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Il ciclo idrologico naturale è il processo compiuto dalle particelle d’acqua per effetto
di fenomeni naturali, all’interno dell’idrosfera terrestre.
Consideriamo le particelle d’acqua in sospensione costituenti una nuvola. In questa
circostanza l’𝐻2 𝑂 è pura. Quando le gocce d’acqua sospese unendosi tra loro diventano
sufficientemente pesanti, l’acqua precipita sulla superficie terrestre sotto forma di pioggia,
neve o grandine. Precipitando, l’acqua si arricchisce di sostanze costituenti l’atmosfera,
come 𝑂2 ed 𝑁2 . Scendendo verso gli strati più bassi si arricchisce anche di 𝐶𝑂2 , con il
quale l’acqua reagisce formando acido carbonico secondo la reazione di equilibrio
𝐻2 𝑂 𝐶𝑂2 𝐻2 𝐶𝑂3
+ ⇌
Acqua Anidride carbonica Acido carbonico
Quindi l’acqua piovana, cadendo, si arricchisce in 𝑂2, 𝑁2 , 𝐶𝑂2, acido carbonico e anche
microorganismi. A questo punto l’acqua può giungere in mare, su terreno montuoso o su
terreno pianeggiante. Se la pioggia cade su di un terreno montuoso calcareo, come ad
esempio quello degli appennini, l’acqua, che contiene 𝐶𝑂2, reagisce con il carbonato di
calcio secondo la reazione
𝐶𝑎𝐶𝑂3 𝐻𝑂 𝐶𝑂2 𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2
+ 2 + ⇌
Carbonato di calcio Acqua Anidride carbonica Bicarbonato di calcio
Il bicarbonato di calcio è molto solubile in acqua e si muove con essa. Dunque l’acqua si
arricchisce in 𝐶𝑎2+ ed 𝐻𝐶𝑂3− mentre la montagna si erode. Questo fenomeno è detto del
carsismo.
Se la pioggia cade sul suolo pianeggiante, in parte ruscella e in parte si infiltra
alimentando le falde acquifere. Queste piogge, già ricche delle sostanze atmosferiche,
tendono a reagire anche con le sostanze presenti nel suolo con le quali vengono a
contatto. In particolare in questa fase l’acqua delle nostre zone si arricchisce di 𝐹𝑒, 𝑀𝑛 e
𝐴𝑠 (ferro, magnesio e arsenio) in quanto il terreno è vulcanico.
In ogni caso, ruscellando o infiltrandosi, l’acqua giunge infine in mare. Il mare, i laghi e i
fiumi sono dei serbatoi d’acqua dai quali l’𝐻2 𝑂 può evaporare e ricondensare
nell’atmosfera, dando nuovamente vita al ciclo.
Per poter utilizzare l’acqua per fini antropologici (ad esempio nei centri urbani, nelle
industrie, ecc.), questa va quasi sempre trattata, in quanto non idonea allo scopo. Quindi
si individua un corpo idrico da cui prelevarla e, prima di inviarla all’utenza, si interviene con
un impianto in cui se ne modificano le caratteristiche. Tali impianti sono detti impianti di
trattamento delle acque di approvvigionamento o, nel caso particolare in cui l’utenza sia
un sito urbano e quindi l’acqua deve essere resa potabile, si parla di impianti di
potabilizzazione (I.P.).
Dall’utenza l’acqua viene poi restituita all’ambiente in un corpo idrico ricettore. Tuttavia
non deve accadere che l’acqua, che si è contaminata, vada ad alterare gli equilibri che
sussistono in esso. Per questo motivo si utilizzano degli impianti detti impianti di
trattamento delle acque reflue o, più sinteticamente, impianti di depurazione (I.D.).
Schematicamente
Parametri fisici
ST
La prima misura che si effettua per valutare la qualità di un’acqua è quella dei solidi
totali in essa contenuti.
Per misurare tale parametro si raccoglie un campione e si lascia evaporare
completamente l’acqua, riscaldandola fino ad una temperatura di 105°. L’apparecchiatura
in cui si esegue il processo è la stufa e l’acqua vi rimane per circa 2h. Una volta evaporata
l’acqua si pesano i solidi residui per differenza tra il peso del contenitore e quello dello
stesso quando è vuoto. Poiché, chiaramente, la massa dei solidi residui è funzione del
volume del campione considerato, i ST si esprimono come una concentrazione, ossia
come rapporto tra la massa dei solidi e il volume del campione [mg/l].
Nel campo delle acque potabili il parametro viene definito residuo fisso a 180° e si esprime
sempre in [mg/l].
Poiché i solidi totali non danno alcuna informazione in merito alla natura dei solidi presenti
nell’acqua, esistono altri parametri più specifici.
STV e STNV
Tali parametri servono ad indicare il contenuto di solidi organici e inorganici
contenuti nell’acqua. Questa distinzione è fondamentale in quanto gran parte delle
sostanze organiche sono biodegradabili, ovvero danno luogo in maniera spontanea ad
una serie di processi di trasformazione.
Per effettuare la misura si sfrutta la differenza di volatilità tra le sostanze organiche e
inorganiche. Raccolti quindi i solidi totali dalla stufa, questi vengono trattati in un’altra
apparecchiatura, detta muffola, dove subiscono un riscaldamento fino alla temperatura di
600-700°C, alla quale la parte organica brucia e passa alla fase areiforme, ottenendo la
divisione desiderata. La parte inorganica, infatti, subirebbe la stessa trasformazione a
temperature più alte, circa 900-1000°C. Si effettua quindi la pesatura dei solidi inorganici
residui alla stregua di quanto visto per i solidi totali. Si ottiene in questo modo la
concentrazione dei STNV, che si esprime sempre in [mg/l]. Quella dei STV si ricava per
differenza dai ST.
