due anelli, chiamiamo l’anello cis quello superiore e trans quello inferiore. Nel
complesso, solo 7 molecole
possono legarsi a ogni
subunità di un singolo anello
e l’idrolisi di queste avviene
molto lentamente (circa
10/15 secondi): questo
tempo è quello che ha la
proteina internalizzato per
riuscire ad ottenere la
struttura nativa. Questo
processo temporizzato fa sì che la proteina possa uscire dal complesso strutturata
completamente, come intermedio o come vicolo cieco dato che non c’è garanzia di funzionamento.
Se per esempio pensiamo che si siano legate 7 molecole di ATP sull’anello cis, allora il legame
con altre 7 molecole con l’anello trans induce una modificazione che induce il rilascio di GroES
e della proteina. (Definiamo questo ciclo una cooperatività negativa: i due anelli non possono
funzionare contemporaneamente dato che se uno lega la proteina l’altro non potrà interagire
con nessun substrato).

Nei procarioti il 100% delle proteine prodotte vengono correttamente foldate mentre negli
eucarioti questa percentuale si abbassa al 20/30%; questo avviene perché la maggior parte di
queste proteine sono intrinsecamente destrutturate, ovvero possiedono dei domini che non
hanno una struttura secondaria definita e che quindi può assumerla solo nel caso la sequenza
amminoacidica interagisca con altre molecole.

05/04

TRASPORTO DELLA PROTEINA (il trasporto può essere co-traduzionale o post-traduzionale


negli eucarioti perché i compartimenti sono separati; nei procarioti possiamo individuare dei
compartimenti come la regione periplasmatica)
SEQUENZA SEGNALE

Per essere indirizzata verso una certa regione cellulare, la proteina in oggetto deve presentare
un sequenza collocata o all’N-terminale, al C-terminale o, più raramente, all’interno della
sequenza codificante con la funzione di puntatore verso un compartimento ben definito dove
deve svolgere la sua azione biologica; in biotecnologie questa considerazione è molto importante
perché possiamo cambiare la localizzazione di una proteina maneggiando la suq sequenza ai due
terminali in modo da, per esempio, inter convertire unna proteina che si localizza nel citosol con
una che si localizza nel RE.

TRASPORTO VERSO IL RE (processo CO-TRADUZIONALE) il RE, all’interno della cellula, si


trova in contatto con il Golgi e con le membrane, quindi dirigere una proteina verso questa
destinazione può avere come effetto il rilascio della proteina sulle membrane, esposte sul Golgi
o glucosilate in questa sede; è per queste caratteristiche che parliamo di sistema del reticolo
endoteliale. Le proteine che devono interagire con questo compartimento presentano una
sequenza segnale al N-terminale: questa sequenza è complessivamente idrofobica ma
all’estremità presenta uno o più residui polari carichi positivamente. Per traslocare la proteina
nascente necessitiamo di una proteina trasportatrice SRP (signal recognition particol), un
complesso ribonucleoproteico che riconosce le proteine tramite le sequenze stesse e le
trasporta verso la membrana del RE dove si trova il suo recettore, il recettore SRP, che si trova
accanto a un complesso di membrane di traslocazione, Sec61.

SRP è una proteina che


contiene 6 proteine e un
piccolo RNA 7S, ha il ruolo
di riconoscere la sequenza
segnale della proteina,
legarsi al ribosoma e il suo
recettore. SRP riconosce
la sequenza N-terminale quando essa fuoriesce dal canale di uscirà del ribosoma e ci si lega
prendendo contatti anche col ribosoma bloccando temporaneamente il processo di sintesi del
polipeptide. Il complesso ternario si avvicina alla membrana del RE e individua il recettore con
il quale poi interagirà per posizionare in modo corretto il ribosoma sulla membrana esterna del
RE. Sia SRP che il suo recettore hanno la capacita di legare e idrolizzare GTP: l’idrolisi, stimolata
dal legame con il recettore, di questa molecola induce il rilascio di SRP dal complesso facendo
rirendere la traduzione in modo che la sintesi della proteina continui all’interno de canale di
traslocazione. Il complesso di traduzione ha una struttura base (Sec61) che un eterotrimero
che forma degli oligomeri cilindrici in modo da formare un canale centrale che si apre solo nel
caso in cu si raggiunge una lunghezza di 70 residui della catena in sintesi. Una volta che il canale
si è aperto, la sintesi viene completata e una delle prime reazione che avvengono è la reazione
della sequenza segnale tramite una proteasi specifica che quindi intrappola la proteina
all’interno del RE. Una volta che la proteina è stata completamente sintetizzata allora il poro si
chiude, avviene il rilascio del ribosoma, che si dissocia nelle due subunità, e, nel lume del RE, il
polipeptide di ripiega aiutata da proteine con funzione di Chaperon; il controllo odi qualità in
questo organello è particolarmente importante e, se una proteina non osi folda correttamente,
allora essa verrà immediatamente immessa nel citosol per essere degradata. Questo avviene
perché in questo caso è di fondamentale importanza evitare che le proteine precipitino o
aggreghino. Ovviamente, tutti questi processi sono validi per quelle proteine che sono solubili
nel lume del reticolo.

PROTEINA INTEGRALI DI MEMBRANA un discorso alternativo seve essere fatto per tutte
quelle proteine integrali di m membrana che non
son completamente solubili all’interno del
solvente citosolico o del lume ma che devono
essere integrate all’interno delle membrane:
queste vengono inserite co-traduzionalmente
nel reticolo per poi essere trasportate
mediante vescicole verso la loro localizzazione
finale (come ad ex le membrane cellulari).
Generalmente le proteine integrali di
membrana (come i recettori associati a proteine g o i trasportatori de glucosio) hanno più di un
elica transmembrana idrofobica. Affinché una proteina sia integrale di membrana, essa deve
contenere all’interno della sua sequenza amminoacidica una sequenza di arresto; questa
sequenza ha come scopo quello odi bloccare temporaneamente la sintesi del polipeptide nel
canale di traslocazione. Questo dal tempo al complesso di aprirsi i che permette il passaggio
dell’elica (che contiene la sequenza di arresto) all’interno delle membrane. Questo processo
viene ripetuto tante colte quante sono le eliche (che contengono la sequenza) che devono essere
inserite. Le proteine integrali di membrana vengono sintetizzate e traslocate i modo simile a
quello delle proteine solubili ma periodicamente avviene l’apertura del complesso.

TRASPORTO POST-TRADUZIONALE NEI BATTERI per i batteri il processo di traslocazione


prevede i passaggio della proteina attraverso il sistema Sec; questo trasporto avviene dopo che
la traduzione è stata completata nonostante la proteina non si sia foldata. Il complesso è
formato da SecB è
uno Chaperon che ha
come scopo quello di
mantenere
denaturata la
proteina, a questo
scopo collabora la
sequenza segnale
che a i compito od i destabilizzare la struttura per maniera linearizzata; se non fosse cosi e la
proteina strutturizzasse allora non potrebbe passare nel canale. La proteina viene poi portata
sul complesso SecA, un motore a ATP che inserisce in maniera attiva la proteina all’interno del
complesso di traslocazione. Il complesso di traslocazione è formato da SecYEG che mette in
comunione il citoplasma con la regione periplasmatica.

TRASPORTO NEI MITOCONDRI il trasporto a livello dei mitocondri è più complesso rispetto
agli altre per il fatto che ci sono 4
diversi compartimenti vero i quale
si possono indirizzare le proteine: la
membrana esterna, lo spazio inter
membranale, la membrana interna e
matrice mitocondriale. I
trasportatori a livello delle
membrane che mediano la
traslocazione sono TOM
(translocate outer membrane) e
TIM (translocate inner membrane)
anche se da soli essi non possono
funzionare, essi dipendono infatti
dal corretto gradiente
elettrochimico del mitocondrio.
Nella regione in cui i sistemi
mediano il trasporto verso la
matrice si ha un avvicinamento
fisico, chiamato sito d i contatto,
che mette in comunione i
sistemi TIM e TOM in modo
che la proteina possa passare
agevolmente da un sistema
all’altro. Il trasporto verso la
matrice è post traduzionale:
essa viene sintetizzata
compleatemnte nel citosol
ma viene ricoperta
imediatamente da proteine Chaperon in modo che essa sia mantenuta denaturata; in seguit,
l’interazione della sequenza di localizzazione con i recettori specifici associati al complesso
della membrana interna determina l’apertura dello stesso permettendo il passaggio del
polipeptide all’interno de icanaeli e, se necessario, al’interno della matrice. L’energia per il
processo deriva dall’idrolisi di molecole di ATP e dal gradiente biochimico transmembrana: il
rilascio delle Hsp70 citosoliche consuma ATP, il trasferimento attraversoi l complesso
necessita di un potenziale ben definito e le Hsp70 mitocondriali consumano ATP. Questa
regolazione molto fine avvinee perche il mitocondrio è il sito primario in cui viene prodotta
energia sotto forma di ATP per mezzo della glicolisi che, tramite la catena di trasporto degli
elettroni,, pompa verso lo spazio intermembrana degli ioni H+, producendo un ben definito
graziente elettrochimico in un mitocondrio funzionale. Solo se il potenziale è ben definito allora
i canali di traslocazione (e in particolare quell iinterni) si aprono; questo avviene perche se un
mitocondri presenta una mutazione (che rende superflua qualuqneu altra sua funzione, in
particolar modo la traslocazione delle proteine) che gli ipedisce di far funzionare
correttamente l’ultimo ppassggio della glicolisi allora non si formera quel corretto gradiente
che induce l’apertura dei complessi di traslocazione. Ci sono pero delle eccezioni che riguardano
proteine che possono diffondere direttamnte dal citosol fino allo spazio intermembrana: questo
riguarda ad esempio la proteina idrosolubile citocromo C che deve attaversare solo la membrana
piu esterna, piu permeabile di quella interna (cosa che si riscontra anche nei bateri andando ad
avvalorare ancora di piu l’ipotesi endosimbiontica).

TRASPORTO NEI PEROSSISOMI i perossisomi sono organelli particolari poiché sono rivestiti
si u unico strato fosfolipidico, al contrari od i altri
organelli quali i cloroplasti o mitocondri; è un odei
pochi esempi di trasporto post traduzionale in cui
la sequenza di segnale si trova al C-terminale, dove
interferisce anche con il folding corretto della
proteina, e in cui la proteina viene traslocata in uno
stato pseudo nativo.
PORO NUCLEARE (trasporto bidirezionale nucleo-citosol)

Il trasporto delle proteine all’interno de


lnucleo avviene grazie a un complesso definito
poro nucleare costituito da diverse proteine
che vanno a formare un canale all’interno de
lquale possono passare liberamente molecole
fino a 50 kDa. Nel caso in cui si eccedesse di
peso molecolare allora bisogna ricorrere sia a
fattori in cis (queste venongo divise in
sequenze (basiche) di localizzazione nucleare
NLS che segnalano che la proteina deve essere trasportata all’interno dell’organello e in
sequenze di esportazione dal nucleo NES (idrofobiche) che sono sequenze che indicano che
laproteina deve essere esportata dal nucelo) sia a fattori in trans (trasportatori speicifici come
importine e esportine).

