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Acqua

L’acqua è il costituente principale del nostro organismo ed è ampiamente diffusa negli alimenti
(anche in quelli solidi!). Formula bruta: H2O, considerando gli isotopi (isotopo 1) per 1H2 ed
(isotopo 16) per 16O.
17O, 18O, 2H e 3H hanno contributi trascurabili negli alimenti.

La Birra contiene un 90% peso su peso (p/p) di acqua, la restante parte è composta da alcool
etilico, zuccheri ed altri composti. Nei succhi di frutta e nel latte la percentuale di acqua è
leggermente inferiore, è del 87%. Nelle bevande superalcoliche es. Whisky la percentuale è molto
minore è del 60% perché la restante parte è composta da alcol etilico.
Tabella – Acqua contenuta negli alimenti:
Lattuga e pomodori 95, Cavolo e broccoli 92, Carote e patate 90, Albume d’uovo 88, Tuorlo d’uovo
51. La frutta ha un po’ meno acqua della verdura: gli agrumi 87, Mele e ciliegie 85. Pollame crudo
72, Carne magra cruda 60, Spalmabili magri 50. Formaggio 37, Pane bianco 35, Salame 30,
Confettura 28, Miele 20 (grosse quantità di zuccheri limita la presenza d’acqua), Frutta secca 18,
Burro e margarina 16, Farina bianca 12, Pasta secca 12 e Latte in polvere 4 (tra gli alimenti
liofilizzati e disidratati).
La presenza di acqua è fondamentale per determinare le caratteristiche di conservabilità degli
alimenti.
In Italia per legge questa percentuale non può superare il 16%.

Confronto tra la molecola dell’Acqua H2O e quella dell’Acido solfidrico H2S, struttura simile ma
caratteristiche chimico-fisiche diverse:
Acido Solfidrico ha una temperatura di fusione di -86°C e una temperatura di ebollizione di -60°C,
molto basse, questo vuol dire che a temperatura ambiente l’acido solfidrico è una gas e bisogna
abbassare tanto la temperatura per averlo in forma liquido.
Acqua ha una temperatura di fusione di 0°C ed una temperatura di ebollizione di 100°C, molto più
elevate, l’acqua si comporta come se fosse una molecola avente un peso molecolare molto superiore
al suo. Le regioni risiedono nella polarità del legame Ossigeno-Idrogeno che infatti è molto
polarizzato, ha un 40% di carattere ionico. Inoltre l’acqua ha una conformazione tetraedrica in cui
due lobi del tetraedo sono occupati dai doppietti di non legame mentre gli altri due lobi dai legami
sigma con l’idrogeno. Questa conformazione favorisce la formazione di legami idrogeno tra gli
atomi di idrogeno (δ + ) e quelli di ossigeno (δ - ). In questi legami idrogeno che sono abbastanza
forti, l’idrogeno porta una parziale carica negativa o δ + e l’ossigeno porta una parziale carica
positiva o δ - .
Ogni molecola d’acqua è in grado di coordinare attorno a sé altre quattro molecole d’acqua
formando un reticolo tridimensionalmente molto esteso. In questo reticolo l’idrogeno è
continuamente in una posizione a metà tra il legame covalente ed il legame idrogeno.

Anche quando abbiamo l’acqua allo stato solido, ovvero il ghiaccio, la struttura di questo reticolo
tridimensionale formato dai legami idrogeno non è così statica come sembrerebbe. Anche alle
normali temperature di congelamento degli alimenti (attorno ai -20°C) c’è comunque una continua
oscillazione tra legame covalente e legame idrogeno.
Dobbiamo anche considerare che ci sono molecole d’acqua che non sono coinvolte in questo
reticolo tridimensionale ma anzi sono libere di fluire attraverso esso, in questo caso il ghiaccio.
Questo reticolo può essere destabilizzato da diversi fattori ad es. anche nell’acqua neutra sono
presenti a bassissime concentrazioni gli ioni idronio H3O+ e gli ioni idrossido OH-. Nonostante la
bassa concentrazione (10-7 M) questi ioni contribuiscono a destabilizzare il reticolo formato dagli
ioni idrogeno. E’ destabilizzato anche dalla presenza di soluti come ad es. il cloruro di sodio, sale.

Quando noi aumentiamo la temperatura aumenta il numero delle molecole di acqua libere cioè non
coinvolte in questi legami idrogeno. Questo processo è abbastanza lento, consideriamo che
nell’acqua appena fusa a 0°C il 90% delle molecole d’acqua è coinvolto in legami idrogeno, a 100°C
appena prima di bollire l’80% delle molecole è ancora coinvolto in legami idrogeno. Le molecole
non coinvolte nel reticolo sono organizzati in «cluster» di 200-300 molecole di acqua, piccoli
aggregati.

Confronto struttura ghiaccio ed acqua:


Nel ghiaccio la struttura è organizzata in cicli a 6 termini chiamati esameri o piranosi che possono
avere conformazione a sedia, più stabile termodinamicamente quindi presente in quantità
maggiore, o a barca, più instabile termodinamicamente quindi presente in quantità minore.
Nell’acqua invece abbiamo ancora i cicli a 6 termini esameri o piranosi in conformazione a barca o a
sedia ma abbiamo anche cicli a 5 termini pentameri o furanosi a conformazione planare.
L’aggregato di acqua ideale (del cluster - aggregato) è composto da 280 molecole d’acqua, in cui la
maggior parte sono presenti in conformazione piranosica a sedia, in misura minore in
conformazione furanosica planare ed infine in conformazione piranosica a barca.

La struttura dell’acqua comunque è molto dinamica basti pensare che la durata di un singolo
legame idrogeno è nell’ordine di picosecondi, ovvero 10 alla -12 sec. Questo vuol dire che ogni
molecola di acqua cambia orientamento 100 miliardi di volte in un secondo e la durata di ognuno
di questi cluster è di circa 10 nanosecondi, un nanosecondo sono 10 alla -9 sec.

La struttura dell’acqua inoltre può cambiare al variare della temperatura: a bassa temperatura è
favorita una struttura più espansa mentre salendo con la temperatura è favorita una struttura
collassata. In quella espansa la struttura è molto aperta e le molecole di acqua sono libere di fluire
attraverso i pori, mentre in quella collassata la geometria è meno rigida ed i membri a 5 e 6 termini
risultano distorti.

Quando noi aumentiamo la temperatura succedono due fenomeni che hanno un effetto opposto
sulla densità.
Il primo fenomeno è che aumenta il numero di molecole d’acqua che una singola molecola d’acqua
può coordinare, infatti nel ghiaccio una singola molecola di acqua può coordinare attorno a sé altre
4, nell’acqua liquida questo valore sale a 4.4 ed infine nell’acqua in prossimità dell’ebollizione si
arriva fino a 4.9. Questo fenomeno tenderebbe a far aumentare la densità dell’acqua.
Il secondo fenomeno è che all’aumentare della temperatura aumenta la distanza tra le molecole di
acqua, infatti nel ghiaccio i due atomi di ossigeno distano circa 2.76 Å nell’acqua appena fusa 2.9 Å e
prima dell’ebollizione 3.05 Å. Questo avrebbe un effetto di diminuzione della densità.
L’effetto finale è che nel passaggio da ghiaccio ad acqua aumenta la densità, si passa da una densità
di 0.9168 g/cm3 (0.92) a 0.9998 g/cm3 (1).

Al diminuire della temperatura si osservano gli effetti opposti.


Ci sono sempre questi due fenomeni che hanno un effetto contrapposto sulla densità.
Diminuendo la temperatura diminuisce il numero di molecole di acqua che ogni molecola può
coordinare.
La densità dunque tenderebbe a diminuire ma al contempo diminuisce la distanza tra le molecole di
acqua e quindi la densità tenderebbe ad aumentare. L’effetto finale è che raffreddando l’acqua da
100°C a 4°C ha un effetto prevalente la diminuzione della distanza intermolecolare e quindi la
densità dell’acqua aumenta. Continuando a raffreddando da 4°C a 0°C (congelamento) prevale
invece la diminuzione del numero di coordinazione e quindi la densità diminuisce. Infatti durante il
congelamento l’acqua aumenta il proprio volume del 9%.

Questo aumento di volume durante il congelamento è molto importante per gli ecosistemi
acquatici es. specchi di acqua dolce come i laghi. Questo perché il ghiaccio essendo meno denso
dell’acqua è in grado di galleggiarvi. In inverno in un lago succede che la superficie è a contatto con
l’ambiente
freddo, l’acqua si raffredda, aumenta di densità e scende verso il fondo creando moti convettivi che
contribuiscono al raffreddamento del lago.
Quando si arriva al valore di 4°C questo processo si arresta, l’acqua fredda rimane in superficie,
congela e fornisce uno strato isolante all’acqua sottostante che ne previene il congelamento
consentendo la vita delle specie presenti nel lago. Nei mari il sale presente abbassa la temperatura
di fusione a circa -2°C e la massima densità dell’acqua si raggiunge a 0°C. Le forme di vita si sono
adattate a vivere a temperature prossime allo 0°C. Inoltre dobbiamo considerare che congelando il
sale viene «espulso» dal ghiaccio (che galleggia in superficie) ed aumenta la salinità e la densità
delle acque sottostanti, che scendono verso il fondo.

Il congelamento nell’industria alimentare. Bisogna tener conto di questo aumento di volume delle
soluzioni acquose durante il congelamento es. nella progettazione degli stampi per i ghiaccioli.
Bisogna anche considerare il volume di liquido massimo con cui si può riempire lo stampo, è
necessario lasciare uno spazio di margine per la dilatazione del ghiaccio, per evitare che il liquido
fuoriesca dallo stampo durante il congelamento.

Effetti collaterali del congelamento. Frutta (es. fragole) e verdure fresche (es. pomodori, cetrioli,
insalata) non tollerano il congelamento questo perché durante il congelamento si formano dei
grossi cristalli di acqua che aumentando di volume vanno a rompere le pareti cellulari facendo
perdere di consistenza del prodotto e creando. Danni da congelamento alle colture in inverni
particolarmente rigidi o durante le gelate tardive.

Diagramma di stato dell’acqua.


Andando ad aumentare la pressione osserviamo una diminuzione della temperatura di fusione ed
un aumento della temperatura di ebollizione, al contrario diminuendo la pressione osserviamo un
aumento della temperatura di fusione ed una diminuzione della temperatura di ebollizione. Se noi
diminuiamo la pressione fino al di sotto del punto triplo arriviamo ad un punto in cui si passa
direttamente da solido a vapore senza passare dalla fase liquida e questo processo si chiama
sublimazione. Da solido a liquido si chiama fusione, da liquido a solido si chiama congelamento, da
vapore a liquido si chiama condensazione e da liquido a vapore si chiama evaporazione, infine da
solido a vapore si chiama sublimazione. Durante i passaggi di stato non si ha modifica della
temperatura perché non viene scambiato calore sensibile bensì calore latente.

Il diagramma di stato dell’acqua è importante in quanto molti processi di conservazione degli


alimenti si basano sull’eliminazione dell’acqua o comunque su una riduzione della sua
disponibilità.
Uno dei processi di conservazione degli alimenti più antico è l’evaporazione è un processo
attraverso cui tramite aria secca o calore viene ridotto o eliminato il contenuto di acqua di un
alimento, in particolare si parla di essiccamento se andiamo ad eliminare tutta l’acqua di un
alimento come ad esempio nei funghi secchi, oppure di concentrazione se andiamo ad eliminare
solo una parte dell’acqua come ad esempio succede nei concentrati di pomodoro. Un’altra tecnica di
conservazione degli alimenti che si basa sulla riduzione di disponibilità dell’acqua è il
congelamento, durante questo processo l’alimento viene portato ad una temperatura abbastanza
inferiore allo 0, intorno ai -20°C, in questo modo l’acqua è congelata e non è più disponibile per
la crescita dei microorganismi e per le reazioni enzimatiche. Infine l’ultimo processo è la
liofilizzazione, processo durante il quale l’alimento prima viene congelato, dopodiché viene
applicato un vuoto spinto che consente l’allontanamento di acqua passando direttamente da solido
a vapore, dunque ipersublimazione, è un processo adatto ad alimento termosensibili ed è anche un
processo molto dispendioso quindi viene effettuata la liofilizzazione solo per alimenti ad alto
valore aggiunto come ad esempio il caffè in polvere.
Interazioni dell’acqua negli alimenti

Interazioni acqua – carboidrati:


Acqua – Glucosio
Il glucosio ha 5 gruppi ossidrilici (OH) capaci di creare interazione con le molecole di acqua, in
particolare ogni molecola di glucosio è in grado di coordinare quasi 4 molecole di acqua.
Inoltre osservando la struttura del glucosio si può notare che la distanza tra gli ossigeni ossidrilici è
molto simile alla distanza tra gli atomi di ossigeno delle molecole di acqua impegnate nel reticolo
tridimensionale. Questa distanza è attorno ai 4.9 Å. Ne consegue che la molecola di glucosio ha la
corretta dimensione e struttura per inserirsi nel reticolo formato dalle molecole d’acqua.

Al contrario nel ghiaccio questa interazione non è molto favorita perché le ghiaccio le molecole di
acqua sono più distanziate quindi vengono a mancare i requisiti tridimensionali per l’inserimento
del glucosio nel reticolo formato dal ghiaccio. Ne consegue che la presenza di glucosio in una
soluzione acquosa ne ritarda il congelamento. Importante per l’industria dei dessert (semifreddi,
gelati e prodotti cremosi in generale) perché ritardando la formazione del ghiaccio il glucosio rende
la consistenza più cremosa e più gradevole.

Altri polioli hanno le stesse interazioni con le molecole di acqua ovvero sono in grado di formare
forti legami idrogeno. Un poliolo è una molecola che ha più gruppi alcolici. Nella slide per
confronto riporta il glicerolo, molecola a 3 atomi di C con 3 gruppi OH, ed il glicole etilenico che è
una molecola a 2 atomi di C con 2 gruppi OH. Entrambe queste molecole sono formare forti legami
idrogeno con l’acqua, quindi sono in grado di legare molta acqua e ritardano la formazione del
ghiaccio. Il glicerolo è comunemente utilizzato come additivo negli alimenti con la sigla E422 ed ha
funzione dolcificante, umettante ed emulsionante, può trovarsi in: caramelle, aromi, liquori,
sciroppi, prodotti da forno, alimenti dietetici.
Al contrario, il glicole etilenico è molto tossico, bastano 30 ml per essere letale per ingestione, non
può assolutamente esser utilizzato negli alimento. E’ utilizzato come antigelo nei motori o per la
produzione di resine e fibre. Sfortunatamente ci sono stati casi in cui il glicole etilenico è stato
ritrovato negli alimenti a causa di frodi alimentari, in particolare era stato utilizzato nei vini per
sostituire il glicerolo, prodotto naturalmente come metabolita secondario dalla fermentazione dei
lieviti.

Un polisaccaride è un polimero costituito da molte unità zuccherine quindi presenta tantissimi


gruppi ossidrilici che possono formare legami idrogeno con l’acqua. Un esempio è l’agar-agar, un
additivo utilizzato negli alimenti con la sigla E406. E’ un polimero costituito da centinaia e centinaia
di unità di galattosio unite insieme da legami glicosidici ed è normalmente estratto dalle alghe.
Basta 1.5% p/v per dare gel solidi, questo equivale a dire che ogni singola molecola di galattosio
lega 550 molecole di acqua.
Questi polisaccaridi formano dei reticoli nelle cui maglie l’acqua rimane trattenuta per capillarità,
come se fosse un spugna. L’agar-agar viene utilizzato nella produzione di gelatine e dolci oltre che
come solidificante o addensante nelle piastre microbiologiche.

Interazioni acqua – lipidi:


Mescolando in un bicchiere acqua ed olio essi formano due fasi ben distinte con l’acqua più densa
sotto e l’olio meno denso sopra. Provando a mescolare energicamente questa soluzione otteniamo
una dispersione di goccioline di olio in acqua che lentamente confluiscono verso l’alto e vanno a
riunirsi in un’unica grande fase. Alla base di questo comportamento ci sono delle ragioni
termodinamiche: l’acqua è un composto polare in grado di creare legami idrogeno mentre i lipidi
sono molecole apolari che interagiscono tra di loro tramite forze di dispersione di London, ne
consegue che una molecola lipidica per sciogliersi in acqua deve andare a rompere un gran numero
di legami idrogeno e questo è un processo energeticamente dispendioso e quindi sfavorito e
ovviamente più il lipide è grosso, quindi più è alto il peso molecolare della molecola lipidica
maggiore sarà l’energia necessaria perché deve andare a rompere più legami idrogeno quindi più
il processo sarà sfavorito. Inoltre, il numero di legami idrogeno da rompere nel caso di più
goccioline di olio separate tra di loro è maggiore che se fossero fuse assieme, le goccioline di olio
tendono ad unirsi tra loro per occupare la stessa cavità nell’acqua (fenomeno della coalescenza).
Acqua- proteine
Le proteine sono dei polimeri composti da amminoacidi legati da legame peptidico. Gli amminoacidi
hanno 20 diverse catene laterali che sono classificabili in 3 diverse tipologie:
– Polari ionizzabili ovvero cariche negativamente come l’acido aspartico e l’acido glutammico
oppure positivamente come la lisina e l’arginina.
– Polari neutre come la serina e la treonina.
– Apolari come valina, leucina, isoleucina ecc.
Le proteine hanno funzioni metaboliche nella cellula e si trovano di solito in ambiente acquoso, ne
consegue che la struttura si ripiega in una struttura terziaria in cui di solito i residui degli
amminoacidi apolari sono rivolti verso l’interno della proteina mentre quelli polari carichi o neutri
sono rivolti verso l’ambiente esterno acquoso in modo da tenere la proteina in soluzione.
Inoltre la solubilità delle proteine in acqua dipende dal pH, al variare del pH varia lo stato di carica
delle catene laterali ionizzabili, cambia quindi la loro solubilità in acqua.
- Grazie alle catene laterali polari degli amminoacidi, le proteine sono in grado di legare molecole
d’acqua ed in particolare gli amminoacidi più efficienti nel legare l’acqua sono quelli carichi
negativamente come il glutammato (acido glutammico) e aspartato (acido aspartico) che legano
fino a 6 molecole d’acqua.
Meno efficienti sono le catene laterali degli amminoacidi carichi positivamente come la lisina e
arginina che legano fino a 4 molecole d’acqua.
Infine gli amminoacidi con catena laterale polare ma neutra con in grado di legare 2 molecole
d’acqua.
Gli amminoacidi con catene laterali cariche sono più efficienti nel legare molecole d’acqua perché
riescono ad orientare strati di molecole d’acqua polarizzata.
Esempio applicato sulla carne: la carne fresca non ha un pH neutro ma un pH leggermente acido di
circa 5,5 che durante la glicolisi post-mortem dell’animale viene prodotto acido lattico quindi con
carne fresca avrò un pH di 5,5 con una certa capacità di trattenere l’acqua. Se io abbasso il pH di un
omogeneizzato a 3,5 andrò a protonare le catene laterali di lisina e arginina che sono in grado di
legare 4 molecole d’acqua ciascuno quindi avrò aumentato la capacità dell’omogeneizzato di
trattenere l’acqua ottenendo quindi un prodotto più cremoso e con un peso più alto.
- La denaturazione delle proteine può talvolta aumentarne la capacità di legare l’acqua.
La proteina nativa presenta alcuni gruppi (prevalentemente apolari) nascosti all’interno della
struttura. Andando a denaturare la proteina questa perde la sua struttura terziaria ed i legami
peptidici (polari) della parte interna della proteina vengono esposti, e sono quindi in grado di
legare acqua.
In altri casi la denaturazione diminuisce notevolmente la capacità di legare l’acqua questo succede
quando le interazioni proteina-proteina superano le interazioni acqua-proteina, in tal caso le
proteine aggregano tra di loro, coagulano e perdono completamente la capacità di trattenere acqua.
E’ quello che succede alla carne arrosto, questa è abbastanza asciutta proprio perché le proteine
vanno incontro ad una forte denaturazione causando l’espulsione d’acqua.
- La presenza di sali influenza la capacità di legare l’acqua delle proteine.
Fino a basse concentrazioni di circa 1 M molare il sale ha un effetto favorevole sulla solubilità in
acqua delle proteine, fenomeno del salting-in, questo perché i gruppi laterali polari delle proteine
legano anioni e cationi derivanti dai sali, che sono a loro volta si portano dietro una grande quantità
di acqua legata mantenendo la proteina in soluzione. I sali comunemente impiegati in industria
alimentare sono cloruro di sodio ed il potassio.
Al contrario ad alta concentrazione salina superiore a 1-2 M, si osserva il fenomeno del salting-out,
questo si verifica perché gli anioni e cationi vanno a legare una grande quantità di acqua e quando
sono ad alte concentrazioni entrano in competizione con le proteine per legare l’acqua quindi le
proteine aggregano, precipitano e perdono completamente la capacità di legare l’acqua.
Il salting-out è raro alle concentrazioni di sale normalmente impiegate nell’industria alimentare.
Il salting-in al contrario è utilizzato nell’industria alimentare. Ad es. in alcuni salumi (es. pancetta o
prosciutti ottenuti con metodo Wiltshire) viene iniettata con appositi dispositivi una salamoia nei
tessuti muscolari. Il sale presente favorisce la solubilizzazione delle proteine miofibrillari, actina e
miosina, che gelificano, migliorano la consistenza del prodotto e la capacità di trattenere acqua. Ne
aumenta il peso ed inoltre il salume è più morbido.
Anche durante la produzione del prosciutto, dopo la salatura in salamoia o a secco, viene effettuato
un massaggio, serve a favorire la penetrazione del sale all’interno del muscolo ma anche a favorire
l’estrazione delle proteine miofibrillari che gelificano e conferiscono una migliore consistenza al
prodotto finito. Esempi di alimenti costituiti da una fase grassa ed una fase magra: carne macinata o
salsicce sono costituiti da una frazione grassa, ricca in lipidi, ed una frazione magra, ricca di acqua,
tendenzialmente queste due parti tenderebbero a separarsi, a non interagire tra di loro.
Fortunatamente nella carne sono presenti le proteine miofibrillari che grazie all’azione anche dei
sali vengono solubilizzate. Queste hanno dei residui polari (in grado di legare l’acqua della parte
magra), che apolari (in grado di legare i grassi). Le proteine della carne fanno sì che fase magra e
grassa stiano assieme e diano un impasto coeso, svolgono un ruolo fondamentale di emulsione.
Per favorire l’estrazione dalle fibre muscolari e la solubilizzazione di queste proteine, si utilizzano
classicamente sali di fusioni o emulsionanti, il più diffuso il cloruro di sodio, ma anche fosfati,
polifosfati, citrati e tartrati di sodio e di potassio.
I sali emulsionanti sono impiegati anche nell’industria lattiero casearia, liberano le molecole di
caseina dalle micelle caseiniche per favorire l’emulsione del grasso, conferendo una maggiore
cremosità.

L’acqua negli alimenti


Molte proprietà degli alimenti sono determinate dal loro contenuto d’acqua e dalla disponibilità che
l’acqua ha in questi alimenti.
Lo sviluppo microbico dipende dall’acqua a disposizione per la crescita.
La disponibilità dell’acqua si misura con un parametro che è l’attività dell’acqua o AW, è definita
come la tensione di vapore dell’acqua nell’alimento portata alla tensione di vapore nell’acqua pura:
𝐴𝑤 = 𝑝/𝑝0
Esiste una relazione che lega l’attività dell’acqua con l’umidità relativa all’equilibrio, ed in particolare
l’attività dell’acqua in un alimento è uguale all’umidità relativa all’equilibrio nello spazio di testa
dell’alimento diviso 100:
𝐴𝑤 = 𝐸𝑅𝐻/100
Nota questa relazione si può prevedere se un alimento tenderà ad assorbire umidità o ad
essiccarsi, dato un certo valore di umidità ambientale.
Es. se noi lasciamo un cracker che ha un’attività dell’acqua molto bassa in un ambiente con
un’umidità relativa molto alta, questo tenderà ad assorbire l’acqua, perdendo la croccantezza e
diventando più molle. Al contrario se noi prendiamo un alimento con un’attività dell’acqua più alta
come ad es. una fetta di formaggio e lo lasciamo in un ambiente con un’umidità relativa bassa il
formaggio comincerà a cedere acqua quindi ad essiccarsi. Questa relazione è fondamentale per la
conservazione degli alimenti.
Tabella - Alimento ed attività dell’acqua (aw)
Carne fresca 0.98, molto elevata, molto deperibile.
Formaggio 0.97, infatti dopo il taglio e l’apertura si conserva in frigo.
Conserve 0.88, lo zucchero abbassa l’attività dell’acqua.
Salame 0.83, aw più bassa, ne aumenta la conservabilità.
Frutta essiccata 0.76
Miele 0.75, molto bassa, prodotti stabili.
Pasta secca 0.50
Non c’è correlazione tra contenuto di acqua ed attività dell’acqua!
Aw è fondamentale perché lieviti, batteri e muffe possono crescere solo al di sopra di determinati
valori di attività dell’acqua.
Tabella - Microrganismo ed attività dell’acqua (aw)
Batteri comuni 0.91, questi possono crescere solo ad aw superiori a 0.91.
Lieviti comuni 0.88
Muffe comuni 0.75
Batteri alofili 0.75, più resistenti.
Muffe xerofile 0.65
Lieviti osmofili 0.60
Al di sotto di questi valori l’alimento è abbastanza stabile dal punto di vista microbiologico.
Abbiamo poi alcuni batteri, muffe o lieviti che sono in grado di crescere anche ad aw inferiori a
0.75, come batteri alofili, muffe xerofile e lieviti osmofili.
Batteri alofili: possono crescere anche ad alte concentrazioni di sale. Si trovano negli ambienti
salmastri e nei pesci marini.
Muffe xerofile: possono crescere in ambienti secchi e condizioni di siccità, come nella frutta
essiccata.
Lieviti osmofili: possono vivere ad alte concentrazioni di soluti, ad esempio zuccheri., le potremmo
ritrovare nelle confetture e nel miele.
Questi microrganismi hanno cellule ricche di soluti, in modo da non disidratarsi in ambienti ad alta
pressione osmotica, nei batteri in particolare questi soluti sono amminoacidi come acido
glutammico o prolina, mentre nei lieviti e nelle muffe questi soluti sono dei polioli come il glicerolo,
ed il ribitolo. Questi microrganismi causano una degradazione del prodotto, ma non pericolosi per
la salute umana.
Determinazione dell’acqua

Tipologie di acqua in un alimento ad elevata umidità, classificabili in 4 diverse tipologie:

Acqua vicinale (≈0.5% dell’acqua presente nell’alimento, aw<0.25) sono le molecole di acqua
che formano legami idrogeno o dipolo-dipolo con i soluti o gli altri componenti dell’alimento
(proteine, zuccheri, ..). È un mono strato continuo di molecole d’acqua che si dispone attorno
alle
altre molecole costituenti l’alimento. Non congela alle normali temperature impiegate nell’industria
alimentare, quindi è sempre presente in forma liquida.

Acqua multistrato (≈3%, 0.25<aw compresa tra <0.80) sono le molecole d’acqua che circondano
l’acqua vicinale. Formano qualche interazione debole coi soluti e gli altri componenti dell’alimento,
ma in prevalenza formano legami idrogeno con altre molecole d’acqua. Non congela alle normali
temperature utilizzate per la conservazione degli alimenti, presente in forma liquida.

Acqua intrappolata (fino al 96%, aw>0.80) si comporta come le soluzioni saline diluite, ha un
abbassamento del punto crioscopico ed ha le proprietà di un solvente. È trattenuta per capillarità
all’interno dell’alimento, es. all’interno della struttura di gel o tessuti.

Acqua libera (fino al 96%, aw>0.80) si comporta come l’acqua pura.


Può fuoriuscire dall’alimento con una lieve pressione, come quando spremiamo un’arancia.

Nella slide c’è un grafico di Isoterma di assorbimento/desorbimento, in cui in ascissa abbiamo aw,
in ordinata il contenuto di acqua di un alimento.
Quando abbiamo un alimento composto da più parti a diversa aw, l’acqua tende a spostarsi dalla
parte dell’alimento a più alta aw a quella a più bassa aw, per raggiungere equilibrio.
Questo è importante per gli alimenti multi ingrediente, pensiamo es. al muesli, nel muesli c’è la
frutta che tende ad avere aw alta ed i cereali secchi che invece hanno aw bassa, dunque l’acqua
tenderebbe a migrare dalla frutta ai cereali, rendendo la frutta più secca ed i cereali più morbidi.
Dando un prodotto meno gradevole al consumatore.
Per renderlo stabile bisogna che tutti i componenti di quell’alimento abbiano la stessa aw,
aggiungendo per es. zuccheri alla frutta che ne abbassino l’attività dell’acqua oppure tenendo
uno dei due componenti in una busta separata d’aggiungere solo al momento dell’uso.
Di solito aggiungendo acqua ad un prodotto alimentare aumenta il contenuto d’acqua ma aumenta
anche l’aw, ma questa è una caratteristica intrinseca dell’alimento e dipende anche dalla
temperatura. L’isoterma dunque varia da alimento ad alimento e cambia anche a seconda della
temperatura. Possiamo vedere che fino ad aw di 0,25/0,3 abbiamo il monostrato di acqua
fortemente legata, da aw di 0,3 a 0,8 abbiamo l’acqua multistrato, dopodiché abbiamo l’acqua libera
e l’acqua intrappolata.
Isoterma di assorbimento/desorbimento di solito non sono sovrapposti per il fenomeno
dell’isteresi.

Le attività microbiche hanno un massimo ad aw prossime al valore di 1, perché i microrganismi


hanno a disposizione molta acqua per la loro crescita. Diminuendo l’aw diminuisce l’acqua
disponibile per la crescita dei microrganismi, per le loro attività metaboliche e per mantenere
l’omeostasi della cellula. La crescita dei microrganismi diminuisce notevolmente passando
esattamente da aw≈1 ad aw≈0.6, non ci sono dunque più microrganismi in grado di crescere.

Le reazioni enzimatiche subiscono un brusco calo passando da aw≈0.9 ad aw≈0.8, a causa della
denaturazione dell’enzima (proteina) per mancanza di acqua di solvatazione o diminuita mobilità
dei substrati, dei reagenti.
La reazione di Maillard (o imbrunimento non enzimatico).
Un zucchero va a reagire con un amminoacido per dare una reazione a cascata che va a generare
pigmenti bruni e aromi tipici del pane e degli altri prodotti da forno.
L’imbrunimento non enzimatico ha un massimo ad aw intorno a 0,7. Ad aw più alta la reazione è più
lenta perché i substrati della reazione sono più diluiti. Raggiunge un max di 0,7 poi subisce un calo
aumenta la sua velocità diminuendo aw fino a ≈0.6, perché eliminando l’acqua i reagenti sono più
concentrati. Oltre a questo valore, la sua velocità torna a diminuire fino a aw di ≈0.2 alle quali è
inibita, per effetto della ridotta mobilità dei reagenti.

La reazione di ossidazione avviene per reazione dell’ossigeno con i lipidi, in particolare con quelli
saturi. Ha un massimo aw 0,7 e minimo 0,4 perché i reagenti hanno una mobilità minore, dopodiché
torna ad aumentare fino ad un massimo aw prossima allo 0, questo perché ad aw così basse, ovvero
inferiori agli 0,25/0,3 noi andiamo ad eliminare lo strato di acqua vicinale che era quello che
ricopriva le molecole degli alimenti andando a proteggerle dalla reazione di ossidazione.

L’acqua può esser determinata attraverso due caratteristiche:


Contenuto d’acqua è la percentuale di acqua p/p, quella che può essere per es. presente in un
etichetta di un prodotto oppure l’attività dell’acqua AW che misura la disponibilità dell’acqua per la
crescita microbica, le reazioni enzimatiche ecc.
Il contenuto di acqua (es. tabella nutrizionale), può essere misurata attraverso
– Metodo gravimetrico
– Metodo volumetrico
– Reazione chimica
L’attività dell’acqua (es. stabilità dell’alimento) può esser misurata per
– Confronto con soluzioni saline ad aw nota
– Strumentalmente

Determinazione del contenuto dell’acqua - metodi

Metodo gravimetrico, metodo ufficiale per la determinazione dell’acqua.


Questo prevede l’essicamento in stufa a 105°C per 24 h per il campione, praticamente si pesa il
campione, cioè l’alimento, si mette in stufa e durante questo tempo tutta l’acqua presente
nell’alimento evapora. Dopodiché si tira fuori il campione dalla stufa, si lascia raffreddare
nell’essicatore e si torna a pesare. Dunque il contenuto d’acqua in percentuale sarà determinabile
con la formula: 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑢𝑚𝑖𝑑𝑜 − 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑐𝑜 / 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑢𝑚𝑖𝑑𝑜 × 100
Questo metodo ha alcune limitazioni, infatti
Le alte temperature della stufa possono degradare composti termosensibili (es. zuccheri) o
allontanare composti volatili (es. acidi grassi a corta catena) andando a falsare la pesata.
Siccome è un processo di essiccamento è importante massimizzare il rapporto superficie – volume,
dunque i campioni solidi vanno macinati, quelli cremosi vanno spalmati in uno strato il più sottile
possibile. Il processo di essiccamento è terminato quando il campione mantiene un peso costante.

Metodo volumetrico, si mette il campione in un pallone, si fa una distillazione in un apparato di


Dean Stark. Scaldando il campione, l’’acqua evapora dal campione alimentare, condensata in un
refrigerante e ricade in una provetta graduata. Noto il volume di acqua raccolto dalla provetta e
rapportandolo al peso iniziale del campione, si può calcolare il contenuto di acqua con la formula
precedente.

Reazione chimica, ad es. con una Titolazione di Karl Fischer. Metodo non adatto per alimenti
eterogenei (vegetali e carne) ma adatto per alimenti ad alto contenuto di zuccheri, termolabili o
ricchi in sostanze volatili per i quali al contrario non è consigliabile l’essicamento in stufa.
Si basa sulla reazione dell’anidride solforosa con lo iodio e l’acqua da acido solfidrico ed acido
iodidrico. L’alimento viene disperso in metanolo/piridina/anidride solforosa e viene titolato con
una soluzione di iodio fino a viraggio, fino al cambiamento del colore.
SO2 + I2 + 2H2O  H2SO4 + 2 HI
Tutti i metodi appena visti sono metodi distruttivi, ovvero la porzione di alimento che viene
utilizzato per la determinazione non può più essere utilizzata.
Ci sono anche metodi non distruttivi in cui possiamo andare a recuperare i campioni:

NIR, Near Infra Red Spectroscopy, la spectroscopia vicino infrarosso. L’acqua ha delle bande di
assorbimento caratteristiche a 1,94 µm (micron) e a 2,08 µm e attraverso l’intensità di queste
bande si può calcolare il contenuto di acqua. Inoltre il vantaggio di questa tecnica è che si possono
calcolare allo stesso tempo i contenuti di proteine e lipidi che hanno anche essi bande di
assorbimento specifiche.

NMR (Nuclear Magnetic Resonance), risonanza magnetica nucleare. L’acqua anche in questo caso
dà dei picchi di assorbimento specifici e attraverso l’intensità di questi picchi può essere
determinato il contenuto di acqua.

Determinazione dell’attività dell’acqua, la sua disponibilità per la crescita microbica e le reazioni


enzimatiche - metodi

Un primo metodo consiste nel confrontare l’alimento in questione con soluzioni saline ad aw nota.
Il campione è posto in un contenitore ermetico assieme ad una soluzione di riferimento con aw
superiore a quella del mio campione, il campione tenderà ad assorbire acqua ed aumenterà di
peso. Al contrario se io lo confronto con una soluzione che ha aw minore, il mio campione tenderà
a cedere acqua e perdere peso:
– aw campione < aw soluzione: il campione assorbirà acqua e aumenterà di peso
– aw campione > aw soluzione: il campione perderà acqua e diminuirà di peso
Quando invece lo metterò in un contenitore ermetico con una soluzione salina che avrà stessa aw
rimarrà uguale e quindi io saprò l’aw del mio campione.

Secondo metodo – strumentalmente, mediante un sensore misura l’umidità dell’aria all’equilibrio


nello spazio di test del campione.
Carboidrati – a basso peso molecolare costituiti da una sola unità saccaridica, Monosaccaridi

I carboidrati sono composti organici formati da carbonio, idrogeno e ossigeno, la loro formula bruta
più comune negli alimenti è (CH2O)n. Si possono classificare a seconda del numero di unità che li
compongono: monosaccaridi (una unità), oligosaccaridi (poche unità) o polisaccaridi (molte unità)
Col termine comune «zuccheri» ci si riferisce generalmente ai mono- e disaccaridi, che hanno
sapore dolce.

Tabella – contenuto di zuccheri nelle bevande più utilizzate:


Porto 12, vino molto dolce e liquiroso.
Cola 10.5, se beviamo mezzo litro di cola o aranciata mangiamo circa 50 gr di zucchero, 4
cucchiai da cucina colmi.
Vino bianco amabile 3.4, + alto del vino rosso perché se interrompiamo la fermentazione alcolica
quando ci sono ancora dei residui zuccherini, ad es. per ottenere un vino dolce o amabile
abbiamo un contenuto + alto.
Birra amara 2.3
Birra lager 1.5
Vino rosso 0.3, basso, nonostante l’uva presenti il 15% di zuccheri, perché i zuccheri presenti
inizialmente vengono utilizzati dai lieviti per la fermentazione alcolica e quindi non sono più
presenti nel prodotto finito.

Tabella – contenuto di zuccheri in prodotti a base di cereali:


Torta alla frutta 48.4
Fiocchi di mais zuccherati 41.9
Biscotti allo zenzero 35.8
Cheesecake 22.2
Biscotti secchi 13.6
Fiocchi di mais 8.2
Pane bianco 2.6, basso. E’ ricco di carboidrati complessi quindi di amido.

Tabella – contenuto di zuccheri dei prodotti di origine animale:


Miele 76.4
Sorbetto al limone 34.2
Gelato alla crema 22.1
Yogurt alla frutta 15.7
Yogurt bianco 7.8
Latte umano 7.2
Latte vaccino intero 4.8
Salsiccia di manzo 1.8
Formaggio stagionato 0.1, lattosio utilizzato dai batteri lattici per la fermentazione e durante la
stagionatura ed è stato trasformato in acido lattico, formaggio a pasta dura o molto stagionati come
ad es. grana padana o parmigiano reggiano possono essere proprio per questo mangiati da soggetti
con intolleranza al lattosio, perché il lattosio è stato quasi totalmente consumato dai batteri lattici.

Tabella – contenuto di zuccheri nelle verdure:


Barbabietola grezza 7.0, substrato da cui si ricava il comune zucchero da tavola insieme alla canna
da zucchero.
Fagioli in scatola 5.9
Cipolla cruda 5.6
Cavolo crudo 4.0
Piselli surgelati 2.7
Patate novelle 1.3, ricche di carboidrati complessi quindi di amido, come per il pane.
Sia nella farina di frumento, sia nelle patate in generale negli alimenti contenenti amido, il
contenuto di zuccheri a basso peso molecolare aumenta con l’invecchiamento del prodotto per es.
farine stoccate per lunghi periodi o in patate stoccate, perché sia nella farina, sia nelle patate sono
presenti degli enzimi endogeni chiamati alfa amilasi che scindono l’amido in composti più piccoli
come maltosio, glucosio ecc… quindi il contenuto zuccherino tende ad aumentare durante lo
stoccaggio.

Tabella – contenuto di zuccheri


Uvetta 69.3, è stata evaporata l’acqua e gli zuccheri si sono concentrati.
Confettura 69.0
Cioccolato fondente 59.6
Banane 20.9, frutto dolce.
Uva 15.4, si alza che essicchiamo l’uva per ottenere l’uvetta.
Mele da mangiare 11.8
Mele da cuocere crude 8.9
Arance 8.5
Arachidi 6.2

Struttura dei monosaccaridi


Hanno uno scheletro lineare di atomi di carbonio (da tre a otto unità), i più comuni hanno cinque o
sei atomi di carbonio. Nella molecola è presente un gruppo carbonilico (aldeide, nel caso degli
zuccheri aldosi, o chetone, nel caso degli zuccheri chetosi).
Ogni altro atomo di carbonio è legato simultaneamente ad un atomo di idrogeno e ad un gruppo
ossidrilico. Il suffisso «-osio», per indicarli: 3C triosi, 4C tetrosi, 5C pentosi, 6C esosi, 7C eptosi, 8C
ottosi. Gruppo aldeidico o chetonico: «aldo-» e «cheto-». Ogni atomo di carbonio (escluso il
carbonile e i carboni all’estremità della catena) è un centro chirale perché legato a quattro
sostituenti diversi e consegue che si possono avere diversi isomeri ottici.
Configurazione D ed L si riferisce alla configurazione dell’atomo di carbonio chirale più lontano
dal carbonile. Storicamente si utilizza per confronto la gliceraldeide: se OH, l’ossidrile, legato a
questo atomo di carbonio è in posizione destra avremo uno zucchero della serie D, analogo alla
D-gliceraldeide che è destrogira cioè ruota il piano della luce polarizzata a destra, al contrario
se
OH, l’ossidrile, è in posizione sinistra avremo gli zuccheri della serie L, analogo alla L-gliceraldeide
che è levogira cioè ruota il piano della luce polarizzata a sinistra. Gli zuccheri più diffusi negli
alimenti hanno configurazione D.
- Aldosi
Aldotrioso è 1, la Gliceraldeide
Aldotetrosi sono 2, Eritrosio e Triosio
Aldopentosi sono 4, Ribosio, Arabinosio, Xilosio e Lixosio
Aldoesosi sono 8, Allosio, Atriosio, Glucosio, Mannosio, Gulosio, Idosio, Galattosio e Talosio.
Solo alcuni di questi però hanno rilevanza nell’alimentazione, ad es.
Ribosio, costituisce rna o acido ribonucleico e l’adenosinatrifosfato o atp.
Arabinosio e Xilosio costituiscono polisaccaridi più complessi che sono presenti nelle emicellulose e
nelle pectine, componenti della parete cellulare dei vegetali.
Glucosio, prodotto della fotosintesi e combustibile della respirazione cellulare.
Mannosio va a costituire polisaccaridi più complessi che rientrano nella composizione di alcune
mucillagini che sono sostanze di protezione di alcuni semi come ad es. la carruba, questi
polisaccaridi sono utilizzati come addensanti in diversi tipi di prodotti alimentari.
Galattosio, legato al glucosio va a costituire il lattosio, disaccaride che costituisce lo zucchero del
latte.
- Chetosi
Chetotrioso è 1, Diidrossiacetone
Chetotreoso è 1, Eritrulosio
Chetopentosi sono 2, Ribulosio e Xilulosio
Chetoesosi sono 4, Psicosio, Fruttosio, Sorbosio e Tagatosio.
L’unico di rilevanza alimentare è il fruttosio, isomero del glucosio è lo zucchero presente nella
frutta, con maggior potere dolcificante, per ottenere un prodotto con la stessa dolcezza è necessario
utilizzare un quantitativo molto inferiore di fruttosio rispetto al saccarosio o al glucosio. E’ questo il
motivo per cui a volte è indicato nelle diete ipocaloriche.

Struttura degli zuccheri


Nella struttura il carbonile è indicato come gruppo riducente. Gli ossidrili presenti possono
andare a dare attacco nucleofilo al carbonile in modo da formare un emiacetale ciclico. Il carbonio
carbonilico è planare perché ibridizzato sp2 quindi l’attacco dell’ossigeno ossidrilico può avvenire
sia da sopra sia da sotto, ho due possibili conformazioni del prodotto finale (alfa e beta) ovvero
l’ossidrile quindi può essere in posizione opposta rispetto al C6 o dallo stesso lato dell’anello
rispetto al C6. La struttura favorita è quella che presenta un maggior numero di sostituenti
ingombranti in equatoriale nella struttura sedia.

Anche gli zuccheri chetosi possono ciclizzare e dare origine ad emiacetati ciclici.
Es. l’ossidrile del fruttosio va a dare attacco nucleofilo al carbonile e genera un emiacetale ciclico,
anche in questo caso il carbonile è planare perché ibridizzato ad sp2 quindi l’attacco dell’ossigeno
ossidrile può avvenire sia da sopra sia da sotto (alfa e beta, due possibili conformazioni).
Tutti gli ossigeni possono andare a dare attacco nucleofilo la carbonile ma i cicli favoriti sono
quelli a 5 o a 6 termini perché sono termodinamicamente più stabili. I cicli a 5 termini si chiamano
furanosi mentre quelli a 6 si chiamano piranosi.
Quindi quando io pongo uno zucchero in soluzione acquosa, ho potenzialmente 5 strutture diversi
presenti, tutte all’equilibrio, una è quella aperta presente in quantità minoritaria (0.02%, ma è
quella che darà origine alla maggior parte delle reazioni degli zuccheri), poi ho due strutture
cicliche a 6 termini o piranosi in conformazione alfa e beta e due strutture cicliche a 5 termini o
furanosi in conformazione alfa e beta.

La mutarotazione degli zuccheri


Ognuna di queste diverse conformazioni avrà diverse proprietà di ruotare la luce polarizzata, avrà
dunque una sua rotazione ottica specifica.
La rotazione ottica specifica delle diverse forme pure cristalline (es. α-Dglucopiranosio e β-D-
glucopiranosio) sono diverse (+112° e +19°) Quando si solubilizzano le forme cristalline pure di
uno zucchero (ad esempio solo la forma α), questa inizia a convertirsi nella forma β (passando per
la forma aperta), fino al raggiungimento dell’equilibrio. Si osserva quindi una variazione continua
del valore di rotazione ottica osservata fino al raggiungimento dell’equilibrio (+52°), questo
fenomeno si chiama muta rotazione. Esiste una formula che lega la rotazione ottica osservata con la
concentrazione di zucchero presente in soluzione:
[α]𝐷20 = 𝛼/𝑙 × 𝑐
dove:
[α]D20 = rotazione specifica a 20°C usando come sorgente luminosa la linea D del sodio
α = rotazione osservata al polarimetro
l = lunghezza del cammino ottico
c = concentrazione di zucchero in g mL-1

Reazioni degli zuccheri:


- Ossidazione ad acidi –onici, il gruppo aldeidico può essere ossidato a gruppo carbossilico ad es.
dal glucosio si può ottenere l’acido D- glicuconico. Questa reazione di ossidazione può essere
catalizzata da agenti ossidanti chimici ad es. permanganato ma anche da enzimi come ad es. la
glucosio ossidasi. Durante la reazione si libera acqua ossigenata in quantità stechiometrica:
andando a determinare l’acqua ossigenata che si genera con l’enzima per ossidasi posso risalire alla
quantità iniziale di glucosio, reazione alla base dei kit per la misura del glucosio ematico per es. nei
soggetti diabetici. La glucosio ossidasi è utilizzata per rimuovere le tracce di glucosio dalle uova,
limitando la reazione di Maillard (imbrunimento non enzimatico).
- Ossidazione ad acidi –uronici
Se ad ossidarsi non è il gruppo aldeidico ma il C6 otterremo acidi uronici, ad es. dal glucosio si
otterrà l’acido glucuronico.
L’acido D-galatturonico è il principale monosaccaride costituente di polisaccaridi più complessi
come le pectine, vanno a costituire parte della parete cellulari dei vegetali e sono importanti agenti
gelificanti in campo alimentare.
L’acido L-guluronico è il principale costituente degli alginati, polisaccaridi algali, utilizzati come
addensanti in ambito alimentare.
- Riduzione ad alditoli
Oltre ad ossidarsi gli zuccheri possono subire reazioni di riduzione ovvero il gruppo aldeidico può
essere ridotto a gruppo alcolico ottenendo quindi degli alditoli ad es. dal glucosio si ottiene il
sorbitolo e dal mannosio si ottiene il mannitolo. Se il gruppo carbonilico è ridotto ad ossidrile, si
ottiene un alditolo. Questi alditoli sono dolcificanti per alimenti dietetici e non sono assorbiti
nell’intestino, però un uso eccessivo può avere effetti lassativi, rischio diarrea osmotica perché
richiamano liquidi. Il sorbitolo è utilizzato per la produzione di acido ascorbico o vitamina C,
utilizzato come additivo antiossidante negli alimenti.
- Riduzione a deossi zuccheri
Se viene ridotto un C presente sulla catena otterremo un deossi zucchero, ad es. dal ribosio si
ottiene il deossiribosio, costituente del DNA. Ramnosio, cioè il mannosio che ha perso l’ossidrile in
posizione, costituente delle pectine.
- Il legame glicosidico, ultima reazione.
Emiacetale per es. il glucosio può interagire con un altro alcool per formare un acetale. Durante
questa reazione viene persa una molecola di acqua ed è reversibile, il legame glicosidico può essere
idrolizzato in presenza di catalizzatori acidi o enzimatici. Una volta formato l’acetale, la
conformazione è bloccata quindi non vi è più equilibrio con la forma aperta e più interconversione
tra α e β. La glico ossidazione è abbastanza utilizzata in natura, molti flavonoidi si trovano spesso
sotto forma glicosilata. Anche alcune tossine vegetali si trovano in forma glicosilata: la solanina
della patata, l’amigdalina della mandorla amara e l’α-idrossibutirronitrile glucoside della cassava.
Oligosaccaridi, carboidrati costituiti da poche unità saccaridiche legate da legame glicosidico

Appunto sul significato di zuccheri riducenti e non:


Quando abbiamo lo zucchero in forma ciclica emiacetalica questa ha una struttura del tipo ROCOH
ed è in equilibrio con la forma aperta. La forma aperta dello zucchero può essere ossidata da
parte di diversi agenti, argento o rame e pertanto si riduce che lo zucchero è riducente es.
maltosio.
Quando abbiamo un acetale, ovvero si è formato un legame glicosidico, abbiamo una struttura del
tipo ROCOR, in questo caso non c’è equilibrio con la forma aperta e lo zucchero è non riducente
es. saccarosio.

Gli oligosaccaridi sono generati dalla formazione di un legame glicosidico tra il gruppo riducente di
un monosaccaride e l’ossidrile di un altro monosaccaride. Il glucosio es. può reagire con il fruttosio
per dare saccarosio, durante la formazione del legame glicosidico si ha la perdita di una molecola
d’acqua. A seconda del numero di unità si avranno disaccaridi, trisaccaridi, tetrasaccaridi, ecc...
Ogni monosaccaride ha più gruppi ossidrilici che potrebbero reagire col gruppo riducente dell’altro
monosaccaride: molte strutture possibili.
Una volta che si è formato il legame glicosidico, la conformazione del primo monosaccaride si
troverà in forma bloccata quindi non ci sarà più una possibile interconversione tra la forma alfa e
beta e sarà non riducente. Al contrario la seconda estremità emiacetalica, se non è anch’essa
impegnata nel legame glicosidico, rimane libera ed in equilibrio con la forma aperta, pertanto lo
zucchero sarà riducente.
Es. galattosio + glucosio = lattosio, zucchero riducente perché ha un’estremità emiacetalica libera
che è in equilibrio con la forma aperta.