SST e SD
Un solido sospeso è un solido che conserva la propria identità in acqua (ad
esempio la sabbia), mentre un solido disciolto vi si disperde a livello molecolare (ad
esempio il sale). Per misurare questo parametro si esegue il filtraggio. Si prende un
campione d’acqua e lo si versa in un contenitore con collo di dimensioni standard. Sul
collo è sistemato un filtro: nello scorrere dell’acqua all’interno del contenitore rimangono
intrappolati nel filtro i solidi con dimensioni superiori a quelle dei fori. La dimensione dei
fori del filtro è anch’essa standardizzata ed è pari a 0.45 𝜇𝑚. Per prassi, si ritiene che tutti i
solidi rimasti sul filtro sono sospesi, mentre quelli all’interno del contenitore sono disciolti.
In realtà si tratta semplicemente di una convenzione in quanto esistono solidi sospesi con
dimensioni inferiori ai 0.45 𝜇𝑚. Per effettuare la misura si raccolgono i solidi residui sul
filtro, li si sottopone a seccatura e quindi a pesatura. In questo modo si ottiene il peso dei
solidi sospesi totali, mentre i disciolti si ottengono per differenza dai solidi totali. Anche i
SST e i SD si esprimono in [mg/l].
Colore
L’acqua di approvvigionamento destinata alla potabilizzazione deve essere
incolore, ma principalmente per questioni psicologiche. Infatti, se ad esempio l’acqua
contiene del ferro, che è bene per l’uomo assumere, questa si colora di rosso e non viene
bevuta.
Per misurare il colore dell’acqua questa viene confrontata con una serie di soluzioni
acquose di platino e cobalto di composizione nota. Tali metalli, infatti, colorano l’acqua in
funzione della loro concentrazione.
Odore e sapore
Tali parametri hanno significato nel caso in cui l’acqua sia destinata ad impianti di
potabilizzazione. L’acqua potabile deve risultare infatti insapore e inodore.
Un campione d’acqua viene fatto valutare da persone esperte. Nel caso in cui l’acqua
abbia odore e sapore, questa viene miscelata con un volume equivalente di acqua
distillata, e quindi si esegue nuovamente la valutazione. Il procedimento viene iterato
fintantoché l’acqua può essere considerata inodore e insapore. Questi parametri si
esprimono mediante il tasso di diluizione, definito come
𝑉
𝑇. 𝐷. = 𝑉 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 .
𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒
Torbidezza
La torbidezza è un’ulteriore misura del contenuto dei solidi sospesi. Questa si
valuta facilmente e fornisce informazioni supplementari, ovvero è un indice non solo del
contenuto dei solidi sospesi, ma anche del loro grado di frazionamento.
Per misurare la torbidezza si utilizza il nefelometro, un’apparecchiatura costituita da tre
parti: una sorgente luminosa di lunghezza d’onda e intensità note, un vano trasparente per
accogliere il campione d’acqua da analizzare e un rilevatore d’intensità di raggi luminosi.
Mediante il nefelometro, quindi, è possibile misurare l’assorbimento della luce che passa
attraverso il campione; tanto più l’acqua è torbida, tanto maggiore è l’assorbimento.
L’unità di misura della torbidezza è l’unità equivalente di formazina, una soluzione
acquosa torbida. Si preparano vari campioni in diverse concentrazioni e se ne misura
l’assorbimento della luce. In questo modo si ottiene una scala di taratura con la quale
confrontare il valore di assorbimento del campione analizzato.
Conducibilità
La conducibilità di un’acqua, ossia la sua capacità di condurre corrente elettrica, è
tanto maggiore quanto più alta è la concentrazione di specie ioniche disciolte.
La conducibilità si misura tramite una sonda da inserire nel campione d’acqua e si esprime
𝜇𝑆
in ⁄𝑐𝑚 (𝑆 = Siemens). Il legame tra conducibilità e concentrazione di specie ioniche
disciolte è dato dal rapporto
𝜇𝑆
𝑐𝑜𝑛𝑑𝑢𝑐𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡à [ ⁄𝑐𝑚]
~1 ÷ 2
𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑒 𝑖𝑜𝑛𝑖𝑐ℎ𝑒 [𝑚𝑔⁄ ]
𝑙
Parametri chimici
Va considerato poi che nelle acque reflue urbane vi sono, oltre a specie organiche
biodegradabili, anche sostanze inorganiche in grado di reagire con l’ossigeno, come ad
esempio i composti a base azotata contenuti nelle urine. Le reazioni di ossidazione di
queste specie, tuttavia, sono molto più lente e si innescano dopo circa 6-7 giorni.
COD e BOD
Dalla misura di COD e BOD è possibile determinare la concentrazione di:
- sostanze rapidamente biodegradabili 𝑅𝐵 𝐶𝑂𝐷~𝐵𝑂𝐷5 ;
- sostanze lentamente biodegradabili 𝑆𝐵 𝐶𝑂𝐷~𝐵𝑂𝐷20 − 𝐵𝑂𝐷5 ;
- sostanze non biodegradabili 𝑁𝐵 𝐶𝑂𝐷~𝐶𝑂𝐷 − 𝐵𝑂𝐷20 .
Durezza
La durezza rappresenta la concentrazione di ioni con valenza 2+ provenienti dai sali
solubili in acqua, ed è un parametro che ha senso solo per le acque di
approvvigionamento. La durezza è dovuta sostanzialmente alla presenza degli ioni 𝐶𝑎2+
ed 𝑀𝑔2+ .
I sali di calcio e magnesio disciolti in acqua sono 8:
1) 𝐶𝑎𝐶𝑂3 carbonato di calcio;
2) 𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2 bicarbonato di calcio;
3) 𝐶𝑎𝐶𝑙2 cloruro di calcio;
4) 𝐶𝑎𝑆𝑂4 solfato di calcio;
5) 𝑀𝑔𝐶𝑂3 carbonato di magnesio;
6) 𝑀𝑔(𝐻𝐶𝑂3 )2 bicarbonato di magnesio;
7) 𝑀𝑔𝐶𝑙2 cloruro di magnesio;
8) 𝑀𝑔𝑆𝑂4 solfato di magnesio;
La gran parte della durezza è data dai bicarbonati, in quanto i carbonati, in particolare
𝐶𝑎𝐶𝑂3, sono molto poco solubili.
L’unità di misura della durezza è la concentrazione di 𝐶𝑎𝐶𝑂3 equivalente.