La proteina gtpasica di trasporto RAN è il fattore che media


il trasporto delle altre proteine. La concentrazione delle due
forme di RAN, una che lega GTP e l’altra che lega GDP, nei
due compartimenti nucleo e citosol si può notare che
presente una forte asimmetria dove RAN-GTP è più
concentrato nel nucleo mentre RAN-GDP nel citosol.
Prendiamo in considerazione il caso di una proteina che deve
entrare all’interno del nucleo: questa tipologia di proteina
presenta nella sua sequenza amminoacidica una NLS che
viene riconosciuta e legata da una importina; il complesso cosi
formato si associa al poro nucleare e entra all’interno
dell’organello dove viene stimolato il rilascio del ligando per la formazione di un legame tra la
proteina RAN e GTP. Quando il fattore di trapsortotrasporto si trova in questa conformazione
allora esso è stimolato a fuoriuscire nuovamente nel citosol dove verrà stimolata la sua attività
Gtpasica a formare GDP. L’idrolisi di questa molecola induce un cambiamento conformazionale
ce induce un abbassamento dell’affinità di RAN per l’importina sfaldando quindi il complesso.
Ora esaminiamo il caso in cui una proteina deve passare dal nucleo al citosol: in questo caso si
viene a formare un complesso ternario costituito da un esportina, la proteina e RAN-GTP; questo
complesso stimola l’estrusione di se stesso nel citosol dove avverrà l’idrolisi del GTP a GDP da
parte di RAN; in questo modo si ha la dissociazione del complesso che rimette in disposizione
l’esportina, che è in grado di rientrare nel nucleo senza bisogno di fattori associati, e rilascia il
ligando nella sua destinazione. La distribuzione delle conformazioni di RAN è controllata da due
fattori associato GAP e GEF: la prima stimola l’attività gtpasica della proteina di trasporto e,
per assolvere a questo compito, essa è citosolico mentre la seconda induce lo scambio di GDP
per GTP a livello nucleare. (RAN fa parte di quella categoria di molecole piccole che può
spostarsi tra un compartimento all’altro senza bisogno di fattori aggiunti).
Molte oncoproteine sono proteine che hanno localizzazione citosolica ma che, per una o più
mutazioni, acquistano la capacita di essere introdotte nel nucleo dove possono acquisire nuove
funzioni deleterie.

10/04

DEGRADAZIONE DELLE PROTEINE

La degradazione delle proteine può prendere due vie diverse: la via lisosomiale, a carico degli
enzimi lisosomiali che inducono un idrolisi acida a pH di 4.8 degradando le proteine in monomeri,
serve alla distruzione di proteine di membrana o provenienti da sistemi di membrana; la via di
ubiquitina/proteosoma è invece quella preferita per tutte le proteine citoplasmatiche. La via
citosolica comprende due componenti: l’ubiquitina, che funge da segnale di degradazione, e il
proteosoma, che è una proteasi di degradazione. Questa via di degradazione è sia specifica che
aspecifica permettendo una degradazione generalizzata. Il proteosoma vinee anche interpellato
anche quando è necessario produrre peptidi antigenici da esporre sulla superficie cellulare
legati al complesso di istocompatibilità MHC; è anche importante per la degradazione di
proteine importanti coinvolte nel ciclo cellulare come le cicline nella mitosi.

UBIQUITINA

L’ubiquitina è una proteina


prettamente eucariotica la
cui sequenza primaria è molto
conservata: essa è formata
da 76 aa ma è importante la
sequenza di 4 aa che troviamo
al C-terminale. Di particolare
importanza è la gly76 che è il
residuo tramite il quale avviene l’attivazione dell’ubiquitina.

Quando si parla di ubiquitinizzazione si può parlare di due


fenomeni: l’aggiunta di una singola molecola ha significato
regolativo mentre l’aggiunta di una catena di almeno quattro residui
induce l’indirizzamento verso la degradazione da proteosoma.
Affinché possa avvenire tale degradazione abbiamo bisogno del
complesso E formato da diverse subunità (E1, E2 e E3 con diverse
attività enzimatiche) che agiscono in una sequenza a cascata.

Il processo che da inizio all’ubiquitinizzazione è l’attivazione


dell’ubiquitina stessa: una molecola di adenosin mono fosfato viene
legata al C-terminale della glicina della proteina in un processo
simile alle sintesi degli amminoacil tRNA. L’ubiquitina poi reagisce
con una cys del complesso E1 formando un legame covalente
tioestere; successivamente E1 trasferisce la proteina a E2 senza
spendere energia grazie all’alta energia del legame tioestere
tramite una trans esterificazione. La terza reazione,
catalizzata da E3, ha come substrati E2 legato
all’ubiquitina e la proteina substrato: l’enzima catalizza il
trasferimento dell’ubiquitina a un residuo ε di lys presente
sul substrato a formare un legame isopeptidico. Le reazioni
successive passano per gli stessi step della prima molecola
solo che alla fine, invece di essere legati alla proteina
bersaglio, le varie molecole di ubiquitina si vanno a legare
alla lys48 dell’ubiquitina precedente.

L’effetto cascata dell’ubiquitinizzazione porta a un’amplificazione di segnale; questo processo


è evidenziabile dalla concentrazione che si trova nella cellula dei vari enzimi che troviamo
all’interno della cellula: della subunità E1 ne troviamo un unico tipo, di E2 troviamo una decina di
isoforme mentre di E3, che è un ubiquitina ligasi, ne possiamo studiare diverse sottofamiglie.
L’amplificazione è dovuta al fatto che mentre E1 riconosce un unico substrato, man mano che si
avanza con la poliubiquitinizzazione i substrati aumentano, come nel caso di E3 che deve
riconoscere diverse proteine.

Il substrato poliubiquitinizzano viene quindi indirizzato al proteosoma dove essa verrà


degradata in piccoli peptidi e aa in odo che siano riutilizzati.

PROTEOSOMA

Il proteosoma è formato da subunità alfa e beta che vanno ad associarsi a formare 4 anelli
sovrapposti da 7 subunità ciascuno; nel complesso, i quattro anelli eptamerici sovrapposti vanno
a formare i core del proteosoma. Gli anelli più esterni sono formati da subunità alfa mentre
quelli più intendi da unita di tipo beta. Il proteosoma poi, oltre a presentare la regione centrale
catalitica, si associa alle estremità ad altre due strutture definite regolative; queste subunità
hanno i doppio compito di regolare l’attività del core catalitico e di svolgere la proteina, dato
che una proteina globulare in forma nativa non sarebbe in grado di entrare nel complesso. Onde
evitare danni proteici generalizzati, il proteosoma è sintetizzato sotto forma di zimogeno,
esattamente come la tripsina e la chimotripsina sintetizzate come tripsinogeno e
chimotripsinogeno poi attivate dall’ambiente acido dello stomaco; l’attivazione del complesso
avviene quando esso prende contatto con le due subunità regolatrice.

Il proteosoma è capace di diverse idrolisi al suo interno: esso è sia una peptidasi a treonina ma
anche a serina in modo che possano essere degradate ogni tipo di proteina cosi che esso abbia
un ampia specificità di substrato; in ogni caso, il proteosoma catalizza la rottura dei legami
peptidici che tengono insieme una proteina. La degradazione è un processo molto dispendioso,
richiedendo diverse molecole di ATP per poter funzionare.

DEGRADAZIONE DELLE CICLINE La ciclina m, una proteina importantissima per il procedere


della mitosi, è riconosciuta dalla APC (complesso promuovente l’anafase), un ubiquitina ligasi
catalizza il trasferimento di diversi residui di ubiquitina sulla ciclina in modo che essa sia
indirizzata verso la degradazione. L’attività di APC è regolato a sua volta da Cdc20 i quale
stimola la degradazione della ciclina quando il ciclo cellulare deve procedere e la ciclina m non
serve più.

DEGRDAZAIONE DI p53 P53 è un oncosoppressore responsabile dei meccanismi di quiescenza


o apoptosi della cellula in caso insorgano danni al dna che non devono essere tramandati alle
cellule figlie. Mdm2 è un fattore che si associa a p53 promuovendone la degradazione nel caso
in cui essa non debba funzionare: ciò accade perché il legame di questo complesso indica alla
cellula che l’apoptosi non è necessaria e quindi p53 deve essere degradata.

PRODUZIONE DI ANTIGENI Durante un infezione da parte di un agente patologico


l’esposizione di antigeni sulla membrana cellulare dei globuli bianchi più avvenire grazie a due
vie quella lisosomiale e quella del proteosoma: quando un globulo bianco fagocita una proteina
potenzialmente antigenica essa può essere inviata al proteosoma, se si segue la seconda via, e i
peptidi derivanti da questa degradazione sono inviati al RE dove vengono associati a proteine di
membrana il cui destino finale e quello di essere esposte sulla membrana cellulare (come
complesso di istocompatibilità) tramite il passaggio nel reticolo endoteliale; tutte le cellule che
presentano l’antigene esposto sulla superficie vengono selettivamente distrutte dai globuli
bianchi.
CONTROLLO DI QUALITA’

Tutte le proteine che vengono sintetizzate nella cellula devono superare un controllo di qualità
affinché venga evitato la situazione in cui ci sia un misfolding che può portare all’aggregazione
sia intra che extracellulare delle suddette proteine. Quando una cellula non riesce a controllare
la qualità delle proteine che produce allora ci si trova di fronte a una situazione non fisiologici,
generalmente causa di malattie neurodegenerative. Questo accade perché le cellule nervose
sono quelle che riescono a rigenerarsi di meno e in questo distretto la morte cellulare diviene
un fenomeno radicale: le patologie per cui è stato riscontrato come causa un accumulo di
proteine sono l’ALZHAIMER, il PARKINSON, la corea di HUNTINGTON etc. queste malattie
possono essere causate sia da un fattore genetico che da mutazioni occasionali del genoma di
un individuo. Fanno eccezioni le malattie da PRIONI che sono vere e proprie malattie infettive.

MALATTIA DI ALZHAIMER

Nell’Alzheimer si vengono a formare aggregati proteici extracellulari, chiamati placca mieloide,


dovuta a accumuli di peptidi, chiamati Aβ prodotti dalla proteolisi di una proteina di membrana
molto più grande. Normalmente la proteina wild type forma delle strutture a alfa eliche a, nel
caso in cui insorga mutazione, la proteina subisce un cambio conformazionale e passa a una
struttura a beta foglietto che gli permette di impilarsi a formare delle fibre aggregate.

La malattia può essere anche dovuta a delle aggregazioni intracellulari, chiamati neurofibrille,
dovute alla proteina tau che normalmente è associata al citoscheletro ma che può subire una
variazione conformazionale che trasforma nuovamente delle strutture da alfa eliche a beta
foglietto producendo l ostessa effetto delle placche mieloidi.

COREA DI HUNINGTON

Questa malattia è dovuta all’aggregazione di proteine nucleari chiamate hungtintina. Questa è


una malattia autosomica dominante che provoca dei movimenti inconsulti (corea) con sintomi di
declino psicologico e cognitivo fino a morte. È possibile correlare il grado d gravita della malattia
con la struttura della proteina: questa contiene una sequenza ricca in glutammina che può subire
delle modificazioni e aumentare incontrollatamente (in un soggetto normale troviamo fin o 35
ripetizioni per unita mentre nel soggetto patologico arriviamo a un numero compreso tra 36 e
121). Tanti più residui di glutammina sono e peggiore è la condizione del paziente (generalmente
superato un livello soglia si ha un degenerazione che porta all’aumento incontrollato della
sequenza). La malattia potrebbe essere associata una trans glutaminasi, un enzima che ha il
compito di formare legami crociati tra residui di glutammina, che, trovando più residui di
glutammina del normale, forma troppi legami portando quindi all’aggregazione molecolare
(nonostante ancora non si sia certi sul fatto oche sia questa la causa). Si è riscontrato che la
formazione di grandi aggregati non ha effetti deleteri sull’organismo mentre la formazione di
piccoli aggregati risulta tossica.