Disaccaridi di interesse alimentare:


- Maltosio è un disaccaride costituito da due unità di glucosio legate insieme da legame alfa 1,4
glicosidico, questo vuol dire che il primo glucosio è bloccato in conformazione alfa e c’è un legame
tra il C1 e l’ossidrile in posizione 4 del secondo. Ha un’estremità emiacetale libera, dunque
riducente. Il maltosio si ritrova comunemente negli sciroppi ottenuti per idrolisi dell’amido ma si
ritrova anche naturalmente in alcuni frutti come l’uva. Si forma anche nella produzione del malto
d’orzo da cui deriva il nome di maltosio, si forma perché nell’orzo è presente amido e sono
presenti anche degli enzimi, le almidasi, che durante il processo di maltazione vanno a scindere
l’amido, polisaccaride ad alto peso molecolare, in monosaccaridi più piccoli tra cui il maltosio. Si
forma per digestione dell’amido, metabolizzabile e utilizzabile dal metabolismo umano.
- Cellobiosio è costituito da due unità di glucosio legate con legame β1,4 glicosidico. Ha un’estremità
emiacetale libera, dunque riducente. Proviene dall’idrolisi della cellulosa. Il legame di tipo beta non
è riconosciuto dagli enzimi gastrointestinali umano per tanto l’uomo non può usare cellobosio né
cellulosa come fonte di energia. I ruminanti, al contrario dell’uomo, sono in grado di idrolizzare il
legame β1,4 e quindi di utilizzare la cellulosa per produrre energia.
- Isomaltosio è un disaccaride costituito da due unità di glucosio legate insieme da legame alfa 1,6
glicosidico. Ha un’estremità emiacetale libera, dunque riducente e c’è un legame tra il carbonio 1
della prima unità di glucosio e l’ossidrile legato al C6 della seconda unità di glucosio. E’ un prodotto
dalla digestione dell’amido, si genera nei punti di ramificazione dell’amilopectina. L’isomaltosio è
utilizzabile dall’organismo umano perché sull’orletto a spazzola dell’intestino sono presenti degli
enzimi chiamati isomaltasi in grado di scindere questo legame. Se ridotto a isomalto, è utilizzato
come dolcificante ipocalorico e per decorare i dolci (più malleabile dello zucchero).
- Genziobiosio è un disaccaride costituito da due unità di glucosio legate con legame β1,6
glicosidico. Ha un’estremità emiacetale libera, dunque riducente. Presente in molti glicosidi
naturali, tra cui l’amigdalina (sostanza tossica presente nelle mandorle amare) o la crocina
(colorazione gialla dello zafferano). Presente nel miele come disaccaride in una concentrazione del
0.4%
- Trealosio è un disaccaride costituito da due unità di glucosio legate insieme da legame 1α-1'α,
entrambe l’estremità emiacetaliche sono impegnate nel legame glicosidico, non c’è dunque
equilibrio con la forma aperta e si parla di zucchero non riducente. Presente nelle cellule di lieviti,
funghi ed insetti e conferisce resistenza alle cellule in caso di disidratazione, in grado di legare una
grande quantità di acqua.
- Lattosio, costituito da una molecola di galattosio legata ad una molecola di glucosio da legame
β1,4 glicosidico. Ha un’estremità emiacetale libera, dunque riducente. È lo zucchero del latte (circa
5% nel latte bovino). Digerito nell’intestino tenue ad opera dell’enzima lattasi, che lo scinde nei due
componenti glucosio e galattosio. La perdita di questo enzima comporta intolleranza al lattosio, il
lattosio non viene digerito, richiama acqua nell’intestino e porta a fenomeni di dissenteria.
- Saccarosio, costituito da una molecola di glucosio legata ad una di fruttosio da un legame 1α 2'β
glicosidico. Non riducente. È il comune zucchero da cucina, è estratto da barbabietola o canna da
zucchero. L’enzima invertasi rompe il legame glicosidico liberando glucosio e fruttosio, la miscela
che si ottiene si chiama zucchero invertito, in quanto cambiano le proprietà ottiche della
soluzione (da +66.5° a -39.7°). Lo zucchero invertito si ottiene di solito industrialmente per
idrolisi acida (solitamente acido citrico) del saccarosio. Rimane liquido anche ad altissime
concentrazioni fino all’80%, dunque possiamo scogliere 80 gr di zucchero invertito in 20ml
d’acqua e otteniamo una soluzione liquida. Ha una struttura disorganizzata e con la consistenza di
uno sciroppo ed è impiegato nella produzione di caramelle.

Sciroppi di glucosio
Lo zucchero invertito recentemente è stato sostituito dagli sciroppi di glucosio ottenuti per idrolisi
dell’amido. Si è passati dall’idrolisi acida (acido solforico) a quella enzimatica (alfa amilasi, scinde
l’amido in mono ed oligosaccaridi), in quanto più controllabile, più modulabile e consente di avere
condizioni di reazione più moderate. Se oltre all’alfa amilasi si utilizzata anche la glucosio
isomerasi, enzima che glucosio in fruttosio, si ottiene uno sciroppo del tutto simile allo zucchero
invertito. Non si arriva ad avere glucosio puro, ma altri oligosaccaridi saranno
presenti nella miscela, come maltosio e malto triosio che derivano dall’incompleta idrolisi
dell’amido ed ostacolano la cristallizzazione della miscela.
Usati in pasticceria in quanto sono in grado di trattenere l’umidità rendendo i dolci più soffici.

Produzione di confetture, conserve della frutta, e marmellate, conserve solo di agrumi.


Ingredienti: frutta, zucchero, sciroppo di glucosio-fruttosio, gelificante: pectina, correttore di
acidità: acido citrico. Nella preparazione cuociamo tutti insieme questi ingredienti.
Durante la cottura la pectina (aggiunta o naturalmente presente nella frutta) passa in soluzione
svolgendo la sua azione gelificante, trattenendo acqua e dando alla marmellata consistenza
morbida. La frutta inoltre è acida, perché sono presenti al suo interno acidi organici. A livello
industriale per accelerare il processo si aggiunge anche acido citrico, questo fa sì che in seguito al
riscaldamento il saccarosio aggiunto sia idrolizzato a glucosio e fruttosio, ottenendo zucchero
invertito. Questo provoca un aumento della dolcezza (da una molecola di zucchero, saccarosio, si
passa a due, glucosio e fruttosio, zucchero con maggior potere dolcificante) e aumento della
capacità di legare l’acqua (maggiore stabilità microbiologica). La presenza di zucchero invertito
impedisce la cristallizzazione del saccarosio, evitando di trovare nella marmellata o confettura
quegli sgradevoli cristallini di zucchero.

Trisaccaridi, tetrasaccaridi e pentasaccaridi di interesse alimentare


Raffinosio: una molecola di saccarosio al quale è legata una molecola di galattosio
Stachiosio: è il raffinosio a cui è legata un ulteriore molecola di galattosio con legame alfa
1,6 glicosidico.
Verbascosio: è il stachiosio con aggiunta un’altra molecola di galattosio legata con legame alfa 1,6
glicosidico.
Sono presenti nei legumi (piselli, fagioli, soia, …), non idrolizzati ne’ assorbiti, ma metabolizzati
dalla microflora intestinale con produzione di gas.
Saccarosio nei dolciumi ed a seconda della granulometria può essere diviso in diverse categorie
commerciali: granulare (0.4-0.6 mm), semolato (0.2-0.45 mm) o a velo (0.01-0.015 mm)
Nei prodotti dolciari è di fondamentale importanza utilizzare il giusto mix di zucchero cristallino e
sciroppi, in modo da ottenere la consistenza desiderata. L’aggiunta dell’enzima invertasi in
presenza di saccarosio consente una graduale idrolisi a glucosio e fruttosio, con conseguente
ammorbidimento del prodotto (es. cioccolatini dal cuore morbido)

Quando noi cristallizziamo lo zucchero al contrario della soluzione, avremo una sola
configurazione. Es. il D-glucosio cristallizza nella forma α-piranosica, anche il lattosio cristallizza in
forma α.

Quando noi abbiamo lo zucchero in soluzione può formare dei cicli a 5 o furanosi e cicli a 6 o
piranosi. In soluzione è favorita la conformazione a minore energia, ovvero quella con il minore
ingombro sterico (in cui i sostituenti stanno più lontani tra di loro). Solitamente prevalgono quindi
le forme piranosiche (cicli a 6), la conformazione a sedia più stabile sarà quella col maggior numero
di sostituenti in equatoriale. La forma furanosica (ciclo a 5) può anch’essa essere presente, in
equilibrio tra la conformazione a busta e la twist, conformazione storta per cercare di massimizzare
la distanza tra i sostituenti dell’anello.
Reazioni degli zuccheri, principali reazioni che avvengono nei prodotti alimentari

- Trasformazione di Lobry de Bruyn – Alberda van Eckerstein:


Tautomeria cheto eolica ovvero la trasformazione di uno zucchero aldoso nel corrispondente
zucchero chetoso. Si forma un doppio legame tra C1 e C2 ed il carbonile dell’aldeide si trasforma
in gruppo ossidrilico. Otteniamo un 1,2 – cis – endiolo, 1,2 perché c’è il doppio legame tra C1 e C2,
cis perché sono entrambi dalla stessa parte e endiolo perché ho due gruppi alcolici.
A questo punto 1,2 – cis – endiolo può o tornare indietro generando nuovamente lo zucchero aldoso
ma non si riformerà solamente lo zucchero di partenza perché questo doppio legame è planare e
quindi potrò ottenere sia l’isomero con il gruppo ossidrilico a destra, sia l’isomero con il gruppo
ossidrilico a sinistra. Oppure 1,2 – cis – endiolo può proseguire la reazione per dare il
corrispondente zucchero chetoso e nello specifico il doppietto di non legame dell’ossigeno va a
formare un doppio legame carbonio/ossigeno ovvero un carbonile, il doppio legame va a prendere
un idrogeno e si trasforma in CH2. Ho quindi generato uno zucchero chetoso.
Questa reazione è favorita da un ambiente basico e dalle alte temperature, calore.
Reagisce la forma aperta dello zucchero. Questo vuol dire che se scaldo una soluzione di glucosio in
ambiente leggermente basico otterrò una miscela di 3 diversi isomeri, otterrò il glucosio, il fruttosio
ed il mannosio. Glucosio e mannosio sono i due zuccheri aldosi mentre il fruttosio è il chetone
corrispondente.

- Formazione di idrossimetilfurfurale (HMF)


Durante il trattamento termico gli zuccheri vanno incontro a moltissime reazione generando
diversi prodotti finali, questi prodotti possono essere utilizzati come marcatori di trattamento
termico. Uno di questi è idrossimetilfurfurale o HMF.
Reazione dal quale si forma: Parte da 1,2 – cis – endiolo della reazione precedente, il doppietto di
non legame dell’ossigeno ossidrilico va a formare un doppio legame carbonio/ossigeno ovvero un
carbonile, il doppio legame si sposta tra il C2 e C3 ed abbiamo la perdita di un gruppo ossidrilico
sottoforma di acqua e si forma questa molecola. Quest’ultima può prendere due diverse strade.
1 - Una di questa è la trasformazione in 3-deossiosone, ovvero per tautomeria cheto eolica un
doppietto di non legame dell’ossigeno va a formare un doppio legame carbonio/ossigeno
formando quindi un carbonile, il legame Pgreco va a prendere un idrogeno ed otteniamo un CH2
abbiamo quindi ottenuto un 3-deossiosone, 3- deossi perché ho perso l’ossidrile in posizione 3 ed
osone perché ho due gruppi carbonilici adiacenti.
2 - Seconda strada, può trasformarsi in 3,4-dideossiosone, ovvero il doppietto di non legame
dell’ossigeno ossidrilico va a formare un doppio legame carbonio/ossigeno ovvero un carbonile, il
doppio legame si sposta tra il C3 e C4 ed abbiamo la perdita di un gruppo ossidrilico sottoforma di
acqua e si forma questa molecola. 3,4 perché il doppio legame tra C3 e C4, dideossi perché ho perso
due gruppi ossidrilici e osone perché ho due gruppi carbonilici adiacenti.

Il 3,4-dideossiosone può reagire per andare a formare un emiacetale intramolecolare ovvero il


doppietto di non legame dell’ossigeno dell’ossidrile sul C5 va a dare un attacco nucleofilo al
carbonile e si forma questo emiacetale ciclico.
Quest’ultimo, emiacetale ciclico, può perdere un ulteriore ossidrile come molecola d’acqua e dopo
un riarrangiamento dei doppi legami va a generare l’ idrossimetilfurfurale, utilizzato come
marcatore di trattamento termico, ovvero se noi abbiamo un alimento in cui c’è un’alta
concentrazione di idrossimetilfurfurale vuol dire che questo alimento ha subito un drastico
trattamento termico. La reazione che porta la produzione di idrossimetilfurfurale è favorita dalle
alte temperature e dalla presenza di acidi, basi o gruppi amminici che fungono da catalizzatori.
Ogni intermedio della reazione, che abbiamo visto finora è molto instabile e molto reattivo, nella
reazione può prendere moltissime strade differenti in base ai diversi gruppi che possono
reagire. l’HMF non è l’unico composto che si forma, ma ce ne sono tantissimi altri.
Altre sostanze che si formano durante la caramellizzazione:
- Analogo dell’HMF, l’ idrossiacetilfurano si forma per disidratazione in un’altra posizione
- Acroleina (propenale), Aldeide piruvica (2-ossipropanale) e Gliossale (etandiale) sono sostanze
di degradazione presenti nello zucchero bruciato (odore acre), si formano anche nella frittura se
l’olio è usato oltre il suo punto di fumo. L’acroleina è tossica per il fegato e irritante per la mucosa
gastrica.
- acetilformoino e 4-idrossi-2,5-dimetilfuran-3-one, contribuiscono al profumo del caramello.
- maltolo ed isomaltolo, responsabili dell’aroma degli alimenti cotti dei prodotti da forno.
- sotolone ha l’aroma di tostato presente nello zucchero di canna.

- La reazione di Maillard, una delle più importanti, fondamentale per l’aroma e per il colore
degli alimenti cotti, è chiamata anche reazione di imbrunimento non enzimatico.
Generata dalla reazione di uno zucchero con un’ammina.
Es. reazione del glucosio con un’ammina primaria.
Il doppietto di non legame dell’azoto va a dare attacco nucleofilo al carbonile dello zucchero e si
forma un’enamina o base di Schiff. Si forma un doppio legame tra C1 e C2, il legame Pgreco tra C e
azoto va a prendere un idrogeno e si ottiene 1,2-enamminolo, 1,2 perché è il doppio legame tra C1 e
C2, en perché c’è un doppio legame, ammin per l’ammina ed olo per l’alcool.
L’1,2-enamminolo così formato può nuovamente reagire per formare idrossimetilfurfurale (HFM)
oppure può seguire una reazione diversa generando il composto di Amadori.
Per generare quest’ultimo un doppietto di non legame dell’ossigeno va a formare un doppio legame
carbonio/ossigeno ovvero un carbonile, il doppio legame va a prendere un idrogeno e si genera un
CH2. La reazione può terminare qui, ma se il trattamento termico è abbastanza spinto può
proseguire formando un 2,3-enamminolo, si forma un doppio legame tra il C2 e C3, il carbonile si
trasforma in un gruppo ossidrilico ed ottengo 2,3-enamminolo, è avvenuta una tautomeria cheto
eolica. A questo punto ho l’eliminazione dell’ammina, un doppietto di non legame dell’ossigeno va a
formare un doppio legame carbonio/ossigeno ovvero un carbonile, il doppio legame si sposta tra
C1 e C2 e viene eliminata l’ammina, non rientrando nei prodotti finali, ha avuto solo l’azione di
catalizzatore. Questa molecola può a sua volta generare 1-desossi-2,3-dichetone, il doppietto di non
legame dell’ossigeno va a formare un doppio legame carbonio/ossigeno genera quindi un carbonile,
il doppio legame va a prendere un idrogeno e si genera un CH3. Questa molecola si chiama
1-desossi perché ho perso l’ossidrile in posizione 1, 2,3 dichetone perché ho gruppi chetonici in
posizione 2 e 3. A questo punto la molecola disidrata ovvero si forma un doppio legame C/C tra 5 e
4 ho la perdita dell’ossidrile in 5 sottoforma di acqua. La molecola che si genera può a sua volta
ciclizzare a dare maltolo, ciclo a 6, isomaltolo, ciclo a 5. Responsabili dell’aroma e del profumo dei
prodotti da forno.

- Rottura dei composti α-dicarbonilici


I composti α-dicarbonilici tendono a rompersi dando una gran varietà di molecole a più basso peso
molecolare, volatili, tra cui le più importanti per l’aroma degli alimenti cotti sono aldeide piruvica,
gliossale, diacetile presente anche nelle bevande alcoliche come metabolita secondario della
fermentazione ed anche nei prodotti caseari perché generato dal metabolismo dei batteri lattici ed
ha un tipico gusto di burro, ed acetolo.

- La degradazione di Strecker, reazione che contribuisce all’aroma dei prodotti cotti.


Avviene per reazione tra composti α-dicarbonilici e α-amminoacidi (amminoacido libero), 20
possibili amminoacidi e 20 possibili catene laterali diverse. Il composto α-dicarbonilico reagisce
con l’amminoacido e lo scheletro dell’amminoacido è rilasciato sotto forma di aldeide (volatile),
possono ottenere 20 diverse aldeidi. Andrò a generare un aroma diverso.
Il gruppo carbossilico dell’amminoacido viene liberato sotto forma di CO2 mentre invece i residui di
zucchero possono condensare e disidratare, generando dei composti chiamati pirazine.
Importanti dal punto di vista organolettico per i prodotti tostati.
Le aldeidi volatili che si formano nella prima parte delle reazione sono importanti per l’aroma dei
prodotti da forno. Le pirazine (i prodotti finali) sono importanti per gli alimenti tostati (es.
cioccolato) o arrostiti (es. carne). La reazione prosegue a dare composti molto complessi
(melanodine), che vanno a costituire i pigmenti bruni degli alimenti sottoposti a forti trattamenti
termici (cuocendo troppo un alimento questo diventa scuro).

La reazione di Maillard e Strecker determinano colore e profilo organolettico dei prodotti


sottoposti a cottura, ma purtroppo ha anche un certo effetto antinutrizionale perché durante la
reazione le proteine e zuccheri reagiscono partecipando all’aroma del prodotto ma gli amminoacidi
una volta che hanno reagito con gli zuccheri e glicosilati non sono più biodisponibili per il
metabolismo umano. Inoltre se la reazione è molto estesa, ovvero se molti amminoacidi della
proteina sono coinvolti in questa reazione, può essere rallentata o impedita la digestione della
proteina (siti di taglio non più accessibili agli enzimi).
La reattività è maggiore per la lisina ma reagiscono bene anche >arginina>triptofano>istidina (aa
essenziali!). Queste due reazioni dunque depauperano l’alimento di amminoacidi essenziali,
problema per i paesi in via di sviluppo in cui c’è uno scarso apporto proteico.

Es. Reazione di Maillard nel latte


Nel latte è presente una frazione proteica costituita dalle siero proteine e dalle caseine, presente
anche uno zucchero che è il lattosio. Durante la reazione le proteine reagiscono con il lattosio
presente andando a dare proteine glicosilate, è il composto di Amadori. Quando questa reazione
prosegue, ovvero il trattamento termico è molto spinto, arrivo ad avere diversi composti es. la
furosina e il lattulosio, isomero chetoso del lattosio. Sono marcatori per il trattamento termico per
il latte ovvero se io ho un latte in cui ho un alto indice di furosina e lattulosio vuol dire che questo
latte è stato sottoposto ad un alto trattamento termico.

Di solito la reazione si ferma al composto di Amadori.


Più è intenso il trattamento termico, maggiore sarà la perdita di lisina, amminoacido
essenziale. I trattamenti termici più blandi (es. pastorizzazione o UHT, ultra high temperature)
degradano circa il 2% della lisina. I trattamenti più drastici (sterilizzazione, evaporazione o
essiccamento)
arrivano fino al 25%. La reazione avviene anche durante la conservazione, a temperatura ambiente:
immagazzinando del latte per 5 giorni a 37°C possono causare perdite di lisina fino al 70%.
Avviene anche questo tipo di reazione nell’organismo umano.
Nel diabete mellito ci sono alte concentrazioni di glucosio ematico. Quest’alta concentrazione unita
alla permanenza nel sangue per lungo tempo ed alla temperatura corporea che è di circa 37° fa sì
che ci sia una reazione di Maillard tra glucosio e le proteine presenti nel sangue, in particolare con
l’emoglobina. Questo porta alla presenza di una maggiore quantità di emoglobina glicosilata
(HbA1C > 6.5% indice della presenza di diabete.) La glicosilazione delle proteine funzionali porta
alle complicazioni tipiche della patologia: retinopatia, polineurite, problemi vascolari e renali.

Quando gli alimenti sono sottoposti ad un trattamento termico molto inteso, si possono generare
delle ammine eterocicliche, reazioni complesse e portano a numerosi prodotti finali, + di 20
esistenti. Si formano soprattutto nella cottura ad alta temperatura, per tempi prolungati, es.
prodotti grigliati o fritti, nella carne o ittici. Sono mutagene e potenzialmente cancerogene ma
fortunatamente la loro concentrazione negli alimenti rimane molto bassa.

Il prodotto per eccellenza della reazione di Millard: il caramello.


È prodotto scaldando una soluzione di saccarosio, in presenza di un catalizzatore. Viene utilizzato
come colorante alimentare, come additivo negli alimenti con la sigla E150.
In base al tipo di catalizzatore utilizzato distinguiamo 4 tipi di caramello: Tipo I: se come
catalizzatore un acido o una base, catalisi con acidi o alcali, utilizzato come colorante nei distillati.
Tipo II: se come catalizzatore dei solfiti, catalisi con SO3 2- , utilizzato come colorante nei distillati,
tipo whisky. Tipo III: prodotto tramite catalisi con NH3 (ammoniaca), utilizzato come colorante
nelle birre. Tipo IV: vede l’utilizzo sia di solfiti sia di ammoniaca come catalizzatore, catalisi con SO3
2- e NH3, utilizzato come colorante nelle bibite tipo cola, è il più famoso.
I polisaccaridi: l’amido

I polisaccaridi sono carboidrati costituiti da molte unità saccaridiche legate assieme da un legame
glicosidico. Sono polimeri ad alto peso molecolare. Possono avete molte strutture, lineari o
ramificate. Se il polisaccaride è composto dalla stessa tipologia di monosaccaride è chiamato
omopolisaccaride (ripetizione dello stesso monosaccaride), se e presenta diverse tipologie si parla
di eteropolisaccaride (presenza di diversi monosaccaridi).

I polisaccaridi negli animali, possono avere diverse funzioni, di riserva o strutturale.


- Glicogeno: è di riserva, costituito da tante unità di glucosio legate insieme da legame glicosidico.
E’ un carboidrato di riserva di carboidrati (energia) a livello muscolare ed epatico, riserva di
energia nelle cellule. È consumato nel metabolismo post mortem dell’animale dopo la macellazione,
quindi il suo contenuto nella carne è basso, solo in tracce.
- Chitina: polimero di N-acetilglucosammina, è la sostanza che costituisce l’esoscheletro degli
Artropodi (nuovi alimenti a base di farina di insetti).
- Proteoglicani: composti da proteine legate a disaccaridi o a glicosamminoglicani, si trovano
nella matrice extracellulare dei tessuti connettivi.
- Mucopolisaccaridi: sono glicosamminoglicani che si associano a proteine per dare i proteoglicani,
i più importanti sono acido ialuronico, condroitina ed eparina.

I polisaccaridi nelle piante, possono avere funzione di riserva di energia o strutturale e di sostegno.
- Amido: polimero di tante unità di glucosio legate insieme da legame alfa 1,4 glicosidico. L’amido
è una riserva di carboidrati (energia).
I polisaccaridi nelle piante hanno anche funzione strutturale, possono entrare a far parte dei
polisaccaridi che costituiscono la parete cellulare delle cellule vegetali e altre strutture di sostegno
della pianta. L’amido è un’importante fonte energetica per l’uomo soprattutto perché fornisce
glucosio, composto importante. Cellulosa, emicellulose e pectine vanno a fornire l’apporto di fibra
alimentare necessaria per mantenere una buona funzionalità nel tratto gastrointestinale.
Che siano digeribili o no, metabolizzabili o no, i polisaccaridi influenzano le proprietà chimico
fisiche dell’alimento, soprattutto sulla consistenza dell’alimento, questi polisaccaridi hanno notevoli
proprietà gelificanti, addensanti e di ritenzione d’acqua.

L’amido – tabella contenuto di amido negli alimenti:


Alimenti a base di farina di frumento integrale 62%, alimento molto ricco di amido. Pane bianco
47% quantità d’acqua va ad abbassare la quantità di amido rispetto alla farina. Pasta 71% e Riso
74%. Mais 92%, Cornflakes 78%. Legumi variano, soia 5%, piselli 15%, fagioli 10%. Tuberi, cassava
22%, patate 17%. Barbabietole 0,6% perché immagazzina carboidrati sottoforma di zucchero,
saccarosio, si estrae infatti dalla barbabietola. Broccolo e carote solo in tracce, castagne 30%. Frutta
secca 0,7% nelle noci e 6,3% nell’arachide. Frutta, Banana 2,3% stoccato negli amminoplasti.
L’amido, fungendo da riserva energetica, lo troviamo nell’endosperma dei semi o nei tuberi (riserva
energetica per la crescita della futura pianta). L’amido è stoccato sottoforma di granuli, la cui forma
è caratteristica per ogni pianta. Osservando al microscopio elettronico la forma e le dimensioni dei
granuli di amido, io posso in linea teorica risalire alla pianta da cui proviene questo amido. Ad es. i
granuli di amido del riso sono più piccoli, quelli della patata più grandi.

Amido (polimero di glucosio), è suddiviso in due parti:


- Amilosio, polimero lineare, presenta solo legami α-1,4-glicosidici tra le unità di glucosio,
presente in circa il 20-25% nell’amido.
- Amilopectina, polimero ramificato, c’è uno scheletro di polimero di glucosio legato da legami α-1,4
(≈95%) e sono su questo inserite delle ramificazioni tramite legami α-1,6glicosidici (≈5%).
E’ presente in circa il 75-80% nell’amido, ha un peso molecolare superiore all’amilosio.
La percentuale di amilosio e amilopectina nei diversi tipi di amido varia a seconda della pianta –
tabella. Pisello ricco in amilosio 60% e 40% di amilopectina. Legumi 30% di amilosio e 70%
amilopectina. Frumento e mais 28% amilosio e 72% amilopectina. Sorgo 25% amilosio e
75%amilopectina. Patata 20% amilosio e 80% amilopectina. Riso 17% amilosio e 83%
amilopectina. Esistono certe varietà di mais e di riso chiamate wasy che hanno sola amilopectina,
rapporto 1 o 2/99 o 98 %.

Amilopectina ha una struttura a grappolo. Ci sono due tipi di catene: A (≈15 unità di glucosio) e B
(≈40 unità di glucosio). Lo scheletro del grappolo è formato dalle catene B, sulle quali si legano le
catene A. I grappoli, molecole, di amilopectina si dispongono radialmente partendo dal centro (ilo)
del granulo d’amido. Si alternano regioni dalla struttura più cristallina a regioni dalla struttura più
amorfa. Il granulo di amido se analizzato ai raggi X risulta birifrangente, vuol dire che ha una
struttura molto organizzata con un elevato grado di orientamento molecolare. I granuli di amido
dei tuberi sono più cristallini di quelli dei cereali. Le molecole di amilosio si posizionano in modo
radiale tra le molecole di amilopectina. I lisofosfolipidi presenti si complessano all’interno dell’elica
formata dall’amilosio, potranno avere un ruolo per rallentare la retrogradazione dell’amido.

Solubilità - I granuli di amido hanno un’altissima concentrazione di gruppi ossidrilici, perché sono
fatti da polimeri del glucosio, dunque hanno fortissimi legami idrogeno che gli danno struttura
molto compatta, il che fa sì che se poniamo granuli di amido in acqua fredda questi saranno
insolubili. Se noi scaldiamo la sospensione di granuli di amido, questi assorbono acqua, si
rigonfiano e perdono la struttura cristallina, quindi le caratteristiche di birifrangenza e questo
fenomeno si chiama gelatinizzazione dell’amido. A 100°C l’amido avrà perso ogni caratteristica
cristallina e sarà completamente allo stato amorfo.
Ogni tipologia di amido avrà un diverso range di temperatura di gelatinizzazione ad es. l’amido di
frumento gelifica tra i 52 e gli 85°, l’amido di tapioca tra 52 e 65, patata 58 e 65, mais 62 e 80, mais
waxy 63 e 72.

Se io ho una sospensione di amido ed inizio a scaldarla all’aumentare della temperatura accadrà che
i granuli assorbono acqua e si rigonfiano, fanno attrito fra di loro nello sfregamento ed aumenta la
viscosità della soluzione. Durante questo processo, inoltre, l’amilosio fuoriesce dai granuli di amido
e aumenta anch’esso la viscosità della soluzione e quindi si raggiunge un picco di viscosità. Superata
una certa temperatura, la viscosità diminuisce perché i granuli di amido sono completamente
disintegrati. Una volta che ho completamente solubilizzato l’amido posso iniziare a raffreddare la
soluzione e raffreddandola la viscosità torna ad aumentare perché si ristabiliscono i legami
idrogeno tra amilosio e amilopectina. L’amido ha delle importanti applicazioni in campo alimentare
come agente addensante in zuppe, minestre o creme. Si aggiunge per es. farina ad un minestrone,
perché l’amido gelificando conferisce maggiore densità.

L’amido però va incontro a retrogradazione, può avere diversi aspetti in diversi prodotti.
Se ho una soluzione diluita di amido assisterò ad una perdita di viscosità della soluzione.
Se ho un gel a base amido questo perderà acqua sottoforma di essudato e vedrò un aumento della
gommosità, questo perché le catene di amilosio che tenevano legate insieme quelle di amilopectina
tendono a riassociarsi tra di loro ed espellono acqua, la struttura si ricompatta.
Il congelamento accelera questo processo ( attenzione all’utilizzo di addensanti a base amido in
prodotti surgelati, potrebbero perdere le loro caratteristiche di consistenza).
Gli amidi «waxy» (che sono costituiti solo da amilopectina), sono più resistenti a questo fenomeno,
retrogradano più lentamente, perché non c’è la presenza delle catene di amilosio.

Amido pregelatinizzato, è un trattamento termico di una sospensione di amido in acqua fino a


gelatinizzazione. Si fa poi un immediato essiccamento e polverizzazione: l’amido non ha il tempo di
retrogradare, una volta che lo rimettiamo in acqua è prontamente solubile anche a freddo.
Viene utilizzato nei prodotti che richiedono un potere addensante a freddo, che non vanno cotti, ad
es. dessert.

Il pane - durante l’impastamento, alcuni granuli di amido sono stati rotti durante l’operazione di
pulitura pertanto si chiamano amidi danneggiati che iniziano ad assorbire acqua anche a freddo.
Durante la lievitazione, le amilasi della farina idrolizzano una piccola quantità di amido, le amilasi
scindono l’amido in monosaccaridi ed oligosaccaridi più piccoli, maltosio e altri zuccheri, i quali
serviranno poi ai lieviti per essere metabolizzati e per far sì che producano CO2.
Durante la cottura, i granuli di amido gelificano completamente, assumerà il pane la tipica
consistenza morbida.
Dopo 1-2 giorni, il pane diventa raffermo, la crosta diventa più morbida, la mollica diventa più dura
e perde elasticità. Questo fenomeno è dovuto alla retrogradazione dell’amido.
1° fase: retrogradazione dell’amilosio (perdita di freschezza) e 2° fase: retrogradazione
dell’amilopectina (raffermimento, il pane diventa più duro e perde di elasticità).
Per ovviare a questo fenomeno si può riscaldare nuovamente il pane, si provoca una nuova
gelificazione dell’amido, misura però temporanea perché una volta raffreddato il processo di
raffermimento riprende. Nelle torte il fenomeno è più lento perché i molti grassi presenti si
complessano con le eliche di amilosio rallentandone la retrogradazione.

Amido resistente è quella parte di amido che non è digerito dagli enzimi intestinali, e che quindi
non è assimilato dall’organismo ed è a disposizione per la fermentazione da parte del microbiota
intestinale. L’amido può diventare resistente alla digestione per diversi motivi ad es. perché amido
retrogradato (la sua struttura compatta lo rende meno accessibile agli enzimi) o amido cristallino
(l’amido crudo, ancora in forma cristallina, ha una struttura molto più resistente agli enzimi) o
amido scaldato in carenza di acqua, quindi no gelatinizzazione (la struttura del granulo è modificata
e non più attaccabile dagli enzimi digestivi).
I polisaccaridi: pectine e polisaccaridi algali

Le pectine sono polisaccaridi che hanno un ruolo strutturale nelle cellule e nei tessuti vegetali, esse
vanno a costituire una parte della parete vegetale. Polimeri ad alto PM (≈100 kDa dalton) e sono
costituiti da molecole dell’acido galatturonico legate da legami α-1,4. Hanno regioni lisce costituite
da omogalatturonano, alle quali si inseriscono a volte delle ramificazioni costituite per lo più da
zuccheri neutri (ramnosio, arabinosio, galattosio, xilosio, ecc.)
Inoltre i gruppi carbossilici delle pectine possono essere in forma libera quindi COOH o esterificati
con un gruppo metilico COOCH3, avrò pectine che avranno molti gruppi carbossilici liberi o
esterificati. I gruppi carbossilici dell’acido galatturonico possono essere parzialmente metilati. Le
posizioni C2 e C3 possono subire modifiche e possono essere acetilate. Dunque pectine ad alto o
basso grado di esterificazione. Nell’istogramma grado di esterificazione delle pectine tratte da
diverse fonti alimentari: mela alto grado di esterificazione, così come i baccelli dei piselli e
tagliatelle di barbabietole, residuo di lavorazione della barbabietola, al contrario ci sono fonti di
pectine in cui il gradi esterificazione è molto basso come residui di lavorazione dell’uva,
prezzemolo o le foglie di indivia. Generalmente il grado di metilazione è molto superiore al grado di
acetilazione, anche se abbiamo casi di grandi quantità di pectine acetilate come ad es. nella
barbabietola. Le principali fonti alimentari in pectine sono gli agrumi, la buccia in particolare, e gli
altri tipi di frutta come ad es. mele, carote, albicocche e ciliegie, in generale vegetali.

Le pectine sono utilizzate anche come additivo alimentare, come agenti gelificanti sono aggiunte
nella produzione di confetture, marmellate ecc. con la sigla E440. Le catene polisaccaridiche sono in
grado di legare molta acqua formando una struttura tridimensionale trattenendo l’acqua all’interno
del reticolo formato, dando origine ad un gel.
Esempio della struttura tridimensionale, in particolare della struttura «egg-box», o scatola uovo, in
cui due catene di pectine sono coordinate da cationi bivalenti, di solito questo catione è lo ione
Calcio (Ca2+) che viene coordinato dai gruppi carbossilici liberi dell’acido galatturonico.
Non è l’unico meccanismo di gelificazione, è solo un esempio.
(Interazioni di tipo egg-box si formano tra le catene di omogalatturonano perché abbiamo i gruppi
carbossilici che interagiscono con i cationi bivalenti, ad es. il calcio)
Se queste interazioni fossero troppo estese causerebbero la precipitazione delle pectine, quindi
fortunatamente nelle pectine sono presenti anche regioni ramificate in cui ci sono catene laterali di
zuccheri neutri. Questi interrompono queste interazioni ed impediscono che diventino troppo
estesi facendo precipitare il complesso, mantengono la pectina in soluzione.

Possiamo distinguere pectine ad alto metossile (HM, >50% di gruppi carbossilici esterificati)
gelificano a pH acidi, tipici della frutta, e in presenza di molti solidi.
Pectine a basso metossile (LM, <50% di gruppi carbossilici esterificati) necessitano di ioni bivalenti
es. calcio, necessario formare struttura egg-box, e gelificano in un ampio range di pH e quando sono
presenti pochi solidi.

Marmellate e confetture, preferiscono una pectina HM, ad alto metossile, in grado di gelificare
anche al basso pH della frutta. A questo pH, i gruppi carbossilici sono protonati, presenti sottoforma
di COOH, la capacità di legare l’acqua è più bassa, ma non ci sono forze repulsive tra cariche
negative R-COOH ↔ R-COO- + H+.
Lo zucchero, aggiunto, contribuisce a legare l’acqua, inoltre durante la cottura si ha l’idrolisi del
saccarosio a glucosio e fruttosio. Pectine: naturalmente presenti nella frutta, ma per velocizzare il
processo di gelificazione se ne può aggiungere anche >1%.

Pectinasi sono enzimi che degradano le pectine (enzimi pectolitici).


- Pectinmetilesterasi rimuovono il gruppo metilico dai gruppi carbossilici esterificati.
- Poligalatturonasi idrolizzano, cioè tagliano, i legami glicosidici tra i residui di acido galatturonico
non esterificati, quando non sono metilate. Poligalatturonasi sono essere Endo, cioè tagliano i
legami glicosidici tra i residui di acido galatturonico all’interno della catena, mentre le Eso agiscono
all’estremità non riducente staccando singole unità di galattosio.
- Pectinliasi idrolizzano i legami glicosidici tra i residui di acido galatturonico esterificati (β-
eliminazione con formazione di un doppio legame trans C4-C5).

La maturazione della frutta: enzimi pectolitici


Qui il cambiamento più evidente è la comparsa di pigmenti (invaiatura), si passa dal verde della
frutta acerba, alla comparsa di pigmenti, della colorazione tipica del frutto. Aumentano gli zuccheri
e si liberano gli aromi tipici del frutto, inizieranno ad odorare. Cambia anche la consistenza, la frutta
acerba è molto dura, di seguito gli enzimi pectolitici naturalmente presenti nel frutto iniziano a
degradare le pectine, ammorbidendo la struttura del frutto.
Gli enzimi pectolitici vengono anche utilizzati per diverse applicazione a livello industriale, si
estraggono da batteri e funghi ed aumentano per es. la resa di estrazione nella produzione dei
succhi di frutta. Utilizzati anche per la chiarificazione di birra e vino, dando un prodotto più
limpido.
Rivestono molta importanza anche nella lavorazione del pomodoro.
- Cold break, rottura a freddo, dove il pomodoro è tritato a T=65-75°C, bassa. Gli enzimi pectolitici
non sono inattivati dunque svolgono la loro azione di degradazione delle pectine. Questo provoca
una diminuzione di viscosità del prodotto e maggiore separazione del siero dai solidi.
Utilizzato per i concentrati, l’acqua viene poi eliminata per evaporazione.
- Hot break, rottura a caldo, dove il pomodoro è tritato a T=85-100°C, alta. Denaturazione degli
enzimi pectolitici. Il prodotto è più viscoso, non c’è separazione del siero. Utilizzato per salse.

Lavorazione della frutta: gli enzimi pectolitici trovano applicazione anche qui
Negli agrumi gli enzimi possono essere utilizzati per rimuovere la buccia. Tra la buccia e gli spicchi
è presente una cuticola bianca, albedo, costituita principalmente da pectine. Gli enzimi pectolitici
degradano l’albedo, ottenendo rimozione della buccia e separazione degli spicchi.
Nelle rosaceae, cioè pesche, albicocche, mele, si possono utilizzare enzimi per la rimozione della
buccia. Sostituiscono la liscivia con NaOH (idrolisi basica dei legami glicosidici).

Polisaccaridi estratti dalle alghe


- Gli alginati sono polisaccaridi estratti dalle alghe brune o genere:
Pheophyceae. Sono polimeri di acido β-D-mannuronico e acido α-L-guluronico.
Formano gel in presenza di ioni bivalenti (Ca2+) e gelificano formando una struttura egg-box.
Alginati sono presenti in commercio come alginati di sodio.
Le applicazioni alimentari: li utilizziamo per produrre frutta ricostituita, aggiungendo alginato e
calcio alla purea di frutta e mettendola in uno stampo opportuno, questa gelifica e mi darà un frutto
finto con lo stesso sapore del frutto originale, utilizzato per es. per caramelle alla frutta.
Funzione come addensante: aggiunto in dolci, salse, gelati, budini e formaggi spalmabili.
- Agar polisaccaride estratto dalle alghe rosse o genere Rhodophyceae, utilizzato per la formazione
dei terreni di coltura solidi per le piastre da microbiologia. E’ un polimero lineare di derivati del
galattosio (solfato, anidro, …). Formano doppie eliche che si associano ulteriormente tra loro
(supergiunzioni), struttura complessa di reticolo tridimensionale in grado di trattenere l’acqua per
capillarità. Basso contenuto di solfati, per la sua gelificazione non necessita di cationi.
- Carragenani polisaccaridi estratti dalle alghe rosse o Rhodophyceae. E’ un polimero lineare di
derivati del galattosio (solfato, anidro, …). Formano doppie eliche che si associano ulteriormente
tra loro (supergiunzioni), struttura complessa di reticolo tridimensionale in grado di trattenere
l’acqua per capillarità. A differenza dell’agar, hanno alto contenuto di solfati e necessita di cationi
(K+: κcarragenani, gelificano in presenza di ioni potassio, e Ca2+: ι-carragenani, ioni calcio).
Applicazioni alimentari: Agar aggiunto come additivo con la sigla E406. Assorbe molta acqua. Non
altera colore, sapore ed aroma. Gelificante in gelatine e dolci. Carragenani sigla E407. Assorbe molta
acqua. Non altera colore e odore. Addensante in budini, gelati ecc..
I polisaccaridi: cellulose, emicellulose e gomme
Cellulosa è il composto organico più abbondante sulla terra (parete cellulare dei vegetali).
Polimero di unità di glucosio (>3,000) unite da legame β-1,4glicosidico. Molecola lineare,
stabilizzata da legami ad idrogeno, tanti gruppi ossidrilici che possono formarli.
Struttura organizzata e compatta, insolubile in acqua.
Non digerita dall’uomo. I ruminanti possono metabolizzarla grazie alla microflora del rumine, tratto
dell’apparato gastro-intestinale, che possiede enzimi in grado di idrolizzarla in glucosio che la
compone. È comunque un processo lungo, un bovino rumina infatti per parecchie ore al giorno.
Sigla E460 additivo: addensante, antiagglomerante, previene la formazioni di grumi nei prodotti in
polvere, ed emulsionante in creme e dolci, prodotti gluten-free, per conferirne struttura, ne viene
aggiunta 0.2-2%. Derivati ad aumentata solubilità: metil-, carbossimetil-, idrossipropil- e
idrossipropilmetil- cellulosa.

Emicellulose sono associate alla cellulosa nelle pareti vegetali. Estraibili con soluzioni basiche (15%
KOH, idrossido di sodio in acqua). Composte da diversi polisaccaridi: Xilani, Mannani,
Glucomannani, Galattani e Arabinogalattani.
- Xilani, polimeri dello xilosio. Lo scheletro di xilopiranosio (5), lineare o con ramificazioni di
arabinosio (conformazione a 5) o acido glucuronico (conformazione a 6). Predominanti nei cereali,
in particolare nella crusca, tegumenti esterni, (meno solubili) e in misura minore nell’endosperma
(più solubili). Effetto sulla panificazione (assorbono acqua), conferiscono morbidezza all’impasto e
prodotto finito.
- Mannani polisaccaridi di mannosio. Funzioni di riserva in alcuni vegetali (palma)
- Glucomannani polisaccaridi di mannosio e glucosio. Estratto dalla radice di konjak. Additivo
von sigla E425: emulsionante, gelificante (aggiunti al 1%).
- Galattani polisaccaride costituito da unità di galattosio, con altri esosi e pentosi. Funzione di
riserva nei semi ed inoltre si trova anche nelle gomme prodotte da alcune piante. Si trovano in
legumi e broccoli. Fanno parte dei FODMAP (Fermentable Oligo-, Di-, Monosaccharides, And
Polyols), non sono assorbiti dall’uomo e sono disponibili per la fermentazione della microflora
intestinale e sembrano peggiorare la sindrome dell’intestino irritabile.
- Arabinogalattani polisaccaride costituito da una catena di unità di galattosio, con ramificazioni di
glucosio e arabinosio. Si trovano nella corteccia di larice, nella parete cellulare dei batteri e in
alcune verdure (radici come carote, e rapanelli).
- β-glucani polimero di glucosio (>5,000 unità), unite con legami β-1,3 e β-1,4-glicosidici. Molto
abbondanti nell’avena e prodotti derivati come porridge. Elevata viscosità. Benefici a livello
intestinale, favoriscono un miglioramento nei processi di assorbimento ed espulsione di ciò che
non viene utilizzato.

La fibra alimentare «È la parte commestibile di piante, o carboidrati analoghi, che è resistente alla
digestione, non è assorbita dall’intestino tenue dell’uomo e, nell’intestino crasso, subisce una
completa o parziale fermentazione. Essa include polisaccaridi, oligosaccaridi, lignine e sostanze di
origine vegetale correlate a queste. La fibra alimentare promuove effetti fisiologici positivi,
favorendo l’evacuazione e abbassando il livello del colesterolo e/o del glucosio ematico»

Gomme sono essudati di piante o si trovano nell’endosperma (farina) di alcuni semi (non cereali) o
prodotte da batteri. Alta affinità per l’acqua e generano soluzioni ad elevata viscosità. Non formano
gel, ma rimangono malleabili.
- Gomma adragante, essudato di Astralagus. Costituita da acido adragantico (scheletro di acido
galatturonico con residui di ramnosio, xilosio e fucosio). E413: addensante, stabilizzante,
emulsionante in salse, sciroppi, caramelle (0.2-1.3%).
- Gomma di guar, endosperma dei semi di Cyamopsis. Costituita da uno scheletro di mannosio a cui
sono legati a residui alterni molecole di galattosio, pertanto è un galattomannano. E412:
addensante, stabilizzante in salse, condimenti, gelati (<1%).
- Gomma di carruba, endosperma dei semi di Certonia. Costituita da uno scheletro di mannosio a cui
sono legate molecole di galattosio (galattomannano). I residui di galattosio sono più diradati
rispetto alla gomma di guar. E410: addensante, stabilizzante, gelificante, emulsionante in salse,
creme, budini (0.1-1%).
- Gomma xantano, prodotta dal batterio Xanthomonas campestris. Secreta per aderire ai cavoli,
substrato di crescita, oltre che per proteggersi. Fermentazione su scala industriale seguita dalla
separazione delle cellule dal prodotto. 10’000-250’000 unità di glucosio unite con legame β-1,4
glicosidico. Catene laterali di disaccaridi con presenza di gruppi acidi.
Presenta proprietà tixotropiche cioè le catene interagiscono fra di loro formando un gel in
condizioni statiche, ma basta il movimento a rompere queste interazioni e rendere la sostanza
fluida. E415: utile per le salse da condimento (es. ketchup): possono fluire dalla bottiglia ma
rimangono adese all’alimento (<0.5%).
- Gomma gellano, prodotta dal batterio Pseudomonas elodea. Fermentazione su scala industriale
seguita dalla separazione delle cellule dal prodotto. Ripetizione del tetrasaccaride Glu-Rha-Glu-
GluA (fino a 500,000 unità). Gelificano in seguito a raffreddamento in presenza di cationi (Na+ e
Ca2+). E418: gelati, confetture, marmellate (0.1%).
I lipidi: gli acidi grassi

I lipidi sono un gruppo molto eterogeneo: composti con strutture differenti.


Sostanze apolari, insolubili in acqua. Lipidi saponificabili sono esteri di acidi grassi a lunga catena,
trigliceride. Lipidi non saponificabili sono il colesterolo e derivati, fitosteroidi e altri.

Contenuto lipidico di prodotti a base di cereali e dolciumi:


Noci brasiliane 66, Arachidi tostate 49 vengono infatti estratti olii alimentari, Pasta sfoglia 39
perché nella produzione si fa uno strato d’impasto alternato con uno strato di burro o margarina,
un altro strato d’impasto e cosi via, Cioccolato al latte 30, Cioccolato fondente 31, nel cioccolato il
grasso è costituito dal burro di cacao, Frollino 26, Torta 17 dipende dalla tipologia, Biscotti secchi
16 sale però se li prepariamo con la pasta frolla perché c’è più burro o margarina 26 di lipidi, Pane
bianco 3.2 perché durante la sua preparazione viene aggiunto un po’ di olio e strutto, Farina
integrale 2.5 di grassi, nella cariosside del frumento e di tutti i cereali i grassi sono di solito
concentrati nel germe. Nella farina bianca il germe viene rimosso per evitare fenomeni di
ossidazione, ci sono meno grassi.

Contenuto lipidico di latticini e uova:


Formaggio Cheddar 33 estratta l’acqua la frazione lipidica e proteica si sono concentrate,
Formaggio Brie 28, Tuorlo d’uovo 27, Uovo 11, Gelato al latte 11 perché aggiunte altre tipologie di
grasso come panna, Latte umano 4.4, Latte vaccino intero 3.9, Albume d’uovo 0.2, Latte vaccino
scremato 0.1.
Contenuto lipidico di oli, grassi e condimenti:
Oli vegetali 100, Strutto 100, Burro 81 deve avere almeno 86% di contenuto lipidico per legge,
Margarina 81 emulsioni acqua ed olio, Grasso spalmabile «light» 40.5, Panna 22 varia a seconda
della tipologia.
Contenuto lipidico di carne e pesce:
Pancetta 42, Braciole di agnello 29, Salsiccia 27, Sgombro 25, Manzo 15, Hamburger 14, Pollo
arrosto 14, Salmone 13, Merluzzo 1 e Petto di tacchino 1.

Gli acidi grassi costituenti fondamentali dei lipidi comunemente ritrovati negli alimenti (trigliceridi,
fosfolipidi costituenti fondamentali della membrana cellulare ecc..). Costituiti da una catena di
atomi di carbonio, solitamente di numero pari. Presentano un gruppo carbossilico (carbonio 1 nella
numerazione della catena alifatica).
Possono essere saturi, senza nessun doppio legame, e si trovano principalmente negli olii e nei
grassi di carne e latticini, e sono il buttirico a 4 atomi di C, caproico, caprilico, caprico, laurico,
miristico, palmitico, stearico e arachidico a 20 atomi di C. La temperatura di fusione aumenta
all’aumentare della grandezza della catena lipidica, aumentano perché le interazioni, serve una
temperatura maggiore per scindere gli acidi grassi saturi.
Possono essere poi insaturi e si trovano nei lipidi di origine vegetale e nel pesce e sono l’acido
palmitoleico 16 atomi di C con un doppio legame in posizione 7, oleico 18 atomi di C con doppio
legame in posizione 9, linoleico 18 con due doppi legami, linolenico 18 con 3 doppi legami e
arachidonico a 20 atomi di C con 4 doppi legami. All’aumentare del numero di doppi legami
diminuisce la temperatura di fusione.

Trigliceridi sono i costituenti fondamentali dei lipidi negli alimenti. Formati da una molecola di
glicerolo esterificata con tre molecole di acidi grassi. Gli acidi grassi possono essere uguali tra loro,
trigliceridi semplici, o diversi, trigliceridi misti. Le caratteristiche chimico – fisiche dei trigliceridi
(es. punto di fusione) dipendono dagli acidi grassi che li costituiscono. Gli acidi grassi variano per
lunghezza della catena alchilica e per numero di insaturazioni, possono legarsi in posizioni diverse
sul trigliceride ne consegue che noi abbiamo tante strutture possibili di trigliceridi.
Composizione chimica media dei principali grassi di interesse alimentare: Acido oleico a 18 atomi
di C monoinsaturo, con una sola saturazione, è presente in quantità rilevante in quasi tutti i lipidi di
interesse alimentare. Lo strutto, il grasso di maiale, ha un alto contenuto di acido palmitico a 16
atomi di C saturo, mentre il grasso bovino ha una percentuale rilevante di acido palmitico ma anche
acido stearico, acido saturo a 18 atomi di C. Grasso di montone acido palmitico, stearico e aumenta
acido miristico saturo a 14 atomi di C. Burro acidi grassi saturi a corta catena sono di più come
laurico e miristico 12 e 14 atomi di C. Grasso d’oca rilevanza di acido palmitico. Burro di cocco
rilevanza di acido stearico 35%. Olio di palma rilevanza, lo dice il nome, di acido palmitico 40%.
Olio di origine vegetale: oliva ricco di acido oleico, soia ricco di acido linoleico, semi di lino ricco di
linoleico, semi di cotone ricco di linoleico.
Olio derivanti dal pesce, diversi tipi, presenta altissima quantità di acidi grassi insaturi oltre 80%.
La composizione in acidi grassi può variare molto in base all’alimentazione dell’animale o alle
condizioni ambientali in cui cresce la pianta.

