L’acqua è il costituente principale del nostro organismo ed è ampiamente diffusa negli alimenti
(anche in quelli solidi!). Formula bruta: H2O, considerando gli isotopi (isotopo 1) per 1H2 ed
(isotopo 16) per 16O.
17O, 18O, 2H e 3H hanno contributi trascurabili negli alimenti.
La Birra contiene un 90% peso su peso (p/p) di acqua, la restante parte è composta da alcool
etilico, zuccheri ed altri composti. Nei succhi di frutta e nel latte la percentuale di acqua è
leggermente inferiore, è del 87%. Nelle bevande superalcoliche es. Whisky la percentuale è molto
minore è del 60% perché la restante parte è composta da alcol etilico.
Tabella – Acqua contenuta negli alimenti:
Lattuga e pomodori 95, Cavolo e broccoli 92, Carote e patate 90, Albume d’uovo 88, Tuorlo d’uovo
51. La frutta ha un po’ meno acqua della verdura: gli agrumi 87, Mele e ciliegie 85. Pollame crudo
72, Carne magra cruda 60, Spalmabili magri 50. Formaggio 37, Pane bianco 35, Salame 30,
Confettura 28, Miele 20 (grosse quantità di zuccheri limita la presenza d’acqua), Frutta secca 18,
Burro e margarina 16, Farina bianca 12, Pasta secca 12 e Latte in polvere 4 (tra gli alimenti
liofilizzati e disidratati).
La presenza di acqua è fondamentale per determinare le caratteristiche di conservabilità degli
alimenti.
In Italia per legge questa percentuale non può superare il 16%.
Confronto tra la molecola dell’Acqua H2O e quella dell’Acido solfidrico H2S, struttura simile ma
caratteristiche chimico-fisiche diverse:
Acido Solfidrico ha una temperatura di fusione di -86°C e una temperatura di ebollizione di -60°C,
molto basse, questo vuol dire che a temperatura ambiente l’acido solfidrico è una gas e bisogna
abbassare tanto la temperatura per averlo in forma liquido.
Acqua ha una temperatura di fusione di 0°C ed una temperatura di ebollizione di 100°C, molto più
elevate, l’acqua si comporta come se fosse una molecola avente un peso molecolare molto superiore
al suo. Le regioni risiedono nella polarità del legame Ossigeno-Idrogeno che infatti è molto
polarizzato, ha un 40% di carattere ionico. Inoltre l’acqua ha una conformazione tetraedrica in cui
due lobi del tetraedo sono occupati dai doppietti di non legame mentre gli altri due lobi dai legami
sigma con l’idrogeno. Questa conformazione favorisce la formazione di legami idrogeno tra gli
atomi di idrogeno (δ + ) e quelli di ossigeno (δ - ). In questi legami idrogeno che sono abbastanza
forti, l’idrogeno porta una parziale carica negativa o δ + e l’ossigeno porta una parziale carica
positiva o δ - .
Ogni molecola d’acqua è in grado di coordinare attorno a sé altre quattro molecole d’acqua
formando un reticolo tridimensionalmente molto esteso. In questo reticolo l’idrogeno è
continuamente in una posizione a metà tra il legame covalente ed il legame idrogeno.
Anche quando abbiamo l’acqua allo stato solido, ovvero il ghiaccio, la struttura di questo reticolo
tridimensionale formato dai legami idrogeno non è così statica come sembrerebbe. Anche alle
normali temperature di congelamento degli alimenti (attorno ai -20°C) c’è comunque una continua
oscillazione tra legame covalente e legame idrogeno.
Dobbiamo anche considerare che ci sono molecole d’acqua che non sono coinvolte in questo
reticolo tridimensionale ma anzi sono libere di fluire attraverso esso, in questo caso il ghiaccio.
Questo reticolo può essere destabilizzato da diversi fattori ad es. anche nell’acqua neutra sono
presenti a bassissime concentrazioni gli ioni idronio H3O+ e gli ioni idrossido OH-. Nonostante la
bassa concentrazione (10-7 M) questi ioni contribuiscono a destabilizzare il reticolo formato dagli
ioni idrogeno. E’ destabilizzato anche dalla presenza di soluti come ad es. il cloruro di sodio, sale.
Quando noi aumentiamo la temperatura aumenta il numero delle molecole di acqua libere cioè non
coinvolte in questi legami idrogeno. Questo processo è abbastanza lento, consideriamo che
nell’acqua appena fusa a 0°C il 90% delle molecole d’acqua è coinvolto in legami idrogeno, a 100°C
appena prima di bollire l’80% delle molecole è ancora coinvolto in legami idrogeno. Le molecole
non coinvolte nel reticolo sono organizzati in «cluster» di 200-300 molecole di acqua, piccoli
aggregati.
La struttura dell’acqua comunque è molto dinamica basti pensare che la durata di un singolo
legame idrogeno è nell’ordine di picosecondi, ovvero 10 alla -12 sec. Questo vuol dire che ogni
molecola di acqua cambia orientamento 100 miliardi di volte in un secondo e la durata di ognuno
di questi cluster è di circa 10 nanosecondi, un nanosecondo sono 10 alla -9 sec.
La struttura dell’acqua inoltre può cambiare al variare della temperatura: a bassa temperatura è
favorita una struttura più espansa mentre salendo con la temperatura è favorita una struttura
collassata. In quella espansa la struttura è molto aperta e le molecole di acqua sono libere di fluire
attraverso i pori, mentre in quella collassata la geometria è meno rigida ed i membri a 5 e 6 termini
risultano distorti.
Quando noi aumentiamo la temperatura succedono due fenomeni che hanno un effetto opposto
sulla densità.
Il primo fenomeno è che aumenta il numero di molecole d’acqua che una singola molecola d’acqua
può coordinare, infatti nel ghiaccio una singola molecola di acqua può coordinare attorno a sé altre
4, nell’acqua liquida questo valore sale a 4.4 ed infine nell’acqua in prossimità dell’ebollizione si
arriva fino a 4.9. Questo fenomeno tenderebbe a far aumentare la densità dell’acqua.
Il secondo fenomeno è che all’aumentare della temperatura aumenta la distanza tra le molecole di
acqua, infatti nel ghiaccio i due atomi di ossigeno distano circa 2.76 Å nell’acqua appena fusa 2.9 Å e
prima dell’ebollizione 3.05 Å. Questo avrebbe un effetto di diminuzione della densità.
L’effetto finale è che nel passaggio da ghiaccio ad acqua aumenta la densità, si passa da una densità
di 0.9168 g/cm3 (0.92) a 0.9998 g/cm3 (1).
Questo aumento di volume durante il congelamento è molto importante per gli ecosistemi
acquatici es. specchi di acqua dolce come i laghi. Questo perché il ghiaccio essendo meno denso
dell’acqua è in grado di galleggiarvi. In inverno in un lago succede che la superficie è a contatto con
l’ambiente
freddo, l’acqua si raffredda, aumenta di densità e scende verso il fondo creando moti convettivi che
contribuiscono al raffreddamento del lago.
Quando si arriva al valore di 4°C questo processo si arresta, l’acqua fredda rimane in superficie,
congela e fornisce uno strato isolante all’acqua sottostante che ne previene il congelamento
consentendo la vita delle specie presenti nel lago. Nei mari il sale presente abbassa la temperatura
di fusione a circa -2°C e la massima densità dell’acqua si raggiunge a 0°C. Le forme di vita si sono
adattate a vivere a temperature prossime allo 0°C. Inoltre dobbiamo considerare che congelando il
sale viene «espulso» dal ghiaccio (che galleggia in superficie) ed aumenta la salinità e la densità
delle acque sottostanti, che scendono verso il fondo.
Il congelamento nell’industria alimentare. Bisogna tener conto di questo aumento di volume delle
soluzioni acquose durante il congelamento es. nella progettazione degli stampi per i ghiaccioli.
Bisogna anche considerare il volume di liquido massimo con cui si può riempire lo stampo, è
necessario lasciare uno spazio di margine per la dilatazione del ghiaccio, per evitare che il liquido
fuoriesca dallo stampo durante il congelamento.
Effetti collaterali del congelamento. Frutta (es. fragole) e verdure fresche (es. pomodori, cetrioli,
insalata) non tollerano il congelamento questo perché durante il congelamento si formano dei
grossi cristalli di acqua che aumentando di volume vanno a rompere le pareti cellulari facendo
perdere di consistenza del prodotto e creando. Danni da congelamento alle colture in inverni
particolarmente rigidi o durante le gelate tardive.
Al contrario nel ghiaccio questa interazione non è molto favorita perché le ghiaccio le molecole di
acqua sono più distanziate quindi vengono a mancare i requisiti tridimensionali per l’inserimento
del glucosio nel reticolo formato dal ghiaccio. Ne consegue che la presenza di glucosio in una
soluzione acquosa ne ritarda il congelamento. Importante per l’industria dei dessert (semifreddi,
gelati e prodotti cremosi in generale) perché ritardando la formazione del ghiaccio il glucosio rende
la consistenza più cremosa e più gradevole.
Altri polioli hanno le stesse interazioni con le molecole di acqua ovvero sono in grado di formare
forti legami idrogeno. Un poliolo è una molecola che ha più gruppi alcolici. Nella slide per
confronto riporta il glicerolo, molecola a 3 atomi di C con 3 gruppi OH, ed il glicole etilenico che è
una molecola a 2 atomi di C con 2 gruppi OH. Entrambe queste molecole sono formare forti legami
idrogeno con l’acqua, quindi sono in grado di legare molta acqua e ritardano la formazione del
ghiaccio. Il glicerolo è comunemente utilizzato come additivo negli alimenti con la sigla E422 ed ha
funzione dolcificante, umettante ed emulsionante, può trovarsi in: caramelle, aromi, liquori,
sciroppi, prodotti da forno, alimenti dietetici.
Al contrario, il glicole etilenico è molto tossico, bastano 30 ml per essere letale per ingestione, non
può assolutamente esser utilizzato negli alimento. E’ utilizzato come antigelo nei motori o per la
produzione di resine e fibre. Sfortunatamente ci sono stati casi in cui il glicole etilenico è stato
ritrovato negli alimenti a causa di frodi alimentari, in particolare era stato utilizzato nei vini per
sostituire il glicerolo, prodotto naturalmente come metabolita secondario dalla fermentazione dei
lieviti.
Acqua vicinale (≈0.5% dell’acqua presente nell’alimento, aw<0.25) sono le molecole di acqua
che formano legami idrogeno o dipolo-dipolo con i soluti o gli altri componenti dell’alimento
(proteine, zuccheri, ..). È un mono strato continuo di molecole d’acqua che si dispone attorno
alle
altre molecole costituenti l’alimento. Non congela alle normali temperature impiegate nell’industria
alimentare, quindi è sempre presente in forma liquida.
Acqua multistrato (≈3%, 0.25<aw compresa tra <0.80) sono le molecole d’acqua che circondano
l’acqua vicinale. Formano qualche interazione debole coi soluti e gli altri componenti dell’alimento,
ma in prevalenza formano legami idrogeno con altre molecole d’acqua. Non congela alle normali
temperature utilizzate per la conservazione degli alimenti, presente in forma liquida.
Acqua intrappolata (fino al 96%, aw>0.80) si comporta come le soluzioni saline diluite, ha un
abbassamento del punto crioscopico ed ha le proprietà di un solvente. È trattenuta per capillarità
all’interno dell’alimento, es. all’interno della struttura di gel o tessuti.
Nella slide c’è un grafico di Isoterma di assorbimento/desorbimento, in cui in ascissa abbiamo aw,
in ordinata il contenuto di acqua di un alimento.
Quando abbiamo un alimento composto da più parti a diversa aw, l’acqua tende a spostarsi dalla
parte dell’alimento a più alta aw a quella a più bassa aw, per raggiungere equilibrio.
Questo è importante per gli alimenti multi ingrediente, pensiamo es. al muesli, nel muesli c’è la
frutta che tende ad avere aw alta ed i cereali secchi che invece hanno aw bassa, dunque l’acqua
tenderebbe a migrare dalla frutta ai cereali, rendendo la frutta più secca ed i cereali più morbidi.
Dando un prodotto meno gradevole al consumatore.
Per renderlo stabile bisogna che tutti i componenti di quell’alimento abbiano la stessa aw,
aggiungendo per es. zuccheri alla frutta che ne abbassino l’attività dell’acqua oppure tenendo
uno dei due componenti in una busta separata d’aggiungere solo al momento dell’uso.
Di solito aggiungendo acqua ad un prodotto alimentare aumenta il contenuto d’acqua ma aumenta
anche l’aw, ma questa è una caratteristica intrinseca dell’alimento e dipende anche dalla
temperatura. L’isoterma dunque varia da alimento ad alimento e cambia anche a seconda della
temperatura. Possiamo vedere che fino ad aw di 0,25/0,3 abbiamo il monostrato di acqua
fortemente legata, da aw di 0,3 a 0,8 abbiamo l’acqua multistrato, dopodiché abbiamo l’acqua libera
e l’acqua intrappolata.
Isoterma di assorbimento/desorbimento di solito non sono sovrapposti per il fenomeno
dell’isteresi.
Le reazioni enzimatiche subiscono un brusco calo passando da aw≈0.9 ad aw≈0.8, a causa della
denaturazione dell’enzima (proteina) per mancanza di acqua di solvatazione o diminuita mobilità
dei substrati, dei reagenti.
La reazione di Maillard (o imbrunimento non enzimatico).
Un zucchero va a reagire con un amminoacido per dare una reazione a cascata che va a generare
pigmenti bruni e aromi tipici del pane e degli altri prodotti da forno.
L’imbrunimento non enzimatico ha un massimo ad aw intorno a 0,7. Ad aw più alta la reazione è più
lenta perché i substrati della reazione sono più diluiti. Raggiunge un max di 0,7 poi subisce un calo
aumenta la sua velocità diminuendo aw fino a ≈0.6, perché eliminando l’acqua i reagenti sono più
concentrati. Oltre a questo valore, la sua velocità torna a diminuire fino a aw di ≈0.2 alle quali è
inibita, per effetto della ridotta mobilità dei reagenti.
La reazione di ossidazione avviene per reazione dell’ossigeno con i lipidi, in particolare con quelli
saturi. Ha un massimo aw 0,7 e minimo 0,4 perché i reagenti hanno una mobilità minore, dopodiché
torna ad aumentare fino ad un massimo aw prossima allo 0, questo perché ad aw così basse, ovvero
inferiori agli 0,25/0,3 noi andiamo ad eliminare lo strato di acqua vicinale che era quello che
ricopriva le molecole degli alimenti andando a proteggerle dalla reazione di ossidazione.
Reazione chimica, ad es. con una Titolazione di Karl Fischer. Metodo non adatto per alimenti
eterogenei (vegetali e carne) ma adatto per alimenti ad alto contenuto di zuccheri, termolabili o
ricchi in sostanze volatili per i quali al contrario non è consigliabile l’essicamento in stufa.
Si basa sulla reazione dell’anidride solforosa con lo iodio e l’acqua da acido solfidrico ed acido
iodidrico. L’alimento viene disperso in metanolo/piridina/anidride solforosa e viene titolato con
una soluzione di iodio fino a viraggio, fino al cambiamento del colore.
SO2 + I2 + 2H2O H2SO4 + 2 HI
Tutti i metodi appena visti sono metodi distruttivi, ovvero la porzione di alimento che viene
utilizzato per la determinazione non può più essere utilizzata.
Ci sono anche metodi non distruttivi in cui possiamo andare a recuperare i campioni:
NIR, Near Infra Red Spectroscopy, la spectroscopia vicino infrarosso. L’acqua ha delle bande di
assorbimento caratteristiche a 1,94 µm (micron) e a 2,08 µm e attraverso l’intensità di queste
bande si può calcolare il contenuto di acqua. Inoltre il vantaggio di questa tecnica è che si possono
calcolare allo stesso tempo i contenuti di proteine e lipidi che hanno anche essi bande di
assorbimento specifiche.
NMR (Nuclear Magnetic Resonance), risonanza magnetica nucleare. L’acqua anche in questo caso
dà dei picchi di assorbimento specifici e attraverso l’intensità di questi picchi può essere
determinato il contenuto di acqua.
Un primo metodo consiste nel confrontare l’alimento in questione con soluzioni saline ad aw nota.
Il campione è posto in un contenitore ermetico assieme ad una soluzione di riferimento con aw
superiore a quella del mio campione, il campione tenderà ad assorbire acqua ed aumenterà di
peso. Al contrario se io lo confronto con una soluzione che ha aw minore, il mio campione tenderà
a cedere acqua e perdere peso:
– aw campione < aw soluzione: il campione assorbirà acqua e aumenterà di peso
– aw campione > aw soluzione: il campione perderà acqua e diminuirà di peso
Quando invece lo metterò in un contenitore ermetico con una soluzione salina che avrà stessa aw
rimarrà uguale e quindi io saprò l’aw del mio campione.
I carboidrati sono composti organici formati da carbonio, idrogeno e ossigeno, la loro formula bruta
più comune negli alimenti è (CH2O)n. Si possono classificare a seconda del numero di unità che li
compongono: monosaccaridi (una unità), oligosaccaridi (poche unità) o polisaccaridi (molte unità)
Col termine comune «zuccheri» ci si riferisce generalmente ai mono- e disaccaridi, che hanno
sapore dolce.
Anche gli zuccheri chetosi possono ciclizzare e dare origine ad emiacetati ciclici.
Es. l’ossidrile del fruttosio va a dare attacco nucleofilo al carbonile e genera un emiacetale ciclico,
anche in questo caso il carbonile è planare perché ibridizzato ad sp2 quindi l’attacco dell’ossigeno
ossidrile può avvenire sia da sopra sia da sotto (alfa e beta, due possibili conformazioni).
Tutti gli ossigeni possono andare a dare attacco nucleofilo la carbonile ma i cicli favoriti sono
quelli a 5 o a 6 termini perché sono termodinamicamente più stabili. I cicli a 5 termini si chiamano
furanosi mentre quelli a 6 si chiamano piranosi.
Quindi quando io pongo uno zucchero in soluzione acquosa, ho potenzialmente 5 strutture diversi
presenti, tutte all’equilibrio, una è quella aperta presente in quantità minoritaria (0.02%, ma è
quella che darà origine alla maggior parte delle reazioni degli zuccheri), poi ho due strutture
cicliche a 6 termini o piranosi in conformazione alfa e beta e due strutture cicliche a 5 termini o
furanosi in conformazione alfa e beta.
Gli oligosaccaridi sono generati dalla formazione di un legame glicosidico tra il gruppo riducente di
un monosaccaride e l’ossidrile di un altro monosaccaride. Il glucosio es. può reagire con il fruttosio
per dare saccarosio, durante la formazione del legame glicosidico si ha la perdita di una molecola
d’acqua. A seconda del numero di unità si avranno disaccaridi, trisaccaridi, tetrasaccaridi, ecc...
Ogni monosaccaride ha più gruppi ossidrilici che potrebbero reagire col gruppo riducente dell’altro
monosaccaride: molte strutture possibili.
Una volta che si è formato il legame glicosidico, la conformazione del primo monosaccaride si
troverà in forma bloccata quindi non ci sarà più una possibile interconversione tra la forma alfa e
beta e sarà non riducente. Al contrario la seconda estremità emiacetalica, se non è anch’essa
impegnata nel legame glicosidico, rimane libera ed in equilibrio con la forma aperta, pertanto lo
zucchero sarà riducente.
Es. galattosio + glucosio = lattosio, zucchero riducente perché ha un’estremità emiacetalica libera
che è in equilibrio con la forma aperta.
Sciroppi di glucosio
Lo zucchero invertito recentemente è stato sostituito dagli sciroppi di glucosio ottenuti per idrolisi
dell’amido. Si è passati dall’idrolisi acida (acido solforico) a quella enzimatica (alfa amilasi, scinde
l’amido in mono ed oligosaccaridi), in quanto più controllabile, più modulabile e consente di avere
condizioni di reazione più moderate. Se oltre all’alfa amilasi si utilizzata anche la glucosio
isomerasi, enzima che glucosio in fruttosio, si ottiene uno sciroppo del tutto simile allo zucchero
invertito. Non si arriva ad avere glucosio puro, ma altri oligosaccaridi saranno
presenti nella miscela, come maltosio e malto triosio che derivano dall’incompleta idrolisi
dell’amido ed ostacolano la cristallizzazione della miscela.
Usati in pasticceria in quanto sono in grado di trattenere l’umidità rendendo i dolci più soffici.
Quando noi cristallizziamo lo zucchero al contrario della soluzione, avremo una sola
configurazione. Es. il D-glucosio cristallizza nella forma α-piranosica, anche il lattosio cristallizza in
forma α.
Quando noi abbiamo lo zucchero in soluzione può formare dei cicli a 5 o furanosi e cicli a 6 o
piranosi. In soluzione è favorita la conformazione a minore energia, ovvero quella con il minore
ingombro sterico (in cui i sostituenti stanno più lontani tra di loro). Solitamente prevalgono quindi
le forme piranosiche (cicli a 6), la conformazione a sedia più stabile sarà quella col maggior numero
di sostituenti in equatoriale. La forma furanosica (ciclo a 5) può anch’essa essere presente, in
equilibrio tra la conformazione a busta e la twist, conformazione storta per cercare di massimizzare
la distanza tra i sostituenti dell’anello.
Reazioni degli zuccheri, principali reazioni che avvengono nei prodotti alimentari
- La reazione di Maillard, una delle più importanti, fondamentale per l’aroma e per il colore
degli alimenti cotti, è chiamata anche reazione di imbrunimento non enzimatico.
Generata dalla reazione di uno zucchero con un’ammina.
Es. reazione del glucosio con un’ammina primaria.
Il doppietto di non legame dell’azoto va a dare attacco nucleofilo al carbonile dello zucchero e si
forma un’enamina o base di Schiff. Si forma un doppio legame tra C1 e C2, il legame Pgreco tra C e
azoto va a prendere un idrogeno e si ottiene 1,2-enamminolo, 1,2 perché è il doppio legame tra C1 e
C2, en perché c’è un doppio legame, ammin per l’ammina ed olo per l’alcool.
L’1,2-enamminolo così formato può nuovamente reagire per formare idrossimetilfurfurale (HFM)
oppure può seguire una reazione diversa generando il composto di Amadori.
Per generare quest’ultimo un doppietto di non legame dell’ossigeno va a formare un doppio legame
carbonio/ossigeno ovvero un carbonile, il doppio legame va a prendere un idrogeno e si genera un
CH2. La reazione può terminare qui, ma se il trattamento termico è abbastanza spinto può
proseguire formando un 2,3-enamminolo, si forma un doppio legame tra il C2 e C3, il carbonile si
trasforma in un gruppo ossidrilico ed ottengo 2,3-enamminolo, è avvenuta una tautomeria cheto
eolica. A questo punto ho l’eliminazione dell’ammina, un doppietto di non legame dell’ossigeno va a
formare un doppio legame carbonio/ossigeno ovvero un carbonile, il doppio legame si sposta tra
C1 e C2 e viene eliminata l’ammina, non rientrando nei prodotti finali, ha avuto solo l’azione di
catalizzatore. Questa molecola può a sua volta generare 1-desossi-2,3-dichetone, il doppietto di non
legame dell’ossigeno va a formare un doppio legame carbonio/ossigeno genera quindi un carbonile,
il doppio legame va a prendere un idrogeno e si genera un CH3. Questa molecola si chiama
1-desossi perché ho perso l’ossidrile in posizione 1, 2,3 dichetone perché ho gruppi chetonici in
posizione 2 e 3. A questo punto la molecola disidrata ovvero si forma un doppio legame C/C tra 5 e
4 ho la perdita dell’ossidrile in 5 sottoforma di acqua. La molecola che si genera può a sua volta
ciclizzare a dare maltolo, ciclo a 6, isomaltolo, ciclo a 5. Responsabili dell’aroma e del profumo dei
prodotti da forno.
Quando gli alimenti sono sottoposti ad un trattamento termico molto inteso, si possono generare
delle ammine eterocicliche, reazioni complesse e portano a numerosi prodotti finali, + di 20
esistenti. Si formano soprattutto nella cottura ad alta temperatura, per tempi prolungati, es.
prodotti grigliati o fritti, nella carne o ittici. Sono mutagene e potenzialmente cancerogene ma
fortunatamente la loro concentrazione negli alimenti rimane molto bassa.
I polisaccaridi sono carboidrati costituiti da molte unità saccaridiche legate assieme da un legame
glicosidico. Sono polimeri ad alto peso molecolare. Possono avete molte strutture, lineari o
ramificate. Se il polisaccaride è composto dalla stessa tipologia di monosaccaride è chiamato
omopolisaccaride (ripetizione dello stesso monosaccaride), se e presenta diverse tipologie si parla
di eteropolisaccaride (presenza di diversi monosaccaridi).
I polisaccaridi nelle piante, possono avere funzione di riserva di energia o strutturale e di sostegno.
- Amido: polimero di tante unità di glucosio legate insieme da legame alfa 1,4 glicosidico. L’amido
è una riserva di carboidrati (energia).
I polisaccaridi nelle piante hanno anche funzione strutturale, possono entrare a far parte dei
polisaccaridi che costituiscono la parete cellulare delle cellule vegetali e altre strutture di sostegno
della pianta. L’amido è un’importante fonte energetica per l’uomo soprattutto perché fornisce
glucosio, composto importante. Cellulosa, emicellulose e pectine vanno a fornire l’apporto di fibra
alimentare necessaria per mantenere una buona funzionalità nel tratto gastrointestinale.
Che siano digeribili o no, metabolizzabili o no, i polisaccaridi influenzano le proprietà chimico
fisiche dell’alimento, soprattutto sulla consistenza dell’alimento, questi polisaccaridi hanno notevoli
proprietà gelificanti, addensanti e di ritenzione d’acqua.
Amilopectina ha una struttura a grappolo. Ci sono due tipi di catene: A (≈15 unità di glucosio) e B
(≈40 unità di glucosio). Lo scheletro del grappolo è formato dalle catene B, sulle quali si legano le
catene A. I grappoli, molecole, di amilopectina si dispongono radialmente partendo dal centro (ilo)
del granulo d’amido. Si alternano regioni dalla struttura più cristallina a regioni dalla struttura più
amorfa. Il granulo di amido se analizzato ai raggi X risulta birifrangente, vuol dire che ha una
struttura molto organizzata con un elevato grado di orientamento molecolare. I granuli di amido
dei tuberi sono più cristallini di quelli dei cereali. Le molecole di amilosio si posizionano in modo
radiale tra le molecole di amilopectina. I lisofosfolipidi presenti si complessano all’interno dell’elica
formata dall’amilosio, potranno avere un ruolo per rallentare la retrogradazione dell’amido.
Solubilità - I granuli di amido hanno un’altissima concentrazione di gruppi ossidrilici, perché sono
fatti da polimeri del glucosio, dunque hanno fortissimi legami idrogeno che gli danno struttura
molto compatta, il che fa sì che se poniamo granuli di amido in acqua fredda questi saranno
insolubili. Se noi scaldiamo la sospensione di granuli di amido, questi assorbono acqua, si
rigonfiano e perdono la struttura cristallina, quindi le caratteristiche di birifrangenza e questo
fenomeno si chiama gelatinizzazione dell’amido. A 100°C l’amido avrà perso ogni caratteristica
cristallina e sarà completamente allo stato amorfo.
Ogni tipologia di amido avrà un diverso range di temperatura di gelatinizzazione ad es. l’amido di
frumento gelifica tra i 52 e gli 85°, l’amido di tapioca tra 52 e 65, patata 58 e 65, mais 62 e 80, mais
waxy 63 e 72.
Se io ho una sospensione di amido ed inizio a scaldarla all’aumentare della temperatura accadrà che
i granuli assorbono acqua e si rigonfiano, fanno attrito fra di loro nello sfregamento ed aumenta la
viscosità della soluzione. Durante questo processo, inoltre, l’amilosio fuoriesce dai granuli di amido
e aumenta anch’esso la viscosità della soluzione e quindi si raggiunge un picco di viscosità. Superata
una certa temperatura, la viscosità diminuisce perché i granuli di amido sono completamente
disintegrati. Una volta che ho completamente solubilizzato l’amido posso iniziare a raffreddare la
soluzione e raffreddandola la viscosità torna ad aumentare perché si ristabiliscono i legami
idrogeno tra amilosio e amilopectina. L’amido ha delle importanti applicazioni in campo alimentare
come agente addensante in zuppe, minestre o creme. Si aggiunge per es. farina ad un minestrone,
perché l’amido gelificando conferisce maggiore densità.
L’amido però va incontro a retrogradazione, può avere diversi aspetti in diversi prodotti.
Se ho una soluzione diluita di amido assisterò ad una perdita di viscosità della soluzione.
Se ho un gel a base amido questo perderà acqua sottoforma di essudato e vedrò un aumento della
gommosità, questo perché le catene di amilosio che tenevano legate insieme quelle di amilopectina
tendono a riassociarsi tra di loro ed espellono acqua, la struttura si ricompatta.
Il congelamento accelera questo processo ( attenzione all’utilizzo di addensanti a base amido in
prodotti surgelati, potrebbero perdere le loro caratteristiche di consistenza).
Gli amidi «waxy» (che sono costituiti solo da amilopectina), sono più resistenti a questo fenomeno,
retrogradano più lentamente, perché non c’è la presenza delle catene di amilosio.
Il pane - durante l’impastamento, alcuni granuli di amido sono stati rotti durante l’operazione di
pulitura pertanto si chiamano amidi danneggiati che iniziano ad assorbire acqua anche a freddo.
Durante la lievitazione, le amilasi della farina idrolizzano una piccola quantità di amido, le amilasi
scindono l’amido in monosaccaridi ed oligosaccaridi più piccoli, maltosio e altri zuccheri, i quali
serviranno poi ai lieviti per essere metabolizzati e per far sì che producano CO2.
Durante la cottura, i granuli di amido gelificano completamente, assumerà il pane la tipica
consistenza morbida.
Dopo 1-2 giorni, il pane diventa raffermo, la crosta diventa più morbida, la mollica diventa più dura
e perde elasticità. Questo fenomeno è dovuto alla retrogradazione dell’amido.
1° fase: retrogradazione dell’amilosio (perdita di freschezza) e 2° fase: retrogradazione
dell’amilopectina (raffermimento, il pane diventa più duro e perde di elasticità).