L’acqua può essere classificata in funzione della durezza:
- acqua molle, se ha una durezza 𝐷 < 50 𝑚𝑔⁄𝑙 di 𝐶𝑎𝐶𝑂3;
- acqua poco dura, se ha una durezza 50 𝑚𝑔⁄𝑙 < 𝐷 < 150 𝑚𝑔⁄𝑙 di 𝐶𝑎𝐶𝑂3;
- acqua dura, se ha una durezza 150 𝑚𝑔⁄𝑙 < 𝐷 < 350 𝑚𝑔⁄𝑙 di 𝐶𝑎𝐶𝑂3;
- acqua molto dura, se ha una durezza 𝐷 > 350 𝑚𝑔⁄𝑙 di 𝐶𝑎𝐶𝑂3.
Inoltre esistono diverse classificazioni della durezza:
- durezza calcica, dovuta alla presenza degli ioni calcio (dai sali 1, 2, 3, 4);
- durezza magnesiaca, dovuta alla presenza degli ioni magnesio (dai sali 5, 6, 7, 8).
Questa classificazione è importante, in quanto 𝐶𝑎2+ ed 𝑀𝑔2+ in acqua vengono trattati
differentemente.
- durezza carbonica (dai sali 1, 2, 5, 6);
- durezza non carbonica (dai sali 3, 4, 7, 8).
Anche in questo caso i trattamenti sono diversi per le due tipologie di sali.
- durezza temporanea (dai sali 1, 2, 5, 6);
- durezza permanente (dai sali 3, 4, 7, 8).
I sali che danno durezza temporanea precipitano al crescere della temperatura, e i sali
sospesi e non disciolti non contribuiscono alla durezza, che è legata alla presenza di
specie ioniche. In particolare, la durezza temporanea si annulla alla 𝑇 di ebollizione.
Alla durezza sono dovuti tutta una serie di problemi.
- La presenza del bicarbonato di calcio, infatti, è legata alla reazione di equilibrio
𝐶𝑎𝐶𝑂3(𝑠) + 𝐻2 𝑂(𝑙) + 𝐶𝑂2(𝑎𝑞) ⇋ 𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2. Al crescere della temperatura la reazione
si sposta verso sinistra, con formazione di 𝐶𝑎𝐶𝑂3 che, in quanto molto poco
solubile, precipita e sedimenta, formando incrostazioni di calcare. Queste possono
quindi, con il passare del tempo, otturare tutte le tubazioni nelle quali vi è il
passaggio di acqua dura soggetta a un aumento di temperatura, come ad esempio
le tubazioni domestiche, industriali o degli acquedotti. Il calcare offre resistenza allo
scambio termico, pertanto un tubo incrostato scambia peggio il calore, inoltre il tubo
ha una sezione di passaggio minore e quindi aumentano le perdite di carico.
- L’acqua con durezza, inoltre, ha un punto di ebollizione più alto rispetto all’acqua
molle, e ciò comporta un aumento del dispendio di energia.
-In acque dure è poi necessario utilizzare quantità maggiori di detergenti, poiché
questi ultimi reagiscono con i sali.
- In lavatrice, i precipitati potrebbero essere trattenuti dai tessuti, indurendoli.
- I sali che danno durezza hanno effetto lassativo, e possono provocare calcoli renali.
La durezza non va eliminata completamente nelle acque destinate all’uso potabile, le quali
devono contenere una certa quantità di sali in quanto utili all’organismo, mentre l’acqua di
processo destinata agli stabilimenti industriali non deve avere durezza, poiché è
continuamente soggetta a variazioni di temperatura, con conseguente formazione di
incrostazioni e incrementi di dispendi energetici per le ragioni suddette.
[𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2 ]𝑒𝑞
= 𝐾𝑒𝑞
[𝐶𝑂2 ]𝑒𝑞
[𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2 ]
1. < 𝐾𝑒𝑞
[𝐶𝑂2 ]
Accade se l’acqua piovana, ricca di 𝐶𝑂2, non è venuta a contatto con carbonato di
calcio. In tal caso l’acqua risulta acida ed ha un’azione corrosiva sulle tubazioni,
venendo pertanto detta acqua aggressiva. Un’acqua di questo tipo va
preventivamente sottoposta a strippaggio di 𝐶𝑂2, ossia un processo che consiste
nell’agitazione dell’acqua per permettere il rilascio dei gas.
[𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2 ]
2. > 𝐾𝑒𝑞
[𝐶𝑂 ] 2
In questa circostanza la (1) si sposta verso sinistra con conseguente formazione di
carbonato di calcio, il quale essendo insolubile in acqua provoca incrostazioni sulle
pareti delle tubazioni, con tutti i problemi che ne derivano. In tal caso l’acqua è
detta appunto incrostante, e va sottoposta preventivamente ad insufflazione di 𝐶𝑂2 .
L’insufflazione è un processo che consiste nell’immissione in acqua di una corrente
di anidride carbonica, ridotta in bolle di piccole dimensioni per mezzo di un
diffusore.
[𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2 ]
3. = 𝐾𝑒𝑞
[𝐶𝑂 ]
2
E’ la condizione ottimale, ma chiaramente anche la meno frequente, nella quale
non si verificano le problematiche di cui sopra. Mediante lo strippaggio o
l’insufflazione di 𝐶𝑂2 nel caso rispettivamente di acqua aggressiva o incrostante, ci
si pone quindi l’obiettivo di raggiungere le condizioni più prossime a quelle di
equilibrio.
pH
Il 𝑝𝐻 è una funzione matematica definita come
𝑝𝐻 = −𝑙𝑜𝑔10 [𝐻 + ], con [𝐻 + ] ∈ [10−14 ; 1] ⟹ 𝑝𝐻 ∈ [0; 14].
La reazione di dissociazione dell’acqua e la relativa costante di equilibrio sono, infatti,
+ −
𝐻2 𝑂(𝑙) ⇌ 𝐻(𝑎𝑞) + 𝑂𝐻(𝑎𝑞) , 𝐾𝑒𝑞 = [𝐻 + ][𝑂𝐻 − ] = 10−14 .