MALATTIE DI PRIONI

Queste malattie vengono anche definite encefalopatie spongiformi e prendono i nome dal fatto
oche, una volta aperto il cervello di un individuo affetto da questa malattia, esso appare come
una spugna tanto era stata la morte cellulare. Na delle malattie più conosciute è la Creutzfeldt-
Jacob che presenta sintomi drammatici e la morte sopraggiunge con estrema rapidità data la
veloce degenerazione del tessuto nervoso. Si trovo pero una variante della stessa malattia che
colpiva individui più giovani, durava più a lungo e andata a colpire gli organi linfatici, cosa che
normalmente non accadeva nella variante classica, e nervosi; ciò accadde perché questi individui
avevano mangiato tessuto indetto di bovini o ovini facendo pensare al salto della specie. Si è
quindi iniziato a parlare di malattie infettive anche se non per la presenza di un virus ma per la
presenza di una proteina che cambiava conformazione. Per dimostrare ciò si fece un
esperimento: si presero dei topi transgenici in cui la proteina wild era stata soppressa e un topo
in cui la produzione della stessa era a livelli normali; in seguito si prese un estratto cerebrale
da un terzo topo infetto e si inietto nei due topi. Si noto che si ammalava solo il topo che riusciva
a produrre la proteina wild type mentre il knock out sopravviveva normalmente. Questo permise
di elaborare l teoria secondo la quale la presenza di una proteina mutata induce la mutazione
delle altre proteine wild type (questo può accadere perché il folding di una proteina presenta
un energia equivalente a poche calorie il che fa pensare che basta poca energia affinché questa
struttura possa essere destabilizzata).

12/04

INGEGNERIA PROTEICA

L’ingegneria proteica si occupa di produrre proteine ricombinanti usando sistemi eterologhi


utilizzando tecniche come quelle del dna ricombinate con l o scopo di studiare le proteine e di
progettare modificazioni mirate per ottimizzarne la struttura o la funzione. Queste tecniche
possono comprendere poi le proteine definite naturali o artificiali e non hanno un corrispettivo
in natura m che sono disegnate ex novo in laboratorio. Le artificiali sono state mese da parte
negli ultimi anni dato che, con le proteine naturali, abbiamo a disposizione delle molecole che
sono i l risultato di anni d i pressione selettiva che ha indotto l’ottimizzazione delle proteine
cosi che si sia arrivati alla struttura e alla funzione migliore possibile; perciò s preferisce
partire da proteine già esistenti in natura per inventarne di altre.

Le applicazioni per l’ingegneria proteica sono principalmente a fondo industriale o biomedico e,


a seconda della destinazione finale, le molecole impiegate devono avere delle caratteristiche
diverse: per le proteine impiegate nell’industria abbiamo bisogno di una molecola che abbia una
funzione ben definita ma che abbia anche la capacita d resistere ai processi industriali in cu
essa sarebbe poi impiegata (come quelle che devono lavorare n condizioni estreme) mentre le
proteine destinate alla biomedicina devono avere una stabilita accentua in condizioni
fisiologiche per poter svolge la loro funzione all’interno del paziente (deve poter resistere ad
esempio a enzimi proteolitici o a inibitori). In entrambi i casi le proteine devono avere una shelf
life molto allungata: deve essere possibile conservare le suddette proteine per tempi anche
molto lunghi i modo che esse possano essere usate poi quando ce ne necessita.

Data una proteina di cui si conosce la struttura o la sequenza si possono operare diverse
modificazioni in modo da stabilizzarne o cambiare delle funzioni: ad esempio aumentando i
residui idrofobi esposti possiamo modularne la solubilità, modificazioni a livello odei siti di legai
inducono modulazioni di affinità per un substrato, possiamo anche stabilizzare la proteina
fondendo quella di partenza con peptidi che ci permettono in alcuni casi anche di purificarla o
si può aumentare la resistenza a proteolisi aggiungendo ei loops. Esistono due approcci
concettuali diversi per fare ciò: nel design razionale abbiamo bisogno di diverse informazioni
riguardanti la proteina, quali la struttura e la sequenza amminoacidica, che ci permettono di
operare delle modifiche mirate in modo da modulare a nostro piacimento il comportamento della
molecola in esame, mentre nell’evoluzione guidata noi andiamo alla ricerca di un fenotipo
interessante senza curarci i non primo momento del genotipo dell’organismo di provenienza. Ella
maggior parte dei casi le die tecniche sono sovrapposte per ottenere in effetto migliore.

RICHIESTE MINIME PER PRODURRE UNA PROTEINA RICOMBINANTE: si parte da un gene


che codifica per la proteina in esame che deve essere immessa in un unita trascrizionale, come
segnali di regolazione a monte e o a valle, che pero poi possa produrre un trascritto che possa
essere tradotto e che quindi necessità sidi un segnale di inizio e ti fine di traduzione, come un
RBS e uno STOP.

Il tipo di prodotto poi dipende anche dall’organismo eterologo che si sceglie per la produzione
e questa scelta è influenzata anche dal motivo di produzione (rapporto qualità e resa): se
bisogna studiare la struttura della proteina necessito di una grande quantità di essa; se devo
iniettarla come farmaco allora si ha bisogno di passaggi più complessi che ci permettano di
produrre proteine funzionali, soprattutto dal punto di vista delle modificazioni post
traduzionali. Infine bisogna anche considerare se la molecola prodotta rappresenta un agente
infiammatorio nel caso in cui sia utilizzato come farmaco come nel caso in cu si utilizza un
retrovirus come vettore eterologo che deve essere reso non pericoloso per il paziente prima di
essere utilizzato.

FASI SPERIMENTALI

1. Identificazione, isolamento e clonaggio del gene codificante per proteina bersaglio


2. Espressione in sistema eterologo (e inutile che metto un RBS se il gene devo metterla in
un sistema eucariotico, deve essere scelto in funzione del sistema ospite)
3. Purificazione e caratterizzazione della proteina wild type
4. Progettazione, produzione e caratterizzazione della versione mutata

L’ESPRESSIONE

L’espressione di una proteina segue le regole della cellula ospite: se si prende una cellula
procariotica bisogna tenere contro che la maggiore regolazione dell’espressione dei geni avviene
a livello trascrizionale e che quindi è molto più importante tenere conto del promotore che si
usa piuttosto che delle regolazioni a livello traduzionale, che sono minime nei procarioti; nel caso
degli eucarioti invece bisogna innanzitutto tenere presente che la cellula è divisa in
compartimenti e la localizzazione è scandita dalla presenza o meno di segnali all’interno della
sequenza amminoacidica; inoltre, bisogna considerare che le modificazioni post traduzionali
sono estremamente importanti per le funzioni delle proteine prodotte nelle cellule eucariotiche,
mentre sono pressoché assenti nei procarioti (come ad esempio l’insulina che è attiva solo dopo
proteolisi).
Procarioti o eucarioti (vantaggi e svantaggi):

- Compartimentalizzazione

- Uso del codice genetico (tRNA)

- Stabilità cloni ricombinanti

- Modificazioni post-traduzionali

- Resa in biomassa

- Purificazione

- Crescite terreni modificati (isotopi o metalli pesanti)

- Costo

- fattibilità su piccola scala e larga scala

SISTEMI DI ESPRESSIONE PROCARIOTICI

Prima di poter passare alla produzione della proteina dobbiamo progettare del materiale
genetico che ci permetta di esprimere all’interno d i un sistema eterologo la molecola di
interesse: per fare ciò necessitiamo di un vettore di espressione (come un virus o un plasmide
batterico). Generalmente, l’ospite più usato è E.coli. Un vettore classico di espressione contiene
un marker di selezione, che nei batteri generalmente è un gene per la resistenza a un antibiotico,
un’origine di replicazione, in modo che il materiale genetico sia mantenuto nelle cellule, la
sequenza codificante del gene che deve essere preceduta da sequenze regolatorio come un
promotore per la regolazione trascrizionale e deve trovarsi a monte e a valle di sequenze che
permettono la regolazione traduzionale. Il vettore cosi formato si inserisce all’interno
dell’ospite mediante trasformazione in modo che diversi batteri presentino il materiale genetico
in diverse copie in funzione del plasmide selezionato. Le cellule che si sono divise poi
cominceranno anche ad esprimere la proteina che potrà essere purificata mediate lisi della
parete cellulare.

PARAMETRI NEI PRPCARIOTI


1. Caratteristiche del vettore
2. Efficienza trascrizionale
3. Efficienza traduzionale
4. Stabilita della proteina

VETTORE DI ESPRESSIONE

Il numero di copie influenza:

-positivamente la stabilità del plasmide, cioè la sua presenza nelle


generazioni successive.

-negativamente la velocità di crescita del ceppo ospite: crescono


meglio le cellule con meno copie

I PLASMIDI AD ALTO NUMERO DI COPIE NON SEMBRANO CONFERIRE UN VANTAGGIO


PER LA PRODUZIONE DELLA PROTEINA.

SELEZIONE: Ampicillina, tetraciclina, kanamicina Sconsigliata ampicillina perché:

- perdita di resistenza

- potenzialmente allergenica

Quando vogliamo otenere un alta


quantita d iproteina per poterne
studiare o miliorar ela funziona
abbiamo allora bisogno di una grande
quantita d ibiomassa in modo che sia
possibile la purificazione di un numero
dcosndieravole della stessa molecola.
Ilplasmide che inseriamo allinterno del
batterio pu oèossedere un promotore
costituvo che vinee trascritto dal prim
omoento che viene immesso nell’organismo ospite; in questo caso pero si osservera una curva di
crescita rallentata ovuta al fatto che i ssitei di produzione delle proteien sono impegnati nlla
produzione della proteina piuttosto che in quelle necessarie per la moltiplicazione cellulare. Per
questo motivo si preferiscon i promotori inducibili, in modo che si possa indurre la produzione
della prtoeina anche quando si arrivaa una fase di crescita esponenziale cosi che ci sia il
perfetto compromesso tra biomassa e proteina prodotta (abbiamo un rallentament
oaccettabile).

24/04

PROMOTORE (costitutivo o inducibile):

-costo dell’induttore
-efficacia dell’induzione e della repressione in condizioni di noninduzione per bilanciare
produzione di biomassa e resa in proteina

-forza del promotore e resa in proteina (solubile)

La scelta di un promotore per l’espressione di un gene deve essere ben studiata anche in
funzione dello scopo del nostro studio; se dobbiamo produrre della biomassa per scopi
industriali necessitiamo di migliaia di litri e, percio, abbiamo isogno di promotori con un costo
relativamente basso mentre, nel caso in cui si stia studiandoin laboratorio, allora avremo bisogno
di un promotore piu fine.

Un'altra cosa molto importante da tenere conto è il rapporto tra la forza del promotore e la
resa in proteina: in questo caso andiamo ad analizzare quante molecole di rna si riescono a
trascrivere e quanta proteina effettivamente verra prodotta dal promotore. Un promotore che
induce la formazione di una concentrazione elevata di proteina puo sembrare un fattore positivo
anche se, talvolta, puo accadere che una produzione cosi repentina di proteina puo cambiare la
sua conformazione e di conseguenza anche la sua funzione (dato che potrebbe anche cambiare
la solubilita all’interno di un sistema eterologo).