Per ovviare a questo fenomeno si può riscaldare nuovamente il pane, si provoca una nuova
gelificazione dell’amido, misura però temporanea perché una volta raffreddato il processo di
raffermimento riprende. Nelle torte il fenomeno è più lento perché i molti grassi presenti si
complessano con le eliche di amilosio rallentandone la retrogradazione.
Amido resistente è quella parte di amido che non è digerito dagli enzimi intestinali, e che quindi
non è assimilato dall’organismo ed è a disposizione per la fermentazione da parte del microbiota
intestinale. L’amido può diventare resistente alla digestione per diversi motivi ad es. perché amido
retrogradato (la sua struttura compatta lo rende meno accessibile agli enzimi) o amido cristallino
(l’amido crudo, ancora in forma cristallina, ha una struttura molto più resistente agli enzimi) o
amido scaldato in carenza di acqua, quindi no gelatinizzazione (la struttura del granulo è modificata
e non più attaccabile dagli enzimi digestivi).
I polisaccaridi: pectine e polisaccaridi algali
Le pectine sono polisaccaridi che hanno un ruolo strutturale nelle cellule e nei tessuti vegetali, esse
vanno a costituire una parte della parete vegetale. Polimeri ad alto PM (≈100 kDa dalton) e sono
costituiti da molecole dell’acido galatturonico legate da legami α-1,4. Hanno regioni lisce costituite
da omogalatturonano, alle quali si inseriscono a volte delle ramificazioni costituite per lo più da
zuccheri neutri (ramnosio, arabinosio, galattosio, xilosio, ecc.)
Inoltre i gruppi carbossilici delle pectine possono essere in forma libera quindi COOH o esterificati
con un gruppo metilico COOCH3, avrò pectine che avranno molti gruppi carbossilici liberi o
esterificati. I gruppi carbossilici dell’acido galatturonico possono essere parzialmente metilati. Le
posizioni C2 e C3 possono subire modifiche e possono essere acetilate. Dunque pectine ad alto o
basso grado di esterificazione. Nell’istogramma grado di esterificazione delle pectine tratte da
diverse fonti alimentari: mela alto grado di esterificazione, così come i baccelli dei piselli e
tagliatelle di barbabietole, residuo di lavorazione della barbabietola, al contrario ci sono fonti di
pectine in cui il gradi esterificazione è molto basso come residui di lavorazione dell’uva,
prezzemolo o le foglie di indivia. Generalmente il grado di metilazione è molto superiore al grado di
acetilazione, anche se abbiamo casi di grandi quantità di pectine acetilate come ad es. nella
barbabietola. Le principali fonti alimentari in pectine sono gli agrumi, la buccia in particolare, e gli
altri tipi di frutta come ad es. mele, carote, albicocche e ciliegie, in generale vegetali.
Le pectine sono utilizzate anche come additivo alimentare, come agenti gelificanti sono aggiunte
nella produzione di confetture, marmellate ecc. con la sigla E440. Le catene polisaccaridiche sono in
grado di legare molta acqua formando una struttura tridimensionale trattenendo l’acqua all’interno
del reticolo formato, dando origine ad un gel.
Esempio della struttura tridimensionale, in particolare della struttura «egg-box», o scatola uovo, in
cui due catene di pectine sono coordinate da cationi bivalenti, di solito questo catione è lo ione
Calcio (Ca2+) che viene coordinato dai gruppi carbossilici liberi dell’acido galatturonico.
Non è l’unico meccanismo di gelificazione, è solo un esempio.
(Interazioni di tipo egg-box si formano tra le catene di omogalatturonano perché abbiamo i gruppi
carbossilici che interagiscono con i cationi bivalenti, ad es. il calcio)
Se queste interazioni fossero troppo estese causerebbero la precipitazione delle pectine, quindi
fortunatamente nelle pectine sono presenti anche regioni ramificate in cui ci sono catene laterali di
zuccheri neutri. Questi interrompono queste interazioni ed impediscono che diventino troppo
estesi facendo precipitare il complesso, mantengono la pectina in soluzione.
Possiamo distinguere pectine ad alto metossile (HM, >50% di gruppi carbossilici esterificati)
gelificano a pH acidi, tipici della frutta, e in presenza di molti solidi.
Pectine a basso metossile (LM, <50% di gruppi carbossilici esterificati) necessitano di ioni bivalenti
es. calcio, necessario formare struttura egg-box, e gelificano in un ampio range di pH e quando sono
presenti pochi solidi.
Marmellate e confetture, preferiscono una pectina HM, ad alto metossile, in grado di gelificare
anche al basso pH della frutta. A questo pH, i gruppi carbossilici sono protonati, presenti sottoforma
di COOH, la capacità di legare l’acqua è più bassa, ma non ci sono forze repulsive tra cariche
negative R-COOH ↔ R-COO- + H+.
Lo zucchero, aggiunto, contribuisce a legare l’acqua, inoltre durante la cottura si ha l’idrolisi del
saccarosio a glucosio e fruttosio. Pectine: naturalmente presenti nella frutta, ma per velocizzare il
processo di gelificazione se ne può aggiungere anche >1%.
Lavorazione della frutta: gli enzimi pectolitici trovano applicazione anche qui
Negli agrumi gli enzimi possono essere utilizzati per rimuovere la buccia. Tra la buccia e gli spicchi
è presente una cuticola bianca, albedo, costituita principalmente da pectine. Gli enzimi pectolitici
degradano l’albedo, ottenendo rimozione della buccia e separazione degli spicchi.
Nelle rosaceae, cioè pesche, albicocche, mele, si possono utilizzare enzimi per la rimozione della
buccia. Sostituiscono la liscivia con NaOH (idrolisi basica dei legami glicosidici).
Emicellulose sono associate alla cellulosa nelle pareti vegetali. Estraibili con soluzioni basiche (15%
KOH, idrossido di sodio in acqua). Composte da diversi polisaccaridi: Xilani, Mannani,
Glucomannani, Galattani e Arabinogalattani.
- Xilani, polimeri dello xilosio. Lo scheletro di xilopiranosio (5), lineare o con ramificazioni di
arabinosio (conformazione a 5) o acido glucuronico (conformazione a 6). Predominanti nei cereali,
in particolare nella crusca, tegumenti esterni, (meno solubili) e in misura minore nell’endosperma
(più solubili). Effetto sulla panificazione (assorbono acqua), conferiscono morbidezza all’impasto e
prodotto finito.
- Mannani polisaccaridi di mannosio. Funzioni di riserva in alcuni vegetali (palma)
- Glucomannani polisaccaridi di mannosio e glucosio. Estratto dalla radice di konjak. Additivo
von sigla E425: emulsionante, gelificante (aggiunti al 1%).
- Galattani polisaccaride costituito da unità di galattosio, con altri esosi e pentosi. Funzione di
riserva nei semi ed inoltre si trova anche nelle gomme prodotte da alcune piante. Si trovano in
legumi e broccoli. Fanno parte dei FODMAP (Fermentable Oligo-, Di-, Monosaccharides, And
Polyols), non sono assorbiti dall’uomo e sono disponibili per la fermentazione della microflora
intestinale e sembrano peggiorare la sindrome dell’intestino irritabile.
- Arabinogalattani polisaccaride costituito da una catena di unità di galattosio, con ramificazioni di
glucosio e arabinosio. Si trovano nella corteccia di larice, nella parete cellulare dei batteri e in
alcune verdure (radici come carote, e rapanelli).
- β-glucani polimero di glucosio (>5,000 unità), unite con legami β-1,3 e β-1,4-glicosidici. Molto
abbondanti nell’avena e prodotti derivati come porridge. Elevata viscosità. Benefici a livello
intestinale, favoriscono un miglioramento nei processi di assorbimento ed espulsione di ciò che
non viene utilizzato.
La fibra alimentare «È la parte commestibile di piante, o carboidrati analoghi, che è resistente alla
digestione, non è assorbita dall’intestino tenue dell’uomo e, nell’intestino crasso, subisce una
completa o parziale fermentazione. Essa include polisaccaridi, oligosaccaridi, lignine e sostanze di
origine vegetale correlate a queste. La fibra alimentare promuove effetti fisiologici positivi,
favorendo l’evacuazione e abbassando il livello del colesterolo e/o del glucosio ematico»
Gomme sono essudati di piante o si trovano nell’endosperma (farina) di alcuni semi (non cereali) o
prodotte da batteri. Alta affinità per l’acqua e generano soluzioni ad elevata viscosità. Non formano
gel, ma rimangono malleabili.
- Gomma adragante, essudato di Astralagus. Costituita da acido adragantico (scheletro di acido
galatturonico con residui di ramnosio, xilosio e fucosio). E413: addensante, stabilizzante,
emulsionante in salse, sciroppi, caramelle (0.2-1.3%).
- Gomma di guar, endosperma dei semi di Cyamopsis. Costituita da uno scheletro di mannosio a cui
sono legati a residui alterni molecole di galattosio, pertanto è un galattomannano. E412:
addensante, stabilizzante in salse, condimenti, gelati (<1%).
- Gomma di carruba, endosperma dei semi di Certonia. Costituita da uno scheletro di mannosio a cui
sono legate molecole di galattosio (galattomannano). I residui di galattosio sono più diradati
rispetto alla gomma di guar. E410: addensante, stabilizzante, gelificante, emulsionante in salse,
creme, budini (0.1-1%).
- Gomma xantano, prodotta dal batterio Xanthomonas campestris. Secreta per aderire ai cavoli,
substrato di crescita, oltre che per proteggersi. Fermentazione su scala industriale seguita dalla
separazione delle cellule dal prodotto. 10’000-250’000 unità di glucosio unite con legame β-1,4
glicosidico. Catene laterali di disaccaridi con presenza di gruppi acidi.
Presenta proprietà tixotropiche cioè le catene interagiscono fra di loro formando un gel in
condizioni statiche, ma basta il movimento a rompere queste interazioni e rendere la sostanza
fluida. E415: utile per le salse da condimento (es. ketchup): possono fluire dalla bottiglia ma
rimangono adese all’alimento (<0.5%).
- Gomma gellano, prodotta dal batterio Pseudomonas elodea. Fermentazione su scala industriale
seguita dalla separazione delle cellule dal prodotto. Ripetizione del tetrasaccaride Glu-Rha-Glu-
GluA (fino a 500,000 unità). Gelificano in seguito a raffreddamento in presenza di cationi (Na+ e
Ca2+). E418: gelati, confetture, marmellate (0.1%).
I lipidi: gli acidi grassi
Gli acidi grassi costituenti fondamentali dei lipidi comunemente ritrovati negli alimenti (trigliceridi,
fosfolipidi costituenti fondamentali della membrana cellulare ecc..). Costituiti da una catena di
atomi di carbonio, solitamente di numero pari. Presentano un gruppo carbossilico (carbonio 1 nella
numerazione della catena alifatica).
Possono essere saturi, senza nessun doppio legame, e si trovano principalmente negli olii e nei
grassi di carne e latticini, e sono il buttirico a 4 atomi di C, caproico, caprilico, caprico, laurico,
miristico, palmitico, stearico e arachidico a 20 atomi di C. La temperatura di fusione aumenta
all’aumentare della grandezza della catena lipidica, aumentano perché le interazioni, serve una
temperatura maggiore per scindere gli acidi grassi saturi.
Possono essere poi insaturi e si trovano nei lipidi di origine vegetale e nel pesce e sono l’acido
palmitoleico 16 atomi di C con un doppio legame in posizione 7, oleico 18 atomi di C con doppio
legame in posizione 9, linoleico 18 con due doppi legami, linolenico 18 con 3 doppi legami e
arachidonico a 20 atomi di C con 4 doppi legami. All’aumentare del numero di doppi legami
diminuisce la temperatura di fusione.
Trigliceridi sono i costituenti fondamentali dei lipidi negli alimenti. Formati da una molecola di
glicerolo esterificata con tre molecole di acidi grassi. Gli acidi grassi possono essere uguali tra loro,
trigliceridi semplici, o diversi, trigliceridi misti. Le caratteristiche chimico – fisiche dei trigliceridi
(es. punto di fusione) dipendono dagli acidi grassi che li costituiscono. Gli acidi grassi variano per
lunghezza della catena alchilica e per numero di insaturazioni, possono legarsi in posizioni diverse
sul trigliceride ne consegue che noi abbiamo tante strutture possibili di trigliceridi.
Composizione chimica media dei principali grassi di interesse alimentare: Acido oleico a 18 atomi
di C monoinsaturo, con una sola saturazione, è presente in quantità rilevante in quasi tutti i lipidi di
interesse alimentare. Lo strutto, il grasso di maiale, ha un alto contenuto di acido palmitico a 16
atomi di C saturo, mentre il grasso bovino ha una percentuale rilevante di acido palmitico ma anche
acido stearico, acido saturo a 18 atomi di C. Grasso di montone acido palmitico, stearico e aumenta
acido miristico saturo a 14 atomi di C. Burro acidi grassi saturi a corta catena sono di più come
laurico e miristico 12 e 14 atomi di C. Grasso d’oca rilevanza di acido palmitico. Burro di cocco
rilevanza di acido stearico 35%. Olio di palma rilevanza, lo dice il nome, di acido palmitico 40%.
Olio di origine vegetale: oliva ricco di acido oleico, soia ricco di acido linoleico, semi di lino ricco di
linoleico, semi di cotone ricco di linoleico.
Olio derivanti dal pesce, diversi tipi, presenta altissima quantità di acidi grassi insaturi oltre 80%.
La composizione in acidi grassi può variare molto in base all’alimentazione dell’animale o alle
condizioni ambientali in cui cresce la pianta.
Gli acidi grassi saturi sono molto presenti spesso in quei lipidi che tendono ad essere solidi a
temperatura ambiente ad es. burro di arachidi, strutto ed olio di palma. Dal punto di vista
alimentare acidi grassi saturi importanti sono l’acido arachidico, stearico e palmitico.
Gli acidi grassi mono e poli insaturi sono abbondanti in quei lipidi che si presentano liquidi a
temperatura ambiente, come per es. olio di colza, di oliva, di arachidi, di semi di lino. Degli acidi
grassi insaturi il più importante è l’acido oleico, merita piccola nota anche l’acido erucico che è
monoinsaturo a 22 atomi di C, è tossico interferisce con il metabolismo lipidico. Un tempo era
presente in quantità fino al 25% nell’olio di colza, poi fortunatamente con il miglioramento genetico
si è riusciti a portarlo al di sotto del 5%. Infine abbiamo gli acidi grassi polinsaturi tra cui i più
importanti sono l’acido arachidonico e l’acido linoleico.
Un’alimentazione ricca in acidi grassi saturi porterà a membrane più rigide, mentre
un’alimentazione ricca in acidi grassi insaturi darà più fluidità alla membrana.
Gli animali a sangue caldo sono più ricchi di acidi grassi saturi, così come i vegetali delle aree
tropicali (palma, cocco, …), la temperatura corporea, superiore ai 37° o ambiente dei paesi tropicali
è superiore alla temperatura di fusione. Gli animali a sangue freddo (es. pesci) o i vegetali, dei climi
più temeperati e più rigidi, sono più ricchi di acidi grassi insaturi e polinsaturi, la temperatura
corporea o ambiente deve essere superiore alla temperatura di fusione, in modo da avere a livello
sistemico il lipide in forma liquida. La composizione in acidi grassi degli animali d’allevamento può
essere variata con l’alimentazione.
Acidi linoleici coniugati, non c’è il gruppo metilenico che interrompe i due doppi legami cis
dell’acido linoleico, si parla appunto di doppi legami coniugati, ed uno di questi due legami è in
configurazione trans. Ha un effetto antimutageno, antiossidante ed apparenti effetti anti
cancerogeni. Sono prodotti dai batteri del rumine (es. Butyrovibrio fibrisolvens) e presenti nel latte
bovino e ovo caprino.
I lipidi: acidi grassi essenziali, reazione di idrogenazione
Prostaglandine
Gli acidi grassi essenziali sono precursori di prostaglandine, molecole importanti che hanno azione
sull’infiammazione e sulla muscolatura liscia.
Dall’acido arachidonico si può ottenere la prostaglandina E2 passando per un intermedio la
prostaglandina H2 che contiene al suo interno un perossido ciclico. Quest’ultimo si può decomporre
per fare un gruppo carbonilico ed un ossidrile nella prostaglandina E2.
L’acido arachidonico è precursore di altre due molecole i leucotrieni e trombossani.
L’acido arachidonico può essere trasformato nel leucotriene A4, è coinvolto in reazioni allergiche
ed asmatiche. Dal perossido ciclico si può formate anche il trombossano A2 che ha un ruolo
essenziale nelle piastrine, nell’aggregazione sanguigna.
Le malattie cardiovascolari
Un alto consumo di acidi grassi saturi è correlato con un elevato rischio di arteriosclerosi e malattie
cardiache. Altri fattori di rischio: fumo, ambiente, familiarità, professione.
Acidi grassi saturi a più corta catena come laurico 12 C, miristico 14 C e palmitico 16 C sembrano
essere quelli maggiormente correlati all’innalzamento del colesterolo ematico.
Serie ω-3 (acido linolenico, EPA e DHA) sono positivi e sono abbondanti negli oli di pesci grassi
dunque bisogna incrementare il consumo di pesce grasso (sgombro, aringhe).
Le margarine sono di origine vegetale sono senza colesterolo, ma durante l’idrogenazione, la base
di trasformazione degli oli in margarine, si forma una certa quantità di acidi grassi trans, insaturi
ma struttura lineare come gli acidi grassi saturi, è presumibile che si comportino nello stesso modo.
Il colesterolo alimentare ha un’influenza piuttosto limitata sulla colesterolemia, cioè sul colesterolo
ematico, che dipende da numerosi fattori tra cui predisposizione genetica, regime alimentare
complessivo ed attività fisica. Non tutti i grassi animali sono ricchi di acidi grassi saturi, es. il pesce è
ricco di acidi grassi polinsaturi. Non tutti i grassi vegetali sono ricchi di acidi insaturi, es. l’olio di
cocco e l’olio di palma son ricchi di acidi grassi saturi.
Tabella con contenuto di acidi grassi trans di alcuni alimenti: alimento con quantitativo più alto è la
margarina 40%, si formano come prodotto collaterale di idrogenazione, crakers 40%, patatine fritte
37% perché gli oli da frittura utilizzati a livello industriale sono resi più stabili all’ossidazione con la
reazione di idrogenazione quindi contengono un alto quantitativo di acidi grassi trans. Tutti gli
alimenti che contengono margarine o grassi idrogenati contengono un quantitativo di acidi grassi
trans.
Gli acidi grassi trans, guardando la struttura, hanno la polarità di un acido grasso cis, ma la struttura
di un acido grasso saturo. Livelli di assunzione superiori a 2.5 g al giorno di acidi grassi trans sono
considerati dannosi per la salute ed in particolare sarebbero coinvolti nell’aumento del rischio
cardiovascolare.
Come si fa a determinare il profilo in acidi grassi di un certo grasso od olio alimentare. Come sapere
da quali acidi grassi è composto un alimento. Devo prima estrarre la frazione lipidica dal mio
alimento, si fa con un’estrazione, con un solvente apolare come l’esano o l’etere, quindi ho la mia
provetta con i miei trigliceridi. Devo fare una reazione di idrolisi basica in presenza di un
catalizzatore quindi faccio reagire i miei trigliceridi con tre molecole di metanolo, idrossido di
potassio e con questa reazione di trans esterificazione ottengo la molecola di glicerolo libera e tre
acidi grassi esterificati con il metanolo. Gli esteri metilici degli acidi grassi si posso analizzare con
gas cromatografica, ogni picco corrisponde ad un diverso acido grasso metilestere e più è alta area
del picco maggiormente presente sarà quella tipologia di acido grasso.
I lipidi: rancidità – reazione di ossidazione lipida che porta ai fenomeni di rancidità.
La lipolisi consiste nell’idrolisi dei trigliceridi tramite l’azione di catalizzatori acidi, basici o
enzimatici nel glicerolo e nei tre acidi grassi che lo costituiscono portando alla formazione di acidi
grassi liberi. Figura – azione catalizzata da un enzima , la lipasi.
Le lipasi sono presenti naturalmente nel latte e si parla di lipasi endogene o presenti nei
microorganismi utilizzati come start, innesti per i prodotti lattiero caseari.
La lipolisi è molto importante per molti prodotti lattiero caseari, ad es. nel burro i fenomeni
lipolitici contribuiscono alla liberazione acidi grassi a corta catena come ad es. l’acido butirrico che
vanno a contribuire all’aroma e al sapore tipico del prodotto.
Un eccesso di lipolisi però porta ad una produzione troppo alta di acidi grassi a corta catena che
porta alla produzione di note organolettiche sgradevoli, il prodotto puzza e risulta avariato.
La lipolisi è importante ma deve essere limitata entro certi range.
Nei formaggi ha un ruolo fondamentale perché contribuisce all’aroma del prodotto. Questo
processo è più accentuato nei formaggi erborinati (Gorgonzola, Stilton) o a crosta fiorita
(Camembert), in quanto le muffe sono ricche di lipasi. Le muffe producono anche proteasi che
scindono le proteine liberano amminoacidi, precursori di aromi. Miscele di questi enzimi lipasi o
proteasi possono essere utilizzate per accelerare la stagionatura dei formaggi, accelereremo le note
olfattive ed il profilo organolettico diminuendo i tempo di stagionatura ottenendo quindi un
risparmio economico.
L’autossidazione non si ferma però alla formazione di idroperossidi ma prosegue fino a generare
sia prodotti finali volatili sia non volatili.
Volatili – Un radicale alcossido che può formare aldeidi, alcoli e chetoni, sono tutte molecole volatili
a basso peso molecolare e sono responsabili delle pessime caratteristiche organolettiche dei
prodotti irranciditi. Se il radicale alcossido forma un doppio legame C O e rilascia uno dei due
gruppi R sottoforma radicalica otterremo un aldeide o se il radicale alcossido strappa un H ad una
molecola generando un radicale si andrà a formare un alcool o infine se si forma un doppio legame
C O e H viene preso da una specie radicalica io avrò un chetone.
Tra le aldeidi ricordiamo 2-nonenale 2,4-decadienale, malonaldeide (utilizzata come marcatore
nell’ossidazione di un certo olio e di un certo grasso, misurando la malonaldeide, prodotto finale
dell’autossidazione, possiamo determinare quanto il nostro olio o il nostro grasso si siano ossidati)
e cis-3-esenale . Tra i chetoni più importanti ci sono il diacetile ed il 2,3-pentandione.
Non volatili o polimerici – il radicale alchilico può andare a reagire con il doppio legame di un acido
grasso insaturo creando un legame C C e quindi le due catene dei due acidi grassi si legano tra loro.
Essendo che la specie che si è formata è anch’essa radicalica questa può propagare la reazione.
Inoltre si possono formare delle strutture cicliche con la Reazione di Diels-Alder tra acido grasso
polinsaturo ed uno insaturo. Per far avvenire questa reazione di polimerizzazione è necessario una
prolungata esposizione all’ossigeno ad alte temperature come avviene quando friggiamo un
alimento. La formazione di questi polimeri porta ad un aumento di viscosità dell’olio di frittura e
alla formazione di schiume soprattutto quando l’olio è vecchio ed esausto, è importante per questo
cambiare gli oli utilizzati per la frittura.
Reattività dei diversi acidi grassi – i saturi sono i più stabili all’ossidazione, ad es l’acido stearico è
un C18:0 è abbastanza stabile, l’acido oleico presenta un’insaturazione ed è meno stabile perché la
rimozione dei due H legati al C sp3 adiacente al doppio legame porta alla formazione di un radicale
allilico stabilizzato per risonanza, l’acido linoleico è ancora più reattivo perché la rimozione dell’H
legato al C indicato con la freccia rossa porta ad avere un radicale che è stabilizzato per risonanza
da entrambi i lati ecc.
Dunque > è il n° insaturazioni > n° strutture di risonanza del radicale = la reazione sarà più
favorita. Le strutture di risonanza fanno sì che il perossido possa formarsi in diverse posizioni.
Catalizzatori – metalli che favoriscono la reazione dell’ossidazione. Es. Idroperossido può reagire
con un metallo monovalente per formare un radicale alcossido, un ione idrossido ed il metallo
bivalente. In questa reazione il metallo si è ossidato.
R-O-O-H + M+ -> R-O• + OH- + M2+
Idroperossido può reagire con un metallo bivalente per dare un radicale perossido, uno ione H+ ed
il metallo in forma monovalente. In questa reazione il metallo si è ridotto.
R-O-O-H + M2+ -> R-O-O• + H+ + M+
Come limitare l’irrancidimento - ridurre il più possibile il contatto del grasso o dell’olio con
l’ossigeno, si può mettere il prodotto sottovuoto o sotto atmosfera di azoto. Ridurre l’esposizione
alla luce (fotossidazione). Evitare il contatto con metalli che catalizzano la reazione di rottura degli
idroperossidi. Evitare il riscaldamento (per oli o grassi usati crudi) o cambiare spesso gli oli o
grassi da frittura (il calore favorisce la reazione di ossidazione). È una reazione a catena, è
necessario non rabboccare l’olio vecchio, ma sostituirlo completamente.
Prodotti dell’ossidazione e salute - Fonti alimentari principali dei prodotti di ossidazione dei lipidi
sono il fritto, i pesci grassi conservati male. Se assunti in eccesso, si superano le capacità
antiossidanti dell’organismo, che non riesce più a neutralizzarli. Gli ossidi del colesterolo (fino a 50
ppm nelle patatine fritte) sono correlati all’insorgenza di patologie cardiovascolari. Alcuni prodotti
dell’ossidazione possono essere cancerogeni o mutageni.
I lipidi: antiossidanti e trigliceridi
- Scavenger di radicali
AH è l’antiossidante che va ad reagire con un radicale perossidico generando un idroperossido e la
molecola antiossidante in forma radicalica.
• AH + ROO• -> ROOH + A•
Questo è un radicale molto stabile perché ha molte strutture di risonanza che lo stabilizzano e
quindi blocca la fase del processo di propagazione dell’autossidazione.
Esempi: BHA butilidrossianisolo, BHT butriliossidoluene, aggiunti fino a 200 ppm negli alimenti
come antiossidanti.
- Chelanti di metalli, molecole che vanno a chelare i metalli sono in grado di prevenire la reazione
di ossidazione. Come abbiamo visto alcuni metalli sono in grado di catalizzare la rottura degli
idroperossidi a forma radicaliche quindi se noi andiamo a sequestrare gli ioni metallici questi non
saranno più disponibile per favorire la rottura degli idroperossidi a specie radicaliche.
Esempi: EDTA acido etilendiamminotetraacetico, polifenoli.
Antiossidanti di sintesi vengono aggiunti agli alimenti per ritardare o prevenire la reazione
d’irrancidimento:
Butilidrossianisolo (BHA, E320, 2-1000 ppm): patatine a sacchetto, gomme. La concentrazione
aggiunta dipende da quanto grasso c’è nell’alimento e da quanto questo grasso è saturo o insaturo.
Butilidrossitoluene (BHT, E321)
Propilgallato (PG, E310): utilizzato nelle gomme da masticare.
Ascorbilpalmitato (E304)
Alcune vitamine hanno un’azione antiossidante sia in vivo, nell’organismo umano, sia negli alimenti
che le contengono: – Vitamina A (retinolo) – Vitamina C (acido ascorbico) – Vitamina E (tocoferolo)
Hanno un effetto positivo sulla salute, proteggono le lipoproteine dall’ossidazione, prevenendo le
patologie cardiovascolari. Queste vitamine sono abbondanti in frutta e verdura e negli olii vegetali.
Trigliceridi, molecole che costituiscono la maggior parte degli olii e dei grassi di interesse
alimentare. Un trigliceride è una molecola ottenuta dall’esterificazione del glicerolo con 3 acidi
grassi. I 3 acidi grassi possono essere uguali tra loro ed avrò un trigliceride semplice come la
tristearina o la trioleina, o diversi tra loro avrò un trigliceride misto. Ne consegue che alimenti che
hanno lo stesso profilo in acidi grassi totali possono però avere un diverso profilo in trigliceridi,
perché appunto legati in un ordine diverso nel glicerolo.
Nei grassi animali (es. strutto, grasso della carne) gli acidi grassi insaturi (es. oleico, linoleico)
tendono ad occupare maggiormente le posizioni esterne del trigliceride (1 e 3).
Nei grassi vegetali (es. burro di cacao, olio di palma, di arachide) gli acidi grassi insaturi (es. oleico,
linoleico) tendono ad occupare maggiormente la posizione interna del trigliceride (2).
Quando vado a caratterizzare il profilo lipidico di un alimento è importante non solo determinare la
composizione in acidi grassi del trigliceride, ma anche sapere in quale posizione sono legati al
glicerolo. Questo è importante appunto per distinguere un grasso animale da uno vegetale.
Come posso distinguere un isomero da un altro? A distinguere ad esempio un trigliceride composto
da sterico-oleico-stearico rispetto ad uno composta da stearico-stearico-oleico?
- Servono tecniche cromatografiche apposite, come la cromatografia su strato sottile con gel di silice
e AgNO3 (nitrato d’argento). L’argento va ad interagisce coi doppi legami, modificando le
caratteristiche di ritenzione del trigliceride.
- La lipasi pancreatica che catalizza l’idrolisi del trigliceride in 2-monogliceride + 2 acidi grassi
ovvero rimuove selettivamente gli acidi grassi in posizione 1 e 3, lasciando un 2-monogliceride.
Posso dunque capire in queste fase quali acidi grassi erano legati all’estermità del trigliceride, in
posizione 1 ed in posizione 3. In una seconda fase posso poi idrolizzare anche l’ultimo legame
estere rimasto quello in posizione 2, sul C centrale, ed andare a determinare con la stessa
analisi quale acido grasso era legato.
Grassi alimentari sono composti da molti trigliceridi diversi ed ogni trigliceride può cristallizzare in
più di una forma. Grassi che cristallizzano di tipo β: burro di cacao, olio di cocco, olio di arachidi,
olio di semi, olio di oliva, olio di palmisti, olio di girasole, strutto. Grassi di tipo β’: olio di cotone, olio
di palma, olio di colza, olio di pesce, olio di balena, sego e burro.
Ampio intervallo di Tf avremo un grasso plastico e malleabile, ideale per grassi spalmabili o
prodotti da forno. Con il shortening si intende un grasso trasformato industrialmente es. per inter
esterificazione o per idrogenazione. Cristalli β’: hanno forma aghiforme, i cristalli dispersi nella
matrice semi liquida generano una consistenza ideale per inglobare bollicine di aria (sofficità),
farina o zucchero, indicato per prodotti di pasticceria. Cristalli β: cristalli più grossi con struttura
granulare, utilizzati in pasticceria.