Gli acidi grassi saturi sono molto presenti spesso in quei lipidi che tendono ad essere solidi a
temperatura ambiente ad es. burro di arachidi, strutto ed olio di palma. Dal punto di vista
alimentare acidi grassi saturi importanti sono l’acido arachidico, stearico e palmitico.
Gli acidi grassi mono e poli insaturi sono abbondanti in quei lipidi che si presentano liquidi a
temperatura ambiente, come per es. olio di colza, di oliva, di arachidi, di semi di lino. Degli acidi
grassi insaturi il più importante è l’acido oleico, merita piccola nota anche l’acido erucico che è
monoinsaturo a 22 atomi di C, è tossico interferisce con il metabolismo lipidico. Un tempo era
presente in quantità fino al 25% nell’olio di colza, poi fortunatamente con il miglioramento genetico
si è riusciti a portarlo al di sotto del 5%. Infine abbiamo gli acidi grassi polinsaturi tra cui i più
importanti sono l’acido arachidonico e l’acido linoleico.

Struttura acido grasso


Il saturo presenta la testa polare e la coda idrofila e struttura lineare.
In natura hanno solitamente il doppio legame in configurazione cis, questo causa distorsione
dell’angolo di legame di 42°, dà minore attrazione tra le molecole e la temperatura di fusione è più
bassa. Maggiore è il numero di doppi legami, maggiore è il ripiegamento della catena, minori
saranno le interazioni e minore sarà la temperatura di fusione. I trigliceridi ricchi in acidi grassi
insaturi sono tendenzialmente liquidi mentre i trigliceridi ricchi in acidi grassi saturi sono
tendenzialmente più solidi.
La membrana cellulare è costituita da fosfolipidi. Il fosfolipide è una molecola di glicerolo, è
esterificato in 1 e 2 con acidi grassi e in 3 con un gruppo fosfato. Testa idrofila, fosfato, code lipofile,
acidi grassi. La fluidità della membrana è determinata dalla sua composizione in acidi grassi (saturi
e insaturi), oltre che dal colesterolo, che va a modularle in fluidità.

Un’alimentazione ricca in acidi grassi saturi porterà a membrane più rigide, mentre
un’alimentazione ricca in acidi grassi insaturi darà più fluidità alla membrana.
Gli animali a sangue caldo sono più ricchi di acidi grassi saturi, così come i vegetali delle aree
tropicali (palma, cocco, …), la temperatura corporea, superiore ai 37° o ambiente dei paesi tropicali
è superiore alla temperatura di fusione. Gli animali a sangue freddo (es. pesci) o i vegetali, dei climi
più temeperati e più rigidi, sono più ricchi di acidi grassi insaturi e polinsaturi, la temperatura
corporea o ambiente deve essere superiore alla temperatura di fusione, in modo da avere a livello
sistemico il lipide in forma liquida. La composizione in acidi grassi degli animali d’allevamento può
essere variata con l’alimentazione.

Acidi grassi insoliti


- Acidi grassi trans, anziché avere il doppio legame in configurazione cis lo hanno in trans e si
formano come prodotto secondario durante la produzione delle margarine, sono un prodotto
collaterale si dice.
- Acidi grassi a corta catena (butirrico, caproico, caprilico, caprinico) sono prodotti nel rumine
(bovini, ovi-caprini) dalla fermentazione della cellulosa da parte della microflora del rumine.
Sono presenti nei prodotti lattiero caseari come panna, burro, formaggi.
- Acidi grassi ramificati sono prodotti nel rumine (bovini, ovi-caprini) dalla fermentazione della
cellulosa da parte della microflora. Sono presenti in panna, burro, formaggi.
- Acidi grassi polinsaturi a lunga catena che sono presenti negli oli di pesce (ricchi anche di
vitamina D).
- Acido petroselinico (18:1, 18 atomi di C con una insaturazione in posizione 6) presente nei semi
di carota, prezzemolo e sedano.
- Acido ricinoleico (12-OH-18:1Δ9cis, ed un gruppo ossidrilico sul C12) fino al 90% dell’olio di
ricino (effetto lassativo).
- Acidi ciclopropenici (malvalico e sterculico), presentano anelli ciclici nella struttura e
sono prodotti dal metabolismo di alcuni batteri, nocivi per l’uomo e il pollame.
Si trovano in tracce nell’olio di semi di cotone.
- Acido erucico (22:1Δ13) presente negli olii estratto dalle Brassicaceae (ravizzone e colza), è
tossico (interferisce col metabolismo lipidico). Col miglioramento genetico si è passati dal 25% al
5% di acido erucico in questi oli.
- Acidi vaccenico ed elaidinico sono acidi grassi trans prodotti dalla microflora del rumine, presenti
dunque naturalmente nel latte.

Acidi linoleici coniugati, non c’è il gruppo metilenico che interrompe i due doppi legami cis
dell’acido linoleico, si parla appunto di doppi legami coniugati, ed uno di questi due legami è in
configurazione trans. Ha un effetto antimutageno, antiossidante ed apparenti effetti anti
cancerogeni. Sono prodotti dai batteri del rumine (es. Butyrovibrio fibrisolvens) e presenti nel latte
bovino e ovo caprino.
I lipidi: acidi grassi essenziali, reazione di idrogenazione

Gli acidi grassi essenziali, introdotti con la dieta.


Gli acidi grassi sono una fonte di energia per l’uomo, se ingeriti in eccesso rispetto al fabbisogno
calorico, si depositano nel tessuto adiposo creando fenomeni di obesità. La totale assenza di lipidi
nella dieta causa problemi cutanei, vascolari e riproduttivi. Il fenomeno è stato osservato per la
prima volta in topi da laboratorio, i cui sintomi scomparivano con la somministrazione di acido
linoleico (C18:2) o arachidonico (C20:4) chiamati vitamina F.
Dose raccomandata di acido linoleico: 12-17 g/giorno. Acido linoleico a 18 atomi di C con due doppi
legami. Dose raccomandata di acido arachidonico: 102-258 mg/giorno. Acido arachidonico a 20
atomi di C con 4 doppi legami. Entrambi sono precursori delle prostaglandine, gruppo di ormoni
importanti. Il metabolismo umano può produrre acido arachidonico a partire dall’acido linoleico,
ma non può produrre acido linoleico, questo deve essere assunto con la dieta perché essenziale.

Biosintesi dell’acido linoleico


Premessa - La numerazione dei C nella nomenclatura inizia dove è presente il gruppo carbossilico,
ne esiste però un’altra che inizia a numerare i C dall’estremità metilica ed è specifica degli acidi
grassi essenziali, della serie omega 3,6 e 9.
Gli Omega 3 hanno un doppio legame sul terzo C partendo a contare dal C metilico ecc.
La biosintesi dell’acido linoleico parte dall’acido stearico, acido grasso saturo a 18 C, su questo
agisce un enzima Δ6 desaturasi che va ad introdurre un doppio legame in posizione 9, ed otteniamo
l’acido oleico. Quest’ultimo agisce l’azione di un’altra desaturasi la Δ12 desaturasi che va ad
introdurre un altro doppio legame in posizione 12 partendo a contare dall’estremità carbossilica.
Le desaturasi intervengono introducendo doppi legami rendendo gli acidi grassi insaturi.
L’uomo non ha le desaturasi per le posizioni 12 e 15 (o ω-3, ω-6), cioè non può produrre acidi
grassi della serie omega 3 e 6 che devono essere introdotti con la dieta.

Biosintesi dell’acido arachidonico: la serie ω-6


La biosintesi dell’acido arachidonico parte dall’acido linoleico, acido grasso a 18 C con due
insaturazioni, della serie omega 6 perché il primo doppio legame è in posizione 6.
Sull’acido linoleico va ad agire un enzima Δ6 desaturasi che va ad introdurre un doppio legame in
posizione 6, ed otteniamo l’acido gamma linoleico, acido grasso a 18 C con tre doppi legami.
(L’acido gamma linoleico è prodotto dalle piante che introducono questo terzo doppio legame.
Es. primula)
Sull’acido gamma linoleico va ad agire un enzima l’elongasi che va ad aggiungere due unità
carboniose, aggiunge due gruppi CH2 allungando la catena di due unità ed otteniamo l’acido
dihomo gamma linoleico, un acido grasso a 20 C con tre insaturazioni.
Sull’acido dihomo gamma linoleico va ad agire di nuovo la Δ6 desaturasi che va ad introdurre un
doppio legame in posizione 6, ed otteniamo l’acido arachidonico, indicato di solito con la sigla ARA,
acido grasso essenziale a 20 C con quattro insaturazioni ed è un acido grasso della serie omega 6.

Biosintesi dell’acido docosaesaenoico: la serie ω-3


La biosintesi dell’acido docosaesaenoico parte dall’acido alfa linoleico, acido grasso a 18 C con tre
doppi legami della serie omega 3 perché il primo doppio legame partendo a contare dall’estremità
metilica è in posizione 3.
Sull’acido alfa linoleico va ad agire un enzima Δ6 desaturasi che va ad introdurre un doppio legame
in posizione 6, ed otteniamo l’acido stearidonico, acido grasso a 18 C con quatto doppi legami.
Sull’acido stearidonico va ad agire un enzima l’elongasi che va ad aggiungere due unità carboniose
alla catena, aggiunge due gruppi CH2 allungando la catena di due unità ed otteniamo un acido
grasso a 20 C con quattro insaturazioni.
Su questo acido grasso agisce la Δ5 desaturasi che va ad introdurre un doppio legame in posizione 5
ed otteniamo l’acido elcosapentaenoico indicato con la sigla EPA, a 20 C con 5 insaturazioni.
Sull’acido elcosapentaenoico va ad agire un enzima l’elongasi che va ad aggiungere due unità
carboniose alla catena, aggiunge due gruppi CH2 allungando la catena di due unità ed otteniamo un
acido docosapentaenoico a 22 C con cinque insaturazioni. Infine quest’ultimo può essere
trasformato tramite l’azione di una desaturasi in acido docosaesaenoico indicato con la sigla DHA,
ha 22 C con 6 insaturazioni, acido grasso della serie omega 3.

Prostaglandine
Gli acidi grassi essenziali sono precursori di prostaglandine, molecole importanti che hanno azione
sull’infiammazione e sulla muscolatura liscia.
Dall’acido arachidonico si può ottenere la prostaglandina E2 passando per un intermedio la
prostaglandina H2 che contiene al suo interno un perossido ciclico. Quest’ultimo si può decomporre
per fare un gruppo carbonilico ed un ossidrile nella prostaglandina E2.
L’acido arachidonico è precursore di altre due molecole i leucotrieni e trombossani.
L’acido arachidonico può essere trasformato nel leucotriene A4, è coinvolto in reazioni allergiche
ed asmatiche. Dal perossido ciclico si può formate anche il trombossano A2 che ha un ruolo
essenziale nelle piastrine, nell’aggregazione sanguigna.

Le malattie cardiovascolari
Un alto consumo di acidi grassi saturi è correlato con un elevato rischio di arteriosclerosi e malattie
cardiache. Altri fattori di rischio: fumo, ambiente, familiarità, professione.
Acidi grassi saturi a più corta catena come laurico 12 C, miristico 14 C e palmitico 16 C sembrano
essere quelli maggiormente correlati all’innalzamento del colesterolo ematico.
Serie ω-3 (acido linolenico, EPA e DHA) sono positivi e sono abbondanti negli oli di pesci grassi
dunque bisogna incrementare il consumo di pesce grasso (sgombro, aringhe).
Le margarine sono di origine vegetale sono senza colesterolo, ma durante l’idrogenazione, la base
di trasformazione degli oli in margarine, si forma una certa quantità di acidi grassi trans, insaturi
ma struttura lineare come gli acidi grassi saturi, è presumibile che si comportino nello stesso modo.
Il colesterolo alimentare ha un’influenza piuttosto limitata sulla colesterolemia, cioè sul colesterolo
ematico, che dipende da numerosi fattori tra cui predisposizione genetica, regime alimentare
complessivo ed attività fisica. Non tutti i grassi animali sono ricchi di acidi grassi saturi, es. il pesce è
ricco di acidi grassi polinsaturi. Non tutti i grassi vegetali sono ricchi di acidi insaturi, es. l’olio di
cocco e l’olio di palma son ricchi di acidi grassi saturi.

La perossidazione lipidica nell’organismo


I lipidi in circolo nell’organismo possono ossidarsi.
Gli acidi grassi insaturi sono più propensi all’ossidazione. I perossidi che si formano, cioè i prodotti
della perossidazione lipidica, sono dannosi per l’organismo perché vanno a superare le capacità
antiossidanti del nostro organismo.
Per contrastare questo fenomeno bisogna incrementare il consumo di frutta e verdura, quindi con
una maggior assunzione di vitamine antiossidanti (A retinolo, C acido ascorbico ed E tocoferolo).

Reazioni degli acidi grassi insaturi


Gli acidi grassi insaturi sono più reattivi dei saturi, molto meno propensi. Il doppio legame può
reagire stechiometricamente con gli alogeni per dare una reazione di addizione elettrofila al doppio
legame. Es. Addizione elettrofila dello iodio al doppio legame di un acido grasso insaturo, questa
reazione è stechiometrica quindi se io so quanto iodio ho fatto reagire posso determinare il numero
di doppi legami che erano presenti inizialmente nel mio grasso. N° di iodio è un parametro che
descrive il grado di insaturazione di un lipide, in particolare sono i grammi di iodio che reagiscono
con 100 g di grasso.

Idrogenazione degli acidi grassi, utilizzata anche a livello industriale.


In questa reazione il doppio legame viene idrogenato in presenza di idrogeno molecolare di un
catalizzatore metallico per dare un acido grasso saturo, si passa in questo modo da oli liquidi a
grassi solidi. Questo processo viene utilizzato per la produzione della margarina. La margarina era
utilizzata come surrogato del burro che era bene più costoso. Si fa reagire l’idrogeno molecolare
con un olio vegetale (liquido) in presenza di un catalizzatore metallico per dare grassi solidi perché
ricchi in acidi grassi saturi, con un diminuito grado di insaturazione.
L’idrogenazione degli acidi grassi prevede l’eliminazione dei lipidi polari (es. fosfolipidi) che
andrebbero ad avvelenare il catalizzatore. I lipidi poi vengono fatti reagire con idrogeno gassoso, ad
alta temperatura (160-220°C), ad alta pressione (2-10 atm), ed in presenza di un catalizzatore
metallico (es. Ni, 0.01-0.2%, in percentuali basse). I doppi legami degli acidi grassi insaturi sono
ridotti e si ottengono acidi grassi saturi con un numero minore di insaturazione. I doppi legami più
reattivi sono quelli più distanti dal carbossile, più vicini alla coda dell’acido grasso e gli acidi grassi
con più insaturazioni. Dall’acido trienoico, con tre doppi legami, ottengo l’acido dienoico, con due,
dall’acido dienoico ottengo l’acido monoenoico, con un solo doppio legame, dall’acido monoenoico
ottengo un acido grasso saturo.
Idrogenazione schematizzata –
Prima fase: l’idrogeno molecolare è adsorbito sul catalizzatore, cioè si trasforma in idrogeno
atomico passando da H2 a H atomico legato al metallo; anche l’acido grasso insaturo è adsorbito, in
corrispondenza del doppio legame.
Seconda fase: formazione del legame carbonio idrogeno con l’idrogeno che si stacca dal
catalizzatore. Gli atomi di H si legano all’acido grasso dallo stesso lato del doppio legame
(stereochimica «sin»).
Terza fase: L’acido grasso saturo è rilasciato dal catalizzatore, distacco completo.
Queste reazioni sono tutte degli equilibri, dunque nulla toglie che la reazione anziché andare avanti
verso il terzo passaggio ovvero il distacco dell’acido grasso saturo dal catalizzatore, torni indietro e
si riformi il doppio legame ma in configurazione trans, non cis, perché è più stabile
termodinamicamente. Il doppio legame può formarsi anche nella posizione adiacente, assistendo ad
una migrazione del doppio legame.
Utile come reazione perché si possono rendere oli di scarso valore più stabili all’ossidazione, quindi
più conservabili.

Tabella con contenuto di acidi grassi trans di alcuni alimenti: alimento con quantitativo più alto è la
margarina 40%, si formano come prodotto collaterale di idrogenazione, crakers 40%, patatine fritte
37% perché gli oli da frittura utilizzati a livello industriale sono resi più stabili all’ossidazione con la
reazione di idrogenazione quindi contengono un alto quantitativo di acidi grassi trans. Tutti gli
alimenti che contengono margarine o grassi idrogenati contengono un quantitativo di acidi grassi
trans.

Gli acidi grassi trans, guardando la struttura, hanno la polarità di un acido grasso cis, ma la struttura
di un acido grasso saturo. Livelli di assunzione superiori a 2.5 g al giorno di acidi grassi trans sono
considerati dannosi per la salute ed in particolare sarebbero coinvolti nell’aumento del rischio
cardiovascolare.

Come si fa a determinare il profilo in acidi grassi di un certo grasso od olio alimentare. Come sapere
da quali acidi grassi è composto un alimento. Devo prima estrarre la frazione lipidica dal mio
alimento, si fa con un’estrazione, con un solvente apolare come l’esano o l’etere, quindi ho la mia
provetta con i miei trigliceridi. Devo fare una reazione di idrolisi basica in presenza di un
catalizzatore quindi faccio reagire i miei trigliceridi con tre molecole di metanolo, idrossido di
potassio e con questa reazione di trans esterificazione ottengo la molecola di glicerolo libera e tre
acidi grassi esterificati con il metanolo. Gli esteri metilici degli acidi grassi si posso analizzare con
gas cromatografica, ogni picco corrisponde ad un diverso acido grasso metilestere e più è alta area
del picco maggiormente presente sarà quella tipologia di acido grasso.
I lipidi: rancidità – reazione di ossidazione lipida che porta ai fenomeni di rancidità.

La rancidità è un processo degenerativo di oli e grassi e si suddivide in fenomeni lipolitici ed


ossidativi. La lipolisi consiste nell’idrolisi dei trigliceridi nel glicerolo e nei tre acidi grassi che li
costituiscono, porta alla generazione di acidi grassi liberi. La lipolisi può essere un fenomeno
positivo o negativo, dipende dal prodotto in cui essa avviene e dall’entità, cioè dal suo grado di
estensione. L’ossidazione invece è quel fenomeno per cui gli acidi grassi insaturi vanno ad agire con
l’ossigeno formando perossidi che poi si decompongono ad altre specie chimiche, è sempre un
fenomeno negativo per l’alimento.

La lipolisi consiste nell’idrolisi dei trigliceridi tramite l’azione di catalizzatori acidi, basici o
enzimatici nel glicerolo e nei tre acidi grassi che lo costituiscono portando alla formazione di acidi
grassi liberi. Figura – azione catalizzata da un enzima , la lipasi.
Le lipasi sono presenti naturalmente nel latte e si parla di lipasi endogene o presenti nei
microorganismi utilizzati come start, innesti per i prodotti lattiero caseari.
La lipolisi è molto importante per molti prodotti lattiero caseari, ad es. nel burro i fenomeni
lipolitici contribuiscono alla liberazione acidi grassi a corta catena come ad es. l’acido butirrico che
vanno a contribuire all’aroma e al sapore tipico del prodotto.
Un eccesso di lipolisi però porta ad una produzione troppo alta di acidi grassi a corta catena che
porta alla produzione di note organolettiche sgradevoli, il prodotto puzza e risulta avariato.
La lipolisi è importante ma deve essere limitata entro certi range.
Nei formaggi ha un ruolo fondamentale perché contribuisce all’aroma del prodotto. Questo
processo è più accentuato nei formaggi erborinati (Gorgonzola, Stilton) o a crosta fiorita
(Camembert), in quanto le muffe sono ricche di lipasi. Le muffe producono anche proteasi che
scindono le proteine liberano amminoacidi, precursori di aromi. Miscele di questi enzimi lipasi o
proteasi possono essere utilizzate per accelerare la stagionatura dei formaggi, accelereremo le note
olfattive ed il profilo organolettico diminuendo i tempo di stagionatura ottenendo quindi un
risparmio economico.

Ossidazione degli acidi grassi si può dividere in due principali classi


- Autossidazione
- Fotossidazione

- Autossidazione degli acidi grassi: fase di iniziazione, propagazione e terminazione.


Iniziazione: abbiamo un radicale libero, un iniziatore radicalico, che va a reagire con un
acido grasso generando un radicale alchilico che è il radicale dell’acido grasso X• + RH -> R•
+ XH
Propagazione: il radicale alchilico nella fase di propagazione va a reagire con l’ossigeno formando
un radicale perossido R• + O2 -> ROO•
Il radicale perossido strappa un idrogeno dall’acido grasso formando un idroperossido
ROO• + RH -> ROOH + R•
Va a propagare questa reazione a catena ed inoltre si forma un nuovo radicale alchilico.
I perossidi non sono composti stabili quindi possono decomporsi a radicale alcossido, perossido e
acqua 2ROOH -> RO• + ROO• + H2O
Questa reazione va avanti fino alle fasi di terminazione.
Terminazione: due specie radicaliche reagiscono tra di loro a dare una specie non radicalica ad es.
due acidi grassi in forma radicalica, due radicali alchilici, possono reagire tra di loro formando un
legame carbonio carbonio e legandosi quindi tra loro
R• + R• -> R-R
Oppure un radicale alchilico può reagire con un radicale perossido a dare un perossido organico
R• + ROO• -> R-O-O-R
Oppure due radicali perossidi possono reagire tra loro a dare un perossido organico liberando una
molecola di ossigeno
ROO• + ROO• -> R-O-O-R + O2
Fase di Iniziazione – Abbiamo un iniziatore radicalico ovvero un radicale libero che va a strappare
un H sulla molecola di acido grasso. Potenzialmente tutti questi H possono essere strappati, può
essere strappato un qualsiasi H legato ad un C però è noto che i due atomi di H che vengono
strappati sono quelli legati al C sp3 adiacenti al doppio legame, questo perché in questo modo si
forma un radicale allilico che è stabilizzato per risonanza tra due C secondari. Questo radicale
allilico è termodinamicamente più stabile quindi la reazione è favorita.
Fase di Propagazione – Il radicale alchilico va a legarsi all’ossigeno tripletto che è quello che
normalmente è presente. Si forma un radicale perossido, questo va a strappare un ulteriore atomo
di H da un altro acido grasso sempre nella posizione adiacente al doppio legame. Si è quindi
formato un idroperossido ed un nuovo radicale che propagherà la reazione. L’idroperossido non è
una specie stabile e si decomporrà generando molecole a basso peso molecolare volatili (aldeidi, …)
responsabili del cattivo sapore e aroma dei prodotti irranciditi.
Es. di rottura degli idroperossidi, generano una molecola d’acqua, un radicale perossido ed un
radicale alcossido R-O-O-H + R-O-O-H -> H2O + R-O-O• + R-O•
La reazione si propaga, va avanti, fino a che non avvengono reazioni di terminazione.
Fase di Terminazione – due specie radicaliche reagiscono tra loro per dare una specie non
radicalica ad es. due acidi grassi in forma di radicale, due radicali alchilici, possono legarsi tra loro
formando un legame C C generando una specie che non è radicalica.
R• + R• -> R-R
Oppure un raducale alchilico può reagire con un radicale perossido dando un perossido organico
R• + ROO• -> R-O-O-R
Due radicali perossidi possono reagire tra loro a dare un perossido organico liberando una
molecola di ossigeno
ROO• + ROO• R-O-O-R + O2

L’autossidazione non si ferma però alla formazione di idroperossidi ma prosegue fino a generare
sia prodotti finali volatili sia non volatili.
Volatili – Un radicale alcossido che può formare aldeidi, alcoli e chetoni, sono tutte molecole volatili
a basso peso molecolare e sono responsabili delle pessime caratteristiche organolettiche dei
prodotti irranciditi. Se il radicale alcossido forma un doppio legame C O e rilascia uno dei due
gruppi R sottoforma radicalica otterremo un aldeide o se il radicale alcossido strappa un H ad una
molecola generando un radicale si andrà a formare un alcool o infine se si forma un doppio legame
C O e H viene preso da una specie radicalica io avrò un chetone.
Tra le aldeidi ricordiamo 2-nonenale 2,4-decadienale, malonaldeide (utilizzata come marcatore
nell’ossidazione di un certo olio e di un certo grasso, misurando la malonaldeide, prodotto finale
dell’autossidazione, possiamo determinare quanto il nostro olio o il nostro grasso si siano ossidati)
e cis-3-esenale . Tra i chetoni più importanti ci sono il diacetile ed il 2,3-pentandione.
Non volatili o polimerici – il radicale alchilico può andare a reagire con il doppio legame di un acido
grasso insaturo creando un legame C C e quindi le due catene dei due acidi grassi si legano tra loro.
Essendo che la specie che si è formata è anch’essa radicalica questa può propagare la reazione.
Inoltre si possono formare delle strutture cicliche con la Reazione di Diels-Alder tra acido grasso
polinsaturo ed uno insaturo. Per far avvenire questa reazione di polimerizzazione è necessario una
prolungata esposizione all’ossigeno ad alte temperature come avviene quando friggiamo un
alimento. La formazione di questi polimeri porta ad un aumento di viscosità dell’olio di frittura e
alla formazione di schiume soprattutto quando l’olio è vecchio ed esausto, è importante per questo
cambiare gli oli utilizzati per la frittura.

- Fotossidazione degli acidi grassi


Nell’autossidazione reagiva l’ossigeno tripletto, forma più stabile a bassa energia. Può succedere
però che per effetto della radiazione luminosa alcune molecole dell’ossigeno tripletto si eccitino
allo stato di singoletto. Stato energetico più elevato, l’ossigeno singoletto è più reattivo perché ha
più energia. Ha un orbitale vuoto e cerca di riempirlo, può andare quindi a dare un attacco al C del
doppio legame dell’acido grasso insaturo ed il doppio legame si sposta nella posizione adiacente,
l’altro atomo di O dell’ossigeno molecolare va a prendere H e si forma un idroperossido.
Si è formato per reazione diretta dell’O singoletto con lipide insaturo.

Reattività dei diversi acidi grassi – i saturi sono i più stabili all’ossidazione, ad es l’acido stearico è
un C18:0 è abbastanza stabile, l’acido oleico presenta un’insaturazione ed è meno stabile perché la
rimozione dei due H legati al C sp3 adiacente al doppio legame porta alla formazione di un radicale
allilico stabilizzato per risonanza, l’acido linoleico è ancora più reattivo perché la rimozione dell’H
legato al C indicato con la freccia rossa porta ad avere un radicale che è stabilizzato per risonanza
da entrambi i lati ecc.
Dunque > è il n° insaturazioni > n° strutture di risonanza del radicale = la reazione sarà più
favorita. Le strutture di risonanza fanno sì che il perossido possa formarsi in diverse posizioni.

Catalizzatori – metalli che favoriscono la reazione dell’ossidazione. Es. Idroperossido può reagire
con un metallo monovalente per formare un radicale alcossido, un ione idrossido ed il metallo
bivalente. In questa reazione il metallo si è ossidato.
R-O-O-H + M+ -> R-O• + OH- + M2+
Idroperossido può reagire con un metallo bivalente per dare un radicale perossido, uno ione H+ ed
il metallo in forma monovalente. In questa reazione il metallo si è ridotto.
R-O-O-H + M2+ -> R-O-O• + H+ + M+

Come limitare l’irrancidimento - ridurre il più possibile il contatto del grasso o dell’olio con
l’ossigeno, si può mettere il prodotto sottovuoto o sotto atmosfera di azoto. Ridurre l’esposizione
alla luce (fotossidazione). Evitare il contatto con metalli che catalizzano la reazione di rottura degli
idroperossidi. Evitare il riscaldamento (per oli o grassi usati crudi) o cambiare spesso gli oli o
grassi da frittura (il calore favorisce la reazione di ossidazione). È una reazione a catena, è
necessario non rabboccare l’olio vecchio, ma sostituirlo completamente.

Come misurare l’irrancidimento


Metodo dell’acido tiobarbiturico per misurare il livello di ossidazione di un olio o di un grasso, si
determina la malondialdeide, un prodotto secondario dell’ossidazione.
Metodo della 2,4-dinitrofenilidrazina in cui si determina il contenuto di gruppi carbonilici (prodotti
secondari dell’ossidazione).
Determinazione dei perossidi per reazione con iodio (max 20 meqO2/kg).
Determinazione dei dieni e trieni coniugati effettuando una lettura spettrofotometrica a 232 e 270
nm, i dieni e trieni si formano per migrazione dei doppi legami durante le reazioni di ossidazione.

Prodotti dell’ossidazione e salute - Fonti alimentari principali dei prodotti di ossidazione dei lipidi
sono il fritto, i pesci grassi conservati male. Se assunti in eccesso, si superano le capacità
antiossidanti dell’organismo, che non riesce più a neutralizzarli. Gli ossidi del colesterolo (fino a 50
ppm nelle patatine fritte) sono correlati all’insorgenza di patologie cardiovascolari. Alcuni prodotti
dell’ossidazione possono essere cancerogeni o mutageni.
I lipidi: antiossidanti e trigliceridi

Antiossidanti sono molecole in grado di ritardare o prevenire l’irrancidimento.


Sono dunque additivi alimentari che ostacolano la reazione di ossidazione, ritardandola o
prevenendola. Utilizzati nei prodotti che hanno un elevato rapporto superficie-volume e quindi
hanno un’elevata aria di superficie a contatto con l’ossigeno atmosferico e quindi più suscettibili di
ossidazione, es. pasticcini in cui viene inglobata molta aria nelle creme,panna ecc. o i biscotti che
hanno un elevato rapporto superficie-volume.
Gli antiossidanti posso agire secondo tre possibili meccanismi d’azione:
– Scavenger di radicali
– Quencher di ossigeno singoletto
– Chelanti di metalli.

- Scavenger di radicali
AH è l’antiossidante che va ad reagire con un radicale perossidico generando un idroperossido e la
molecola antiossidante in forma radicalica.
• AH + ROO• -> ROOH + A•
Questo è un radicale molto stabile perché ha molte strutture di risonanza che lo stabilizzano e
quindi blocca la fase del processo di propagazione dell’autossidazione.
Esempi: BHA butilidrossianisolo, BHT butriliossidoluene, aggiunti fino a 200 ppm negli alimenti
come antiossidanti.

- Quencher di ossigeno singoletto


Ossigeno singoletto, forma dell’ossigeno ad lata energia, va a reagire con queste molecole ad es.
carotenoide per dare l’ossigeno tripletto a più bassa energia ed il carotenoide in uno stato eccitato.
1O2 + carotenoide -> 3O2 + carotenoide* (eccitato)
A sua volta il carotenoide allo stato eccitato reagisce con l’ossigeno tripletto tornando un
carotenoide allo stato normale e liberando calore
3O2 + carotenoide* (eccitato) -> carotenoide + calore
Esempi: β-carotene (carota), licopene (pomodoro).

- Chelanti di metalli, molecole che vanno a chelare i metalli sono in grado di prevenire la reazione
di ossidazione. Come abbiamo visto alcuni metalli sono in grado di catalizzare la rottura degli
idroperossidi a forma radicaliche quindi se noi andiamo a sequestrare gli ioni metallici questi non
saranno più disponibile per favorire la rottura degli idroperossidi a specie radicaliche.
Esempi: EDTA acido etilendiamminotetraacetico, polifenoli.

Antiossidanti di sintesi vengono aggiunti agli alimenti per ritardare o prevenire la reazione
d’irrancidimento:
Butilidrossianisolo (BHA, E320, 2-1000 ppm): patatine a sacchetto, gomme. La concentrazione
aggiunta dipende da quanto grasso c’è nell’alimento e da quanto questo grasso è saturo o insaturo.
Butilidrossitoluene (BHT, E321)
Propilgallato (PG, E310): utilizzato nelle gomme da masticare.
Ascorbilpalmitato (E304)

Antiossidanti naturali cioè estratti da alcuni alimenti


Acido rosmarinico (origano), Carnosolo (rosmarino e salvia), Eugenolo (chiodi di garofano),
α-tocoferolo (vit. E) presente negli olii di germe di grano. Queste molecole possono essere aggiunti
come antiossidanti negli alimenti tenendo conto delle diverse caratteristiche organolettiche e
degli aromi che si portano dietro dalle matrici da cui sono stati estratti.

Alcune vitamine hanno un’azione antiossidante sia in vivo, nell’organismo umano, sia negli alimenti
che le contengono: – Vitamina A (retinolo) – Vitamina C (acido ascorbico) – Vitamina E (tocoferolo)
Hanno un effetto positivo sulla salute, proteggono le lipoproteine dall’ossidazione, prevenendo le
patologie cardiovascolari. Queste vitamine sono abbondanti in frutta e verdura e negli olii vegetali.

Alimenti naturalmente ricchi di antiossidanti


Tè verde è ricco di catechine (scavenger di radicali molto efficaci)
Spezie sono ricche di antiossidanti che possono rallentare l’irrancidimento, ma il loro utilizzo è di
più legato all’aroma e al sapore che impartiscono al prodotto che non alle loro caratteristiche
antiossidanti.

Trigliceridi, molecole che costituiscono la maggior parte degli olii e dei grassi di interesse
alimentare. Un trigliceride è una molecola ottenuta dall’esterificazione del glicerolo con 3 acidi
grassi. I 3 acidi grassi possono essere uguali tra loro ed avrò un trigliceride semplice come la
tristearina o la trioleina, o diversi tra loro avrò un trigliceride misto. Ne consegue che alimenti che
hanno lo stesso profilo in acidi grassi totali possono però avere un diverso profilo in trigliceridi,
perché appunto legati in un ordine diverso nel glicerolo.

Nei grassi animali (es. strutto, grasso della carne) gli acidi grassi insaturi (es. oleico, linoleico)
tendono ad occupare maggiormente le posizioni esterne del trigliceride (1 e 3).
Nei grassi vegetali (es. burro di cacao, olio di palma, di arachide) gli acidi grassi insaturi (es. oleico,
linoleico) tendono ad occupare maggiormente la posizione interna del trigliceride (2).
Quando vado a caratterizzare il profilo lipidico di un alimento è importante non solo determinare la
composizione in acidi grassi del trigliceride, ma anche sapere in quale posizione sono legati al
glicerolo. Questo è importante appunto per distinguere un grasso animale da uno vegetale.
Come posso distinguere un isomero da un altro? A distinguere ad esempio un trigliceride composto
da sterico-oleico-stearico rispetto ad uno composta da stearico-stearico-oleico?
- Servono tecniche cromatografiche apposite, come la cromatografia su strato sottile con gel di silice
e AgNO3 (nitrato d’argento). L’argento va ad interagisce coi doppi legami, modificando le
caratteristiche di ritenzione del trigliceride.
- La lipasi pancreatica che catalizza l’idrolisi del trigliceride in 2-monogliceride + 2 acidi grassi
ovvero rimuove selettivamente gli acidi grassi in posizione 1 e 3, lasciando un 2-monogliceride.
Posso dunque capire in queste fase quali acidi grassi erano legati all’estermità del trigliceride, in
posizione 1 ed in posizione 3. In una seconda fase posso poi idrolizzare anche l’ultimo legame
estere rimasto quello in posizione 2, sul C centrale, ed andare a determinare con la stessa
analisi quale acido grasso era legato.

Trigliceridi: transizioni di fase


La loro Tf, temperatura di fusione, dipende dalla composizione in acidi grassi.
Se un trigliceride è composto da acidi grassi a lunga catena o saturi avrò una temperatura di fusione
più alta, se invece è composto da acidi grassi a corta catena o insaturi avrò una Tf più bassa.
Gli oli e i grassi alimentari sono miscele di trigliceridi diversi, quindi non hanno una Tf precisa, ma
un intervallo, un range di temperatura di fusione. Se io vado a scaldare il mio grasso all’inizio
fonderanno prima i trigliceridi più corti e/o insaturi, successivamente fonderanno anche gli altri
più lunghi e/o saturi, finché sarà tutto un olio liquido.

Oli e grassi Temperatura di fusione (media)


Strutto 42°C solido a temperatura ambiente, Olio di palma 35°C, Burro 32°C solido a temperatura
ambiente, Olio di cocco 25°C, Olio di colza 10°C, Olio di arachide 3°C, Olio di oliva -6°C, Olio di soia -
16°C, Olio di girasole -17°C e Olio di mais -20°C. Gli olii sono liquidi a temperatura ambiente fatta
eccezione per l’olio di palma, utilizzato in sostituzione del più costoso burro. Più aumentano i lipidi
insaturi più aumenta la Tf.
Curve di fusione di alcuni grassi alimentari
Vedendo es. il burro di cacao, strutto, l’olio di palma, il burro e l’olio di cocco la pendenza è molto
graduale, composti da trigliceridi diversi.
Il burro di cacao ha una pendenza più netta ed un range di Tf 30/35° più stretto, ha trigliceridi di
struttura molto simile tra loro (80% SIS), questo fa sì che ci sia un marcato cambiamento di
pendenza della curva. Altri grassi hanno maggior varietà di tipologie di trigliceridi, quindi range di
Tf molto più ampi (curve con pendenza minore).

Cristallizzazione dei trigliceridi


Quando solidificano, i grassi possono cristallizzare in tre forme: α alfa, β’ beta primo o β beta.
Ogni forma cristallina ha una sua temperatura di fusione e sue proprietà fisico chimiche. Inoltre,
all’interno di ogni forma cristallina ci possono essere leggere varianti: il burro di cacao ha 6 tipi
polimorfici di cristallo diverse.
- I cristalli di tipo α sono i più instabili, hanno durata molto breve e si generano quando
noi andiamo a fondere il grasso e lo raffreddiamo molto velocemente. Hanno una forma di
tipo esagonale. Tf più bassa.
- I cristalli di tipo ortorombigo di tipo β’ sono più stabili, hanno una durata un po’ più lunga.
Questi due tendono sempre a convertirsi nei cristalli β, più stabili. Se rifondo il mio grasso e
lo solidifico si formerà la forma β’, metà stabile.
- I cristalli di tipo β sono quelli più stabili, durano all’infinito e hanno forma triclinica. Se rifondo
il mio grasso e lo risolidifico ottengo la forma più stabile, con Tf più elevata.
Tabella – Tf di cristalli per diversi trigliceridi semplici
Tricaprina (3 molecole di acido caprinico) -15 - 32
Trilaurina (3 di acido laurico) 14 43 44
Trimiristina (3 di acido miristico) 32 44 56
Tripalmitina (3 di acido palmitico) 44 56 66
Tristearina (3 di acido stearico) 54 64 73
All’aumentare della lunghezza della catena alchilica aumenta la Tf, ma quella della forma alfa
rimane più bassa rispetto alle altre due.
Stesso discorso vale per i trigliceridi insaturi come la Trioleina -32 -13 4 in cui all’aumentare della
stabilità della forma cristallina aumenta la Tf.

Grassi alimentari sono composti da molti trigliceridi diversi ed ogni trigliceride può cristallizzare in
più di una forma. Grassi che cristallizzano di tipo β: burro di cacao, olio di cocco, olio di arachidi,
olio di semi, olio di oliva, olio di palmisti, olio di girasole, strutto. Grassi di tipo β’: olio di cotone, olio
di palma, olio di colza, olio di pesce, olio di balena, sego e burro.

Ampio intervallo di Tf avremo un grasso plastico e malleabile, ideale per grassi spalmabili o
prodotti da forno. Con il shortening si intende un grasso trasformato industrialmente es. per inter
esterificazione o per idrogenazione. Cristalli β’: hanno forma aghiforme, i cristalli dispersi nella
matrice semi liquida generano una consistenza ideale per inglobare bollicine di aria (sofficità),
farina o zucchero, indicato per prodotti di pasticceria. Cristalli β: cristalli più grossi con struttura
granulare, utilizzati in pasticceria.

Grassi con trigliceridi costituiti da acidi grassi abbastanza simili tendono a cristallizzare nella forma
β mentre grassi con trigliceridi costituiti da acidi grassi molto diversi o con trigliceridi asimmetrici
tendono a cristallizzare nella forma β’. Ne consegue che quando io applico un processo che
modifichino il tipo di acido grasso (es. idrogenazione) o la sua posizione (es. inter esterificazione)
cambiano le sue proprietà di cristallizzazione.
I lipidi: reazioni dei trigliceridi e lipidi polari

Cristallizzazione dei lipidi: il burro di cacao.


Slide: curva di fusione di alcuni burri di cacao di diverse origini geografiche.
La composizione in acidi grassi dei trigliceridi del burro di cacao è molto simile, il che porta ad
avere una curva di fusione molto netta: a temperatura ambiente dunque a 20° il burro di cacao
contiene dal 65% al 80% di solidi, scaldando i cristalli iniziano a fondere ed avremo che tutto il
burro di cacao è liquido dopo i 36°. Il burro di cacao ha 6 possibili forme polimorfiche, con Tf da
16°C per la forma più instabile ai 36°C per la forma termodinamicamente più stabile.
Nella tabella appaiono diverse forme polimorfimiche in cui può cristallizzare il burro di cacao in
ordine di stabilità termodinamica crescente:
I γ, si ottiene fondendolo e raffreddandolo rapidamente, tf più bassa di 16-18 °C, più instabile.
II α, si ottiene fondendolo e raffreddandolo rapidamente a 2 °C oppure si forma mantenendo la
forma I per 1 ora a 0 °C, tf poco più alta di 22-24 °C, leggermente più stabile.
III β2’ avviene solidificando il burro di cacao tra i 5-10 °C oppure mantenendo la forma II a 5-10 °C,
tf di 24-26 °C.
IV β1’ solidificazione a 16-21 °C o mantenendo la forma III tra i 16-21 °C, tf di 26-28 °C.
V β2 desiderata dai pasticceri e dall’industria alimentare si ottiene con un particolare
procedimento chiamato “temperaggio” dà per es. alla cioccolata una superficie lucida e consistenza
compatta tf di 32-34 °C. Il temperaggio consiste nella fusione del cioccolato, nel suo raffreddamento
che fa sì che inizi la cristallizzazione, nel riscaldamento fino a T leggermente inferiore alla Tf della
forma 5, le altre forme sono indesiderate 1-4 perché rimangono fuse, si effettua poi una continua
agitazione chiamata concaggio per favorire la formazione di cristalli di tipo 5.
VI β1 Forma termodinamicamente più stabile si ottiene lasciando la forma V per 4 mesi a
temperatura ambiente accadde per es. al cioccolato invecchiato, affiora e forma quella patina
biancastra tipica del cioccolato troppo vecchio o conservato male. Questo stesso problema si
presenta anche quando nell’alimento ci sono altri grassi oltre al burro di cacao. Il grasso del latte
inibisce parzialmente questo fenomeno. Il burro di cacao migra in superficie ad una tf di 35-36 °C.

Surrogati del burro di cacao


CBR (cocoa butter replacer) o CBE (cocoa butter extender) usati nelle coperture al cacao da soli o
in combinazione col burro di cacao. Questi grassi cristallizzano in una sola forma polimorfica quindi
non necessitano di temperaggio. Hanno lo svantaggio dal punto di vista qualitativo è più inferiore
ed hanno un aspetto più unt. I surrogati sono prodotti da oli vegetali per idrogenazione o
frazionamento come ad es. olio di soia, olio di semi di colza, olio di cotone, olio di arachide, olio di
palma.

Direttiva 2000/36/CE disciplina l’aggiunta massima di grassi esogeni consentita nel cioccolato:
possono essere aggiunti grassi diversi dal burro di cacao in un percentuale massima del 5%. Questi
devono essere grassi vegetali non contenenti acido laurico, devono essere ricchi di trigliceridi
monoinsaturi simmetrici di tipo POP (palmitico – oleico - palmitico), POSt (palmitico - oleico –
stearico), StOSt. Sono mescolabili in qualunque proporzione con il burro di cacao e compatibili con
le sue proprietà fisiche (punto di fusione e temperatura di cristallizzazione, velocità di fusione,
necessità di trattamento di tempra). Sono ottenuti esclusivamente mediante procedimento di
raffinazione e/o frazionamento, è esclusa la modificazione enzimatica della struttura del
trigliceride. Etichetta: «contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao».
Lista dei grassi da poter aggiungere: Burro d’illipè (Shorea spp.), olio di palma (Elaeis guineensis,
Elaeis olifera), grasso di sal (Shorea robusta), burro di karitè (Butyrospermum parkii), burro di
cocum (Garcinia indica) e nocciolo di mango (Mangifera indica).

Transesterificazione è un processo che modifica la distribuzione degli acidi grassi tra i trigliceridi,
non si va ad alterare la composizione complessiva in acidi grassi, ma semplicemente li andiamo a
ridistribuirli tra i vari trigliceridi. Avviene una rottura del legame estere tra acidi grassi e glicerolo e
loro riformazione in una posizione differente (casuale). Questa reazione prevede l’utilizzo di
catalizzatori che possono essere chimici o enzimatici, in caso di catalisi chimica si usa il CH3O-Na+
metossido di sodio.
Reazione:
Abbiamo un alcool che nel nostro caso è il metanolo più una base che può essere ad es. OH- che va a
generare lo ione metossido più la base protonata che è in questo caso l’acqua. Lo ione metossido, in
particolare un doppietto di non legame dell’ossigeno, va a dare attacco nucleofilo al C del legame
estere, si forma un intermedio tetraedrico. Dopodiché un doppietto di non legame dell’ossigeno va
a formare un doppio legame C O e il digliceride funge da gruppo uscente. Otteniamo in questo modo
il digliceride in forma anionica e l’estere metilico dell’acido grasso. A sua volta il digliceride a forma
anionica va a riprendere il protone dall’acqua per formare il digliceride neutro e rigenerare lo ione
OH- che non era altro che il catalizzatore. Questa reazione successivamente è svolta in senso
inverso per andare a riattaccare un acido grasso al trigliceride, ma ovviamente non è detto che sarà
l’acido grasso di partenza anzi probabilmente sarà diverso e questo è proprio lo scopo della
reazione. Le condizioni di reazione sono 50°C per 30 min.
Alla fine del processo il catalizzatore (CH3ONa+) è rimosso per semplice lavaggio con acqua.

Questo processo è utile per ottenere margarine senza acidi grassi trans, se io ho un olio vegetale di
scarso valore o che voglio rendere più stabile posso dividerlo in due parti, una parte la idrogeno in
maniera completa, faccio arrivare tutti gli acidi grassi ad acidi grassi saturi, in questo modo non c’è
presenza di acidi grassi trans perché devono avere almeno un’insaturazione. Il mio grasso a
questo punto sarà troppo solido, allora lo mescolao con l’altra parte dell’olio che avevo tenuto non
idrogenata e ricca di acidi grassi mono- e polinsaturi. Li mescolo ed effettuo il processo di
transesterificazione ed ottengo un grasso spalmabile con le caratteristiche desiderate e senza acidi
grassi trans.

Oltre alla catalisi chimica, il processo di transesterificazione può essere catalizzato anche da enzimi
per es. la lipasi. La lipasi è un enzima che catalizza la formazione/rottura del legame estere tra
glicerolo e acidi grassi, molte lipasi sono specifiche per le posizioni 1 e 1’, catalizza dunque la
rottura del legame estere all’estremità del trigliceride, lasciando intatto l’acido grasso in posizione
2. Genera un due monogliceride più i due acidi grassi e allo stesso modo catalizza la formazione del
legame tra gli acidi grassi e il glicerolo nelle posizioni 1 e 1’.
A livello industriale le lipasi utilizzate sono estratte da microrganismi (funghi): Candida rugosa,
Rhizopus oryzae, Mucor miehei.
Reazione della lipasi:
L’acido grasso va a reagire con l’alcool, glicerolo, per formare un legame estere quindi il trigliceride
con rilascio di una molecola d’acqua. Gli enzimi aumentano la velocità della reazione ma non ne
vanno a modificare l’equilibrio perché catalizzano la reazione in entrambe le direzioni.
Il processo di trans esterificazione catalizzato da lipasi prevede la diluizione dell’olio o del grasso in
esano, o in un solvente molto apolare, dopodiché viene aggiunto l’enzima e gli altri oli/acidi grassi
necessari al raggiungimento delle caratteristiche desiderate. La lipasi va a catalizzare la rottura del
legame estere, liberando 2monogliceride e 2 acidi grassi. Dopodiché catalizza la formazione dei
nuovi legami estere nelle posizioni 1 e 1’, gli acidi grassi saranno casuali a seconda dell’ambiente di
reazione.

Con la lipasi possono andare a modulare la composizione in acidi grassi dei trigliceridi
Es. pratico, il burro di cacao ha trigliceridi del tipo POP, POS, SOS. L’olio di palma ha
prevalentemente trigliceridi del tipo POP. Se io voglio conferire all’olio di palma delle
caratteristiche chimico-fisiche simili al burro di cacao devo aumentare il contenuto in acido stearico
dei suoi trigliceridi, quindi possono fare un processo di trans esterificazione mescolando l’olio di
palma con altri grassi ricchi in acido stearico in questo modo otterrò un grasso che avrà le
caratteristiche simili al burro di cacao, e che potrebbe essere utilizzato come suo succedaneo.
Altro es. il latte umano ha una composizione del tipo ISI (insaturo, saturo, insaturo) ovvero gli acidi
grassi insaturi sono legati nelle posizioni 1 e 1’ mentre l’acido grasso insaturo è legato nella
posizione 2, questo perché gli acidi saturi a lunga catena sono meno assorbiti degli insaturi perché
formano sali di calcio insolubili. Al contrario nei grassi vegetali SIS l’acido grasso saturo è in
posizione 2 mentre gli acidi saturi sono in posizioni 1 e 1’ e quindi tenderebbero ad avere una
digeribilità inferiore. Se io prendo un grasso vegetale e lo sottopongo ad un processo di trans
esterificazione andrò a rimescolare la sua composizione in acidi grassi quindi aumenterò la
quantità di acidi grassi saturi legati in posizione 2, ne vado a migliorare la digeribilità e lo posso
utilizzare per la produzione di latte materno artificiale.

Lipidi polari hanno una struttura costituita da una parte lipofila (apolare) e una idrofila (polare)
sono dunque molecole anfifiliche o antipatiche. Sono molecolte tensioattive abbassano la tensione
superficiale dell’acqua portando alla formazione di schiuma. Sono emulsionanti formano micelle
acqua in olio o olio in acqua e costituiscono la membrana cellulare e pertanto sono molto diffusi
negli alimenti.
I fosfolipidi sono i più importanti, costituenti della membrana cellulare, costituiti da una molecola
di glicerolo esterificato nella posizione 1 e 2 in due acidi grassi e nella posizione 1’ con un gruppo
fosfato a sua volta legato ad un gruppo R, di diversa natura, se è una colina avremo le
fosfatidilcoline, se etanolammina avremo le fosfatidiletanolammine e se inositolo avremo le
fosfatidilinositoli.
Altri lipidi importanti sono i glicolipidi in cui la molecola di glicerolo è esterificata in posizione 1 e 2
con due acidi grassi ed in posizione 1’ con zucchero, se lo zucchero è il glucosio avremo i
glucolipidi, se galattosio i galattolipidi.
Nei solfolipidi allo zucchero è anche legato un gruppo fosfato.
Acido fosfati dico in cui il glicerolo è esterificato in posizione 1 e 2 con due acidi grassi ed
in posizione 1ì con un gruppo fosfato.

Il colesterolo è un lipide polare, ha molti anelli apolari con una catena alchilica anch’essa molto
apolare, però ha anche la presenza di un ossidrile che costituisce la sua regione polare. Il
colesterolo è molto importante perché presente nelle membrane cellulari degli animali con
funzione di modulatore di fluidità. Nei vegetali sono presenti composti analoghi chiamati fitosteroli.
E’ poi il composto base per la sintesi di ormoni (es. testosterone)
Le emulsioni
Quando mescoliamo olio e acqua questi non si mescolano, agitando fortemente si formano delle
piccole goccioline di olio disperse in acqua che pian piano vanno verso l’alto creando un’unica fase
chiamato fenomeno della coalescenza. Per omogeneizzarle bene e rendere stabile quest’emulsione
sono necessarie particolari molecole chiamate emulsionanti, sono molecole con una parte polare in
grado di legare l’acqua ed una apolare in grado di legare i grassi ed agiscono tramite la formazione
di micelle. Esempi: a sinistra olio in acqua, piccole goccioline lipidiche disperse in una fase continua
acquosa ed in questo caso l’emulsionante si dispone esponendo la coda apolare all’interno della
gocciolina d’olio e la testa polare nella fase acquosa es. maionese e la panna. A destra acqua il olio
avremo piccole goccioline d’acqua disperse in una fase continua lipidica, in questo caso le molecole
emulsionanti si dispongono al contrario la testa polare verso l’interno delle goccioline acquose e la
coda polare verso la fase disperdente lipidica, es. burro e margarina.