L’IPTG (iso propil tio galattoside) è un analogo del lattosio che pero non puo essere idrolizzato
dalle cellule, il che gli permette di permanere all’interno del mezzo di coltura, come fonte di
carbonio ma che comunque mantiene la sua capacita di indurre i geni regolati dal lattosio. Tac e
trc sono dei promotori analoghi di quelli naturali ma che hanno subito delle modifiche che li
rende piu efficienti. araBAD è il rpomotore dei geni per il metabolismo dell’arabinosio ed indotto
dallo stesso (lo useremo nell’esercitazione per esprimere la GFP). Altri promotori invece sono
sempre di origine naturale ma sono stati resi responsivi all’aumento della temperatura della
coltura.
SISTEMA pET

Il sistema di espressione pET è leggermente diverso da quelli solitamente utilizzati di solito


per il fatto che esso è di origine fagica: a monte del gene di interesse troviamo infatti la
sequenza normalmente riconosciuta dalla rna polimerasi di T7; questa caratteristica fa si che
ci sia un primo vantaggio dovuto al fatto che il gene puo essere trascritto solo da un unico
complesso facendo si che il sistema sfugga alla competizione di espressione di tutti gli altri
geni. Affinche ci sia espressione del gene pero necessitiamo della presenza del gene per la
sintesi della polimerasi integrato all’interno del genoma dell’ospite: per fare cio integriamo il
genoma di lambda (opportunamente modificato per far si che contenga i lgene per la polimerasi)
a valle di un promotore caratteristico dell’operone lac. Qaundo poi andremo ad aggiungere al
sistema l’IPTG esso indurra la produzione della polimerasi che, a sua volta, riconoscera il
promotore T7 sul plasmide cosi che ci sia la trascrizione del gene di interesse (con questa
tecnica in due ore si puo arrivare ad avere un quantita di proteina di interesse parial 30% delle
totali presenti nel batterio).

Sorge un problema quando la proteina presenta un endogeno livello di tossicita per l’ospite:in
quel caso, l’alta concentrazione del target all’interno della cellula indurra la sua morte. un'altra
problematica insorge quando si utilizzano dei mezzi molto ricchi per le colture industriali, dato
che essi contengono sempre del lattosio come fonte di carbonio il quale andrebbe a indurre il
promotore per la polimerasi facendo si che la proteina sia espressa basalmente (togliendoci
anche la capacita di regolare la proteina). In questi casi, allora insorge un problema sin dai primi
stadi di coltura. Non potendo agire sulla composizione della della coltura, si vanno a
ingegnerizzare dei ceppi batterici (come coli p lys S) che hanno un secodno plasmide con un
gene target per il lisozima dell stesso T7 che in questo caso non ha il compito di uccidere il
batterio ma serve a inibire la sua stessa polimerasi: questo fa si che anche se c’è del lattosio
contaminante nel mezzo, noi impediamo il suo effetto indesiderato innibendo la polimerasi in
modo costitutivo. Per indurre poi il gene target sul primo plasmide aggiungiamo IPTG che ha un
azione inducente molto piu elevata rispetto al semplice lattosio cosi che il lisozima non possa
funzionare.

SEGNALI RELATIVI ALLA TRADUZIONE

-SEQUENZA SHINE-DALGARNO OTTIMALE

5’-UAAGGAGG-3’

-POSIZIONE: 4-8 NUCLEOTIDI DA AUG (rimozione N-terminale?) (dobbiamo esseresicuri


che all’ N-terminale sia rimosso la prima metionina quando richiesto)

-SECONDO CODONE: di solito ricco in A nei geni molto espressi. AAA(lys) è frequente (13%).

-5’ RICCO IN GC DIMINUISCE EFFICIENZA

CODICE GENETICO (CODON USAGE)

USO DI CODONI RARI PUO’ PORTARE A PROBLEMI:

 STABILITA’ mRNA DIMINUITA


 TERMINAZIONE PREMATURA DI TRASCRIZIONE/TRADUZIONE
 FRAMESHIFT, DELEZIONI, INCORPORAZIONI ERRATE
 INIBIZIONE DELLA CRESCITA CELLULARE

Il problema dell’espressione di una proteina eterologa è la possibile presenza di un codone raro


all’interno della sequenza nucleotidica; questo potrebbe portare a una situazione in cui il
batterio non puo produrre la proteina target per mancanza di trna all’interno del citoplasma.
Onde evitare questa situazione ci sono due grandi possibilita: o si usano dei ceppi modificati
che possiedono anche i trna che generalmente sono rari per quella cellula (ceppo rosetta) oppure
si puo andare ad agire sulla sequenza codificante producendone una ex novo o modificando un
trascritto gia esistente in modo che la sequenza nucleotidica sia diversa da quella di partenza
ma che quella amminoacidica invece sia la stessa.

MANCATA O BASSA ESPRESSIONE

LA PROTEINA VIENE ESPRESSA IN CONDIZIONI NON DI INDUZIONE

*ESPRESSIONE COSTITUIVA DI UN REPRESSORE

lac repressor(the lacI or lacIq) PER PROMOTORE LAC

*USARE UN PROMOTORE STRINGENTE, e.g. the arabinose promoter

(PBAD).
*USARE PLASMIDE A BASSO NUMERO DI COPIE

*VETTORI PET: USARE CEPPI CON T7 Lisozima from a compatible pLysS or pLysE plasmid
(Novagen). IL LISOZIMA SI LEGA ALLA POLIMERASI ED INATTIVA L’ENZIMA IN
ASSENZA DI INDUTTORE

•AGGIUNGERE 1% glucosio PER REPRIMERE IL PROMOTORE   lac INDOTTO DA


LATTOSIO PRESENTE NEI MEZZI DI COLTURA MASSIMI ( LB, 2xYT).

LA STABILITA’ DEL PLASMIDE E’ BASSA

*AUMENTARE LA CONCENTRAZIONE DELL’ANTIBIOTICO DI SELEZIONE

LA PROTEINA E’ TOSSICA

*ESPRESSIONE NEL PERIPLASMA O IN CORPI INCLUSI

LA PROTEINA RICOMBINANTE DEVE ESSERE SOLUBILE

CORPI INCLUSI

La proteina che stiamo esprimendo deve rimanere solubile nell’amiente citosolico dell’ospite;
spesso pero questo fattore non si realizza e si ha la formazione dei cosi detti corpi inclusi,
aggregati proteici insolubili in acqua che precipitano. Per vedere se effettivamente una proteina
formi corpi inclusi occorre fare una prima centrifugazione per separare le cellule dalla colture;
dopo averle recuperate bisogna lisarle e fare una seconda centrifugazione che permette di
separare i corpi inclusi dalle restanti componenti cellulare; con questo ultimo passaggio possiamo
definire le percentuali di proteina in soluzione e quella in aggregati.

AUMENTARE LA SOLUBILITA’

RIDURRE LA VELOCITA’ DI TRADUZIONE abbassando la velocita di traduzione diamo piu


tempo a tutti quei sistemi di recupero delle proteine di “curare” tutte le proteine misfoldate
inmodo che non si formino aggregati

*ABBASSARE LA TEMPERATURA DI CRESCITA si cerca un compromesso tra resa in biomassa


e e temperatura di crescita in modo da avere l’effetto ottimale: generalemnte si fa comiciar
ela coltura a 37 gradi ma, una volta raggiunta la fase logaritmica, si abbassa la temperatura

*USARE UN PROMOTORE PIU’ DEBOLE

*USARE UN PLASMIDE A BASSO NUMERO DI COPIE

*ABBASSARE LA CONCENTRAZIONE DI INDUTTORE

CAMBIARE LE CONDIZIONI DI CRESCITA

*AGGIUNGERE COFATTORI NECESSARI PER FOLDING


*CONTROLLARE LE VARIAZIONI DI PH

*AGGIUNGERE GLUCOSIO 1% PER REPRIMERE LA ESPRESSIONE DEL PROMOTORE LAC


INDOTTO DA LATTOSIO PRESENTE NEI TERRENI MASSIMI ( LB, 2xYT).

*AGGIUNGERE ETANOLO, TIOLI A BASSO PESO MOLECOLARE, NaCl. I solventi organici


polari vanno a interagire con le regioni idrofobiche in modo che si ripieghino correttamente
mentre i tioli interagiscono con i gruppi sh delle cisteine

ALTRE SUBUNITA’ DELL’OLIGOMERO CHAPERONES MOLECOLARI (ex emoglobina formata


da due subunita alfa e due beta: la produzione delle sole subunita alfa fa si che le proteine
aggreghino e precipitino motlo facilemente. Se pero nella stessa cellula si fanno esprimere
anche i geni delle subunita beta, queste andranno a stabilizzare le alfa in modo che si formino
dei tetrameri uguali a quelli che si possono trovare all’interno dei globuli rossi)

*GroES-GroEL

*DnaK-DnaJ-GrpE

*ClpB

FOLDASI

•PEPTIDIL -PROLIL CIS/TRANS ISOMERASI (PPI's)

•DISULFURO-OSSIDOREDUTTASI (DsbA)

•DISULFURO ISOMERASI (DsbC) se una proteina contiene diversi residui di cisteina allora
sara piu probabile che si formino delle conformazioni errate dato che verranno saturate tutte
le proteine endogene; con l’aggiunta di isomerasi eterologhe si puo ovviare a questo probema

•PROTEINA DISOLFURO ISOMERASI (PDI) – EUCARIOTICA- CATALIZZA SIA


OSSIDAZIONE DELLE CISTEINE CHE DSI: HA ANCHE ATTIVITA’ CHAPERONE.

ESPRIMERE LA PROTEINA NEL PERIPLASMA MEDIANTE AGGIUNTA DI UNA SEQUENZA


SEGNALE (pelB/ompT)

•L’AMBIENTE E’ PIU’ OSSIDANTE CHE NEL CITOPLASMA

•SONO PRESENTI DsbA E DsbC

•ATTIVITA’ PROTEOLITICA RIDOTTA

•PERMETTE ACCUMULO DI PROTEINE TOSSICHE NEL CITOPLASMA se nel citoplasma la


proteina poteva essere tossica perche interagiva con altre proteine funzionali, all’interno el
periplasma questa eventualita è scongiurata permettendo la sopravvivenza cellulare

•N-TERMINALE VERO
Svantaggi: livelli di espressioni minori

USARE CELLULE OSPITI “SPECIALI” CON CITOPLASMA OSSIDANTE questa


caratteristica influenza l’equilibrio ossido riduttivo della cellula in modo che non si formino ponti
disolfuro deleteri impedendod di conseguenza l’aggregazione proteica

CEPPI COMMERCIALI

*AD494, mutato nella tioredossina reduttasi (trxB).

*Origami, mutato nella tioredossina reduttasi (trxB) e glutatione reduttasi (gor).

PRODURRE UNA PROTEINA DI FUSIONE CON PROTEINA SOLUBILE

 MALTOSE-BINDING PROTEIN
 UBIQUITIN
 DsbA
 TIOREDOSSINA
 IgG-BINDING DOMAIN

SVANTAGGI: RECUPERO DELLA PROTEINA MEDIANTE PROTEOLISI geeneralmente si usa


una porzione di proteina linker che contiene una sequenza di idrolisi a connettere la regione
solubile aggiunta e la proteina target. Questo lavoro viene fatto in post purificazione in modo
che la probabilita di precipitazioni rimanga bassa

IN ALCUNI CASI LA ESPRESSIONE NEI CORPI INCLUSI PUO’ ESSERE UN VANTAGGIO


anche se solo per proteine relativamente semplici in quanto quelle piu grandipotrebbero
misfoldarsi anche in questo caso:

•LA PROTEINA RICOMBINANTE E’ FINO AL 50% DELLE PROTEINE TOTALI

•E’ PROTETTA DALLA DEGRADAZIONE

•NON PUO’ ESSERE TOSSICA PER LA CELLULA

LA PROTEINA NATIVA DEVE ESSERE RECUPERATA MEDIANTE DENATURAZIONE IN


VITRO E REFOLDING

*ISOLAMENTO DEI CORPI INCLUSI. SHOCK OSMOTICO E


CENTRIFUGAZIONE

*DENATURAZIONE IN PRESENZA DI AGENTI DENATURANTI COME GUANIDINA O


UREA O CONDIZIONI RIDUCENTI

(e.g. DTT).