Grassi con trigliceridi costituiti da acidi grassi abbastanza simili tendono a cristallizzare nella forma
β mentre grassi con trigliceridi costituiti da acidi grassi molto diversi o con trigliceridi asimmetrici
tendono a cristallizzare nella forma β’. Ne consegue che quando io applico un processo che
modifichino il tipo di acido grasso (es. idrogenazione) o la sua posizione (es. inter esterificazione)
cambiano le sue proprietà di cristallizzazione.
I lipidi: reazioni dei trigliceridi e lipidi polari
Direttiva 2000/36/CE disciplina l’aggiunta massima di grassi esogeni consentita nel cioccolato:
possono essere aggiunti grassi diversi dal burro di cacao in un percentuale massima del 5%. Questi
devono essere grassi vegetali non contenenti acido laurico, devono essere ricchi di trigliceridi
monoinsaturi simmetrici di tipo POP (palmitico – oleico - palmitico), POSt (palmitico - oleico –
stearico), StOSt. Sono mescolabili in qualunque proporzione con il burro di cacao e compatibili con
le sue proprietà fisiche (punto di fusione e temperatura di cristallizzazione, velocità di fusione,
necessità di trattamento di tempra). Sono ottenuti esclusivamente mediante procedimento di
raffinazione e/o frazionamento, è esclusa la modificazione enzimatica della struttura del
trigliceride. Etichetta: «contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao».
Lista dei grassi da poter aggiungere: Burro d’illipè (Shorea spp.), olio di palma (Elaeis guineensis,
Elaeis olifera), grasso di sal (Shorea robusta), burro di karitè (Butyrospermum parkii), burro di
cocum (Garcinia indica) e nocciolo di mango (Mangifera indica).
Transesterificazione è un processo che modifica la distribuzione degli acidi grassi tra i trigliceridi,
non si va ad alterare la composizione complessiva in acidi grassi, ma semplicemente li andiamo a
ridistribuirli tra i vari trigliceridi. Avviene una rottura del legame estere tra acidi grassi e glicerolo e
loro riformazione in una posizione differente (casuale). Questa reazione prevede l’utilizzo di
catalizzatori che possono essere chimici o enzimatici, in caso di catalisi chimica si usa il CH3O-Na+
metossido di sodio.
Reazione:
Abbiamo un alcool che nel nostro caso è il metanolo più una base che può essere ad es. OH- che va a
generare lo ione metossido più la base protonata che è in questo caso l’acqua. Lo ione metossido, in
particolare un doppietto di non legame dell’ossigeno, va a dare attacco nucleofilo al C del legame
estere, si forma un intermedio tetraedrico. Dopodiché un doppietto di non legame dell’ossigeno va
a formare un doppio legame C O e il digliceride funge da gruppo uscente. Otteniamo in questo modo
il digliceride in forma anionica e l’estere metilico dell’acido grasso. A sua volta il digliceride a forma
anionica va a riprendere il protone dall’acqua per formare il digliceride neutro e rigenerare lo ione
OH- che non era altro che il catalizzatore. Questa reazione successivamente è svolta in senso
inverso per andare a riattaccare un acido grasso al trigliceride, ma ovviamente non è detto che sarà
l’acido grasso di partenza anzi probabilmente sarà diverso e questo è proprio lo scopo della
reazione. Le condizioni di reazione sono 50°C per 30 min.
Alla fine del processo il catalizzatore (CH3ONa+) è rimosso per semplice lavaggio con acqua.
Questo processo è utile per ottenere margarine senza acidi grassi trans, se io ho un olio vegetale di
scarso valore o che voglio rendere più stabile posso dividerlo in due parti, una parte la idrogeno in
maniera completa, faccio arrivare tutti gli acidi grassi ad acidi grassi saturi, in questo modo non c’è
presenza di acidi grassi trans perché devono avere almeno un’insaturazione. Il mio grasso a
questo punto sarà troppo solido, allora lo mescolao con l’altra parte dell’olio che avevo tenuto non
idrogenata e ricca di acidi grassi mono- e polinsaturi. Li mescolo ed effettuo il processo di
transesterificazione ed ottengo un grasso spalmabile con le caratteristiche desiderate e senza acidi
grassi trans.
Oltre alla catalisi chimica, il processo di transesterificazione può essere catalizzato anche da enzimi
per es. la lipasi. La lipasi è un enzima che catalizza la formazione/rottura del legame estere tra
glicerolo e acidi grassi, molte lipasi sono specifiche per le posizioni 1 e 1’, catalizza dunque la
rottura del legame estere all’estremità del trigliceride, lasciando intatto l’acido grasso in posizione
2. Genera un due monogliceride più i due acidi grassi e allo stesso modo catalizza la formazione del
legame tra gli acidi grassi e il glicerolo nelle posizioni 1 e 1’.
A livello industriale le lipasi utilizzate sono estratte da microrganismi (funghi): Candida rugosa,
Rhizopus oryzae, Mucor miehei.
Reazione della lipasi:
L’acido grasso va a reagire con l’alcool, glicerolo, per formare un legame estere quindi il trigliceride
con rilascio di una molecola d’acqua. Gli enzimi aumentano la velocità della reazione ma non ne
vanno a modificare l’equilibrio perché catalizzano la reazione in entrambe le direzioni.
Il processo di trans esterificazione catalizzato da lipasi prevede la diluizione dell’olio o del grasso in
esano, o in un solvente molto apolare, dopodiché viene aggiunto l’enzima e gli altri oli/acidi grassi
necessari al raggiungimento delle caratteristiche desiderate. La lipasi va a catalizzare la rottura del
legame estere, liberando 2monogliceride e 2 acidi grassi. Dopodiché catalizza la formazione dei
nuovi legami estere nelle posizioni 1 e 1’, gli acidi grassi saranno casuali a seconda dell’ambiente di
reazione.
Con la lipasi possono andare a modulare la composizione in acidi grassi dei trigliceridi
Es. pratico, il burro di cacao ha trigliceridi del tipo POP, POS, SOS. L’olio di palma ha
prevalentemente trigliceridi del tipo POP. Se io voglio conferire all’olio di palma delle
caratteristiche chimico-fisiche simili al burro di cacao devo aumentare il contenuto in acido stearico
dei suoi trigliceridi, quindi possono fare un processo di trans esterificazione mescolando l’olio di
palma con altri grassi ricchi in acido stearico in questo modo otterrò un grasso che avrà le
caratteristiche simili al burro di cacao, e che potrebbe essere utilizzato come suo succedaneo.
Altro es. il latte umano ha una composizione del tipo ISI (insaturo, saturo, insaturo) ovvero gli acidi
grassi insaturi sono legati nelle posizioni 1 e 1’ mentre l’acido grasso insaturo è legato nella
posizione 2, questo perché gli acidi saturi a lunga catena sono meno assorbiti degli insaturi perché
formano sali di calcio insolubili. Al contrario nei grassi vegetali SIS l’acido grasso saturo è in
posizione 2 mentre gli acidi saturi sono in posizioni 1 e 1’ e quindi tenderebbero ad avere una
digeribilità inferiore. Se io prendo un grasso vegetale e lo sottopongo ad un processo di trans
esterificazione andrò a rimescolare la sua composizione in acidi grassi quindi aumenterò la
quantità di acidi grassi saturi legati in posizione 2, ne vado a migliorare la digeribilità e lo posso
utilizzare per la produzione di latte materno artificiale.
Lipidi polari hanno una struttura costituita da una parte lipofila (apolare) e una idrofila (polare)
sono dunque molecole anfifiliche o antipatiche. Sono molecolte tensioattive abbassano la tensione
superficiale dell’acqua portando alla formazione di schiuma. Sono emulsionanti formano micelle
acqua in olio o olio in acqua e costituiscono la membrana cellulare e pertanto sono molto diffusi
negli alimenti.
I fosfolipidi sono i più importanti, costituenti della membrana cellulare, costituiti da una molecola
di glicerolo esterificato nella posizione 1 e 2 in due acidi grassi e nella posizione 1’ con un gruppo
fosfato a sua volta legato ad un gruppo R, di diversa natura, se è una colina avremo le
fosfatidilcoline, se etanolammina avremo le fosfatidiletanolammine e se inositolo avremo le
fosfatidilinositoli.
Altri lipidi importanti sono i glicolipidi in cui la molecola di glicerolo è esterificata in posizione 1 e 2
con due acidi grassi ed in posizione 1’ con zucchero, se lo zucchero è il glucosio avremo i
glucolipidi, se galattosio i galattolipidi.
Nei solfolipidi allo zucchero è anche legato un gruppo fosfato.
Acido fosfati dico in cui il glicerolo è esterificato in posizione 1 e 2 con due acidi grassi ed
in posizione 1ì con un gruppo fosfato.
Il colesterolo è un lipide polare, ha molti anelli apolari con una catena alchilica anch’essa molto
apolare, però ha anche la presenza di un ossidrile che costituisce la sua regione polare. Il
colesterolo è molto importante perché presente nelle membrane cellulari degli animali con
funzione di modulatore di fluidità. Nei vegetali sono presenti composti analoghi chiamati fitosteroli.
E’ poi il composto base per la sintesi di ormoni (es. testosterone)
Le emulsioni
Quando mescoliamo olio e acqua questi non si mescolano, agitando fortemente si formano delle
piccole goccioline di olio disperse in acqua che pian piano vanno verso l’alto creando un’unica fase
chiamato fenomeno della coalescenza. Per omogeneizzarle bene e rendere stabile quest’emulsione
sono necessarie particolari molecole chiamate emulsionanti, sono molecole con una parte polare in
grado di legare l’acqua ed una apolare in grado di legare i grassi ed agiscono tramite la formazione
di micelle. Esempi: a sinistra olio in acqua, piccole goccioline lipidiche disperse in una fase continua
acquosa ed in questo caso l’emulsionante si dispone esponendo la coda apolare all’interno della
gocciolina d’olio e la testa polare nella fase acquosa es. maionese e la panna. A destra acqua il olio
avremo piccole goccioline d’acqua disperse in una fase continua lipidica, in questo caso le molecole
emulsionanti si dispongono al contrario la testa polare verso l’interno delle goccioline acquose e la
coda polare verso la fase disperdente lipidica, es. burro e margarina.
Tensioattivi sono molecole che sono solubili sia in acqua che nei lipidi e devono essere molecole
abbastanza grandi, con peso molecolare abbastanza elevato. Etanolo ed acetone sono in grado di
sciogliere sia acqua sia lipidi ma non sono tensioattivi perché sono piccoli per poter generare la
formazione di micelle. Gli emulsionanti alimentari si comportano in maniera simile ai saponi e
detergenti, che rimuovono lo sporco formando micelle che sono poi rimosse dall’acqua.
Diverse classi di tensioattivi in base alla testa idrofila:
Non ionici, la testa è polare ma non presenta cariche elettrostatiche
Anionici, la testa polare ha una carica negativa
Cationici, la testa polare ha una carica positiva
Zwitterionici, ha la testa polare ha una carica positiva e negativa
La bile è un agente emulsionante, è costituita da una miscela di acidi e sali biliari, derivati dall’acido
colico. La bile esplica la sua funzione emulsionante in cui va ad emulsionare i grassi ingeriti con
l’alimentazione nell’intestino tenue favorendone l’attacco da parte delle lipasi e degli enzimi
digestivi.
Emulsionanti proteici
Le proteine emulsionanti naturali costituite da amminoacidi con residui polari quindi idrofili in
grado di legare l’acqua o con residui apolari quindi più lipofili in grado di legare la parte grassa.
Quando abbiamo la proteina allo stato nativo essa si ripiega in una struttura terziaria e tende a
disporre all’interno di questa struttura globulare gli amminoacidi con le catene laterali più apolari
mentre tende a posizionare all’esterno, verso l’ambiente acquoso, gli amminoacidi con i residui più
polari per riuscire a stare in soluzione.
Quando si va a fare un’emulsione la proteina denatura perché tende ad esporre i residui apolari
verso la fase lipidica e quelli polari verso la fase acquosa, perdendo la sua struttura terziaria
originale. Questo è un processo irreversibile e causa nella maggior parte dei casi la perdita di
attività biologia della proteina.
Burro – Il lipide ricavato dal latte per eccellenza si produce a partire dalla panna affiorata
(naturalmente, per es. quella che si ricava dal parmigiano reggiano, o per centrifugazione)
contenuto ≈30% grasso. Dopodiché la panna viene inoculata con colture batteriche, batteri lattici, e
c’è un processo di fermentazione durante il quale vengono prodotti gli aromi caratteristici del butto
come l’acetoino e diacetile. Dopo la fermentazione c’è un processo chiamato zangolatura ovvero
un’agitazione meccanica molto drastica che rompe le membrane che ricoprono i globuli e ne
favorisce la coalescenza, ottenendo nel burro un’unica fase lipidica, il burro deve contenere almeno
l’84% di grassi e massimo il 16% di acqua (Reg. CE 2991/94). Al termine della produzione è
possibile aggiungere un po’ di sale al burro per ottenere il burro salato.
Emulsionanti sintetici sono prodotti per modifica chimica di emulsionanti o composti naturali.
– Stearoil-2-lattilato di sodio (E481), acido stearico esterificato con l’acido lattico, il lattilato
costituisce la testa polare mentre l’acido stearico costituisce la parte apolare dell’emulsionante.
– Esteri dell’acido diacetiltartarico di monogliceridi (E472), la parte polare è costituita
dall’acido diacetiltartarico mentre la parte apolare dal monogliceride.
– Poliossietilene sorbitano monopalmitato (Tween 40, E434), la parte polare è il sorbitano mentre
la parte apolare è l’acido palmitico.
– Ammonio fosfatidi (E442) in cui la parte polare è il trigliceride mentre la parte apolare è il gruppo
fosfato.
– Sorbitano tristearato (Span 65, E492) in cui la parte polare è il sorbitano mentre la parte apolare
è data dal triste arato.
– Saccarosio monolaurato (E492) estere del saccarosio con l’acido l’aurico in cui la parte polare è
il saccarosio mentre la parte apolare è l’acido laurico.
Gli emulsionanti di gran lunga più utilizzati in campo alimentare sono i mono- e digliceridi degli
acidi grassi, sono commercializzati con la sigla E471. Hanno una struttura formata da una molecola
di glicerolo esterificata con un acido grasso per il monogliceride e da una molecola di glicerolo
esterificata con due acidi grassi per i digliceridi. Hanno quindi sia una parte apolare costituita dagli
acidi grassi sia una parte polare costituita dai gruppi ossidrilici liberi.
Di solito i mono- e digliceridi degli acidi grassi sono prodotti per transesterificazione dei trigliceridi
con idrossido di sodio (catalizzatore) e glicerolo (in eccesso)e sono molto utilizzati nei prodotti da
forno, perché data la loro struttura essi riescono ad inserirsi nelle eliche di amilosio e amilopectina
rallentando la retrogradazione dell’amido e quindi il raffermimento del prodotto, vanno ad
aumentare la conservabilità del prodotto che rimane morbido per più tempo.
Fitosteroli, molecole con una struttura analoga a quella del colesterolo presenti nelle piante, nella
membrana cellulare, allo scopo di modularle la fluidità. I fitosteroli sono ad es. il sitosterolo, lo
stigmasterolo e il campisterolo e abbiamo poi gli stanoli come ad es. il campestanolo e lo
stigmastanolo. La struttura è la stessa ad eccezione che gli stanoli non hanno il doppio legame sono
quindi completamente saturi. La media giornaliera è di 0.2-0.4 g/dì. Queste molecole hanno
abbastanza importanza dal punto di vista alimentare in quanto nell’intestino tenue competono per
l’assorbimento con il colesterolo.
Opinione EFSA 2008, l’autorità europea della sicurezza alimentare ha stabilito che i fitosteroli e i
fitostanoli vegetali ostacolano l’assorbimento del colesterolo nell’intestino tenue, agendo per
competizione e quindi sono in grado di diminuire la concentrazione ematica di LDL, lipoproteine a
bassa densità, colesterolo «cattivo», fino a -10.5% però è necessario assumere una quantità di
fitosteroli e fitostanoli compresi tra 1.5-2.4 g/dì, effetto entro 2-3 settimane. Alimenti indicati per
essere addizionati con steroli e stanoli: yogurt, latte, formaggio, margarine, maionese e condimenti.
I fitosteroli possono essere anche modificati chimicamente, ovvero si può formare un legame
estere con un acido grasso in modo da aumentarne la solubilità nei lipidi, aumentandone l’efficacia
a dosi minori. I fitosteroli vengono assimilati in minima parte, e sono poi escreti per via biliare.
Margarine e grassi addizionati con queste sostanze «nutraceutiche» hanno costi più elevati.
Possibilità di assumerli tramite integratori.
La proteina: struttura
- Le proteine negli alimenti di origine vegetale
Contenuto proteico di diversi alimenti peso/peso (%): i legumi sono proteici, Fagioli rossi 24, Ceci
19, Pane integrale 11 durante la produzione del pane integrale non viene rimossa la crusca, i
tegumenti, ed ha una concentrazione di proteine più elevata rispetto all’endosperma amilaceo,
Lenticchie 9, Pane bianco 9, Mais 9, Tofu (formaggio di soia) 8, Fiocchi di mais 8, Piselli 5, Pasta 5,
Funghi 3.1, Riso 2.4 e Patate 2 ma buone fonti di carboidrati, Fagiolini 1.8, Cavoli 1.3, Banane 1.1,
Uva 0.6, Mele crude 0.3.
- Le proteine negli alimenti di origine animale, più ricchi di proteine.
Contenuto proteico di diversi alimenti peso/peso (%): Parmigiano Reggiano 32.4 nella sua
produzione andiamo a concentrare la frazione delle caseine che sono le proteine del fromaggio ,
Tonno 30, Carne di pollo 27, Carne di manzo 26, Carne d’agnello 25, Cheddar 25, Brie 21, Merluzzo
18, Hamburger 17, Salsiccia 12, Uova 13, Yogurt 10, Gelato 3.5, Latte vaccino 3.4, Latte di soia di
origine vegetale 3.3, Latte materno 1.
- Le proteine in snack e bevande
Contenuto proteico di diversi alimenti peso/peso (%): Arachidi 26, Mandorle 21, Cioccolato al latte
8 più alto perché viene aggiunto il latte, Cioccolato fondente 4.9, Patatine fritte 3.4, Birra 0.5 e
Confettura 0.4 in tracce.
I principali amminoacidi
- con catena laterale che possiede cariche elettrostatiche positive o negative: arginina, istidina
e lisina hanno catena R carica positivamente, mentre acido aspartico e acido glutammico hanno
catena R carica negativamente, hanno un gruppo carbossilico in catena laterale.
- con catena laterale polare ma non presenta delle cariche: serina e treonina presenza di un
ossidrile, in asparagina e glutammina presena di un gruppo amminico; cisteina ha un gruppo
solfidrico in catena R che vedremo sarà importante per il mantenimento della struttura terziaria e
quaternaria delle proteine, in quanto i gruppi solfidrilici della cisteina sono coinvolti nella
formazione di ponti di solfuro; glicina è l’unico amminoacido non chirale perché ha due atomi H
legati al C alfa; prolina ha la catena R ciclica e cedremo che darà alla prolina funzione specifica per
impartire particolari caratteristiche di elica nella struttura secondaria delle proteine.
- con catena R è apolare, idrofobica: alanina, valina, isoleucina, leucina, metionina, aromatica
come accade nel caso della fenilalalina, tirosina e triptofano. Oltre al nome degli amminoacidi
abbiamo due diversi tipi di codici, uno a tre lettere ed uno ad una lettera, in cui ogni lettera
identifica un amminoacido diverso.
A livello biologico, la sintesi proteica avviene a livello dei ribosomi (traduzione). Il legame peptidico
ha parziale carattere di doppio legame dovuto alla delocalizzazione degli elettroni π dunque è
impedita la rotazione attorno al legame peptidico. O del carbonile è in posizione opposta trans
rispetto a H legato all’azoto.
La denaturazione proteica
Per il corretto funzionamento biologico della proteina è indispensabile che essa mantenga la sua
struttura tridimensionale (terziaria e quaternaria), es. enzima deve mantenere il suo sito attivo per
poter funzionare. Se io espongo la proteina a valori di pH estremi, molto acidi o molto basici, o a
trattamenti termici intensi, o a stress ed agitazione meccanica troppo intensa posso denaturare la
proteina, farle perdere la struttura terziaria. Romperò legami presenti e se ne formeranno dei
nuovi, con conseguente precipitazione, solidificazione, gelificazione. Quando la denaturazione è
troppo avanzata, non sarà più reversibile, dunque avrò una perdita di attività biologica completa.
La denaturazione è un fenomeno che avviene durante la cottura degli alimenti:
Uovo, durante la cottura le proteine denaturano, solidificano e vanno ad intrappolare e trattenere
l’acqua, passa da una consistenza liquida ad una solida.
Carne, durante la cottura le proteine denaturano, se il trattamento è inteso vanno a formarsi dei
legami crociati tra le catene proteiche e ne aumento della consistenza, rendendola più dura.
Ortaggi, soprattutto per quelli surgelati. Prima di surgelarli gli ortaggi sono sottoposti ad un
trattamento chiamato “blanching”, è un trattamento termico effettuato con vapore o acqua calda
che serve ad inattivare gli enzimi responsabili della degradazione del prodotto es. le lipossigenasi
sono responsabili dell’imbrunimento del prodotto. Aumento la conservabilità del prodotto
surgelato, è quello che si fa comunemente in casa quando si sbollentano gli ortaggi prima di
surgelarli.
Degradazione termica degli AA, durante i processi di produzione e stoccaggio degli alimenti.
- Reazione di Maillard, coinvolge la catena R dell’amminoacido Lisina, essenziale.
In questa reazione abbiamo la catena R della lisina in proteina in cui il gruppo amminico va a
reagire con il glucosio o con un latro zucchero riducente per formare una complesso tra la proteina
e lo zucchero. Questo nuovo legame non è riconosciuto dagli enzimi digestivi e pertanto io avrò
perso questa molecola di lisina, anzi oltretutto se questi legami diventano estesi essi vanno anche
ad ostacolare la digeribilità dell’intera proteina.
Alcuni alimenti sono particolarmente sensibili alla degradazione della lisina per via della reazione
di Maillard, per es. il latte, uno dei più sensibili. Mantenendo il latte per un’ora a 150° perdo tutta la
lisina presente. Altri sono più resistenti, le proteine del pesce possono essere mantenute per 3 ore
a 150° perdendo solo il 20% della lisina presente. Questa reazione varia anche in funzione della
quantità di zuccheri riducenti presenti nell’alimento oltre alla proteine.
- Formazione di Isopeptidi. Si formando quando la catena R della lisina va a dare attacco nucleofilo
alla catena R di altri amminoacidi come l’asparagina, glutammina, acido aspartico e acido
glutammico, con formazione conseguente di legami peptidici non classici ma crociati, non
riconosciuti dagli enzimi digestivi, andando a diminuire la digeribilità della proteina, perdendo
l’amminoacido essenziale la lisina.
- Formazione di deidroalanina, altri amminoacidi perdono acqua per tale formazione come la serina
che perde un gruppo ossidrilico sottoforma di molecola d’acqua con conseguente formazione di un
legame C C che porta alla formazione della deidroalanina che non ha alcun valore dal punto di vista
nutrizionale. Allo stesso modo la cisteina può perdere il gruppo solfidrilico sottoforma di acido
solfidrico con conseguente formazione di un legame C C che porta alla formazione della
deidroalanina che non ha alcun valore dal punto di vista nutrizionale.
- Formazione di D-amminoacidi (racemizzazione) quando effettuo un drastico trattamento termico
agli amminoacidi specialmente in presenza di PH fortemente basici o acidi.
Gli amminoacidi come sappiamo sono presenti in configurazione L, se per un trattamento termico
in ambiente basico io vado a rimuovere questo protone si formerà un carbanione stabilizzato per
risonanza con il gruppo carbossilico. Una volta che il mio protone rientrerà nella molecola esso
potrà riattacarsi sia sotto sia sopra il carbanione perché esso è planare, ibridizzato sp2, avrò 50%
di possibilità che esso si attacchi da sopra o sotto. Passerò quindi ad avere l’amminoacido nella sola
configurazione L, ad avere una miscela 50% di L + D, questo processo si chiama racemizzazione.
Metà degli amminoacidi saranno in configurazione L l’altra in D.
Amminoacidi più sensibili alla racemizzazione sono l’alanina, acido aspartico, fenilalanina, acido
glutammico e lisina.
Le caseine sono presenti nel latte sottoforma di dispersione di micelle. La micella di caseina ha
forma sferica con diametro fino a 600 nm, solitamente 130-250 nm. 10alla15 micelle di caseina per
ogni litro di latte, 20,000 molecole di caseina per ogni micella. Peso molecolare caseine: 23,500 Da
(α), 24,000 Da (β), 19,000 (κ).
Struttura della micella di caseina: 25-30 molecole di caseina formano le sub micelle. Le sub micelle
aggregano a formare le micelle. All’interno della sub micella le caseine si dispongono in modo da
esporre i residui idrofobici (apolari), quelli idrofili (polari) che si trovano all’estremità
amminoterminale della proteina (N-term) sono esposti verso l’esterno. Quest’ultimi (polari)
importanti per le interazioni tra le diverse sub micelle e per la costituzione di una micella più
grande. Nella regione amminoterminale, N-term, di α e β caseina sono presenti delle serine
fosforilate e questi gruppi fosfato (fosfoserina) sono in grado di complessare lo ione calcio presente
nel latte. Grazie al calcio (Ca2+) che fa da ponte tra i vari gruppi fosfato delle alfa e beta caseine, le
sub micelle possono interagire tra loro a formare micelle più grandi.
Questi aggregati di fosfato di calcio colloidale (CCP).
Al contrario della alfa e beta caseina, la κ-caseina non ha gruppi fosfato, ma presenta un trisaccaride
legato all’estremità C-term che gli conferisce una certa polarità, però non è in grado di formare
interazioni con gli ioni calcio. Quando ho diverse sub micelle che si aggregano tra loro a formare
una micella più grande avrò che le sub micelle ricche in alfa e beta caseina si localizzeranno
all’interno della micella perché sono in grado di interagire con gli ioni calcio, permettendo
l’interazione di diverse sub micelle tra di loro. Al contrario le sub micelle ricche in κ-caseina si
localizzeranno all’esterno della micella, impedendone la crescita eccessiva in dimensioni della
micella, se troppo grande non riuscirebbe più a stare in dispersione ma precipiterebbe.
Perché le proteine sono presenti nel latte sottoforma di dispersione colloidale e non
semplicemente in soluzione, perché in questo modo è possibile avere un’alta concentrazione
proteica nel latte senza tuttavia aumentarne eccessivamente la viscosità e fornire al lattante un
adeguato apporto di calcio e fosfati in maniera organica senza che essi formino precipitati
insolubili.
Lo yogurt è un prodotto a base di latte che si ottiene inoculando il latte con due batteri lattici
Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus. Durante la fermentazione il lattosio
presente nel latte viene trasformato in acido lattico, questo causa un abbassamento del pH che fa sì
che le caseine raggiungano il loro punto isoelettrico e precipitino. La precipitazione non è completa,
e si ha una consistenza densa e cremosa tipica dello yogurt, simile al gel.
Il formaggio, per la sua produzione il latte o può essere direttamente inoculato con starter di batteri
lattici o agiscono per la fermentazione dei batteri lattici da contaminazione ambientale quindi non
starter. Durante la fermentazione i batteri lattici trasformano il lattosio in acido lattico, causa un
abbassamento del pH con conseguente precipitazione delle caseine. Questo fenomeno è molto
favorito dall’aggiunta del caglio, costituito dall’enzima chimosina è l’abomaso dei vitelli, che taglia la
κ-caseina in para-κ-caseina (idrofoba, rimane nella micella) e casein macro peptide (idrofilo) e va
in soluzione. Venendo così meno il rivestimento glucidico delle micelle, queste possono aggregarsi
tra di loro e precipitare. In questo modo si ottiene la cagliata.
Una volta che la cagliata ha raggiunto la consistenza idonea, il casaro rompe la cagliata attravero lo
spino, un attrezzo, in modo da generare piccoli pezzettini di cagliata e favorire lo spurgo del siero.
La cagliata è separata dal siero, salata e pressata nelle apposite forme e poste a stagionare. Durante
la stagionatura i fenomeni proteolitici e lipolitici andranno a dare le particolari caratteristiche
organolettiche: proteolisi (consistenza e aroma) e lipolisi (aroma).
Uova
Tuorlo contiene 16% di proteine. Le principali sono la Fosvitina, proteina ricca in gruppi fosfato,
con la proprietà di chelare il calcio, il ferro ed altri cationi, e le Lipovitelline che vanno a legarsi più
spesso con lipidi (soprattutto fosfolipidi) e metalli. Tuorlo d’uovo è ricco infatti in fosfolipidi.
Albume contiene 11-13% di proteine ed è formato da 4 strati a diversa densità a seconda della
concentrazione di ovo mucina. Dal punto di vista alimentare questo non è importante perché
durante le preparazioni alimentari l’albume viene rimescolato. Le calaze sono i filamenti che
mantengono il tuorlo fissato al centro dell’uovo.
Le proteine dell’albume sono numerose e la più importante per abbondanza è l’ovalbumina che
arriva a costituire più del peso secco dell’albume d’uovo ed è una fosfoglicoproteina.
Segue poi la con albumina che costituisce il 12% su peso secco ed è impegnata nel legame con i
metalli, l’ovomucoide 11% ed è un inibitore della tripsina, l’ovomucina 3.5% ed è una sialoproteina
ovvero una proteina legata all’acido sialico, conferisce viscosità all’albume in quanto ha un peso
molecolare elevato, il lisozima 3.4% con funzione microbica, le globuline 4% e l’avidina solo in
tracce ma è importante per il suo legame con la biotina. Ognuna di queste proteine ha una sua
particolare temperatura di denaturazione, quindi sono più o meno resistenti ai trattamenti termici.
Ovalbumina è una glicofosfoproteina, in cui i residui di sparagina (Asn) sono legati con dei
carboidrati mentre i residui di serina (Ser) sono legati con gruppi fosfato. Ricca in cisteine che
formano ponti disolfuro intramolecolari che ne mantengono la struttura terziaria. Durante la
cottura dell’uovo la proteina denatura e va a formare dei ponti disolfuro intermolecolari, formando
quindi un reticolo più esteso che va a dare la consistenza solida, tipica dell’albume cotto.