Tensioattivi sono molecole che sono solubili sia in acqua che nei lipidi e devono essere molecole
abbastanza grandi, con peso molecolare abbastanza elevato. Etanolo ed acetone sono in grado di
sciogliere sia acqua sia lipidi ma non sono tensioattivi perché sono piccoli per poter generare la
formazione di micelle. Gli emulsionanti alimentari si comportano in maniera simile ai saponi e
detergenti, che rimuovono lo sporco formando micelle che sono poi rimosse dall’acqua.
Diverse classi di tensioattivi in base alla testa idrofila:
Non ionici, la testa è polare ma non presenta cariche elettrostatiche
Anionici, la testa polare ha una carica negativa
Cationici, la testa polare ha una carica positiva
Zwitterionici, ha la testa polare ha una carica positiva e negativa

La bile è un agente emulsionante, è costituita da una miscela di acidi e sali biliari, derivati dall’acido
colico. La bile esplica la sua funzione emulsionante in cui va ad emulsionare i grassi ingeriti con
l’alimentazione nell’intestino tenue favorendone l’attacco da parte delle lipasi e degli enzimi
digestivi.

Emulsionanti nell’industria alimentare


Tuorlo d’uovo è ricco di fosfolipidi (28%) e colesterolo. È una emulsione di lipoproteine in una
soluzione acquosa proteica e viene utilizzato per la produzione di maionese e torte.
Lecitina di soia è ottenuta durante la produzione dell’olio di soia, è ricca di fosfolipidi, non ha
colesterolo ed è considerata un’alternativa vegetale al tuorlo d’uovo. Fondamentale per la
produzione del cioccolato ed impiegata nella produzione di molti dolciumi.
I lipidi: le emulsioni

Bilancio idrofilo-lipofilo (HLB) è un parametro che indica l’idrofilicità o la lipofilicità di un


emulsionante. Formula: HLB = 20 × [1 – (S/A)] – S
HLB = 20 × [1 – il rapporto tra il peso molecolare dell’emulsionante (S) ed il peso molecolare della
parte idrofila dell’emulsionante (A)] – peso molecolare dell’emulsionante (S).
Se otterrò un valore di HBL compreso tra 4<HLB<6 avrò un emulsionante lipofilo adatto per
emulsioni acqua in olio. Se otterrò un valore HLB compreso 8<HLB<18 avrò un emulsionante
idrofilo adatto per emulsioni olio in acqua.
Su questa scala ha riportato per i diversi valori parametro HLB i principali utilizzi dei diversi
emulsionanti. In particolare con valori HLB < 3 abbiamo emulsionanti molto lipofili adatti a
prodotti quasi completamente costituiti da una parte oleosa come ad es. oli solari. Con valori HLB
tra 3 e 6 abbiamo emulsionanti mediamente lipofili adatti per emulsioni acqua in olio e sono
utilizzati molto in campo alimentare. Con valori HLB tra 6 e 10 abbiamo emulsionanti a polarità
intermedia che sono utilizzati come agenti bagnanti. Con valori HLB tra 10 e 14 abbiamo
emulsionanti mediamente idrofili indicati per emulsioni olio in acqua e trovano applicazione in
campo alimentare. Con valori HLB tra 14 e 16 abbiamo emulsionanti idrofili utilizzati nei comuni
detergenti. Con valori HLB > 16 abbiamo emulsionanti estremamente idrofili adatti a disperdere
piccole quantità di aromi in acqua.
Gli alimenti sono sistemi complessi, con molte sfaccettature, quindi non sempre questo sistema
funziona, bisogna sempre effettuare prove pratiche.

Emulsionanti proteici
Le proteine emulsionanti naturali costituite da amminoacidi con residui polari quindi idrofili in
grado di legare l’acqua o con residui apolari quindi più lipofili in grado di legare la parte grassa.
Quando abbiamo la proteina allo stato nativo essa si ripiega in una struttura terziaria e tende a
disporre all’interno di questa struttura globulare gli amminoacidi con le catene laterali più apolari
mentre tende a posizionare all’esterno, verso l’ambiente acquoso, gli amminoacidi con i residui più
polari per riuscire a stare in soluzione.
Quando si va a fare un’emulsione la proteina denatura perché tende ad esporre i residui apolari
verso la fase lipidica e quelli polari verso la fase acquosa, perdendo la sua struttura terziaria
originale. Questo è un processo irreversibile e causa nella maggior parte dei casi la perdita di
attività biologia della proteina.

Emulsioni alimentari, i principali sistemi in emulsione che troviamo negli alimenti.


- Maionese è un’emulsione O/W, olio in acqua ovvero goccioline di olio d’oliva o girasole disperse
in succo di limone. L’emulsionante che si usa in cucina di solito è il tuorlo d’uovo che contiene gli
agenti emulsionanti fosfolipidi e proteine.
- Torta ha un impasto con composti polari (zucchero, farina, latte, …) e apolari (burro, …). In
questo caso la funzione emulsionante è svolta dal tuorlo d’uovo (fosfolipidi e proteine) o lecitina di
soia (più economica)
- Wurstel e salsicce sono sistemi eterogenei in cui dobbiamo rendere coeso un pasto costituito da
carne magra, prevalentemente acquosa, e da grasso, prevalentemente lipidica. Fungono la
emulsionante le proteine miofibrillari. In cottura si vede una fuoriuscita di liquidi i quali sono sia
acqua sia lipidi, succede perché durante la cottura le proteine miofibrillari denaturano e perdo in
parte la loro capacità emulsionante, di legare l’acqua e lipidi che pertanto fuoriescono dal prodotto.
Per limitare questo fenomeno si possono aggiungere sali emulsionanti (polifosfati, …).
- Gelati e dolci al cucchiaio sono anch’essi emulsioni di acqua (da latte, frutta) e grassi (da
panna). L’emulsionante sono le proteine del latte e vengono anche aggiunti altri emulsionanti e
stabilizzanti. Gli stabilizzanti sono molecole che non entrano a far parte del sistema in emulsione,
cioè non entrano in gioco nella formazione dell’emulsione ma rendono più viscosa la fase
disperdente quindi tendono a rallentare la coalescenza. Gli stabilizzanti sono di solito dei
polisaccaridi come la gomma (carruba, xantano), carragenani e alginati. Aumentando la viscosità
della fase disperdente vanno a rallentare il fenomeno della coalescenza rendendo più stabile nel
tempo l’emulsione.
- Cioccolato è emulsionato da sostanze polari (zucchero) e apolari (burro di cacao). La lecitina di
soia svolge il ruolo di emulsionante, riveste le particelle di zucchero rendendole lipofile, apolari, e fa
sì che non si aggreghino tra di loro, tenendole separate abbassando la viscosità del cioccolato e
rendendolo molto più lavorabile.

Lipidi del latte


Quando abbiamo del latte appena munto, se lo lasciamo fermo in posizione statica pian piano i
globuli di grasso tenderanno ad affiorare fino a formare uno strato superficiale di panna.
I globuli di grasso sono ricoperti da una membrana lipoproteica e da lipidi polari, in questo
rivestimento troviamo anche la macroglobulina che forma legami tra i globuli di grasso accelerando
l’affioramento della panna, la coalescenza. Nel latte sterilizzato la macroglobulina denatura dunque
non affiora la panna. Omogeneizzazione, trattamento per il latte in commercio ovvero, i globuli di
grasso vengono ridotti così tanto di dimensione che non affiorano più.

Burro – Il lipide ricavato dal latte per eccellenza si produce a partire dalla panna affiorata
(naturalmente, per es. quella che si ricava dal parmigiano reggiano, o per centrifugazione)
contenuto ≈30% grasso. Dopodiché la panna viene inoculata con colture batteriche, batteri lattici, e
c’è un processo di fermentazione durante il quale vengono prodotti gli aromi caratteristici del butto
come l’acetoino e diacetile. Dopo la fermentazione c’è un processo chiamato zangolatura ovvero
un’agitazione meccanica molto drastica che rompe le membrane che ricoprono i globuli e ne
favorisce la coalescenza, ottenendo nel burro un’unica fase lipidica, il burro deve contenere almeno
l’84% di grassi e massimo il 16% di acqua (Reg. CE 2991/94). Al termine della produzione è
possibile aggiungere un po’ di sale al burro per ottenere il burro salato.

Emulsionanti sintetici sono prodotti per modifica chimica di emulsionanti o composti naturali.
– Stearoil-2-lattilato di sodio (E481), acido stearico esterificato con l’acido lattico, il lattilato
costituisce la testa polare mentre l’acido stearico costituisce la parte apolare dell’emulsionante.
– Esteri dell’acido diacetiltartarico di monogliceridi (E472), la parte polare è costituita
dall’acido diacetiltartarico mentre la parte apolare dal monogliceride.
– Poliossietilene sorbitano monopalmitato (Tween 40, E434), la parte polare è il sorbitano mentre
la parte apolare è l’acido palmitico.
– Ammonio fosfatidi (E442) in cui la parte polare è il trigliceride mentre la parte apolare è il gruppo
fosfato.
– Sorbitano tristearato (Span 65, E492) in cui la parte polare è il sorbitano mentre la parte apolare
è data dal triste arato.
– Saccarosio monolaurato (E492) estere del saccarosio con l’acido l’aurico in cui la parte polare è
il saccarosio mentre la parte apolare è l’acido laurico.
Gli emulsionanti di gran lunga più utilizzati in campo alimentare sono i mono- e digliceridi degli
acidi grassi, sono commercializzati con la sigla E471. Hanno una struttura formata da una molecola
di glicerolo esterificata con un acido grasso per il monogliceride e da una molecola di glicerolo
esterificata con due acidi grassi per i digliceridi. Hanno quindi sia una parte apolare costituita dagli
acidi grassi sia una parte polare costituita dai gruppi ossidrilici liberi.
Di solito i mono- e digliceridi degli acidi grassi sono prodotti per transesterificazione dei trigliceridi
con idrossido di sodio (catalizzatore) e glicerolo (in eccesso)e sono molto utilizzati nei prodotti da
forno, perché data la loro struttura essi riescono ad inserirsi nelle eliche di amilosio e amilopectina
rallentando la retrogradazione dell’amido e quindi il raffermimento del prodotto, vanno ad
aumentare la conservabilità del prodotto che rimane morbido per più tempo.

Fitosteroli, molecole con una struttura analoga a quella del colesterolo presenti nelle piante, nella
membrana cellulare, allo scopo di modularle la fluidità. I fitosteroli sono ad es. il sitosterolo, lo
stigmasterolo e il campisterolo e abbiamo poi gli stanoli come ad es. il campestanolo e lo
stigmastanolo. La struttura è la stessa ad eccezione che gli stanoli non hanno il doppio legame sono
quindi completamente saturi. La media giornaliera è di 0.2-0.4 g/dì. Queste molecole hanno
abbastanza importanza dal punto di vista alimentare in quanto nell’intestino tenue competono per
l’assorbimento con il colesterolo.
Opinione EFSA 2008, l’autorità europea della sicurezza alimentare ha stabilito che i fitosteroli e i
fitostanoli vegetali ostacolano l’assorbimento del colesterolo nell’intestino tenue, agendo per
competizione e quindi sono in grado di diminuire la concentrazione ematica di LDL, lipoproteine a
bassa densità, colesterolo «cattivo», fino a -10.5% però è necessario assumere una quantità di
fitosteroli e fitostanoli compresi tra 1.5-2.4 g/dì, effetto entro 2-3 settimane. Alimenti indicati per
essere addizionati con steroli e stanoli: yogurt, latte, formaggio, margarine, maionese e condimenti.
I fitosteroli possono essere anche modificati chimicamente, ovvero si può formare un legame
estere con un acido grasso in modo da aumentarne la solubilità nei lipidi, aumentandone l’efficacia
a dosi minori. I fitosteroli vengono assimilati in minima parte, e sono poi escreti per via biliare.
Margarine e grassi addizionati con queste sostanze «nutraceutiche» hanno costi più elevati.
Possibilità di assumerli tramite integratori.
La proteina: struttura
- Le proteine negli alimenti di origine vegetale
Contenuto proteico di diversi alimenti peso/peso (%): i legumi sono proteici, Fagioli rossi 24, Ceci
19, Pane integrale 11 durante la produzione del pane integrale non viene rimossa la crusca, i
tegumenti, ed ha una concentrazione di proteine più elevata rispetto all’endosperma amilaceo,
Lenticchie 9, Pane bianco 9, Mais 9, Tofu (formaggio di soia) 8, Fiocchi di mais 8, Piselli 5, Pasta 5,
Funghi 3.1, Riso 2.4 e Patate 2 ma buone fonti di carboidrati, Fagiolini 1.8, Cavoli 1.3, Banane 1.1,
Uva 0.6, Mele crude 0.3.
- Le proteine negli alimenti di origine animale, più ricchi di proteine.
Contenuto proteico di diversi alimenti peso/peso (%): Parmigiano Reggiano 32.4 nella sua
produzione andiamo a concentrare la frazione delle caseine che sono le proteine del fromaggio ,
Tonno 30, Carne di pollo 27, Carne di manzo 26, Carne d’agnello 25, Cheddar 25, Brie 21, Merluzzo
18, Hamburger 17, Salsiccia 12, Uova 13, Yogurt 10, Gelato 3.5, Latte vaccino 3.4, Latte di soia di
origine vegetale 3.3, Latte materno 1.
- Le proteine in snack e bevande
Contenuto proteico di diversi alimenti peso/peso (%): Arachidi 26, Mandorle 21, Cioccolato al latte
8 più alto perché viene aggiunto il latte, Cioccolato fondente 4.9, Patatine fritte 3.4, Birra 0.5 e
Confettura 0.4 in tracce.

Le proteine sono polimeri di amminoacidi legati da legame peptidico. Il gruppo amminico di un


amminoacido va a formare un legame peptidico con il gruppo carbossilico dell’amminoacido
successivo. Gli amminoacidi proteici (convenzionali) sono di 20 tipologie diverse.
PM (peso molecolare) di una proteina varia da 10 a >1’000 kDa. Ciò che distingue una proteina
dall’altra è la lunghezza del polimero, quanti amminoacidi contiene, e la sequenza degli
amminoacidi presenti.

Gli amminoacidi, mattoncini delle proteine.


Il carbonio α è legato un idrogeno, un gruppo amminico, un gruppo carbossilico ed una catena
laterale R, abbiamo 20 tipi diversi di catene laterali. Il carbonio α è legato dunque a quattro
sostituenti diversi dunque esso è chirale (glicina esclusa). Gli amminoacidi sono composti
otticamente attivi e gli amminoacidi proteici hanno configurazione L. A pH neutro gli aa sono
presenti in forma zwitterionica (-NH3+; COO-) con il gruppo amminico protonato e con il gruppo
carbossilico deprotonato.

I principali amminoacidi
- con catena laterale che possiede cariche elettrostatiche positive o negative: arginina, istidina
e lisina hanno catena R carica positivamente, mentre acido aspartico e acido glutammico hanno
catena R carica negativamente, hanno un gruppo carbossilico in catena laterale.
- con catena laterale polare ma non presenta delle cariche: serina e treonina presenza di un
ossidrile, in asparagina e glutammina presena di un gruppo amminico; cisteina ha un gruppo
solfidrico in catena R che vedremo sarà importante per il mantenimento della struttura terziaria e
quaternaria delle proteine, in quanto i gruppi solfidrilici della cisteina sono coinvolti nella
formazione di ponti di solfuro; glicina è l’unico amminoacido non chirale perché ha due atomi H
legati al C alfa; prolina ha la catena R ciclica e cedremo che darà alla prolina funzione specifica per
impartire particolari caratteristiche di elica nella struttura secondaria delle proteine.
- con catena R è apolare, idrofobica: alanina, valina, isoleucina, leucina, metionina, aromatica
come accade nel caso della fenilalalina, tirosina e triptofano. Oltre al nome degli amminoacidi
abbiamo due diversi tipi di codici, uno a tre lettere ed uno ad una lettera, in cui ogni lettera
identifica un amminoacido diverso.

A livello biologico, la sintesi proteica avviene a livello dei ribosomi (traduzione). Il legame peptidico
ha parziale carattere di doppio legame dovuto alla delocalizzazione degli elettroni π dunque è
impedita la rotazione attorno al legame peptidico. O del carbonile è in posizione opposta trans
rispetto a H legato all’azoto.

Diversi livelli di struttura


- struttura primaria dovuta all’ordine degli amminoacidi, come si susseguono nella catena proteica.
- secondaria ad alfa elica o foglietto ripiegato, struttura stabilizzata da diversi tipi di legami come il
legame idrogeno, più forte.
- terziaria definisce le proteine di forma globulare o fibrosa con le interazioni idrofobiche,
legami idrogeno o ioniche ed i punti di solfuro, che si forma tra i residui di cisteina.
- quaternaria quando più di un polipeptide interagisce.

La denaturazione proteica
Per il corretto funzionamento biologico della proteina è indispensabile che essa mantenga la sua
struttura tridimensionale (terziaria e quaternaria), es. enzima deve mantenere il suo sito attivo per
poter funzionare. Se io espongo la proteina a valori di pH estremi, molto acidi o molto basici, o a
trattamenti termici intensi, o a stress ed agitazione meccanica troppo intensa posso denaturare la
proteina, farle perdere la struttura terziaria. Romperò legami presenti e se ne formeranno dei
nuovi, con conseguente precipitazione, solidificazione, gelificazione. Quando la denaturazione è
troppo avanzata, non sarà più reversibile, dunque avrò una perdita di attività biologica completa.
La denaturazione è un fenomeno che avviene durante la cottura degli alimenti:
Uovo, durante la cottura le proteine denaturano, solidificano e vanno ad intrappolare e trattenere
l’acqua, passa da una consistenza liquida ad una solida.
Carne, durante la cottura le proteine denaturano, se il trattamento è inteso vanno a formarsi dei
legami crociati tra le catene proteiche e ne aumento della consistenza, rendendola più dura.
Ortaggi, soprattutto per quelli surgelati. Prima di surgelarli gli ortaggi sono sottoposti ad un
trattamento chiamato “blanching”, è un trattamento termico effettuato con vapore o acqua calda
che serve ad inattivare gli enzimi responsabili della degradazione del prodotto es. le lipossigenasi
sono responsabili dell’imbrunimento del prodotto. Aumento la conservabilità del prodotto
surgelato, è quello che si fa comunemente in casa quando si sbollentano gli ortaggi prima di
surgelarli.

Le proteine a livello biologico svolgono molte funzioni.


- Enzimi, catalizzano le reazioni chimiche che avvengono nell’organismo (es. enzimi digestivi,
catalizzano la scissione dei nutrienti che noi ingeriamo in componenti più piccoli assorbibili
dall’organismo), abbassano l’energia di attivazione della reazione rendendola più veloce.
- Trasportatori, trasferiscono altre molecole da un distretto dell’organismo ad un altro (es.
emoglobina, trasporta O dai polmoni agli altri tessuti del corpo).
- Permeasi, modulano il passaggio delle molecole attraverso la membrana cellulare (es.
permeasi del glucosio, regola il passaggio del glucosio dall’interno all’esterno della cellula.
- Immunoglobuline sono gli anticorpi che costituiscono le difese immunitarie del nostro organismo
dagli agenti esogeni, virus, batteri ed altro.
- Nutrizionale, passaggio di sostanze nutritive alla progenie (es. caseine del latte, proteine dei semi,
uovo, sono fonte nutritiva per l’organismo che si svilupperà da essi). Per queste proteine la
struttura terziaria è meno importante rispetto alla composizione amminoacidica, è importante che
le proteine cin funzione nutrizionale abbiano tutte gli amminoacidi essenziali necessari per
quell’organismo.

Tabella - la composizione amminoacidica degli alimenti


Uovo intero è molto ricco di diversi amminoacidi, al contrario la farina di frumento è quella che è
più povera generalmente di amminoacidi in particolare carente in isoleucina, leucina, tirosina,
treonina, arginina, istidina, alanina ed acido aspartico, mentre è molto ricca di acido glutammico,
di glutammina. In generale l’acido glutammico è l’amminoacido più abbondante negli alimenti
però esso non è un amminoacido essenziale.

Gli amminoacidi essenziali


Gli amminoacidi servono all’organismo per costruire le proteine necessarie alla sua sopravvivenza.
Alcuni amminoacidi sono sintetizzabili dall’organismo a partire da azoto amminico e carboidrati
mentre altri devono essere assunti con la dieta: amminoacidi essenziali.
Io posso introdurre con la dieta un quantitativo esagerato di proteine ma se ho un quantitativo
carente di un amminoacido essenziale, la sintesi proteica sarà limitata da quell’amminoacido
essenziale, che si chiamerà amminoacido limitante.
Gli amminoacidi in eccesso sono utilizzati per produrre energia oppure trasformati in lipidi e
depositati nel tessuto adiposo.
AA essenziali: isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano, valina e
istidina. PD-CAAS definisce la qualità di una proteina in termini di amminoacidi essenziali presenti
𝑃𝐷 − 𝐶𝐴𝐴𝑆 = 𝑚𝑔 𝐴𝐴 𝑙𝑖𝑚𝑖𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑖𝑛 1 𝑔 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑖𝑛𝑎 /𝑚𝑔 𝐴𝐴 𝑖𝑛 1 𝑔 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑖𝑛𝑎 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑓𝑒𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜
× 𝑑𝑖𝑔𝑒𝑟𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑖𝑛𝑎 (%)
La proteina di riferimento per gli esseri umani è quella con la composizione amminoacidica ideale,
quindi il latte materno.
Alimento - PD-CAAS: Caseina 1.00, Albume 1.00, Proteine della soia 0.83-0.99, Proteine della colza
0.83-0.93, Manzo 0.92, Piselli 0.61-0.73, Fagioli 0.53-0.68 proteici ma carenti di amminoacidi
essenziali, Avena 0.57, Arachidi 0.52, Lenticchie 0.51-0.52 e Frumento 0.25-0.40 carente in lisina.
Latte e uova sono le fonti proteiche con la composizione migliore in AA essenziali, frumento e
cereali sono carenti in lisina, le lenticchie ed i legumi sono carenti in metionina. Bisogna sempre
abbinare fonti proteiche diverse nelle diete vegane.
Storicamente si è sempre assistito all’abbinamento di colture di cereali con legumi (es. mais e
fagioli in America latina, riso e soia in Asia, frumento e lenticchie in Europa, cuscus e ceci in Nord
Africa). Tra gli AA essenziali, vi sono anche quelli più sensibili ai trattamenti termici e più
facilmente degradabili, la lisina e la metionina. Nelle diete occidentali il fabbisogno di amminoacidi
essenziali è sempre soddisfatto, ma nei paesi in via di sviluppo è ancora un problema.

Degradazione termica degli AA, durante i processi di produzione e stoccaggio degli alimenti.
- Reazione di Maillard, coinvolge la catena R dell’amminoacido Lisina, essenziale.
In questa reazione abbiamo la catena R della lisina in proteina in cui il gruppo amminico va a
reagire con il glucosio o con un latro zucchero riducente per formare una complesso tra la proteina
e lo zucchero. Questo nuovo legame non è riconosciuto dagli enzimi digestivi e pertanto io avrò
perso questa molecola di lisina, anzi oltretutto se questi legami diventano estesi essi vanno anche
ad ostacolare la digeribilità dell’intera proteina.
Alcuni alimenti sono particolarmente sensibili alla degradazione della lisina per via della reazione
di Maillard, per es. il latte, uno dei più sensibili. Mantenendo il latte per un’ora a 150° perdo tutta la
lisina presente. Altri sono più resistenti, le proteine del pesce possono essere mantenute per 3 ore
a 150° perdendo solo il 20% della lisina presente. Questa reazione varia anche in funzione della
quantità di zuccheri riducenti presenti nell’alimento oltre alla proteine.
- Formazione di Isopeptidi. Si formando quando la catena R della lisina va a dare attacco nucleofilo
alla catena R di altri amminoacidi come l’asparagina, glutammina, acido aspartico e acido
glutammico, con formazione conseguente di legami peptidici non classici ma crociati, non
riconosciuti dagli enzimi digestivi, andando a diminuire la digeribilità della proteina, perdendo
l’amminoacido essenziale la lisina.
- Formazione di deidroalanina, altri amminoacidi perdono acqua per tale formazione come la serina
che perde un gruppo ossidrilico sottoforma di molecola d’acqua con conseguente formazione di un
legame C C che porta alla formazione della deidroalanina che non ha alcun valore dal punto di vista
nutrizionale. Allo stesso modo la cisteina può perdere il gruppo solfidrilico sottoforma di acido
solfidrico con conseguente formazione di un legame C C che porta alla formazione della
deidroalanina che non ha alcun valore dal punto di vista nutrizionale.
- Formazione di D-amminoacidi (racemizzazione) quando effettuo un drastico trattamento termico
agli amminoacidi specialmente in presenza di PH fortemente basici o acidi.
Gli amminoacidi come sappiamo sono presenti in configurazione L, se per un trattamento termico
in ambiente basico io vado a rimuovere questo protone si formerà un carbanione stabilizzato per
risonanza con il gruppo carbossilico. Una volta che il mio protone rientrerà nella molecola esso
potrà riattacarsi sia sotto sia sopra il carbanione perché esso è planare, ibridizzato sp2, avrò 50%
di possibilità che esso si attacchi da sopra o sotto. Passerò quindi ad avere l’amminoacido nella sola
configurazione L, ad avere una miscela 50% di L + D, questo processo si chiama racemizzazione.
Metà degli amminoacidi saranno in configurazione L l’altra in D.
Amminoacidi più sensibili alla racemizzazione sono l’alanina, acido aspartico, fenilalanina, acido
glutammico e lisina.

Metodi di analisi delle proteine.


Quante proteine ci sono in un alimento?
- Metodo Kjeldahl afferma che la maggior parte dell’azoto presente in un alimento è di origine
proteica. Determinando l’azoto, tramite un opportuno fattore di conversione, posso determinare il
contenuto proteico. Per far ciò il campione è mineralizzato a 420°C con acido solforico e così tutta la
materia organica si trasforma in acqua, anidride carbonica e ammoniaca. I gruppi amminici degli
amminoacidi saranno trasformati in ammoniaca.
Disegno – Ho un provettone in cui è presente il mio alimento, in cui aggiungo acido solforico
concentrato, solfato di rame che funge da catalizzatore e solfato di potassio che funge da
antischiuma. Con questo passaggio tutta la materia organica viene mineralizzata ed i gruppi
amminici delle proteine siccome sono a PH acido saranno presenti come ione ammonio. In un
secondo passaggio vado ad aggiungere idrossido di sodio per neutralizzare la soluzione, in questo
modo lo ione ammonio si deprotona ad ammoniaca, questa è distillabile quindi effettuo una
distillazione in corrente di vapore e faccio ricondensare l’ammoniaca in una beuta in cui è
contenuto dell’acido borico che intrappola l’ammoniaca. Con una semplice titolazione vado a
determinare il contenuto di ammoniaca che deriva stechiometricamente dai gruppi amminici
che avevo nelle proteine del mio alimento.
Il fattore di conversione per passare da azoto a proteine è 6.25, coefficiente che va bene per uova
ecc. Alimento - Fattore di conversione azoto – proteine: Formaggi 6.38, Uova, carne, cereali, semi
oleosi 6.25, Frumento 5.70 ai abbassa se presente glutammina, Arachidi 5.46, Frutta secca, cocco
5.30 e mandorle 5.18. Alimenti dunque ricchi di amminoacidi con N in catena laterale hanno fattore
di conversione più basso.

Metodi colorimetrici di analisi delle proteine:


- Metodo di Lowry, la tirosina reagisce con gli fosfomolibdotungstato (in ambiente basico e
in presenza di ioni rame), formando un complesso blu determinabile
spettrofotometricamente. Quindi quante più proteine avrò nel mio alimento quanto più blu
sarà la soluzione.
- Saggio del biureto, le proteine formano un complesso con gli ioni Cu2+ (blu), e la soluzione
diventa viola (misura spettrofotometrica). All’aumentare della concentrazione proteica la soluzione
assume un colore viola.
- Composizione amminoacidica, per un’analisi più dettagliata: idrolisi del campione con HCl a 110°C
così si idrolizzano i legami peptidici e dalle proteine ottengo gli amminoacidi. Eseguo poi
un’identificazione e quantificazione degli amminoacidi con metodo cromatografico, ogni picco
rappresenta un amminoacido, se il picco sarà alto più degli altri vorrà dire che quell’amminoacido è
presente più degli altri.
Le proteine: latte, uova e carne

Il latte è contemporaneamente una soluzione, un’emulsione ed una dispersione.


E’ una soluzione di proteine (sieroproteine), lattosio, sali minerali e vitamine disciolti in acqua.
E’ un’emulsione di globuli di grasso in acqua, dunque un’emulsione di olio in acqua.
E’ una dispersione colloidale di proteine (micelle di caseina)
Le fonti alimentari principali: latte materno nell’infanzia, latte bovino ed il latte ovicaprino.

La coagulazione acida delle caseine


Le caseine in quanto proteine hanno punto isoelettrico di 4.6. A questo pH le cariche negative
equivalgono le cariche positive di conseguenza la proteina è globalmente neutra, avrà un minimo di
solubilità e tenderà a precipitare, ho quindi la coagulazione del latte con la separazione della caliata
dal siero. Se prendiamo del latte ed aggiungiamo acido citrico quando raggiungeremo il valore di pH
di 4.6 avremo la coagulazione delle caseine del latte.

Composizione proteica latte


Origine - Proteine (%): Donna 1.25, % di proteine più bassa, Giumenta 2.0, Mucca 3.5, Capra 3.7,
Pecora 5.8, Scrofa 5.8, Cagna 7.9 e Coniglia 10.4, più proteico.
Le proteine presenti nel latte sono diverse ed abbiamo già visto che si raggruppano in caseine che
vanno costituire circa l’80% delle proteine del latte ed in siero proteine che costituiscono il restante
15/20% delle proteine: α-Caseina è la caseina più abbondante e va a costituire il 55% delle
proteine, ha un punto isoelettrico di 4.1 ed un peso molecolare di 23 Da, β-Caseina 35% sul totale,
punto isoelettrico di 4.5 e peso 24 Da, κ-Caseina 15%, 4.1, più leggera 19 Da, γ-Caseina 7%, 5.8. Le
siero proteine sono: α-Lattalbumina 5%, 5.1, 14 Da, β-Lattoglobulina la più abbondante 12%, 5.3 e
18 Da, Sieroalbumina bovina 1%, 4.7, 68 Da, Lattoferrina – del 1% e 87 Da, Immunoglobuline 1-3%,
160-1000 Da e Proteoso peptone 6%, 3.3-3.7, 4-200 Da.

Le caseine sono presenti nel latte sottoforma di dispersione di micelle. La micella di caseina ha
forma sferica con diametro fino a 600 nm, solitamente 130-250 nm. 10alla15 micelle di caseina per
ogni litro di latte, 20,000 molecole di caseina per ogni micella. Peso molecolare caseine: 23,500 Da
(α), 24,000 Da (β), 19,000 (κ).

Struttura della micella di caseina: 25-30 molecole di caseina formano le sub micelle. Le sub micelle
aggregano a formare le micelle. All’interno della sub micella le caseine si dispongono in modo da
esporre i residui idrofobici (apolari), quelli idrofili (polari) che si trovano all’estremità
amminoterminale della proteina (N-term) sono esposti verso l’esterno. Quest’ultimi (polari)
importanti per le interazioni tra le diverse sub micelle e per la costituzione di una micella più
grande. Nella regione amminoterminale, N-term, di α e β caseina sono presenti delle serine
fosforilate e questi gruppi fosfato (fosfoserina) sono in grado di complessare lo ione calcio presente
nel latte. Grazie al calcio (Ca2+) che fa da ponte tra i vari gruppi fosfato delle alfa e beta caseine, le
sub micelle possono interagire tra loro a formare micelle più grandi.
Questi aggregati di fosfato di calcio colloidale (CCP).
Al contrario della alfa e beta caseina, la κ-caseina non ha gruppi fosfato, ma presenta un trisaccaride
legato all’estremità C-term che gli conferisce una certa polarità, però non è in grado di formare
interazioni con gli ioni calcio. Quando ho diverse sub micelle che si aggregano tra loro a formare
una micella più grande avrò che le sub micelle ricche in alfa e beta caseina si localizzeranno
all’interno della micella perché sono in grado di interagire con gli ioni calcio, permettendo
l’interazione di diverse sub micelle tra di loro. Al contrario le sub micelle ricche in κ-caseina si
localizzeranno all’esterno della micella, impedendone la crescita eccessiva in dimensioni della
micella, se troppo grande non riuscirebbe più a stare in dispersione ma precipiterebbe.
Perché le proteine sono presenti nel latte sottoforma di dispersione colloidale e non
semplicemente in soluzione, perché in questo modo è possibile avere un’alta concentrazione
proteica nel latte senza tuttavia aumentarne eccessivamente la viscosità e fornire al lattante un
adeguato apporto di calcio e fosfati in maniera organica senza che essi formino precipitati
insolubili.

Le sieroproteine, le più importanti alfa e beta.


α-Lattalbumina, non ne è stato ancora chiarito il ruolo, sembra migliorare la risposta immunitaria.
β-Lattoglobulina, non ne è stato ancora chiarito il ruolo, possibile trasportatore di molecole
idrofobiche tra un distretto all’altro.
Sieroalbumina bovina implicata nella regolazione e mantenimento pressione oncotica.
Lattoferrina ha un’attività antimicrobica.
Immunoglobuline sono anticorpi che proteggono l’organismo da batteri, virus, ecc…

Lo yogurt è un prodotto a base di latte che si ottiene inoculando il latte con due batteri lattici
Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus. Durante la fermentazione il lattosio
presente nel latte viene trasformato in acido lattico, questo causa un abbassamento del pH che fa sì
che le caseine raggiungano il loro punto isoelettrico e precipitino. La precipitazione non è completa,
e si ha una consistenza densa e cremosa tipica dello yogurt, simile al gel.

Il formaggio, per la sua produzione il latte o può essere direttamente inoculato con starter di batteri
lattici o agiscono per la fermentazione dei batteri lattici da contaminazione ambientale quindi non
starter. Durante la fermentazione i batteri lattici trasformano il lattosio in acido lattico, causa un
abbassamento del pH con conseguente precipitazione delle caseine. Questo fenomeno è molto
favorito dall’aggiunta del caglio, costituito dall’enzima chimosina è l’abomaso dei vitelli, che taglia la
κ-caseina in para-κ-caseina (idrofoba, rimane nella micella) e casein macro peptide (idrofilo) e va
in soluzione. Venendo così meno il rivestimento glucidico delle micelle, queste possono aggregarsi
tra di loro e precipitare. In questo modo si ottiene la cagliata.
Una volta che la cagliata ha raggiunto la consistenza idonea, il casaro rompe la cagliata attravero lo
spino, un attrezzo, in modo da generare piccoli pezzettini di cagliata e favorire lo spurgo del siero.
La cagliata è separata dal siero, salata e pressata nelle apposite forme e poste a stagionare. Durante
la stagionatura i fenomeni proteolitici e lipolitici andranno a dare le particolari caratteristiche
organolettiche: proteolisi (consistenza e aroma) e lipolisi (aroma).

Uova
Tuorlo contiene 16% di proteine. Le principali sono la Fosvitina, proteina ricca in gruppi fosfato,
con la proprietà di chelare il calcio, il ferro ed altri cationi, e le Lipovitelline che vanno a legarsi più
spesso con lipidi (soprattutto fosfolipidi) e metalli. Tuorlo d’uovo è ricco infatti in fosfolipidi.
Albume contiene 11-13% di proteine ed è formato da 4 strati a diversa densità a seconda della
concentrazione di ovo mucina. Dal punto di vista alimentare questo non è importante perché
durante le preparazioni alimentari l’albume viene rimescolato. Le calaze sono i filamenti che
mantengono il tuorlo fissato al centro dell’uovo.
Le proteine dell’albume sono numerose e la più importante per abbondanza è l’ovalbumina che
arriva a costituire più del peso secco dell’albume d’uovo ed è una fosfoglicoproteina.
Segue poi la con albumina che costituisce il 12% su peso secco ed è impegnata nel legame con i
metalli, l’ovomucoide 11% ed è un inibitore della tripsina, l’ovomucina 3.5% ed è una sialoproteina
ovvero una proteina legata all’acido sialico, conferisce viscosità all’albume in quanto ha un peso
molecolare elevato, il lisozima 3.4% con funzione microbica, le globuline 4% e l’avidina solo in
tracce ma è importante per il suo legame con la biotina. Ognuna di queste proteine ha una sua
particolare temperatura di denaturazione, quindi sono più o meno resistenti ai trattamenti termici.

Ovalbumina è una glicofosfoproteina, in cui i residui di sparagina (Asn) sono legati con dei
carboidrati mentre i residui di serina (Ser) sono legati con gruppi fosfato. Ricca in cisteine che
formano ponti disolfuro intramolecolari che ne mantengono la struttura terziaria. Durante la
cottura dell’uovo la proteina denatura e va a formare dei ponti disolfuro intermolecolari, formando
quindi un reticolo più esteso che va a dare la consistenza solida, tipica dell’albume cotto.
L’ovalbumina è un’ emulsionante in miscele olio-acqua o aria-acqua (albume montato a neve, se io
lo vado a cuocere vado a stabilizzare la struttura grazie al riscaldamento ed ottengo il prodotto
chiamato comunemente meringa).
Conalbumina proteina che lega ioni metallici, ed il complesso metallico è più resistente alla
denaturazione (ciotole metalliche sono meglio per montare gli albumi)
Ovomucoide è una glicoproteina con azione inibitrice sulla tripsina, ostacola la digestione delle
proteine da parte dell’enzima tripsina e conferisce viscosità all’albume. Gli albumi freddi sono più
difficili da montare rispetto a quelli a temperatura ambiente perché più viscosi.

Stabilità delle schiume a seconda del pH. La stabilità è massima in prossimità del punto isoelettrico
delle proteine emulsionanti infatti al pI le cariche positive equivalgono le cariche negative. Le
proteine non si respingono tra di loro e la schiuma è più stabile. In cucina si può utilizzare aceto o
cremor tartaro per portare il pH ad un punto vicino al valore isoelettrico delle proteine, rendendo
la schiuma più stabile.

La carne
Il muscolo è fissato all’osso tramite i tendini, costituiti da tessuto connettivo, da collagene.
Così come costituito da collagene è l’epimisio, la membrana che va a rivestire il muscolo.
Unità contrattile del muscolo è la fibra muscolare, le cellule che vanno a costituire i muscoli. Queste
cellule sono molte lunghe (Ø 10-100 µm × 30 cm, per una cellula è tanto)
Nel dettaglio la cellulare muscolare - la membrana cellulare si chiama sarcolemma e presenta delle
introflessioni che vanno a generare dei tubuli T trasversi, importanti nella trasmissione
dell’impulso nel nervoso nella contrazione muscolare. La cellula muscolare è molto ricca in
mitocondri perché per la contrazione muscolare è necessaria molta energia, molta atp.
La miofibrilla è l’elemento contrattile della cellula muscolare. Il reticolo endoplasmatico nel caso
dei muscoli si va a chiamare reticolo sarcoplasmatico.
La contrazione muscolare – le fibre muscolari sono formate da filamenti sottili e spessi.
Filamenti sottili sono costituiti dalle proteine Actina, Troponina e Tropomiosina.
Filamenti spessi sono costituiti da Miosina.
Un nervo porta la trasmissione dell’impulso nervoso al sarcolemma, da qui passa ai tubuli T.
L’impulso nervoso fa si che ci sia un rilascio di Ca2+ del reticolo sarcoplasmatico. Il Ca2+ si lega
alla troponina (filamento sottile), che cambia forma e causa lo spostamento della tropo miosina. I
siti attivi dell’actina rimangono scoperti. Grazie all’energia fornita dall’atp, l’actina reagisce con la
miosina. L’idrolisi dell’ATP fa sì che actina e miosina si leghino provocando la contrazione del
muscolo. Al termine dell’impulso nervoso, il Ca2+ ritorna nel reticolo sarcoplasmatico, la
tropomiosina torna nella posizione iniziale e l’actina e miosina non interagiscono più ed il muscolo
torna rilassato.

Per il processo della contrazione muscolare è necessaria ATP, questa può derivare da diverse vie
metaboliche:
- Respirazione cellulare aerobica, quindi dal Ciclo di Krebs, in questo processo l’acido piruvico
derivante da zuccheri o grassi è ossidato nei mitocondri con produzione di ATP, è molto efficiente,
porta a generare 36 molecole di ATP, ma è necessario O2, apportato dal circolo sanguigno.
- Glicolisi produce meno molecole di ATP e durante la glicolisi il glucosio è convertito in acido
lattico, non è necessario ossigeno ed è molto veloce (sforzi intensi improvvisi) ma ha lo svantaggio
che l’acido lattico vada ad accumularsi nei muscoli causando dolore.

Glicolisi post mortem - Dopo la macellazione dell’animale non c’è più apporto di O2 a causa della
mancanza di flusso sanguigno, non viene più portato ossigeno ai muscoli. Le cellule muscolari
richiedono ancora energia, quindi utilizzano la glicolisi per produrre ATP. La glicolisi utilizza come
substrato il glucosio proveniente dal glicogeno, riserva di glucosio presenti nei muscoli. Durante la
glicolisi viene prodotta una grossa quantità di acido lattico, che abbassa il pH della carne fino a 5.0 -
5.5. Esaurito il glicogeno muscolare, la glicolisi cessa e quindi non c’è più produzione di ATP.
Rigor mortis - Terminato l’ATP, la cellula non ha più energia per riportare il Ca2+ dal sarcoplasma
al reticolo sarcoplasmatico. Filamenti spessi e sottili formano un legame permanente ed il muscolo
diventa rigido, questo fenomeno si chiama rigor mortis. La carne in queste condizioni è molto dura
e non sarebbe edibile. A pH 5.0 – 5.5 a cui siamo arrivati grazie alla produzione di acido lattico sono
inibiti molti microrganismi. A questo pH si attivano proteasi, catepsine e calpaine, che tagliano i
filamenti sottili a livello della linea Z, rendendo quindi la carne più tenera, questo procedimento si
chiama frollatura. La carne diventa tenera e può quindi essere utilizzata per le preparazioni
alimentari. Durante la frollatura parte dell’acqua intrappolata nei filamenti del muscolo tende a
fuoriuscire, portando il muscolo al giusto grado di umidità.

Parametro importante che indica la qualità della carne è il suo colore. Il colore della carne è dovuto
alla mioglobina, una proteina con funzione di trasporto d’ossigeno nei muscoli. Il contenuto di
mioglobina varia in base alla specie animale e al tipo di muscolo. Il pollo es. è una carne bianca
mentre il manzo è rossa, questo perché nel pollo è presente una quantità di mioglobina molto bassa,
quindi ha un aspetto più chiaro, nel maiale es. è presente più mioglobina quindi ha un aspetto più
rosso, infine nel manzo che è una carne molto rossa abbiamo un contenuto di mioglobina elevato.
A parità di animali, all’interno dello stesso animale possiamo avere un diverso contenuto di
mioglobina, di diverso colore, a seconda del tipo di muscolo che prendiamo in considerazione. Di
solito la coscia ha un colore più scuro rispetto al petto o al lombo, questo perché muscoli che fanno
sforzi prolungati hanno un metabolismo di tipo ossidativo quindi è necessario l’apporto di ossigeno
ai muscoli e quindi c’è presenza di un’alta quantità di mioglobina. Muscoli al contrario che fanno
sforzi più brevi es. petto hanno un metabolismo gli colitico quindi la carne ha un contenuto di
mioglobina inferiore. Nel maiale la coscia è più rossa rispetto al lombo.
Il colore della carne varia a seconda delle condizioni in cui è la mioglobina:
deossimioglobina contenuta nel muscolo intero appena tagliato quando il ferro non è ancora
complessato con l’ossigeno, ha un colore violetto; il colore rosso è dato dalla ossimioglobina
costituita dalla mioglobina collegato un ione ferro 2 che a sua volta collega l’ossigeno; quando noi
cuociamo la carne il ferro 2 si ossida a ferro 3, non abbiamo più l’ossigeno legato e si forma la
metiomioglobina, ha un colore marrone, tipica della carne cotta o avariata; infine, se noi
aggiungiamo nitriti o nitrati alla carne avremo la formazione della nitrosomioglobina, ha un colore
rosa tipico dei salumi cotti come prosciutto cotto.

Le proteine: carne e frumento


La carne – il tessuto connettivo è quello che maggiormente ne influenza la consistenza. Costituito
principalmente da collagene. Il collagene è una proteina fibrosa costituita da tre eliche di tipo
levogire di tropocollagene, avvolte tra di loro a formare un’elica destrogira molto compatta.
Amminoacidi predominanti nella composizione del collagene: glicina (≈33%), prolina e idrossi-
prolina (≈20-25%), hanno un ruolo fondamentale nel determinare la struttura ad alfa elica del
tropocollagene.
La prolina e idrossi-prolina hanno una catena laterale ciclica che impartisce la giusta angolazione
alla catena proteica per effettuare la torsione dell’alfa elica. L’idrossiprolina è ottenuta per
idrossilazione della prolina grazie all’enzima prolinidrossilasi. Questo enzima per funzionare
richiede la presenza di acido ascorbico. Esiste una malattia che è lo scorbuto causato dalla carenza
della vitamina C, si ha un indebolimento delle ossa, cartilagini, denti ed in generali dei tessuti
connettivi, perché la mancanza di vitamina C fa sì che non ci sia una corretta sintesi del collagene.
I gruppi ossidrilici dell’idrossiprolin, sulla catena laterale, stabilizzano l’α-elica tramite formazione
di legami idrogeno. Oltre ai legami idrogeno, le eliche di collagene sono stabilizzate anche da legami
crociati tra residui di lisina. Grazie all’enzima lisinossidasi, le catene laterali della lisina sono
ossidate ad aldeidi, a loro volta le aldeidi condensano per formare un legame crociato, in questo
modo ho un legame tra diverse catene proteiche.

Maggiori sono questi legami, maggiore è la resistenza del tessuto. Negli animali vecchi ci sono più
legami crociati, infatti la carne degli animali più vecchi è più dura rispetto a quella degli animali più
giovani. Questo ha un impatto sulla qualità della carne, infatti tagli con maggior presenza di tessuto
connettivo sono considerati generalmente di valore inferiore rispetto ai tagli con meno tessuto
connettivo perché durante la cottura le fibre di collagene tendono a ritrarsi ed assumere una
struttura ancora più compatta che rende la carne molto dura. Tagli di carne più ricchi in tessuto
connettivo come ad es. lo stinco richiedono tempi di cottura più lunghi rispetto a tagli di carne che
hanno meno tessuto connettivo come ad es. il filetto.
Con cotture lente e prolungate es. stufati, si rompono i legami che tengono assieme le eliche di
collagene, questo si solubilizza e fuoriesce dai tessuti. Nonostante l’alta presenza di tessuto
connettivo lo stufato ed il brasato hanno comunque una consistenza molto tenera. Durante il
raffreddamento il collagene fuoriuscito nel sugo si addensa perché il collagene gelifica, si vanno a
ristabilire i legami idrogeno.

La gelatina è un prodotto importante estratto dal tessuto connettivo, da pelle e ossa (bovine o
suine). Nel caso delle ossa, avviene la triturazione ed eliminazione dei fosfati di calcio dalle ossa con
un trattamento con HCl diluito che dura ≈15 giorni. • Si esegue poi un trattamento basico di pelle e
ossa per diverse settimane con idrossido di calcio [Ca(OH)2] in modo da idrolizzare i legami tra le
catene di collagene. La drasticità e la lunghezza del trattamento ci fanno immaginare quanto forti
siano i legami di collagene. Una volta effettuato il grasso e le proteine sono eliminati e si fa
un’estrazione a caldo della gelatina. La gelatina è insolubile a freddo, solubile a caldo. Dopo averla
estratta questa viene filtrata per evitare eventuali residui ed essiccata. Viene utilizzata
comunemente come addensante alimentare.

Il frumento
Le proteine del frumento hanno una qualità nutrizionale abbastanza bassa, però sono fondamentali
per la pasta ed i prodotti da forno. La cariosside del frumento è costituita da 3 parti, il germe la
parte più piccola che costituisce circa il 3% della cariosside e nel quale sono contenuti la maggior
parte dei lipidi del frumento. Dopodiché abbiamo la crusca che costituisce gli strati esterni, i
tegumenti e poi l’endosperma amilaceo che costituisce 85% della cariosside ed è quello che andrò a
costituire la comune farina bianca. L’endosperma amilaceo contiene principalmente amido
sottoforma di granuli, poi proteine (≈7-15%) e piccole quantità di cellulosa ed emicellulosa
derivanti dalle pareti cellulari dei vegetali.
Le proteine del frumento si possono classificare in base alla loro funzione, solubilità e mobilità
elettroforetica:
- Proteine citoplasmatiche 15-20% delle proteine totali del frumento, sono quelle che hanno un
ruolo enzimatico o di trasportatori all’interno della cellula e si dividono in base alla solubilità in
albumine, solubili in acqua, e globuline, solubili in soluzioni saline diluite.
- Proteine di riserva 80-85%, sono quelle che chiamiamo glutine ovvero la frazione proteica che va
a formare il reticolo responsabile delle proprietà visco-elastiche dell’impasto nei prodotti da forno
e nella pasta. Il glutine è formato da gliadine e glutenine ed hanno una funzione di riserva nella
pianta, cioè devono fornire sostanze nutritive alla futura piantina che si svilupperà dal seme.
Le gliadine 30-40% solubili in soluzioni acquose di etanolo al 70% ed in base alla mobilità
elettroforetica si possono dividere in alfa, beta e gamma ed omega gliadine. Le prime alfa,beta e
gamma sono ricche in zolfo, costituiscono il 70% di frazione di gliadine, hanno un peso molecolare
compreso tra 30-45 Da, sono particolarmente ricche di glutammina e prolina, hanno numerosi
residui di cisteina in grado di formare ponti di solfuro e sono scarse in lisina (amminoacido
essenziale). Le omega gliadine, povere in zolfo, vanno a costituire 10-20% del totale proteico,
hanno un peso molecolare più alto tra 40-75 Da, anch’esse hanno un alto contenuto di prolina e
glutammina ma non contengono cisteina.
Le glutenine 40-50%, a differenza delle gliadine che sono monomeriche, sono polimeriche ovvero
sono costituite da più subunità legate assieme da legami di solfuro intermolecolari, quindi per la
loro estrazione sono necessari agenti denaturanti come l’urea ed agenti riducenti mercaptoetanolo
e odititreitolo. In base al peso molecolare si possono dividere in glutenine a basso peso molecolare
30-45 Da o LMW che costituiscono 70-80% delle glutenine, ricche in glutammina, prolina e
cisteina, si dividono a loro volta in tipo B e C ricche in zolfo e tipo D povere in zolfo, e glutenine ad
alto peso molecolare 65-90 Da o HMW costituiscono 6-10% delle glutenine, fondamentali nel
determinare la qualità della farina, e sono ricche in glutammina e prolina.