Poiché in acqua pura [𝐻 + ] = [𝑂𝐻 − ] si ha 𝐾𝑒𝑞 = [𝐻 + ]2 = 10−14 ⟹ [𝐻 + ] = 10−7 ⟹ 𝑝𝐻 = 7.
L’acqua con 𝑝𝐻 = 7 si dice neutra, con 𝑝𝐻 < 7 acida, con 𝑝𝐻 > 7 basica o alcalina.
Studiare il 𝑝𝐻 è importante perché:
- Regola l’equilibrio di molte reazioni chimiche.
Nelle acque reflue urbane si trova lo ione ammonio 𝑁𝐻4+
+ −
(2) 𝑁𝐻4(𝑎𝑞) + 𝑂𝐻(𝑎𝑞) ⇌ 𝑁𝐻3(𝑙) + 𝐻2 𝑂(𝑙)
L’ammoniaca è 10 volte più tossica dello ione ammonio, e nel passaggio del 𝑝𝐻 da
7 a 8 la reazione (2) si sposta verso destra;
- Regola la disinfezione.
Nella fase di disinfezione si aggiunge 𝐶𝑙2 all’acqua, dando luogo alla reazione
+ −
(3) 𝐶𝑙2(𝑔) + 𝐻2 𝑂(𝑙) ⇌ 𝐻𝐶𝑙𝑂 + 𝐻(𝑎𝑞) + 𝐶𝑙(𝑎𝑞)
(𝐻𝐶𝑙 è un acido forte e in acqua è sempre dissociato completamente).
L’acido cloridrico 𝐻𝐶𝑙 non ha potere disinfettante, mentre lo possiede l’acido
ipocloroso 𝐻𝐶𝑙𝑂. In acqua
+ −
(4) 𝐻𝐶𝑙𝑂 ⇌ 𝐻(𝑎𝑞) + 𝐶𝑙𝑂(𝑎𝑞)
Lo ione ipoclorito 𝐶𝑙𝑂− ha potere disinfettante nettamente inferiore.
Il pH regola gli equilibri (3) e (4), determinando l’efficienza della disinfezione.
𝑝𝐻 < 5 (3) a sinistra Prevalenza di 𝐶𝑙2, senza
(4) a sinistra potere disinfettante
𝑝𝐻 = 5 (3) a destra Prevalenza di HClO,
(4) a sinistra massimo potere
disinfettante
𝑝𝐻 > 5 (3) a destra Prevalenza di 𝐶𝑙𝑂− , basso
(4) a destra potere disinfettante
Alcalinità
Misura la capacità dell’acqua di neutralizzare l’acidità, ossia il suo potere tampone. Le
specie ioniche che conferiscono all’acqua tale potere sono:
- 𝑂𝐻 − ione idrossido
- 𝐻𝐶𝑂3− ione bicarbonato
- 𝐶𝑂32− ione carbonato
che reagiscono spontaneamente con 𝐻 + secondo le reazioni di equilibrio
− +
𝑂𝐻(𝑎𝑞) + 𝐻(𝑎𝑞) ⇌ 𝐻2 𝑂(𝑙)
− +
𝐻𝐶𝑂3(𝑎𝑞) + 𝐻(𝑎𝑞) ⇌ 𝐻2 𝐶𝑂3(𝑠)
2− + −
𝐶𝑂3(𝑎𝑞) + 𝐻(𝑎𝑞) ⇌ 𝐻𝐶𝑂3(𝑎𝑞)
L’alcalinità è data dalla somma delle concentrazioni di queste tre specie.
Nutrienti
Per nutrienti si intendono gli elementi e i composti che costituiscono le cellule,
pertanto sono responsabili della loro crescita e indispensabili per la vita.
I nutrienti sono:
𝑁𝑎+ , 𝐾 + , 𝐶𝑎2+ , 𝑀𝑔2+ detti oligoelementi, sono necessari in
piccole quantità. In acqua sono presenti in
misura sufficiente per la vita;
𝐶, 𝑂, 𝐻, 𝑁, 𝑃 Sono necessari in grandi quantità.
𝐶, 𝑂, 𝐻 sono disponibili in larga misura,
mentre 𝑁 e 𝑃 non sono sempre disponibili,
pertanto sono detti nutrienti essenziali.
Tuttavia, se questi ultimi sono in eccesso,
comportano l’eutrofizzazione dei corpi idrici.
Un eccesso di nutrienti essenziali, infatti, causa una eccessiva crescita di vegetali in
acqua. Le alghe hanno un effetto positivo in quanto producono 𝑂2 per mezzo della
fotosintesi clorofilliana ma, se presenti in eccesso, quando in inverno muoiono e fungono
da cibo per i batteri, questi ultimi consumano 𝑂2 per decomporle con velocità maggiore di
quella di solubilizzazione dell’ossigeno stesso in acqua. L’assenza di 𝑂2 in acqua è una
situazione detta di anossia: le specie animali muoiono, diventando a loro volta cibo per i
batteri, i quali in condizioni anaerobiche possono sopravvivere e producono sostanze
tossiche per le piante. Con questo processo, dunque, scompaiono le forme di vita.
Le forme in cui l’azoto 𝑁 si trova in acqua sono:
- 𝑁2(𝑎𝑞) , azoto gas solubilizzato, presente in piccole quantità, inerte;
+
- 𝑁𝐻4(𝑎𝑞) , ione ammonio disciolto, è indice di inquinamento, proviene da scarichi
civili non trattati adeguatamente;
- 𝑁𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐𝑜 , proviene da scarichi civili non trattati, è contenuto nelle proteine;
- 𝑁𝑂2− , nitriti, e 𝑁𝑂3− , nitrati, possono essere di origine naturale e non. Nel secondo
caso provengono dai fertilizzanti.
+
𝑁𝐻4(𝑎𝑞) ed 𝑁𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐𝑜 sono le specie azotate in forma ridotta e provengono dalle acque
reflue. 𝑁𝑂2− ed 𝑁𝑂3− sono in forma ossidata e sono assenti negli scarichi.