L’ovalbumina è un’ emulsionante in miscele olio-acqua o aria-acqua (albume montato a neve, se io
lo vado a cuocere vado a stabilizzare la struttura grazie al riscaldamento ed ottengo il prodotto
chiamato comunemente meringa).
Conalbumina proteina che lega ioni metallici, ed il complesso metallico è più resistente alla
denaturazione (ciotole metalliche sono meglio per montare gli albumi)
Ovomucoide è una glicoproteina con azione inibitrice sulla tripsina, ostacola la digestione delle
proteine da parte dell’enzima tripsina e conferisce viscosità all’albume. Gli albumi freddi sono più
difficili da montare rispetto a quelli a temperatura ambiente perché più viscosi.
Stabilità delle schiume a seconda del pH. La stabilità è massima in prossimità del punto isoelettrico
delle proteine emulsionanti infatti al pI le cariche positive equivalgono le cariche negative. Le
proteine non si respingono tra di loro e la schiuma è più stabile. In cucina si può utilizzare aceto o
cremor tartaro per portare il pH ad un punto vicino al valore isoelettrico delle proteine, rendendo
la schiuma più stabile.
La carne
Il muscolo è fissato all’osso tramite i tendini, costituiti da tessuto connettivo, da collagene.
Così come costituito da collagene è l’epimisio, la membrana che va a rivestire il muscolo.
Unità contrattile del muscolo è la fibra muscolare, le cellule che vanno a costituire i muscoli. Queste
cellule sono molte lunghe (Ø 10-100 µm × 30 cm, per una cellula è tanto)
Nel dettaglio la cellulare muscolare - la membrana cellulare si chiama sarcolemma e presenta delle
introflessioni che vanno a generare dei tubuli T trasversi, importanti nella trasmissione
dell’impulso nel nervoso nella contrazione muscolare. La cellula muscolare è molto ricca in
mitocondri perché per la contrazione muscolare è necessaria molta energia, molta atp.
La miofibrilla è l’elemento contrattile della cellula muscolare. Il reticolo endoplasmatico nel caso
dei muscoli si va a chiamare reticolo sarcoplasmatico.
La contrazione muscolare – le fibre muscolari sono formate da filamenti sottili e spessi.
Filamenti sottili sono costituiti dalle proteine Actina, Troponina e Tropomiosina.
Filamenti spessi sono costituiti da Miosina.
Un nervo porta la trasmissione dell’impulso nervoso al sarcolemma, da qui passa ai tubuli T.
L’impulso nervoso fa si che ci sia un rilascio di Ca2+ del reticolo sarcoplasmatico. Il Ca2+ si lega
alla troponina (filamento sottile), che cambia forma e causa lo spostamento della tropo miosina. I
siti attivi dell’actina rimangono scoperti. Grazie all’energia fornita dall’atp, l’actina reagisce con la
miosina. L’idrolisi dell’ATP fa sì che actina e miosina si leghino provocando la contrazione del
muscolo. Al termine dell’impulso nervoso, il Ca2+ ritorna nel reticolo sarcoplasmatico, la
tropomiosina torna nella posizione iniziale e l’actina e miosina non interagiscono più ed il muscolo
torna rilassato.
Per il processo della contrazione muscolare è necessaria ATP, questa può derivare da diverse vie
metaboliche:
- Respirazione cellulare aerobica, quindi dal Ciclo di Krebs, in questo processo l’acido piruvico
derivante da zuccheri o grassi è ossidato nei mitocondri con produzione di ATP, è molto efficiente,
porta a generare 36 molecole di ATP, ma è necessario O2, apportato dal circolo sanguigno.
- Glicolisi produce meno molecole di ATP e durante la glicolisi il glucosio è convertito in acido
lattico, non è necessario ossigeno ed è molto veloce (sforzi intensi improvvisi) ma ha lo svantaggio
che l’acido lattico vada ad accumularsi nei muscoli causando dolore.
Glicolisi post mortem - Dopo la macellazione dell’animale non c’è più apporto di O2 a causa della
mancanza di flusso sanguigno, non viene più portato ossigeno ai muscoli. Le cellule muscolari
richiedono ancora energia, quindi utilizzano la glicolisi per produrre ATP. La glicolisi utilizza come
substrato il glucosio proveniente dal glicogeno, riserva di glucosio presenti nei muscoli. Durante la
glicolisi viene prodotta una grossa quantità di acido lattico, che abbassa il pH della carne fino a 5.0 -
5.5. Esaurito il glicogeno muscolare, la glicolisi cessa e quindi non c’è più produzione di ATP.
Rigor mortis - Terminato l’ATP, la cellula non ha più energia per riportare il Ca2+ dal sarcoplasma
al reticolo sarcoplasmatico. Filamenti spessi e sottili formano un legame permanente ed il muscolo
diventa rigido, questo fenomeno si chiama rigor mortis. La carne in queste condizioni è molto dura
e non sarebbe edibile. A pH 5.0 – 5.5 a cui siamo arrivati grazie alla produzione di acido lattico sono
inibiti molti microrganismi. A questo pH si attivano proteasi, catepsine e calpaine, che tagliano i
filamenti sottili a livello della linea Z, rendendo quindi la carne più tenera, questo procedimento si
chiama frollatura. La carne diventa tenera e può quindi essere utilizzata per le preparazioni
alimentari. Durante la frollatura parte dell’acqua intrappolata nei filamenti del muscolo tende a
fuoriuscire, portando il muscolo al giusto grado di umidità.
Parametro importante che indica la qualità della carne è il suo colore. Il colore della carne è dovuto
alla mioglobina, una proteina con funzione di trasporto d’ossigeno nei muscoli. Il contenuto di
mioglobina varia in base alla specie animale e al tipo di muscolo. Il pollo es. è una carne bianca
mentre il manzo è rossa, questo perché nel pollo è presente una quantità di mioglobina molto bassa,
quindi ha un aspetto più chiaro, nel maiale es. è presente più mioglobina quindi ha un aspetto più
rosso, infine nel manzo che è una carne molto rossa abbiamo un contenuto di mioglobina elevato.
A parità di animali, all’interno dello stesso animale possiamo avere un diverso contenuto di
mioglobina, di diverso colore, a seconda del tipo di muscolo che prendiamo in considerazione. Di
solito la coscia ha un colore più scuro rispetto al petto o al lombo, questo perché muscoli che fanno
sforzi prolungati hanno un metabolismo di tipo ossidativo quindi è necessario l’apporto di ossigeno
ai muscoli e quindi c’è presenza di un’alta quantità di mioglobina. Muscoli al contrario che fanno
sforzi più brevi es. petto hanno un metabolismo gli colitico quindi la carne ha un contenuto di
mioglobina inferiore. Nel maiale la coscia è più rossa rispetto al lombo.
Il colore della carne varia a seconda delle condizioni in cui è la mioglobina:
deossimioglobina contenuta nel muscolo intero appena tagliato quando il ferro non è ancora
complessato con l’ossigeno, ha un colore violetto; il colore rosso è dato dalla ossimioglobina
costituita dalla mioglobina collegato un ione ferro 2 che a sua volta collega l’ossigeno; quando noi
cuociamo la carne il ferro 2 si ossida a ferro 3, non abbiamo più l’ossigeno legato e si forma la
metiomioglobina, ha un colore marrone, tipica della carne cotta o avariata; infine, se noi
aggiungiamo nitriti o nitrati alla carne avremo la formazione della nitrosomioglobina, ha un colore
rosa tipico dei salumi cotti come prosciutto cotto.
Maggiori sono questi legami, maggiore è la resistenza del tessuto. Negli animali vecchi ci sono più
legami crociati, infatti la carne degli animali più vecchi è più dura rispetto a quella degli animali più
giovani. Questo ha un impatto sulla qualità della carne, infatti tagli con maggior presenza di tessuto
connettivo sono considerati generalmente di valore inferiore rispetto ai tagli con meno tessuto
connettivo perché durante la cottura le fibre di collagene tendono a ritrarsi ed assumere una
struttura ancora più compatta che rende la carne molto dura. Tagli di carne più ricchi in tessuto
connettivo come ad es. lo stinco richiedono tempi di cottura più lunghi rispetto a tagli di carne che
hanno meno tessuto connettivo come ad es. il filetto.
Con cotture lente e prolungate es. stufati, si rompono i legami che tengono assieme le eliche di
collagene, questo si solubilizza e fuoriesce dai tessuti. Nonostante l’alta presenza di tessuto
connettivo lo stufato ed il brasato hanno comunque una consistenza molto tenera. Durante il
raffreddamento il collagene fuoriuscito nel sugo si addensa perché il collagene gelifica, si vanno a
ristabilire i legami idrogeno.
La gelatina è un prodotto importante estratto dal tessuto connettivo, da pelle e ossa (bovine o
suine). Nel caso delle ossa, avviene la triturazione ed eliminazione dei fosfati di calcio dalle ossa con
un trattamento con HCl diluito che dura ≈15 giorni. • Si esegue poi un trattamento basico di pelle e
ossa per diverse settimane con idrossido di calcio [Ca(OH)2] in modo da idrolizzare i legami tra le
catene di collagene. La drasticità e la lunghezza del trattamento ci fanno immaginare quanto forti
siano i legami di collagene. Una volta effettuato il grasso e le proteine sono eliminati e si fa
un’estrazione a caldo della gelatina. La gelatina è insolubile a freddo, solubile a caldo. Dopo averla
estratta questa viene filtrata per evitare eventuali residui ed essiccata. Viene utilizzata
comunemente come addensante alimentare.
Il frumento
Le proteine del frumento hanno una qualità nutrizionale abbastanza bassa, però sono fondamentali
per la pasta ed i prodotti da forno. La cariosside del frumento è costituita da 3 parti, il germe la
parte più piccola che costituisce circa il 3% della cariosside e nel quale sono contenuti la maggior
parte dei lipidi del frumento. Dopodiché abbiamo la crusca che costituisce gli strati esterni, i
tegumenti e poi l’endosperma amilaceo che costituisce 85% della cariosside ed è quello che andrò a
costituire la comune farina bianca. L’endosperma amilaceo contiene principalmente amido
sottoforma di granuli, poi proteine (≈7-15%) e piccole quantità di cellulosa ed emicellulosa
derivanti dalle pareti cellulari dei vegetali.
Le proteine del frumento si possono classificare in base alla loro funzione, solubilità e mobilità
elettroforetica:
- Proteine citoplasmatiche 15-20% delle proteine totali del frumento, sono quelle che hanno un
ruolo enzimatico o di trasportatori all’interno della cellula e si dividono in base alla solubilità in
albumine, solubili in acqua, e globuline, solubili in soluzioni saline diluite.
- Proteine di riserva 80-85%, sono quelle che chiamiamo glutine ovvero la frazione proteica che va
a formare il reticolo responsabile delle proprietà visco-elastiche dell’impasto nei prodotti da forno
e nella pasta. Il glutine è formato da gliadine e glutenine ed hanno una funzione di riserva nella
pianta, cioè devono fornire sostanze nutritive alla futura piantina che si svilupperà dal seme.
Le gliadine 30-40% solubili in soluzioni acquose di etanolo al 70% ed in base alla mobilità
elettroforetica si possono dividere in alfa, beta e gamma ed omega gliadine. Le prime alfa,beta e
gamma sono ricche in zolfo, costituiscono il 70% di frazione di gliadine, hanno un peso molecolare
compreso tra 30-45 Da, sono particolarmente ricche di glutammina e prolina, hanno numerosi
residui di cisteina in grado di formare ponti di solfuro e sono scarse in lisina (amminoacido
essenziale). Le omega gliadine, povere in zolfo, vanno a costituire 10-20% del totale proteico,
hanno un peso molecolare più alto tra 40-75 Da, anch’esse hanno un alto contenuto di prolina e
glutammina ma non contengono cisteina.
Le glutenine 40-50%, a differenza delle gliadine che sono monomeriche, sono polimeriche ovvero
sono costituite da più subunità legate assieme da legami di solfuro intermolecolari, quindi per la
loro estrazione sono necessari agenti denaturanti come l’urea ed agenti riducenti mercaptoetanolo
e odititreitolo. In base al peso molecolare si possono dividere in glutenine a basso peso molecolare
30-45 Da o LMW che costituiscono 70-80% delle glutenine, ricche in glutammina, prolina e
cisteina, si dividono a loro volta in tipo B e C ricche in zolfo e tipo D povere in zolfo, e glutenine ad
alto peso molecolare 65-90 Da o HMW costituiscono 6-10% delle glutenine, fondamentali nel
determinare la qualità della farina, e sono ricche in glutammina e prolina.
Per l’estrazione del glutine dal frumento è sufficiente impastare la farina con l’acqua, si lascia
riposare per permettere al glutine di formare il reticolo proteico e si lava l’impasto sotto acqua
fredda. In questo modo si allontanano i granuli di amido e le proteine solubili, e rimane il glutine
umido che ha l’aspetto e la consistenza di una gomma da masticare.
A seconda del contenuto proteico del frumento le diverse varietà possono essere più o meno
indicate per la produzione di determinati prodotti alimentari. I prodotti alimentari che devono
avere una consistenza friabile es. biscotti necessitano di un contenuto proteico più basso 8-10%,
man mano che sono richieste caratteristiche di tenacità all’impasto è necessario avere una quantità
di proteine superiore ad es. nei prodotti lievitati, come il pane, il reticolo formato dal glutine deve
esser in grado di trattenere i gas prodotti dalla lievitazione quindi è necessario avere un contenuto
proteico più alto, attorno al 12-13%. Se abbiamo poi un pane integrale dove c’è un ‘elevata presenza
di crusca e tegumenti, serve ancora più glutine per riuscire ad avere un prodotto con la corretta
lievitazione di alveolatura.
In realtà più che di quantità di proteine è più corretto parlare di forza della farina, si misura
utilizzando il parametro W calcolato da uno strumento alveografo di Chopin tramite il quale si
misura la capacità di un impasto di trattenere aria. Farine con W tra 90 e 160 sono considerate
deboli e sono indicate per prodotti che devono mantenere una certa friabilità e non devono
risultare troppo duri per il consumatore come biscotti, wafer ecc. Farine di forza media W 160 –
250 possono essere utilizzati in pasticceria o per pani con una lievitazione veloce. Per pani con
lievitazione più lunga, dove c’è una maggiore necessità di trattenere i gas prodotti dalla
fermentazione necessitano di farine forti con un W compreso tra 250 e 310. Infine prodotti con una
lievitazione molto lunga, con una grande presenza di altri prodotti come canditi, uvetta e
margarina, necessitano di farine molto forti con un W compreso tra 310 – 370.
Mescolando acqua e farina, i granuli d’amido iniziano ad assorbire acqua e il glutine si idrata.
Le glutenine formano un ampio reticolo tridimensionale tramite legami intermolecolari di tipo
idrogeno, ionico e idrofobico che riesce a trattenere al suo interno amido gelificato ed i gas prodotti
dalla fermentazione conferendo tenacità ed elasticità all’impasto. Le gliadine si inseriscono in
questo reticolo fungendo da «plasticizzante», determinandone la viscosità ed l’estensibilità.
Slide - Cosa succede alle gliadine e alle glutenine durante l’impasto in modo schematico.
Nei prodotti lievitati è importante avere questo reticolo glutinico per trattenere l’aria prodotta dalla
fermentazione e generare un prodotto soffice con la corretta alveolatura.
Nella pasta è importante avere un buon reticolo glutinico in modo da trattenere l’amido gelificato,
per far sì che la pasta non scuocia e per darle maggiore consistenza.
Giusto rapporto di gliadine e glutenine con le giuste caratteristiche di visco-elasticità
Impasto con troppe gliadine quindi troppo viscoso, sottoposto a lievitazioni tenderebbe a
far sfuggire i gas ed afflosciarsi su sé stesso.
Impasto con troppe glutenine, troppo forte e tenace, non è estensibile e non si estende sotto
l’effetto dei gas prodotti dalla fermentazione generando un prodotto troppo duro e compatto.
Durante l’impastamento si ha la formazione di legami disolfuro intermolecolari che stabilizzano il
reticolo del glutine. Maggiori sono questi legami, più l’impasto avrà tenacità. Impasti forti: pane.
Impasti più deboli: biscotti.
Alle farine possono essere aggiunti alcuni agenti miglioranti per tenere le desiderate caratteristiche
di tenacità e di forza. Ad es. se ho un impasto troppo forte aggiungo alla farina L-cisteina per
diminuirne la forza andando a rompere alcuni legami di solfuro ed alleggerendo il reticolo. Per
aumentare la forza della farina andrò ad aggiungere agenti ossidanti che favoriranno la formazione
dei legami di solfuro es. idroperossidi naturalmente presenti in farine conservate per un anno o
biossido di cloro, perossido di benzoile, persolfati d’ammonio e potassio, bromati e iodati di
potassio, sono molecole vietate in UE. L’acido ascorbico a contatto con l’ossigeno si ossida ad acido
deidroascorbico, che a sua volta ossida il glutatione, molecola che tende a rompere i legami
disolfuro dell’impasto.
L’acido ascorbico, a contatto con l’ossigeno si ossida ad acido deidroascorbico, va poi questo ad
ossidare la molecola di glutatione, facendole formare il dimero ossidato. Il glutatione libero non è
più a disposizione per andare a rompere i doppi legami del reticolo glutinico. L’acido ascorbico
modula le funzioni di scambio dei ponti disolfuro nella formazione del glutine. L’attività vitaminica
è persa in seguito alla cottura.
I colori: clorofille, carotenoidi e antocianine
Il colore di un alimento ne determina, talvolta assieme all’aroma e alla consistenza, l’unico aspetto
qualitativo che possiamo valutare in modo diretto prima dell’acquisto. Gli alimenti contengono
naturalmente sostanze coloranti (es. frutta e verdura). Alcuni alimenti sono intenzionalmente
colorati durante il processo produttivo, per renderli più «attraenti» o «appetibili».
Negli ultimi anni i coloranti sintetici sono sempre più rimpiazzati da coloranti di origine naturale.
Clorofilla è il pigmento verde delle foglie e della frutta acerba. Responsabile della fotosintesi,
trasformazione di CO2 in zuccheri è situata nei cloroplasti, organelli cellulari. Esistono due tipologie
(a e b), sono due molecole diverse di clorofilla che hanno due strutture chimiche, in rapporto 3 a 1.
La struttura tra le due è identica se non per il fatto che c’è un gruppo eme nella clorofilla A che
invece nella B è sostituito da un gruppo aldeidico, per il resto la struttura è uguale.
Porfirina è struttura ad anello simile al gruppo eme, ma con differenze sugli anelli ed è diverso il
metallo che viene coordinato, magnesio (nel gruppo eme è il ferro). Questo anello porfirinico è
legato ad una lunga catena apolare, solubile chiamata fitolo, lunga catena idrofobica, legata con
legame estere e conferisce apolarità alla clorofilla che quindi è solubile nei lipidi. Il legame estere
può essere idrolizzato durante i trattamenti tecnologici e durante i processi di trasformazione degli
alimenti. La clorofilla è dunque una molecola apolare che le permette di associarsi con membrane
del cloroplasto, formate da fosfolipidi, molecole anchesse apolari, e ad altri pigmenti naturali che
sono i carotenoidi.
La radiazione luminosa o luce bianca è composta dalla radiazione corrispondente alle lunghezze
d’onda di tutti i colori dell’arcobaleno, la luce bianca è composta da tutti i colori, copre tutto lo
spettro del visibile che va da circa 380 a 700 nm. Quando la luce bianca colpisce un oggetto parte
della radiazione viene assorbita dall’oggetto mentre la restante parte viene riflessa. Es. la luce
bianca colpisce un oggetto, parte della radiazione viene assorbita e viene riflessa la componente
blu, l’oggetto risulterà blu ai nostri occhi. Se la radiazione luminosa colpisce un oggetto vengono
assorbite tutte le lunghezze d’onda ad eccezione del rosso, la componente rossa viene riflessa e
l’oggetto apparirà rosso. Se tutta la radiazione luminosa viene riflessa dall’oggetto questo apparirà
bianco, al contrario se l’oggetto assorbe tutta la luce a qualsiasi lunghezza d’onda questo oggetto
apparirà nero.
Lo spettro di assorbimento della clorofilla, ovvero la quantità di luce assorbita in funzione della
lunghezza d’onda. Possiamo notare che a lunghezze d’onda basse corrisponde la componente blu
violetta mentre muovendoci verso lunghezze d’onda più alte, verso i 700 nm, si arriva al colore
rosso. La clorofilla A presenta un max di assorbimento a circa 420 ed uno a 700 nm e ci appare
quindi di colore verde scuro, la clorofilla B ha un max di assorbimento intorno ai 470 ed uno a
670/680 nm dunque la percepiamo di un verde un po’ più chiaro, giallognolo. I carotenoidi hanno
un max di assorbimento verso i 470 ed uno a 500 nm, li vediamo di un colore giallo-arancione.
Nelle foglie sono presenti sia carotenoidi sia clorofilla. In primavera ed estate, il colore verde delle
clorofille «copre» il giallo dei carotenoidi. In autunno, le clorofille degradano, e prevale il colore
giallo dei carotenoidi, motivo dell’ingiallimento delle foglie in autunno.
Reazioni a cui può andare incontro la clorofilla:
- La clorofilla può andare incontro a diverse reazioni chimiche nei processi di trasformazione degli
alimenti. Può essere idrolizzato il legame estere che lega il fitolo all’anello porfirinico, idrolisi
possibile attraverso trattamento termico come può essere la cottura. L’idrolisi della clorofilla con
perdita del fitolo porta alla formazione della clorofillide (a e b) costituita solo dalla parte porfirinica
della molecola. Appare sempre di colore verde, ma la perdita del fitolo fa sì che essa diventi più
idrosolubile, si perde in parte nell’acqua di cottura. Se bolliamo un vegetale verde, broccolo, bietole
o spinaci notiamo che l’acqua di cottura prende una colorazione verde.
- Perdita di Mg2+ coordinato dall’anello porfirinico. Di solito per far avvenire la perdita dello ione
magnesio è necessario un trattamento termico abbastanza intenso come l’inscatolamento o in
presenza di un ambiente acido (frutta e verdura hanno solitamente pH acidi grazie alla presenza di
acidi organici al loro interno. La perdita dello ione magnesio fa sì che dalla clorofilla si ottenga la
feofitina (dalla clorofilla a feofitina a e stessa cosa per la b). E’ di colore olivastro. Se prendiamo dei
fagiolini freschi essi hanno un colore verde brillante, se acquistiamo dei fagiolini surgelati essi
hanno un colore verde perché il trattamento di sbollenta tura eseguito prima di essere congelati
può andare al massimo a provocare la perdita del fitolo ma non la perdita dello ione magnesio. Se
invece compriamo fagiolini in scatola il trattamento di sterilizzazione che è stato effettuato è
abbastanza drastico, la clorofilla perde lo ione magnesio, si forma la feofitina ed i fagiolini
assumono un colore più olivastro. Se noi effettuassimo il trattamento termico in presenza di un
ambiente leggermente basico (aggiungendo bicarbonato di sodio), limita la reazione migliorando il
colore, il colore rimarrebbe verde brillante, ma peggiora aroma e consistenza del prodotto. Non è
un approccio di solito utilizzato.
- Se noi andassimo ad aggiungere del rame, sotto forma di solfato rameico o ceduto dalle pentole di
rame, avremo un effetto positivo sul colore, risulterebbe più brillante ma ovviamente questo
trattamento non si può fare per problemi di tossicità. Al limite per restituire il colore verde ai
prodotti in scatola, si possono usare coloranti verdi ammessi negli alimenti come verde S, oppure
sale sodico della clorofillina rameica (derivato chimico della clorofilla). La degradazione della
clorofilla è alla base della differente colorazione dei piselli surgelati (verde brillante) e inscatolati
(verde olivastro).
Carotenoidi sono presenti in frutta e ortaggi ed hanno un colore che va dal giallo all’arancione.
Presenti nei cloroplasti e nei cromoplasti. Sono terpenoidi, ovvero molecole che derivano dalla via
biosintetica dell’isoprene, molecola raffigurata che è molto importante nelle biosintesi. I
carotenoidi sono dei tetraterpenoidi = 40 atomi di carbonio. Una molecola di isoprene ha 5 atomi di
C, ogni carotenoide è formato da 8 unità isopreniche.
Dalla struttura chimica che è prevalentemente idrocarburica, possiamo dedurre che i carotenoidi
sono composti molto apolari, si sciolgono nei lipidi, liposolubili. I carotenoidi si possono classificare
in due categorie caroteni, es. betacarotene, hanno una struttura idrocarburica formata da atomi di C
e H, e xantofille, es. luteina, hanno una struttura idrocarburica formata da atomi di C, H ed O,
carotenoidi ossigenati. Tra i caroteni vale la pena ricordare il licopene ed il betacarotene. Il licopene
è il carotene più semplice son struttura lineare ed è il pigmento fondamentale del pomodoro da cui
prende anche il nome Solanum lycopersicum. Il betacarotene è importante perché è un precursore
della vit. A e a differenza del licopene ha le estremità terminali ciclizzate, queste strutture si
chiamano α e βionone. Tra le xantofille ricordiamo la luteina, la zeaxantina e la cantaxantina. La
zeaxantina prende il nome dal mais, una delle fonti alimentari di zeaxantina, da cui prende il nome
Zea mais, ed è un isomero è la luteina. La cantaxantina, isolata per la prima volta dai funghi ma è
presente anche in alghe, crostacei e pesci. Dà il colore arancio al guscio del gamberetto.
I fenicotteri che si cibano di questi crostacei e gamberetti assumono la cantaxantina per via
alimentare e per tanto il loro piumaggio assume una colorazione rosa.
Apocarotenoidi hanno sempre una struttura idrocarburica ma hanno la presenza di uno o più
gruppi carbossilici. Crocetina è il pigmento dello zafferano (Crocus sativus), in cui la crocetina e
legata al genziobiosio tramite legame glicosidico. Zafferanno è una spezie ed un colorante molto
costoso, servono 150,000 stigmi di zafferano per produrre 1 kg di prodotto.
Cis-bixina è il pigmento dell’annatto, presente nei semi di Bixa orellana. Annatto è utilizzato per
colorare alcuni formaggi (Red Cheshire o Leicester) e margarine, per conferire loro un colore più
giallognolo simile a quello del burro.
Antocianine sono pigmenti presenti in fiori e frutta di colore rosa, rosso, viola o blu. Sono glicosidi
in cui l’aglicone (antocianidina) è legato ad uno zucchero che può essere monosaccaride (glucosio,
galattosio, ramnosio o arabinosio) in posizione 3 sull’anello c, o disaccaridi rutinosio e soforosio. La
struttura di base è il flavano, ma sono presenti numerose varianti in termini di sostituenti sugli
anelli, in particolare sull’anello b.
A seconda del n° e della tipologia di sostituenti sull’anello b le antocianidine avranno diverse
sfumature di colore: ad es. la perlargonidina è meno sostituita in quanto ha solo in gruppo
ossidrilico sull’anello b ed ha una tonalità rossa, la cianidina ha 2 ossidrili sull’anello b tende ad
essere più rosa, la peonidina in cui un H è stato sostituito da un gruppo metilico tende ad avere un
colore più fucsia, la delfinidina che è trisostituita sull’anello b ovvero ha 3 gruppi ossidrilici ha una
colorazione indica, la petunidina che ha un gruppo metossi e due ossidrilici ha una colorazione blu
intensa e la malvidina quella più sostituita ha un colore viola intenso. Nelle diverse antocianidine è
sempre presente una carica positiva sull’ossigeno, sono infatti molecole cationiche ed in particolare
parliamo della struttura del catione flavilio.
Lo zucchero legato in 3 può essere esterificato a sua volta (legato) in posizione 6 con un composto
fenolico, es. acido paracumarico, acido ferulico o acido caffeico. Il gruppo ossidrilico dello zucchero
fa a formare un legare estere con il gruppo carbossilico di questi composti fenolici.
L’uva è fonte di antocianine. Sono presenti tutte le antocianidine: cianidina, peonidina, delfinidina,
petunidina e malvidina, l’unica assente è la pelargonidina. Hanno diverse tipologie di glicosilazione
ed acetilazione. In Europa ed Asia occidentale è diffusa la vitis vinifera in cui sono presenti i 3-
monoglucosidi delle antocianidine, al contrario nella vitis riparia e vitis rupestris, coltivate in
america centro settentrionale abbiamo la presenza 3,5-diglucosidi delle antocianidine. Queste
molecole possono essere considerate dei possibili marcatori di provenienza geografica, presenti
solo in particolari specie di vite coltivata in determinate regioni geografiche.
Le antocianine come coloranti. Utili perché stabili a pH acido (frutta) utilizzate per la colorazione di
dolciumi e bevande però se ossidate si trasformano in malvoni incolori responsabili della perdita di
colore della frutta in scatola. Non indicate per prodotti a pH più alto (es. latte) in quanto il colore
sarebbe alterato (bluastro). Fonti per estrarre le antocianine sono vinacce residui della
vinificazione, cavolo rosso o bacche di sambuco ed altri.
I colori: betalaine, melanine, curcuma e cocciniglia (pigmenti di origine vegetale)
Betalaine sono pigmenti vegetali presenti nella famiglia delle Centrospermae, di cui fa parte la
barbabietola (Beta vulgaris), importante in campo alimentare. Si distinguono in Betacianine
di colore rosso porpora e Betaxantine di colore giallo.
La differenza strutturale tra le due è la presenza di un sistema ciclico nelle betacianine rispetto alle
beta xantine mentre nel resto della struttura la parte inferiore è identica. In entrambe le molecole
è presente un azoto quaternario carico positivamente.
-Le betacianine della barbabietola costituiscono fino al 90% della barbabietola, di queste abbiamo
betanidina 95% ed isobetanidina 5%. Le betacianine possono essere glicosilate o meno, nella
barbabietola quasi tutte lo sono perché il 95% delle betacianine della barbabietola sono legate ad
un glucosio. Talvota il glucosio può essere legato ad un gruppo solfato.
-Le betaxantine della barbabietola sono la restante parte e nella barbabietola sono presenti
sottoforma di vulgaxantina I e II, la differenza sta nella presenza nella I di un ammide e nella II un
acido carbossilico.