*REFOLDING DELLA PROTEINA MEDIANTE LENTA RIMOZIONE DEL DENATURANTE


CON DIALISI, DILUIZIONE O CROMATOGRAFIA

(IN PRESENZA DI AGENTI RIDUCENTI )


26/04

I sistemi di manipolazione procariotici presentano il vantaggio di un alta manipolabilità dei ceppi


e delle colture e i batteri utilizzati come ospiti non presentano neanche un’alto livello di
infettività. Il problema risiede nel fatto che c’è una mancnza di tutte le modificazioni post
traduzionali delle proteine, nonostante essi siano capaci di fosforilare, qaule la glicosilazione.

SISTEMI DI ESPRESSIONE EUCARIOTICI

EPISOMALE P= promotore

Cs= sito di clonazione

t= terminatore + poli-adenilazione

ESM= marcatore selezionabile eucariotico

AmpR= marcatore selezionabile procariotico

Ori(E)= origine di replicazione procarioti

Ori(euk)= origine di replicazione eucarioti

( DA INTEGRAZIONE--> sequenze per integrazione)

I vettori di espressione eucariotici vengono definiti shuttle o navetta per la loro capacità di
essere replicati sia nei procarioti che negli eucarioti: per fare questo, i vettori necessitano sia
di una origine di replicazione procariotica che di una eucariotica (questo è favorevole nel caso
in cui si voglia clonare in diverse copie il vettore per poi recuperarlo e usarlo in un sistema
eucariotico); necessitiamo quindi di due geni marker, uno per ognuno dei due sistemi considerati,
che generalmente è una resistenza ad un antibiotico per i procarioti e un gene che codifica per
un amminoacido per il quale la cellula è auxotrofa; necessitiamo inoltre della sequenza da
esprimere con le relative sequenze per la trascrizione e traduzione; una differenza sostanzaile
tra i vettori procariotici e eucariotici è che nel primo caso si parla di plasmidi episomali (che
rimangono sempre al di fuori del cromosoma batterico) mentre nei secondi è possibile far
avvenire l’integrazione cromasomale.

OSPITI

Il lievito è stata la prima cellula ad essere stata


utilizzato come ospite eucariotico per la sua
praticità e semplicità di allevamento in
laboratorio, quasi equivalente a quella dei
batteri, ma che rappresenta comunque una
cellula superiore.

S. Cerevisiae è stata la prima specie in assoluto


ad essere utilizzata. Generalmente il vettore è
molto simile a quelli gia descritti; la scelta delle sequenze regolative deve essere presa
considerando sia lo studio che si vuole
fare sia la tipologia di ospite che si
vuole utilizzare (generalmente si opta
comunque per un promotore forte
derivanti dai geni molto espressi).
Questo lievito ci ha dato anche la
possibilità di sviluppare dei cromosomi
artificiali, chiamati YAC (Yeast
Artificial Chromosome) che simulano
deiveri e propri cromosomi che, proprio
per loro natura, riescono as ospitare
una quantità molto elevata di basi (100 kbasi). Questi YAC non sono pero utilizzati per
l’espressione di proteine ricombinanti ma per la regolazione dei geni di interesse. Inoltre, per
lo studio delle proteine, generalmente si utilizzano le cDNA mentre per lo studio con le YAC si
usano tutte le suquenze, anche interrotte.

Pichia Pastoris è la specie di lievito più utilizzata in questo momento dato che è quello che
permette di avere la migliore resa in biomassa, crescite in fermentazione (130g/l), fermenta
poco, cresce in aerobiosi su glicerolo. In origine questo lievito era utilizzato per la produzione
di mangimi proteici per altri organismi. Con il tempo si è capito che si tratta di un lievito metanol-
trofico che lo rende in grado di utilizzare il metanolo come fonte di carbonio convertendolo in
un intermedio dei diversi metabolismi (come la glicolisi o la riduzione del NAD). Tutte queste
capacità sono dovute alla presenza della alcol ossidasi (AOX) che lo ossida alla corrispondente
aldeide. L’alcol ossidasi è codificata da due geni diversi, AOX1 e AOX2, che danno come
prodotto finale lo stesso enzima ma che hanno una regolazione dell’espressione diversa: AOX1
è controllato da un promotore molto forte, è inducibile da metanolo e represso dal D-glucosio.
il vettore di espressione
utilizzato per Pichia è molto
simile a quelli già descritti ma
è un plasmide da integrazione:
presenta il promotore di
AOX1 ed il suo terminatore;
inoltre è anche presente la
sequenza 3’-AOX1 che

corrisponde al 3 del gene
dell’alcol ossidasi. Quando
introduciamo il vettore all’interno della cellula avverrà una ricombinazione omologa tra il
rpomotore del gene e della sua sequenza al 3’ che porterà alla sostituzione del gene per AOX1
sul cromosoma con la sequenza interposta tra le due sequenze che si trovano sul plasmide.
Possiamo ora selezionare qauli cellula abbiano integrato il plasmide tramite la crescita su terreni
minimi (in questo caso è presente il gne per His in modo che solo le cellule che hanno integrato
il plasmide possano sopravvivere in terreni senza istidina) e per crescita lenta su metanolo
(causata dalla mancanza del gene AOX1 ma della presenza di AOX2, il quale è meno efficiente
del primo).

Vantaggi:

-Facilità crescita e vantaggi sistema eucariotico -Integrazione genomica e stabilità


trasformanti

-Possibilità di studiare in vivo interazioni proteina-proteina

-Possibilità di esporre proteine sulla superficie cellulare

(librerie di espressione eucariotiche)

Svantaggi:

Modificazioni post-traduzionali:

-Idrossilazione proline (-)

-Fosforilazione ( ≠)

-Glicosilazione: O- glic. diversa (mannosio invece di N-Acetil-Galattosamina, galattosio e acido


sialico); N-glic. Iperglicosilazione con mannosio (P.pastoris) realizzata solo su proteine secrete

SISTEMI DI ESPRESSIONE SUPERIORI

Il primo sistema che ci permette di lavorare con celluel eucariotiche superiori, quali quelle di
mammifero, è quello del baculo virus che generalmente infetta cellule di larve di insetto. Esso
ha un genoma a dna a doppio filamento circolare di 80-200 kb.

FASE PRECOCE

• 0-6 hrs post-infection


• DNA entra nel nucleo

FASE INTERMEDIA

• 6-20 hrs post-infection •


Replicazione virale,
nucleocapside si sposta nel
citoplasma

FASE TARDIVA

• >20 hrs post-infection • polh si


esprime e viene sintetizzata la
poliedrina

- Ospite: cellule di insetto in


coltura

La poliedrina è espressa a partire da un gene non essenziale che può essere per questo
manipolato; questa va a costituire l’involucro più esterno del virus che però non è essenziale alla
sua capacità di entrare all’interno delle cellule e di replicarsi in sede (la differenza risiede nela
fatto che i virus sprovvisti di questo geen non sono in grado di produrre i nucleocapsidi che
permettono al virus di fuoriuscire dalla cellula). Il promotore e il terminatore del gene di
interesse sono quelli della poliedrina.

Il problema di questo virus è che presenta un genoma molto vasto il che rende difficile la
manipolazione dello stesso; per ovviare a questo problema, in un prim omomento si pensò di
costruire un plasmide di trasferimento più piccolo in cui ci fosse il gene target compreso tra le
sequenze regolative della poliedrina che fosse
introdotto all’interno di una cellula insieme a un
genoma di virus wild type così che avvenisse
ricombianzione omologa tra le sequenze con
risultante formazione della molecola da noi
ricercata. La selezione poi si fa vedendo quale
cellule lisano, dato che i virus senza poliedrina
causano lisi. Il problema d iquesta tecnica è la
bassa percentuale (1%) di ricombinazione
dovuta al fatto che si instaura un fenomeno di
competizione tra virus wild e quello mutato.
Ora, per ottenere una prcentuale di
ricombinazione più alta, si pate da un virus già
trattato con un enzima di restrizione che
taglia la sequenza del genoma a monte e a valle
del gene per la poliedrina (a monte troviamo
un altro gene non essenziale mentre a valle
tagliamo una sequenza per un gene
fondamentale per la sua replicazione). Si
prende poi il vettore di trasferimento che non
solo deve contenere la sequenza del gene
target racchiuso tra le sequenze regolative
per la poliedrina, ma anche, alle estremità, le
sequenze che sono state interrotte nel genoma del virus. Se poi immettiamo all’interno della
cellula il genoma di baculo virus ristretto e il vettore di ttrasferimeneto avverrà un evento di
ricombianzione che ci porta al prodotto interessato solo che in questo caso non può esserci
alcun evento di competizione in quanto si tratta di un genoma mutato che non permette la
replicazione del virus.

Vantaggi:

-Scelta espressione in fasi diverse ciclo vitale

-Possibilità di esporre proteine sulla superficie cellulare

(librerie di espressione eucariotiche-VLP/vaccini))

-Infetta anche cellule mammifero

(umane; epatociti)-> terapia genica somatica -Secrezione

Svantaggi:

-Genoma di grandi dimensioni

- Clonaggio indiretto

-Glicosilazione diversa

-Processamento non corretto

Alcuni problemi risolti con co-espressione

L’utilizzo di questo ci permette anche di allestire delle banche genetiche in cui esponiamo sulla
superficie della particella virale o della cellula infettata parti o tutta la proteina ricombinante.

03/05

ESPRESSIONE IN CELLULE DI MAMMIFERO

L’espressione di proteine all’interno di cellule di mammifero può avere diversi scopi come quello
della ricerca (cellule in coltura: struttura, funzione e regolazione di un gene o per la produzione
di proteine o farmaci; animali transgenici: modelli di malattie, xenotrapianti, animali che
esprimono proteine e quindi organi umanizzati a scopi trapiantistici, e bioreattori, utilizzo di
animali o piante come produttori della proteina ricombinante a scopo clinico in una regione
commestibile) o per la clinica (terapia genica: ripristino di vie metaboliche alterate o per
aumento delle difese del paziente).

I vettori per queste cellule si dividono in due categorie:

 Vettori non virali che sono plasmidi di origine artificiale e che quindi non esistono in
natura (in quanto effettivamente i mammiferi non presentano plasmidi all’interno del
nucleo) e che devono essere sintetizzati ad hoc in laboratorio.
 Vettori virali gia essitenti in natura che avendo già una tecnica di immissione nella cellula
devono solo essere resi inefficaci sulle cellule in coltura.

VETTORI NON VIRALI

Si utilizzano delle regioni di regolazione di origine virale


perché i virus sono gli unici ad essere in gardo di replicare e
trascrivere per via extracromosomale all’interno delle
cellule.