Per l’estrazione del glutine dal frumento è sufficiente impastare la farina con l’acqua, si lascia
riposare per permettere al glutine di formare il reticolo proteico e si lava l’impasto sotto acqua
fredda. In questo modo si allontanano i granuli di amido e le proteine solubili, e rimane il glutine
umido che ha l’aspetto e la consistenza di una gomma da masticare.
A seconda del contenuto proteico del frumento le diverse varietà possono essere più o meno
indicate per la produzione di determinati prodotti alimentari. I prodotti alimentari che devono
avere una consistenza friabile es. biscotti necessitano di un contenuto proteico più basso 8-10%,
man mano che sono richieste caratteristiche di tenacità all’impasto è necessario avere una quantità
di proteine superiore ad es. nei prodotti lievitati, come il pane, il reticolo formato dal glutine deve
esser in grado di trattenere i gas prodotti dalla lievitazione quindi è necessario avere un contenuto
proteico più alto, attorno al 12-13%. Se abbiamo poi un pane integrale dove c’è un ‘elevata presenza
di crusca e tegumenti, serve ancora più glutine per riuscire ad avere un prodotto con la corretta
lievitazione di alveolatura.

In realtà più che di quantità di proteine è più corretto parlare di forza della farina, si misura
utilizzando il parametro W calcolato da uno strumento alveografo di Chopin tramite il quale si
misura la capacità di un impasto di trattenere aria. Farine con W tra 90 e 160 sono considerate
deboli e sono indicate per prodotti che devono mantenere una certa friabilità e non devono
risultare troppo duri per il consumatore come biscotti, wafer ecc. Farine di forza media W 160 –
250 possono essere utilizzati in pasticceria o per pani con una lievitazione veloce. Per pani con
lievitazione più lunga, dove c’è una maggiore necessità di trattenere i gas prodotti dalla
fermentazione necessitano di farine forti con un W compreso tra 250 e 310. Infine prodotti con una
lievitazione molto lunga, con una grande presenza di altri prodotti come canditi, uvetta e
margarina, necessitano di farine molto forti con un W compreso tra 310 – 370.

Il glutine è insolubile in acqua a causa della scarsità di amminoacidi carichi positivamente o


negativamente. Ha un alto contenuto in Gln (glutammina) e Pro (prolina). Il glutine essendo
proteina di riserva il suo scopo è quello di fornire azoto alla piantina che si svilupperà dal seme
proprio per questo è ricca di glutammina. Se osserviamo la formula della Gln, oltre al gruppo
amminico legato al carbonio alfa notiamo che è presente un altro gruppo amminico in catena
laterale, quindi la glutammina è in grado di fornire alla futura piantina due unità di azoto per ogni
molecola anziché una. La catena laterale amminica della Gln è in grado di formare numerosi legami
idrogeno che stabilizzano la conformazione del glutine.

La sequenza del glutine


Essendo proteina di riserva ha subito una pressione evolutiva limitata, ovvero negli enzimi c’è una
forte pressione evolutiva dovuta al fatto che ogni modifica agli amminoacidi può andare a
modificare la struttura del sito attivo e quindi a renderli meno efficaci o inattivi, il glutine invece
essendo una proteina di riserva non è tanto importante la sua struttura quanto la sua composizione
amminoacidica e quindi ha subito molte più mutazioni nel corso dell’evoluzione. Se osserviamo la
sequenza del glutine noteremo che avremo alcune regioni conservate ovvero che hanno la stessa
sequenza in tutte le isoferme della proteina e da questo si deduce l’origine evolutiva comune ma ci
sono anche regioni maggiormente variabili tra una molecola e l’altra, ad es. si stima che una singola
varietà di frumento abbia più di 40 diverse tipologie di alfa gliadina dovute a mutazioni di
amminoacidi ad es. sono stati inseriti nuovi aa, tolti o sostituiti, o è stata invertita la loro sequenza.
Tutte le proteine del glutine hanno comunque in comune la presenza di una regione ripetitiva, in
questa regione abbiamo corte sequenze amminoacidiche che vengono ripetute per un certo numero
di volte es. PQPQPFP (P = prolina, Q = glutammina, F = fenilalanina) o PQQPY ( Y= Tirosina) nelle
gliadine; GQQ ( G = glicina), PGQGQQ e GYYPTSLQQ (T = treonina, S = serina, L = leucina) nelle
glutenine.

Glutine - Struttura terziaria a «ripiegamento β» va a influenza la viscoelasticità dell’impasto.


Glutenine ad alto peso molecolare (HMW) determinano l’attitudine alla panificazione di una
determinata farina, sono importanti sia la quantità di glutenine ad alto peso molecolare sia
tipologia di subunità). Inoltre maggiore è il numero di cisteine (gruppi solfidrici -SH liberi),
maggiori saranno i legami disolfuro intermolecolari che si possono formare, maggiore sarà la forza
della farina quindi impasti di forza che trattengono bene l’aria nei prodotti lievitati.

Mescolando acqua e farina, i granuli d’amido iniziano ad assorbire acqua e il glutine si idrata.
Le glutenine formano un ampio reticolo tridimensionale tramite legami intermolecolari di tipo
idrogeno, ionico e idrofobico che riesce a trattenere al suo interno amido gelificato ed i gas prodotti
dalla fermentazione conferendo tenacità ed elasticità all’impasto. Le gliadine si inseriscono in
questo reticolo fungendo da «plasticizzante», determinandone la viscosità ed l’estensibilità.
Slide - Cosa succede alle gliadine e alle glutenine durante l’impasto in modo schematico.
Nei prodotti lievitati è importante avere questo reticolo glutinico per trattenere l’aria prodotta dalla
fermentazione e generare un prodotto soffice con la corretta alveolatura.
Nella pasta è importante avere un buon reticolo glutinico in modo da trattenere l’amido gelificato,
per far sì che la pasta non scuocia e per darle maggiore consistenza.
Giusto rapporto di gliadine e glutenine con le giuste caratteristiche di visco-elasticità
Impasto con troppe gliadine quindi troppo viscoso, sottoposto a lievitazioni tenderebbe a
far sfuggire i gas ed afflosciarsi su sé stesso.
Impasto con troppe glutenine, troppo forte e tenace, non è estensibile e non si estende sotto
l’effetto dei gas prodotti dalla fermentazione generando un prodotto troppo duro e compatto.
Durante l’impastamento si ha la formazione di legami disolfuro intermolecolari che stabilizzano il
reticolo del glutine. Maggiori sono questi legami, più l’impasto avrà tenacità. Impasti forti: pane.
Impasti più deboli: biscotti.

Alle farine possono essere aggiunti alcuni agenti miglioranti per tenere le desiderate caratteristiche
di tenacità e di forza. Ad es. se ho un impasto troppo forte aggiungo alla farina L-cisteina per
diminuirne la forza andando a rompere alcuni legami di solfuro ed alleggerendo il reticolo. Per
aumentare la forza della farina andrò ad aggiungere agenti ossidanti che favoriranno la formazione
dei legami di solfuro es. idroperossidi naturalmente presenti in farine conservate per un anno o
biossido di cloro, perossido di benzoile, persolfati d’ammonio e potassio, bromati e iodati di
potassio, sono molecole vietate in UE. L’acido ascorbico a contatto con l’ossigeno si ossida ad acido
deidroascorbico, che a sua volta ossida il glutatione, molecola che tende a rompere i legami
disolfuro dell’impasto.

Il glutatione è un tripeptide, costituito da gammaglutammincistenilglicina, con un gruppo


solfidrilico libero. Presente naturalmente nelle farine in una concentrazione di 10-15 ppm.
Può essere presente in 3 forme: gruppo solfidrilico libero (GSH), dimero ossidato (GSSG) e legato
alle proteine del glutine (GSSP).
Può quindi catalizza la rottura dei ponti disolfuro del reticolo glutinico: – GSH + prot-S-S-prot –>
prot-SH + GS-S-prot; o anche catalizzare la loro formazione: – prot-SH + GS-S-prot -> GSH + prot-
S-S-prot.

L’acido ascorbico, a contatto con l’ossigeno si ossida ad acido deidroascorbico, va poi questo ad
ossidare la molecola di glutatione, facendole formare il dimero ossidato. Il glutatione libero non è
più a disposizione per andare a rompere i doppi legami del reticolo glutinico. L’acido ascorbico
modula le funzioni di scambio dei ponti disolfuro nella formazione del glutine. L’attività vitaminica
è persa in seguito alla cottura.
I colori: clorofille, carotenoidi e antocianine
Il colore di un alimento ne determina, talvolta assieme all’aroma e alla consistenza, l’unico aspetto
qualitativo che possiamo valutare in modo diretto prima dell’acquisto. Gli alimenti contengono
naturalmente sostanze coloranti (es. frutta e verdura). Alcuni alimenti sono intenzionalmente
colorati durante il processo produttivo, per renderli più «attraenti» o «appetibili».
Negli ultimi anni i coloranti sintetici sono sempre più rimpiazzati da coloranti di origine naturale.

Clorofilla è il pigmento verde delle foglie e della frutta acerba. Responsabile della fotosintesi,
trasformazione di CO2 in zuccheri è situata nei cloroplasti, organelli cellulari. Esistono due tipologie
(a e b), sono due molecole diverse di clorofilla che hanno due strutture chimiche, in rapporto 3 a 1.
La struttura tra le due è identica se non per il fatto che c’è un gruppo eme nella clorofilla A che
invece nella B è sostituito da un gruppo aldeidico, per il resto la struttura è uguale.
Porfirina è struttura ad anello simile al gruppo eme, ma con differenze sugli anelli ed è diverso il
metallo che viene coordinato, magnesio (nel gruppo eme è il ferro). Questo anello porfirinico è
legato ad una lunga catena apolare, solubile chiamata fitolo, lunga catena idrofobica, legata con
legame estere e conferisce apolarità alla clorofilla che quindi è solubile nei lipidi. Il legame estere
può essere idrolizzato durante i trattamenti tecnologici e durante i processi di trasformazione degli
alimenti. La clorofilla è dunque una molecola apolare che le permette di associarsi con membrane
del cloroplasto, formate da fosfolipidi, molecole anchesse apolari, e ad altri pigmenti naturali che
sono i carotenoidi.

La radiazione luminosa o luce bianca è composta dalla radiazione corrispondente alle lunghezze
d’onda di tutti i colori dell’arcobaleno, la luce bianca è composta da tutti i colori, copre tutto lo
spettro del visibile che va da circa 380 a 700 nm. Quando la luce bianca colpisce un oggetto parte
della radiazione viene assorbita dall’oggetto mentre la restante parte viene riflessa. Es. la luce
bianca colpisce un oggetto, parte della radiazione viene assorbita e viene riflessa la componente
blu, l’oggetto risulterà blu ai nostri occhi. Se la radiazione luminosa colpisce un oggetto vengono
assorbite tutte le lunghezze d’onda ad eccezione del rosso, la componente rossa viene riflessa e
l’oggetto apparirà rosso. Se tutta la radiazione luminosa viene riflessa dall’oggetto questo apparirà
bianco, al contrario se l’oggetto assorbe tutta la luce a qualsiasi lunghezza d’onda questo oggetto
apparirà nero.

Lo spettro di assorbimento della clorofilla, ovvero la quantità di luce assorbita in funzione della
lunghezza d’onda. Possiamo notare che a lunghezze d’onda basse corrisponde la componente blu
violetta mentre muovendoci verso lunghezze d’onda più alte, verso i 700 nm, si arriva al colore
rosso. La clorofilla A presenta un max di assorbimento a circa 420 ed uno a 700 nm e ci appare
quindi di colore verde scuro, la clorofilla B ha un max di assorbimento intorno ai 470 ed uno a
670/680 nm dunque la percepiamo di un verde un po’ più chiaro, giallognolo. I carotenoidi hanno
un max di assorbimento verso i 470 ed uno a 500 nm, li vediamo di un colore giallo-arancione.

Nelle foglie sono presenti sia carotenoidi sia clorofilla. In primavera ed estate, il colore verde delle
clorofille «copre» il giallo dei carotenoidi. In autunno, le clorofille degradano, e prevale il colore
giallo dei carotenoidi, motivo dell’ingiallimento delle foglie in autunno.
Reazioni a cui può andare incontro la clorofilla:
- La clorofilla può andare incontro a diverse reazioni chimiche nei processi di trasformazione degli
alimenti. Può essere idrolizzato il legame estere che lega il fitolo all’anello porfirinico, idrolisi
possibile attraverso trattamento termico come può essere la cottura. L’idrolisi della clorofilla con
perdita del fitolo porta alla formazione della clorofillide (a e b) costituita solo dalla parte porfirinica
della molecola. Appare sempre di colore verde, ma la perdita del fitolo fa sì che essa diventi più
idrosolubile, si perde in parte nell’acqua di cottura. Se bolliamo un vegetale verde, broccolo, bietole
o spinaci notiamo che l’acqua di cottura prende una colorazione verde.

- Perdita di Mg2+ coordinato dall’anello porfirinico. Di solito per far avvenire la perdita dello ione
magnesio è necessario un trattamento termico abbastanza intenso come l’inscatolamento o in
presenza di un ambiente acido (frutta e verdura hanno solitamente pH acidi grazie alla presenza di
acidi organici al loro interno. La perdita dello ione magnesio fa sì che dalla clorofilla si ottenga la
feofitina (dalla clorofilla a feofitina a e stessa cosa per la b). E’ di colore olivastro. Se prendiamo dei
fagiolini freschi essi hanno un colore verde brillante, se acquistiamo dei fagiolini surgelati essi
hanno un colore verde perché il trattamento di sbollenta tura eseguito prima di essere congelati
può andare al massimo a provocare la perdita del fitolo ma non la perdita dello ione magnesio. Se
invece compriamo fagiolini in scatola il trattamento di sterilizzazione che è stato effettuato è
abbastanza drastico, la clorofilla perde lo ione magnesio, si forma la feofitina ed i fagiolini
assumono un colore più olivastro. Se noi effettuassimo il trattamento termico in presenza di un
ambiente leggermente basico (aggiungendo bicarbonato di sodio), limita la reazione migliorando il
colore, il colore rimarrebbe verde brillante, ma peggiora aroma e consistenza del prodotto. Non è
un approccio di solito utilizzato.

Ripasso delle reazioni:


Il vegetale crudo in cui è presente la clorofilla di un bel colore verde brillante, se andiamo a fare un
trattamento termico abbastanza blando e abbiamo la perdita del fitolo si forma la clorofillide che è
di colore verde brillante, un po’ più idrosolubile dunque tende a passare anche nell’acqua di
cottura. Se invece facciamo un trattamento termico abbastanza drastico in presenza di ambiente
acido come l’inscatolamento, la clorofilla va a perdere lo ione magnesio si forma la feofitina di un
colore verde olivastro. Se la clorofilla perde sia il fitolo sia lo ione magnesio si forma la feoforbide
di un colore marrone, non apprezzato nei vegetali.

- Se noi andassimo ad aggiungere del rame, sotto forma di solfato rameico o ceduto dalle pentole di
rame, avremo un effetto positivo sul colore, risulterebbe più brillante ma ovviamente questo
trattamento non si può fare per problemi di tossicità. Al limite per restituire il colore verde ai
prodotti in scatola, si possono usare coloranti verdi ammessi negli alimenti come verde S, oppure
sale sodico della clorofillina rameica (derivato chimico della clorofilla). La degradazione della
clorofilla è alla base della differente colorazione dei piselli surgelati (verde brillante) e inscatolati
(verde olivastro).

Carotenoidi sono presenti in frutta e ortaggi ed hanno un colore che va dal giallo all’arancione.
Presenti nei cloroplasti e nei cromoplasti. Sono terpenoidi, ovvero molecole che derivano dalla via
biosintetica dell’isoprene, molecola raffigurata che è molto importante nelle biosintesi. I
carotenoidi sono dei tetraterpenoidi = 40 atomi di carbonio. Una molecola di isoprene ha 5 atomi di
C, ogni carotenoide è formato da 8 unità isopreniche.
Dalla struttura chimica che è prevalentemente idrocarburica, possiamo dedurre che i carotenoidi
sono composti molto apolari, si sciolgono nei lipidi, liposolubili. I carotenoidi si possono classificare
in due categorie caroteni, es. betacarotene, hanno una struttura idrocarburica formata da atomi di C
e H, e xantofille, es. luteina, hanno una struttura idrocarburica formata da atomi di C, H ed O,
carotenoidi ossigenati. Tra i caroteni vale la pena ricordare il licopene ed il betacarotene. Il licopene
è il carotene più semplice son struttura lineare ed è il pigmento fondamentale del pomodoro da cui
prende anche il nome Solanum lycopersicum. Il betacarotene è importante perché è un precursore
della vit. A e a differenza del licopene ha le estremità terminali ciclizzate, queste strutture si
chiamano α e βionone. Tra le xantofille ricordiamo la luteina, la zeaxantina e la cantaxantina. La
zeaxantina prende il nome dal mais, una delle fonti alimentari di zeaxantina, da cui prende il nome
Zea mais, ed è un isomero è la luteina. La cantaxantina, isolata per la prima volta dai funghi ma è
presente anche in alghe, crostacei e pesci. Dà il colore arancio al guscio del gamberetto.
I fenicotteri che si cibano di questi crostacei e gamberetti assumono la cantaxantina per via
alimentare e per tanto il loro piumaggio assume una colorazione rosa.

Apocarotenoidi hanno sempre una struttura idrocarburica ma hanno la presenza di uno o più
gruppi carbossilici. Crocetina è il pigmento dello zafferano (Crocus sativus), in cui la crocetina e
legata al genziobiosio tramite legame glicosidico. Zafferanno è una spezie ed un colorante molto
costoso, servono 150,000 stigmi di zafferano per produrre 1 kg di prodotto.
Cis-bixina è il pigmento dell’annatto, presente nei semi di Bixa orellana. Annatto è utilizzato per
colorare alcuni formaggi (Red Cheshire o Leicester) e margarine, per conferire loro un colore più
giallognolo simile a quello del burro.

La distribuzione dei carotenoidi varia da un vegetale all’altro.


Negli ortaggi a foglia c’è una prevalenza di β-carotene (carotene, 200-700 ppb, parti per miliardo),
luteina, violaxantina e neoxantina (xantofille). Negli ortaggi a bacca es. nel pomodoro c’è
prevalenza di licopene (carotene), e nel peperoncino c’è la capsantina (xantofilla tipica di questa
specie). Tra le radici c’è la carota ricca di β-carotene (600-1,200 ppm, parte per milione).
Nella frutta c’è un contenuto molto variabile di carotenoidi. Mango ha prevalenza di β-carotene
(carotene), criptoxantina e zeaxantina (xantofille). Caco haprevalenza di β-carotene (carotene),
criptoxantina e zeaxantina (xantofille). Arancia ha criptoxantina, luteina, anteraxantina e
violaxantina (xantofille).

C’è una continua ricerca di coloranti alimentari da fonti naturali:


Colorante Tonalità Codice Fonti
Clorofilla Verde E140 Piante a foglia verde
Clorofillina rameica Verde E141 Piante a foglia verde (modificato chimicamente)
Curcumina Gialla E100 Curcuma
Luteina Gialla E161b Calendula
Paprika Arancione-rossa E160c estratto di Peperone
Miscele di caroteni (α,β, γ) Gialla-arancione E160a Olio di palma o alghe
β-carotene Gialla-arancione E160a Fermentazione da Blakeslea trispora (fungo)
Annatto Arancione E160b Semi di annatto (cespuglio), per colorare margarine
Cocciniglia Rossa E120 Cocciniglia (insetti, parassiti dei cactus e fichi d’india)
Antocianine Rossa-viola-blu E163 Bucce d’uva, sambuco, carote nere
Betanina Rosa-rossa E162 Barbabietole rosse
I carotenoidi negli alimenti di origine animale:
Tuorlo d’uovo presenta luteina e zeaxantina (xantofille) e β-carotene. L’animale, la gallina, le
assume con l’alimentazione, i carotenoidi essendo liposolubili si vanno a depositare nel grasso
dell’animale e nel tuorlo d’uovo. A seconda dell’alimentazione dell’animale possiamo leggermente
modificare il color del tuorlo. Astice e crostacei hanno un complesso proteico con l’astaxantina
(xantofilla) di colore verde scuro. Con la cottura del crostaceo la proteina denatura ed emerge il
colore rosso di questi carotenoidi. Salmone, la colorazione rosa della carne è data dall’astaxantina.

Reazioni dei carotenoidi durante la produzione degli alimenti:


I gruppi epossido delle xantofille (anteraxantina, violaxantina) si trasformano in ossidi furanici.
Alcuni doppi legami trans isomerizzano a cis, la presenza di ossigeno di solito è abbastanza dannosa
per i carotenoidi perché tende ad accelerare il fenomeno della decolorazione. Gli idroperossidi da
ossidazione lipidica contribuiscono alla degradazione dei carotenoidi causando perdita di colore. Se
noi abbiamo una farina vecchia in cui i pochi lipidi presenti sono irranciditi, si sono formati degli
idroperossidi che andranno a degradare i carotenoidi naturalmente presenti nella farina che quindi
tenderà ad avere un aspetto più bianco. Il β-carotene può idrolizzarsi a β-ionone che ha un aroma di
fieno essiccato, i trattamenti termici dei carotenoidi soprattutto in presenza di ossigeno tendono a
dare una degradazione di queste molecole e a dare un colore meno intenso. Infatti il colore della
frutta in scatola è meno intenso rispetto a quella fresca, stesso vale per le verdure, carote essiccate
e fresche.

Antocianine sono pigmenti presenti in fiori e frutta di colore rosa, rosso, viola o blu. Sono glicosidi
in cui l’aglicone (antocianidina) è legato ad uno zucchero che può essere monosaccaride (glucosio,
galattosio, ramnosio o arabinosio) in posizione 3 sull’anello c, o disaccaridi rutinosio e soforosio. La
struttura di base è il flavano, ma sono presenti numerose varianti in termini di sostituenti sugli
anelli, in particolare sull’anello b.
A seconda del n° e della tipologia di sostituenti sull’anello b le antocianidine avranno diverse
sfumature di colore: ad es. la perlargonidina è meno sostituita in quanto ha solo in gruppo
ossidrilico sull’anello b ed ha una tonalità rossa, la cianidina ha 2 ossidrili sull’anello b tende ad
essere più rosa, la peonidina in cui un H è stato sostituito da un gruppo metilico tende ad avere un
colore più fucsia, la delfinidina che è trisostituita sull’anello b ovvero ha 3 gruppi ossidrilici ha una
colorazione indica, la petunidina che ha un gruppo metossi e due ossidrilici ha una colorazione blu
intensa e la malvidina quella più sostituita ha un colore viola intenso. Nelle diverse antocianidine è
sempre presente una carica positiva sull’ossigeno, sono infatti molecole cationiche ed in particolare
parliamo della struttura del catione flavilio.

Lo zucchero legato in 3 può essere esterificato a sua volta (legato) in posizione 6 con un composto
fenolico, es. acido paracumarico, acido ferulico o acido caffeico. Il gruppo ossidrilico dello zucchero
fa a formare un legare estere con il gruppo carbossilico di questi composti fenolici.

L’uva è fonte di antocianine. Sono presenti tutte le antocianidine: cianidina, peonidina, delfinidina,
petunidina e malvidina, l’unica assente è la pelargonidina. Hanno diverse tipologie di glicosilazione
ed acetilazione. In Europa ed Asia occidentale è diffusa la vitis vinifera in cui sono presenti i 3-
monoglucosidi delle antocianidine, al contrario nella vitis riparia e vitis rupestris, coltivate in
america centro settentrionale abbiamo la presenza 3,5-diglucosidi delle antocianidine. Queste
molecole possono essere considerate dei possibili marcatori di provenienza geografica, presenti
solo in particolari specie di vite coltivata in determinate regioni geografiche.

Antocianine nelle verdure


Cavolo rosso: cianidina e antocianidina (Brassica oleracea L. var. capitata var. rubra)
Ravanello (Raphanus sativus L.): pelargonidina
Fagiolo rosso (Vigna angularis): pelargonidina
Melanzana (Solanum melongena L.): delfinidina

Reazioni delle antocianine durante la produzione alimentare:


- Il colore è sensibile alle variazioni di Ph. La frutta ha un pH acido ed un pH attorno a 3 abbiamo
la presenza del catione flavinio, con la carica positiva sull’ossigeno che risuona con il C adiacente,
in questa condizione abbiamo un colore rosso. Se aumentiamo il pH fino a 4-5 osserviamo una
decolorazione del prodotto perché una molecola d’acqua può andare a dare un attacco nucleofilo al
carbocatione e abbiamo l’inserimento di un gruppo ossidrilico con formazione di una pseudo base
carbinolica e questo composto è incolore. Se alziamo ulteriormente il pH a 6-7 la soluzione
diventerà di nuovo colorata ma non sarà più rossa ma violetta perché avremo la formazione di
questo composto che si chiama anidrobase. Alzando ancora il pH 7-8 avremo l’anidrobase in forma
anionica con un colore blu intenso. Con un pH oltre 8 avrò l’apertura dell’anello centrale con
formazione di un calcone che è di colore giallo.
Il colore non è mai definito perché dipende anche dalle interazioni con gli altri componenti del
frutto o della verdura e dalle interazioni con metalli eventualmente presenti.
- Sensibili anche alla presenza di anidride solforosa, aggiunta ai vini e ai succhi di frutta con
funzione antimicrobica, come conservante, di solito sotto forma di solfiti (SO32-) o di metabisolfiti
(S2O52-). Quando l’aggiungo questa tende ad addizionarsi all’antocianina generando composti
incolori, assisto a decolorazione già a 200-5,000 ppm. Se l’aggiunta arriva a concentrazioni di
11.5% questa decolorazione sarà irreversibile.
- Polimerizzazione nel tempo. Lasciando invecchiare un vino per diversi anni si assisterà alla
polimerizzazione delle antocianine che andranno a generare composti a più alto peso
molecolare procianidine. Hanno un colore più intenso e stabile, causano il colore più scuro
(bruno) dei vini invecchiati. All’aumentare della polimerizzazione, i tannini responsabili
dell’astringenza polimerizzando tendono a precipitare ed il vino tende ad avere un gusto più
morbido.

Le antocianine come coloranti. Utili perché stabili a pH acido (frutta) utilizzate per la colorazione di
dolciumi e bevande però se ossidate si trasformano in malvoni incolori responsabili della perdita di
colore della frutta in scatola. Non indicate per prodotti a pH più alto (es. latte) in quanto il colore
sarebbe alterato (bluastro). Fonti per estrarre le antocianine sono vinacce residui della
vinificazione, cavolo rosso o bacche di sambuco ed altri.
I colori: betalaine, melanine, curcuma e cocciniglia (pigmenti di origine vegetale)

Betalaine sono pigmenti vegetali presenti nella famiglia delle Centrospermae, di cui fa parte la
barbabietola (Beta vulgaris), importante in campo alimentare. Si distinguono in Betacianine
di colore rosso porpora e Betaxantine di colore giallo.
La differenza strutturale tra le due è la presenza di un sistema ciclico nelle betacianine rispetto alle
beta xantine mentre nel resto della struttura la parte inferiore è identica. In entrambe le molecole
è presente un azoto quaternario carico positivamente.
-Le betacianine della barbabietola costituiscono fino al 90% della barbabietola, di queste abbiamo
betanidina 95% ed isobetanidina 5%. Le betacianine possono essere glicosilate o meno, nella
barbabietola quasi tutte lo sono perché il 95% delle betacianine della barbabietola sono legate ad
un glucosio. Talvota il glucosio può essere legato ad un gruppo solfato.
-Le betaxantine della barbabietola sono la restante parte e nella barbabietola sono presenti
sottoforma di vulgaxantina I e II, la differenza sta nella presenza nella I di un ammide e nella II un
acido carbossilico.
Le betalaine hanno alcuni vantaggi rispetto agli antociani, hanno un colore molto più stabile al
variare del pH. L’unica reazione di degradazione a cui possono andare incontro durante le
trasformazioni alimentari è il loro imbrunimento durante trattamenti di cottura prolungati, specie
se in presenza di ossigeno. Si possono utilizzare come coloranti rossi in dessert e latticini (le
antocianine non indicate come abbiamo visto). Non adatte invece per prodotti da forno
(imbrunimento)

Le melanine si formano per contatto con l’ossigeno nei tessuti vegetali danneggiati. Quando
andiamo a sbucciare una patata o tagliare una mela andiamo a rompere le cellule vegetali e di
conseguenza alcuni composti fenolici entrano a contatto con l’enzima polifenolossidasi, in presenza
di ossigeno, e sono trasformati in ortodifenoli (attività creolasica), successivamente gli ortodifenoli,
in presenza di ossigeno e sempre per azione della polifenolossidasi, vengono trasformati in orto
chinoni (attività catecolasica). Quest’ultimi polimerizzano amelanine, pigmenti ad alto peso
molecolare di colorazione bruna.
Le melanine impartiscono infatti una sgradevole colorazione bruna a frutta e verdura, può esser
dovuta sia ad operazioni volontarie (taglio, pelatura), infezioni fungine o ammaccature involontarie
che danno inizio a questo fenomeno.
Negli animali è presente un enzima analogo, l’enzima tirosinasi che catalizza la trasformazione della
tirosina in melanina, pigmento che dà la colorazione alla nostra pelle e capelli.
I pigmenti bruni che si formano sulla superficie dei vegetali tagliati o danneggiati non porta a
perdite nutrizionali. Tuttavia sono sgraditi al consumatore portando ad una perdita di valore
commerciale. Gli o-chinoni hanno attività antifungina. Quando un frutto viene tagliato o ammaccato,
le cellule sono danneggiate, i succhi cellulari ricchi di nutrienti potrebbero attirare ed essere un
substrato di crescita per alcune infezioni fungine, si conseguenza la pianta cerca di evitare che
l’infezione fungina si propaghi in profondità nei tessuti vegetali sintetizzando questi orto chinoni, è
un meccanismo di difesa. I substrati polifenolici coinvolti nella formazione di melanine sono diversi
da pianta a pianta, nelle mela, pera e patate il substrato principale è l’acido cloro genico, nelle
cipolle è l’acido protocatechico. I polimeri finali ovvero le melanine sono strutture molto complesse,
non ancora completamente caratterizzate.
A livello industriale bisogna assolutamente prevenire l’attività fenolasica, ovvero ostacolare
l’imbrunimento enzimatico del prodotto:
- Blanching (o scottatura) è un trattamento termico effettuato prima o immediatamente dopo il
taglio o pelatura che va a denaturare l’enzima polifenolossidasi, non catalizzando più la
reazione.
- Immersione in acqua della frutta o verdura appena tagliata, così si elimina il contatto con l’aria.
- Addizione di agenti chelanti, i quali sequestrano il rame presente nel sito attivo dell’enzima,
impedendogli di funzionare (es. acido malico, acido citrico).
L’aggiunta di acidi organici abbassa il valore del pH e mantiene il pH più acido rispetto all’optimum
dell’enzima (pH 7), subendo rallentamento o inibizione dell’attività.
- Aggiunta di agenti antiossidanti (acido ascorbico, solfiti)

Il tè prende colorazione dai diversi composti fenolici presenti, è un infuso ottenuto dai germogli
della pianta Camellia siniensis. Esistono diversi tipi di tè, si va da tè per nulla o pochi fermentati
come il tè bianco ed il tè verde, fino a tè molto fermentati come il tè nero.
Nei tè poco fermentati abbiamo un’alta presenza di catechine e polifenoli, con il procedere della
fermentazione catechine e polifenoli tendono a polimerizzare quindi più il tè è fermentato maggiore
è la presenza di composti ad alto peso molecolare come teaflavine e tearubigine, porta anche
all’ottenimento di una diversa colorazione dell’infuso. Tè verde e bianco poco fermentati sono di
colore chiaro, prendono il nome dalla loro colorazione, è chiaro anche il tè oolong.
Caffeina è una molecola presente nel tè che può raggiungere fino a 3-4% su peso secco del tè nero. Il
contenuto varia a seconda del grado di fermentazione del tè, es. il tè bianco 10 milligramma su
porzione di caffeina, tè verde 20, oolong 30, tè nero 40.
La colorazione del tè è data dai composti fenolici presenti che possono arrivare fino al 30% su peso
secco nel tè nero ed i principali sono la catechina, epicatechina, epigallocatechina,
epicatechinagallato, epicancatechingallato e l’acido gallico. Uno dei più abbondanti è
epicancatechingallato che raggiunge concentrazioni del 9-13% su peso secco nel tè nero.
Durante la fermentazione i difenoli sono convertiti a chinoni. I chinoni dimerizzano a teaflavine
(4% del tè), di colore rosso. I dimeri polimerizzano a formare tearubigine, pigmenti principali del tè
nero, a più alto peso molecolare. Le tearubigine sono responsabili anche dell’astringenza del tè,
sensazione nel cavo orale di asciutto.

Curcuma radice, in particolare la radice essiccata e polverizzata di Curcuma longa. Il pigmento


responsabile della colorazione è la curcumina. Utilizzato come spezia negli alimenti o come
colorante per tessuti. Conferisce colore e aroma al curry.
Oltre all’utilizzo della curcuma in polvere, la curcumina può essere estratta con solvente. Si ottiene
un colorante alimentare giallo liposolubile e può essere utilizzato come colorante (E100) in gelati
e dessert.

Cocciniglia, pigmenti rossi estratti da insetti Coccus cacti, un parassita dei fichi d’India e dei cactus.
Le femmine vengono allevate sui cactus, essiccate e polverizzate. Molto costoso, servono 100,000
insetti per ottenere 1 kg di polvere. Provenienza: America del Sud (Perù), isole Canarie.
Estrazione della polvere avviene con acqua calda. L’estratto è trattato con sali d’alluminio e
precipitato con etanolo. Il pigmento è di colore rosso ed il responsabile della colorazione è l’acido
carminico. E120, utilizzata per la colorazione di diverse alimenti come yogurt, marzapane, gelatine,
bitter.
Coloranti di sintesi, ottenuto attraverso sintesi chimica
Vantaggi: sono più stabili, meno costosi ed esteticamente più «belli», maggior disponibilità di
«sfumature». Bisogna però dimostrare la loro non tossicità, acuta o cronica. Non sempre i coloranti
di sintesi sono costituiti da una sola sostanza, anzi sono spesso miscele (Bruno FK è una miscela di
6 diverse molecole). I codici cambiano tra Unione Europea e altre nazioni (es. America).
Colorante Classe Sigla, ammessi in Europa
- Giallo: Tartrazina Azoico E102
Giallo di chinolina Chinolina E104
Giallo tramonto FCF Azoico E104
- Rosso: Carmoisina Azoico E122
Amaranto Azoico E123
Ponceau 4R Azoico E124
Eritrosina Xantene E127
Rosso 2G Azoico E128
Rosso allura AC Azoico E129
- Blu: Blu patent V Triarilmetano E131
Carminio indaco Indigoide E132
Blu brillante FCF Triarilmetano E133
- Verde: Verde S Triarilmetano E142
- Nero: Nero BN Azoico E151
- Marrone: Bruno FK Azoico E154
Bruno cioccolato HT Azoico E155

Coloranti azoici coprono sfumature che vanno dal giallo, arancione, rosso, marrone e nero.
Hanno diversi gruppi solfonici s3- che conferiscono buona solubilità in acqua.
Cromoforo, parte della molecola responsabile del colore, è costituita dal gruppo azo coniugato
sistemi aromatici da entrambi i lati.

Coloranti triarilmetanici sono di colore blu o verde. Hanno gruppi solfonici


Cromoforo è costituito da tre anelli aromatici legati allo stesso C, da cui il nome di triarilmetani.

Coloranti xantenici, ne esiste uno solo ammesso negli alimenti che è l’eritrosina, colorate rosso.
Cromoforo costituito da tre anelli aromatici legati allo stesso C.
(presenti anche atomi di iodio nella struttura)

Coloranti chinolinici, come il giallo di chinolina, e indigoidi, come il carminio d’indaco, rivestono
importanza nelle forme di coniugazione. Le diverse strutture di risonanza dei sistemi dei doppi
legami coniugati ne vanno a determinare le caratteristiche colorate. Hanno anche loro diversi
gruppi solfonici.

Scelta del colorante:


Oltre alla tonalità di colore che vogliamo ottenere, la scelta del colorante di sintesi da aggiungere
all’alimento deve essere fatta tenendo in considerazione diversi fattori. Se l’alimento al quale
vogliono aggiungere il colorante deve andare incontro ad un trattamento termico (es. cottura), in
questo caso dovrò scegliere un colorante stabile alle alte temperature, termoresistente. Devo
considerare anche l’esposizione prolungata alla luce (es. vetrine), scelgo un colorante che non sia
fotosensibile. Devo considerare la presenza di sostanze chimiche che potrebbero reagire (es. solfiti,
acido ascorbico). Devo tenere conto del pH dell’alimento, un diverso livello di acidità può andare a
protonare in modo diverso le molecole generando strutture, forme di risonanza e coniugazioni che
danno origine poi a variazioni di colore. Devo anche considerare se nel mio alimento c’è quantità di
acqua libera per scogliere il mio colorante. Quasi tutti i coloranti di sintesi hanno gruppi solfonici
che garantiscono una buona solubilità in acqua. Se però ho un alimento molto grasso o se ho poca
acqua libera si devono usare delle lacche in cui il colorante è adsorbito su piccole particelle di
Al(OH)3, polvere fine. Disperdo poi la polvere colorata nell’alimento.

Utilizzo dei coloranti sintetici:


Tartrazina (giallo): bibite, caramelle, budini. Giallo di chinolina: caramelle, bibite, liquori. Giallo
tramonto FCF: bibite, sciroppi, zuppe. Carmoisina (rosso): sciroppi, bibite, gelati. Ponceau 4R
(rosso): caramelle, paste, biscotti. Eritrosina (rosso): caramelle, frutta sciroppata, gelati. Carminio
indaco (blu): gelati, ghiaccioli, paste. Nero BN: caramelle, creme, gelati.

Reg. CE 1333/2008 disciplina utilizzo degli additivi alimentari. Art. 8 a) restituire l’apparenza
originaria di alimenti il cui colore è stato alterato dalla trasformazione, dalla conservazione,
dall’imballaggio e dalla distribuzione, e il cui aspetto può di conseguenza risultare inaccettabile per
il consumatore; b) accrescere l’attrattiva visiva degli alimenti; c) colorare alimenti di per sé
incolori.
Allegato V ci dice poi che per alcuni coloranti come il Giallo tramonto (E110), giallo di chinolina
(E104), carmoisina (E122), rosso allura (E129), tartrazina (E102), ponceau 4R (E124) devono
riportare la dicitura in etichetta: «denominazione o numero E del colorante/dei coloranti: può
influire negativamente sull’attività e l’attenzione dei bambini.». Forte ricerca nella direzione di
coloranti naturali, più «label friendly».
Dove sono vietati i coloranti (Reg. CE 1129/2011)
Prodotti tradizionali (mortadella, cotechino e zampone). Alimenti non trasformati. Miele. Oli e
grassi non emulsionati. Latte e panna non aromatizzati. Acqua minerale naturale. Caffè e tè non
aromatizzati. Zuccheri. Pasta secca. Disciplina anche i dosaggi massimi singoli e combinati dei
coloranti alimentari, per impedire tossicità cronica ed acuta.

Legge di Planck mette in relazione l’energia di una radiazione luminosa con la sua frequenza.
Ci dice che l’energia di una radiazione luminosa è uguale alla costante di Planck moltiplicata per la
sua frequenza. E = h × ν
Più è alta la frequenza di una radiazione luminosa più è alta la sua energia. Se noi osserviamo lo
spettro del visibile vediamo che a basse lunghezze d’onda verso i 400nm nella regione del blu
violetto abbiamo un’alta frequenza quindi la radiazione ha un’alta energia, muovendoci verso
lunghezze d’onda più alta, nella regione del rosso arancio, abbiamo una bassa frequenza quindi una
radiazione a bassa energia.

Le transizioni elettroniche
Quando il fascio luminoso (radiazione luminosa) composto da fotoni colpisce una molecola con la
corretta energia avviene una transizione elettronica, ovvero può far passare la molecola da stato
fondamentale a stato eccitato. Durante questa transizione gli elettroni passano dall’orbitale di
legame a quello di anti legame. Tornano poi allo stato fondamentale rilasciando energia sottoforma
di calore. Le transizioni elettroniche che possono avvenire in una molecola sono molte.
Considerando che la radiazione luminosa è a bassa energia l’unica transizione possibile è π, π* (pi
greco asteriscato) dei doppi legami coniugati. A seconda della struttura della molecola, l’energia
necessaria per la transizione elettronica sarà diversa, assorbiranno la radiazione luminosa a
lunghezza d’onda diverse. Di conseguenza le molecole avranno colori diversi. I sistemi di doppi
legami coniugati necessitano di un’energia minore per la transizione elettronica, grazie all’effetto di
delocalizzazione del doppio legame.

Di fatto per essere colorata una molecola necessita di 7 doppi legami coniugati. Ogni reazione che
vada a rompere la coniugazione ha un effetto negativo sul colore, va a degradare il colore, questo
effetto può essere causato da ambienti molto acidi/basi, anidride solforosa. La parte della molecola
responsabile della colorazione si chiama «cromoforo». La presenza di metalli (es. magnesio nella
clorofilla, ferro nella mioglobina) ha un notevole effetto sul colore.

Come si misura il colore negli alimenti? Se abbiamo un alimento liquido e limpido possiamo
utilizzare uno spettrofotometro. Se il nostro alimento è torpido o solido dobbiamo utilizzare un
colorimetro. Una volta utilizzato il colorimetro abbiamo due diverse modalità di esprimere il colore
dell’alimento.
- Sistema RGB (Red, Green, Blue) descrive il colore dell’alimento utilizzando la quantità dei tre
colori primari verde, rosso e blu, come se collocassimo il colore all’intero di un diagramma
tridimensionale.
- Sistema Lab (L, a, b) anch’esso tridimensionale dove L indica la luminosità che va da 0
corrispondente al nero a 100 corrispondente al bianco, a è la tonalità che va da verde a rosso e b da
blu a giallo.
Il sapore gusto dolce, le molecole che impartiscono un gusto dolce
Il sapore è una caratteristica fondamentale per la scelta degli alimenti. La percezione del sapore è
storicamente ed evoluzionisticamente correlata alla qualità di un alimento. I cibi dolci sono molto
apprezzati, perché associati ad alti contenuti zuccherini, quindi elevato potere nutriente. I gusti
amari sono associati a sostanze velenose, quindi solitamente evitati (meccanismo di difesa).

Il gusto è una proprietà dell’alimento principalmente percepita dalle papille gustative poste sulla
lingua, ma più in generale a livello di tutto il cavo orale. Il gusto dolce è percepito maggiormente
sulla punta della lingua, salato al centro, acido ai lati e amaro nel retro della lingua, come se fosse
l’ultimo meccanismo di difesa prima dell’ingestione di una sostanza potenzialmente velenosa.
È importante studiare la struttura chimica delle molecole responsabili del gusto per capirne
l’evoluzione durante le trasformazioni alimentari e per il possibile sviluppo di additivi alimentari
come aromi, esaltatori di sapidità, dolcificanti, aggiunti all’alimento per migliorarne le qualità
organolettiche. Non esistono strumenti in grado di misurare il «gusto» e il «sapore» di un alimento.
Per giudicare il sapore di un alimento viene utilizzati panel, gruppi di assaggiatori addestrati che
presentano però molta variabilità individuale. Il sapore è dato dalla combinazione di moltissime
molecole che hanno valori di soglia diversi per ogni molecola, influenzati dalla composizione
dell’alimento.

I sapori fondamentali sono cinque salato, dolce, amaro, acido, umami (di carne), poi abbiamo delle
sensazioni chenestetiche che sono il piccante, rinfrescante, l’astrigente e kokumi che non è un vero
proprio sapore ma aumenta la percezione di salato e umami.

Dolce è il gusto tradizionalmente associato con gli zuccheri ma esistono delle eccezioni, perché
alcuni zuccheri non sono così dolci ed altre molecole non glucidiche sono molto dolci (es. stevia,
saccarina). Non esistono strumenti per misurare la dolcezza, di solito si esprime per confronto col
saccarosio. I composti dolci possono avere strutture chimiche differenti, in comune sono sostanze
polari, idrosolubili e non volatili.
Confrontando la struttura delle molecole dolci possiamo individuare analogie comuni ed una volta
individuato il glicoforo, molecola responsabile del gusto dolce, si può provare a modificarla
chimicamente per vedere come varia la sua dolcezza.
La dolcezza di un alimento si misura per confronto con una soluzione di saccarosio, per tanto il
saccarosio ha dolcezza relativa fissata a 1.00, Fruttosio 1.52, Glucosio 0.76, Galattosio 0.50, Lattosio
0.33 e Maltosio 0.33.

Modello di Shallenberger è stato sviluppato per descrive la struttura del «glicoforo».


Sono presenti A e B e sono due atomi elettronegativi, di solito O.
Uno dei due deve essere legato ad un H, formando legami idrogeno con il recettore.
E’ importante che la molecola abbia la giusta struttura e le giuste distanze per poter reagire
correttamente con il recettore. Ad es. la distanza tra gli atomi elettronegativi a e b deve essere di
2.6A (amstrong), mentre la distanza tra l’atomo b e H deve essere 3A. Una volta che la molecola
dolce ha reagito con il recettore con i legami idrogeno, il recettore Il legame essendo una proteina
ne modifica la conformazione e di conseguenza trasmette un impulso nervoso che ci fa percepire il
sapore dolce. Considerando un monosaccaride in conformazione piranosica a sedia probabilmente
gli ossidrili che andranno ad interagire sono quelli in posizione 3 e 4 sullo zucchero. Infatti oltre alla
presenza di questi ossidrili nello zucchero è necessario che questi siano nella corretta
conformazione per poter interagire con il recettore. La corretta conformazione è quella sfalsata a
gauche, in cui potete vedere i gruppi ossidrili nella corretta conformazione per poter interagire
con il recettore nella pupilla gustativa. Se avessi i gruppi ossidrili in posizione sfalsata ma anti
sarebbero troppo distanti per poter interagire con il recettore, al contrario se avessimo una
conformazione eclissata i gruppi ossidrilici sarebbero troppo vicini e formerebbero legami
idrogeno tra di loro anziché con il recettore e la molecola per tanto non sarebbe dolce.
Ogni coppia di –OH nella conformazione corretta è un glicoforo (sfalsata a gauche)
Diversi zuccheri hanno diversa formula di struttura e diversa conformazione e quindi diverso
potere dolcificante. Il recettore può legare una sola unità alla volta, per es. se io ho il trealosio,
disaccaride del glucosio, non avrò una dolcezza doppia, perché solo una coppia di ossidrili
interagisce con il recettore. L’amido, polimero di unità di glucosio, non ha sapore dolce, ha un PM
troppo elevato e non riesce ad interagire con il recettore.
Il modello di Shallenberger non sempre funziona. I D-amminoacidi sono dolci, mentre gli L-
amminoacidi sono amari, nonostante abbiano i requisiti sterici per essere dolci, questa discrepanza
è stato chiarita specificando la presenza di un terzo sito di legame (γ) sul recettore (sito
tridimensionale) in grado di interagire con la parte idrofoba della molecola. E’ stata quindi
ipotizzato una struttura tridimensionale del recettore in cui due siti vanno a formare legami
idrogeno mentre un altro sito va a formare interazioni idrofobiche.

Potere dolcificante di diversi zuccheri


Saccarosio 1, glucosio 0.76, polialcoli meno dolci però hanno il vantaggio che non essendo calorici
se ne può aggiungere di più per ottenere lo stesso potere dolcificante del saccarosio, sciroppo di
glucosio meno dolce perché oltre al glucosio sono presenti altri D, tri e tetra saccaridi derivanti
dall’incompleta idrolisi dell’amido, fruttosio più dolce del saccarosio 1.52, in giallo alcuni
edulcoranti, dolcificanti di sintesi i ciclammati sono circa oltre 10 volte più dolci del saccarosio,
aspartame, acesulfame K, saccarina e sucralosio sono 300 volte più dolci del saccarosio ne bastano
quantità piccole per dare sapore dolce ad una bevanda, taumatina più dolce conosciuta ad oggi
1000 volte più dolce del saccarosio.

I dolcificanti artificiali più utilizzati sono aspartame, acesulfame, xilitolo, saccarina, ciclammato,
glicosidi steviolici, sucralosio e la neosperidina di idrocalcone.
- Alditoli: Xilitolo, mannitolo, sorbitolo, lattitolo, maltitolo sono polialcoli, molecole che presentano
più gruppi alcolici, ottenuti per idrogenazione dei rispettivi zuccheri. Sono meno dolci del
saccarosio, ma non essendo calorici se ne può aggiungere una quantità maggiore per avere lo
stesso potere dolcificante. Dolcificanti «bulk o di massa» molto utilizzanti nei prodotti da forno,
nelle caramelle e nei prodotti per diabetici.
- Saccarina (E954) già nota a fine 1800, prodotta a livello industriale da inizio 1900. Utilizzata
soprattutto nelle bibite grazie alla sua stabilità ai processi tecnologici. Non calorica e non cariogena.
Retrogusto metallico, per questo di solito non è utilizza da sola ma in combinazione con altri
dolcificanti che ne attenuino questo retrogusto.
- Ciclammato e acesulfame (E952, E950) hanno una struttura simile alla saccarina. No retrogusto
metallico. Il ciclammato fu vietato in passato per sospetta cancerogenicità, ma poi reintrodotto per
assenza di prove a supporto.
- Aspartame (E951)è un dipeptide, la cui estremità carbossi terminale è stata esterificata con il
metanolo, è formato dunque da acido aspartico che forma un legame peptidico con la felinalanina
il cui gruppo carbossilico è stato esterificato con il metanolo. L-aspartil-L-fenilalaninato di metile.
Sapore molto simile al saccarosio, molto utilizzato nelle bibite. Impiego ha limitazioni a casua della
sua scarsa stabilità a valori estremi di pH o ai trattamenti termici, infatti è stabile solo a pH tra 3 e 6
(non è utilizzato in alimenti eccessivamente acidi o alcalini), è stabile fino a 70°C. Oltre questa T, va
incontro ad idrolisi e, a seconda dell’intensità del trattamento termico, a ciclizzazione con
formazione di dichetopiperazina (non tossica ma la molecola è stata degradata, ha perso la sua
funzione dolcificante). Fonte di fenilalanina (attenzione nei soggetti affetti da fenilchetonuria!)
- Neoesperidina diidrocalcone (E959) è simile a molecole naturali che conferiscono sapore dolce
a molte piante. Si ottiene dalla naringina, sostanza che dà gusto amaro al pompelmo, per assurdo.
Viene poi convertita a neoesperidina (arancia amara) e successivamente viene idrogenata a
calcone. E’ molto costosa a causa della sua sintesi chimica che ha dei costi elevati però ha molti
vantaggi, maschera il gusto amaro delle altre molecole ed esalta il gusto dolce. Utile nei farmaci.
- Glicirrizina è una sostanza dolce naturalmente presente nella liquirizia (Glycyrriza glabra). Ha
anche attività biologiche sia positive (antiallergica, antinfiammatoria) che negative (funzione
renale e pressione sanguigna). Utilizzata più per l’aroma che non per il potere dolcificante. Effetto
lassativo se assunta in eccesso.
- Stevioside o glicosidi steviolici (E960) estratta dalle foglie di Stevia rebaudiana. Ha anche
un’attività biologica: antinfiammatoria e antiossidante. Stabile nel tempo e alle alte temperature.
Ammessa come dolcificante nel 2014 in UE, dopo aver accertato l’assenza di effetti genotossici.
- Taumatina (E957) ha una strattura chimica completamente diversa dalle molecole dolci, essa è
una proteina estratta dai frutti di Thaumatococcus daniellii. Commercializzata come Talin®. Molto
resistente ai trattamenti termici. Essendo una proteina, è digerita a livello gastrointestinale dagli
amminoacidi che la costituiscono.

Reg CE 1333/2008, Art. 7 disciplina l’utilizzo di alcuni additivi chimici tra cui anche edulcoranti,
elenco delle funzioni degli edulcoranti a) sostituire gli zuccheri nella produzione di alimenti a
ridotto contenuto calorico, alimenti non cariogeni o alimenti senza zuccheri aggiunti; b) sostituire
gli zuccheri qualora ciò consenta di prolungare la durata di conservazione degli alimenti; c)
produrre alimenti destinati ad un’alimentazione particolare.