Le betalaine hanno alcuni vantaggi rispetto agli antociani, hanno un colore molto più stabile al
variare del pH. L’unica reazione di degradazione a cui possono andare incontro durante le
trasformazioni alimentari è il loro imbrunimento durante trattamenti di cottura prolungati, specie
se in presenza di ossigeno. Si possono utilizzare come coloranti rossi in dessert e latticini (le
antocianine non indicate come abbiamo visto). Non adatte invece per prodotti da forno
(imbrunimento)
Le melanine si formano per contatto con l’ossigeno nei tessuti vegetali danneggiati. Quando
andiamo a sbucciare una patata o tagliare una mela andiamo a rompere le cellule vegetali e di
conseguenza alcuni composti fenolici entrano a contatto con l’enzima polifenolossidasi, in presenza
di ossigeno, e sono trasformati in ortodifenoli (attività creolasica), successivamente gli ortodifenoli,
in presenza di ossigeno e sempre per azione della polifenolossidasi, vengono trasformati in orto
chinoni (attività catecolasica). Quest’ultimi polimerizzano amelanine, pigmenti ad alto peso
molecolare di colorazione bruna.
Le melanine impartiscono infatti una sgradevole colorazione bruna a frutta e verdura, può esser
dovuta sia ad operazioni volontarie (taglio, pelatura), infezioni fungine o ammaccature involontarie
che danno inizio a questo fenomeno.
Negli animali è presente un enzima analogo, l’enzima tirosinasi che catalizza la trasformazione della
tirosina in melanina, pigmento che dà la colorazione alla nostra pelle e capelli.
I pigmenti bruni che si formano sulla superficie dei vegetali tagliati o danneggiati non porta a
perdite nutrizionali. Tuttavia sono sgraditi al consumatore portando ad una perdita di valore
commerciale. Gli o-chinoni hanno attività antifungina. Quando un frutto viene tagliato o ammaccato,
le cellule sono danneggiate, i succhi cellulari ricchi di nutrienti potrebbero attirare ed essere un
substrato di crescita per alcune infezioni fungine, si conseguenza la pianta cerca di evitare che
l’infezione fungina si propaghi in profondità nei tessuti vegetali sintetizzando questi orto chinoni, è
un meccanismo di difesa. I substrati polifenolici coinvolti nella formazione di melanine sono diversi
da pianta a pianta, nelle mela, pera e patate il substrato principale è l’acido cloro genico, nelle
cipolle è l’acido protocatechico. I polimeri finali ovvero le melanine sono strutture molto complesse,
non ancora completamente caratterizzate.
A livello industriale bisogna assolutamente prevenire l’attività fenolasica, ovvero ostacolare
l’imbrunimento enzimatico del prodotto:
- Blanching (o scottatura) è un trattamento termico effettuato prima o immediatamente dopo il
taglio o pelatura che va a denaturare l’enzima polifenolossidasi, non catalizzando più la
reazione.
- Immersione in acqua della frutta o verdura appena tagliata, così si elimina il contatto con l’aria.
- Addizione di agenti chelanti, i quali sequestrano il rame presente nel sito attivo dell’enzima,
impedendogli di funzionare (es. acido malico, acido citrico).
L’aggiunta di acidi organici abbassa il valore del pH e mantiene il pH più acido rispetto all’optimum
dell’enzima (pH 7), subendo rallentamento o inibizione dell’attività.
- Aggiunta di agenti antiossidanti (acido ascorbico, solfiti)
Il tè prende colorazione dai diversi composti fenolici presenti, è un infuso ottenuto dai germogli
della pianta Camellia siniensis. Esistono diversi tipi di tè, si va da tè per nulla o pochi fermentati
come il tè bianco ed il tè verde, fino a tè molto fermentati come il tè nero.
Nei tè poco fermentati abbiamo un’alta presenza di catechine e polifenoli, con il procedere della
fermentazione catechine e polifenoli tendono a polimerizzare quindi più il tè è fermentato maggiore
è la presenza di composti ad alto peso molecolare come teaflavine e tearubigine, porta anche
all’ottenimento di una diversa colorazione dell’infuso. Tè verde e bianco poco fermentati sono di
colore chiaro, prendono il nome dalla loro colorazione, è chiaro anche il tè oolong.
Caffeina è una molecola presente nel tè che può raggiungere fino a 3-4% su peso secco del tè nero. Il
contenuto varia a seconda del grado di fermentazione del tè, es. il tè bianco 10 milligramma su
porzione di caffeina, tè verde 20, oolong 30, tè nero 40.
La colorazione del tè è data dai composti fenolici presenti che possono arrivare fino al 30% su peso
secco nel tè nero ed i principali sono la catechina, epicatechina, epigallocatechina,
epicatechinagallato, epicancatechingallato e l’acido gallico. Uno dei più abbondanti è
epicancatechingallato che raggiunge concentrazioni del 9-13% su peso secco nel tè nero.
Durante la fermentazione i difenoli sono convertiti a chinoni. I chinoni dimerizzano a teaflavine
(4% del tè), di colore rosso. I dimeri polimerizzano a formare tearubigine, pigmenti principali del tè
nero, a più alto peso molecolare. Le tearubigine sono responsabili anche dell’astringenza del tè,
sensazione nel cavo orale di asciutto.
Cocciniglia, pigmenti rossi estratti da insetti Coccus cacti, un parassita dei fichi d’India e dei cactus.
Le femmine vengono allevate sui cactus, essiccate e polverizzate. Molto costoso, servono 100,000
insetti per ottenere 1 kg di polvere. Provenienza: America del Sud (Perù), isole Canarie.
Estrazione della polvere avviene con acqua calda. L’estratto è trattato con sali d’alluminio e
precipitato con etanolo. Il pigmento è di colore rosso ed il responsabile della colorazione è l’acido
carminico. E120, utilizzata per la colorazione di diverse alimenti come yogurt, marzapane, gelatine,
bitter.
Coloranti di sintesi, ottenuto attraverso sintesi chimica
Vantaggi: sono più stabili, meno costosi ed esteticamente più «belli», maggior disponibilità di
«sfumature». Bisogna però dimostrare la loro non tossicità, acuta o cronica. Non sempre i coloranti
di sintesi sono costituiti da una sola sostanza, anzi sono spesso miscele (Bruno FK è una miscela di
6 diverse molecole). I codici cambiano tra Unione Europea e altre nazioni (es. America).
Colorante Classe Sigla, ammessi in Europa
- Giallo: Tartrazina Azoico E102
Giallo di chinolina Chinolina E104
Giallo tramonto FCF Azoico E104
- Rosso: Carmoisina Azoico E122
Amaranto Azoico E123
Ponceau 4R Azoico E124
Eritrosina Xantene E127
Rosso 2G Azoico E128
Rosso allura AC Azoico E129
- Blu: Blu patent V Triarilmetano E131
Carminio indaco Indigoide E132
Blu brillante FCF Triarilmetano E133
- Verde: Verde S Triarilmetano E142
- Nero: Nero BN Azoico E151
- Marrone: Bruno FK Azoico E154
Bruno cioccolato HT Azoico E155
Coloranti azoici coprono sfumature che vanno dal giallo, arancione, rosso, marrone e nero.
Hanno diversi gruppi solfonici s3- che conferiscono buona solubilità in acqua.
Cromoforo, parte della molecola responsabile del colore, è costituita dal gruppo azo coniugato
sistemi aromatici da entrambi i lati.
Coloranti xantenici, ne esiste uno solo ammesso negli alimenti che è l’eritrosina, colorate rosso.
Cromoforo costituito da tre anelli aromatici legati allo stesso C.
(presenti anche atomi di iodio nella struttura)
Coloranti chinolinici, come il giallo di chinolina, e indigoidi, come il carminio d’indaco, rivestono
importanza nelle forme di coniugazione. Le diverse strutture di risonanza dei sistemi dei doppi
legami coniugati ne vanno a determinare le caratteristiche colorate. Hanno anche loro diversi
gruppi solfonici.
Reg. CE 1333/2008 disciplina utilizzo degli additivi alimentari. Art. 8 a) restituire l’apparenza
originaria di alimenti il cui colore è stato alterato dalla trasformazione, dalla conservazione,
dall’imballaggio e dalla distribuzione, e il cui aspetto può di conseguenza risultare inaccettabile per
il consumatore; b) accrescere l’attrattiva visiva degli alimenti; c) colorare alimenti di per sé
incolori.
Allegato V ci dice poi che per alcuni coloranti come il Giallo tramonto (E110), giallo di chinolina
(E104), carmoisina (E122), rosso allura (E129), tartrazina (E102), ponceau 4R (E124) devono
riportare la dicitura in etichetta: «denominazione o numero E del colorante/dei coloranti: può
influire negativamente sull’attività e l’attenzione dei bambini.». Forte ricerca nella direzione di
coloranti naturali, più «label friendly».
Dove sono vietati i coloranti (Reg. CE 1129/2011)
Prodotti tradizionali (mortadella, cotechino e zampone). Alimenti non trasformati. Miele. Oli e
grassi non emulsionati. Latte e panna non aromatizzati. Acqua minerale naturale. Caffè e tè non
aromatizzati. Zuccheri. Pasta secca. Disciplina anche i dosaggi massimi singoli e combinati dei
coloranti alimentari, per impedire tossicità cronica ed acuta.
Legge di Planck mette in relazione l’energia di una radiazione luminosa con la sua frequenza.
Ci dice che l’energia di una radiazione luminosa è uguale alla costante di Planck moltiplicata per la
sua frequenza. E = h × ν
Più è alta la frequenza di una radiazione luminosa più è alta la sua energia. Se noi osserviamo lo
spettro del visibile vediamo che a basse lunghezze d’onda verso i 400nm nella regione del blu
violetto abbiamo un’alta frequenza quindi la radiazione ha un’alta energia, muovendoci verso
lunghezze d’onda più alta, nella regione del rosso arancio, abbiamo una bassa frequenza quindi una
radiazione a bassa energia.
Le transizioni elettroniche
Quando il fascio luminoso (radiazione luminosa) composto da fotoni colpisce una molecola con la
corretta energia avviene una transizione elettronica, ovvero può far passare la molecola da stato
fondamentale a stato eccitato. Durante questa transizione gli elettroni passano dall’orbitale di
legame a quello di anti legame. Tornano poi allo stato fondamentale rilasciando energia sottoforma
di calore. Le transizioni elettroniche che possono avvenire in una molecola sono molte.
Considerando che la radiazione luminosa è a bassa energia l’unica transizione possibile è π, π* (pi
greco asteriscato) dei doppi legami coniugati. A seconda della struttura della molecola, l’energia
necessaria per la transizione elettronica sarà diversa, assorbiranno la radiazione luminosa a
lunghezza d’onda diverse. Di conseguenza le molecole avranno colori diversi. I sistemi di doppi
legami coniugati necessitano di un’energia minore per la transizione elettronica, grazie all’effetto di
delocalizzazione del doppio legame.
Di fatto per essere colorata una molecola necessita di 7 doppi legami coniugati. Ogni reazione che
vada a rompere la coniugazione ha un effetto negativo sul colore, va a degradare il colore, questo
effetto può essere causato da ambienti molto acidi/basi, anidride solforosa. La parte della molecola
responsabile della colorazione si chiama «cromoforo». La presenza di metalli (es. magnesio nella
clorofilla, ferro nella mioglobina) ha un notevole effetto sul colore.
Come si misura il colore negli alimenti? Se abbiamo un alimento liquido e limpido possiamo
utilizzare uno spettrofotometro. Se il nostro alimento è torpido o solido dobbiamo utilizzare un
colorimetro. Una volta utilizzato il colorimetro abbiamo due diverse modalità di esprimere il colore
dell’alimento.
- Sistema RGB (Red, Green, Blue) descrive il colore dell’alimento utilizzando la quantità dei tre
colori primari verde, rosso e blu, come se collocassimo il colore all’intero di un diagramma
tridimensionale.
- Sistema Lab (L, a, b) anch’esso tridimensionale dove L indica la luminosità che va da 0
corrispondente al nero a 100 corrispondente al bianco, a è la tonalità che va da verde a rosso e b da
blu a giallo.
Il sapore gusto dolce, le molecole che impartiscono un gusto dolce
Il sapore è una caratteristica fondamentale per la scelta degli alimenti. La percezione del sapore è
storicamente ed evoluzionisticamente correlata alla qualità di un alimento. I cibi dolci sono molto
apprezzati, perché associati ad alti contenuti zuccherini, quindi elevato potere nutriente. I gusti
amari sono associati a sostanze velenose, quindi solitamente evitati (meccanismo di difesa).
Il gusto è una proprietà dell’alimento principalmente percepita dalle papille gustative poste sulla
lingua, ma più in generale a livello di tutto il cavo orale. Il gusto dolce è percepito maggiormente
sulla punta della lingua, salato al centro, acido ai lati e amaro nel retro della lingua, come se fosse
l’ultimo meccanismo di difesa prima dell’ingestione di una sostanza potenzialmente velenosa.
È importante studiare la struttura chimica delle molecole responsabili del gusto per capirne
l’evoluzione durante le trasformazioni alimentari e per il possibile sviluppo di additivi alimentari
come aromi, esaltatori di sapidità, dolcificanti, aggiunti all’alimento per migliorarne le qualità
organolettiche. Non esistono strumenti in grado di misurare il «gusto» e il «sapore» di un alimento.
Per giudicare il sapore di un alimento viene utilizzati panel, gruppi di assaggiatori addestrati che
presentano però molta variabilità individuale. Il sapore è dato dalla combinazione di moltissime
molecole che hanno valori di soglia diversi per ogni molecola, influenzati dalla composizione
dell’alimento.
I sapori fondamentali sono cinque salato, dolce, amaro, acido, umami (di carne), poi abbiamo delle
sensazioni chenestetiche che sono il piccante, rinfrescante, l’astrigente e kokumi che non è un vero
proprio sapore ma aumenta la percezione di salato e umami.
Dolce è il gusto tradizionalmente associato con gli zuccheri ma esistono delle eccezioni, perché
alcuni zuccheri non sono così dolci ed altre molecole non glucidiche sono molto dolci (es. stevia,
saccarina). Non esistono strumenti per misurare la dolcezza, di solito si esprime per confronto col
saccarosio. I composti dolci possono avere strutture chimiche differenti, in comune sono sostanze
polari, idrosolubili e non volatili.
Confrontando la struttura delle molecole dolci possiamo individuare analogie comuni ed una volta
individuato il glicoforo, molecola responsabile del gusto dolce, si può provare a modificarla
chimicamente per vedere come varia la sua dolcezza.
La dolcezza di un alimento si misura per confronto con una soluzione di saccarosio, per tanto il
saccarosio ha dolcezza relativa fissata a 1.00, Fruttosio 1.52, Glucosio 0.76, Galattosio 0.50, Lattosio
0.33 e Maltosio 0.33.
I dolcificanti artificiali più utilizzati sono aspartame, acesulfame, xilitolo, saccarina, ciclammato,
glicosidi steviolici, sucralosio e la neosperidina di idrocalcone.
- Alditoli: Xilitolo, mannitolo, sorbitolo, lattitolo, maltitolo sono polialcoli, molecole che presentano
più gruppi alcolici, ottenuti per idrogenazione dei rispettivi zuccheri. Sono meno dolci del
saccarosio, ma non essendo calorici se ne può aggiungere una quantità maggiore per avere lo
stesso potere dolcificante. Dolcificanti «bulk o di massa» molto utilizzanti nei prodotti da forno,
nelle caramelle e nei prodotti per diabetici.
- Saccarina (E954) già nota a fine 1800, prodotta a livello industriale da inizio 1900. Utilizzata
soprattutto nelle bibite grazie alla sua stabilità ai processi tecnologici. Non calorica e non cariogena.
Retrogusto metallico, per questo di solito non è utilizza da sola ma in combinazione con altri
dolcificanti che ne attenuino questo retrogusto.
- Ciclammato e acesulfame (E952, E950) hanno una struttura simile alla saccarina. No retrogusto
metallico. Il ciclammato fu vietato in passato per sospetta cancerogenicità, ma poi reintrodotto per
assenza di prove a supporto.
- Aspartame (E951)è un dipeptide, la cui estremità carbossi terminale è stata esterificata con il
metanolo, è formato dunque da acido aspartico che forma un legame peptidico con la felinalanina
il cui gruppo carbossilico è stato esterificato con il metanolo. L-aspartil-L-fenilalaninato di metile.
Sapore molto simile al saccarosio, molto utilizzato nelle bibite. Impiego ha limitazioni a casua della
sua scarsa stabilità a valori estremi di pH o ai trattamenti termici, infatti è stabile solo a pH tra 3 e 6
(non è utilizzato in alimenti eccessivamente acidi o alcalini), è stabile fino a 70°C. Oltre questa T, va
incontro ad idrolisi e, a seconda dell’intensità del trattamento termico, a ciclizzazione con
formazione di dichetopiperazina (non tossica ma la molecola è stata degradata, ha perso la sua
funzione dolcificante). Fonte di fenilalanina (attenzione nei soggetti affetti da fenilchetonuria!)
- Neoesperidina diidrocalcone (E959) è simile a molecole naturali che conferiscono sapore dolce
a molte piante. Si ottiene dalla naringina, sostanza che dà gusto amaro al pompelmo, per assurdo.
Viene poi convertita a neoesperidina (arancia amara) e successivamente viene idrogenata a
calcone. E’ molto costosa a causa della sua sintesi chimica che ha dei costi elevati però ha molti
vantaggi, maschera il gusto amaro delle altre molecole ed esalta il gusto dolce. Utile nei farmaci.
- Glicirrizina è una sostanza dolce naturalmente presente nella liquirizia (Glycyrriza glabra). Ha
anche attività biologiche sia positive (antiallergica, antinfiammatoria) che negative (funzione
renale e pressione sanguigna). Utilizzata più per l’aroma che non per il potere dolcificante. Effetto
lassativo se assunta in eccesso.
- Stevioside o glicosidi steviolici (E960) estratta dalle foglie di Stevia rebaudiana. Ha anche
un’attività biologica: antinfiammatoria e antiossidante. Stabile nel tempo e alle alte temperature.
Ammessa come dolcificante nel 2014 in UE, dopo aver accertato l’assenza di effetti genotossici.
- Taumatina (E957) ha una strattura chimica completamente diversa dalle molecole dolci, essa è
una proteina estratta dai frutti di Thaumatococcus daniellii. Commercializzata come Talin®. Molto
resistente ai trattamenti termici. Essendo una proteina, è digerita a livello gastrointestinale dagli
amminoacidi che la costituiscono.
Reg CE 1333/2008, Art. 7 disciplina l’utilizzo di alcuni additivi chimici tra cui anche edulcoranti,
elenco delle funzioni degli edulcoranti a) sostituire gli zuccheri nella produzione di alimenti a
ridotto contenuto calorico, alimenti non cariogeni o alimenti senza zuccheri aggiunti; b) sostituire
gli zuccheri qualora ciò consenta di prolungare la durata di conservazione degli alimenti; c)
produrre alimenti destinati ad un’alimentazione particolare.
Dosi massime giornaliere consentite dalla FDA, prendendo come dolcezza relativa il saccarosio.
Acceptable Daily Intake (ADI)
Acesulfame K 200 x (+ dolce del saccarosio), la dose massima che si può assumere è 15 mg/kg
bw/d (mg su kg di peso corporeo al giorno), Aspartame 200 x e se ne può assumere fino a 50,
Saccharin 200-700 x fino a 15, Stevioside 200-400 x fino a 4 e Sucralose 600 x fino a 5.
Di solito siamo al di sotto di questi valori.
I sapori: amaro, acido, salato, chemestesi
L’amaro la percezione del gusto amaro segue lo stesso meccanismo del sapore dolce, è percepito
tramite l’interazione delle molecole amare con alcuni recettori delle papille gustative. Molti sali
inorganici sono amari, quelli la cui somma dei diametri ionici risulta superiore a 6,5A (KI, MgCl2).
Solitamente non è molto apprezzato perché associato a «velenoso». Eccezioni: birra, amari, caffè.
La chinina è una molecola molto amara, estratta dalla pianta cinchona officinalis è utilizzata nelle
bibite es. acqua tonica o gin tonic. Ha una funzione di anti-malarico, antipiretico e analgesico,
secondo la tradizione le bevande dell’acqua tonica e gin tonic siano stati inventati per assumere
l’antimalarico, per rendere la medicina più gradevole.
La caffeina è una xantina (alcaloide) presente nel tè, nel caffè e nelle noci di cola. Nel cacao è
presente il suo analogo teobromina. Gli alcaloidi sono stimolanti del sistema nervoso centrale. La
caffeina viene utilizzata come sostanza amara di riferimento. Per le energy drinks viene utilizzata
caffeina come additivo e viene recuperata da caffè decaffeinato, ecc.
La birra è costituita dalle infiorescenze della pianta Humulus lupulus (luppolo) che le dà il gusto
amaro. Nel luppolo non sono presenti subito queste sostanze amare ma sono presenti α- e β-acidi
che hanno attività batteriostatica sul mosto e sono precursori dei composti amari ma sono insapori,
es. alfa: humulone, cohumulone e adhumulone; beta: lupulone, colupulone e adlupulone.
Strutturalmente sono molto simili, cambia la presenza di un OH negli alfa-acidi che nei beta è
sostituito da una corte catena alchilica.
Durante la cottura del mosto alfa e beta-acidi isomerizzano ad isoacidi es. humulone durante la
cottura del mosto isomerizza a cis-isohumulone e trans-isohumulone. Gli isoacidi sono molecole
molto amare che conferiscono nota amara alla birra. A seconda della tipologia, quantità del luppolo
e del momento in cui lo aggiungo alla birra cambierà il potere amaro. Di solito i luppoli amaricanti
si aggiungono all’inizio della bollitura in modo da avere la conversione degli alfa e beta-acidi ad iso,
se invece voglio aggiungere dei luppoli che conferiscano aroma senza rendere la birra troppo
amara, ovvero luppoli aromatici li aggiungerò negli ultimi minuti della bollitura, se li aggiungessi
all’inizio le sostanze aromatiche volatili sarebbero allontanate durante la bollitura.
International Bitterness Units scale (IBU scale):
1 IBU corrisponde al gusto amaro dato da 1 ppm di isohumulone, diverse tipologie di birra hanno
un diverso grado di amarezza es. Blonde ale 15-30 IBU, English bitter 20-35 IBU, India Pale Ale >
40 IBU e Irish stout 45-60 IBU.
Naringina è la molecola del tipico sapore amaro del pompelmo e arancia amara. E’ un glicoside ed
insieme ad altri polifenoli (esperidina, narirutina, ecc.) è responsabile del sapore amaro dell’albero
degli agrumi.
La carne, il 60% della popolazione caucasica americana è sensibile al sapore amaro della PTC
(feniltiocarbammide) e della creatina. Sensibilità di alcune fasce della popolazione al sapore amaro
della creatina nella carne probabilmente legato alle analogie strutturali.
Denatonio benzoato (Bitrex) è il composto più amaro conosciuto, non è di interesse alimentare.
Scoperto nel 1958 durante ricerche sugli anestetici locali (analogo della lidocaina). Viene utilizzato
come additivo per evitare l’ingestione accidentale di sostanze tossiche (alcool denaturato, antigelo,
detergenti liquidi, prodotti per la casa, ecc.)
Sapore amaro e valore di soglia di alcuni peptidi, in particolare i peptidi abbastanza corti tri e tetra
peptidi che presentano amminoacidi idrofobici e/o con anelli aromatici (Phe). Devono essere corti
per poter interagire col recettore dell’amaro. Inoltre all’aumentare dell’idrofobicità, diminuisce il
valore di soglia, diminuisce la concentrazione alla quale noi riusciamo a percepire il gusto amaro.
Nell’ordine gli amminoacidi che conferiscono un gusto più amaro sono
Phe(Fenilalanina)>Leu(Leucina)>Ala(Alanina). Questo fattore è da tenere in considerazione
quando facciamo degli idrolizzati proteici, noi prendiamo una frazione proteica e andiamo ad
effettuare un taglio enzimatico, una proteolisi andando a generare peptidi più corti, dobbiamo stare
attenti a non generare peptidi che non diano un gusto troppo amaro all’idrolizzato che non sarebbe
più utilizzabile negli alimenti. Questo sapore amaro dato dai corti peptidi apolari è un fenomeno
che avviene anche nei salumi, formaggi a lunga stagionatura.
Il gusto salato generato dallo ione sodio. Quando noi siamo a riposo ovvero non stiamo
mangiando un alimento salato abbiamo un piccolo afflusso di ioni sodio dall’esterno all’interno
della cellula, se noi mangiamo un alimento salato aumenta la concentrazione di ioni sodio ed
avremo un più largo afflusso di ioni sodio dall’esterno all’interno della cellula e questo ne
provocherà la depolarizzazione con trasmissione di un impulso nervoso.
La soglia di percezione è estremamente variabile, ma in genere piuttosto alta. Come per gli zuccheri,
l’evoluzione ha selezionato recettori in grado di percepire alimenti contenenti elevate quantità di
sale. Influenza dell’anione legato al sodio sul gusto salato. Alcuni anioni come il citrato e il fosfato
sono in grado di limitare la percezione del salato, così come gli acidi grassi liberi. Eclatante è il caso
dei formaggi dove c’è un’alta concentrazione di sale 1/1,5 ma non lo percepiamo perché gli ioni
fosfato delle caseine e acidi grassi liberi generati dalla lipolisi vanno a limitare questa percezione di
salato.
Il gusto salato/amaro dei sali inorganici. La percezione di un gusto amaro nei sali sembra essere
legato alla somma dei diametri ionici dell’anione e del catione (valore limite 6.5 Å).
Se la somma è inferiore a 6.5 il mio sale avrà un gusto salato come LiCl, NaCl e KCl, se la somma è
superiore a 6.5 il mio sale sarà amaro come CsCl, CsI, MgCl2.
Peptidi con un sapore salato (più intenso a pH acido) come dipeptide dell’ornidina con la taurina o
dipeptide della lisina con la taurina. Inoltre sono molto salati il pepetide dato dall’ornitina legato
alla beta alanina o ornitina con acido gamma alminobutirrico.
Umami, traduzione letterale «delizioso». Gusto legato alla carne saporita, indice dell’alta presenza
di proteine in quell’alimento. E’ il sapore dominante degli alimenti contenenti Lglutammato come il
brodo di pollo, gli estratti di carne e i formaggi stagionati (alimenti proteici).
Le molecole responsabili del gusto umami sono il glutammato di sodio, linosilato di sodio ed
guanilato di sodio. Alimenti naturalmente contenenti glutammato: Alimento Glutammato
(mg/100g) Manzo 33, Pollo 44, Mais 130, Pesce 140, Pomodoro 140, Funghi 140 e Parmigiano
Reggiano 1200.
Tabella - Contenuto (mg/100 g) di sostanze responsabili del gusto umami in diversi alimenti
L’unico alimento cha più glutammato monosidico del parmigiano reggiano è il Fuco, un’alga.
Altri alimenti dal forte gusto umami sono le sardine, tonno, succo di pomodoro, funghi shitake,
gamberi, maiale, merluzzo, salmone, latte e altri. Quando il glutammato è utilizzato come additivo
se ne utilizza in quantitativo tra 20 e 80 mg su 100g di prodotto, inferiore al naturale contenuto di
glutammato di alcuni alimenti. I dadi da brodo e il brodo granulare contengono principalmente sale,
poi glutammato, inosinato e guanilato di sodio, per esaltare il gusto umami, e infine piccole quantità
(≈2%) di estratto di brodo di carne.
Kokumi termine giapponese per indicare quelle sostanze che non sollecitano la risposta dei
recettori del gusto, ma sono in grado di esaltare il sapore salato ed umami degli alimenti
conferendo quello che viene definito pienezza, complessità, persistenza, spessore e corpo al flavor.
Le molecole che intervengono sono alliina(aglio), glutatione, isoalliina (cipolla).
Esistono interazioni tra sapori che possono attenuarsi o esaltarsi a vicenda, es. bevande tipo cola
oltre al 10% è costituita da zucchero, in un bicchiere da 330ml abbiamo 35grammi di zucchero, se
noi sciogliessimo questa quantità in un bicchiere d’acqua avremo un gusto dolce veramente
disgustoso. Nelle bevande tipo cola c’è anche l’acido orto fosforico il cui gusto è acido e va ad
attenuare il gusto dolce dato dallo zucchero. Un altro es. Prosciutto crudo contiene sale al 4.5-6.5%,
aggiunto alla coscia per la conservazione, porterebbe ad avere un gusto molto salato, d’altro canto
abbiamo anche amminoacidi liberi >5% generati dall’attività proteolitica durante la stagionatura
che darebbero un sapore molto amato. Ci sono anche molti peptidi a basso PM generati dall’attività
proteolitica durante la stagionatura, ugualmente amaro. Il risultato finale è un gusto bilanciato, ne’
eccessivamente salato, ne’ eccessivamente amaro.
Chemestesi
Su tutto il nostro corpo esistono recettori che mediano sensazioni di tipo tattile (tocco, dolore) e
termico (caldo, freddo). Questi recettori esistono anche nelle mucose, quindi anche sulla lingua. A
volte accade che questi recettori vengano attivati da molecole, questo fenomeno viene detto
chemestesi (“percezione chimica”).
Oltre ai 5 gusti fondamentali, vi sono altre sensazioni percepite nel cavo orale e definite
“chemestetiche” che sono piccante, rinfrescante e astringente. I responsi chemestetici sono dovuti
ad un’irritazione chimica del sistema nervoso che induce un senso di caldo, freddo o dolore. La
temperatura dell’alimento influenza quindi in modo marcato questa sensazione. La sensazione di
chemestesi si ha principalmente sulle labbra, sulla lingua e nella cavità nasale. Nella bocca, i
neuroni interessati sono posti in profondità, quindi la sensazione che si genera non è immediata
ma è molto persistente. I neuroni chemestetici possono mediare anche risposte tattili ad esempio
questo avviene con l’astringenza è una sensazione dovuta alla presenza di alcune molecole in grado
di interagire con le proteine salivari e indurre una sensazione di “legato” e di “asciutto” nel cavo
orale. La percezione della temperatura sulla nostra lingua (ma anche in altre parti del corpo) è
mediata da recettori che si attivano a temperature diverse, dando al nostro cervello segnali che
vengono interpretati come diversi livelli di temperatura.
Temperature: sotto i 17° freddo, fresco, tiepido, caldo, molto caldo e bollente sopra i 52°.