Per calcolare la concentrazione di 𝑁 dovuta allo ione ammonio basta osservare che
𝑀𝑁 14
= = 0.77 ⇒ [𝑁] = 0.77[𝑁𝐻4 ]
𝑀𝑁𝐻4 18
Per conoscere [𝑁] dovuto a tutti i suoi composti in forma ridotta si utilizza il TKN (Total
Kjeldhal Nitrogen). Tale parametro è importante in quanto le specie azotate in forma
ridotta riversate in un corpo idrico superficiale tendono a reagire con l’𝑂2 disciolto,
abbassandone la concentrazione e, di conseguenza, favorendo l’eutrofizzazione.
Per conoscere la quantità di 𝑁 in tutte le sue forme, eccetto quella gas, si usa il TN (Total
Nitrogen).
Il fosforo 𝑃 è presente in acqua sotto forma di fosfati 𝑃𝑂43− . Esso non è tossico in
acqua ma rappresenta, si può dire, il reagente limitante il processo di eutrofizzazione,
ovvero anche in eccesso di 𝑁 ma non di 𝑃 il fenomeno non si verifica. E’ sufficiente
dunque limitare la concentrazione di fosforo, esistono infatti delle normative che ne
regolano le quantità nei detersivi.
Parametri microbiologici
In Italia vi sono anche delle norme per le acque uscenti dagli I.P., ossia per stabilire
se siano potabili o meno.
Il D.Lgs. n. 31/2001 è entrato in vigore nel 2003, sostituendo la prima normativa, il D.P.R.
n. 236/1988, e il suo contenuto non è stato travasato nel D.Lgs. n. 152/2006. Il decreto del
2001 presenta una tabella in cui sono indicati i valori massimi di 54 parametri affinché
un’acqua possa essere considerata potabile. Se anche un solo valore dovesse superare
quelli indicati, l’acqua è classificata non potabile, ad eccezione della durezza, per la quale
è specificato un valore massimo consigliato.
Fase di grigliatura
Canale di by-pass
L’istallazione di una griglia comporta necessariamente la realizzazione di un canale
di by-pass, parallelo a quello principale. Nel caso in cui la griglia dovesse otturarsi, infatti,
è prevista una soglia stramazzante oltre la quale l’acqua può defluire nel canale di by-
pass.
Fase di Sedimentazione/Microstacciatura
Fase di Microstacciatura
E’ una fase di separazione con due uscite: l’acqua trattata e il microstacciato. Nel
ciclo di trattamento completo la fase di microstacciatura viene rappresentata con il simbolo
Fase di sedimentazione
La fase di sedimentazione ha l’obiettivo di eliminare i SSS già presenti nell’acqua
da trattare o formatisi nell’impianto per effetto di alcuni processi. Questa fase, infatti, si può
ritrovare anche in diverse posizioni nell’impianto. Quando prevista negli impianti di
potabilizzazione di un’acqua di fiume, subito a valle della grigliatura, questa fase è detta di
sgrossatura, in tutte le altre posizioni di sedimentazione.
La fase di sedimentazione o sgrossatura viene rappresentata schematicamente con il
simbolo
Il prodotto di scarto è rappresentato dal fango, ossia una miscela di acqua, per la maggior
parte, e SSS. Il fango è una vera e propria corrente idrica, tuttavia la sua portata 𝑄𝑓 è di
circa due ordini di grandezza più piccola di quella alimentata all‘impianto Q, pertanto in
uscita dalla fase di sedimentazione 𝑄 − 𝑄𝑓 ∽ 𝑄.
Il principio fisico si cui si basa la fase di sedimentazione è la maggiore densità dei
SSS rispetto all’acqua, nonché le loro dimensioni sufficientemente grandi da poter ritenere
trascurabili le forze di superficie rispetto alle forze di massa e di volume. La particella di
SSS è quindi soggetta alla forza peso 𝑃 = −𝜌𝑉 e alla forza di galleggiamento (o di
Archimede) 𝐺 = 𝜌𝑎 𝑉. La risultante 𝑅 = 𝑃 + 𝐺 = −(𝜌 − 𝜌𝑎 )𝑉 è rivolta verso il basso,
essendo 𝜌 > 𝜌𝑎 . La forza 𝑅 determina sulla particella di solido, che supponiamo
inizialmente in quiete, un’accelerazione 𝑎 = 𝑅⁄𝑚, con 𝑚 massa della particella. Nel corso
della caduta la forza di attrito viscoso 𝐴 si oppone al moto in misura crescente con
l’aumento di velocità della particella, fin quando non è raggiunto l’equilibrio 𝐴 = 𝑅 e il
solido scende verso il basso con velocità costante, che indicheremo con 𝑢. Tale velocità è
determinabile dal bilancio di forze di cui si è appena detto, pertanto 𝑢 =
𝑢(𝜌, 𝜌𝑎 , dimensioni della particella, forma della particella).
In realtà i calcoli non sono sempre così semplici, infatti nelle acque da trattare spesso
sono presenti concentrazioni di SSS tali da non poter trascurare i mutui effetti delle
particelle le une sulle altre. Un solido in moto in acqua, infatti, crea degli spostamenti di
fluido nelle zone immediatamente adiacenti ad esso, influenzando il percorso delle
particelle circostanti, se queste sono presenti in acqua in elevate concentrazioni. In questi
casi la determinazione della velocità 𝑢 può essere svolta tramite un’analisi complessa di
tipo statistico probabilistico o mediante un approccio di tipo empirico, conducendo una
serie di esperimenti. Generalmente si adotta la seconda strategia, per evitare calcoli
troppo complessi e onerosi.
La determinazione della velocità 𝑢 risulta fondamentale in quanto essa rappresenta
il parametro di progetto per il dimensionamento delle vasche.
Le vasche nelle quali si realizza la fase di sedimentazione si classificano in base alla
direzione preferenziale del flusso dell’acqua, e si hanno:
- Vasche a flusso verticale, con un flusso sostanzialmente verticale;
- Vasche a flusso orizzontale longitudinale, con flusso orizzontale in un’unica
direzione;
- Vasche a flusso orizzontale radiale, con flusso orizzontale in tutte le direzioni a
360°.