Dosi massime giornaliere consentite dalla FDA, prendendo come dolcezza relativa il saccarosio.
Acceptable Daily Intake (ADI)
Acesulfame K 200 x (+ dolce del saccarosio), la dose massima che si può assumere è 15 mg/kg
bw/d (mg su kg di peso corporeo al giorno), Aspartame 200 x e se ne può assumere fino a 50,
Saccharin 200-700 x fino a 15, Stevioside 200-400 x fino a 4 e Sucralose 600 x fino a 5.
Di solito siamo al di sotto di questi valori.
I sapori: amaro, acido, salato, chemestesi
L’amaro la percezione del gusto amaro segue lo stesso meccanismo del sapore dolce, è percepito
tramite l’interazione delle molecole amare con alcuni recettori delle papille gustative. Molti sali
inorganici sono amari, quelli la cui somma dei diametri ionici risulta superiore a 6,5A (KI, MgCl2).
Solitamente non è molto apprezzato perché associato a «velenoso». Eccezioni: birra, amari, caffè.

La chinina è una molecola molto amara, estratta dalla pianta cinchona officinalis è utilizzata nelle
bibite es. acqua tonica o gin tonic. Ha una funzione di anti-malarico, antipiretico e analgesico,
secondo la tradizione le bevande dell’acqua tonica e gin tonic siano stati inventati per assumere
l’antimalarico, per rendere la medicina più gradevole.

La caffeina è una xantina (alcaloide) presente nel tè, nel caffè e nelle noci di cola. Nel cacao è
presente il suo analogo teobromina. Gli alcaloidi sono stimolanti del sistema nervoso centrale. La
caffeina viene utilizzata come sostanza amara di riferimento. Per le energy drinks viene utilizzata
caffeina come additivo e viene recuperata da caffè decaffeinato, ecc.

La birra è costituita dalle infiorescenze della pianta Humulus lupulus (luppolo) che le dà il gusto
amaro. Nel luppolo non sono presenti subito queste sostanze amare ma sono presenti α- e β-acidi
che hanno attività batteriostatica sul mosto e sono precursori dei composti amari ma sono insapori,
es. alfa: humulone, cohumulone e adhumulone; beta: lupulone, colupulone e adlupulone.
Strutturalmente sono molto simili, cambia la presenza di un OH negli alfa-acidi che nei beta è
sostituito da una corte catena alchilica.
Durante la cottura del mosto alfa e beta-acidi isomerizzano ad isoacidi es. humulone durante la
cottura del mosto isomerizza a cis-isohumulone e trans-isohumulone. Gli isoacidi sono molecole
molto amare che conferiscono nota amara alla birra. A seconda della tipologia, quantità del luppolo
e del momento in cui lo aggiungo alla birra cambierà il potere amaro. Di solito i luppoli amaricanti
si aggiungono all’inizio della bollitura in modo da avere la conversione degli alfa e beta-acidi ad iso,
se invece voglio aggiungere dei luppoli che conferiscano aroma senza rendere la birra troppo
amara, ovvero luppoli aromatici li aggiungerò negli ultimi minuti della bollitura, se li aggiungessi
all’inizio le sostanze aromatiche volatili sarebbero allontanate durante la bollitura.
International Bitterness Units scale (IBU scale):
1 IBU corrisponde al gusto amaro dato da 1 ppm di isohumulone, diverse tipologie di birra hanno
un diverso grado di amarezza es. Blonde ale 15-30 IBU, English bitter 20-35 IBU, India Pale Ale >
40 IBU e Irish stout 45-60 IBU.

La limonina è un triterpenoide che conferisce gusto amaro ai succhi di pompelmo o arancia. I


limonoidi sono triterpeni ossigenati, presentano struttura idrocarburica con alcuni atomi di O, tipici
della famiglia dei frutti delle Rutacee e delle Meliacee.
Gli agliconi di queste sostanze, in particolare la limonina, sono responsabili di un fenomeno
chiamato “delayed bitterness”, amarezza ritardata, che avviene durante la produzione dei succhi di
agrumi. Si forma da precursori insapori durante il processo industriale di spremitura del succo di
agrumi (arancia, pompelmo). Durante questi trattamenti avvengono delle reazioni enzimatiche che
vanno a generare queste molecole dal gusto amaro.
In particolare nei succhi di agrumi è presente l'α-lattone dell'acido limonoico, quando io danneggio
i tessuti dell’agrume durante la spremitura questo acido viene in contatto con alcuni enzimi che
trasformando la molecola di acido limonoico, che è insapore, in limonina, fortemente amara. Nel
campo dei derivati agrumari è sorto, quindi, il problema dello "sviluppo ritardato di un sapore
amaro" causato proprio dalla limonina. Non c'è modo alcuno di evitare che, una volta che il succo
viene estratto, la trasformazione enzimatica proceda. Per evitare questo fenomeno ho diverse
opzioni. Posso diluire i succhi mediante “blending” o rimuovere i precursori mediante trattamenti
enzimatici o infine effettuare un’ultrafiltrazione per eliminare gli enzimi che catalizzano la reazione.
Il fenomeno dell’amarezza ritardata è legato alla varietà (Navel più soggette rispetto alla varietà
Valencia) e alla stagionalità.
Se la presenza di triterpenoidi limonoidici a concentrazioni superano le 6 ppm (parti per milione) il
prodotto risulta troppo amaro e viene considerato non accettabile da parte dei consumatori.
L’amarezza si sviluppa soprattutto in seguito al danneggiamento dei tessuti ma avviene anche in
seguito a congelamento. Gli enzimi idrolitici entrano in contatto con i precursori glucosidici
insapori, liberando gli agliconi amari. La reazione è catalizzata dall’enzima limonin-lattone idrolasi
a pH inferiori a 6.5.

Naringina è la molecola del tipico sapore amaro del pompelmo e arancia amara. E’ un glicoside ed
insieme ad altri polifenoli (esperidina, narirutina, ecc.) è responsabile del sapore amaro dell’albero
degli agrumi.

La carne, il 60% della popolazione caucasica americana è sensibile al sapore amaro della PTC
(feniltiocarbammide) e della creatina. Sensibilità di alcune fasce della popolazione al sapore amaro
della creatina nella carne probabilmente legato alle analogie strutturali.

Denatonio benzoato (Bitrex) è il composto più amaro conosciuto, non è di interesse alimentare.
Scoperto nel 1958 durante ricerche sugli anestetici locali (analogo della lidocaina). Viene utilizzato
come additivo per evitare l’ingestione accidentale di sostanze tossiche (alcool denaturato, antigelo,
detergenti liquidi, prodotti per la casa, ecc.)

Sapore amaro e valore di soglia di alcuni peptidi, in particolare i peptidi abbastanza corti tri e tetra
peptidi che presentano amminoacidi idrofobici e/o con anelli aromatici (Phe). Devono essere corti
per poter interagire col recettore dell’amaro. Inoltre all’aumentare dell’idrofobicità, diminuisce il
valore di soglia, diminuisce la concentrazione alla quale noi riusciamo a percepire il gusto amaro.
Nell’ordine gli amminoacidi che conferiscono un gusto più amaro sono
Phe(Fenilalanina)>Leu(Leucina)>Ala(Alanina). Questo fattore è da tenere in considerazione
quando facciamo degli idrolizzati proteici, noi prendiamo una frazione proteica e andiamo ad
effettuare un taglio enzimatico, una proteolisi andando a generare peptidi più corti, dobbiamo stare
attenti a non generare peptidi che non diano un gusto troppo amaro all’idrolizzato che non sarebbe
più utilizzabile negli alimenti. Questo sapore amaro dato dai corti peptidi apolari è un fenomeno
che avviene anche nei salumi, formaggi a lunga stagionatura.

Modello unificato per i recettori del sapore dolce-amaro (Okai)


Per il recettore del sapore dolce sono necessari due siti a e b in grado di formare legami idrogeno ed
un sito in grado di formare un interazione apolare. Al contrario se abbiamo soltanto un gruppo in
grado di fare legami idrogeno e uno in grado di fare l’interazione apolare avremo una molecola
amara. Se invece abbiamo una molecola che si lega al gruppo idrofobico e al gruppo nucleofilo ma
non al gruppo elettrofilo avremo un inibitore del recettore.
Alcune molecole molto simili hanno sapore opposto es. l’aspartame è dolce, il suo stereoisomero
che cambia soltanto per la posizione di un H è amaro, la saccarina è dolce e la sostituzione di un
atomo di O con uno di zolfo provoca il cambiamento del suo sapore ad amaro.
Il saccarosio dolce, la sostituzione di 3 OH con 3 atomi di Cl porta la formazione del sucralosio che è
650 volte più dolce del glucosio, però se ne sostituiamo 4 OH con 4 atomi di Cl è amaro. Dunque la
struttura delle molecole dolci/amare è molto simile.

Il gusto acido è dovuto agli ioni H+ presenti in soluzione, dunque al pH dell’alimento.


Figura – quando noi non abbiamo un alimento acido e siamo quindi a riposo abbiamo un normale
flusso di ioni potassio dall’interno all’esterno della cellula, in presenza di un alimento acido l’alta
concentrazione di ioni H+ fa chiudere il canale, il potassio si accumula all’interno della cellula causa
una depolarizzazione della cellula con trasmissione di un impulso nervoso.
Il tipo di acido, il contrione, influenza la sensazione.
Gli acidi negli alimenti più diffusi sono citrico e malico (frutta), tartarico (uva), isocitrico (more),
ossalico (rabarbaro), acetico (aceto), lattico (crauti, formaggi, yogurt).- Gli acidi del vino, due tipi:
acidi naturali costituenti dell’uva, già presenti nel frutto, e acidi generati dal processo fermentativo.
Tra quelli naturali ci sono Acido tartarico va da 1.5 a 5 g/L conferisce al vino acidità aspra, Acido
malico 0 – 4 g/L conferisce acidità verde ed Acido citrico 0 – 0.5 g/L conferisce acidità fresca. Tra gli
cidi da processo fermentativo ci sono Acido succinico 0.5 – 1.5 g/L, Acido acetico ed Acido lattico
conferiscono acidità “acre” ed “acerba”.

Il gusto salato generato dallo ione sodio. Quando noi siamo a riposo ovvero non stiamo
mangiando un alimento salato abbiamo un piccolo afflusso di ioni sodio dall’esterno all’interno
della cellula, se noi mangiamo un alimento salato aumenta la concentrazione di ioni sodio ed
avremo un più largo afflusso di ioni sodio dall’esterno all’interno della cellula e questo ne
provocherà la depolarizzazione con trasmissione di un impulso nervoso.
La soglia di percezione è estremamente variabile, ma in genere piuttosto alta. Come per gli zuccheri,
l’evoluzione ha selezionato recettori in grado di percepire alimenti contenenti elevate quantità di
sale. Influenza dell’anione legato al sodio sul gusto salato. Alcuni anioni come il citrato e il fosfato
sono in grado di limitare la percezione del salato, così come gli acidi grassi liberi. Eclatante è il caso
dei formaggi dove c’è un’alta concentrazione di sale 1/1,5 ma non lo percepiamo perché gli ioni
fosfato delle caseine e acidi grassi liberi generati dalla lipolisi vanno a limitare questa percezione di
salato.

Il gusto salato/amaro dei sali inorganici. La percezione di un gusto amaro nei sali sembra essere
legato alla somma dei diametri ionici dell’anione e del catione (valore limite 6.5 Å).
Se la somma è inferiore a 6.5 il mio sale avrà un gusto salato come LiCl, NaCl e KCl, se la somma è
superiore a 6.5 il mio sale sarà amaro come CsCl, CsI, MgCl2.

Peptidi con un sapore salato (più intenso a pH acido) come dipeptide dell’ornidina con la taurina o
dipeptide della lisina con la taurina. Inoltre sono molto salati il pepetide dato dall’ornitina legato
alla beta alanina o ornitina con acido gamma alminobutirrico.

Umami, traduzione letterale «delizioso». Gusto legato alla carne saporita, indice dell’alta presenza
di proteine in quell’alimento. E’ il sapore dominante degli alimenti contenenti Lglutammato come il
brodo di pollo, gli estratti di carne e i formaggi stagionati (alimenti proteici).
Le molecole responsabili del gusto umami sono il glutammato di sodio, linosilato di sodio ed
guanilato di sodio. Alimenti naturalmente contenenti glutammato: Alimento Glutammato
(mg/100g) Manzo 33, Pollo 44, Mais 130, Pesce 140, Pomodoro 140, Funghi 140 e Parmigiano
Reggiano 1200.

Tabella - Contenuto (mg/100 g) di sostanze responsabili del gusto umami in diversi alimenti
L’unico alimento cha più glutammato monosidico del parmigiano reggiano è il Fuco, un’alga.
Altri alimenti dal forte gusto umami sono le sardine, tonno, succo di pomodoro, funghi shitake,
gamberi, maiale, merluzzo, salmone, latte e altri. Quando il glutammato è utilizzato come additivo
se ne utilizza in quantitativo tra 20 e 80 mg su 100g di prodotto, inferiore al naturale contenuto di
glutammato di alcuni alimenti. I dadi da brodo e il brodo granulare contengono principalmente sale,
poi glutammato, inosinato e guanilato di sodio, per esaltare il gusto umami, e infine piccole quantità
(≈2%) di estratto di brodo di carne.

Kokumi termine giapponese per indicare quelle sostanze che non sollecitano la risposta dei
recettori del gusto, ma sono in grado di esaltare il sapore salato ed umami degli alimenti
conferendo quello che viene definito pienezza, complessità, persistenza, spessore e corpo al flavor.
Le molecole che intervengono sono alliina(aglio), glutatione, isoalliina (cipolla).
Esistono interazioni tra sapori che possono attenuarsi o esaltarsi a vicenda, es. bevande tipo cola
oltre al 10% è costituita da zucchero, in un bicchiere da 330ml abbiamo 35grammi di zucchero, se
noi sciogliessimo questa quantità in un bicchiere d’acqua avremo un gusto dolce veramente
disgustoso. Nelle bevande tipo cola c’è anche l’acido orto fosforico il cui gusto è acido e va ad
attenuare il gusto dolce dato dallo zucchero. Un altro es. Prosciutto crudo contiene sale al 4.5-6.5%,
aggiunto alla coscia per la conservazione, porterebbe ad avere un gusto molto salato, d’altro canto
abbiamo anche amminoacidi liberi >5% generati dall’attività proteolitica durante la stagionatura
che darebbero un sapore molto amato. Ci sono anche molti peptidi a basso PM generati dall’attività
proteolitica durante la stagionatura, ugualmente amaro. Il risultato finale è un gusto bilanciato, ne’
eccessivamente salato, ne’ eccessivamente amaro.

Chemestesi
Su tutto il nostro corpo esistono recettori che mediano sensazioni di tipo tattile (tocco, dolore) e
termico (caldo, freddo). Questi recettori esistono anche nelle mucose, quindi anche sulla lingua. A
volte accade che questi recettori vengano attivati da molecole, questo fenomeno viene detto
chemestesi (“percezione chimica”).
Oltre ai 5 gusti fondamentali, vi sono altre sensazioni percepite nel cavo orale e definite
“chemestetiche” che sono piccante, rinfrescante e astringente. I responsi chemestetici sono dovuti
ad un’irritazione chimica del sistema nervoso che induce un senso di caldo, freddo o dolore. La
temperatura dell’alimento influenza quindi in modo marcato questa sensazione. La sensazione di
chemestesi si ha principalmente sulle labbra, sulla lingua e nella cavità nasale. Nella bocca, i
neuroni interessati sono posti in profondità, quindi la sensazione che si genera non è immediata
ma è molto persistente. I neuroni chemestetici possono mediare anche risposte tattili ad esempio
questo avviene con l’astringenza è una sensazione dovuta alla presenza di alcune molecole in grado
di interagire con le proteine salivari e indurre una sensazione di “legato” e di “asciutto” nel cavo
orale. La percezione della temperatura sulla nostra lingua (ma anche in altre parti del corpo) è
mediata da recettori che si attivano a temperature diverse, dando al nostro cervello segnali che
vengono interpretati come diversi livelli di temperatura.
Temperature: sotto i 17° freddo, fresco, tiepido, caldo, molto caldo e bollente sopra i 52°.
- Il molto caldo è il piccante. Il peperoncino (o uno shock termico) attivano le fibre nervose
collegate ad un particolare recettore nel cavo orale. L’attivazione di questo recettore manda al
cervello una sensazione che viene interpretata come eccessiva temperatura, anche se la
temperatura non è cambiata. Questa sensazione “termica” è il piccante (in inglese “hot”). La
molecola responsabile dell’attivazione del recettore è la capsaicina.
Scala di Scoville secondo cui si misura l’intensità della sensazione di piccante. Corrisponde al
numero di diluizioni dell’estratto in acqua zuccherata necessarie per annullare la percezione di
piccante.
La sensazione del piccante è data anche dalla piperina del pepeo dal gingerolo dello zenzero.
- Effetto rinfrescante è dato da molecole quali ad esempio il mentolo che genera all’interno della
bocca un forte effetto rinfrescante. In piccola parte l’effetto è dato da una diminuzione della
temperatura questo perché i cristalli di mentolo nello sciogliersi assorbono molto calore latente
di fusione. Il mentolo va a legarsi poi al recettore del fresco (TRPM8).facendogli percepire una
temperatura ancora minore. Anche alcuni alditoli (xilitolo e mannitolo) hanno lo stesso effetto.
- Astringenza è dovuta all’interazione tannini che vanno ad interagire con le proteine, le fanno
precipitare e provocano una sensazione di asciutto. Tipica di bevande come tè e vino, ricchi di
polifenoli ad alto PM. I tannini che vanno ad interagire con le proteine formando con esse legami
idrogeno sia interazioni idrofobiche, si formando degli aggregati che quando crescono troppo di
dimensione precipitano. Per diminuire la sensazione di astringenza nel tè possiamo aggiungere il
latte, le caseine competono per la precipitazione con le proteine della saliva, o aggiungere il limone
c’è un abbassamento di pH, con conseguente riduzione della ionizzazione dei polifenoli.
L’aroma, molecole responsabili dell’odore caratteristico di un alimento
L’aroma di un alimento è dato dall’interazione di numerosissime molecole con strutture chimiche
anche molto diverse tra loro. Il 3% dei nostri geni sono deputati all’espressione di recettori olfattivi,
abbiamo più di 1000 recettori e possiamo percepire più di 10,000 odori diversi.
Percezione retro nasale - ogni qualvolta noi mangiamo qualcosa, percepiamo contemporaneamente
gusto e aroma, attraverso la via retronasale. Col raffreddore si percepisce molto meno il «sapore»
degli alimenti, perché viene ostacolata la via retronasale.
Gli esseri umani in realtà non hanno un olfatto sviluppato se confrontato con altre specie.
Epitelio olfattivo umano misura 5 cm2 mentre l’epitelio olfattivo del gatto misura 25 cm2 e quello
del cane misura 150 cm2.

Le sostanze che influenzano particolarmente l’aroma di qualche alimento possono essere ridotte a
qualche decina, questi composti si chiamano “character impact compounds”: es. l’acido acido
decadedienoico ha un aroma di pera, benzaldeide tipico di mandorle amare e la possiamo trovare
anche nelle ciliegie e prugne, nerale o genariale aroma di limone, paraidrossifenilbutanone è
chiamato chetone del lampone, 1octen3olo ha un aroma tipico del fungo, lo si può trovare nei
funghi ma anche in alcuni formaggi sottoposti ad intensa fermentazione, geosmina è una molecola
che impartisce aroma di terra alle barbabietole, cisnonadienale aroma tipico di cetriolo,
idrossidimetilfuranone aroma di caramello, infine l’acetil pirrolina ha una nota di arrostito e la
troviamo appunto nella crosta del pane.

Osmoforo è il gruppo atomico capace di conferire alla molecola in cui è presente la proprietà di
provocare sensazioni odorose. Intensità di un aroma è data da due fattori, dal valore di soglia di
quella molecola, concentrazione minima di quella molecola alla quale il nostro olfatto è in grado di
percepirne l’aroma, e dalla concentrazione di quella molecola, più è concentrata più intenso sarà il
suo aroma. Minore sarà il valore di soglia, maggiore sarà il suo aroma.
Es. di valore di soglia, per percepire l’odore dell’etanolo deve essere presente in una
concentrazione di almeno 100mg/L, maltolo 35, esanolo 2.5, filbertone, metiltiolo e
paramente8tiolo hanno valori molto bassi, questo vuol dire che il nostro olfatto è in grado di
percepire queste molecole anche quando esse sono presenti in una concentrazione piccolissima,
sono potenti aromatizzanti. Le molecole di solito che contengono lo zolfo come il metiltiolo o il
mententiolo tendono ad avere valori di soglia molto bassi.

L’Aroma Value è un parametro per definire l’aroma di un alimento, quindi è importante non solo la
concentrazione di una sostanza odorante nell’alimento stesso ma anche il suo valore di soglia,
quest’ultimo varia infatti a seconda della miscela di sostanza in cui il nostro aroma è disciolto.
Dunque quantifica il «potere aromatizzante» di una molecola:
A=C/a
A = aroma value
C = concentrazione nell’alimento
a = valore di soglia nell’alimento
Es. Nel concentrato di pomodoro ci sono più di 400 molecole che hanno una potenzialità aromatica
ma in realtà quelle che davvero contribuiscono all’aroma sono5/6, il dimetilsolfuro è presente in
2000C mg/kg ed ha un valore di soglia di 0.3 mg/kg, il valore A è di 6700.

Non sempre c’è una correlazione tra struttura chimica di un alimento ed il suo aroma, possiamo
avere molecole con una struttura chimica completamente diversa ma con aromi identici, ad es. le
molecole in slide9 hanno un aroma di muschio però la loro struttura chimica è differente, al
contrario possiamo avere molecole molto simili con odori diversi.

La chiralità per l’aroma è molto importante, ovvero la conformazione dei centri stereogenici,
conformazione spaziale della molecola, questo perché c’è un’interazione con un recettore
tridimensionale. Es. la molecola del limonene ha un centro chirale che è un atomo di C legato a 4
sostituenti diversi, se questo C è in configurazione R la molecola avrà un aroma di agrumi arancio-
limone, se in configurazione S avrà un aroma di acquaragia. Questo pone il problema dei processi di
trasformazione degli alimenti e dei trattamenti tecnologici. Se ho un succo di agrumi in cui è
presente R-limonene ed infatti ha un aroma di agrumi, se lo sottopongo ad un intenso trattamento
termico o ad un processo tecnologico che va a causare la racemizzazione di questo centro chirale
passerò dalla sola presenza dell’isomero R alla presenza di una miscela R più S, quindi l’aroma sarà
misto ed il prodotto sarebbe inaccettabile per il consumatore.
Altro es. L-carvone ha aroma di menta e D-carvone di cumino.

I terpeni classe di molecole importanti per l’aroma degli agrumi in cui la chiralità è fondamentale
per determinarne la nota aromatica, ad es. l’alfapinene ha due centri chirali se questi sono in
configurazione R la molecola avrà un aroma conifera, se questi due sono in configurazione S la
molecola avrà aroma di menta, es. linalolo in R legnoso, in S floreale infine alfaterpinerolo in R
floreale, in S catrame.

Possiamo distinguere gli aromi in primari e secondari.


I primari sono già presenti nelle materie prime e sono derivanti dai processi di biosintesi,
enzimatici che avvengono naturalmente nella pianta e nel frutto.
Gli aromi secondari sono quelli che si formano attraverso processi di trasformazione e
conservazione degli alimenti, es. attraverso processi che avvengono dopo un taglio meccanico o
processi fermentativi che avvengono durante la trasformazione alimentare o trattamenti termici ed
anche durante la conservazione degli alimenti continuano ad avvenire reazioni chimiche ed
enzimatiche responsabili della formazione di aromi secondari. Dobbiamo considerare aromi
secondari anche quelli derivanti dall’aggiunta all’alimento di sostanze esogene come additivi,
residui di pesticidi, componenti dei mangimi o componenti migrati dai materiali di
confezionamento.
- Gli aromi primari presenti negli alimenti appartengono a 5 diverse classi:
1 - Composti solforati sono l’alliina (aglio e cipolla), i glucosinolati (Crucifere), la lentionina e le
molecole analoghe (funghi). 2 - Composti che derivano dall’ossidazione enzimatica dei lipidi sono
aldeidi, alcoli, esteri (pomodoro, cetriolo, mele, pere). 3 - Composti derivanti dalla degradazione
degli amminoacidi sono esteri (banana). 4 - Composto derivanti dalla degradazione enzimatica o
termica della lignina sono acidi ed esteri fenolici. 5 - Terpeni (monoterpeni e sesquiterpeni)
contribuiscono all’aroma degli agrumi e altri vegetali.

1 - Composti solforati sono aromi provenienti da vegetali del genere Allium (cipolla, aglio,
scalogno). Nella cipolla abbiamo la 1-propenil-L-cisteina solfossido che subisce l’azione
dell’allinasi decomponendola ad una molecola più piccola l’acido propenil-sulfenico che a sua volta
va incontro ad una degradazione, scaldando l’alimento, che porta alla formazione di composti a
basso pm
solforati responsabili del tipico aroma di cipolla cotta. Dall’acido propenil-sulfenico deriva una
molecola che è il tiopropanale-S-ossido che causa la lacrimazione degli occhi quando affettiamo la
cipolla. Nell’aglio 2-propenil-L-cisteina solfossido che subisce l’azione dell’allinasi decomponendola
ad una molecola più piccola e si trasforma in allicina.
- Per la famiglia delle Crucifere sono importanti gli aromi che derivano dai glucosinolati. Abbiamo 3
tipologie di senape Sinapis alba (senape bianca), Brassica nigra (senape nera) e Brassica juncea
(senape indiana). L’enzima tirosinasi o glucosinolasi va a rimuovere il residuo di glucosio dall’allil
glucosinolato rilasciando una molecola sulforata che a sua volta si decompone in molecole più
piccole come l’Allil tiocianato, Allil isotiocianato ed Allil nitrile. Quest’ultime sono responsabili
dell’aroma e del gusto piccante di senape e mostarda.
- Rafano e ravanello (Raphus sativus) appartengono alla famiglia delle Brassicaceae, dalla
degradazione dei glucosinolati. L’enzima glucosinolasi o mirosinasi va a rimuovere il residuo di
glucosio dall’allil glucosinolato rilasciando una molecola sulforata che a sua volta si decompone in
4-metiltio-trans-3-butenil-isotiocianato che è responsabile dell’aroma e del sapore piccante di
rafano e ravanello.
- Aromi volatili solforati da funghi Shiitake (Lentinula edodes). Il fungo commestibile
principalmente consumato in Giappone e in Oriente. E’ particolarmente profumato il fungo
essiccato per il contenuto molto elevato di lentionina e analoghi, molecole cicliche con atomi di
zolfo e si formano per azione di diversi enzimi tra cui la gamma-glutamil trans peptidasi e la
cisteina solfossido liasi

2 – Aromi che derivano dall’ossidazione enzimatica dei lipidi: lipossigenasi (tipo I e II).
L’ossidazione per i lipidi è sempre un fenomeno negativo che porta a fenomeni di rancidità, ci sono
casi però in cui la degradazione enzimatica dei lipidi quando avviene naturalmente nella pianta o
nel frutto porta alla formazione di composti importanti per la nota aromatica di quella pianta o
frutto. La reazione è regolata da enzimi e la quantità delle sostanze che si formano è limitata.
Dall’ossidazione dei lipidi polinsaturi di soia e pomodoro derivano degli idroperossidi che a loro
volta vanno a decomporsi in aldeidi, chetoni ed alcoli a basso pm, importanti per il loro aroma.
- Anche per gli aroma dei funghi, oltre ai composti solforati visti precedentemente, sono
importanti i composti che derivano da degradazione enzimatica dell’acido linoleico, gli enzimi
coinvolti sono lipossigenasi e liasi, catalizzano la degradazione a molecole più piccole come
l’esanale, odore di cetriolo, 3-cis-esenale e 3-cis-6-cisnonadienale, odore di foglia verde, ed 1-
otten-3(R)-olo, odore di funghi.
- Importanti per il pomodoro i composti che derivano dalla degradazione enzimatica dei lipidi,
partendo dall’acido linoleico l’enzima lipossigenasi va ad inserire un idroperossido in posizione 13,
questo va incontro all’azione dell’enzima liasi che lo decompone in cis3esenale. Partendo invece
dall’acido linoleico l’enzima lipossigenasi va ad inserire un idroperossido in posizione 13, questo
va incontro all’azione dell’enzima liasi che lo decompone in esanale. I due prodotti sono degli
aldeidi
importanti per l’aroma del pomodoro.
- Importanti per il cetriolo i composti che derivano dalla degradazione enzimatica dei lipidi,
partendo dall’acido linoleico l’enzima lipossigenasi va ad inserire un idroperossido in posizione
9o13, questo va incontro all’azione dell’enzima liasi che lo decompone in nonadienale o esenale. A
loro volta queste aldeidi possono isomerizzare per spostamento dei doppi legami ad aldeidi
analoghe. Inoltre le aldeidi possono subire una riduzione nei rispettivi alcoli (il passaggio da
aldeidi al alcoli si chiama riduzione).
- Dalla degradazione enzimatica dei lipidi possiamo ottenere anche degli esteri importanti per
l’aroma delle mele e pere. Dall’acido linoleico per azione l’enzima lipossigenasi e liasi possiamo
ottenere aldeidi a corta catena come l’esenale. Gli aldeidi possono essere ridotte nei rispettivi
alcoli.
Gli alcoli possono reagire a loro volta con acidi carbossilici per formare degli esteri, importanti per
l’aroma della frutta. Gli acidi carbossilici possono formarsi anch’essi dagli acidi grassi, es. dall’acido
linoleico per beta ossidazione si può formare l’acido esanoico che a sua volta può essere
decomposto ad acidi a più corta catena come l’acido pentanoico e butanoico. Questi acidi
carbossilici andranno a reagire con gli alcoli per formare gli esteri.
- I lattoni sono una classe particolare di esteri ciclici anch’essi contribuiscono all’aroma di diversi
alimenti, ad es. il 4-Nonanolide ha un aroma grasso di olio di cocco ed è presente in alimenti ricchi
in lipidi e nelle pesche, 4-Decanolide ha un aroma fruttato e di pesca ed è presente in pesche,
albicocche, mango e fragole, 5-Decanolide ha un aroma oleoso e di pesca ed è presente nel latte, Z-
6-Dodecen-gamma-lattone ha un aroma dolce e si trova in latte e pesche, infine 3-Metil-4-ottanolide
(lattone del whisky) ha un aroma di noce di cocco ed è presente nelle bevande alcoliche.

3 – Aromi derivanti dalla degradazione degli amminoacidi.


Nella banana il gruppo amminico viene enzimaticamente trasformato in gruppo carbonilico, la
molecola subisce una cascata di reazioni catalizzate da enzimi ed alla fine si formano degli esteri
importanti per l’aroma della frutta.

4 – Composti aromatici che derivano dalla degradazione enzimatica o termica della lignina sono
acidi ed esteri fenolici, quest’ultimi derivano dalla via biosintetica dell'acido scikimico che è quella
che produce anche gli amminoacidi aromatici tirosina, fenilalanina ed acido cinnamico. I
principali
acidi fenolici sono l’acido para-Cumarico, l’acido caffeico, l’acido ferulico, l’acido 5-idrossiferulico e
l’acido sinapico. La pianta produce questi acidi fenolici utili come mattoncini e precursori della
biosintesi della lignina ma possono essere convertiti anche in molecole importanti per l’aroma dei
prodotti come 3,4-dimetossitoluene, eugenilmetil, etere eugenolo, elimicina e 5-metossieugenolo.
Possiamo ritrovare acidi fenolici in alimenti che hanno subito una degradazione termica o
enzimatica della lignina. Il p-Cresolo ha un aroma di affumicato si trova nel caffé, sherry, latte,
arachidi tostate, asparagi, 4-Etilfenolo ha un aroma legnoso e si trova nel latte, salsa di soia,
arachidi tostate, pomodori e caffè, il Guaiacolo ha un aroma affumicato, piccante e dolce e si trova
nel latte, caffé, cracker e carne fritta, il 4-Vinilfenolo ha un aroma forte ed affumicato e lo troviamo
nella birra, latte e arachidi tostate, il 2-Metossi4-vinilfenolo ha un aroma di chiodi di garofano e si
trova nel caffé, birra, mele cotte ed asparagi, l’ Eugenolo speziato nella salsa di pomodoro, brandy,
prugne e ciliegie, infine la Vanillina aroma di vaniglia si trova nella vaniglia, rum, caffé, asparagi
cotti e burro.

5 - Terpeni (monoterpeni e sesquiterpeni)


Monoterpeni derivano dalla via biosintetica dell’isoprene, formati da 2 unità di isoprene sono
molecole a 10 atomi di C. I più importanti per l’aroma degli alimenti sono il Mircene, Linalolo,
Geraniolo, Nerolo, Citronellolo, Rosenossido, Limonene, alfa-Terpinene, beta-Fellandrene, Mentolo,
alfa-Terpineolo, Carvone, Sabinene, alfa-Pinene, beta-Pinene, Canfene, Canfora e Carvone.
Sesquiterpeni sono molecole più lunghe, 3 unità isopreniche, 15 C. I più importanti alfa-Sinensale,
beta-Bisabolene, Cadinene Valencene ed il Nootkatone.
I terpeni caratteristici dell’aroma delle Rutacee, agrumi, per il Citrus sinensis ricavato dall’alfa-
sinensale e limonene, per il limone (Citrus limon) dal citrale e limonene, per il mandarino (Citrus
reticolata) dall’alfa-sinensale e metil N-metil-antranilato, infine per il polpelmo (Citrus paradisi) dal
Nootkatone, 1-p-mentene-8-tiolo e limonene.
Erbe e spezie
Erbe aromatiche, in campo culinario il termine deriva dall’ambito botanico, intendendo cioè una
pianta priva di tessuti legnosi, e si riferisce alle parti fogliari, come nel caso di menta, basilico,
rosmarino e salvia. Le piante possono essere annuali, biennali o perenni. Possono essere usate
fresche o essiccate (disidratate). In quest’ultimo caso, le parti fogliari e i fiori vengono separati dalla
parte legnosa, questa è la forma più diffusa sul mercato.
- Alloro, Laurus nobilis (Lauraceae). Sempreverde diffuso nelle regioni del Mediterraneo. Utilizzato
per zuppe, arrosti, brasati, patè. Alloro della California ha un aroma più forte. La nota olfattiva più
decisa legata all’1,8-cineolo, sono anche importanti i terpeni metileugenolo, α-terpinil acetato
ed il linalolo.
- Anice, Pimpinella anisum (Apiaceae). I frutti a forma di seme hanno sapore simile alla liquirizia e
un aroma forte e penetrante. Utilizzato in svariatissime preparazioni, intensifica il suo aroma con il
calore (arrosti). E’ uno degli ingredienti fondamentali per la preparazione dell’assenzio e di altre
bevande (sambuca, raki, pastis, arrak, ouzo). Importanti per l’anice i composti che derivano dalla
via dei fenoli ovvero anetolo, anisaldeide, metilclavicolo e acido anisico.
- Basilico, Ocicum basilicum (Labiateae). Erba annuale. Il sapore ricorda l’anice, con un aroma forte,
pungente e dolciastro. Essiccato perde molto del suo aroma acquistando una nota cumarinica di
fieno. I semi vengono usati per la preparazione di bevande (Asia). Per l’aroma sono importanti i
terpeni come il linalolo, 1,8-cineolo e cariofillene, composti derivanti dai fenoli come il
metileugenolo, metil cinnamato e l’estragolo eugenolo.

Spezie derivano da altri tessuti come semi (noce moscata), boccioli (chiodi di garofano), radici
(zenzero), corteccia (cannella).
- Cannella, Cinnamomum zeylanicum (Lauraceae). ‘La spezia delle spezie' Circa 200 specie di
cannella si trovano nel Sud Est Asiatico e nelle isole del Pacifico. Tutte le parti della pianta sono
straordinariamente fragranti. La cannella che noi conosciamo è la corteccia essiccata del cespuglio
dallo Sri Lanka. Il componente principale dell’aroma è l’aldeide 3-fenil-2(E)propenale, chiamata
cinnamaldeide (circa 60 % dell’olio essenziale). Tuttavia, nelle foglie è presente principalmente
eugenolo, nelle radici la canfora, mentre nei fiori il cinnamil acetato.
- Pepe, Piper nigrum (Piperaceae). Pianta tropicale originaria dell’India meridionale e diffusa in
tutto il Sud-Est Asiatico. I piccoli frutti sono verdi, tendono poi al rosso e infine al nero. Quando i
frutti vengono raccolti a metà maturazione ed essiccati si ottiene il pepe nero. Quando si raccolgono
a piena maturazione e vengono privati della pelle prima dell’essicazione si ottiene il pepe bianco. I
frutti immaturi verdi possono essere conservati sotto sale o aceto. I semi del pepe contengono
aromi e un componente non volatile, la piperina, responsabile della loro piccantezza. L’aroma è
tipicamente correlato alla presenza di monoterpeni ciclici tra i quali il 3carene è il principale
componente (ca. 35 %).

Formazione di composti aromatici secondari ovvero aromi che derivano dalla trasformazione e
produzione degli alimenti, ad es. il burro è ottenuto per fermentazione dalla panna, in questo
processo di fermentazione i streptococci, batteri, vanno a trasformare l’acido citrico in composti a
basso pm come il diacetile e acetoino e butandiolo dal citrato che hanno un forte odore di burro
caratterizzando l’alimento. Tutte queste reazioni sono sempre mediate da enzimi.
Aromi da degradazione enzimatica degli acidi grassi insaturi sono molto importanti per gli alimenti,
allo stesso modo anche i carotenoidi possono andare incontro a degradazione ossidativa con
formazione di molecole aromatiche es. tespirani, beta-iononi e beta-damascenoni.
Ad es. dal licopene si può formare 6-Metil-5-epten-2-one o lo Pseudo ionone i quali denotano le
caratteristiche del pomodoro, dal Deidrolicopene si può formare 6-Metil-3,5-eptadien-2-one
presente nel pomodoro, dall’alfa-carotene si può formare l’alfa-Ionone presente nel lampone, tè
nero, carote e vaniglia, dal beta-Carotene si può formare il beta-Ciclocitrale ed il beta-Ionone
presenti nel pomodoro, lampone, tè nero, ribes nero e frutto della passione, infine dalla neoxantina
si può formare beta-Damascenone e 1,2-Diidro-1,1,6-trimetilnaftalene presenti nel pomodoro,
caffè, tè nero, vino, birra, miele, mele, pesche e fragole.

Analisi degli aromi: analisi sensoriale ed analisi strumentale


La sensoriale utilizza un gruppo di persone molto esperte che vanno a descrivere la componente
aromatica di un alimento, l’altra opzione è quella strumentale che utilizza la gascromatografia,
tecnica per identificare e quantificare le molecole responsabili dell’aroma di un prodotto.

Sistemi olfattivi e gustativi artificiali come nasi elettronici, in questi dispositivi i recettori naturali,
proteine, vengono sostituiti da recettori artificiali ovvero da sensori, molecole organiche o
inorganiche in grado di interagire con le molecole volatili responsabili dell’aroma generando un
segnale elettrico. Ad es. il naso elettronico si può utilizzare per canalizzare il profilo aromatico
dell’olio extravergine di oliva e dopo opportune analisi possiamo capire la provenienza geografica
dell’olio.
Additivi alimentari
Utilizzo disciplinato dal Reg. CE 1333/08, Reg. CE 1331/08
Per “additivo alimentare” si intende qualsiasi sostanza normalmente non consumata come
alimento, in quanto tale, e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente
dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un
fine tecnologico, nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio,
trasporto, o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi,
essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente.
La definizione di additivo esclude: – a) agli ausiliari di fabbricazione; – b) alle sostanze per la
protezione di piante e prodotti vegetali conformemente alla normativa comunitaria in materia
fitosanitaria; – c) agli aromi da impiegare nei prodotti alimentari compresi nel campo delle
direttive 88/388/CEE e 91/71/CEE; – d) alle sostanze aggiunte ai prodotti alimentari in quanto
nutritive (ad esempio, minerali, oligominerali, vitamine).
Quadro normativo dell’UE prevede che prima di poter aggiungere un additivo alimentare ad un
alimento questo debba esser stato autorizzato. Il rilascio di tale autorizzazione da parte dei
responsabili della gestione del rischio si basa sulle valutazioni della sicurezza degli additivi stessi
da parte dell’EFSA.
La legislazione europea consta di una direttiva quadro (89/107/CEE) relativa agli additivi in
generale e tre direttive specifiche sui coloranti (del 94/36/CE), sugli edulcoranti (94/35/CE) e su
altri additivi alimentari (95/2/CE), che riportano un elenco degli additivi consentiti e le relative
condizioni di impiego. Tutti gli additivi autorizzati devono conformarsi ai requisiti di purezza
approvati, stabiliti in tre altre direttive.
Nel dicembre 2008 è stato adottato un nuovo pacchetto normativo sui “Miglioratori alimentari” che,
comprende, tra l’altro, regolamenti relativi a: – additivi alimentari (regolamento 1333/2008); –
una comune procedura di autorizzazione per additivi, enzimi e aromi (regolamento 1331/2008)

Gli additivi alimentari sono sostanze deliberatamente aggiunte ai prodotti alimentari per svolgere
determinate funzioni tecnologiche, ad esempio per colorare, dolcificare o conservare.
Tutti gli additivi alimentari sono identificati da un numero preceduto dalla lettera E.
Gli additivi alimentari vengono sempre menzionati nell’elenco di ingredienti degli alimenti in cui
essi sono presenti. Alcuni degli additivi che si trovano più spesso sulle etichette degli alimenti sono
gli antiossidanti (per prevenire il deterioramento da ossidazione, rancimento), i coloranti, gli
emulsionanti, gli stabilizzanti, i gelificanti, gli addensanti, gli esaltatori di sapidità, i conservanti e gli
edulcoranti. In Europa, ogni volta che gli additivi alimentari vengono impiegati negli alimenti,
l’etichetta della confezione deve riportarne sia la funzione nel cibo finito (ad es. colorante,
conservante, etc.) sia la sostanza specifica usata, utilizzando il riferimento E seguito da un numero
(per esempio E415) oppure la denominazione ufficiale.

Il legislatore deve: – Evitare frodi alimentari; – Proteggere la salute del consumatore; – Facilitare il
commercio internazionale degli alimenti. Anno 1956 nasce il comitato JEFCA (Joint expert
committee on food additives), comitato misto FAO/OMS di esperti sugli additivi alimentari che ha il
compito di fornire agli organismi nazionali (incaricati della regolamentazione sugli alimenti e sulla
salute pubblica), all’industria alimentare ed agli stessi consumatori le necessarie raccomandazioni
per produrre o consumare un alimento completo ed igienicamente sano.
2002 EFSA (European Food Safety Authority) effettua opportuni studi di tossicità ed ha stilato una
lista positiva, elenco degli additivi alimentari che possono essere utilizzati negli alimenti.

Classificazione funzionale, in base alla funzione che essi svolgono, complicata perché cambiano le
categorie a seconda dell’alimento che prendiamo in considerazione, in Italia (Tecnoalimenti) sono
previste 50 categorie, ILSI prevede 123 classi funzionali, Codex Alimentarius 23 e JEFCA 91.
Classificazione numerica INS: International Numbering System o EU: Unione Europea
INS e EU coincidono di solito
Acido citrico è un antiossidante INS 330 e EU E330
Acido sorbico è un conservante INS 200 e EU E200
Azorubina è un colorante INS 122 e EU E122
Lecitina è un emulsionante INS 322 e EU E322
Metilcellulosa è un addensante INS 461 e EU E461
Sorbitolo è un umettante INS 420 e EU E420

Classificazione in base alla loro funzione:


- Acidificanti sono additivi che diminuiscono il pH, aumentano la concentrazione degli ioni H+,
così posso impedire o rallentare diverse reazioni chimiche o enzimatiche e lo sviluppo microbico,
aumento anche la conservabilità.
- Addensanti aumentano la viscosità.
- Agenti di carica aumentano il volume del prodotto.
- Agenti di resistenza rendono più stabile la struttura fisica.
- Agenti di rivestimento rivestono il prodotto, es. quelli delle gomme da masticare.
- Agenti di trattamento delle farine ne migliorano la qualità in cottura o ne migliorano il colore.
- Agenti lievitanti liberano gas aumentando il volume dell’impasto, utilizzati nei prodotti da forno.
- Amidi modificati gelificano e addensano.
- Antiagglomeranti inibiscono la formazione di grumi, utilizzati nei prodotti in polvere.
- Antiossidanti inibiscono o rallentano l’ossidazione dei lipidi, provocano l’irrancidimento
del prodotto.
- Antischiumogeni inibiscono la formazione di schiume.
- Coloranti conferiscono colore.
- Conservanti prolungano la conservabilità dell’alimento, inibendo il deterioramento da parte
dei microorganismi.
- Correttori di acidità modificano o controllano il pH dunque l’acidità o l’alcalinità di un prodotto
alimentare in base alle mie esigenze.
- Edulcoranti conferiscono sapore dolce senza aumentarne le calorie.
- Emulsionanti stabilizzano le emulsioni, fase grassa con fase acquosa.
- Enzimi catalizzano reazioni chimiche
- Esaltatori di sapidità esaltano il sapore e la fragranza, es. glutammato monosodico.
- Gas di imballaggio es. le atmosfere protettive delle vaschette.
- Gas propulsori o propellenti espellono l’alimento dal contenitore, es. per la panna spray.
- Gelificanti formano gel.
- Sali di fusione favoriscono la dispersione delle proteine con i grassi nel formaggio.
- Sequestranti formano complessi chimici con gli ioni metallici sequestrandoli.
- Stabilizzanti stabilizzano lo stato chimico-fisico del prodotto, compresa la colorazione.
- Umidificanti impediscono l’essicazione e promuovono l’idratazione.
Classificazione numerica EU:
- E100 - E199 Coloranti
- E200 - E299 Conservanti
- E300 - E399 Antiossidanti e correttori d’acidità
- E400 - E499 Addensanti, stabilizzanti ed emulsionanti
- E500 - E599 Correttori di acidità e antiagglomeranti
- E600 –E699 Esaltatori di sapidità
- E700 – E799 Antibiotici
- E900 - E1999 Vari

Sostanze più diffuse aggiunte agli alimenti - % sul totale


Sostanze aromatizzanti 42.5, Sostanze aromatizzanti naturali 21, Fortificanti nutrizionali 6.9,
Surfattanti (tensioattivi) 5, Sostanze tamponanti, acidi, basi 3.5, Agenti chelanti 2.6, Coloranti 2.1,
Conservanti chimici 1.8, Stabilizzanti 1.8, Antiossidanti 1.7, Sostanze maturanti e sbiancanti 1.4,
Dolcificanti 0.5 ed Altre sostanze 9.4.

Caratteristiche comuni degli additivi alimentari: Vengono aggiunti intenzionalmente agli alimenti.
Vengono aggiunti per un preciso scopo tecnologico. Devono essere sicuri. E’ necessario valutare in
modo equilibrato rischi/benefici. Ranking del rischio percepito e reale.

Ranking del rischio percepito e reale: Molti hanno un opinione (o più opinioni…): i media, i
consumatori, coloro che credono che loro stessi o i loro figli abbiano avuto una qualche reazione
avversa agli additivi, i medici, gli scienziati, i gruppi ambientalisti.

Ranking percepito: Additivi e residui di pesticidi, Contaminanti ambientali (es. diossine), Tossine
naturali comprese le tossine fungine, Migrazione chimica dal packaging e Residui di farmaci
veterinari.
Ranking reale dedotto da studi scientifici: Tossine da piante superiori, Tossine fungine
(micotossine), Tossine marine (ficotossine), Contaminanti ambientali (es. diossine), Migrazione
chimica dal packaging, Residui di pesticidi, Residui di farmaci veterinari e Additivi alimentari.

I consumatori hanno spesso una visione paradossale degli additivi alimentari e preferiscono gli
alimenti “naturali” senza conservanti né additivi. Gli stessi consumatori dichiarano di preferire
alimenti nutrienti, che mantengono la freschezza e pronti all’uso, esattamente quegli alimenti che
più di altri facilmente contengono additivi nutrizionali o antiossidanti.
Sebbene gli additivi alimentari siano stati considerati come la causa di una varietà di patologie,
incluse le crisi epilettiche, i tumori al cervello e anche i comportamenti criminali, solo pochi dei
2800 additivi attualmente permessi negli USA sono stati in alcuni casi associati direttamente ad un
effetto avverso. Esiste un vasto corpo di dati scientifici che indicano come l’esposizione ai principali
additivi alimentari, ai livelli tipicamente ritrovati negli alimenti, non pone rischi per la popolazione.
Additivi alimentari: conservanti, inibiscono o rallentano reazioni chimiche, enzimatiche o
microbiche che portano alla degradazione dell’alimento

Conservanti anti microbici, inibiscono lo sviluppo microbico:


- Acido benzoico (E210) e sali di Na+ (E211), K+ (E212), Ca2+ (E213)
E’ un inibitore della crescita microbica perché esso va a bloccare il ciclo dell’acido citrico e gli
enzimi della fosforilazione ossidativa, è anche attivo nei confronti delle membrane cellulari, in
particolare degli eucarioti, per inibire la formazione di lieviti e muffe.
E’ naturalmente presente in molti frutti, in particolare a bacca. Presente, inoltre, in funghi, cannella,
chiodi di garofano e alcuni prodotti caseari in conseguenza della fermentazione batterica, prodotto
come metabolita secondario. La dose giornaliera consentita chiamata ADI deve essere < 5 mg/kg
B.W. Viene utilizzato allo 0.05-0.1% come conservante per alimenti acidi, bevande gassate,
macedonie, marmellate, gelatine, patè e vegetali sotto aceto.
- PHB o esteri dell’acido p-idrossibenzoico, chiamati parabeni, da E214 a E219, e sono una classe di
conservanti. Queste molecole hanno attività in particolare antifungina, inibiscono lo sviluppo di
lieviti e muffe. Utilizzate in concentrazioni 0.3-0.06% in soluzioni acquose alcaline o etanoliche, in
ripieni per prodotti da forno, succhi di frutta, marmellate, sciroppi, conserve, olive e vegetali sotto
aceto.
- Acido sorbico (E 200) e suoi sali di K (E 202) e Ca (E 203) – Acido 2-trans,4-trans-esadienoico è
inodore e insapore allo 0.3%. Attivo fino a pH 6.5, in particolare contro funghi e lieviti. L’acido
sorbico è naturalmente presente in alcuni vegetali come nelle sorbe (Sorbus aucuparia). Utilizzato
in prodotti da forno, formaggi, bevande, marmellate, gelatine, frutta secca e margarine, in cui
vogliamo evitare formazione di muffe (ADI: 25 mg/kg B.W.).
- Anidride solforosa SO2 (E 220) e suoi derivati (da E 221 a E 228) è efficace contro muffe, lieviti e
batteri. Aggiunta come conservante in frutta e verdura disidratata, succhi di frutta, sciroppi,
concentrati e purè. Nei vini viene utilizzata per bloccare microorganismi interferenti prima della
fermentazione (50-100 ppm nei mosti muti), poi come conservante nelle fasi successive ad una
diversa concentrazione (5075 ppm). Blocca anche le reazioni di imbrunimento, sia quelle
enzimatiche dovute alla polifenolossidasi, sia non enzimatiche dovute alla reazione di Maillard.
ADI:
0.7 mg/kg B.W. al giorno.

Conservanti per scopi particolari:


- Difenile (E 230) inibisce lo sviluppo di muffe e viene utilizzata come conservante negli agrumi,
nella frutta del genere Citrus, in particolare viene impregnato il contenitore con concentrazioni di
1-5 g difenile/m2 inibendo la formazione di muffa sulla buccia dell’agrume. ADI: 0.05 mg/kg B.W.
- (o=orto) o-Fenilfenolo (E 231) e sale di sodio (E 232) inibisce lo sviluppo di muffe (10-50 ppm,
pH 5-8, non può essere utilizzato in alimenti particolarmente acidi o alcalini). Si immerge il frutto in
una soluzione allo 0.5-2% a pH 11.7. ADI: 0.2 mg/kg B.W.
- Tiabendazolo (E 233), 2-(4-tiazolil)benzimidazolo, è particolarmente efficace nei confronti delle
muffe blu, quella che cresce spesso sulle banane e Citrus, agrumi. Viene emulsionato con delle cere
che vengono poi sprezzate sulla superficie del frutto allo 0.1-0.45% per spray e ADI: 0.1 mg/kg B.W.