- Il molto caldo è il piccante. Il peperoncino (o uno shock termico) attivano le fibre nervose
collegate ad un particolare recettore nel cavo orale. L’attivazione di questo recettore manda al
cervello una sensazione che viene interpretata come eccessiva temperatura, anche se la
temperatura non è cambiata. Questa sensazione “termica” è il piccante (in inglese “hot”). La
molecola responsabile dell’attivazione del recettore è la capsaicina.
Scala di Scoville secondo cui si misura l’intensità della sensazione di piccante. Corrisponde al
numero di diluizioni dell’estratto in acqua zuccherata necessarie per annullare la percezione di
piccante.
La sensazione del piccante è data anche dalla piperina del pepeo dal gingerolo dello zenzero.
- Effetto rinfrescante è dato da molecole quali ad esempio il mentolo che genera all’interno della
bocca un forte effetto rinfrescante. In piccola parte l’effetto è dato da una diminuzione della
temperatura questo perché i cristalli di mentolo nello sciogliersi assorbono molto calore latente
di fusione. Il mentolo va a legarsi poi al recettore del fresco (TRPM8).facendogli percepire una
temperatura ancora minore. Anche alcuni alditoli (xilitolo e mannitolo) hanno lo stesso effetto.
- Astringenza è dovuta all’interazione tannini che vanno ad interagire con le proteine, le fanno
precipitare e provocano una sensazione di asciutto. Tipica di bevande come tè e vino, ricchi di
polifenoli ad alto PM. I tannini che vanno ad interagire con le proteine formando con esse legami
idrogeno sia interazioni idrofobiche, si formando degli aggregati che quando crescono troppo di
dimensione precipitano. Per diminuire la sensazione di astringenza nel tè possiamo aggiungere il
latte, le caseine competono per la precipitazione con le proteine della saliva, o aggiungere il limone
c’è un abbassamento di pH, con conseguente riduzione della ionizzazione dei polifenoli.
L’aroma, molecole responsabili dell’odore caratteristico di un alimento
L’aroma di un alimento è dato dall’interazione di numerosissime molecole con strutture chimiche
anche molto diverse tra loro. Il 3% dei nostri geni sono deputati all’espressione di recettori olfattivi,
abbiamo più di 1000 recettori e possiamo percepire più di 10,000 odori diversi.
Percezione retro nasale - ogni qualvolta noi mangiamo qualcosa, percepiamo contemporaneamente
gusto e aroma, attraverso la via retronasale. Col raffreddore si percepisce molto meno il «sapore»
degli alimenti, perché viene ostacolata la via retronasale.
Gli esseri umani in realtà non hanno un olfatto sviluppato se confrontato con altre specie.
Epitelio olfattivo umano misura 5 cm2 mentre l’epitelio olfattivo del gatto misura 25 cm2 e quello
del cane misura 150 cm2.
Le sostanze che influenzano particolarmente l’aroma di qualche alimento possono essere ridotte a
qualche decina, questi composti si chiamano “character impact compounds”: es. l’acido acido
decadedienoico ha un aroma di pera, benzaldeide tipico di mandorle amare e la possiamo trovare
anche nelle ciliegie e prugne, nerale o genariale aroma di limone, paraidrossifenilbutanone è
chiamato chetone del lampone, 1octen3olo ha un aroma tipico del fungo, lo si può trovare nei
funghi ma anche in alcuni formaggi sottoposti ad intensa fermentazione, geosmina è una molecola
che impartisce aroma di terra alle barbabietole, cisnonadienale aroma tipico di cetriolo,
idrossidimetilfuranone aroma di caramello, infine l’acetil pirrolina ha una nota di arrostito e la
troviamo appunto nella crosta del pane.
Osmoforo è il gruppo atomico capace di conferire alla molecola in cui è presente la proprietà di
provocare sensazioni odorose. Intensità di un aroma è data da due fattori, dal valore di soglia di
quella molecola, concentrazione minima di quella molecola alla quale il nostro olfatto è in grado di
percepirne l’aroma, e dalla concentrazione di quella molecola, più è concentrata più intenso sarà il
suo aroma. Minore sarà il valore di soglia, maggiore sarà il suo aroma.
Es. di valore di soglia, per percepire l’odore dell’etanolo deve essere presente in una
concentrazione di almeno 100mg/L, maltolo 35, esanolo 2.5, filbertone, metiltiolo e
paramente8tiolo hanno valori molto bassi, questo vuol dire che il nostro olfatto è in grado di
percepire queste molecole anche quando esse sono presenti in una concentrazione piccolissima,
sono potenti aromatizzanti. Le molecole di solito che contengono lo zolfo come il metiltiolo o il
mententiolo tendono ad avere valori di soglia molto bassi.
L’Aroma Value è un parametro per definire l’aroma di un alimento, quindi è importante non solo la
concentrazione di una sostanza odorante nell’alimento stesso ma anche il suo valore di soglia,
quest’ultimo varia infatti a seconda della miscela di sostanza in cui il nostro aroma è disciolto.
Dunque quantifica il «potere aromatizzante» di una molecola:
A=C/a
A = aroma value
C = concentrazione nell’alimento
a = valore di soglia nell’alimento
Es. Nel concentrato di pomodoro ci sono più di 400 molecole che hanno una potenzialità aromatica
ma in realtà quelle che davvero contribuiscono all’aroma sono5/6, il dimetilsolfuro è presente in
2000C mg/kg ed ha un valore di soglia di 0.3 mg/kg, il valore A è di 6700.
Non sempre c’è una correlazione tra struttura chimica di un alimento ed il suo aroma, possiamo
avere molecole con una struttura chimica completamente diversa ma con aromi identici, ad es. le
molecole in slide9 hanno un aroma di muschio però la loro struttura chimica è differente, al
contrario possiamo avere molecole molto simili con odori diversi.
La chiralità per l’aroma è molto importante, ovvero la conformazione dei centri stereogenici,
conformazione spaziale della molecola, questo perché c’è un’interazione con un recettore
tridimensionale. Es. la molecola del limonene ha un centro chirale che è un atomo di C legato a 4
sostituenti diversi, se questo C è in configurazione R la molecola avrà un aroma di agrumi arancio-
limone, se in configurazione S avrà un aroma di acquaragia. Questo pone il problema dei processi di
trasformazione degli alimenti e dei trattamenti tecnologici. Se ho un succo di agrumi in cui è
presente R-limonene ed infatti ha un aroma di agrumi, se lo sottopongo ad un intenso trattamento
termico o ad un processo tecnologico che va a causare la racemizzazione di questo centro chirale
passerò dalla sola presenza dell’isomero R alla presenza di una miscela R più S, quindi l’aroma sarà
misto ed il prodotto sarebbe inaccettabile per il consumatore.
Altro es. L-carvone ha aroma di menta e D-carvone di cumino.
I terpeni classe di molecole importanti per l’aroma degli agrumi in cui la chiralità è fondamentale
per determinarne la nota aromatica, ad es. l’alfapinene ha due centri chirali se questi sono in
configurazione R la molecola avrà un aroma conifera, se questi due sono in configurazione S la
molecola avrà aroma di menta, es. linalolo in R legnoso, in S floreale infine alfaterpinerolo in R
floreale, in S catrame.
1 - Composti solforati sono aromi provenienti da vegetali del genere Allium (cipolla, aglio,
scalogno). Nella cipolla abbiamo la 1-propenil-L-cisteina solfossido che subisce l’azione
dell’allinasi decomponendola ad una molecola più piccola l’acido propenil-sulfenico che a sua volta
va incontro ad una degradazione, scaldando l’alimento, che porta alla formazione di composti a
basso pm
solforati responsabili del tipico aroma di cipolla cotta. Dall’acido propenil-sulfenico deriva una
molecola che è il tiopropanale-S-ossido che causa la lacrimazione degli occhi quando affettiamo la
cipolla. Nell’aglio 2-propenil-L-cisteina solfossido che subisce l’azione dell’allinasi decomponendola
ad una molecola più piccola e si trasforma in allicina.
- Per la famiglia delle Crucifere sono importanti gli aromi che derivano dai glucosinolati. Abbiamo 3
tipologie di senape Sinapis alba (senape bianca), Brassica nigra (senape nera) e Brassica juncea
(senape indiana). L’enzima tirosinasi o glucosinolasi va a rimuovere il residuo di glucosio dall’allil
glucosinolato rilasciando una molecola sulforata che a sua volta si decompone in molecole più
piccole come l’Allil tiocianato, Allil isotiocianato ed Allil nitrile. Quest’ultime sono responsabili
dell’aroma e del gusto piccante di senape e mostarda.
- Rafano e ravanello (Raphus sativus) appartengono alla famiglia delle Brassicaceae, dalla
degradazione dei glucosinolati. L’enzima glucosinolasi o mirosinasi va a rimuovere il residuo di
glucosio dall’allil glucosinolato rilasciando una molecola sulforata che a sua volta si decompone in
4-metiltio-trans-3-butenil-isotiocianato che è responsabile dell’aroma e del sapore piccante di
rafano e ravanello.
- Aromi volatili solforati da funghi Shiitake (Lentinula edodes). Il fungo commestibile
principalmente consumato in Giappone e in Oriente. E’ particolarmente profumato il fungo
essiccato per il contenuto molto elevato di lentionina e analoghi, molecole cicliche con atomi di
zolfo e si formano per azione di diversi enzimi tra cui la gamma-glutamil trans peptidasi e la
cisteina solfossido liasi
2 – Aromi che derivano dall’ossidazione enzimatica dei lipidi: lipossigenasi (tipo I e II).
L’ossidazione per i lipidi è sempre un fenomeno negativo che porta a fenomeni di rancidità, ci sono
casi però in cui la degradazione enzimatica dei lipidi quando avviene naturalmente nella pianta o
nel frutto porta alla formazione di composti importanti per la nota aromatica di quella pianta o
frutto. La reazione è regolata da enzimi e la quantità delle sostanze che si formano è limitata.
Dall’ossidazione dei lipidi polinsaturi di soia e pomodoro derivano degli idroperossidi che a loro
volta vanno a decomporsi in aldeidi, chetoni ed alcoli a basso pm, importanti per il loro aroma.
- Anche per gli aroma dei funghi, oltre ai composti solforati visti precedentemente, sono
importanti i composti che derivano da degradazione enzimatica dell’acido linoleico, gli enzimi
coinvolti sono lipossigenasi e liasi, catalizzano la degradazione a molecole più piccole come
l’esanale, odore di cetriolo, 3-cis-esenale e 3-cis-6-cisnonadienale, odore di foglia verde, ed 1-
otten-3(R)-olo, odore di funghi.
- Importanti per il pomodoro i composti che derivano dalla degradazione enzimatica dei lipidi,
partendo dall’acido linoleico l’enzima lipossigenasi va ad inserire un idroperossido in posizione 13,
questo va incontro all’azione dell’enzima liasi che lo decompone in cis3esenale. Partendo invece
dall’acido linoleico l’enzima lipossigenasi va ad inserire un idroperossido in posizione 13, questo
va incontro all’azione dell’enzima liasi che lo decompone in esanale. I due prodotti sono degli
aldeidi
importanti per l’aroma del pomodoro.
- Importanti per il cetriolo i composti che derivano dalla degradazione enzimatica dei lipidi,
partendo dall’acido linoleico l’enzima lipossigenasi va ad inserire un idroperossido in posizione
9o13, questo va incontro all’azione dell’enzima liasi che lo decompone in nonadienale o esenale. A
loro volta queste aldeidi possono isomerizzare per spostamento dei doppi legami ad aldeidi
analoghe. Inoltre le aldeidi possono subire una riduzione nei rispettivi alcoli (il passaggio da
aldeidi al alcoli si chiama riduzione).
- Dalla degradazione enzimatica dei lipidi possiamo ottenere anche degli esteri importanti per
l’aroma delle mele e pere. Dall’acido linoleico per azione l’enzima lipossigenasi e liasi possiamo
ottenere aldeidi a corta catena come l’esenale. Gli aldeidi possono essere ridotte nei rispettivi
alcoli.
Gli alcoli possono reagire a loro volta con acidi carbossilici per formare degli esteri, importanti per
l’aroma della frutta. Gli acidi carbossilici possono formarsi anch’essi dagli acidi grassi, es. dall’acido
linoleico per beta ossidazione si può formare l’acido esanoico che a sua volta può essere
decomposto ad acidi a più corta catena come l’acido pentanoico e butanoico. Questi acidi
carbossilici andranno a reagire con gli alcoli per formare gli esteri.
- I lattoni sono una classe particolare di esteri ciclici anch’essi contribuiscono all’aroma di diversi
alimenti, ad es. il 4-Nonanolide ha un aroma grasso di olio di cocco ed è presente in alimenti ricchi
in lipidi e nelle pesche, 4-Decanolide ha un aroma fruttato e di pesca ed è presente in pesche,
albicocche, mango e fragole, 5-Decanolide ha un aroma oleoso e di pesca ed è presente nel latte, Z-
6-Dodecen-gamma-lattone ha un aroma dolce e si trova in latte e pesche, infine 3-Metil-4-ottanolide
(lattone del whisky) ha un aroma di noce di cocco ed è presente nelle bevande alcoliche.
4 – Composti aromatici che derivano dalla degradazione enzimatica o termica della lignina sono
acidi ed esteri fenolici, quest’ultimi derivano dalla via biosintetica dell'acido scikimico che è quella
che produce anche gli amminoacidi aromatici tirosina, fenilalanina ed acido cinnamico. I
principali
acidi fenolici sono l’acido para-Cumarico, l’acido caffeico, l’acido ferulico, l’acido 5-idrossiferulico e
l’acido sinapico. La pianta produce questi acidi fenolici utili come mattoncini e precursori della
biosintesi della lignina ma possono essere convertiti anche in molecole importanti per l’aroma dei
prodotti come 3,4-dimetossitoluene, eugenilmetil, etere eugenolo, elimicina e 5-metossieugenolo.
Possiamo ritrovare acidi fenolici in alimenti che hanno subito una degradazione termica o
enzimatica della lignina. Il p-Cresolo ha un aroma di affumicato si trova nel caffé, sherry, latte,
arachidi tostate, asparagi, 4-Etilfenolo ha un aroma legnoso e si trova nel latte, salsa di soia,
arachidi tostate, pomodori e caffè, il Guaiacolo ha un aroma affumicato, piccante e dolce e si trova
nel latte, caffé, cracker e carne fritta, il 4-Vinilfenolo ha un aroma forte ed affumicato e lo troviamo
nella birra, latte e arachidi tostate, il 2-Metossi4-vinilfenolo ha un aroma di chiodi di garofano e si
trova nel caffé, birra, mele cotte ed asparagi, l’ Eugenolo speziato nella salsa di pomodoro, brandy,
prugne e ciliegie, infine la Vanillina aroma di vaniglia si trova nella vaniglia, rum, caffé, asparagi
cotti e burro.
Spezie derivano da altri tessuti come semi (noce moscata), boccioli (chiodi di garofano), radici
(zenzero), corteccia (cannella).
- Cannella, Cinnamomum zeylanicum (Lauraceae). ‘La spezia delle spezie' Circa 200 specie di
cannella si trovano nel Sud Est Asiatico e nelle isole del Pacifico. Tutte le parti della pianta sono
straordinariamente fragranti. La cannella che noi conosciamo è la corteccia essiccata del cespuglio
dallo Sri Lanka. Il componente principale dell’aroma è l’aldeide 3-fenil-2(E)propenale, chiamata
cinnamaldeide (circa 60 % dell’olio essenziale). Tuttavia, nelle foglie è presente principalmente
eugenolo, nelle radici la canfora, mentre nei fiori il cinnamil acetato.
- Pepe, Piper nigrum (Piperaceae). Pianta tropicale originaria dell’India meridionale e diffusa in
tutto il Sud-Est Asiatico. I piccoli frutti sono verdi, tendono poi al rosso e infine al nero. Quando i
frutti vengono raccolti a metà maturazione ed essiccati si ottiene il pepe nero. Quando si raccolgono
a piena maturazione e vengono privati della pelle prima dell’essicazione si ottiene il pepe bianco. I
frutti immaturi verdi possono essere conservati sotto sale o aceto. I semi del pepe contengono
aromi e un componente non volatile, la piperina, responsabile della loro piccantezza. L’aroma è
tipicamente correlato alla presenza di monoterpeni ciclici tra i quali il 3carene è il principale
componente (ca. 35 %).
Formazione di composti aromatici secondari ovvero aromi che derivano dalla trasformazione e
produzione degli alimenti, ad es. il burro è ottenuto per fermentazione dalla panna, in questo
processo di fermentazione i streptococci, batteri, vanno a trasformare l’acido citrico in composti a
basso pm come il diacetile e acetoino e butandiolo dal citrato che hanno un forte odore di burro
caratterizzando l’alimento. Tutte queste reazioni sono sempre mediate da enzimi.
Aromi da degradazione enzimatica degli acidi grassi insaturi sono molto importanti per gli alimenti,
allo stesso modo anche i carotenoidi possono andare incontro a degradazione ossidativa con
formazione di molecole aromatiche es. tespirani, beta-iononi e beta-damascenoni.
Ad es. dal licopene si può formare 6-Metil-5-epten-2-one o lo Pseudo ionone i quali denotano le
caratteristiche del pomodoro, dal Deidrolicopene si può formare 6-Metil-3,5-eptadien-2-one
presente nel pomodoro, dall’alfa-carotene si può formare l’alfa-Ionone presente nel lampone, tè
nero, carote e vaniglia, dal beta-Carotene si può formare il beta-Ciclocitrale ed il beta-Ionone
presenti nel pomodoro, lampone, tè nero, ribes nero e frutto della passione, infine dalla neoxantina
si può formare beta-Damascenone e 1,2-Diidro-1,1,6-trimetilnaftalene presenti nel pomodoro,
caffè, tè nero, vino, birra, miele, mele, pesche e fragole.
Sistemi olfattivi e gustativi artificiali come nasi elettronici, in questi dispositivi i recettori naturali,
proteine, vengono sostituiti da recettori artificiali ovvero da sensori, molecole organiche o
inorganiche in grado di interagire con le molecole volatili responsabili dell’aroma generando un
segnale elettrico. Ad es. il naso elettronico si può utilizzare per canalizzare il profilo aromatico
dell’olio extravergine di oliva e dopo opportune analisi possiamo capire la provenienza geografica
dell’olio.
Additivi alimentari
Utilizzo disciplinato dal Reg. CE 1333/08, Reg. CE 1331/08
Per “additivo alimentare” si intende qualsiasi sostanza normalmente non consumata come
alimento, in quanto tale, e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente
dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un
fine tecnologico, nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio,
trasporto, o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi,
essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente.
La definizione di additivo esclude: – a) agli ausiliari di fabbricazione; – b) alle sostanze per la
protezione di piante e prodotti vegetali conformemente alla normativa comunitaria in materia
fitosanitaria; – c) agli aromi da impiegare nei prodotti alimentari compresi nel campo delle
direttive 88/388/CEE e 91/71/CEE; – d) alle sostanze aggiunte ai prodotti alimentari in quanto
nutritive (ad esempio, minerali, oligominerali, vitamine).
Quadro normativo dell’UE prevede che prima di poter aggiungere un additivo alimentare ad un
alimento questo debba esser stato autorizzato. Il rilascio di tale autorizzazione da parte dei
responsabili della gestione del rischio si basa sulle valutazioni della sicurezza degli additivi stessi
da parte dell’EFSA.
La legislazione europea consta di una direttiva quadro (89/107/CEE) relativa agli additivi in
generale e tre direttive specifiche sui coloranti (del 94/36/CE), sugli edulcoranti (94/35/CE) e su
altri additivi alimentari (95/2/CE), che riportano un elenco degli additivi consentiti e le relative
condizioni di impiego. Tutti gli additivi autorizzati devono conformarsi ai requisiti di purezza
approvati, stabiliti in tre altre direttive.
Nel dicembre 2008 è stato adottato un nuovo pacchetto normativo sui “Miglioratori alimentari” che,
comprende, tra l’altro, regolamenti relativi a: – additivi alimentari (regolamento 1333/2008); –
una comune procedura di autorizzazione per additivi, enzimi e aromi (regolamento 1331/2008)
Gli additivi alimentari sono sostanze deliberatamente aggiunte ai prodotti alimentari per svolgere
determinate funzioni tecnologiche, ad esempio per colorare, dolcificare o conservare.
Tutti gli additivi alimentari sono identificati da un numero preceduto dalla lettera E.
Gli additivi alimentari vengono sempre menzionati nell’elenco di ingredienti degli alimenti in cui
essi sono presenti. Alcuni degli additivi che si trovano più spesso sulle etichette degli alimenti sono
gli antiossidanti (per prevenire il deterioramento da ossidazione, rancimento), i coloranti, gli
emulsionanti, gli stabilizzanti, i gelificanti, gli addensanti, gli esaltatori di sapidità, i conservanti e gli
edulcoranti. In Europa, ogni volta che gli additivi alimentari vengono impiegati negli alimenti,
l’etichetta della confezione deve riportarne sia la funzione nel cibo finito (ad es. colorante,
conservante, etc.) sia la sostanza specifica usata, utilizzando il riferimento E seguito da un numero
(per esempio E415) oppure la denominazione ufficiale.
Il legislatore deve: – Evitare frodi alimentari; – Proteggere la salute del consumatore; – Facilitare il
commercio internazionale degli alimenti. Anno 1956 nasce il comitato JEFCA (Joint expert
committee on food additives), comitato misto FAO/OMS di esperti sugli additivi alimentari che ha il
compito di fornire agli organismi nazionali (incaricati della regolamentazione sugli alimenti e sulla
salute pubblica), all’industria alimentare ed agli stessi consumatori le necessarie raccomandazioni
per produrre o consumare un alimento completo ed igienicamente sano.
2002 EFSA (European Food Safety Authority) effettua opportuni studi di tossicità ed ha stilato una
lista positiva, elenco degli additivi alimentari che possono essere utilizzati negli alimenti.
Classificazione funzionale, in base alla funzione che essi svolgono, complicata perché cambiano le
categorie a seconda dell’alimento che prendiamo in considerazione, in Italia (Tecnoalimenti) sono
previste 50 categorie, ILSI prevede 123 classi funzionali, Codex Alimentarius 23 e JEFCA 91.
Classificazione numerica INS: International Numbering System o EU: Unione Europea
INS e EU coincidono di solito
Acido citrico è un antiossidante INS 330 e EU E330
Acido sorbico è un conservante INS 200 e EU E200
Azorubina è un colorante INS 122 e EU E122
Lecitina è un emulsionante INS 322 e EU E322
Metilcellulosa è un addensante INS 461 e EU E461
Sorbitolo è un umettante INS 420 e EU E420
Caratteristiche comuni degli additivi alimentari: Vengono aggiunti intenzionalmente agli alimenti.
Vengono aggiunti per un preciso scopo tecnologico. Devono essere sicuri. E’ necessario valutare in
modo equilibrato rischi/benefici. Ranking del rischio percepito e reale.
Ranking del rischio percepito e reale: Molti hanno un opinione (o più opinioni…): i media, i
consumatori, coloro che credono che loro stessi o i loro figli abbiano avuto una qualche reazione
avversa agli additivi, i medici, gli scienziati, i gruppi ambientalisti.
Ranking percepito: Additivi e residui di pesticidi, Contaminanti ambientali (es. diossine), Tossine
naturali comprese le tossine fungine, Migrazione chimica dal packaging e Residui di farmaci
veterinari.
Ranking reale dedotto da studi scientifici: Tossine da piante superiori, Tossine fungine
(micotossine), Tossine marine (ficotossine), Contaminanti ambientali (es. diossine), Migrazione
chimica dal packaging, Residui di pesticidi, Residui di farmaci veterinari e Additivi alimentari.
I consumatori hanno spesso una visione paradossale degli additivi alimentari e preferiscono gli
alimenti “naturali” senza conservanti né additivi. Gli stessi consumatori dichiarano di preferire
alimenti nutrienti, che mantengono la freschezza e pronti all’uso, esattamente quegli alimenti che
più di altri facilmente contengono additivi nutrizionali o antiossidanti.
Sebbene gli additivi alimentari siano stati considerati come la causa di una varietà di patologie,
incluse le crisi epilettiche, i tumori al cervello e anche i comportamenti criminali, solo pochi dei
2800 additivi attualmente permessi negli USA sono stati in alcuni casi associati direttamente ad un
effetto avverso. Esiste un vasto corpo di dati scientifici che indicano come l’esposizione ai principali
additivi alimentari, ai livelli tipicamente ritrovati negli alimenti, non pone rischi per la popolazione.
Additivi alimentari: conservanti, inibiscono o rallentano reazioni chimiche, enzimatiche o
microbiche che portano alla degradazione dell’alimento
Conservanti:
- Acido acetico (E 260) e suoi sali (E 261-263) es. Aceto è un conservante utilizzato da secoli. E’
attivo principalmente verso i lieviti e i batteri, un po’ nei confronti delle muffe. Utilizzato per
ketchup, maionese, vegetali sotto aceto, marinati, pane e altri prodotti da forno.
- Acido propionico (E 280) e suoi sali (E 281-283) è presente naturalmente negli alimenti a
fermentazione propionica, formaggi come Emmental, ne contiene l’1%. Attivo principalmente verso
le muffe, nessun effetto sui lieviti (fino a pH = 5). Utilizzato nei prodotti da forno, nelle farine (0.1-
0.2%) e nella produzione di formaggi (immersione in soluzione all’8%).
- CO2 (E 290) è frequentemente aggiunta in bevande gassate, vino ed acqua.
- Nitrati di sodio e potassio NaNO3 (E 251) e KNO3 (E 252) (300 ppb)
- Nitriti di sodio e potassio NaNO2 (E 250) e KNO2 (E 249) (150 ppb). Vengono utilizzati per
stabilizzare il colore rosso delle carni, vanno a formare la nitroso mioglobina, e per regolare l’aroma
e per gli effetti antimicrobici, in particolare vengono aggiunti per inibire il Clostridium botulinum.
Antibiotici:
- Netamicina (E 235) è attiva contro lieviti e muffe. Utilizzata in un trattamento superficiale
dei formaggi (5-100 ppm), per impedire lo sviluppo microbico sulla crosta dei formaggi. ADI:
0.3 mg/kg B.W.
- Nisina (E 234) ha una struttura molto complicata ed è prodotto spontaneamente da alcuni ceppi
di Lactococcus lactis. Utilizzata come additivo antibiotico per formaggi, latte condensato e latte in
polvere.
Gli antiossidanti possono agire sugli alimenti a diversi livelli, es. possono agire sulla composizione
lipidica, o all’interfaccia, o inattivare pro-ossidanti, radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno, o
avere un’azione scavenging di radicali liberi sui radicali perossilici, o favorire la decomposizione dei
perossidi in composti stabili, o avere un ruolo di cattura di quenching delle aldeidi ovvero dei
prodotti secondari dell’ossidazione lipidica.
Quando aggiungiamo gli antiossidanti dobbiamo anche pensare ad un loro possibile effetto
sinergico, es. tra BHA e BHT. Quando abbiamo un radicale perossilico che reagisce con BHA si forma
il radicale del BHA che è abbastanza stabile, stabilizzato per risonanza, e sua volta va a reagire con il
BHT, tornando una molecola non radicalica e generando il radicale del BHT. A sua volta il radicale
del BHT può reagire con un radicale perossilico per formare una specie stabile non radicalica.
Esempi di sinergisti: Acido citrico (E 330) e sali (E 331-333), Acido tartarico (E 334) e suoi sali (E
335- E 337), H3PO4 (E 338) e suoi sali (E 339- E 341), Polifosfati (E 450- E 452) (ADI: 70 mg/kg
B.W.) e sostanze che hanno un’azione di chelazione (complessazione) degli ioni metallici, ovvero i
metal binders.
Additivi alimentari ad azione fisica
Gli additivi alimentari ad azione fisica sono gli stabilizzanti, addensanti e gelificanti.
- Pectina (E 440) marmellate e gelatine di frutta, budini e dessert a base di latte
- Acido alginico (E 400) e suoi sali (E 401-404) budini, formaggi, gelati, maionese, panna
- Agar-agar (E 406) budini, baccalà, gelati, frutta candita, confetture, mostarde di frutta,
prodotti dolciari da forno, confetteria, caramelle, carne in scatola
- Gomma arabica (E 406): gelati, marmellate, panna.
- Carragenine (E 407): crema per pasticceria, gelati, formaggi, marmellate.
- Farina di semi di carrube (E 410): marmellate, gelati, panna, carne in scatola.
- Farina di semi di guar (E 412): caramelle, confetti, crema per pasticceria.
- Cellulosa (E 460) e derivati (E 461- E 465): budini, creme, prodotti dolciari.
- Polifosfati Na e K (E 450): in particolare formaggi fusi.
- Gomma xantano, prodotta dal batterio Xanthomonas campestris, parassita dei cavoli, che la
utilizza per incapsularsi per proteggersi dalla disidratazione e dalle avversità ambientali e per
fare aderire le proprie cellule alle foglie dei suoi ospiti di elezione, i cavoli. Industrialmente viene
prodotta in processi di fermentazione su larga scala.
Costituita da 10.000 a 250.000 unità di glucosio, ogni due residui di glucosio è presente una
ramificazione. In concentrazione compresa tra 0.1-0.3 % negli alimenti conferisce proprietà si
shear thinning o tixotropiche ovvero quando l’alimento è a riposo ha una consistenza molto elevata,
però basta mescolare quell’alimento per conferirgli una consistenza più fluida. Es. del ketchup che
quando lo versiamo dal barattolo ha una consistenza molto liquida e la sua consistenza invece
appare più solida, consistente quando è sulle patatine. Applicazione tipica infatti è quella nei
condimenti, salse e ketchup.
Agenti umettanti, sono additivi che mantengono idratato il prodotto, non permettendone
l’essicazione, mantenendo nel tempo la morbidezza. Inibiscono la cristallizzazione degli zuccheri in
soluzioni acquose. Consentono una più veloce reidratazione degli alimenti disidratati (verdura,
frutta). Esempi di agenti umettanti sono molecole che sono in grado di legare molto bene l’acqua, i
polioli sono molecole molto idrofile come 1,2-propandiolo, glicerolo, mannitolo e sorbitolo.
Antiagglomeranti sono additivi che vengono aggiunti alle polveri per impedire la formazione di
grumi, blocchi. Impiegati nel sale da cucina, nella verdura e frutta disidratata, nelle zuppe e salse in
polvere e nel lievito in polvere. Esempi agenti antiagglomeranti sono i silicati di calcio e magnesio,
Ca3(PO4)2 (fosfato di calcio) e MgCO3 (carbonato di magnesio).