Per far si che le particelle si muovano verso il fondo, nonostante il flusso d’acqua
sia diretto in verso opposto, deve verificarsi la condizione che la velocità di
sedimentazione dei solidi, 𝑢, diretta verso il basso, sia maggiore in modulo della velocità
𝑄
del flusso d’acqua, 𝑣, diretta verso l’alto e data da 𝑣 = ⁄𝐴, dove 𝑄 è la portata
volumetrica della corrente idrica ed 𝐴 la superficie di passaggio dell’acqua, ossia la corona
circolare individuata dai due cilindri coassiali in sezione. Poiché 𝑢 è fissata dalle
caratteristiche dell’acqua che si vuole trattare, l’unico grado di libertà del problema risulta
essere 𝑣, ovvero 𝐴, non essendo possibile modificare la portata. Poiché al limite deve
𝑄
risultare 𝑢 = 𝑣, si ha 𝐴𝑚𝑖𝑛 = ⁄𝑢. In genere si realizza una superficie di passaggio
maggiorata rispetto a quella minima del 10 o 15%, cioè si applica un coefficiente di
sicurezza.
Per quanto riguarda l’altezza 𝐻 della parete cilindrica esterna della vasca, per ottenere un
flusso sostanzialmente verticale deve risultare 𝐻⁄𝑟 = 1.2 − 1.3, dove 𝑟 è il raggio della
parete stessa.
La parte conica ha la funzione di accumulare i solidi sedimentati sul fondo. Per favorire lo
scivolamento delle particelle la parete del cono viene realizzata con pendenza di 45°. Per
smaltire poi i detriti accumulatisi vi è una tubazione di estrazione del fango. Il fango risale
lungo la tubazione per effetto di una differenza di pressione: all’imbocco, sul fondo della
vasca, la pressione è più alta a causa della colonna di fluido sovrastante, mentre lo
sbocco è a pressione atmosferica. Il fango viene quindi accumulato in un pozzetto di quota
sufficientemente alta da poter sfruttare la sua energia potenziale gravitazionale per farlo
defluire altrove.
Le vasche a flusso verticale sono dunque prive di organi meccanici, il che rappresenta un
enorme vantaggio in termini energetici, ma presentano delle limitazioni. Venendo
realizzata sotto terra, infatti, se dai calcoli sul dimensionamento dovesse risultare
necessaria un’altezza complessiva, ossia della parete cilindrica sommata a quella della
parete conica, maggiore di 10 m, si presenterebbero evidenti impedimenti di tipo
economico e di sicurezza per gli scavi. Una soluzione potrebbe essere quella di realizzare
più vasche in parallelo di dimensioni inferiori, ma in maniera tale da assicurare comunque
una superficie complessiva sufficiente per la sedimentazione. In genere si progettano
vasche di raggio 𝑟 = 3 𝑚, da cui 𝐻 = 1.2 ⋅ 3 𝑚 = 3.6 𝑚, da cui ancora l’altezza della parte
conica risulta ℎ = 3 𝑚, pertanto l’altezza complessiva vale 𝐻 + ℎ = 6.6 𝑚 < 10 𝑚.
Realizzare più di 5 o 6 vasche, tuttavia, non è proponibile per problematiche di tipo
gestionale: controllo, pulizia, manutenzione e riparazione di un numero elevato di
apparecchiature diventa sconveniente. Nel caso in cui si rendessero necessarie troppe
vasche in parallelo per ricoprire la superficie richiesta, conviene optare per vasche a flusso
orizzontale.
Per la normativa italiana il fango non può essere rigettato nel corpo idrico, e prima
di abbandonare l’impianto ed essere smaltito deve rispettare due caratteristiche
qualitative:
- Palabilità:
Il fango deve avere consistenza sufficiente a poter essere movimentato
tramite pale;
- Stabilità:
Una sostanza si definisce stabile se non da luogo a trasformazioni
spontanee o, al più, queste ultime non devono comportare effetti apprezzabili
nel breve termine.
In genere le sostanze derivanti da un corpo idrico che sedimentano sono stabili. La
caratteristica che va invece addotta ai fanghi in uscita dall’impianto è la palabilità, infatti la
corrente è composta all’incirca dal 97% d’acqua e dal 3% di solidi.
Per poter definire palabile un fango l’umidità deve risultare inferiore all’80%. Per ottenere
tale risultato si separa dalla corrente idrica di scarto un primo 50% composto
esclusivamente d’acqua, ottenendo un fango composto del 94% d’acqua e del 6% di
solidi. Effettuando l’operazione una seconda volta si raggiunge un’umidità dell’88%, una
terza volta del 76%. La linea dei fanghi viene quindi rappresentata schematicamente al
modo seguente.
Ciclo di trattamento completo per acque di categoria A1 con presa dal fiume
Ciclo di trattamento completo per acque di categoria A1 con presa dal lago
La velocità di rotazione delle eliche nella miscelazione rapida è di circa 500-600 giri/min.
E’ necessario che in questa fase il tempo di permanenza dell’acqua nel reattore sia
inferiore al tempo della reazione di formazione degli idrossidi, infatti se i fiocchi si
formassero nel corso della miscelazione rapida, si romperebbero dando poi vita a SSS
con velocità di sedimentazione molto basse. La condizione da imporre per il
dimensionamento è, quindi, che il tempo di permanenza (o tempo di dimensionamento) 𝑡𝑑
sia inferiore a quello di formazione dei fiocchi. Generalmente si impone 𝑡𝑑 = 1 − 1.5 𝑚𝑖𝑛.
Essendo 𝑡𝑑 = 𝑉⁄𝑄, se ne deduce il volume del reattore necessario.
Fase di sedimentazione
La fase di sedimentazione nella chiariflocculazione ha la funzione di eliminare i SSS
formatisi nel corso della flocculazione. Si effettua alla stregua della sedimentazione a
monte, ossia la sgrossatura, con la differenza che in uscita si ha un fango chimico, quindi
con un’umidità maggiore di quello naturale, poiché ha una più alta capacità di ritenzione
dell’acqua. Le due correnti di fango, naturale e chimico, vengono unite e inviate alla linea
fanghi.