Conservanti:
- Acido acetico (E 260) e suoi sali (E 261-263) es. Aceto è un conservante utilizzato da secoli. E’
attivo principalmente verso i lieviti e i batteri, un po’ nei confronti delle muffe. Utilizzato per
ketchup, maionese, vegetali sotto aceto, marinati, pane e altri prodotti da forno.
- Acido propionico (E 280) e suoi sali (E 281-283) è presente naturalmente negli alimenti a
fermentazione propionica, formaggi come Emmental, ne contiene l’1%. Attivo principalmente verso
le muffe, nessun effetto sui lieviti (fino a pH = 5). Utilizzato nei prodotti da forno, nelle farine (0.1-
0.2%) e nella produzione di formaggi (immersione in soluzione all’8%).
- CO2 (E 290) è frequentemente aggiunta in bevande gassate, vino ed acqua.
- Nitrati di sodio e potassio NaNO3 (E 251) e KNO3 (E 252) (300 ppb)
- Nitriti di sodio e potassio NaNO2 (E 250) e KNO2 (E 249) (150 ppb). Vengono utilizzati per
stabilizzare il colore rosso delle carni, vanno a formare la nitroso mioglobina, e per regolare l’aroma
e per gli effetti antimicrobici, in particolare vengono aggiunti per inibire il Clostridium botulinum.

Antibiotici:
- Netamicina (E 235) è attiva contro lieviti e muffe. Utilizzata in un trattamento superficiale
dei formaggi (5-100 ppm), per impedire lo sviluppo microbico sulla crosta dei formaggi. ADI:
0.3 mg/kg B.W.
- Nisina (E 234) ha una struttura molto complicata ed è prodotto spontaneamente da alcuni ceppi
di Lactococcus lactis. Utilizzata come additivo antibiotico per formaggi, latte condensato e latte in
polvere.

Enzimi che fungono da conservanti:


- Lisozima (E 1105) è utilizzato come antimicrobico nel Grana Padano. Estratto tipicamente
dal bianco dell’uovo, questo potrebbe causare problemi per allergenicità.

Acidificanti aggiunti per abbassare il pH dell’alimento:


- Acido citrico (E 330) 60% degli acidi utilizzati nell’industria alimentare. Utilizzato in frutta
candita, succhi di frutta, gelati, marmellate, gelatine, vegetali in scatola e prodotti lattiero caseari.
Inibisce anche l’imbrunimento non enzimatico e ha effetto sinergico con antiossidanti.
- Acido tartarico (E 334) tipico dell’uva, ha un sapore acido e forte. Utilizzato per acidificare vino,
bevande, gelati e polveri lievitanti. Ha un azione sinergica con antiossidanti, perché può andare a
chelare dei metalli che sono preossidanti, limitano la reazione di ossidazione.
- Acido ortofosforico (E 338) 25% di tutti gli acidi utilizzati nell’industria alimentare (ADI: 70
mg/kg B.W.) Aggiunto in cola drinks, gelatine di frutta e formaggi. Nelle polveri lievitanti se
aggiunto i suoi sali, ortofosfati, influenzano lo sviluppo di CO2.
- Acido lattico (E 270) e suoi sali (E 325-327) si utilizzano soluzioni al’80%, si hanno esteri
intermolecolari a concentrazioni > 18%. Utilizzato per la conservazione di vegetali sotto
aceto, bevande e latte in polvere.

Antiossidanti, rallentano o inibiscono le reazioni di ossidazione a carico dei componenti degli


alimenti:
- Acido ascorbico, molecola molto idrofila con tanti gruppi ossidrilici (E 300), sali (E 301-302),
scorbirpalmitato, suo derivato lipofilo (E 304). Se vogliamo utilizzare l’acido ascorbico come
additivo in un prodotto altamente lipidico esso non riuscirà a sciogliersi, quindi è stato sviluppato
un suo derivato ovvero un estere con l’acido palmitico, molto apolare, rendendolo solubile anche
nei grassi. Utilizzati come antiossidanti nella birra, funghi secchi, gelatine, marmellate, confetture,
liquori, insaccati, frutta sciroppata, succhi di frutta, prodotti dolciari, sott’oli e sottaceti, vino e
farine, carne fresca, ecc.
- Tocoferoli (E 306-E 309) molecole analoghe alla vitamina E. Hanno una struttura idrocarburica
molto apolare e di conseguenza sono utilizzati come antiossidanti in alimenti ricchi di grassi, come
grassi emulsionati, oli (escluso quello di oliva), grassi ed insaccati freschi. ADI: 2 mg/kg B.W.
Antiossidanti sintetici:
- BHA, butilidrossianisolo (E 320) (ADI: 0.5 mg/kg B.W.)
- BHT, butilidrossitoluene(E 321) (ADI: 0.5 mg/kg B.W.)
- Gallati (E 310-E 312) (ADI: 1.4 mg/kg B.W.)
Utilizzati nei grassi ed oli per frittura, strutto, olio di pesce soggetto ad irrancidimento perché ricco
di lipidi polinsaturi, nei grassi destinati alla preparazione di margarine, nei prodotti solubili per
distributori automatici (latte in polvere), in zuppe e brodi disidratati, salse, condimenti ed
integratori dietetici. Altri antiossidanti sintetici ascorbil palmitato, tert-butilidrochinone (TBHQ) e
l’etossichina.
- Tra gli antiossidanti naturali abbiamo alfa-Tocoferolo (vit. E), Acido ascorbico (vit. C), beta-
Carotene (provit. A) e la Quercetina (polifenolo), in generale un po’ tutti i polifenoli, il distacco di
un H da questi gruppi OH darebbe origine ad un radicale stabilizzato per risonanza e quindi
molto stabile.
- Grafico con numero di perossidi in funzione del tempo in un prodotto a base di lardo, più è alto
il numero di perossidi maggiore è l’irrancidimento del prodotto, in blu si ha già un numero di
perossidi molto alto, il lardo è molto suscettibile all’ossidazione, l’aggiunta di tocoferolo al lardo
allunga molto il tempo di induzione, ovvero il tempo che impiega la reazione di ossidazione a
partire ed una volta partita procede velocemente. Abbiamo allungato il tempo di induzione quindi
la conservabilità dell’alimento di molte ore rispetto al lardo senza tocoferolo.

Scelta dell’antiossidante tiene in considerazione diversi parametri:


- l’efficienza, capacità di rallentare o impedire i processi ossidativi
- la facilità di incorporazione nell’alimento dunque tener conto della matrice alimentare a cui
lo voglio aggiungere
- la sensibilità al pH ovvero la stabilità dell’antiossidante a pH molto acidi o basici a seconda
dell’alimento che prendiamo in considerazione
- possibili effetti di decolorazione, avviene per es. con l’anidride solforosa, o la tendenza a
produrre aromi sgradevoli, off-flavours
- la disponibilità va tenuta in considerazione
- il costo
- dobbiamo considerare l’interazione con altre molecole pro-ossidanti o altri antiossidanti presenti
naturalmente nell’alimento
- Per i Bulk oils, alimenti lipidici costituiti da un’unica fase con un basso rapporto
superficie/volume, è preferibile utilizzare antiossidanti idrofili PG e TBHQ questi hanno un valore
HLB alto, ovvero essendo idrofobi non si sciolgono bene nell’olio quindi tendono a concentrarsi
in superficie, la zona in contatto con l’ossigeno, dove è maggiormente richiesta la loro attività
antiossidante
- Se ho invece membrane, alimenti con tessuto intatto, emulsioni olio in acqua è preferibile
utilizzare emulsionanti lipofili come BHA, BHT o tocoferolo.

Gli antiossidanti possono agire sugli alimenti a diversi livelli, es. possono agire sulla composizione
lipidica, o all’interfaccia, o inattivare pro-ossidanti, radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno, o
avere un’azione scavenging di radicali liberi sui radicali perossilici, o favorire la decomposizione dei
perossidi in composti stabili, o avere un ruolo di cattura di quenching delle aldeidi ovvero dei
prodotti secondari dell’ossidazione lipidica.

Fattore antiossidante è definito AF = IA/I0


IA come il periodo di induzione per un grasso o un olio in presenza dell’antiossidante diviso I0 il
periodo di induzione in assenza di antiossidante. Maggiore è il valore di AF maggiore sarà
l’efficacia dell’antiossidante. Es. tabella - Valori del fattore antiossidante (AF) per alcuni
antiossidanti (0.02%) in lardo raffinato. Hanno valore più alto (12) γ-Tocoferolo, BHA e BHTa, il
lardo è un composto grasso quindi gli antiossidanti lipofili reagiscono meglio.

Quando aggiungiamo gli antiossidanti dobbiamo anche pensare ad un loro possibile effetto
sinergico, es. tra BHA e BHT. Quando abbiamo un radicale perossilico che reagisce con BHA si forma
il radicale del BHA che è abbastanza stabile, stabilizzato per risonanza, e sua volta va a reagire con il
BHT, tornando una molecola non radicalica e generando il radicale del BHT. A sua volta il radicale
del BHT può reagire con un radicale perossilico per formare una specie stabile non radicalica.
Esempi di sinergisti: Acido citrico (E 330) e sali (E 331-333), Acido tartarico (E 334) e suoi sali (E
335- E 337), H3PO4 (E 338) e suoi sali (E 339- E 341), Polifosfati (E 450- E 452) (ADI: 70 mg/kg
B.W.) e sostanze che hanno un’azione di chelazione (complessazione) degli ioni metallici, ovvero i
metal binders.
Additivi alimentari ad azione fisica
Gli additivi alimentari ad azione fisica sono gli stabilizzanti, addensanti e gelificanti.
- Pectina (E 440) marmellate e gelatine di frutta, budini e dessert a base di latte
- Acido alginico (E 400) e suoi sali (E 401-404) budini, formaggi, gelati, maionese, panna
- Agar-agar (E 406) budini, baccalà, gelati, frutta candita, confetture, mostarde di frutta,
prodotti dolciari da forno, confetteria, caramelle, carne in scatola
- Gomma arabica (E 406): gelati, marmellate, panna.
- Carragenine (E 407): crema per pasticceria, gelati, formaggi, marmellate.
- Farina di semi di carrube (E 410): marmellate, gelati, panna, carne in scatola.
- Farina di semi di guar (E 412): caramelle, confetti, crema per pasticceria.
- Cellulosa (E 460) e derivati (E 461- E 465): budini, creme, prodotti dolciari.
- Polifosfati Na e K (E 450): in particolare formaggi fusi.
- Gomma xantano, prodotta dal batterio Xanthomonas campestris, parassita dei cavoli, che la
utilizza per incapsularsi per proteggersi dalla disidratazione e dalle avversità ambientali e per
fare aderire le proprie cellule alle foglie dei suoi ospiti di elezione, i cavoli. Industrialmente viene
prodotta in processi di fermentazione su larga scala.
Costituita da 10.000 a 250.000 unità di glucosio, ogni due residui di glucosio è presente una
ramificazione. In concentrazione compresa tra 0.1-0.3 % negli alimenti conferisce proprietà si
shear thinning o tixotropiche ovvero quando l’alimento è a riposo ha una consistenza molto elevata,
però basta mescolare quell’alimento per conferirgli una consistenza più fluida. Es. del ketchup che
quando lo versiamo dal barattolo ha una consistenza molto liquida e la sua consistenza invece
appare più solida, consistente quando è sulle patatine. Applicazione tipica infatti è quella nei
condimenti, salse e ketchup.

Emulsionanti diffusi nell’industria alimentare:


-Lecitine (E 322)
- Mono e digliceridi degli acidi grassi (E 471)
- Esteri dei mono e digliceridi degli acidi grassi alimentari (E 472)
- Esteri del saccarosio con acidi grassi alimentari (E 473)
- Miscele di sucrogliceridi (E 474)
Tra gli emulsionanti, chiamati anche surfattanti (perché diminuiscono la tensione superficiale
dell’acqua) ci sono diversi impieghi, es. nella produzione di margarina serve l’emulsionante per
stabilizzare l’emulsione acqua in olio, nella maionese l’emulsionante serve a stabilizzare un
emulsione olio in acqua, come avviene nel gelato oltre a dare consistenza più asciutta. Nelle
salsicce servono a far stare insieme la parte grassa e magra, tenderebbero a separarsi, nel pane e
nei prodotti da forno sono utili per rallentare il raffermimento, nel cioccolato la lecitina migliora le
proprietà reologiche lo rende più fluido e più lavorabile, limita anche il fenomeno dell’affioramento
del grasso, quei cristalli che passano dalla forma 5 a quella voluta alla 6 che è quella termo
dinamicamente più stabile. Infine nelle polveri istantanee e negli estratti di spezie hanno funzione
di solubilizzazione.

Il sistema HLB, hydrophilic-lipophilic balance, è un modello empirico per descrivere


numericamente le proprietà di un tensioattivo, in modo da rappresentarne le proprietà idrofile e
lipofile relative. Diverse equazioni matematiche vengono usate.
Per gli esteri degli acidi grassi con alcoli poliossidrilici: HLB = 20 ( 1 – S/A )
dove S è il numero di saponificazione ed A il numero di acidità dell’acido.
Quando S non è determinato o determinabile: HLB = ( E + P ) / 5 dove E è il peso percentuale della
parte ossietilenica e P è il peso percentuale dell’alcol poliossidrilico.
Quando l’ossietilene è l’unico gruppo idrofilo: HLB = E / 5
Quello da ricordare comunque è che gli emulsionanti con un valore HLB basso sono molto apolari
quindi liposolubili e adatti a stabilizzare emulsioni acqua in olio, se invece il valore è alto avremo
emulsionanti molto idrofili, solubili in acqua e sarà utilizzato per stabilizzare emulsioni olio in
acqua. – Tabella di valori HLB per alcuni emulsionanti in ordine crescente dal più lipofilo al più
idrofilo. Tra gli emulsionanti molto lipofili adatti per stabilizzare emulsioni acqua in olio abbiamo
acido oleico, sorbitolo triste arato, monostearilglicerolo, sorbitolo monostearato e sorbitolo
monolaurato. Tra gli emulsionanti idrofili adatti per stabilizzare emulsioni olio in acqua abbiamo la
metilcellulosa, sorbitolo poliossietilato monostearato, sorbitolo poliossietilato monoleato, sodio
oleato e potassio oleato.

Utilizzo degli emulsionanti in base al valore di HLB:


- Se il valore di HLB è compreso tra 3 e 6 l’applicazione di questo emulsionante sarà la
stabilizzazione in emulsioni acqua in olio
- Se il valore di HLB è compreso tra 7 e 9 potrò utilizzare questa sostanza come umettante
- Se il valore di HLB è compreso tra 8 e 18 potrò utilizzare questa sostanza per stabilizzare
emulsioni olio in acqua
- Se il valore di HLB è compreso tra 15 e 18 avrò una stabilizzante di torbidità
Gli alimenti comunque sono sistemi molto complessi quindi non sempre questi numeri funzionano,
queste sono indicazioni di massima che non valgono per tutti gli alimenti ed emulsionanti.

Agenti umettanti, sono additivi che mantengono idratato il prodotto, non permettendone
l’essicazione, mantenendo nel tempo la morbidezza. Inibiscono la cristallizzazione degli zuccheri in
soluzioni acquose. Consentono una più veloce reidratazione degli alimenti disidratati (verdura,
frutta). Esempi di agenti umettanti sono molecole che sono in grado di legare molto bene l’acqua, i
polioli sono molecole molto idrofile come 1,2-propandiolo, glicerolo, mannitolo e sorbitolo.

Antiagglomeranti sono additivi che vengono aggiunti alle polveri per impedire la formazione di
grumi, blocchi. Impiegati nel sale da cucina, nella verdura e frutta disidratata, nelle zuppe e salse in
polvere e nel lievito in polvere. Esempi agenti antiagglomeranti sono i silicati di calcio e magnesio,
Ca3(PO4)2 (fosfato di calcio) e MgCO3 (carbonato di magnesio).

Altri additivi:
- Agenti di rivestimento che vanno a ricoprire il prodotto alimentare proteggendolo , es. cera d’api
(E 901), cera di candelilla (E 902), cera carnauba (E 903) e gommalacca (E 904)
- Antiagglomeranti es. SiO2 idrata (E 551) e CaCO3 (E 334)
- Agenti lievitanti, polveri lievitanti, che vanno a produrre gas, aumentando il volume del prodotto,
es. acido citrico, tartarico, tartrato monopotassico, pirofosfato disodico, sodio e ammonio
bicarbonato (E 501- E 503)
- Antischiumogeni, impediscono la formazione di schiume es. dimetilpolisilossano (E 900)
- Sali di fusione, utilizzati per i formaggi fusi, es. citrati e polifosfati di sodio e potassio
- Agenti di trattamento delle farine es. acido ascorbico viene utilizzato per modulare la formazione
del reticolo glutinico formando da gliadine e glutenine.

Gli edulcoranti sono molecole che conferiscono un sapore dolce all’alimento senza tuttavia
aumentarne il contenuto calorico. Tra gli edulcoranti possiamo distinguere edulcoranti
- naturali o natural-derivati come la neoesperidina diidrocalcone (E 959), sorbitolo (E 420)
(assorbiti in minor percentuale, idrogenazione catalitica), xilitolo (E 967), mannitolo (E 421),
maltitolo (E 965), lactitolo (E 966), isomalto (E 953) e taumatina (E 957).
- sintetici come la saccarina (E 954), acido ciclammico e derivati (E 952), acesulfame K (E 950)e
l’spartame (E 951).

Esaltatori di sapidità, visti con il gusto umami, uno dei più famosi è il glutammato monosodico o
GMS (E 621), Prodotto per via chimica fino agli anni ’50, dagli anni ‘60 viene prodotto per via
biotecnologica, grazie alla fermentazione del batterio Corynebacterium glutammicum, questo
batterio utilizza diversi substrati per la sua crescita come il glucosio, saccarosio, melassi ed amido,
come fonti di carbonio, e sali di ammonio o ammoniaca, come fonti di azoto, producendo una
grande quantità di GMS.

Aromatizzanti, il cui utilizzo viene disciplinato dal Reg. CE 1334/2008. Gli aromi sono prodotti non
destinati ad essere consumati nella loro forma originale, che sono aggiunti agli alimenti al fine di
conferire o modificare un aroma e/o un sapore. Fabbricati con sostanze aromatizzanti,
preparazioni aromatiche, aromi ottenuti per trattamento termico, aromatizzanti di affumicatura,
precursori degli aromi o altri aromi o miscele di aromi.
La sostanza aromatizzante è una sostanza chimica definita con proprietà aromatizzanti. La sostanza
aromatizzante naturale è la sostanza aromatizzante ottenuta mediante appropriati procedimenti
fisici, enzimatici o microbiologici da un materiale di origine vegetale, animale o microbico che si
trova allo stato grezzo o che è stato trasformato per il consumo umano mediante uno o più
procedimenti tradizionali di preparazione degli alimenti (elencati in un allegato del regolamento).
Per preparazione aromatica si intende un prodotto, diverso dalle sostanze aromatizzanti, ottenuto
da alimenti mediante appropriati procedimenti fisici, enzimatici o microbiologici che si trovano allo
stato grezzo del materiale o che sono stati trasformati per il consumo umano mediante uno o più
procedimenti tradizionali. Per preparazione aromatica si intende anche un materiale di origine
vegetale, animale o microbiologico, diverso dagli alimenti, mediante appropriati procedimenti fisici,
enzimatici o microbiologici, impiegato in forma originale o preparato mediante uno o più
procedimenti tradizionali.
L’aroma ottenuto per trattamento termico è un prodotto ottenuto previo trattamento termico da
una miscela di ingredienti che non hanno necessariamente di per sé proprietà aromatizzanti, di cui
almeno uno contiene azoto (gruppo amminico) e un altro è uno zucchero riduttore (Reazione di
Maillard). Per aromatizzante di affumicatura si intende un prodotto ottenuto mediante il
frazionamento e la purificazione di un fumo condensato che produca condensati di fumo primari,
frazioni di catrame primarie e/o aromatizzanti di affumicatura derivati.

Coadiuvanti tecnologici, secondo il Reg. 1333/2008 il coadiuvante tecnologico è una sostanza che
i) non è consumata come un alimento in sé; ii) è intenzionalmente utilizzata nella trasformazione
di materie prime, alimenti o loro ingredienti, per esercitare una determinata funzione tecnologica
nella lavorazione o nella trasformazione dell’alimento; iii) può dar luogo alla presenza, non
intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto
finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute del consumatore e
non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito. Es. Solventi (DLgs 64/93) come l’acetato di etile
per l’estrazione della caffeina, esano per gli oli di semi. Chiarificanti per la chiarificazione dei vini
come la gelatina, bentoniti, silice colloidale (vini). Demetallizzanti come ferrocianuro di potassio
(vini bianchi). Decoloranti come le terre attive e il carbone utilizzati per decolorare alcuni olii.
Agenti di distacco per prodotti da forno (siliconi, oli minerali). Lubrificanti per macchinari e
impianti. Coadiuvanti di filtrazione (cellulosa, farine fossili). Detergenti e disinfettanti per la pulizia
dell’impianto (ipoclorito, H2O2, ecc.).

Agenti sbiancanti, conferiscono un colore più bianco alle farine andando ad ossidare i carotenoidi,
pigmenti di colore giallo ed arancione che possono andare a conferire alla farina un colore
giallognolo, se andiamo a degradare i carotenoidi la farina avrà un aspetto più bianco e più gradito.
Esempi sono il Cl2 (E925) (Cloro), ClO2 (E926) (Biossido di cloro).

Agenti chiarificanti sono applicati per la chiarificazione di succhi di frutta, birra e vino che possono
intorbidirsi e andare incontro a fenomeni di sedimentazione che coinvolgono composti fenolici,
pectine e proteine. Se si va a degradare enzimaticamente pectine e proteine o a rimuovere i
componenti fenolici con gelatina o poliammidi o polivinil pirrolidone in polvere, otteniamo un
effetto di chiarificazione. Le proteine possono essere rimosse mediante coprecipitazione con
bentonite (silicato di alluminio) o tannini.
Enzimi impiegati nelle trasformazione e produzione degli alimenti, impiegati in quasi tutti i settori,
produzione di bevande alcoliche, panificazione, acidificazione del latte, caseificazione, maturazione
di formaggi e insaccati, frollatura delle carni. Utilizzati nelle fermentazioni, nelle fonti proteiche
(SCP, single cell protein), nella produzione di sostanze come macromolecole, metaboliti primari
(amminoacidi, vitamine), metaboliti secondari (antibiotici).
Es. Proteasi: chimosina o rennina per la produzione dei formaggi, subtilisina.
Glicosidasi: β-galattosidasi per latte delattosato, per scindere il lattosio, amilasi, pectinasi.
Esterasi: lipasi (interesterificazione).
I processi enzimatici utilizzati per la produzione di idrolizzati d’amido che lo vanno a scindere in
glucosio, maltosio, destrine (amilasi), idrolizzati proteici per l’esaltazione dell’aroma, arricchimento
di alimenti dietetici. Zucchero invertito da saccarosio (invertasi). Isoglucosio e fruttosio da glucosio
(glucosio isomerasi).
Modifiche che possiamo ottenere attraverso processi enzimatici:
– Coagulazione del latte (ad opera dell’enzima rennina) – Intenerimento delle carni (papaina,
bromelaina, catepsine) – Chiarificazione di succhi, vini, sidri (pectinasi) – Stabilizzazione birra e
vino (papaina, proteasi acida da funghi) – Decolorazione succhi di agrumi (antocianasi che vanno a
degradare gli antociani) – Deamarizzazione succhi di pompelmo e arancia (naringinasi) –
Interesterificazione dei grassi (lipasi) – Produzione latte delattosato (lattasi).
Miglioramenti dei prodotti ottenuti tramite processi enzimatici: rese di estrazione di succhi di
frutta (pectinasi, emicellulasi, cellulasi degradano la parete cellulare dei vegetali favorendo
l’estrazione del succo), rese di filtrazione di succhi, vini, mosti di birra, birra (pectinasi, destranasi,
glucanasi, amilasi, proteasi), accelerazione della maturazione dei formaggi (enzimi estratti da
fermenti lattici), eliminazione dell’odore di cotto dal latte UHT (sulfidrilossidasi), altri usi sono i
controlli analitici, biosensori, dosaggi.
Le vitamine, tutti quei composti la cui funzione è quella di rendere possibili alcuni processi
(reazioni) essenziali per la vita stessa. Le vitamine sono molecole organiche a basso peso
molecolare necessarie all’organismo umano per lo svolgimento di processi metabolici, è necessario
introdurle con l’alimentazione anche in piccole quantità. Sono composti essenziali perché non
sintetizzate, dunque devono essere introdotte con la dieta.
Si possono classificare in base alla loro solubilità:

- Idrosolubili con caratteristiche polari, vitamina C e vitamine gruppo B, sono cofattori di enzimi
deputati a deidrogenazione, deaminazione, ecc.
- Vitamina B1 Tiamina
- Vitamina B2 Riboflavina
- Vitamina B3 Acido nicotinico – nicotinammide
- Vitamina B5 Acido D-pantotenico
- Vitamina B6 Piridossina - piridossale – piridossammina – acido piridossico
- Vitamina B8 Biotina
- Vitamina B9 Acido folico
- Vitamina B12 Cianocobalamina
- Vitamina C Acido ascorbico

- Liposolubili con caratteristiche apolari, vitamina A, D, E, K, necessarie per l’integrità delle


membrane cellulari, sintesi delle proteine, ecc.
- Vitamina A Retinolo
- Vitamina D2 Ergocalciferolo
- Vitamina D3 Colecalciferolo
- Vitamina E α-tocoferolo
- Vitamina K1 Fillochinone
- Vitamina K2 Menachinone (MK-4)
- Vitamina K3 Menadione (sintetico).

Vitamine liposolubili:

Vitamina A
La Vitamina A o retinolo nei vegetali non è presente la vitamina A come tale ma sono presenti i suoi
precursori, i carotenoidi, è presente come retinolo solo negli alimenti di origine animale,
e di solito è presente principalmente come estere dell’acido palmitico che ne aumenta ancora di più
la solubilità nei grassi. Guardando la struttura del retinolo, un alcool, vediamo l’anello del β-ionone
che è fondamentale per l’attività vitaminica, a cui è legata una coda lifatica.
Questo alcool può formare un legame estere con il gruppo carbossilico dell’acido palmitico a
formare l’estere palmitico del retinolo, che è ancora più apolare rispetto al retinolo.
L’estere è idrolizzato durante la digestione nel tratto gastrointestinale ed il retinolo è assorbito.

La vitamina A partecipa al meccanismo del ciclo visivo come retinale, che non è altro che il retinolo
il cui gruppo alcolico è stato ossidato a gruppo aldeidico.
I pigmenti della visione, il retinale, sono identici al retinolo ma con il gruppo alcolico ossidato a
gruppo aldeidico. Infatti i principali sintomi da carenza di Vit A sono problemi alla vista
(soprattutto crepuscolare alla quale sono deputati i bastoncelli), maggiore predisposizione alle
infezioni (specialmente polmonari).

Ha caratteristiche di fluorescenza, ha una lunghezza d’onda di eccitazione di λec=325 nm ed una


lunghezza d’onda di emissione λem=470, è per tanto quantificabile per via spettrofotometrica.
I fattori che degradano la vitamina A negli alimenti sono l’esposizione alla luce (fotosensibile),
l’esposizione all’aria o per gli alimenti che hanno un elevato rapporto superficie volume (sensibile
all’ossidazione da parte dell’ossigeno atmosferico), l’esposizione agli acidi, in ambiente acido.
Ha diversi ruoli fisiologici e sintomi da carenza:
– è deputata la differenziazione cellulare, infatti in carenza di vitamina A le cellule che producono il
muco vengono sostituite da cellule che producono cheratina, questo porta a molti problemi come la
cheratinizzazione di cornea, epitelio polmonare da cui si hanno problemi legati alla visione e
maggiore suscettibilità alle infezioni polmonari perché l’epitelio è una barriera di difesa per
l’organismo e qualsiasi fattore vada a degradare l’integrità dell’epitelio provoca una maggiore
esposizione alle infezioni.
– coinvolta nella risposta immunitaria, la carenza di vitamina A danneggia i tessuti epiteliali che
espongono maggiormente l’organismo alle infezioni.
– coinvolta nell’ emopoiesi, la carenza di vitamina A aggrava l’anemia sideropenia, anemia dovuta
alla carenza di ferro
– coinvolta nella visione notturna, la carenza di vitamina A provoca problemi alla visione
crepuscolare (bastoncelli)
– avendo una forte analogia strutturale con i carotenoidi è anche una vitamina con azione
antiossidante, analoga alla vitamina E ovvero agisce da radical scavenger ed è in grado di spengere
l’ossigeno singoletto.

Provitamina A – i carotenoidi
I carotenoidi sono i precursori della Vitamina A ed anch’essi sono degradati da luce e ossigeno
atmosferico, perché queste molecole tendono ad ossidarsi con isomerizzazione dei doppi legami.
Hanno attività antiossidante e sono i pigmenti coloranti di molti frutti e ortaggi. Non hanno la stessa
efficienza vitaminica rispetto al retinolo, per avere la stessa equivalenza di 1 μg (microgrammo) di
retinolo sono necessari 6 μg di βcarotene o 12 μg degli altri carotenoidi.

La vitamina A si trova solo negli alimenti di origine animale, le principali fonti sono l’olio di fegato
di merluzzo e altri pesci, fegato di mammiferi es. bovino e suino, latte, burro, formaggi e uova.
Sono tutti alimenti abbastanza grassi, non a caso è una vitamina liposolubile.
I carotenoidi (α-, β-, γ-carotene, criptoxantina) si trovano nelle verdure a foglia, carote, albicocche e
burro. La dose giornaliera raccomandata RDA: 1.5-1.8 mg/die, di cui il 75% come retinolo e il 25%
come carotenoidi.

Vitamina D
Per Vitamina D si intendono quei composti di origine steroidea che possiedono la stessa attività
biologica del colecalciferolo (vitamina D3). I sintomi da carenza di Vitamina D sono problemi legati
alle ossa come il rachitismo. E’ resistente al calore e alle basi, ai trattamenti termici ed ambienti
alcalini ma anche lei si degrada con l’esposizione alla luce e all’ossigeno atmosferico.
La luce del sole ne promuove la sintesi a partire dai precursori che sono ergosterolo e 7-
deidrocolesterolo.

Le fonti sono gli alimenti di origine animale come olio di fegato di pesci marini, alimenti di origine
animale come animali allevati alla luce del sole e vegetali a basse quantità.

Il ruolo fisiologico è legato all’apparato scheletrico, promuove a livello intestinale l’assorbimento di


calcio e fosforo, garantisce adeguati livelli di questi due minerali per una corretta ossificazione e del
sistema scheletrico, infatti una carenza di Vit D porta a problemi di rachitismo nei bambini e
osteomalacia negli adulti.
Vitamina E
Per Vit E si intendono quei derivati del tocoferlo e tocotrienolo che presentano le stesse attività
biologiche dell’α-tocoferolo. Guardando la struttura della Vit E abbiamo un anello chiamato
cromen-6-olo legato ad una catena alifatica chiamata fitile, se questa catena alifatica è satura
avremo i tocoferoli, se è insatura ovvero sono presenti dei doppi legami avremo i tocotrienoli.
A seconda dei sostituenti che ho nell’anello avrò diversi tipi di tocoferolo, es. se in tutte e tre le
posizioni ho dei gruppi metilici avrò l’alfa-tocoferolo, se ho gruppi metilici in posizione 1 e 3 avrò
beta-tocoferolo, se ho gruppi metilici in posizione 2 e 3 avrò gamma-tocoferolo e se infine ho solo
un gruppo metilico in posizione 3 avrò il delta-tocoferolo. Quello che ha la maggiore attività
vitaminica è l’alfa-tocoferolo. Anche nel caso dei tocotrienoli in cui la catena del fitile presenta dei
doppi legami quindi è insatura, avrò diverse possibilità di sostituzione sull’anello.

Ha caratteristiche di fluorescenza, ha una lunghezza d’onda di eccitazione di λec=320 ed è


quantificabile tramite un fluorimetro. E’ stabile ai trattamenti termici, al calore, e agli ambienti acidi
e alcalini, però viene degradata dall’ossigeno e dalla presenza degli ioni Fe3+ (ferrico) e Cu2+
(rameico).

Il ruolo fisiologico, funge da antiossidante, in particolare da radical scavenger di radicali perossilici.


va a reagire con radicale perossilico per dare una specie non radicalica ed interrompere quindi la
catena di propagazione dell’ossidazione. Non è efficace contro i radicali alcossilici e idrossilici.
Riduce il rischio di vasculopatie e malattie degenerative dell’occhio.

Le fonti alimentari di tocoferoli e i tocotrienoli (largamente distribuiti negli alimenti) sono gli oli
vegetali (germe di grano, girasole, sesamo, vinaccioli), frutta secca ed il latte e derivati (basse
quantità). Sono comunque diffusi un po’ in tutti gli alimenti. Essendo una vitamina liposolubile è
normale trovarla negli alimenti grassi.

Vitamina K
La Vit K è composta da menadione ed i suoi derivati.
Vitamina K1 o fillochinone, presente in natura
Vitamina K2 o menachinoni, presente in natura
Vitamina K3 o menadione, origine sintetica
Il metile legato all’anello è fondamentale per l’attività vitaminica.
E’ un importante fattore di coagulazione del sangue perché contribuisce alla sintesi di proteine
derivanti dall’acido glutammico che sono necessarie per la coagulazione del sangue.

E’ resistente all’ ossigeno atmosferico, presenza d’umidità ed ambienti acidi. Si degrada per
l’esposizione alla luce solare, per esposizione ad ambienti alcalini ed agenti riducenti.
il ruolo fisiologico della Vit K è quello di fungere da cofattore della γ-glutamilcarbossilasi, enzima
che catalizza la sintesi delle proteine per la coagulazione sanguigna.

Le fonti alimentari sono la frazione lipidica di vari tessuti animali e vegetali. Fonte importante sono
gli ortaggi a foglia verde come il cavolo riccio, cime di rapa, spinaci, broccoli e lattuga.

Vitamine idrosolubili, solubili in ambiente acquoso

Vitamina B1 o tiamina
La Vit B1 è chiamata anche fattore anti-polineuritico questo perché la malattia tipica da carenza di
Vit B1 è una malattia neuro-degenerativa nota come «beriberi». Osservando la struttura chimica
possiamo notare che è costituita da una anello pirimidinico legato da un ponte metilenico ad un
anello tiazolico, per l’attività vitaminica è fondamentale l’atomo di carbonio in 2 sull’anello
tiazolico.
Ha caratteristiche di fluorescenza, per tanto può essere determinata per via fluorimetrica.
E’ stabile ai trattamenti termici se ci troviamo in ambiente acido, al contrario diventa termolabile in
ambiente neutro o basico. Si decompone ai raggi UV, è dunque fotosensibile, il contenuto di Vit B1
diminuirà una volta esposto il prodotto che la contiene alla luce. E’ stabile al congelamento, però
possiamo avere problemi di perdite questo perché i cristalli di ghiaccio tendono a rompere le
cellule facendo fuoriuscire i liquidi che si trovavano all’interno, e le vitamine idrosolubili essendo
solubili in acqua potrebbero fuoriuscire insieme ai liquidi persi dall’alimento durante lo
scongelamento.

Il ruolo fisiologico della Vit B1 è quello di fungere da cofattore enzimatico, es. cofattore della
carbossilasi, che catalizzano la decarbossilazione ossidativa degli α-chetoacidi, cofattore della
transchetolasi, che catalizzano il trasferimento gruppi glicoaldeidici da α-chetosi ad aldosi.
La malattia tipica da carenza di Vit B1 è la beri-beri, questa si manifesta in tre diverse forme: il
beriberi umido, il cui sintomo principale è l’ipertrofia cardiaca, aumento di dimensioni del muscolo
cardiaco, del cuore; il beriberi secco, il cui sintomo principale è l’atrofia muscolare; ed infine il
beriberi infantile caratterizzato da vomito e nausea molto gravi.

Le fonti alimentari sono alimenti di origine animale come la carne di suino e gli limenti di origine
vegetale come i semi (germe di cereali e la frutta secca).

Vitamina B2 o riboflavina
Riboflavina deriva dalla struttura chimica costituita da un anello flavinico legato ad una molecola di
ribitolo. Le altre forme biologicamente attive sono il flavin mono nucleotide (FMN) ed il flavin
adenin dinucleotide (FAD)

E’ determinabile fluorimetricamente (λem=520 nm). E’ termostabile in ambiente acido e


termolabile in ambiente basico. Si decompone alla luce. I processi non distruttivi utilizzati durante
la produzione alimentare sono i trattamenti termici per la pastorizzazione e la sterilizzazione che
avvengono per la produzione degli alimenti in scatola. I processi distruttivi sono quelli che
espongono il prodotto alla luce come l’essiccamento al sole, l’esposizione alla luce o una semplice
cottura a pentola aperta senza coperchio.

Il ruolo fisiologico è quello di partecipare alle reazioni redox, di ossidoriduzione come la


conversione del succinato a fumarato o dall’ipoxantina a xantina. I sintomi da carenza sono diversi
tra di loro, si va da un rallentamento della crescita, all’arrossamento delle labbra, infiammazioni
della lingua, disturbi oculari e neuropatia periferica.

Le fonti alimentari sono tra gli alimenti di origine animale il fegato bovino e suino e formaggi, tra gli
alimenti di origine vegetale il germe di grano.

Vitamina B3 o niacina o vitamina PP (Pellagra Preventing)


PP perché la malattia tipica da carenza di Vit B3 è la pellagra.
La Vitamina B3 non è strettamente essenziale, perché può essere sintetizzata dall’organismo
umano a partire dal triptofano, però l’efficienza di conversione è bassa, servono 60 mg di triptofano
per ottenere 1 mg di Vit B3, inoltre il triptofano non è mai tra gli amminoacidi più abbondanti nelle
proteine. E’ opportuno dunque introdurre questa vitamina con l’alimentazione. Niacina è l’acido
nicotinico ed i suoi derivati con la stessa attività biologica della nicotinammide. Le forme attive
sono NAD+ e NADPH.

E’ resistente ai trattamenti termici, all’ossidazione, agli ambienti alcalini. E’ stabile durante i


processi di trasformazione alimentare.
Il ruolo fisiologico è quello di cofattore enzimatico delle deidrogenasi, è coinvolta quindi nella
catalisi di reazioni redox, partecipa poi alla riduzione degli enzimi flavinici, catalizza quindi reazioni
redox. Il sintomo da carenza di Vitamina B3 è la pellagra, chiamata anche come sindrome delle 3 D,
dermatite, diarrea e demenza.

Le fonti alimentari principali sono la crusca di grano, la carne, il pesce ed i legumi.

Vitamina B5 o acido pantotenico


Da «pantos» che significa dappertutto, perché diffusa in tutti gli alimenti. Le sue forme bioattive
sono il coenzima A (CoA) e la proteina trasportatrice di gruppi acili (PTA). E’ degradato da pH
lontani dal valore neutro, dunque da pH acidi o basici. E’ termostabile, stabile ai trattamenti termici.
Osservando la struttura dell’acido pantotenico vediamo che è costituita da una molecola di acido
pantoico legata con un legame amminico ad un amminoacido che è la beta-alanina.
A differenza degli amminoacidi che incontravamo nelle proteine in cui sia il gruppo carbossilico sia
quello amminico erano legati al carbonio alfa, in questo caso il gruppo amminico è legato al
carbonio beta, da qui il nome di beta-alanina.

Il ruolo fisiologico è quello di prendere parte a diverse reazioni metaboliche di condensazione,


addizione, interscambio ed altre reazioni nucleofile. Partecipa poi all’acilazione di alcoli,
amminoacidi ed ammine, all’ossidazione di piruvato e α-chetoglutarato, alla β-ossidazione degli
acidi grassi ed alla Sintesi di acidi grassi, colesterolo, acetoacetato e sfingosina.

Le fonti alimentari sono tante perché è molto diffusa negli alimenti, la carenza è difficile, gli alimenti
più ricchi sono il lievito, carne (fegato), crusca, il germe di grano ed alcuni vegetali.

Vitamina B6
La Vitamina B6 esiste in tre forme, biologicamente attive, interconvertibili nell’organismo e di
eguale valore biologico, sono la piridossina, piridossale e piridossamina. La struttura chimica è
identica ad eccezione della parte evidenziata in grigio, nella piridossina è un alcool, nel piridossale è
un aldeide e nella piridossamina è un’ammina.
Tutte e tre le forme possono essere convertite nel coenzima piridossal fosfato (PLP) utile alla
sintesi ed interconversione degli aminoacidi. La sua struttura chimica è simile alle strutture
precedenti.

E’ stabile ad ambienti acidi, ai trattamenti termici ed all’esposizione alla luce. Si degrada con
ambienti alcalini. Gli alimenti di origine vegetale sono più suscettibili alle perdite in cottura rispetto
a quelli di origine animale, a causa della diversa distribuzione percentuale delle tre forme che
hanno stabilità termica diversa.

Il ruolo fisiologico è la partecipazione a reazioni di transaminazione, decomposizione degli


amminoacidi ad ammina primaria, α-chetoacido e glicina, metabolismo degli zuccheri.
I sintomi da carenza sono problemi nervosi, debolezza, insonnia, glossiti, stomatiti e maggior
rischio di infezioni.

Le fonti principali di Vitamina B6 sono il lievito di birra, carne (fegato), cervello, latte, cuticola dei
cereali (crusca), verdura, frutta. E’ prodotta anche dalla microflora batterica.
Vitamina B8 = Biotina (vitamina H)
Nel bianco d’uovo è presente l’avidina, che rende questa vitamina non disponibile. La cottura
distrugge l’avidina eliminando questo problema, rendendola biodisponibile.

E’ stabile ad ambienti acidi. Si degrada ad ambienti alcalini, con l’ossidazione e trattamenti termici.
Gli antiossidanti ne aumentano molto la stabilità.

Il ruolo fisiologico è quello di cofattore di enzimi per la carbossilazione, fondamentale nella


biosintesi degli acidi grassi e nella gluconeogenesi, la carenza è rara grazie all’ampia diffusione
negli alimenti.

Le fonti alimentari sono il lievito di birra, carne (fegato), tuorlo d’uovo, legumi. In parte è
sintetizzata dalla flora intestinale.

Vitamina B9 = Acido folico (vitamina BC)


Deriva dalla parola latina folium che significa foglia.
Guardando la struttura vediamo che alla cui estremità è legata da un legame amminico una
molecola di acido glutammico, fondamentale per la sua attività vitaminica. Questo vuol dire che se
andiamo ad idrolizzare questo legame amminico con perdita dell’acido glutammico andiamo ad
inattivare la vitamina.

E’ sensibile all’ossigeno atmosferico, trattamenti termici, esposizione alla luce e ioni metallici che ne
provocano ossidazione, è più sensibile ai processi di trasformazioni alimentari.

Il ruolo fisiologico è quello di partecipare al trasferimento di unità carboniose, partecipa biosintesi


delle purine, biosintesi dell’acido timidilico(necessario per DNA), alla conversione glicina/serina ed
alla conversione omocisteina/metionina.

Le fonti alimentari sono il lievito, fegato, legumi e le verdure.

Vitamina B12 = cianocobalamina


La sua struttura è costituita da un complesso ottaedrico dello ione Co3+ (cobalto) con un anello
tetrapirrolico chiamato corrina.
E’ stabile a pH acido ed alle alte temperature. Per il suo assorbimento a livello intestinale è
necessaria la presenza del «fattore intrinseco» sostanza secreta dallo stomaco a livello gastrico.

Il ruolo fisiologico è quello da fungere da coenzima nelle reazioni di metilazione e riarrangiamento


intramolecolare di gruppi monocarboniosi, catabolismo degli acidi grassi a catena dispari e degli
amminoacidi come la valina, isoleucina e treonina, partecipa alla biosintesi degli acidi
deossiribonucleici, trasformazione di omocisteina in metionina.
I sintomi da carenza sono l’anemia perniciosa.

Le fonti alimentari: è sintetizzata dai microrganismi (microflora) e si trova in elevate


concentrazioni nel fegato.
Vitamina C = acido L-ascorbico
E’ stabile ad ambienti acidi e si degrada in ambienti alcalini, durante i processi di trasformazione e
conservazione degli alimenti. E’ utilizzata come additivo antiossidante negli alimenti.

Il ruolo fisiologico è quello di fungere da scavenger di radicali liberi, agisce con le molecole
radicaliche formando specie più stabili, non radicaliche, e quindi bloccando la reazione di
propagazione dell’ossidazione; ha un’azione sinergica con la vitamina E; è un coenzima in reazioni
di idrossilazione ovvero quelle che vanno ad inserire gruppi ossidrilici sulla catena laterale della
prolina e lisina per formare idrossipolina ed idrossilisina, queste due sono amminoacidi importanti
nella sintesi del collagene e quindi del tessuto connettivo. Inoltre queste reazioni sono importanti
per la dopamina idrossilasi nella sintesi di adrenalina e noradrenalina; la vit C è un potente agente
riducente ovvero riduce il Fe3+ a Fe2+ nell’intestino permettendone l’assorbimento e rafforza il
sistema immunitario.
I sintomi da carenza è lo scorbuto.

Le fonti alimentari sono diverse perché largamente diffusa negli alimenti di origine vegetale,
peperoni, ribes nero, agrumi, kiwi ed ortaggi a foglia verde.

Stabilità e degradazione delle vitamine:


Quasi tutte le vitamine sono sensibili ai trattamenti termici, ad eccezione della vit K, B3 e B12.
Possiamo notare infatti perdite in cottura che vanno dal 40% fino a 100% nella vit B9 e C.
Molte sono sensibili all’esposizione alla luce, vengono degradate dai raggi UV. Le uniche che
mostrano stabilità ai raggi UV sono la vit B1, B3, B5 e B8.
Per quanto riguarda invece il valore di pH possiamo notare che le vitamine sono più stabili a pH
leggermente acidi piuttosto che a pH leggermente basici.

Uso delle vitamine nell’industria alimentare:


Il contenuto in vitamine varia anche all’interno della stessa specie vegetale od animale in funzione
della stagione, temperatura, condizioni di crescita. Varia moltissimo anche fra materiale grezzo e
trattato tecnologicamente, molte delle trasformazioni e processi impiegati nelle industrie vanno a
causare la degradazione di molte vitamine. Qualche volta, piuttosto che modificare il ciclo
tecnologico di produzione, è conveniente economicamente aggiungere vitamine al cibo processato.
Ci sono 4 principali utilizzi delle vitamine:
- Arricchimento, aumento la concentrazione di vitamina già presente in quell’alimento prima o
dopo la produzione.
- Fortificazione, aggiungo vitamine assenti nel cibo naturale.
- Revitaminizzazione, aggiungo vitamine per ristabilire la concentrazione presente nel cibo
- Standandizzazione, aggiungo quantità variabili di vitamine in modo da compensare la naturale
variabilità delle materie prime.
Minerali - Macroelementi (tessuto osseo)

I minerali sono sostanze essenziali assunte attraverso gli alimenti. Non apportano energia ma sono
necessari per molte funzioni:
- cofattori di enzimi o parte di metallo proteine
- possono istituire le corrette condizioni chimico-fisiche di cellule e tessuti
- regolano la pressione osmotica ed il grado di idratazione
- contribuiscono a generare il potenziale elettrico
- possono attivare o inibire enzimi
- tante altre ecc.

La loro concentrazione negli alimenti dipende dalla composizione dei terreni, perché andrà ad
influenzare il contenuto di minerale di frutta ed ortaggi, a loro volta gli animali d’allevamento
avranno il loro contenuto di minerali influenzato dai vegetali che hanno introdotto con
l’alimentazione, è un meccanismo a catena. Nell’uomo i minerali rappresentano circa il 6% del peso
corporeo e sono presenti all’interno di molecole organiche es. Fe (ferro) nell’emoglobina, o in forma
inorganica allo stato cristallino es. Ca (calcio), P (fosfato), Mg (magnesio) nelle ossa, o in soluzione
come elettroliti es. Na+ (ione sodio), K+ (ione potassio), Cl- (ione clorulo).

Macroelementi sono quegli elementi minerali che sono presenti nel nostro organismo in quantità
abbastanza rilevanti, si parla dell’ordine dei grammi. Hanno un’assunzione giornaliera abbastanza
elevata, si va dai 0.1 (100 milligrammi) ai 5 g al giorno.
I macroelementi sono il Calcio, Fosforo e Magnesio, depositati principalmente a livello del tessuto
osseo; Sodio, Potassio e Cloro sono presenti in forma di elettroliti; lo Zolfo è presente in forma
organica ed in particolare come costituenti degli amminoacidi solforati, metionina e cisteina.

Microelementi sono quegli elementi minerali presenti in quantità più basse nel nostro organismo, si
va nell’ordine dei milligrammi. Hanno un’assunzione giornaliera più bassa dai 0.05 ai 20 mg/die.
I microelementi sono il Ferro, Zinco, Selenio, Manganese, Rame,Iodio,Cobalto, Litio, Fluoro, Silicio,
Molibdeno e Nichel.

«Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.»
(cit. Paracelso)- La tossicità è propria di tutti gli elementi ed è una funzione della concentrazione
alla quale l’organismo è esposto. Ci sono quindi delle dosi di assunzione sia minime, fondamentali
per svolgere alcuni funzioni fisiologiche e sia massime, perché se assunti in eccesso possono
risultare tossici per l’organismo. Questo discorso è importante quando si parla di integratori
alimentari perché rischiamo di perdere di vista il quantitativo totale di questi minerali che
assumiamo durante la giornata.

Il contenuto dei minerali negli alimenti è molto variabile perché dipende da fattori genetici,
climatici, dalle pratiche di coltivazione, dalla composizione del suolo, dalla conservazione e
dall’epoca di raccolta dell’alimento. Altra fonte di variabilità sono i trattamenti tecnologici sulla
materia prima.

L’assorbimento dei minerali avviene a livello intestinale, ma ci sono alcuni fattori come le fibre che
presentano al loro interno l’acido fitico, ossalico e tannini che vanno a complessare i minerali
rendendone impossibile o limitandone l’assorbimento a livello intestinale. L’eliminazione dei
minerali assunti in eccesso di solito avviene tramite urine o sudorazione.

Oltre al valore nutrizionale i minerali contribuiscono all’aroma degli alimenti, attivano o inibiscono
reazioni catalizzate da enzimi ed influenzano la consistenza dell’alimento. Spesso sono responsabili
della perdita di nutrienti es. gli ioni ferro possono favorire la reazione di ossidazione, possono
quindi andare ad ossidare l’acido ascorbico provocando una perdita di Vitamina C, o possono
contribuire alla formazione di aromi indesiderati es. il ferro può favorire la reazione di ossidazione
di irrancidimento dei lipidi generando quindi all’interno dell’alimento aromi e sapori sgradevoli.

Biodisponibilità di un minerale è la quota di elementi ingerita che è realmente assorbita, quindi


fisiologicamente attiva. Questa dipende da molti fattori: età, sesso, microflora intestinale, stato di
salute ecc.
Fabbisogno è la quantità che deve essere assunta giornalmente da un individuo in buona salute.
Di norma una dieta equilibrata consente di coprire tranquillamente il fabbisogno di macro e micro
elementi, senza ricorrere ad integratori.