Altri additivi:
- Agenti di rivestimento che vanno a ricoprire il prodotto alimentare proteggendolo , es. cera d’api
(E 901), cera di candelilla (E 902), cera carnauba (E 903) e gommalacca (E 904)
- Antiagglomeranti es. SiO2 idrata (E 551) e CaCO3 (E 334)
- Agenti lievitanti, polveri lievitanti, che vanno a produrre gas, aumentando il volume del prodotto,
es. acido citrico, tartarico, tartrato monopotassico, pirofosfato disodico, sodio e ammonio
bicarbonato (E 501- E 503)
- Antischiumogeni, impediscono la formazione di schiume es. dimetilpolisilossano (E 900)
- Sali di fusione, utilizzati per i formaggi fusi, es. citrati e polifosfati di sodio e potassio
- Agenti di trattamento delle farine es. acido ascorbico viene utilizzato per modulare la formazione
del reticolo glutinico formando da gliadine e glutenine.
Gli edulcoranti sono molecole che conferiscono un sapore dolce all’alimento senza tuttavia
aumentarne il contenuto calorico. Tra gli edulcoranti possiamo distinguere edulcoranti
- naturali o natural-derivati come la neoesperidina diidrocalcone (E 959), sorbitolo (E 420)
(assorbiti in minor percentuale, idrogenazione catalitica), xilitolo (E 967), mannitolo (E 421),
maltitolo (E 965), lactitolo (E 966), isomalto (E 953) e taumatina (E 957).
- sintetici come la saccarina (E 954), acido ciclammico e derivati (E 952), acesulfame K (E 950)e
l’spartame (E 951).
Esaltatori di sapidità, visti con il gusto umami, uno dei più famosi è il glutammato monosodico o
GMS (E 621), Prodotto per via chimica fino agli anni ’50, dagli anni ‘60 viene prodotto per via
biotecnologica, grazie alla fermentazione del batterio Corynebacterium glutammicum, questo
batterio utilizza diversi substrati per la sua crescita come il glucosio, saccarosio, melassi ed amido,
come fonti di carbonio, e sali di ammonio o ammoniaca, come fonti di azoto, producendo una
grande quantità di GMS.
Aromatizzanti, il cui utilizzo viene disciplinato dal Reg. CE 1334/2008. Gli aromi sono prodotti non
destinati ad essere consumati nella loro forma originale, che sono aggiunti agli alimenti al fine di
conferire o modificare un aroma e/o un sapore. Fabbricati con sostanze aromatizzanti,
preparazioni aromatiche, aromi ottenuti per trattamento termico, aromatizzanti di affumicatura,
precursori degli aromi o altri aromi o miscele di aromi.
La sostanza aromatizzante è una sostanza chimica definita con proprietà aromatizzanti. La sostanza
aromatizzante naturale è la sostanza aromatizzante ottenuta mediante appropriati procedimenti
fisici, enzimatici o microbiologici da un materiale di origine vegetale, animale o microbico che si
trova allo stato grezzo o che è stato trasformato per il consumo umano mediante uno o più
procedimenti tradizionali di preparazione degli alimenti (elencati in un allegato del regolamento).
Per preparazione aromatica si intende un prodotto, diverso dalle sostanze aromatizzanti, ottenuto
da alimenti mediante appropriati procedimenti fisici, enzimatici o microbiologici che si trovano allo
stato grezzo del materiale o che sono stati trasformati per il consumo umano mediante uno o più
procedimenti tradizionali. Per preparazione aromatica si intende anche un materiale di origine
vegetale, animale o microbiologico, diverso dagli alimenti, mediante appropriati procedimenti fisici,
enzimatici o microbiologici, impiegato in forma originale o preparato mediante uno o più
procedimenti tradizionali.
L’aroma ottenuto per trattamento termico è un prodotto ottenuto previo trattamento termico da
una miscela di ingredienti che non hanno necessariamente di per sé proprietà aromatizzanti, di cui
almeno uno contiene azoto (gruppo amminico) e un altro è uno zucchero riduttore (Reazione di
Maillard). Per aromatizzante di affumicatura si intende un prodotto ottenuto mediante il
frazionamento e la purificazione di un fumo condensato che produca condensati di fumo primari,
frazioni di catrame primarie e/o aromatizzanti di affumicatura derivati.
Coadiuvanti tecnologici, secondo il Reg. 1333/2008 il coadiuvante tecnologico è una sostanza che
i) non è consumata come un alimento in sé; ii) è intenzionalmente utilizzata nella trasformazione
di materie prime, alimenti o loro ingredienti, per esercitare una determinata funzione tecnologica
nella lavorazione o nella trasformazione dell’alimento; iii) può dar luogo alla presenza, non
intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto
finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute del consumatore e
non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito. Es. Solventi (DLgs 64/93) come l’acetato di etile
per l’estrazione della caffeina, esano per gli oli di semi. Chiarificanti per la chiarificazione dei vini
come la gelatina, bentoniti, silice colloidale (vini). Demetallizzanti come ferrocianuro di potassio
(vini bianchi). Decoloranti come le terre attive e il carbone utilizzati per decolorare alcuni olii.
Agenti di distacco per prodotti da forno (siliconi, oli minerali). Lubrificanti per macchinari e
impianti. Coadiuvanti di filtrazione (cellulosa, farine fossili). Detergenti e disinfettanti per la pulizia
dell’impianto (ipoclorito, H2O2, ecc.).
Agenti sbiancanti, conferiscono un colore più bianco alle farine andando ad ossidare i carotenoidi,
pigmenti di colore giallo ed arancione che possono andare a conferire alla farina un colore
giallognolo, se andiamo a degradare i carotenoidi la farina avrà un aspetto più bianco e più gradito.
Esempi sono il Cl2 (E925) (Cloro), ClO2 (E926) (Biossido di cloro).
Agenti chiarificanti sono applicati per la chiarificazione di succhi di frutta, birra e vino che possono
intorbidirsi e andare incontro a fenomeni di sedimentazione che coinvolgono composti fenolici,
pectine e proteine. Se si va a degradare enzimaticamente pectine e proteine o a rimuovere i
componenti fenolici con gelatina o poliammidi o polivinil pirrolidone in polvere, otteniamo un
effetto di chiarificazione. Le proteine possono essere rimosse mediante coprecipitazione con
bentonite (silicato di alluminio) o tannini.
Enzimi impiegati nelle trasformazione e produzione degli alimenti, impiegati in quasi tutti i settori,
produzione di bevande alcoliche, panificazione, acidificazione del latte, caseificazione, maturazione
di formaggi e insaccati, frollatura delle carni. Utilizzati nelle fermentazioni, nelle fonti proteiche
(SCP, single cell protein), nella produzione di sostanze come macromolecole, metaboliti primari
(amminoacidi, vitamine), metaboliti secondari (antibiotici).
Es. Proteasi: chimosina o rennina per la produzione dei formaggi, subtilisina.
Glicosidasi: β-galattosidasi per latte delattosato, per scindere il lattosio, amilasi, pectinasi.
Esterasi: lipasi (interesterificazione).
I processi enzimatici utilizzati per la produzione di idrolizzati d’amido che lo vanno a scindere in
glucosio, maltosio, destrine (amilasi), idrolizzati proteici per l’esaltazione dell’aroma, arricchimento
di alimenti dietetici. Zucchero invertito da saccarosio (invertasi). Isoglucosio e fruttosio da glucosio
(glucosio isomerasi).
Modifiche che possiamo ottenere attraverso processi enzimatici:
– Coagulazione del latte (ad opera dell’enzima rennina) – Intenerimento delle carni (papaina,
bromelaina, catepsine) – Chiarificazione di succhi, vini, sidri (pectinasi) – Stabilizzazione birra e
vino (papaina, proteasi acida da funghi) – Decolorazione succhi di agrumi (antocianasi che vanno a
degradare gli antociani) – Deamarizzazione succhi di pompelmo e arancia (naringinasi) –
Interesterificazione dei grassi (lipasi) – Produzione latte delattosato (lattasi).
Miglioramenti dei prodotti ottenuti tramite processi enzimatici: rese di estrazione di succhi di
frutta (pectinasi, emicellulasi, cellulasi degradano la parete cellulare dei vegetali favorendo
l’estrazione del succo), rese di filtrazione di succhi, vini, mosti di birra, birra (pectinasi, destranasi,
glucanasi, amilasi, proteasi), accelerazione della maturazione dei formaggi (enzimi estratti da
fermenti lattici), eliminazione dell’odore di cotto dal latte UHT (sulfidrilossidasi), altri usi sono i
controlli analitici, biosensori, dosaggi.
Le vitamine, tutti quei composti la cui funzione è quella di rendere possibili alcuni processi
(reazioni) essenziali per la vita stessa. Le vitamine sono molecole organiche a basso peso
molecolare necessarie all’organismo umano per lo svolgimento di processi metabolici, è necessario
introdurle con l’alimentazione anche in piccole quantità. Sono composti essenziali perché non
sintetizzate, dunque devono essere introdotte con la dieta.
Si possono classificare in base alla loro solubilità:
- Idrosolubili con caratteristiche polari, vitamina C e vitamine gruppo B, sono cofattori di enzimi
deputati a deidrogenazione, deaminazione, ecc.
- Vitamina B1 Tiamina
- Vitamina B2 Riboflavina
- Vitamina B3 Acido nicotinico – nicotinammide
- Vitamina B5 Acido D-pantotenico
- Vitamina B6 Piridossina - piridossale – piridossammina – acido piridossico
- Vitamina B8 Biotina
- Vitamina B9 Acido folico
- Vitamina B12 Cianocobalamina
- Vitamina C Acido ascorbico
Vitamine liposolubili:
Vitamina A
La Vitamina A o retinolo nei vegetali non è presente la vitamina A come tale ma sono presenti i suoi
precursori, i carotenoidi, è presente come retinolo solo negli alimenti di origine animale,
e di solito è presente principalmente come estere dell’acido palmitico che ne aumenta ancora di più
la solubilità nei grassi. Guardando la struttura del retinolo, un alcool, vediamo l’anello del β-ionone
che è fondamentale per l’attività vitaminica, a cui è legata una coda lifatica.
Questo alcool può formare un legame estere con il gruppo carbossilico dell’acido palmitico a
formare l’estere palmitico del retinolo, che è ancora più apolare rispetto al retinolo.
L’estere è idrolizzato durante la digestione nel tratto gastrointestinale ed il retinolo è assorbito.
La vitamina A partecipa al meccanismo del ciclo visivo come retinale, che non è altro che il retinolo
il cui gruppo alcolico è stato ossidato a gruppo aldeidico.
I pigmenti della visione, il retinale, sono identici al retinolo ma con il gruppo alcolico ossidato a
gruppo aldeidico. Infatti i principali sintomi da carenza di Vit A sono problemi alla vista
(soprattutto crepuscolare alla quale sono deputati i bastoncelli), maggiore predisposizione alle
infezioni (specialmente polmonari).
Provitamina A – i carotenoidi
I carotenoidi sono i precursori della Vitamina A ed anch’essi sono degradati da luce e ossigeno
atmosferico, perché queste molecole tendono ad ossidarsi con isomerizzazione dei doppi legami.
Hanno attività antiossidante e sono i pigmenti coloranti di molti frutti e ortaggi. Non hanno la stessa
efficienza vitaminica rispetto al retinolo, per avere la stessa equivalenza di 1 μg (microgrammo) di
retinolo sono necessari 6 μg di βcarotene o 12 μg degli altri carotenoidi.
La vitamina A si trova solo negli alimenti di origine animale, le principali fonti sono l’olio di fegato
di merluzzo e altri pesci, fegato di mammiferi es. bovino e suino, latte, burro, formaggi e uova.
Sono tutti alimenti abbastanza grassi, non a caso è una vitamina liposolubile.
I carotenoidi (α-, β-, γ-carotene, criptoxantina) si trovano nelle verdure a foglia, carote, albicocche e
burro. La dose giornaliera raccomandata RDA: 1.5-1.8 mg/die, di cui il 75% come retinolo e il 25%
come carotenoidi.
Vitamina D
Per Vitamina D si intendono quei composti di origine steroidea che possiedono la stessa attività
biologica del colecalciferolo (vitamina D3). I sintomi da carenza di Vitamina D sono problemi legati
alle ossa come il rachitismo. E’ resistente al calore e alle basi, ai trattamenti termici ed ambienti
alcalini ma anche lei si degrada con l’esposizione alla luce e all’ossigeno atmosferico.
La luce del sole ne promuove la sintesi a partire dai precursori che sono ergosterolo e 7-
deidrocolesterolo.
Le fonti sono gli alimenti di origine animale come olio di fegato di pesci marini, alimenti di origine
animale come animali allevati alla luce del sole e vegetali a basse quantità.
Le fonti alimentari di tocoferoli e i tocotrienoli (largamente distribuiti negli alimenti) sono gli oli
vegetali (germe di grano, girasole, sesamo, vinaccioli), frutta secca ed il latte e derivati (basse
quantità). Sono comunque diffusi un po’ in tutti gli alimenti. Essendo una vitamina liposolubile è
normale trovarla negli alimenti grassi.
Vitamina K
La Vit K è composta da menadione ed i suoi derivati.
Vitamina K1 o fillochinone, presente in natura
Vitamina K2 o menachinoni, presente in natura
Vitamina K3 o menadione, origine sintetica
Il metile legato all’anello è fondamentale per l’attività vitaminica.
E’ un importante fattore di coagulazione del sangue perché contribuisce alla sintesi di proteine
derivanti dall’acido glutammico che sono necessarie per la coagulazione del sangue.
E’ resistente all’ ossigeno atmosferico, presenza d’umidità ed ambienti acidi. Si degrada per
l’esposizione alla luce solare, per esposizione ad ambienti alcalini ed agenti riducenti.
il ruolo fisiologico della Vit K è quello di fungere da cofattore della γ-glutamilcarbossilasi, enzima
che catalizza la sintesi delle proteine per la coagulazione sanguigna.
Le fonti alimentari sono la frazione lipidica di vari tessuti animali e vegetali. Fonte importante sono
gli ortaggi a foglia verde come il cavolo riccio, cime di rapa, spinaci, broccoli e lattuga.
Vitamina B1 o tiamina
La Vit B1 è chiamata anche fattore anti-polineuritico questo perché la malattia tipica da carenza di
Vit B1 è una malattia neuro-degenerativa nota come «beriberi». Osservando la struttura chimica
possiamo notare che è costituita da una anello pirimidinico legato da un ponte metilenico ad un
anello tiazolico, per l’attività vitaminica è fondamentale l’atomo di carbonio in 2 sull’anello
tiazolico.
Ha caratteristiche di fluorescenza, per tanto può essere determinata per via fluorimetrica.
E’ stabile ai trattamenti termici se ci troviamo in ambiente acido, al contrario diventa termolabile in
ambiente neutro o basico. Si decompone ai raggi UV, è dunque fotosensibile, il contenuto di Vit B1
diminuirà una volta esposto il prodotto che la contiene alla luce. E’ stabile al congelamento, però
possiamo avere problemi di perdite questo perché i cristalli di ghiaccio tendono a rompere le
cellule facendo fuoriuscire i liquidi che si trovavano all’interno, e le vitamine idrosolubili essendo
solubili in acqua potrebbero fuoriuscire insieme ai liquidi persi dall’alimento durante lo
scongelamento.
Il ruolo fisiologico della Vit B1 è quello di fungere da cofattore enzimatico, es. cofattore della
carbossilasi, che catalizzano la decarbossilazione ossidativa degli α-chetoacidi, cofattore della
transchetolasi, che catalizzano il trasferimento gruppi glicoaldeidici da α-chetosi ad aldosi.
La malattia tipica da carenza di Vit B1 è la beri-beri, questa si manifesta in tre diverse forme: il
beriberi umido, il cui sintomo principale è l’ipertrofia cardiaca, aumento di dimensioni del muscolo
cardiaco, del cuore; il beriberi secco, il cui sintomo principale è l’atrofia muscolare; ed infine il
beriberi infantile caratterizzato da vomito e nausea molto gravi.
Le fonti alimentari sono alimenti di origine animale come la carne di suino e gli limenti di origine
vegetale come i semi (germe di cereali e la frutta secca).
Vitamina B2 o riboflavina
Riboflavina deriva dalla struttura chimica costituita da un anello flavinico legato ad una molecola di
ribitolo. Le altre forme biologicamente attive sono il flavin mono nucleotide (FMN) ed il flavin
adenin dinucleotide (FAD)
Le fonti alimentari sono tra gli alimenti di origine animale il fegato bovino e suino e formaggi, tra gli
alimenti di origine vegetale il germe di grano.
Le fonti alimentari sono tante perché è molto diffusa negli alimenti, la carenza è difficile, gli alimenti
più ricchi sono il lievito, carne (fegato), crusca, il germe di grano ed alcuni vegetali.
Vitamina B6
La Vitamina B6 esiste in tre forme, biologicamente attive, interconvertibili nell’organismo e di
eguale valore biologico, sono la piridossina, piridossale e piridossamina. La struttura chimica è
identica ad eccezione della parte evidenziata in grigio, nella piridossina è un alcool, nel piridossale è
un aldeide e nella piridossamina è un’ammina.
Tutte e tre le forme possono essere convertite nel coenzima piridossal fosfato (PLP) utile alla
sintesi ed interconversione degli aminoacidi. La sua struttura chimica è simile alle strutture
precedenti.
E’ stabile ad ambienti acidi, ai trattamenti termici ed all’esposizione alla luce. Si degrada con
ambienti alcalini. Gli alimenti di origine vegetale sono più suscettibili alle perdite in cottura rispetto
a quelli di origine animale, a causa della diversa distribuzione percentuale delle tre forme che
hanno stabilità termica diversa.
Le fonti principali di Vitamina B6 sono il lievito di birra, carne (fegato), cervello, latte, cuticola dei
cereali (crusca), verdura, frutta. E’ prodotta anche dalla microflora batterica.
Vitamina B8 = Biotina (vitamina H)
Nel bianco d’uovo è presente l’avidina, che rende questa vitamina non disponibile. La cottura
distrugge l’avidina eliminando questo problema, rendendola biodisponibile.
E’ stabile ad ambienti acidi. Si degrada ad ambienti alcalini, con l’ossidazione e trattamenti termici.
Gli antiossidanti ne aumentano molto la stabilità.
Le fonti alimentari sono il lievito di birra, carne (fegato), tuorlo d’uovo, legumi. In parte è
sintetizzata dalla flora intestinale.
E’ sensibile all’ossigeno atmosferico, trattamenti termici, esposizione alla luce e ioni metallici che ne
provocano ossidazione, è più sensibile ai processi di trasformazioni alimentari.
Il ruolo fisiologico è quello di fungere da scavenger di radicali liberi, agisce con le molecole
radicaliche formando specie più stabili, non radicaliche, e quindi bloccando la reazione di
propagazione dell’ossidazione; ha un’azione sinergica con la vitamina E; è un coenzima in reazioni
di idrossilazione ovvero quelle che vanno ad inserire gruppi ossidrilici sulla catena laterale della
prolina e lisina per formare idrossipolina ed idrossilisina, queste due sono amminoacidi importanti
nella sintesi del collagene e quindi del tessuto connettivo. Inoltre queste reazioni sono importanti
per la dopamina idrossilasi nella sintesi di adrenalina e noradrenalina; la vit C è un potente agente
riducente ovvero riduce il Fe3+ a Fe2+ nell’intestino permettendone l’assorbimento e rafforza il
sistema immunitario.
I sintomi da carenza è lo scorbuto.
Le fonti alimentari sono diverse perché largamente diffusa negli alimenti di origine vegetale,
peperoni, ribes nero, agrumi, kiwi ed ortaggi a foglia verde.
I minerali sono sostanze essenziali assunte attraverso gli alimenti. Non apportano energia ma sono
necessari per molte funzioni:
- cofattori di enzimi o parte di metallo proteine
- possono istituire le corrette condizioni chimico-fisiche di cellule e tessuti
- regolano la pressione osmotica ed il grado di idratazione
- contribuiscono a generare il potenziale elettrico
- possono attivare o inibire enzimi
- tante altre ecc.
La loro concentrazione negli alimenti dipende dalla composizione dei terreni, perché andrà ad
influenzare il contenuto di minerale di frutta ed ortaggi, a loro volta gli animali d’allevamento
avranno il loro contenuto di minerali influenzato dai vegetali che hanno introdotto con
l’alimentazione, è un meccanismo a catena. Nell’uomo i minerali rappresentano circa il 6% del peso
corporeo e sono presenti all’interno di molecole organiche es. Fe (ferro) nell’emoglobina, o in forma
inorganica allo stato cristallino es. Ca (calcio), P (fosfato), Mg (magnesio) nelle ossa, o in soluzione
come elettroliti es. Na+ (ione sodio), K+ (ione potassio), Cl- (ione clorulo).
Macroelementi sono quegli elementi minerali che sono presenti nel nostro organismo in quantità
abbastanza rilevanti, si parla dell’ordine dei grammi. Hanno un’assunzione giornaliera abbastanza
elevata, si va dai 0.1 (100 milligrammi) ai 5 g al giorno.
I macroelementi sono il Calcio, Fosforo e Magnesio, depositati principalmente a livello del tessuto
osseo; Sodio, Potassio e Cloro sono presenti in forma di elettroliti; lo Zolfo è presente in forma
organica ed in particolare come costituenti degli amminoacidi solforati, metionina e cisteina.
Microelementi sono quegli elementi minerali presenti in quantità più basse nel nostro organismo, si
va nell’ordine dei milligrammi. Hanno un’assunzione giornaliera più bassa dai 0.05 ai 20 mg/die.
I microelementi sono il Ferro, Zinco, Selenio, Manganese, Rame,Iodio,Cobalto, Litio, Fluoro, Silicio,
Molibdeno e Nichel.
«Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.»
(cit. Paracelso)- La tossicità è propria di tutti gli elementi ed è una funzione della concentrazione
alla quale l’organismo è esposto. Ci sono quindi delle dosi di assunzione sia minime, fondamentali
per svolgere alcuni funzioni fisiologiche e sia massime, perché se assunti in eccesso possono
risultare tossici per l’organismo. Questo discorso è importante quando si parla di integratori
alimentari perché rischiamo di perdere di vista il quantitativo totale di questi minerali che
assumiamo durante la giornata.
Il contenuto dei minerali negli alimenti è molto variabile perché dipende da fattori genetici,
climatici, dalle pratiche di coltivazione, dalla composizione del suolo, dalla conservazione e
dall’epoca di raccolta dell’alimento. Altra fonte di variabilità sono i trattamenti tecnologici sulla
materia prima.
L’assorbimento dei minerali avviene a livello intestinale, ma ci sono alcuni fattori come le fibre che
presentano al loro interno l’acido fitico, ossalico e tannini che vanno a complessare i minerali
rendendone impossibile o limitandone l’assorbimento a livello intestinale. L’eliminazione dei
minerali assunti in eccesso di solito avviene tramite urine o sudorazione.
Oltre al valore nutrizionale i minerali contribuiscono all’aroma degli alimenti, attivano o inibiscono
reazioni catalizzate da enzimi ed influenzano la consistenza dell’alimento. Spesso sono responsabili
della perdita di nutrienti es. gli ioni ferro possono favorire la reazione di ossidazione, possono
quindi andare ad ossidare l’acido ascorbico provocando una perdita di Vitamina C, o possono
contribuire alla formazione di aromi indesiderati es. il ferro può favorire la reazione di ossidazione
di irrancidimento dei lipidi generando quindi all’interno dell’alimento aromi e sapori sgradevoli.
- Calcio
È il minerale più abbondante nel corpo umano. E’ presente circa 1,2 kg di calcio in un adulto medio
di 70 kg, il 99% del quale si trova nelle ossa sottoforma di fosfati, carbonati e cloruri. Il restante 1%
si trova nei tessuti molli, in forma ionica come elettrolita o complessato a proteine. Il fabbisogno di
calcio è 0.8 (800 milligrammi)-1 g/die. È più elevato il fabbisogno di calcio durante i periodi di
accrescimento in età infantile, gravidanza, allattamento e dopo la menopausa.
Ruoli fisiologici: il principale è costituire la frazione minerale del tessuto osseo (funzione
strutturale), è impegnato nella contrazione muscolare, nella coagulazione sanguigna, nella
trasmissione nervosa, nella permeabilità di membrana, regola la secrezione di ormoni ed enzimi e
regola la pressione arteriosa.
Sintomi da carenza sono l’osteoporosi, questo perché per mantenere costante la calcemia, calcio nel
sangue, viene solubilizzato parte del calcio delle ossa, indebolendole, assumendo una struttura più
porosa e più fragile. Crampi e contratture muscolari ed ipertensione.
I ruoli fisiologici: il principale è contribuire alla formazione di ossa e denti, è poi un costituente di
ATP e fosfocreatina quindi partecipa al metabolismo energetico, i fosfati sono sistemi tampone per
mantenere controllato il pH di diverse parti dell’organismo, è il costituente delle cellule, delle
guaine mieliniche delle fibre nervose, partecipa alle reazioni enzimatiche di fosfotransferasi ed
infine è il costituente di nucleoproteine e nucleotidi (DNA e RNA!).
È importante mantenere un corretto rapporto Ca/P. Nei bambini il rapporto corretto Ca/P = 0.9-
1.7. Negli adulti sono tollerate variazioni più ampie, il rapporto consigliato è di 1.3. Bisogna avere
un’alimentazione bilanciata per avere un buon rapporto Ca/P ma gli alimenti non ci aiutano, le
carni sono troppo ricche in P rispetto al Ca, rapporto è di 0.07, le uova, cereali e legumi 0.5 e i
latticini e verdure a foglia verde 2. Bisogna dunque avere alimentazione varia ed quilibrata.
- Magnesio
Dose raccomandat 270 mg/die.
I ruoli fisiologici sono la struttura del tessuto osseo, reazioni enzimatiche che utilizzano l’ATP come
fonte energetica, partecipa alla regolazione eccitabilità di membrana nelle fibre nervose e
muscolari. Sintomi da carenza sono anoressia, nausea e vomito.
Fonti: la maggior parte dei cibi, specialmente i vegetali (noci, cacao, semi di soia, vegetali verdi), il
Mg è l’atomo coordinato al centro della clorofilla, quindi i vegetali verdi ne contengono in grandi
quantità, verdura e ortaggi, cereali e derivati, frutta. Il Mg contenuto nella clorofilla dei vegetali
verdi è più disponibile poiché più protetto dall’azione dei chelanti. La raffinazione dei cereali riduce
il Mg dell’80%.
- Sodio
Nell’uomo sono presenti circa 92 g di sodio. Circa la metà è presente nei liquidi extracellulari
(flusso sanguigno), la rimanente parte è suddivisa tra liquidi intracellulari, citoplasma, e le ossa.
Dose raccomandata: 0.5(500 milligrammi)-3.5 g/die, nella dieta occidentale eccediamo in questa
quantità perché facciamo largo uso di sale da cucina. L’assorbimento del sodio avviene a livello
dell’intestino tenue e colon.
Ruolo fisiologico: il sodio regola volemia, il volume dei liquidi extracellulari, partecipa al
mantenimento dell’equilibrio acido/base, partecipa alla formazione del potenziale di membrana e
alla trasmissione degli impulsi nervosi e muscolari.
Le fonti alimentari sono il sale aggiunto agli alimenti, sale naturalmente contenuto negli alimenti
come cereali e derivati, carne/uova/pesce e latte e derivati.
- Potassio
Rappresenta il 5% dei minerali del nostro corpo ed il 95% del potassio si trova nei liquidi
intracellulari, nel citoplasma, in cui si trova in forma cationica , in forma di ione K+,catione. La
restante 5% è nei liquidi extracellulari, come il flusso sanguigno. E’ molto presente nei muscoli.
Ruolo fisiologico, uno dei più importanti è la partecipazione alla pompa sodio potassio, meccanismo
che regola il passaggio di molecole attraverso la membrana cellulare, regola la pressione osmotica
ed equilibrio acido/base, fondamentale per la vita delle nostre cellulare. Partecipa alla trasmissione
degli impulsi nervosi, mantenimento della corretta pressione arteriosa e alla contrazione
muscolare.
Assorbimento, più del 90% del potassio viene assorbito a livello dell’intestino tenue. Limitato da
alcol, caffè, zuccheri. Livello di assunzione raccomandato: 3.1 g/die. Fonti alimentari, le principali
fonti di K sono per il 58% alimenti di origine vegetale (fagioli, piselli, asparagi, patate, albicocche,
banane, cavoli e spinaci).
-Cloro
Sodio e potassio sono cationi ovvero sono presenti come ioni positivi, il cloro è un anione, come
ione cloruro Cl-, in particolare è il controione di sodio e potassio nei Sali, cloruro di sodio e cloruro
di potassio. Il 67% del cloro è presente sottoforma di elettroliti, Cl-, nei fluidi extracellulari, come
flusso sanguigno, il 33% tra fluidi intracellulari, citoplasma, tessuto connettivo e ossa. E’
abbondante nel succo gastrico sottoforma di ione cloruro, a livello dello stomaco per una corretta
difestione dei cibi. L’assorbimento: intestino tenue. Fabbisogno: 0.9-5.3 g/die. Fonti: sale
alimentare, acqua potabile. Una dieta bilanciata fornisce sempre quantitativi adeguati.
- Zolfo
In un uomo sono presenti circa 140 g di zolfo, presente in due forme inorganico,solfati, ed organico,
amminoacidi solforati (cisteina e metionina), CoA, tiamina(vit B1), biotina(vit. B8) ed in alcuni
ormoni come l’insulina. Assorbito avviene nell’intestino tenue. Ruolo fisiologico: parte di vitamine,
partecipa alla costituzione del tessuto connettivo, dei mucopolisaccaridi e degli acidi biliari.
Fabbisogno: 0.85 g/die. Fonti alimentari: proteine (amminoacidi solforati) ed acqua (solfati).
Microelementi
Microelementi sono quegli elementi minerali presenti in quantità più basse nel nostro organismo, si
va nell’ordine dei milligrammi. Hanno un’assunzione giornaliera più bassa dai 0.05 ai 20 mg/die.
I microelementi sono il Ferro, Zinco, Selenio, Manganese, Rame,Iodio,Cobalto, Litio, Fluoro, Silicio,
Molibdeno e Nichel.