Bacini unici
Il fango in uscita dalla fase di sedimentazione nel processo di chiariflocculazione è
costituito da idrossidi e colloidi. Tale fango potrebbe essere in parte riciclato nella fase di
miscelazione lenta, chiaramente non in quella rapida altrimenti si avrebbe la rottura dei
fiocchi e il distacco dei colloidi, e questa soluzione comporterebbe un risparmio sul
consumo di coagulante nonché una minore quantità di fango prodotto. Per riciclare il fango
si renderebbe necessaria una pompa, in quanto le tre fasi si trovano a quote diverse per
permettere l’avanzamento dell’acqua.
Anche il passaggio all’interno di una pompa, tuttavia, provoca la frantumazione dei fiocchi.
In questi termini, quindi, l’operazione di riciclo è impraticabile.
Per poter riciclare il fango senza la necessità di una pompa si utilizzano delle
vasche che costituiscono dei bacini unici, ossia realizzano tutti le fasi della
chiariflocculazione. Il più diffuso è il bacino unico accelerator.
Si tratta di una vasca a pianta circolare, realizzata in calcestruzzo (talvolta anche acciaio),
munita di vari setti aventi la funzione di creare una divisione grossolana delle zone in cui si
realizzano le diverse fasi. La parte superiore ha forma cilindrica, quella inferiore
troncoconica.
La corrente idrica viene alimentata lateralmente, attraverso una tubazione orizzontale,
nella zona centrale della vasca. L’acqua fa ingresso quindi in una zona in cui è presente
un agitatore che genera turbolenza, zona che approssima la fase di miscelazione rapida.
La velocità di rotazione delle eliche è inferiore rispetto alla fase singola. L’alimentazione
dei reagenti chimici si effettua tramite una tubazione verticale.
L’acqua fuoriesce dal volume individuato dal setto per stramazzo, passando prima
attraverso una zona che risente in misura minore dell’agitazione: questa zona approssima
la fase di miscelazione lenta, dove avviene la flocculazione.
Una volta stramazzata, l’acqua riscende, costretta da un altro setto, e giunge quindi in un
volume di pianta a corona circolare dove avviene la sedimentazione: l’acqua risale ed i
solidi sedimentano. L’acqua decantata abbandona il bacino unico per stramazzo.
Il fondo della corona circolare, dove vi sono i solidi sedimentati, da un lato è chiuso e
dall’altro è in collegamento con la zona di miscelazione rapida, permettendo un riciclo del
fango. L’altezza della coltre di fanghi nella zona di sedimentazione è regolamentata da
uno scarico di fondo, che la rende tale da essere investita dall’acqua in arrivo in modo che
questa subisca un processo di filtrazione.
(Il fango andrebbe alimentato nella fase di miscelazione lenta, probabilmente è possibile
alimentarlo in quella rapida perché la velocità di rotazione delle eliche è inferiore rispetto
alla fase singola, oppure perché il fango resta comunque sul fondo e contribuisce alla
rimozione dei colloidi con un meccanismo di filtrazione, non ritornando in circolo con
l’acqua dove si avrebbe la rottura dei fiocchi).
I vantaggi nell’impiego di un bacino unico rispetto alle fasi separate sono molteplici.
Oltre alla possibilità di realizzare il riciclo del fango, che come già detto comporta un
risparmio di reattivo e una minore produzione di fango, si garantiscono volumi complessivi
dell’impianto più contenuti rispetto alla scelta delle fasi separate: un bacino unico è circa il
30-40% più piccolo delle tre fasi.
Filtrazione
Ciclo di trattamento completo per acque di categoria A2 con presa dal fiume
Ciclo di trattamento completo per acque di categoria A2 con presa dal lago
Lo schema è identico al caso precedente con l’unica differenza che la fase di
sgrossatura è sostituita da una di microstacciatura.
Precipitazione
Addolcimento
Il processo di addolcimento ha l’obiettivo di rimuovere i sali che conferiscono
durezza all’acqua.
Il più diffuso e il metodo alla calce-soda, dove appunto i reagenti sono l’idrossido di calcio
𝐶𝑎(𝑂𝐻)2 (calce) e il carbonato di sodio 𝑁𝑎2 𝐶𝑂3 (soda), entrambi dotati delle caratteristiche
necessarie di cui si è detto.
Per rimuovere il bicarbonato di calcio 𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2 si aggiunge la calce, con la quale
reagisce secondo la reazione
𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2 + 𝐶𝑎(𝑂𝐻)2 ⟶ 2𝐶𝑎𝐶𝑂3 + 2𝐻2 𝑂
Bicarbonato di calcio Idrossido di calcio Carbonato di calcio Acqua
Il carbonato di calcio 𝐶𝑎𝐶𝑂3 è molto poco solubile in acqua, pertanto precipita.
Bicarbonato e calce, come si vede dalla stechiometria della reazione, sono in rapporto 1:1.
Per rimuovere il carbonato di magnesio 𝑀𝑔𝐶𝑂3 si usa la calce, sfruttando la
reazione
𝑀𝑔𝐶𝑂3 𝑀𝑔(𝑂𝐻)2 𝐶𝑎𝐶𝑂3
+ 𝐶𝑎(𝑂𝐻)2 ⟶ +
Carbonato di magnesio Idrossido di calcio Idrossido di magnesio Carbonato di calcio
Anche l’idrossido di magnesio, come il carbonato di calcio, è praticamente insolubile in
acqua, pertanto i prodotti precipitano sotto forma di SSS.
Il rapporto tra 𝑀𝑔𝐶𝑂3 e 𝐶𝑎(𝑂𝐻)2 è di 1:1.