Origine di replicazione: generalmente da virus animali


(SV40), essendo vettori shuttle presentano origini di
replicazione eucariotiche che procariotiche per permettere
una preventiva amplificazione

Promotori(Enhancer/Silencer) e Terminatori Generalmente da: virus animali SV40,


cytomegalovirus (CMV), herpes simplex virus (HSV) o geni di mammifero altamente espressi:
actina β, timidina chinasi, ormone della crescita bovino
3’ UTR e Sito Poliadenilazione : a valle della sequenza codificante necessarie per la corretta
sintesi e  poliadenilazione di mRNA

Sequenze introniche tra promotore e gene (sono regioni non codificanti che possono essere
definite dei 5’ UTR

MARCATORI SELEZIONABILI

Neor (di origine batterica): neomicina fosfotrasferasi batterica G-


418 (geneticina) / blocca la traduzione e uccide la cellula, solo le
cellule cellule che presentano il plasmide sono in grado di crescere sul
terreno che contiene l’antibiotico.

Posizionamento nella regione del gene target un altro


gene che complementi per una via metabolica
interrotta; DHFR: gene per diidrofolato reduttasi
Utilizzabile con cellule DHFR- che conferisce
resistenza a Metotrexato (MTX).

Un problema che si incontra quando si cerca di produrre delle proteine ricombinanti in un


sistema eucariotico è l’incapacità di queste di “leggere” dei messaggeri policistronici (cosa che
non sussisteva nel caso di ospiti batterici). Nel caso in cui si voglia esprimere piu di una proteina,
magari che vadano a costituire diverse subunità
dello stesso oligomero, abbaimo due possibili
soluzioni:

 Possiamo produrre de ivettori a doppia


cassetta che contengono due geni distinti
con le annesse unità trascrizionali
indipendenti in modo che entrambi i geni
vengano espressi (può comunque
accadere che la resa finale non sia
equivalente dato che comunque la
trascrizione avviene indipendentemente)
 Possiamo utilizzare de ivettori dicistronici che
possiedono un'unica sequenza codificante, e con
un’unica regione di regolazione per la trascrizione, in
modo che si formi un solo mRNA che però non sarebbe
traducibile; per ovviare a questo problema, tra i due
geni aggiungiamo una IRES (Internal Ribosome Entry
Site) virale che permette di mantenere il ribosoma
adeso all’RNA
SISTEMI DI TRASFREIMENTO GENICO (TRASDUZIONE)

Tecniche Biologiche

•Trasformazione (microoorganismi)  

•Trasfezione (eucarioti)

•Infezione (se il vettore è un virus)

Tecniche Chimiche e Fisiche

•Uso di sostanze permeabilizzanti  

•Elettroporazione  

•Liposomi, particelle di DNA contenute all’interno di


involucri lipidici che permettono la fusione delle vescicole con la membrana cellulare in modo
che il dna sia immesso nel citoplasma

•Bombardamento con microparticelle

•Microiniezione diretta, permette di indirizzare il DNA nella sede che decidiamo noi a priori
mediante l’utilizzo di siringhe estremamete sottili e di microscopi molto sofisticati

(nel caso in cui si voglia introdurre DNA esogeno all’interno dei un organello bisognerò estrarre
ad esempio il mitocondrio a priori, modificarlo a piavere e reintrodurlo successivamente)

ESPRESSIONE TRANSIENTE O STABILE

TRANSIENTE

 Per esperimenti a breve termine (per lo studio di promotori ad ex)


 Con cellule raccolte 48-72h dopo la transfezione
 Over-espressione genica
 Popolazione cellulare disomogenea: poche cellule con molto plasmide
 Tecnica immediata

STABILE

 Per esperimenti a lungo termine con possibilità di isolare e propagare singoli cloni
contenenti il DNA transfettato
 Il plasmide si integra nel genoma, processo lungo e laborioso
 L’integrazione è casuale
 Necessario marker selezionabile
 Popolazione cellulare omogenea: molte cellule con poco plasmide
ESPRESSIONE TRANSIENTE EPISOMALE (EX SV40 e ANTIGENE T)

VANTAGGI

•NO nuovi virus patogeni

•RIDOTTO rischio di reazione immunitaria

•SI al trasferimento di molti tipi di DNA anche molto grandi

•SI alla produzione in grandi quantità a basso costo

SVANTAGGI

•BASSA efficienza di trasduzione e di integrazione (effetti non duraturi)

•ALTA probabilita’ di mutagenesi inserzionale

VETTORI VIRALI

I vettori virali vengono utilizzati perché hanno la capacità d iinfettare cellule bersaglio
specifiche in uno stadio ben definito del ciclo cellulare
•IL GENE TARGET VIENE INSERITO NEL GENOMA VIRALE sotto il controllo di un
promotore forte.

•IL VIRUS ORIGINALE E’ DIFETTIVO (no replicazione autonoma in modo che non possa essere
patogeno una volta inserito nella cellula da modificare)

•LE PARTICELLE VIRALI RICOMBINANTI VENGONO  PRODOTTE IN LINEE CELLULARI


SPECIALI (linee di packaging che complementano i difetti presenti nel genoma virale in modo
da produrre delle particelle preformate che possono poi essere utilizzate in seguito (passiamo
quindi per un intermedio cellulare)).

VETTORI

•Retrovirus: infettano solo cellule in divisione e si integrano stabilmente in maniera casuale


(murini)

•Lentivirus: derivati del virus HIV, possono infettare cellule quiescenti e si integrano
stabilmente in maniera casuale.

•Adenovirus: esprimono ad alti livelli, non si integrano stabilmente e danno grosse reazioni
immunitarie.

•Virus adeno-associati (AAV): integrazione sito specifica ed espressione stabile nel tempo,
difficile produrli ad alto titolo.

•Herpes simplex: infezione molto selettiva dei neuroni, ma importanti effetti citotossici.

RETROVIRUS

•virus con envelope  

•genoma =10 Kb ssRNA  

•retrotrascritto a dsDNA dopo infezione  

•si integra nel genoma dell’ospite (possibile


mutagenesi)  

•infetta solo celule in divisione  

GENI

•gag: proteine del core

•pol: trascrittasi inversa

•env: proteine dell’envelope

•LTR: long terminal repeat= promotore/enhancers e sequenze necessarie per l’integrazione

• ψ: sequenze per il packaging necessaria per permettere lo storage del DNA nella particella
RETROVIRUS DIFETTIVI NELLA REPLICAZIONE

Mantenuta la regione LTR e sequenza di packaging (elementi cis). Promotore: virale o


eucariotico; Marker di selezione (es . neomicina). Dimensione max del transgene: 7.5 Kb
(dimensione massima per permettere al DNA di essere inserito all’interno del capside senza che
la particella subisca danni). Questi virus però non sono in grado di replicare e d iamplificarsi né
tantomeno di produrre la proteina all’interno della nostra cellula. Per ovviare a questo problema
abbiamo due soluzioni:

 Possiamo usare delle linee di packaging, cellule mutate geneticamente che presentano
all’interno del loro genoma i geni che mancano sul genoma virale in modo che il virus possa
essere imesso all’interno di particelle virali infettive lasciando però l’acido nucleico
impossibilitato a essere patogeno nelle successive infezioni
 Possiamo infettare una cellula ,oltre che con il virus di interesse, con un virus helper che
è un virus normale mancante però delle sequenze psi e LTR: il virus helper produrrà
l’envelope che però sara disponibile solo per gli acidi prodotti dal nostro virus di
partenca, che contiene le sequeenze di riconoscimento
VANTAGGI

• ALTA efficienza di trasduzione

SVANTAGGI

•SI nuovi virus patogeni per ricombinazione con virus presenti nell’ospite (anche se il nostro
virus è reso difettivo, non possiamo escludere che all’interno del genoma della cellula da studiare
ci sia la sequenza di un virus quiescente il quale potrebbe andare a ricombinare con quello
inserito producendo un nuovo virus con potenzialità patogena)

•SI Mutagenesi inserzionale (solo quelli ad integrazione casuale) (può accadere che il virus si
integri in siti importanti per la regolazione di geni fondamentali alla sopravvivenza cellulare
causandone la morte oppure può integrarsi a valle di un promotore attivato da un induttore
diverso da quello selezionato coischè venga a mancare il nostro controllo sulla regolazione
dell’espressione del vettore)

•LIMITE alle dimensioni de DNA

•SI Reazioni immunitarie

•SI Costi elevati

ESPRESSIONE IN CELLULE IN COLTURA

Svantaggi: Difficile scale-up, Tempi lunghi, Rese basse, Problemi di sicurezza

Vengono utilizzate per la produzione di cellule immortalizzate con la capacità di produrre


anticorpi monoclonali.

Il problema delle cellule eucariotiche è la loro scarsa capacità


di sopravvivenza in colture in sospensione rendendo
inefficienti le crescite negli incubatori convenzionali; dato
che la resa in biomassa è molto bassa non è possibile
sfruttare queste cellule per processi industriali. Quest
iesperimenti sono utilizzati per produrre un numero limitato
di cellule che possono esprimere proteine anche motlo
complesse che poi potranno essere studiate. La resa è stata
comunque migliorata nel tempo:
08/05

GLI ORGANISMI TRANSGENICI COMPLESSI

Lo studio delle proteine espresse negli organismi transgenici serve principalmente allo studio
del ruolo di una proteina in un contesto fisiologico, per la produzione di modelli di animali per
malattie umane, per i xenotrapianti (produzione di organi da utilizzare per trapianti umani,
oppure per la produzione di biorettori.

le alternative sperimentali fondamentali sono


generalmente due: i topi knock out, in cui noi
siamo interessati a eliminare o attenuare la
produzione di una proteina (che in linea
teorica è anche più semplice da eseguire), o i
topi knock in, in cui noi aggiungiamo materiale
genetico per aumentare o rimpiazzare la
produzione di una proteina target.

I TOPI TRASGENICI

Modello delle cellule staminali embrionali


(ES):

la produzione di organismi geneticamente modificati secodno questa tecnologia comincia con il


prelievo di cellule staminali embrionali dalla cavità interna della blastocisti murina; queste
cellule vengono messe in coltura e viene aggiunto il materiale transgenico, attraverso uno delle
tecniche e vettori precedentmente analizzati, e vengono selezionate le cellule, o gruppi di
cellule, che hanno integrato il materiale esogeno. Questi gruppi cellulari vengono microiniettati
all’interno di una seconda blastocisti murina che verrà poi reimpiantata in una madre surrogata;
l’embrione che si svilupperà possiederà sia cellule della linea transgenica che cellule della linea
wild type. La prima generazione di topi che verranno partoriti sarà definita chimerica: i topi non
avrà un espressione omogenea del transgene ma avrà dei tessuti geneticamente modificati e
altri provenienti dalle cellule normali. Per ottenere delle linee pure dobbiamo fare un reincrocio
tra una chimera e un topo wild type cosi che la secanda generazioni presenti o topi del genere
wild o topi completamente transgenici, dato che provengono da un gamete yche continee
materiale esogeno in più. Queste tipologie di topi formati possono essere utilizzati per i primi
due scopi sopra indicati.

La produzione della proteina poi però non sarà per forza omogena ma dipenderà dal promotore
che controlla l’espressione del gene: esistono promotori attivati da un segnale ubiquitario che
da segnali specifici, per esempio neurali. Un'altra variabile da considerare è il vettore
utilizzato: se utilizzaimo quelli virali c’è una certa probabilita che avvenga un inserzione non
corretta che causi una differente espressione del gene. Proprio pe questi motivi e poi
necessario uno studio dei tessuti per verificare l’efficacia del nostro operato.

ANIMALI O PIANTE COME BIORETTAORI

-Vantaggi: possibilità di facilitare la purificazione del prodotto se questo si trova in una parte
commestibile e conservabile (semi, latte; si cerca di far esprimere il gene solo in determinati
tessuti e non in modo obiquitario). Bassi costi di produzione.