- Ferro
L’organismo umano contiene 3-4 g di Fe. Il 75% come ferro-eme, complessato dal gruppo eme di
emoglobina e mioglobina, il 25% ferro non eme di deposito, funzione eseguita dalla ferritina ed
emosiderina, queste due sostanze si depositano in milza, fegato e midollo osseo. Nelle donne il ferro
di deposito è circa la metà rispetto agli uomini. Ruolo fisiologico: partecipa alla produzione di
emoglobina e mioglobina, in particolare il ferro eme, questo è deputato al trasporto di ossigeno ed
anidride carbonica da un distretto all’altro dell’organismo, il ferro serve anche per il funzionamento
di alcuni enzimi come citocromo ossidasi, catalasi, perossidasi ecc.
Le principali fonti di Fe sono carne e pesce (fegato, carne rossa), verdure e ortaggi (legumi e frutta
secca), cereali e derivati. Fabbisogno varia in funzione dello stato di nutrizione, mediamente 10
mg/die per l’uomo e 18 mg/die per la donna, necessità di più ferro perché ci sono per la donna
perdite di sangue mensili. In gravidanza c’è un fabbisogno maggiore, con frequenti casi di necessità
di integratori.
Tra i fattori che favoriscono l’assorbimento del ferro abbiamo appunto il fatto che questo sia
presente in alimenti di origine animale (carne e pesce), dall’acido ascorbico che va a ridurre il Fe3 a
Fe2 rendendolo più assorbibile, presenza di acidi organici (citrato e lattato), presenza di alcuni
zuccheri (fruttosio e sorbitolo), ed alcuni AA. I fattori inibenti, che inibiscono l’assorbimento del
ferro abbiamo tè, caffè, uova (tuorlo e albume), crusca di frumento perché ha un alto contenuto di
fibre, prodotti derivanti dalla soia, fibra, fitati, fosfati di calcio. Sintomo tipico da carenza è l’anemia.
- Zinco
Nell’organismo umano ci sono circa 2 g di zinco, la metà è legato alla metallotionina (proteina
presente in molti tessuti), l’altra metà è legata a proteine o amminoacidi nel circolo sanguigno.
Ruolo fisiologico: è un cofattore di enzimi e stimola il rilascio di vitamina A dal fegato.
Assorbimento (≈30%) avviene nel tenue (soprattutto nel tratto chiamato digiuno) e dipende dallo
stato nutrizionale dell’individuo e dall’alimento tramite il quale lo zinco viene assunto questo
perché l’assorbimento dello zinco è in competizione quello con altri elementi minerali.
L’assorbimento viene favorito da alimenti di origine animale e da amminoacidi, mentre è inibito da
massicce presenze di fibra, fitati, tannini, caffeina, elevate quantità di ferro e rame nella dieta,
perché va in competizione con questi minerali.
Dose raccomandata: 7-10 mg/die. Fonti sono alimenti di origine animale. Nei vegetali non è molto
biodisponibile a causa della presenza di fitati, acido fitico e fibra. Sintomi da carenza sono disturbi
della crescita, ipogonadismo, infertilità, alterazioni cutanee, cicatrizzazione difficoltosa.
- Rame
Il corpo umano ha circa 50-120 mg di rame. La metà si trova nei muscoli e nello scheletro e l’altra
metà nel fegato, nel sangue e nel cervello. Il neonato ha una riserva di Cu nel fegato perché il latte
materno ne è povero di conseguenza il neonato ha una riserva sufficiente a superare i primi mesi
dell’allattamento. Ruolo fisiologico: è il cofattore di enzimi redox (ossidasi), è un componente della
ceruloplasmina, sostanza che favorisce l’assorbimento del ferro a livello intestinale.
Dose raccomandata: 0.8-1.2 mg. Fonti sono alimenti di origine animale (frattaglie, molluschi),
alimenti vegetali (frutta secca). Introduzione media italiana tra 3 e 4.5 mg, copriamo il fabbisogno.
L’assorbimento avviene nell’intestino tenue (≈10% per elevati apporti, perché dà luogo a tossicità
se introdotto in quantità elevata, invece aumenta a >50% con apporti bassi). E’ limitato da eccesso
di Fe e Zn, perché questi tre elementi vanno in competizione tra di loro per l’assorbimento a livello
intestinale.
- Manganese
Nell’organismo umano sono presenti 12-20 mg. Ruolo fisiologico è un cofattore e attivatore di
enzimi (appartenenti alla classe dei decarbossilasi, idrolasi, transferasi). L’assorbimento è pari a
circa il 10%, ma aumenta con bassi apporti. La presenza di elevate concentrazioni di Fe, Co e fitati
riduce l’assorbimento del Mn. Sintomi da carenza: ridotta sintesi di mucopolisaccaridi e ritardo
della crescita. Livelli di assunzione raccomandati: 1-10 mg/die. Introduzione media italiana: circa 2
mg. Fonti sono cereali e derivati (soprattutto integrali), vino, tè, legumi, crostacei e pesce e carne.
- Selenio
Molto variabile il contenuto nell’organismo (da 3 a 30 mg). Presente sia in forma inorganica
(seleniti e selenati) sia organica (selenoamminoacidi, selenometionina e selenocisteina, il selenio
sostituisce lo S, ma la struttura rimane la medesima). Molto influenzato dalla composizione dei
terreni di coltura, è abbondante in Canada, scarso in Cina e Finlandia, di conseguenza i vegetali
coltivati in Canada tenderanno ad essere più ricchi di selenio, rispetto ai cinesi e filandesi, anzi in
questi paesi è consigliata la fertilizzazione dei terreni di selenio. Non particolarmente abbondante
in Italia. Ruolo fisiologico: forma delle metalloproteine ad attività enzimatica (glutatione
perossidasi), ha un’azione antiossidante (potenziata dalla vitamina E). L’assorbimento avviene nel
duodeno ed in particolate le Selenometionina e selenocisteina sono più biodisponibili di seleniti e
selenati. Sintomi da carenza: cardiomiopatite, cataratta, artrite.
Fonti sono alimenti proteici (selenoamminoacidi), cereali integrali, germe di grano, pesci,
molluschi, crostacei, fegato, rognone, latticini. Dose raccomandata: 35-55 μg/die. Introduzione
media italiana tra 32-62 µg/die. In Italia, le principali fonti di Se sono i derivati del frumento
soprattutto quello duro. La pasta ha mediamente un maggior contenuto di Se rispetto al pane, fatto
tenenzialmente con grano tenero.
- Iodio
Nell’organismo sono presenti 10-20 mg di iodio. Principalmente contenuto nella tiroide (entrano
nella formulazione di alcuni ormoni come la tireoglobulina, triiodotironina, tiroxina, iodotironina).
Ruolo fisiologico: termogenesi, entra a far parte metabolismo glucidico, proteico e lipidico,
attivazione sintesi proteica, regolazione sintesi colestero e stimola la fissazione ossea del calcio.
Assorbimento avviene nel canale gastroenterico (I-).
Sostanze gozzigene: quando abbiamo studiato il gusto piccante, alcuni vegetali della famiglia delle
brassitacee, rafano, ravanello ecc. erano dati da sostanze chiamate glucosinolati, che liberano
tiocianati e isotiocianati, che oltre a conferire aroma piccante, provocano anche una ridotta
captazione dello iodio, che a casi estremi provoca la comparsa del gozzo tiroideo da carenza di
iodio. Fonti: pesce marino, latte, uova, sale iodato. Dose raccomandata: 0.15 mg/die. Sintomi da
carenza: ipofunzione della tiroide (cretinismo endemico, mixedema), gozzo.
- Cobalto
Contenuto nell’organismo umano: 1.5 mg. Ruolo fisiologico: presente nell’anello corrinico della
cianocobalamina (vit. B12), è un cofattore di enzimi. Assorbito a livello intestinale.
Le fonti alimentari sono fegato e frutti di mare. Sintomi da carenza: anemia. La carenza nel terreno
provoca problemi di salute agli animali da pascolo.
- Litio
Litiemia, concentranzione: 19 mg/L. Ruolo fisiologico: determina il funzionamento del sistema
nervoso, è un regolatore degli stati ansiosi e depressivi, stabilisce l’equilibrio del complesso
endocrino ipotalamo-ipofisi e del tasso di adrenalina e noradrenalina. Usato (in passato) in
psichiatria, per curare contratture muscolari e migliorare l’umore (concentrazioni catalitiche). Se
assunto in eccesso è tossico. Fonti alimentari: alghe, caffè, cacao
- Fluoro
Contenuto nell’organismo umano: 5 g. Il 96% si trova in ossa e denti, va a costituire la fluoro
apatite, costituente dello smalto. Ruolo fisiologico: mantenimento integrità scheletrica, prevenzione
della carie dentale. Dose raccomandata: 1.5-4 mg/die. Fonti alimentari: acqua potabile, the e tisane
perché preparate con acqua potabile, ed il pesce. Assorbimento: a livello gastrointestinale, quasi
completo nell’acqua, dal 30 al 60% negli alimenti.
Il contenuto di F negli alimenti può, stranamente, subire un incremento con la cottura in acque
fluorate, o con contenuto di fluoro particolarmente elevato, e con utensili trattati con teflon. La
biodisponibilità è ridotta da massicce quantità di Ca, Na e Al, infatti floruro di calcio, sodio ed
alluminio formano sali insolubili che andrebbero a limitare l’assorbimento del minerale.
L’assorbimento del F aumenta con la presenza di grassi. È raccomandata l’aggiunta di fluoro alle
acque potabili se il contenuto naturale è inferiore a 0.7 mg/L.
- Silicio
Presente in tracce nell'organismo ma distribuito in tutti i tessuti. Ruolo fisiologico: sintesi di
collagene e tessuto connettivo (ossa, cartilagini, tendini, ecc.), costituente del tessuto osteoide.
Fonti alimentari principali sono la frutta (buccia), cereali integrali si concentra nella crusca,
aglio, cipolla e scalogno. Fabbisogno: 20-50 mg/die. Assorbimento favorito da: calcio, potassio,
manganese, boro. Sintomi da carenza: fragilità unghie, problemi a pelle e capelli. La prolungata
esposizione a elevate concentrazioni di silicio provoca la silicosi (malattia polmonare).
- Molibdeno
Contenuto nel corpo umano: 9 mg che si localizzano principalmente nel fegato.
Ruolo fisiologico: cofattore di enzimi (redox). Assorbimento: a livello intestinale (90%).
Fabbisogno: 0.05-0.1 mg/die. Le fonti alimentari sono latte, cereali, pane e fegato. La
concentrazione negli alimenti dipende dal terreno di coltivazione/allevamento. Un eccesso provoca
la gotta.
- Nichel
Contenuto nell’organismo umano: 1 mg. Presente in pancreas, ossa, saliva, sudore e siero. Allergie
da contatto date da bigiotteria di scarsa qualità (orecchini, cinturini, ecc.). Ruolo fisiologico: attiva
alcuni enzimi, facilita l'assorbimento del ferro presente negli alimenti, protezione delle membrane
cellulari. Sintomi da carenza: minor controllo glicemico, minor assorbimento del ferro, riduzione
della crescita e riduzione emopoiesi. Fonti alimentari: grassi e oli idrogenati in cui viene utilizzato il
nichel come catalizzatore, frutti di mare e cereali. Con una dieta equilibrata dei paesi occidentali
non si va praticamente mai incontro a carenze di macro e micro elementi se non in alcuni casi
particolari come il ferro in gravidanza.
Quando noi definiamo un rischio, lo definiamo come una funzione della gravità e della
probabilità che si verifichi un determinato pericolo per la salute. Parlando di alimenti bisogna
valutare il
pericolo per la salute derivato dall’assunzione della sostanza contenuta nell’alimento ed inoltre
bisogna valutare i livelli di assunzione di quella sostanza, ciò che viene chiamato dietary intake, la
valutazione dei livelli di assunzione viene fatta tenendo presente i dati disponibili sul consumo
degli alimenti ed i dati d’incidenza di una determinata patologia provocata da certe sostanze, ed
ovviamente bisogna tenere presente le normative messe a disposizione dall’UE. In realtà il rischio
legato agli alimenti che viene percepito generalmente dalla popolazione è molto diverso dal rischio
reale che può scaturire dal consumo di determinate sostanze. La popolazione percepisce come
principali rischi in tema di alimenti la presenza di residui di pesticidi, di ogm, additivi alimentari e
pone agli ultimi posti errori alimentari quindi scelte dietetiche sbagliate, tossine batteriche e
micotossine, in realtà dai dati scientifici i maggiori rischi per la salute con l’assunzione di alimenti
derivano dagli errori alimentari, che facciamo quotidianamente con la nostra alimentazione per un
eccessiva o troppo limitata assunzione di determinati nutrimenti, poi tossine batteriche e fungine e
solo agli ultimi posti pesticidi, additivi ed ogm.
«Polli alla diossina» (Belgio) – 1999. Scandalo di un mangime altamente contaminato da diossina
che è stato comunque somministrato al pollame, con la conseguenza che la diossina è passata dal
mangime al pollame, il pollame l’ha depositato del suo grasso ed ha causato la presenza di elevati
livelli di diossine in carne di pollo e nelle uova. Questo scandalo ha indotto il ritiro dei prodotti dal
mercato europeo.
- Policlorobifenili (PCB), nome che deriva dalla loro struttura in cui abbiamo due gruppi fenilici a
cui sono legati molti atomi di cloro, quindi sono idrocarburi alogenati e sono prodotti dall’industria
della plastica, delle vernici e dai processi di combustione. I PCB vanno incontro a fotodegradazione,
si degradano con la luce quando essi si ritrovano nell’aria, a livello dell’acqua e del suolo sono
molto
persistenti e la loro decomposizione è molto lenta. Come le diossine, si depositano nel grasso degli
animali, hanno un’elevata lipofilia e scarsa velocità di eliminazione, con conseguente bioaccumulo.
I PCB si ritrovano soprattutto nell’atmosfera e si concentrano ai poli del pianeta, dove le
temperature fredde li condensano e raggiungono il suolo. I contaminanti precipitano così in
superficie ed entrano nella catena alimentare. Gli orsi polari mangiano foche, che a loro volta si
nutrono di pesci artici. I PCB si accumulano nel grasso degli orsi e possono interferire con il
normale sviluppo sessuale del feto, infatti sono stati ritrovati 7 orsi polari ermafroditi su una
popolazione di 450.
- Idrocarburi policiclici aromatici (PAH) hanno una struttura idrocarburica e molto apolare,
derivano dalla combustione di materiali organici (legno, olio, braci). Si ritrovano nel cibo in seguito
a deposizione d’inquinamento atmosferico, possono generarsi all’interno dell’alimento durante i
processi produttivi come arrostimento a temperature elevate per tempi prolungati può portare a
quantità ingenti di PAH o durante l’affumicamento dove avviene una combustione per generare il
fumo che dà vita a PAH nell’alimento. Presentano caratteristiche di cancerogenicità quando la loro
concentrazione supera > 1 μg(microgrammo)/kg.
- Nitrosammine sono composti in cui abbiamo un gruppo nitro legato ad un’ammina, si formano
quindi per reazione dei nitriti con delle ammine, possono essere esogene se si generano
nell’alimento contenente nitriti quando questo viene trattato ad alte temperature, durante la
frittura o l’arrostimento, o endogene se si generano nel tratto gastrointestinale umano quando sono
presenti alte concentrazioni di nitriti ed ammine. Presentano le nitrosammine un’elevata
cancerogenicità. Durante i trattamenti termici degli alimenti, in particolare quelli condotti ad alte
temperature per tempi prolungati sono generate molte nuove molecole che non erano presenti
nelle materie prime di partenza. Esempio le patate riscaldate a 200°C per 1h40’ senza grassi
aggiunti, andiamo a generare 230 nuovi composti chimici appartenenti alle classi più svariate come
idrocarburi saturi e insaturi, idrocarburi aromatici, acidi carbossilici, alcoli, aldeidi e chetoni, esteri
e lattoni, furani, pirazine, tiazoli, ossazoli, composti ad alto PM.
- Tossine batteriche, il 60-90% dei contaminanti alimentari sono di origine batterica. Possono
causare intossicazione come avviene per la tossina butolinica prodotta dal batterio Clostridium
botulinum, causano malattie da spore patogene (Clostridium perfringens; Bacillus cereus), infezioni
(Salmonella spp.; Shigella spp.), infine possono portare malattie ad eziologia non chiara
(Escherichia coli, Pseudomonas spp.).
Classificazione delle tossine batteriche: Esotossine escrete dal microrganismo durante lo sviluppo
(batteri Gram +) costituite da materiale proteico antigenico (es. neurotossina botulinica);
Endotossine rilasciate dal microrganismo alla sua morte (batteri Gram -) costituite da materiale
proteico, polisaccaridico e lipidico (es. salmonellosi, tifo e paratifo).
Tossine algali e fungine
Tossine algali - Il consumo di molluschi e alcune specie di pesci tropicali potrebbe risultare
rischioso per l’accumulo di ficotossine lungo la catena alimentare marina. Probabile in alcuni
periodi dell’anno in cui c’è uno sviluppo incontrollato di tipologie di alghe, es. alghe rosse o
dinoflagellati, durante questi periodi i molluschi sono più contaminati da micotossine, fenomeno
più frequente nella costa occidentale degli Usa e Nuova Zelanda.
- Intossicazione paralitica o PSP (paralytic shellfish poisoning) è una grave intossicazione con
elevato grado di mortalità, una persona morta su 10 intossicate. Morte avviene per paralisi
respiratoria, in breve tempo 5 minuti – 2 ore dopo l’ingestione. Causa è la molecola saxitossina
ed analoghi con una struttura tetraidropurinica, prodotte da dinoflagellati del genere
Alexandrium, Gymnodinium, Pyrodinium. I vettori di questa tossina sono i molluschi (mitili,
ostriche).
La contaminazione PSP, endemica lungo le coste occidentali del Nord America, si è ripetutamente
manifestata in altre parti del mondo. Le tossine sono polari, idrosolubili e relativamente
termostabili, dunque cuocere i molluschi non serve per inattivare la tossicità, inoltre le strutture
carbammate sono le più tossiche.
Meccanismo d’azione della paralisi: blocco dei canali del sodio voltaggiodipendenti, in maniera
selettiva e con alta affinità, che impedisce la trasmissione degli impulsi nervosi, si ha pertanto una
paralisi flaccida. Saggio biologico sul topo, si guarda il tempo di sopravvivenza del topo che ha
ricevuto il derivato della tossina oggetto di studio, rispetto al topo che ha ingerito saxitossina pura.
Quantità massima ammessa è 80 μg/100 g di polpa di mollusco.
- Intossicazione diarroica o DSP (diarrhetic shellfish poisoning) si manifesta con vomito e diarrea
profusa (30 minuti – 2 ore dopo l’ingestione). La guarigione in tre giorni ed è particolarmente
frequente in Giappone ed Europa.
Causa è l’acido okadaico, molecola grande e dalla struttura complessa, e derivati sempre tossici,
prodotti dal genere Dinophysis, i derivati si chiamano DTX o dinofisistossine. I vettori sono
molluschi (mitili, ostriche). L’acido okadaico (40 μg) e DTX1 (36 μg) sono derivati polieterei di
acido grasso C38, a 38 atomi di C. L’acido esplica la sua tossicità che va ad inibire la protein
fosfatasi.
- Intossicazione amnesica o ASP (amnesic shellfish poisoning) è molto più grave, i sintomi
sono amnesia a breve e medio termine, disorientamento, neuropatia, convulsioni e, talvolta,
morte (entro tre giorni dall’ingestione). Causa è l’acido domoico, prodotto da diatomee del
genere Pseudonitzschia. I vettori: molluschi, granchi.
- Intossicazione ciguaterica o CFP (ciguatera shellfish poisoning)ha come sintomi un’alterata
percezione termica del caldo e del freddo, dolori vari, prostrazione, nausea, vomito, diarrea. E’ la
più potente tossina marina, solo lo 0.1 μg causa intossicazione nell’adulto. Causa sono ciguatossina
e maitotossina, prodotte da Gamberdiscus toxicus. I vettori sono pesci erbivori e carnivori della
barriera corallina (es. barracuda). Annualmente circa 50,000 persone che vivono o visitano aree
tropicali o sub-tropicali accusano sintomi da ciguatera. La mortalità è inferiore all’1%.
- Micotossine sono dei metaboliti secondari prodotti del metabolismo secondario di funghi e muffe,
ci sono molte classi di micotossine come Aflatossine (Aspergillus) – Ocratossine (Aspergillus,
Penicillium, Fusarium) – Fumonisine (Fusarium) – Tricoteceni (Fusarium) – Patulina (Penicillium)
– Zearalenone (Fusarium).
I generi alimentari contaminati da micotossine sono:
a) Prodotti agricoli, le materie prime (cereali, semi oleosi, frutta e verdura) b) Cibi di consumo e ad
uso zootecnico (contaminazione secondaria) c) Residui in tessuti e prodotti di origine animale,
come mangimi contaminati da micotossine che porteranno a latte e derivati lattiero-caseari e carne
contaminati d) Cibi trattati con muffe – formaggi – prodotti carnei fermentati.
- Tossine da funghi
- Sindrome orellanica, dovuta alle tossine orellanina e orellina. Sindrome a lunga incubazione (6-12
ore e oltre dall’assunzione). Sintomi: anche dopo 15 giorni, danni renali anche irreversibili. Funghi:
Cortinarius orellanus e Cortinarius speciosissimus.
Sostanze indesiderabili
Lista: allergeni, glicoproteine come le lectine, inibitori delle proteasi, glicosidi ciano genici,
composti polifenolici come i tannini, alcaloidi da saprofiti (funghi), amminoacidi tossici, alcaloidi
(caffeina) e glicoalcaloidi (solanina) ed ammine vasopressorie (tiramina, dopamina, istamina).
- Allergeni alimentari
Gli allergeni sono composti di natura proteica o glicoproteica con un peso molecolare medio di 10-
40 kDa (dalton), in grado di indurre una reazione immunologica in un soggetto ad esso
sensibilizzato, reazione mediata da una specifica categoria di anticorpi, le immunoglobuline E o IGE.
Le eeazioni allergiche sono non-dose dipendenti, basta anche la presenza in tracce di un allergene
per scatenare la reazione immunitaria in un soggetto allergico. Questo è un problema legato agli
allergeni nascosti, es. se io ho un soggetto che è allergico alle proteine del latte, questo soggetto
essendone consapevole eviterà il consumo di latte e prodotti lattiero-caseari ma potrebbe
ingenuamente mangiare una salsiccia ed un wuster in cui sono state utilizzate delle proteine del
latte come emulsionanti e questo potrebbe provocare una grave reazione allergica, è importante
dichiarare in etichetta tutti gli ingredienti e mettere in particolare evidenza quelli responsabili di
allergia, di solito in grassetto.
Classificazione delle reazioni avverse agli alimenti, sono di due tipologie principali. Ci sono reazioni
avverse agli alimenti che avvengono in tutti gli individui, abbiamo visto ad es. le intossicazioni
dovute a tossine ma ci possono essere anche reazioni a farmaci o microorganismi e queste
interessano tutti i soggetti che ne consumano una sufficiente quantità. Ci sono poi reazioni agli
alimenti che interessano solo alcuni soggetti sensibili come l’ipersensibilità alimentare e
l’avversione ed intolleranza psicologica.
Le principali fonti allergeniche di origine animale sono il latte vaccino, uovo, pesce, crostacei, e
quelle di origine vegetale sono i cereali, frutta e verdura fresca, frutta secca e semi. A livello
europeo sono state individuate 8 macro categorie di alimenti principali responsabili delle allergie
alimentari: uova, pesce, latte, sesamo, frutta a guscio, frumento, molluschi e crostacei, arachidi e
soia.
Tossici naturali:
- Le fitoalessine, sostanze tossiche presenti naturalmente nelle piante, possono essere prodotti di
scarto del metabolismo delle piante, prodotti di vie metaboliche in disuso della piante e la pianta
può produrle come deterrenti chimici verso predatori come sistema di difesa. Solitamente queste
sostanze si percepiscono amare al palato, durante l’evoluzione i mammiferi hanno imparato a
difendersi dall’eccessiva ingestione di queste sostanze.
Appartengono a diverse classi di composti: cumarine, furocumarine, isoflavonoidi, alcaloidi,
antrachinoni. Sono raccolte in apposite liste compilate da organizzazioni di controllo
internazionale: NETTOX LIST OF FOOD PLANT TOXICANTS EU-AIR NETTOX PROJECT (19951997).
La lista è stata definita presso la FAO e serve per identificare le sostanze tossiche e i relativi
limiti d’ingestione.
Esempi di fitoalessine:
Sedano contiene di norma 900 ppb (parti per miliardo) di psoralene. In passato fu individuata una
varietà di sedano che era particolarmente resistente agli attacchi degli insetti, il problema è che
questa varietà conteneva 9000 ppb di psoralene, dieci volte tanto. Questo alto contenuto di
psoralene era proprio alla base per porre resistenza all’attacco degli insetti però lo svantaggio era
che l’alta quantità andava a causare irritazioni, dermatiti nei contadini e braccianti, in chi veniva a
contatto con questo sedano. Questa varietà fu allontanata dal mercato.
Altro esempio è la patata che contiene di norma 70 ppm di solanina, sostanza tossica presente
naturalmente nella patata. Una mutazione resistente agli insetti è stata ritirata dal mercato per
l’eccessivo contenuto di solanina, dava tossicità gastrointestinale perché la cottura non bastava più
ad abbatterne il contenuto.
- Saponine sono glicosidi di steroidi o triterpenoidi. Hanno una struttura simile al colesterolo
perché derivano dalla stessa biosintetica. Presenti in diversi legumi quali piselli, lenticchie, semi di
soia sono forti agenti surfattanti, portano alla formazione di schiume perché vanno a diminuire la
tensione superficiale dell’acqua, questa loro funzione è dovuta alla presenza di una parte lipofila
dovuta alle catene carburiche ed una parte idrofila dovuta agli zuccheri, quindi al glicoside.
- Lectine o emoagglutinine sono contenute nella famiglia delle leguminosae. Queste proteine ad alto
peso molecolare (PM 10 alla 5 Dalton) si legano in particolare agli zuccheri presenti sulle superfici
dei globuli rossi, provocandone la coesione e la glutinazione. I legumi infatti evoluzionisticamente
si mangiano cotti, perché la cottura va ad inattivare queste lectine.
- Alcaloidi sono molecole che generalmente contengono un ciclo con un atomo di N. Derivati da
piridina, piperidina o chinolizidina come gli alcaloidi dei lupini o del tabacco; alcaloidi tropanici
come tropina e pseudo tropina; alcaloidi chinolinici e alcaloidi isochinolinici come gli alcaloidi
dell’oppio; alcaloidi bisbenzilisochinolinici; alcaloidi indolici come gli alcaloidi dell’ergot,
stricnina; alcaloidi steroidei come i glicoalcaloidi; e gli alcaloidi purinici.
- Alcaloidi dell’ergot sono classi di molecole che provocano l’ergotismo, malattia, nel Medioevo era
conosciuto come fuoco di Sant’Antonio, presentava sensazione di bruciore alle estremità con
conseguente cancrena e disturbi mentali. Presente soprattutto in Francia e Germania in cui era
diffuso il consumo di segale. Gli alcaloidi dell’ergot sono prodotti da un parassita Claviceps
purpurae o ergot che va a creare dei cornini sulle spighe di segale, i cornini contengono queste
sostanze tossiche.
- Cumarine, l’8-metossipsoralene è presente nel sedano. Nel 1986 negli Stati Uniti c’era una varietà
resistente agli insetti conteneva 6,200 ppb di 8-metossipsoralene (invece di 800 ppb delle altre
varietà) portava gravi eruzioni cutanee e dermatiti perché le cumarine sono delle intercalanti del
dna vanno a posizionarsi al centro della doppia elica del dna, provocando dei danni.
Le cumarine sono presenti anche nel lime(Citrus aurantifolia) in cui sono presenti l’8-
metossipsoralene ed il 5-metossipsoralene. Frequenti i casi di fotodermatiti, arrossamento, tra i
bagnanti che «ingannano il tempo» sulle spiagge preparando il «margarita» e che si spruzzano
inavvertitamente il succo di lime sulla pelle.
- Fitoestrogeni sono molecole presenti nella soia in cui sono contenuti i glicosidi degli isoflavoni
daidzeina e genisteina. Alleviano i sintomi della menopausa ma in alte concentrazioni possono
alterare i cicli ormonali, inibire l’ovulazione e del ciclo mestruale, lesioni all’apparato
riproduttivo (in particolare, negli animali), sintomo visualizzato clover disease per la prima volta
in pecore australiane negli anni ’40 perché si alimentavano di trifoglio.
- Xantine, la dose letale è 10 g mentre la dose dannosa è >1 g. Provocano disturbi sensori,
insonnia, iperrespirazione, tachicardia, extrasistole, flash luminosi, mentre un eccesso
concomitante di caffeina e taurina può dare problemi cardiocircolatori.
- Ammine vasopressorie sono contenute nelle banane e nel platano, banana verde che si utilizza
fritta o cotta. Portano ad emicranie in individui sensibili. Malattie cardiache in Africa Orientale (fino
a 200 mg serotonina/die). Le ammine vasopressorie sono la Norepinefrina (banana 10 mg/100 g) –
Dopamina (banana 70 mg/100 g) – Tiramina (banana 8 mg/100 g) – Feniletilammina (cioccolato
10 mg/100 g) – Serotonina (banana 5 mg/100 g, platano 8 mg/100 g, pomodoro 1 mg/100 g).
- Nei Composti cianogenici è presente un gruppo ciano che può essere rimosso per idrolisi
generando acido cianidrico, il cianuro va a legarsi allo ione ferro dell’enzima citocromo ossidasi che
fa parte della catena respiratoria dei mitocondri, in questo modo si blocca la respirazione cellulare ,
impedisce l’utilizzo da parte dei tessuti e nei casi più gravi si arriva anche alla morte. Intossicazione
da acido cianidrico. Causa sono i glicosidi ciano genetici. La fonte sono semi di alcune Rosaceae,
mandorle amare (amigdalina), nocciolino interno delle albicocche, pesche, mele, semi di Linum
usitatissimum.
- Acido erucico. Sintomi sono il ridotto accrescimento, infiltrazione grassa a livello del miocardio e
del fegato. Causa è l’acido erucico, acido cis-13-docosenoico. La fonte sono olio di semi di alcune
Brassicaceae, Brassica napus (colza), Brassica rapa (rapa). Sono oli economici, quindi largamente
impiegati nell’industria, ma con un contenuto di acido erucico pari a 0.