Macroelementi (tessuto osseo)

- Calcio
È il minerale più abbondante nel corpo umano. E’ presente circa 1,2 kg di calcio in un adulto medio
di 70 kg, il 99% del quale si trova nelle ossa sottoforma di fosfati, carbonati e cloruri. Il restante 1%
si trova nei tessuti molli, in forma ionica come elettrolita o complessato a proteine. Il fabbisogno di
calcio è 0.8 (800 milligrammi)-1 g/die. È più elevato il fabbisogno di calcio durante i periodi di
accrescimento in età infantile, gravidanza, allattamento e dopo la menopausa.

Ruoli fisiologici: il principale è costituire la frazione minerale del tessuto osseo (funzione
strutturale), è impegnato nella contrazione muscolare, nella coagulazione sanguigna, nella
trasmissione nervosa, nella permeabilità di membrana, regola la secrezione di ormoni ed enzimi e
regola la pressione arteriosa.

Sintomi da carenza sono l’osteoporosi, questo perché per mantenere costante la calcemia, calcio nel
sangue, viene solubilizzato parte del calcio delle ossa, indebolendole, assumendo una struttura più
porosa e più fragile. Crampi e contratture muscolari ed ipertensione.

Fonte alimentare principale sono il latte e derivati (65%)


L’assorbimento del calcio dalla dieta è variabile, di solito è 33%.
Il lattosio e gli aminoacidi basici, lisina ed arginina, aumentano la percentuale di calcio assorbita
perché formano complessi con il calcio assorbiti meglio a livello intestinale.
La fibra diminuisce l’assorbimento (effetto che vedremo quasi per tutti i minerali) perché va a
formare con il calcio dei sali insolubili che non possono essere assorbiti, quindi i vegetariani e
vegani che mangiano quantità ingenti di fibra necessitano di molto più calcio. Anche alcol, fumo,
antibiotici, fosfati, acidi grassi e xantine ne diminuiscono l’assorbimento. L’abuso di alcool limita
l’assorbimento di quasi tutti i minerali, perché l’epitelio intestinale quando viene esposto a dosi
massicce di alcool per periodi prolungati tende a degradarsi, perde la sua struttura e quindi è
limitato l’assorbimento di tutte le sostanze nutritive ed essenziali. Gli antibiotici possono
portare alterazioni della microflora intestinale che quindi va a limitare l’assorbimento di alcuni
minerali. L’assorbimento del calcio è favorito dalla Vit. D.
- Fosforo
Circa 1% del peso corporeo e la maggio parte l’85% nelle ossa come sale di calcio o di magnesio,
come fosfati di calcio o magnesio. Il restante 10% si trova nel tessuto muscolare e collagene, il 4%
nel sangue in forma di elettrolita quindi come anione fosfato e l’1% nel cervello, in particolare nei
fosfolipidi. L’assorbimento avviene nell’intestino tenue, grazie alla vitamina D, come per il calcio.
E’ sfavorito l’assorbimento da alcol, acido fitico (fibra), eccesso di calcio e magnesio, perché l’anione
fosfato con gli ioni di calcio e magnesio formano i fosfati di calcio e fosfati di magnesio che sono
insolubili quindi precipitano e non possono essere più assorbiti a livello intestinale.

I ruoli fisiologici: il principale è contribuire alla formazione di ossa e denti, è poi un costituente di
ATP e fosfocreatina quindi partecipa al metabolismo energetico, i fosfati sono sistemi tampone per
mantenere controllato il pH di diverse parti dell’organismo, è il costituente delle cellule, delle
guaine mieliniche delle fibre nervose, partecipa alle reazioni enzimatiche di fosfotransferasi ed
infine è il costituente di nucleoproteine e nucleotidi (DNA e RNA!).

Fabbisogno di fosforo 1g-1.2 g/die.


E’ presente nella maggior parte dei cibi. Le principali fonti di P sono alimenti proteici come la carne,
uova, pesce, latte, semi di cereali e legumi. Nei vegetali è poco assorbibile a causa della presenza
della fibra e dell’acido fitico che lo vanno a complessare.
Sintomi da carenza sono osteoporosi, rachitismo, osteomalacia.

È importante mantenere un corretto rapporto Ca/P. Nei bambini il rapporto corretto Ca/P = 0.9-
1.7. Negli adulti sono tollerate variazioni più ampie, il rapporto consigliato è di 1.3. Bisogna avere
un’alimentazione bilanciata per avere un buon rapporto Ca/P ma gli alimenti non ci aiutano, le
carni sono troppo ricche in P rispetto al Ca, rapporto è di 0.07, le uova, cereali e legumi 0.5 e i
latticini e verdure a foglia verde 2. Bisogna dunque avere alimentazione varia ed quilibrata.

- Magnesio
Dose raccomandat 270 mg/die.
I ruoli fisiologici sono la struttura del tessuto osseo, reazioni enzimatiche che utilizzano l’ATP come
fonte energetica, partecipa alla regolazione eccitabilità di membrana nelle fibre nervose e
muscolari. Sintomi da carenza sono anoressia, nausea e vomito.

Fonti: la maggior parte dei cibi, specialmente i vegetali (noci, cacao, semi di soia, vegetali verdi), il
Mg è l’atomo coordinato al centro della clorofilla, quindi i vegetali verdi ne contengono in grandi
quantità, verdura e ortaggi, cereali e derivati, frutta. Il Mg contenuto nella clorofilla dei vegetali
verdi è più disponibile poiché più protetto dall’azione dei chelanti. La raffinazione dei cereali riduce
il Mg dell’80%.

Macroelementi elettroliti, presenti in forma ionica in soluzione

- Sodio
Nell’uomo sono presenti circa 92 g di sodio. Circa la metà è presente nei liquidi extracellulari
(flusso sanguigno), la rimanente parte è suddivisa tra liquidi intracellulari, citoplasma, e le ossa.
Dose raccomandata: 0.5(500 milligrammi)-3.5 g/die, nella dieta occidentale eccediamo in questa
quantità perché facciamo largo uso di sale da cucina. L’assorbimento del sodio avviene a livello
dell’intestino tenue e colon.
Ruolo fisiologico: il sodio regola volemia, il volume dei liquidi extracellulari, partecipa al
mantenimento dell’equilibrio acido/base, partecipa alla formazione del potenziale di membrana e
alla trasmissione degli impulsi nervosi e muscolari.

Le fonti alimentari sono il sale aggiunto agli alimenti, sale naturalmente contenuto negli alimenti
come cereali e derivati, carne/uova/pesce e latte e derivati.

- Potassio
Rappresenta il 5% dei minerali del nostro corpo ed il 95% del potassio si trova nei liquidi
intracellulari, nel citoplasma, in cui si trova in forma cationica , in forma di ione K+,catione. La
restante 5% è nei liquidi extracellulari, come il flusso sanguigno. E’ molto presente nei muscoli.

Ruolo fisiologico, uno dei più importanti è la partecipazione alla pompa sodio potassio, meccanismo
che regola il passaggio di molecole attraverso la membrana cellulare, regola la pressione osmotica
ed equilibrio acido/base, fondamentale per la vita delle nostre cellulare. Partecipa alla trasmissione
degli impulsi nervosi, mantenimento della corretta pressione arteriosa e alla contrazione
muscolare.

Assorbimento, più del 90% del potassio viene assorbito a livello dell’intestino tenue. Limitato da
alcol, caffè, zuccheri. Livello di assunzione raccomandato: 3.1 g/die. Fonti alimentari, le principali
fonti di K sono per il 58% alimenti di origine vegetale (fagioli, piselli, asparagi, patate, albicocche,
banane, cavoli e spinaci).

-Cloro
Sodio e potassio sono cationi ovvero sono presenti come ioni positivi, il cloro è un anione, come
ione cloruro Cl-, in particolare è il controione di sodio e potassio nei Sali, cloruro di sodio e cloruro
di potassio. Il 67% del cloro è presente sottoforma di elettroliti, Cl-, nei fluidi extracellulari, come
flusso sanguigno, il 33% tra fluidi intracellulari, citoplasma, tessuto connettivo e ossa. E’
abbondante nel succo gastrico sottoforma di ione cloruro, a livello dello stomaco per una corretta
difestione dei cibi. L’assorbimento: intestino tenue. Fabbisogno: 0.9-5.3 g/die. Fonti: sale
alimentare, acqua potabile. Una dieta bilanciata fornisce sempre quantitativi adeguati.

- Zolfo
In un uomo sono presenti circa 140 g di zolfo, presente in due forme inorganico,solfati, ed organico,
amminoacidi solforati (cisteina e metionina), CoA, tiamina(vit B1), biotina(vit. B8) ed in alcuni
ormoni come l’insulina. Assorbito avviene nell’intestino tenue. Ruolo fisiologico: parte di vitamine,
partecipa alla costituzione del tessuto connettivo, dei mucopolisaccaridi e degli acidi biliari.
Fabbisogno: 0.85 g/die. Fonti alimentari: proteine (amminoacidi solforati) ed acqua (solfati).
Microelementi

Microelementi sono quegli elementi minerali presenti in quantità più basse nel nostro organismo, si
va nell’ordine dei milligrammi. Hanno un’assunzione giornaliera più bassa dai 0.05 ai 20 mg/die.
I microelementi sono il Ferro, Zinco, Selenio, Manganese, Rame,Iodio,Cobalto, Litio, Fluoro, Silicio,
Molibdeno e Nichel.

- Ferro
L’organismo umano contiene 3-4 g di Fe. Il 75% come ferro-eme, complessato dal gruppo eme di
emoglobina e mioglobina, il 25% ferro non eme di deposito, funzione eseguita dalla ferritina ed
emosiderina, queste due sostanze si depositano in milza, fegato e midollo osseo. Nelle donne il ferro
di deposito è circa la metà rispetto agli uomini. Ruolo fisiologico: partecipa alla produzione di
emoglobina e mioglobina, in particolare il ferro eme, questo è deputato al trasporto di ossigeno ed
anidride carbonica da un distretto all’altro dell’organismo, il ferro serve anche per il funzionamento
di alcuni enzimi come citocromo ossidasi, catalasi, perossidasi ecc.

Le principali fonti di Fe sono carne e pesce (fegato, carne rossa), verdure e ortaggi (legumi e frutta
secca), cereali e derivati. Fabbisogno varia in funzione dello stato di nutrizione, mediamente 10
mg/die per l’uomo e 18 mg/die per la donna, necessità di più ferro perché ci sono per la donna
perdite di sangue mensili. In gravidanza c’è un fabbisogno maggiore, con frequenti casi di necessità
di integratori.

Assorbito a livello dell’intestino tenue:


- Fe eme, il ferro presente nel complesso dell’emoglobina e della mioglobina, (carne, frattaglie,
pesce) è assorbito meglio, per circa il 25%, attraverso siti specifici presenti sull’orletto a spazzola
dei villi intestinali ed è più biodisponibile.
- Fe non eme o ferro inorganico, prevalentemente presente come Fe2+, assunto con le verdure,
legumi, uova e latte, l’assorbimento è pari a circa il 10%, inferiore rispetto al ferro eme.

Tra i fattori che favoriscono l’assorbimento del ferro abbiamo appunto il fatto che questo sia
presente in alimenti di origine animale (carne e pesce), dall’acido ascorbico che va a ridurre il Fe3 a
Fe2 rendendolo più assorbibile, presenza di acidi organici (citrato e lattato), presenza di alcuni
zuccheri (fruttosio e sorbitolo), ed alcuni AA. I fattori inibenti, che inibiscono l’assorbimento del
ferro abbiamo tè, caffè, uova (tuorlo e albume), crusca di frumento perché ha un alto contenuto di
fibre, prodotti derivanti dalla soia, fibra, fitati, fosfati di calcio. Sintomo tipico da carenza è l’anemia.

- Zinco
Nell’organismo umano ci sono circa 2 g di zinco, la metà è legato alla metallotionina (proteina
presente in molti tessuti), l’altra metà è legata a proteine o amminoacidi nel circolo sanguigno.
Ruolo fisiologico: è un cofattore di enzimi e stimola il rilascio di vitamina A dal fegato.

Assorbimento (≈30%) avviene nel tenue (soprattutto nel tratto chiamato digiuno) e dipende dallo
stato nutrizionale dell’individuo e dall’alimento tramite il quale lo zinco viene assunto questo
perché l’assorbimento dello zinco è in competizione quello con altri elementi minerali.
L’assorbimento viene favorito da alimenti di origine animale e da amminoacidi, mentre è inibito da
massicce presenze di fibra, fitati, tannini, caffeina, elevate quantità di ferro e rame nella dieta,
perché va in competizione con questi minerali.
Dose raccomandata: 7-10 mg/die. Fonti sono alimenti di origine animale. Nei vegetali non è molto
biodisponibile a causa della presenza di fitati, acido fitico e fibra. Sintomi da carenza sono disturbi
della crescita, ipogonadismo, infertilità, alterazioni cutanee, cicatrizzazione difficoltosa.

- Rame
Il corpo umano ha circa 50-120 mg di rame. La metà si trova nei muscoli e nello scheletro e l’altra
metà nel fegato, nel sangue e nel cervello. Il neonato ha una riserva di Cu nel fegato perché il latte
materno ne è povero di conseguenza il neonato ha una riserva sufficiente a superare i primi mesi
dell’allattamento. Ruolo fisiologico: è il cofattore di enzimi redox (ossidasi), è un componente della
ceruloplasmina, sostanza che favorisce l’assorbimento del ferro a livello intestinale.

Dose raccomandata: 0.8-1.2 mg. Fonti sono alimenti di origine animale (frattaglie, molluschi),
alimenti vegetali (frutta secca). Introduzione media italiana tra 3 e 4.5 mg, copriamo il fabbisogno.
L’assorbimento avviene nell’intestino tenue (≈10% per elevati apporti, perché dà luogo a tossicità
se introdotto in quantità elevata, invece aumenta a >50% con apporti bassi). E’ limitato da eccesso
di Fe e Zn, perché questi tre elementi vanno in competizione tra di loro per l’assorbimento a livello
intestinale.

- Manganese
Nell’organismo umano sono presenti 12-20 mg. Ruolo fisiologico è un cofattore e attivatore di
enzimi (appartenenti alla classe dei decarbossilasi, idrolasi, transferasi). L’assorbimento è pari a
circa il 10%, ma aumenta con bassi apporti. La presenza di elevate concentrazioni di Fe, Co e fitati
riduce l’assorbimento del Mn. Sintomi da carenza: ridotta sintesi di mucopolisaccaridi e ritardo
della crescita. Livelli di assunzione raccomandati: 1-10 mg/die. Introduzione media italiana: circa 2
mg. Fonti sono cereali e derivati (soprattutto integrali), vino, tè, legumi, crostacei e pesce e carne.

- Selenio
Molto variabile il contenuto nell’organismo (da 3 a 30 mg). Presente sia in forma inorganica
(seleniti e selenati) sia organica (selenoamminoacidi, selenometionina e selenocisteina, il selenio
sostituisce lo S, ma la struttura rimane la medesima). Molto influenzato dalla composizione dei
terreni di coltura, è abbondante in Canada, scarso in Cina e Finlandia, di conseguenza i vegetali
coltivati in Canada tenderanno ad essere più ricchi di selenio, rispetto ai cinesi e filandesi, anzi in
questi paesi è consigliata la fertilizzazione dei terreni di selenio. Non particolarmente abbondante
in Italia. Ruolo fisiologico: forma delle metalloproteine ad attività enzimatica (glutatione
perossidasi), ha un’azione antiossidante (potenziata dalla vitamina E). L’assorbimento avviene nel
duodeno ed in particolate le Selenometionina e selenocisteina sono più biodisponibili di seleniti e
selenati. Sintomi da carenza: cardiomiopatite, cataratta, artrite.

Fonti sono alimenti proteici (selenoamminoacidi), cereali integrali, germe di grano, pesci,
molluschi, crostacei, fegato, rognone, latticini. Dose raccomandata: 35-55 μg/die. Introduzione
media italiana tra 32-62 µg/die. In Italia, le principali fonti di Se sono i derivati del frumento
soprattutto quello duro. La pasta ha mediamente un maggior contenuto di Se rispetto al pane, fatto
tenenzialmente con grano tenero.

- Iodio
Nell’organismo sono presenti 10-20 mg di iodio. Principalmente contenuto nella tiroide (entrano
nella formulazione di alcuni ormoni come la tireoglobulina, triiodotironina, tiroxina, iodotironina).
Ruolo fisiologico: termogenesi, entra a far parte metabolismo glucidico, proteico e lipidico,
attivazione sintesi proteica, regolazione sintesi colestero e stimola la fissazione ossea del calcio.
Assorbimento avviene nel canale gastroenterico (I-).
Sostanze gozzigene: quando abbiamo studiato il gusto piccante, alcuni vegetali della famiglia delle
brassitacee, rafano, ravanello ecc. erano dati da sostanze chiamate glucosinolati, che liberano
tiocianati e isotiocianati, che oltre a conferire aroma piccante, provocano anche una ridotta
captazione dello iodio, che a casi estremi provoca la comparsa del gozzo tiroideo da carenza di
iodio. Fonti: pesce marino, latte, uova, sale iodato. Dose raccomandata: 0.15 mg/die. Sintomi da
carenza: ipofunzione della tiroide (cretinismo endemico, mixedema), gozzo.

- Cobalto
Contenuto nell’organismo umano: 1.5 mg. Ruolo fisiologico: presente nell’anello corrinico della
cianocobalamina (vit. B12), è un cofattore di enzimi. Assorbito a livello intestinale.
Le fonti alimentari sono fegato e frutti di mare. Sintomi da carenza: anemia. La carenza nel terreno
provoca problemi di salute agli animali da pascolo.

- Litio
Litiemia, concentranzione: 19 mg/L. Ruolo fisiologico: determina il funzionamento del sistema
nervoso, è un regolatore degli stati ansiosi e depressivi, stabilisce l’equilibrio del complesso
endocrino ipotalamo-ipofisi e del tasso di adrenalina e noradrenalina. Usato (in passato) in
psichiatria, per curare contratture muscolari e migliorare l’umore (concentrazioni catalitiche). Se
assunto in eccesso è tossico. Fonti alimentari: alghe, caffè, cacao

- Fluoro
Contenuto nell’organismo umano: 5 g. Il 96% si trova in ossa e denti, va a costituire la fluoro
apatite, costituente dello smalto. Ruolo fisiologico: mantenimento integrità scheletrica, prevenzione
della carie dentale. Dose raccomandata: 1.5-4 mg/die. Fonti alimentari: acqua potabile, the e tisane
perché preparate con acqua potabile, ed il pesce. Assorbimento: a livello gastrointestinale, quasi
completo nell’acqua, dal 30 al 60% negli alimenti.
Il contenuto di F negli alimenti può, stranamente, subire un incremento con la cottura in acque
fluorate, o con contenuto di fluoro particolarmente elevato, e con utensili trattati con teflon. La
biodisponibilità è ridotta da massicce quantità di Ca, Na e Al, infatti floruro di calcio, sodio ed
alluminio formano sali insolubili che andrebbero a limitare l’assorbimento del minerale.
L’assorbimento del F aumenta con la presenza di grassi. È raccomandata l’aggiunta di fluoro alle
acque potabili se il contenuto naturale è inferiore a 0.7 mg/L.

- Silicio
Presente in tracce nell'organismo ma distribuito in tutti i tessuti. Ruolo fisiologico: sintesi di
collagene e tessuto connettivo (ossa, cartilagini, tendini, ecc.), costituente del tessuto osteoide.
Fonti alimentari principali sono la frutta (buccia), cereali integrali si concentra nella crusca,
aglio, cipolla e scalogno. Fabbisogno: 20-50 mg/die. Assorbimento favorito da: calcio, potassio,
manganese, boro. Sintomi da carenza: fragilità unghie, problemi a pelle e capelli. La prolungata
esposizione a elevate concentrazioni di silicio provoca la silicosi (malattia polmonare).

- Molibdeno
Contenuto nel corpo umano: 9 mg che si localizzano principalmente nel fegato.
Ruolo fisiologico: cofattore di enzimi (redox). Assorbimento: a livello intestinale (90%).
Fabbisogno: 0.05-0.1 mg/die. Le fonti alimentari sono latte, cereali, pane e fegato. La
concentrazione negli alimenti dipende dal terreno di coltivazione/allevamento. Un eccesso provoca
la gotta.
- Nichel
Contenuto nell’organismo umano: 1 mg. Presente in pancreas, ossa, saliva, sudore e siero. Allergie
da contatto date da bigiotteria di scarsa qualità (orecchini, cinturini, ecc.). Ruolo fisiologico: attiva
alcuni enzimi, facilita l'assorbimento del ferro presente negli alimenti, protezione delle membrane
cellulari. Sintomi da carenza: minor controllo glicemico, minor assorbimento del ferro, riduzione
della crescita e riduzione emopoiesi. Fonti alimentari: grassi e oli idrogenati in cui viene utilizzato il
nichel come catalizzatore, frutti di mare e cereali. Con una dieta equilibrata dei paesi occidentali
non si va praticamente mai incontro a carenze di macro e micro elementi se non in alcuni casi
particolari come il ferro in gravidanza.

Tossine chimiche e batteriche

Quando noi definiamo un rischio, lo definiamo come una funzione della gravità e della
probabilità che si verifichi un determinato pericolo per la salute. Parlando di alimenti bisogna
valutare il
pericolo per la salute derivato dall’assunzione della sostanza contenuta nell’alimento ed inoltre
bisogna valutare i livelli di assunzione di quella sostanza, ciò che viene chiamato dietary intake, la
valutazione dei livelli di assunzione viene fatta tenendo presente i dati disponibili sul consumo
degli alimenti ed i dati d’incidenza di una determinata patologia provocata da certe sostanze, ed
ovviamente bisogna tenere presente le normative messe a disposizione dall’UE. In realtà il rischio
legato agli alimenti che viene percepito generalmente dalla popolazione è molto diverso dal rischio
reale che può scaturire dal consumo di determinate sostanze. La popolazione percepisce come
principali rischi in tema di alimenti la presenza di residui di pesticidi, di ogm, additivi alimentari e
pone agli ultimi posti errori alimentari quindi scelte dietetiche sbagliate, tossine batteriche e
micotossine, in realtà dai dati scientifici i maggiori rischi per la salute con l’assunzione di alimenti
derivano dagli errori alimentari, che facciamo quotidianamente con la nostra alimentazione per un
eccessiva o troppo limitata assunzione di determinati nutrimenti, poi tossine batteriche e fungine e
solo agli ultimi posti pesticidi, additivi ed ogm.

- Rischio chimico alimentare è dovuto a diversi fattori


1. Materiale derivante da sintesi chimica
2. Materiali prodotti durante i processi di produzione e trasformazione alimentare
3. Xenobiotici
4. Sostanze indesiderabili che possiamo ritrovare accidentalmente negli alimenti

Dobbiamo distinguere il concetto di tossicità e pericolo: tossicità è la capacità di un composto di


produrre danni ad un organismo se considerato singolarmente, però non è detto che una sostanza
tossica costituisca necessariamente un pericolo ; pericolo è la capacità di un composto di essere
dannoso nelle normali circostanze che ne determinano l’impiego es. nella matrice alimentare.
Se noi abbiamo una sostanza tossica non è detto che essa costituisca un pericolo infatti se questa
sostanza tossica è presente in una concentrazione molto bassa, al di sotto al valore di soglia
necessario perché essa esplichi la sua tossicità, questa non costituirà necessariamente un pericolo.
Ci sono fattori che possono diminuire la pericolosità dei tossici: la bassa concentrazione naturale,
elevata capacità detossificante dell’organismo a livello epatico principalmente, limita poi la
pericolosità di una sostanza l’assenza di tossicità additiva con altre sostanze tossiche e l’effetto di
mutuo antagonismo.
L’esposizione a cui noi possiamo andare incontro può essere singola o cronica.
Singola quando ingeriamo un quantitativo abbastanza elevato di una sostanza tossica ma solo
per una volta, in questo caso si parla di tossicità acuta, al contrario abbiamo esposizione cronica
se assumiamo quantità abbastanza limitate di una sostanza tossica ma per un tempo prolungato,
avremo tossicità cronica.

L’accumulo e deposito di tossici all’interno dell’organismo è influenzato da tanti fattori:


caratteristiche chimico fisiche della sostanza tossica, le sue caratteristiche di polarità, molto polari
idrosolubile, solubili in acqua, o molto apolari liposolubile, in grassi. Tendono a dare un maggiore
bioaccumulo le sostanze liposolubili, perché tendono a depositarsi a livello dei grassi
dell’organismo e sono di più difficile escrezione, tendono a dare luogo a fenomeni di bioaccumulo.
La deposizione del tossico è influenzata da fenomeni di detossificazione che l’organismo mette in
atto per liberarsi della sostanza tossica. I principali fenomeni di detossificazione avvengono a livello
epatico, del fegato con conseguente escrezione biliare ma anche i reni giocano un ruolo importante
perché consentono un’escrezione urinaria delle sostanze tossiche in particolari di quelle
idrosolubili.

- Rischio chimico alimentare è dovuto a diversi fattori


1. Prodotti di sintesi: i residui di pesticidi, sostanze utilizzate in agricoltura per controllare le
infestazione dei parassiti; i residui di diserbanti, sostanze utilizzate in agricoltura per limitare lo
sviluppo delle erbe infestanti; i fertilizzanti; i residui di farmaci utilizzati in zootecnia; molecole
rilasciate dai materiali a contatto con gli alimenti come ad es. dal packaging; presenza
d’inquinanti ambientali come diossine, IPA idrocarburi policiclici aromatici, PCB policlorobifenili;
radionuclidi; infine metalli pesanti.

- Diossine comprendono tante molecole appartenenti a due diverse macrocategorie le


dibenzodiossine che sono diossine policlorurate o PCDD, e i dibenzofurani che sono
furanipoliclorurati o PCDF. Queste molecole hanno una struttura analoga ma differiscono per
l’anello centrale, nelle dibenzodiossine è un ciclo a 6 termini con due atomi di O mentre nei
dibenzofurani è un ciclo a 5 termini con un atomo di O. Entrambe sono sostanze cancerogene che
si originano da processi di combustione dai rifiuti solidi urbani, emisse dai motori a scoppio, da
impianti di riscaldamento e lavorazione della carta e dei metalli.

Le diossine si ritrovano anche come impurezze e residui di lavorazione in pesticidi ed erbicidi.


Essendo molecole molto apolari, sono molto persistenti nell’ambiente e si accumulano nei tessuti
adiposi, non ci sorprende che la maggior parte delle diossine si ritrovino in alimenti che hanno una
certa frazione di grasso. Gli alimenti più accumulati dalle diossine sono il latte, latticini, pesce
d’acqua dolce e di mare, carne e uova.

«Polli alla diossina» (Belgio) – 1999. Scandalo di un mangime altamente contaminato da diossina
che è stato comunque somministrato al pollame, con la conseguenza che la diossina è passata dal
mangime al pollame, il pollame l’ha depositato del suo grasso ed ha causato la presenza di elevati
livelli di diossine in carne di pollo e nelle uova. Questo scandalo ha indotto il ritiro dei prodotti dal
mercato europeo.

- Policlorobifenili (PCB), nome che deriva dalla loro struttura in cui abbiamo due gruppi fenilici a
cui sono legati molti atomi di cloro, quindi sono idrocarburi alogenati e sono prodotti dall’industria
della plastica, delle vernici e dai processi di combustione. I PCB vanno incontro a fotodegradazione,
si degradano con la luce quando essi si ritrovano nell’aria, a livello dell’acqua e del suolo sono
molto
persistenti e la loro decomposizione è molto lenta. Come le diossine, si depositano nel grasso degli
animali, hanno un’elevata lipofilia e scarsa velocità di eliminazione, con conseguente bioaccumulo.
I PCB si ritrovano soprattutto nell’atmosfera e si concentrano ai poli del pianeta, dove le
temperature fredde li condensano e raggiungono il suolo. I contaminanti precipitano così in
superficie ed entrano nella catena alimentare. Gli orsi polari mangiano foche, che a loro volta si
nutrono di pesci artici. I PCB si accumulano nel grasso degli orsi e possono interferire con il
normale sviluppo sessuale del feto, infatti sono stati ritrovati 7 orsi polari ermafroditi su una
popolazione di 450.

2. Materiali prodotti durante i processi tecnologici, di trasformazione e produzione alimentare:


idrocarburi policiclici aromatici, nitrosammine, acrilamide, prodotti da Maillard, composti rilasciati
dai materiali a contatto con gli alimenti al packaging durante il processo (ITX) e radicali liberi per
irraggiamento.

- Idrocarburi policiclici aromatici (PAH) hanno una struttura idrocarburica e molto apolare,
derivano dalla combustione di materiali organici (legno, olio, braci). Si ritrovano nel cibo in seguito
a deposizione d’inquinamento atmosferico, possono generarsi all’interno dell’alimento durante i
processi produttivi come arrostimento a temperature elevate per tempi prolungati può portare a
quantità ingenti di PAH o durante l’affumicamento dove avviene una combustione per generare il
fumo che dà vita a PAH nell’alimento. Presentano caratteristiche di cancerogenicità quando la loro
concentrazione supera > 1 μg(microgrammo)/kg.

- Nitrosammine sono composti in cui abbiamo un gruppo nitro legato ad un’ammina, si formano
quindi per reazione dei nitriti con delle ammine, possono essere esogene se si generano
nell’alimento contenente nitriti quando questo viene trattato ad alte temperature, durante la
frittura o l’arrostimento, o endogene se si generano nel tratto gastrointestinale umano quando sono
presenti alte concentrazioni di nitriti ed ammine. Presentano le nitrosammine un’elevata
cancerogenicità. Durante i trattamenti termici degli alimenti, in particolare quelli condotti ad alte
temperature per tempi prolungati sono generate molte nuove molecole che non erano presenti
nelle materie prime di partenza. Esempio le patate riscaldate a 200°C per 1h40’ senza grassi
aggiunti, andiamo a generare 230 nuovi composti chimici appartenenti alle classi più svariate come
idrocarburi saturi e insaturi, idrocarburi aromatici, acidi carbossilici, alcoli, aldeidi e chetoni, esteri
e lattoni, furani, pirazine, tiazoli, ossazoli, composti ad alto PM.

Analiticamente i PAH si vanno a determinare con gascromatografia e con cromatografia liquida,


determino quali e quanti PAH, mentre le nitrosammine si vanno a determinare i loro addotti.

3. Xenobiotici: agenti patogeni, micotossine, tossine algali e tossine batteriche.

- Tossine batteriche, il 60-90% dei contaminanti alimentari sono di origine batterica. Possono
causare intossicazione come avviene per la tossina butolinica prodotta dal batterio Clostridium
botulinum, causano malattie da spore patogene (Clostridium perfringens; Bacillus cereus), infezioni
(Salmonella spp.; Shigella spp.), infine possono portare malattie ad eziologia non chiara
(Escherichia coli, Pseudomonas spp.).

Classificazione delle tossine batteriche: Esotossine escrete dal microrganismo durante lo sviluppo
(batteri Gram +) costituite da materiale proteico antigenico (es. neurotossina botulinica);
Endotossine rilasciate dal microrganismo alla sua morte (batteri Gram -) costituite da materiale
proteico, polisaccaridico e lipidico (es. salmonellosi, tifo e paratifo).
Tossine algali e fungine

Tossine algali - Il consumo di molluschi e alcune specie di pesci tropicali potrebbe risultare
rischioso per l’accumulo di ficotossine lungo la catena alimentare marina. Probabile in alcuni
periodi dell’anno in cui c’è uno sviluppo incontrollato di tipologie di alghe, es. alghe rosse o
dinoflagellati, durante questi periodi i molluschi sono più contaminati da micotossine, fenomeno
più frequente nella costa occidentale degli Usa e Nuova Zelanda.

Diverse tossine di origine algale e le diverse sindromi:

- Intossicazione paralitica o PSP (paralytic shellfish poisoning) è una grave intossicazione con
elevato grado di mortalità, una persona morta su 10 intossicate. Morte avviene per paralisi
respiratoria, in breve tempo 5 minuti – 2 ore dopo l’ingestione. Causa è la molecola saxitossina
ed analoghi con una struttura tetraidropurinica, prodotte da dinoflagellati del genere
Alexandrium, Gymnodinium, Pyrodinium. I vettori di questa tossina sono i molluschi (mitili,
ostriche).

La contaminazione PSP, endemica lungo le coste occidentali del Nord America, si è ripetutamente
manifestata in altre parti del mondo. Le tossine sono polari, idrosolubili e relativamente
termostabili, dunque cuocere i molluschi non serve per inattivare la tossicità, inoltre le strutture
carbammate sono le più tossiche.

Meccanismo d’azione della paralisi: blocco dei canali del sodio voltaggiodipendenti, in maniera
selettiva e con alta affinità, che impedisce la trasmissione degli impulsi nervosi, si ha pertanto una
paralisi flaccida. Saggio biologico sul topo, si guarda il tempo di sopravvivenza del topo che ha
ricevuto il derivato della tossina oggetto di studio, rispetto al topo che ha ingerito saxitossina pura.
Quantità massima ammessa è 80 μg/100 g di polpa di mollusco.

- Intossicazione diarroica o DSP (diarrhetic shellfish poisoning) si manifesta con vomito e diarrea
profusa (30 minuti – 2 ore dopo l’ingestione). La guarigione in tre giorni ed è particolarmente
frequente in Giappone ed Europa.

Causa è l’acido okadaico, molecola grande e dalla struttura complessa, e derivati sempre tossici,
prodotti dal genere Dinophysis, i derivati si chiamano DTX o dinofisistossine. I vettori sono
molluschi (mitili, ostriche). L’acido okadaico (40 μg) e DTX1 (36 μg) sono derivati polieterei di
acido grasso C38, a 38 atomi di C. L’acido esplica la sua tossicità che va ad inibire la protein
fosfatasi.

- Intossicazione neurotossica o NSP (neurotoxic shellfish poisoning) dà come sintomi nausea,


vomito, diarrea (entro 3 ore dall’ingestione). Guarigione in 3 giorni. Causa sono le brevetossine,
prodotti dal genere Gymnodium breve. I vettori sono molluschi (vongole, ostriche). Luogo in cui si
verifica frequentemente America settentrionale e Nuova Zelanda. Meccanismo d’attivazione: va ad
interferire con i canali del sodio voltaggio-dipendenti, in caso c’è un’attivazione persistente porta
scariche di potenziali ripetute.

- Intossicazione amnesica o ASP (amnesic shellfish poisoning) è molto più grave, i sintomi
sono amnesia a breve e medio termine, disorientamento, neuropatia, convulsioni e, talvolta,
morte (entro tre giorni dall’ingestione). Causa è l’acido domoico, prodotto da diatomee del
genere Pseudonitzschia. I vettori: molluschi, granchi.
- Intossicazione ciguaterica o CFP (ciguatera shellfish poisoning)ha come sintomi un’alterata
percezione termica del caldo e del freddo, dolori vari, prostrazione, nausea, vomito, diarrea. E’ la
più potente tossina marina, solo lo 0.1 μg causa intossicazione nell’adulto. Causa sono ciguatossina
e maitotossina, prodotte da Gamberdiscus toxicus. I vettori sono pesci erbivori e carnivori della
barriera corallina (es. barracuda). Annualmente circa 50,000 persone che vivono o visitano aree
tropicali o sub-tropicali accusano sintomi da ciguatera. La mortalità è inferiore all’1%.

- Intossicazione da tetrodo tossina. I sintomi, come nella PSP, ma accompagnata da ipotensione,


pressione bassa. Morte entro 20-30 minuti (50% delle persone contaminate). Circa 125 casi mortali
all’anno. Causa è un batterio Shewanella alga. I vettori sono il pesce palla contaminato (pelle di
alcune rane e salamandre). Dose letale per via orale: 1.5-4 mg. Il pesce palla contaminato localizza
questa tossina a livello del fegato e ovaie che possono contenere fino a 30 mg (tossina)/100 g.(peso
fresco)

- Sindrome sgombroide è meno grave e spesso diagnosticata impropriamente come allergia


al pesce, è una delle intossicazioni di origine marina più frequenti. Sintomi: entro 10-30
minuti dall’ingestione di tonno e sgombro, reazioni istamino-simili con arrossamento
cutaneo, sudorazione, nausea, vomito, diarrea, prurito, cefalea, palpitazione ed orticaria,
anche edema facciale e broncospasmo nei casi più gravi. Causa è l’istamina, amminabioegena,
prodotta da degradazione decarbossilativa delle grandi quantità di istidina libera presenti nei
pesci
appartenenti alle famiglie Scombridae e Scombrescoidae, in particolare sgombri e tonni che avariati
assumono un sapore amaro e pungente.

- Micotossine sono dei metaboliti secondari prodotti del metabolismo secondario di funghi e muffe,
ci sono molte classi di micotossine come Aflatossine (Aspergillus) – Ocratossine (Aspergillus,
Penicillium, Fusarium) – Fumonisine (Fusarium) – Tricoteceni (Fusarium) – Patulina (Penicillium)
– Zearalenone (Fusarium).
I generi alimentari contaminati da micotossine sono:
a) Prodotti agricoli, le materie prime (cereali, semi oleosi, frutta e verdura) b) Cibi di consumo e ad
uso zootecnico (contaminazione secondaria) c) Residui in tessuti e prodotti di origine animale,
come mangimi contaminati da micotossine che porteranno a latte e derivati lattiero-caseari e carne
contaminati d) Cibi trattati con muffe – formaggi – prodotti carnei fermentati.

- Tossine da funghi

- Sindrome neurotossica o anticolinergica, la cui causa è l’acido ibotenico (agonista dell’acido


glutammico e mediatore eccitatorio). Sindrome a breve incubazione (2-4 ore dall’assunzione).
Sintomi: agitazione, disturbi psichici, allucinazioni, convulsioni, coma. Funghi che convengono
questa tossina sono Amanita muscaria e Amanita panterina

- Sindrome orellanica, dovuta alle tossine orellanina e orellina. Sindrome a lunga incubazione (6-12
ore e oltre dall’assunzione). Sintomi: anche dopo 15 giorni, danni renali anche irreversibili. Funghi:
Cortinarius orellanus e Cortinarius speciosissimus.
Sostanze indesiderabili

Lista: allergeni, glicoproteine come le lectine, inibitori delle proteasi, glicosidi ciano genici,
composti polifenolici come i tannini, alcaloidi da saprofiti (funghi), amminoacidi tossici, alcaloidi
(caffeina) e glicoalcaloidi (solanina) ed ammine vasopressorie (tiramina, dopamina, istamina).

- Allergeni alimentari
Gli allergeni sono composti di natura proteica o glicoproteica con un peso molecolare medio di 10-
40 kDa (dalton), in grado di indurre una reazione immunologica in un soggetto ad esso
sensibilizzato, reazione mediata da una specifica categoria di anticorpi, le immunoglobuline E o IGE.
Le eeazioni allergiche sono non-dose dipendenti, basta anche la presenza in tracce di un allergene
per scatenare la reazione immunitaria in un soggetto allergico. Questo è un problema legato agli
allergeni nascosti, es. se io ho un soggetto che è allergico alle proteine del latte, questo soggetto
essendone consapevole eviterà il consumo di latte e prodotti lattiero-caseari ma potrebbe
ingenuamente mangiare una salsiccia ed un wuster in cui sono state utilizzate delle proteine del
latte come emulsionanti e questo potrebbe provocare una grave reazione allergica, è importante
dichiarare in etichetta tutti gli ingredienti e mettere in particolare evidenza quelli responsabili di
allergia, di solito in grassetto.

Classificazione delle reazioni avverse agli alimenti, sono di due tipologie principali. Ci sono reazioni
avverse agli alimenti che avvengono in tutti gli individui, abbiamo visto ad es. le intossicazioni
dovute a tossine ma ci possono essere anche reazioni a farmaci o microorganismi e queste
interessano tutti i soggetti che ne consumano una sufficiente quantità. Ci sono poi reazioni agli
alimenti che interessano solo alcuni soggetti sensibili come l’ipersensibilità alimentare e
l’avversione ed intolleranza psicologica.

Le allergie entrano nell’ipersensibilità alimentare!


Le reazioni d’ipersensibilità alimentare comprendono
- le reazioni di ipersensibilità alimentare non allergica, es. intolleranza al lattosio che è dovuta ad
una anormalità metabolica ovvero all’assenza dell’enzima lattasi che va a scindere il lattosio in
glucosio e galattosio, oppure può essere dovuta ad un meccanismo sconosciuto.
- le allergie alimentari che possono essere non mediate da IgE o mediate da IgE, queste sono le
allergie alimentari vere e proprie che colpiscono nel mondo 1-3% adulti 4-6% bambini, le allergie
dei bambini sembrano risolversi con il passaggio all’età adulta.

Allergeni possono essere


Manifesti come possono essere quelli del polline o di determinati alimenti come kiwi, mela o
proteine (soia, grano, riso, ecc.).
- Non evidenti, nascosti come l’utilizzo di proteine allergeniche in cibi funzionali o ricostituiti.

Le principali fonti allergeniche di origine animale sono il latte vaccino, uovo, pesce, crostacei, e
quelle di origine vegetale sono i cereali, frutta e verdura fresca, frutta secca e semi. A livello
europeo sono state individuate 8 macro categorie di alimenti principali responsabili delle allergie
alimentari: uova, pesce, latte, sesamo, frutta a guscio, frumento, molluschi e crostacei, arachidi e
soia.

La stabilità di un allergene al calore, quindi ai trattamenti termici o all’idrolisi enzimatica può


essere anche molto diversa ed inoltre cambia anche l’importanza degli allergeni come allergeni
nascosti. - Arachide e derivati gli allergeni sono stabili ai trattamenti termici e parzialmente stabili
all’idrolisi enzimatica, ed è importante la loro presenza come allergeni nascosti, perché spesso le
aziende che lavorano arachidi, lavorano altri alimenti in cui l’arachide non entra necessariamente a
far parte dell’alimento ma essendo lavorati nello stesso stabilimento questi alimenti potrebbero
contenere tracce di arachide (etichetta). - Soia e derivati sono parzialmente stabili sia ai trattamenti
termici sia all’idrolisi enzimatica, importanti anch’essi come allergeni nascosti perché utilizzate
come proteine funzionali in diversi alimenti e stanno assumendo un’importanza molto rilevante
visto il diffondersi di diete vegane e vegetariane - Frutta a guscio e derivati sono parzialmente
stabili ad entrambi, importanti allergeni nascosti. - Semi di sesamo e derivati sono importanti
allergeni nascosti. - Cereali e derivati, le proteine del glutine che spesso vengono aggiunte come
ingredienti funzionali in altri prodotti e sono anche parzialmente stabili ai trattamenti termici. -
Frutti in particolare della famiglia delle Rosaceae come albicocche, pesche, mele ecc. questi
allergeni sono distrutti dai trattamenti termici e sono sensibili all’idrolisi enzimatica. - Frutti
associati al lattice (avocado, banana, papaya, kiwi, melone) non abbiamo dati necessari ma
sappiamo che non sono allergeni nascosti. - Sedano e derivati sono parzialmente stabili al calore ma
si idrolizzano enzimaticamente e sono importanti allergeni nascosti. - Carota e derivati sono labili al
calore.

Tossici naturali:
- Le fitoalessine, sostanze tossiche presenti naturalmente nelle piante, possono essere prodotti di
scarto del metabolismo delle piante, prodotti di vie metaboliche in disuso della piante e la pianta
può produrle come deterrenti chimici verso predatori come sistema di difesa. Solitamente queste
sostanze si percepiscono amare al palato, durante l’evoluzione i mammiferi hanno imparato a
difendersi dall’eccessiva ingestione di queste sostanze.
Appartengono a diverse classi di composti: cumarine, furocumarine, isoflavonoidi, alcaloidi,
antrachinoni. Sono raccolte in apposite liste compilate da organizzazioni di controllo
internazionale: NETTOX LIST OF FOOD PLANT TOXICANTS EU-AIR NETTOX PROJECT (19951997).
La lista è stata definita presso la FAO e serve per identificare le sostanze tossiche e i relativi
limiti d’ingestione.

Esempi di fitoalessine:
Sedano contiene di norma 900 ppb (parti per miliardo) di psoralene. In passato fu individuata una
varietà di sedano che era particolarmente resistente agli attacchi degli insetti, il problema è che
questa varietà conteneva 9000 ppb di psoralene, dieci volte tanto. Questo alto contenuto di
psoralene era proprio alla base per porre resistenza all’attacco degli insetti però lo svantaggio era
che l’alta quantità andava a causare irritazioni, dermatiti nei contadini e braccianti, in chi veniva a
contatto con questo sedano. Questa varietà fu allontanata dal mercato.
Altro esempio è la patata che contiene di norma 70 ppm di solanina, sostanza tossica presente
naturalmente nella patata. Una mutazione resistente agli insetti è stata ritirata dal mercato per
l’eccessivo contenuto di solanina, dava tossicità gastrointestinale perché la cottura non bastava più
ad abbatterne il contenuto.

- Saponine sono glicosidi di steroidi o triterpenoidi. Hanno una struttura simile al colesterolo
perché derivano dalla stessa biosintetica. Presenti in diversi legumi quali piselli, lenticchie, semi di
soia sono forti agenti surfattanti, portano alla formazione di schiume perché vanno a diminuire la
tensione superficiale dell’acqua, questa loro funzione è dovuta alla presenza di una parte lipofila
dovuta alle catene carburiche ed una parte idrofila dovuta agli zuccheri, quindi al glicoside.
- Lectine o emoagglutinine sono contenute nella famiglia delle leguminosae. Queste proteine ad alto
peso molecolare (PM 10 alla 5 Dalton) si legano in particolare agli zuccheri presenti sulle superfici
dei globuli rossi, provocandone la coesione e la glutinazione. I legumi infatti evoluzionisticamente
si mangiano cotti, perché la cottura va ad inattivare queste lectine.

- Ricina in semi di ricino (Ricinus communis), «Ribosome-inactivating proteins» (RIPs), è una


sostanza molto tossica, è una proteina che inattiva i ribosomi. Altamente letale, 1 milligrammo di
ricina può uccidere un adulto. Nel 1978, la ricina è stata usata dai servizi segreti bulgari per
assassinare Georgi Markov, un giornalista bulgaro oppositore del governo. È importante lavorare
bene i semi di ricino perché l’olio non sia contaminato con queste sostanze.

- Alcaloidi sono molecole che generalmente contengono un ciclo con un atomo di N. Derivati da
piridina, piperidina o chinolizidina come gli alcaloidi dei lupini o del tabacco; alcaloidi tropanici
come tropina e pseudo tropina; alcaloidi chinolinici e alcaloidi isochinolinici come gli alcaloidi
dell’oppio; alcaloidi bisbenzilisochinolinici; alcaloidi indolici come gli alcaloidi dell’ergot,
stricnina; alcaloidi steroidei come i glicoalcaloidi; e gli alcaloidi purinici.

Tra gli alcaloidi più famosi abbiamo:


- Solanina nelle patate è un glicoalcaloide steroideo tipico delle Solanaceae ed è naturalmente
presente nelle patate ad una concentrazione 2-15 mg/100 g di peso fresco. Nelle patate diventano
verdi dopo l’esposizione alla luce e germogliano, la concentrazione aumenta fino a 100 mg/100 g.
Infatti non consumano le patate germogliate. E’ tossica la solanina perché è un inibitore
dell’acetilcolina esterasi, quando la sua concentrazione supera 2.8 mg/kg di peso corporeo si
iniziano ad avere i primi sintomi neurologici, può provocare lisi cellulare e causare irritazione
gastrica e danni emorragici.

- Alcaloidi dell’ergot sono classi di molecole che provocano l’ergotismo, malattia, nel Medioevo era
conosciuto come fuoco di Sant’Antonio, presentava sensazione di bruciore alle estremità con
conseguente cancrena e disturbi mentali. Presente soprattutto in Francia e Germania in cui era
diffuso il consumo di segale. Gli alcaloidi dell’ergot sono prodotti da un parassita Claviceps
purpurae o ergot che va a creare dei cornini sulle spighe di segale, i cornini contengono queste
sostanze tossiche.

Usi di alcuni alcaloidi:


Le proprietà tossiche possono essere sfruttate a nostro favore per alcune applicazioni es. Atropina
della pianta Atropa belladonna è utilizzata come anti-colinergico, la Nicotina estratta dalla
Nicotiana tabacum è un insetticida, la Tomatina estratta dal Lycopersicon esculentum è un
fungicida, la Colchicina dal Colchicium autunnale è utilizzata per disturbi intestinali, la Stricnina dal
Strychnos nux-vomica è un rodenticida, per uccidere ratti e topi, la Cocaina dal Erytthroxylon coca è
un anestetico locale, la Chinina e la Chinidina da Cinchona ledgeriana è un anti-malarico e
stimolante cardiaco, la Vincristina e la Vinblastina da Catharantus roseus è utilizzato per il
trattamento della leucemia, la Morfina da Papaver somniferum è un analgesico, la Codeina è un
analgesico ed anti-tosse, infine la Sparteina da Lupinus luteus si utilizza come ossitocico in
ostetricia.

- Cumarine, l’8-metossipsoralene è presente nel sedano. Nel 1986 negli Stati Uniti c’era una varietà
resistente agli insetti conteneva 6,200 ppb di 8-metossipsoralene (invece di 800 ppb delle altre
varietà) portava gravi eruzioni cutanee e dermatiti perché le cumarine sono delle intercalanti del
dna vanno a posizionarsi al centro della doppia elica del dna, provocando dei danni.
Le cumarine sono presenti anche nel lime(Citrus aurantifolia) in cui sono presenti l’8-
metossipsoralene ed il 5-metossipsoralene. Frequenti i casi di fotodermatiti, arrossamento, tra i
bagnanti che «ingannano il tempo» sulle spiagge preparando il «margarita» e che si spruzzano
inavvertitamente il succo di lime sulla pelle.

- Fitoestrogeni sono molecole presenti nella soia in cui sono contenuti i glicosidi degli isoflavoni
daidzeina e genisteina. Alleviano i sintomi della menopausa ma in alte concentrazioni possono
alterare i cicli ormonali, inibire l’ovulazione e del ciclo mestruale, lesioni all’apparato
riproduttivo (in particolare, negli animali), sintomo visualizzato clover disease per la prima volta
in pecore australiane negli anni ’40 perché si alimentavano di trifoglio.

- Xantine, la dose letale è 10 g mentre la dose dannosa è >1 g. Provocano disturbi sensori,
insonnia, iperrespirazione, tachicardia, extrasistole, flash luminosi, mentre un eccesso
concomitante di caffeina e taurina può dare problemi cardiocircolatori.

- Ammine vasopressorie sono contenute nelle banane e nel platano, banana verde che si utilizza
fritta o cotta. Portano ad emicranie in individui sensibili. Malattie cardiache in Africa Orientale (fino
a 200 mg serotonina/die). Le ammine vasopressorie sono la Norepinefrina (banana 10 mg/100 g) –
Dopamina (banana 70 mg/100 g) – Tiramina (banana 8 mg/100 g) – Feniletilammina (cioccolato
10 mg/100 g) – Serotonina (banana 5 mg/100 g, platano 8 mg/100 g, pomodoro 1 mg/100 g).

- Nei Composti cianogenici è presente un gruppo ciano che può essere rimosso per idrolisi
generando acido cianidrico, il cianuro va a legarsi allo ione ferro dell’enzima citocromo ossidasi che
fa parte della catena respiratoria dei mitocondri, in questo modo si blocca la respirazione cellulare ,
impedisce l’utilizzo da parte dei tessuti e nei casi più gravi si arriva anche alla morte. Intossicazione
da acido cianidrico. Causa sono i glicosidi ciano genetici. La fonte sono semi di alcune Rosaceae,
mandorle amare (amigdalina), nocciolino interno delle albicocche, pesche, mele, semi di Linum
usitatissimum.

- Acido erucico. Sintomi sono il ridotto accrescimento, infiltrazione grassa a livello del miocardio e
del fegato. Causa è l’acido erucico, acido cis-13-docosenoico. La fonte sono olio di semi di alcune
Brassicaceae, Brassica napus (colza), Brassica rapa (rapa). Sono oli economici, quindi largamente
impiegati nell’industria, ma con un contenuto di acido erucico pari a 0.

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