Il gene si introduce per microiniezione nell’ovulo o nell’embrione (1-2 cellule); Il promotore si


attiva in tessuti e momenti dello sviluppo specifici

Svantaggi:

Il primo animale è molto costoso eTempi di generazione e resa, qui si parla di animali che non
sono facilmente allevabili come i topi

In questi casi non solo bisogna accertarsi che la proteina venga espressa nlla sede designata ma
bisogna anche essere sicuri che questa non venga prodotta in modo incontrollato in tutti gli altri
tessuti

Controllo dei dosaggi

Problemi di Biosicurezza, bisogna confinare gli organismi in un ambiente sicuro onde evitare
contaminazione delle linee wild

Ruminanti non fanno tutte le modificazioni post-traduzionali

Ultimamente ci si sta focalizzando sull’utilizzo delle uova con un alta concentrazione di anticorpi
all’interno di esse cosi da poter somministrare la proteina ai pazienti semplicemente facendogli
mangiare l’’alimento.
PROTEINE A SCOPO TERAPEUTICO E DIAGNOSTICO

Da quando è stata scoperta è applicata la produzione di proteine a scopo teraeutico ci si è


focalizzati inizialemnte sulla produzione di proteine come l’insulina e l’ormone della crescita;
oggigiorno ha acquistato un’importanza abbastanza elevata anche lo studio delle proteine
coinvolte sia nell’eritropoiesi che nella coagulazione mentre ancora iiu importanti sono gli studi
per il combattimento del cancro. Proprio negli ultimi anni si è spostata l’attenzione sugli
anticorpi monoclonali che possono essere utilizzati per divrsi scopi sia a livello tumorale,
indirizzandoli contro le cellulemutate, che quelli come ad esempio infiammatori, andando a
riconoscere i fattori che mediano l’infiammazione.

INGEGNERIA PROTEICA

SCOPI PRINCIPALI

(A) CARATTERIZZAZIONE PROTEINE NATURALI

(B)MODULAZIONE ATTIVITA’ PROTEINE NATURALI

(C)INTRODUZIONE DI NUOVE FUNZIONI IN PROTEINE NATURALI

(D)PROTEINE ARTIFICIALI in questo caso si sidegnano proteine ad hoc per funzioni che
possono essere da noi scelte (come la formazioni difibre o monostrati proteici) allo scopo non
tanto terapeutico quanto industriale dato che la sua imisione in un organismo potrebbe causare
una risposta immunitaria molto severa

L’EFFETTO DI UNA MUTAZIONE DIPENDE DAL CONTESTO


–Posizione di superficie o interna,come nel caso delle proteine globulari, una mutazione sulla
superficie può influenzare in modo diverso la struttura se la si confronta con una mutazione a
livello più interno

–Tipo di struttura secondaria, bisogna considerare quanto una mutazione possa influenzare la
struttura secodnaria di una proteina  

–Residui vicini, bisogna considerare la sequenza in cui andiamo a fare questa mutazione dato che
se sostituiamo un aa impeganto in un ponte salin oandiamo a perdere l’energia derivante dal quel
legame

•L’effetto dipende da una combinazione di questi fattori e quindi l’effetto complessivo della
mutazione non è mai perfettamente prevedibile

IN GENERALE: INTRODURRE UNA NUOVA FUNZIONE E’ SEMPRE PIU’ COMPLESSO CHE


ELIMINARNE UNA PRE- ESISTENTE, ogni volta che introduciamo una nuova mutazione
dobbiamo tenere conto della stabilità relativa che hanno raggiunto le proteine naturali sotto
una pressione evolutiva durata miliardi di anni; si è già visto che alcune proteine hanno una
stabilità molto labile ch epotrebbe addirittura essere destabilizzata dall’energia proveniente
da un paio di legami a H.

STRATEGIE DI INGEGNERIA PROTEICA

Design razionale: Le variazioni vengono introdotte singolarmente o in piccoli gruppi sulla base
di informazion i strutturali e/o funzionali. Oggi si conoscono la maggior parte delle
caratteristiche di una proteina e, in mancanza di queste, si può sempre ricorrere alle
informazioni proveenienti dall studio di proteine omologhe.

Evoluzione guidata: Le variazioni vengono introdotte per mutagenesi casuale, ispirandoci alla
pressione evolutiva della selezzione naturale, di una sequenza (genotipo) e si seleziona la
funzione (fenotipo) voluta con metodi vari. Da una popolazione di genotipi molto vasta, si fanno
delle mutazioni tali che ci permettono di selezionare i fenotipi interessanti

Negli ultimi anni di sperimentazione questa divisione così netta è venuta sempre meno e spesso
quello che si fa è un approccio definito semirazionale: nella sperimentazione razionale si
selezionano le mutazioni che si vogliono indurre, nell’evoluzionistica le mutazioni sono indotte
casualmente e in quella semirazionale si mettono insieme questi due approcci selezioando una
regione della sequenza che si pensa essere importante per il raggiungimento della funzione della
proteina e si inducono delle mutazioni casuali in quella regione selezionata.

DESIGN RAZIONALE

Struttura:

 primaria sequenza di aminoacidi, grazie alle tecniche di sequenziamento che


ci permettono di ottenere la sequenza nucleotidica di un gene possiamo prevedere con
certezza la sequenza amminoacidica di una proteina
 secondaria α-elica, β-foglietto, turn, random coil, grazie alle medesime
tecniche utilizzate per il sequenzaimento è possibile prevedere con bassisima probabilità
di errore la struttura secondaria delle varie regioni delle proteine
 Terziaria Funzione 3D (cristallografia, NMR), queste tecniche ci permettono
di studiare la struttura terizaria di una proteina, direttamente su quella in esame o, se
si è impossibilitati per qualche ragione, su una omologa
 Sito attivo aminoacidi coinvolti & co-fattore
 Catalisi meccanismo, specificità & cinetica
 Regolazione Inibitori & effettori allosterici

INGEGNERIA DI ENZIMI

1.Specificità di substrato

2.Richiesta di cofattori

3.Stereochimica di reazione

4.Catalisi

SONO VALIDI I PRINCIPI BIOCHIMICI GENERALI DEL RICONOSCIMENTOMOLECOLARE


E DELLA CATALISI ENZIMATICA

1. Classi di enzimi modificati:

-Ossido-reduttasi, Idrolasi, Trasferasi, Enzimi di restrizione

Specificità di substrato : LATTICO DEIDROGENASI Wild-type:

Piruvato +NADH +H+ <--> Lattato

Mutante Gln102->Ar, aumenta l’affinità per l’ossalacetato di un fattore 107

Ossalacetato +NADH +H+ <--> Malato

L’idea di questa mutazione era quella di rendere la lattico deidrogenasi capace di riconoscere
l’ossalacetate, un acido bicarbossilico a 4 atomi di carbonio, invece che il convenzionale piruvato,
a tre atomi di carbonio.i ricercatori, in questo caso, sono riusciti nel loro intento mediante
un'unica mutazione specifica: essi hanno notato che nel sito attivo sono presenti diverse catene
laterali atte a stabilizzare il legame del piruvato, tra le quali c’è un arginina, incaricata di
stabilizzare mediante formazione di un ponte salino la carica negatica del gruppo carbossilico
del piruvato. Se noi sostituissimo il piruvato con l’ossalacetato ci troveremmo nella situazione
in cui un altro gruppo carbossilico sarebbe esposto in vicinanza della catena laterale di un
amminoacido polare ma non carico che non riesce a stabilizzare questa seconda carica negativa.
La mutazione di questo amminoacido in una seconda arginina ha permesso di formare un altro
ponte salino che può efficientemente stabilizzare l’ossalacetato creando un enzima in grado di
convertirlo in malato (è bastato un ragionamento razionale per arrivare allasoluzione ricercata).
ASPARTATO-AMINOTRASFERASI (AT) --> TIROSINA-AMINOTRASFERASI (mutazioni
multiple)

Per arrivare alla soluzione si sono ricercate tutte le sequenze amminoacidiche delle aspartato-
aminotrasferasi di diverse specie onde ritrovare gli amminoacidi critici che quindi risultavano
conservati perché importanti o alla reazione catalitica o a quella di riconoscimento del
substrato. In questo caso si conservano tutti quei residui incaricati della funzione catalitica
mentre si immaginano le possibili mutazioni da attuare per peremttere di accomodoare, in
questo caso, un amminoacido molto più grande e idrofobico di quello di partenza: sono state
necessarie 6 mutazioni che però non sono state inserite tutte insieme ma si è valutata
l’importanza di una alla volta per poi passare alle mutazioni combinatoriali (questo si fa perché
non è possibile affermare che le mutazioni siano aditive e perciò non si può essere neanche
sicuri dell’effetto che esse avranno tutte insieme).

DIIDROSTREROIDE-DEIDROGENASI (HSD)

Questi enzimi sono importanti nella catalisi di molecole steroidee e quindi molto complesse. Il
sito attivo dell’enzima si trova in una posizione relativamente inusuale, sulla superficie del
complesso, e inoltre non ha una struttura definita ma è costituita da una serie di loop senza una
struttura ben definibile. La molecola di partenza aveva il compito di inattivare di androgeni
mentre quella a cui si voleva arrivare doveva essere attiva sugli estrogeni: in questo caso si
estratta e trainata la regione catalitica dalla proteina di partenza ed è stata impiantata sulla
proteina che riconosceva specificamente il progesterone (i loop della 3α-HSD sono stati
sostituiti con quelli della 20α-HSD). In questo caso quindi si parla di proteina chimerica e non
di mutazioni vere e proprie.

4. Ingegneria di meccanismi di catalisi

a.Gli intermedi di reazione vengono utilizzati per formare prodotti diversi da quello originale

b.Viene ottimizzata una reazione collaterale già presente nell’enzima

c.Si modifica il sito catalitico pre-esistente in modo da catalizzare una nuova reazione

d.Si modifica un sito di legame pre-esistente in modo da catalizzare una reazione

Viene ottimizzata una reazione collaterale già presente: MIOGLOBINA in PEROSSIDASI

Per queste sperimentazioni si prendono delle proteine che svolgono già una reazione ricercata
all’interno del sistema biologico, ma con un efficienza minima, e gli si massimizza l’attività di
questa funzione. Esempio molto studiato è quello della mioglobina, che presenta un sito che
ricorda molto quello delle perossidasi (nonostante l’attività sia molto bassa non si può dire che
non ci sia): si è quindi passati allo studio dei due siti attivi per vedere cosa li distinguesse e ci
si è accorti che la differenza risiedeva nella presenza nella mioglobina di una leucina idrofoba
che prende contatti con l’istidina distale, interazione fondamentale per la formazione del
legame a H con l’ossigeno; nella perossidasi, non essendoci questo residuo, l’istidina è libera di
muoversi nel sito attivo dell’enzima e di catalizzare lla reazione. Scambaindo le catene laterale
dei due residui nella mioglobina si ha fatto acquistare alla prtoeina la capacità di catalizzare
reazioni che comprendevano substrati aromatici.

Si modifica un sito di legame pre-esistente in modo da catalizzare una nuova reazione:


CICLOFILLINA (peptidil-prolil-cis-trans isomerasi) --> SERINA-PROTEASI (prolina-
specifica)

Era necessario trovare una proteasi specifica per quei legami che coinvolgessero le proline,
amminoacidi molto particolari; per fare ciò si è ricorsi allo studio di proteine che possedessero
già la capacità di interagire con questi residui (come le peptidil-prolil-cis-trans isomerasi) e gli
si è aggiunto in prossimità del sito catalitico la triade catalitica della proteasi serina dipendente.

Si realizzano sistemi enzimatici modulatori: si studiano gli antibiotici polichetidi, molecole


sintetizzate da un complesso multienzimatico che opera delle reazioni in sequenza aggiungendo
un residuo specifico alla volta. Si è quindi pensato di invertire o cambiare l’ordine dell’azione
degli enzimi nel complesso in modo che si formassero nuove molecole con lo stesso numero e
tipo di amminoacidi ma con un ordine diverso. Questi neo composti sono statisaggiati per vedere
se avessero ancora un significato biologico.

Polichetide sintasi: Aciltrasferasi (AT), Chetosintasi(KS), Chetoreduttasi (KR), Deidratasi


(DH), Enoilreduttasi (ER), Tioesterasi (TE)

10/05/17

EVOLUZIONE GUIDATA

Nell’evoluzione normale si parte da una popolazione con un alta variabilità genomica e in questo
bacino l’evoluzione seleziona gli individui con le caratteristiche necessarie alla sopravvivenza
nell’arco di moltissimi anni. Ora in laboratorio possiamo mimare questo meccanismo e ottenere
gli “stessi” risultati in pochi mesi.

IL PERCORSO SEGUITO DA UNA PROTEINA NEL CORSO DELLA SUA EVOLUZIONE PUO’
ESSERE DESCRITTO COME:

Fitness landscape (scenario del successo evolutivo): descrive le possibilità che si presentano ad
una data proteina in termini di fitness. Per esplorare queste possibilità la sequenza della
proteina deve variare all’interno di uno Spazio di sequenza: La complessità della diversità dei
sistemi proteici (20n, in una proteina di 100 residui allora per ogni residuo può esserci uno dei
20 amminoacidi). è pero molto difficile esplorare tutte le possibilità in un tempo ragionevole
tanti sono i cloni che bisognerebbe controllare in laboratorio. Nel complesso possiamo dire che
questo è un processo che somiglia al processo naturale ma che, per questioni di necessità, è reso
più veloce e meno efficiente.
STRATEGIA DI EVOLUZIONE DIRETTA

1. dopo aver
selezionato il gene
da cui si vuole far
partire la
sperimentazione,
la prima cosa da
fare è creare una
librearia di
varianti tramite
mutagenesi di
diverso tipo
2. In seguito è necessario introdurre tutte queste varianti geniche all’interno di vettori di
espressione da imettere all’interno d icellule ospiti per ottenerne i prodotti proteici
3. Infine dobbiamo ricercare le caratteristiche, e quindi il fenotipo, interessato mediante
screening di vario tipo

Questo processo può essere ripetuto per diversi cicli in moche che in un primo giro di selezione
riusciam oa identificare una variante interessante per poi andare a ottimizzarne la funzione
mediante cicli di mutagenesi successivi.

PRINCIPALI STRATEGIE DI ESPRESSIONE E SELEZIONE

Il problema che incontriamo ee che dobbiamo risolvere immediatamente quando usiamo questa
tecnologia è quello del dover maneggiare un numero enorme di cloni tutti diversi; perciò si rende
necessatrio utilizzare dei metodi che ci permettano di semplificare il compito rendendo il
processo ad alta resa.

Requisito essenziale: associazione genotipo-fenotipo; in tutte le tecniche che descriveremo


sarà però ancora più complicato risolver eil problema legato al fatto che non si conosce a priori
la relazione tra un fenotipo interessante e il genotipo della cellula che presenta tali
caratteristiche.

•librerie di espressione in procarioti ed eucarioti  (cell display)

•librerie di espressione su batteriofagi (  phage display)

Problemi: efficienza di introduzione del DNA nelle cellule

•librerie di espressione su ribosomi ( ribosome display); questa tecnica ci permette, tramite un


trucco, di riconoscere direttamente il genotipo associato a un fenotipo: il ribosoma fa da
collante tra il messaggero, che rappresenta il genotipo, e la catena amminoacidica, che
rappresenta il fenotipo.

-mRNA tradotti in vitro su ribosomi

-arresto della traduzione indotto


-la proteina viene esposta sulla superficie del ribosoma

Problemi: valido soprattutto per proteine con proprietà di legame

SELEZIONE CELLULARE

 SELEZIONE IN VIVO: per poter ricavare le caratteristiche ricercate mediante questa


tecnica dobbiamo innanzitutto inserire le nostre varianti genice all’interno delle cellule
ospiti usate perlo studio che verranno poi fatte crescere in condizioni limitanti in modo
che solo quelle con la mutazione ricercata possano essere rilevate come colonie (la
selezione la faccio direttamente sulle sole cellule che riescono a sopravviere nelle
condizioni che noi decidiamo e che quindi devono acquisire il fenotipo ricercato).
Vantaggi: selezione dei poitivi; eliminazione di varianti non volute; saggi su popolazioni
molto vaste (1010). Svantaggi: falsi positivi (vitali ma non ottimali); misura indiretta
enzimatica; complessità della manipolazione.
 SCREENING: in questa seconda tecnica invece di andare a selezionare le cellule vitali
andiamo a piastrare le cellule precedentemente lisate su un supporto che rpesenta dei
pozzetti così che ogni pozzeto corrisponda a un clone (ci sono tutte le protiene della
cellula in particolare). Saggiando le proteine in condizioni che decidiamo noi possiamo
individuare tutte quelle che hanno subito la mutazione ricercata. Vantaggi: saggio di
atticità diretto; saggi in condizioni non naturali; valutazioni di più parametri. Svantaggi:
complessità della manipolazione; saggi su popolazioni non vaste (105 se automatizzato);
la precisione abbassa la resa.

SCREENING

Alcune proprietà misurabili:

-torbidità, pH, Assorbanza/fluorescenza, Calore

CREAZIONE DI UNA POPOLAZIONE COMPLESSA

Anche solo 5 mutazioni su una


piccola proteina di appena 181
residui, nel caso in cui queste
siano casuali, crea un numero
di cloni che è ingestibile in
laboratorio. Proprio per
questo motivo, generalmente
si cerca d iabbassare il
numero dei cloni che devono
essere valutati.

MUTAGENESI CASUALE SU REGIONI ESTESE (le mutazioni vengono fatte casualmente su


tutta la sequnza codificante per l’intera proteina)

minore livello di complessità ma su tutta la sequenza

•ceppi ad elevata frequenza di mutagenesi  

•mutageni chimici  

•PCR a bassa fedeltà (error-prone)  

-attività 3’->5’ esonucleasica  

-MnCl2  

-sbilanciamento dei precursori


-numero di cicli aumentato  

-pH 

*Problemi: preferenza di mutazioni A<->G e T<->C bassa probabilità di sostituzioni multiple


vicine

•Random Insertion deletion mutagenesis (RID): tagli casuali con Cs(IV)-EDTA

Una mutazione casuale su tutta la sequenza codificante però può portare nella maggior parte
dei casi a mutazioni deleterie, come nel caso della conversione di un codone di senso in uno di
stop, perciò si preferisce fare delle modifiche su una regione che si sa essere importante per
la formazione di uno specifico sito.

MUTAGENESI CASUALE SU REGIONI LIMITATE

Maggiore livello di complessità locale e si minimizza la probabilità di insorgenza di una mutazione


letale

• Frammenti del gene originario sono sostituiti da   oligonucleotidi sintetici contenenti:

-singole posizioni casuali

-più posizioni casuali

-sottoframmenti semi-casuali

*Oligonucleotidi: sintesi automatica in fase solida ingannando il sinttizzatore utilizzando


quattro aliquote che, invece di contenere solo un nucleotide, li contiene tutti e quattro a
concentrazioni diverse.

(codoni di stop evitati --> solo G o C in terza posizione)

Possiamo disegnare un grafico


in cui sulle ascisse mettiamo il
nuemero di mutazioni
introdotte e sulle ordinate la
performance (la funzionalità
della mutazione al nostro
scopo). L’enzima di partenza
possiede ovviamente una
performance del 100%.
Utilizziamo lo scheletro proteico per ottenere una funzione nuova e, per fare ciò, necessitiamo
di indurre mutazioni che però abbasseranno la performance dell’enzima che allo stesso tempo
ottiene una nuova caratteristica. Inducendo diverse mutazion iin serie possiamo aumentare di
ciclo in ciclo l’efficienza della nuova funzione dell’enzima .
METODO RICOMBINAZIONALE

UTILIZZA LA VARIABILITA’ GIA’ PRESENTE IN REGIONI SEPARATE DI UNA


SEQUENZA (O PIU’ SEQUENZE)

•DNA shuffling: frammentazione + PCR

•StEP (Staggered Extension Process): estensione corta + PCR

•Random-priming: primers casuali + PCR


In natura i diversi geni, definiti omologhi per tale ragione, si evolvono nelle diverse specie o nei
diversi tessuti a partire da uno stesso gene definito ancestrale. In laboratorio si posson
outilizzare questi geni omologhi,, li si possono frammentare e ricombinare a formare dei nuovi
geni chimerici con una sequenza randomica. Il vantaggio che si ottiene è che è già stata la
natura a selezionare e evitare le mutazioni non letali (la probabilita non può essere zero ma si
abbassa comunque dato che e sequenze dei geni omologhi tendono ad essere simili).

su un singolo gene possiamo andare a


creare delle varianti mutagenizzate in
laboratorio, e che quindi non sono
sicuramente deleterie per la cellula, e si
usano queste stesse varianti artificiali
per la ricombianzione.

Nel caso in cui esploriamo le mutazioni derivanti da mutagenesi specifica allora prediamo in
considerazione sequenze che sono molto simili a quella di partenza e lo spazio di sequenza quindi
è limitato; nel caso in cui si ricorre alla mutazione per ricombinazione allora lo spazio si dequenza
aumenta enormementa (le sequenze sono simili ma non uguali dato che sono state sottoposte a
milioni di anni di pressione evolutiva).

L’evoluzione guidata ha avuto ottimi risultati su proteine come gli interferoni, proteine anti
virali e anti tumorali. La caratteristica dei geni di queste proteine è di presentare un’alto grado
di similarietà ma con una specializzazione specifica. La ricombinazione di diversi frammenti
delle diverse proteine ci ha permesso di ottenere nuove proteine che riconoscevano
specificamente un bersaglio.

Alcuni esperimenti però non hanno avuto i risultati sperati, anche eprchè già si sapeva che
migliorare funzioni già esistenti è molto più semplice di trovarne di nuove. Questo accade perché
le proteine hanno già un profilo analizzabile e che può essere modificato di conseguenza in modo
razionale per le caratteristiche già esistenti.

Tutte queste informazioni che cmq abbiamo ottenuto dalla mutagenesi mirata ci hanno permesso
di capire che le proteine odierne, essendo frutto di pressione evolutiva, sono considerate
specializzate mentre quelle ancestrali probabilemnte erano delle “tutto fare” ssenza una ben
definita specializzazione.

I più recenti esperimenti di evoluzione guidata sono concettualmente diversi e forse più simili
all’evoluzione naturale.

Tre domande aperte e cinque o sei a scelta multiplea. Nelle tre la risposta è una rispsota
schematica ma mirata e una sulle tre sezione (traduzione, folding, sistem di espressioni) quielle
6 sono solo una. Ù

Compito di tecniche: organizzato con due domande a aperte e un certo a multipla. Melledue
aperte si riferisce a quello che abbiamo fatto nelle esercitaioni (concetti che abbiamo tattato
anche nelle lezioni ex esperimento sulla GFP magari nella domando saggio lespressione di unna
proteina ion un eu o proca e cose cosi, parto da esperimenti ma alla fine arrivo a cappire). Le
scelte mutliple hanno piu di una soluzione e vengono da ttute gli altri prof.

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