Per la rimozione del bicarbonato di magnesio 𝑀𝑔(𝐻𝐶𝑂3 )2 si aggiunge calce
𝑀𝑔(𝐻𝐶𝑂3 )2 𝑀𝑔𝐶𝑂3 𝐶𝑎𝐶𝑂3 2𝐻 𝑂
+ 𝐶𝑎(𝑂𝐻)2 ⟶ + + 2
Bicarbonato di magnesio Idrossido di calcio Carbonato di magnesio Carbonato di calcio Acqua
Avendosi formazione di carbonato di magnesio, per precipitare una mole di 𝑀𝑔(𝐻𝐶𝑂3 )2
sono necessarie due moli di calce, una per rendere possibile il decorso della reazione di
cui sopra, e una per precipitare 𝑀𝑔𝐶𝑂3. Il rapporto tra bicarbonato di magnesio e calce,
cioè, è di 1:2.
Per la rimozione del solfato di calcio 𝐶𝑎𝑆𝑂4 si usa la soda
𝐶𝑎𝑆𝑂4 𝑁𝑎2 𝐶𝑂3 𝐶𝑎𝐶𝑂3 𝑁𝑎2 𝑆𝑂4
+ ⟶ +
Solfato di calcio Carbonato di sodio Carbonato di calcio Solfato di sodio
Il solfato di sodio è un sale che non conferisce durezza.
Il rapporto tra 𝐶𝑎𝑆𝑂4 e 𝑁𝑎2 𝐶𝑂3 è di 1:1.
Per la rimozione del cloruro di calcio 𝐶𝑎𝐶𝑙2 si usa la soda, con la quale reagisce
secondo la reazione
𝐶𝑎𝐶𝑙2 𝑁𝑎2 𝐶𝑂3 𝐶𝑎𝐶𝑂3 2𝑁𝑎𝐶𝑙
+ ⟶ +
Cloruro di calcio Carbonato di sodio Carbonato di calcio Cloruro di sodio
Il cloruro di sodio, meglio noto come sale da cucina, non conferisce durezza, tuttavia la
sua concentrazione in acqua deve rimanere bassa, in quanto una salinità eccessiva può
essere pericolosa.
Il rapporto tra cloruro di calcio e soda è di 1:1.
Per la rimozione del solfato di magnesio 𝑀𝑔𝑆𝑂4 e del cloruro di magnesio 𝑀𝑔𝐶𝑙2 si
usa la calce, con la quale reagiscono, rispettivamente, secondo le reazioni
𝑀𝑔𝑆𝑂4 𝑀𝑔(𝑂𝐻)2 𝐶𝑎𝑆𝑂4
+ 𝐶𝑎(𝑂𝐻)2 ⟶ +
Solfato di magnesio Idrossido di calcio Idrossido di magnesio Solfato di calcio
𝑀𝑔𝐶𝑙2 𝑀𝑔(𝑂𝐻)2 𝐶𝑎𝐶𝑙2
+ 𝐶𝑎(𝑂𝐻)2 ⟶ +
Cloruro di magnesio Idrossido di calcio Idrossido di magnesio Cloruro di calcio
Per effetto della prima reazione si ha la formazione di una mole di 𝐶𝑎𝑆𝑂4 per ogni mole di
𝑀𝑔𝑆𝑂4, della seconda di una mole di 𝐶𝑎𝐶𝑙2 per ogni mole di 𝑀𝑔𝐶𝑙2 . Ne viene che sia per
ogni mole di solfato di magnesio che di cloruro di magnesio si aggiunge una mole di calce
e una di soda.
Il processo di addolcimento necessita di una fase di miscelazione rapida, nella
quale si aggiungono i reagenti, una fase di miscelazione lenta, dove avvengono le reazioni
e la precipitazione, e una fase di sedimentazione, ossia lo schema è identico a quello della
chiariflocculazione. I due processi, quindi, di chiariflocculazione e addolcimento, vengono
realizzate simultaneamente negli stessi reattori.
Deferrizzazione
Nelle acque di falda spesso si trovano disciolti composti a base di ferro,
prevalentemente solfato ferroso 𝐹𝑒𝑆𝑂4 e bicarbonato ferroso 𝐹𝑒(𝐻𝐶𝑂3 )2 . Per precipitare
queste specie si realizza il processo di deferrizzazione.
Per rimuovere 𝐹𝑒𝑆𝑂4 si aggiunge la calce, con la quale reagisce secondo la
reazione
𝐹𝑒𝑆𝑂4 𝐶𝑎𝑆𝑂4
+ 𝐶𝑎(𝑂𝐻)2 ⟶ + 𝐹𝑒(𝑂𝐻)2
Solfato ferroso Idrossido di calcio Solfato di calcio Idrossido ferroso
Il solfato di calcio è uno dei sali che contribuiscono alla durezza, e può essere precipitato
con l’aggiunta di soda in rapporto molare 1:1. L’idrossido ferroso, come tutti i composti
dove il ferro ha valenza +2 (ferrosi), è altamente solubile in acqua, dunque va favorita la
reazione di ossidazione
4𝐹𝑒(𝑂𝐻)2 + 𝑂2 2𝐻 𝑂
+ 2 ⟶ 4𝐹𝑒(𝑂𝐻)3
Idrossido ferroso Ossigeno (atmosferico) Acqua Idrossido ferrico
Anche la deferrizzazione può essere realizzata contemporaneamente alla
chiariflocculazione e l’addolcimento, tuttavia lo schema d’impianto va leggermente
modificato con un insufflazione d’aria nella fase di miscelazione lenta, circostanza che
comporta un moto dell’acqua e che rende quindi superfluo l’impiego di eliche meccaniche
per la miscelazione.
La rimozione di 𝐹𝑒(𝐻𝐶𝑂3 )2 ne viene di conseguenza all’insufflazione d’aria, infatti
4𝐹𝑒(𝐻𝐶𝑂3 )2 + 𝑂2 2𝐻 𝑂 8𝐶𝑂2
+ 2 ⟶ 4𝐹𝑒(𝑂𝐻)3 +
Bicarbonato ferroso Ossigeno (atmosferico) Acqua Idrossido ferrico Anidride carbonica
Poiché 𝑂2 è un ossidante blando che può comportare reazioni lente e incomplete, si può
scegliere di utilizzare il cloro, con il quale l’idrossido ferroso e il bicarbonato ferroso
reagiscono, rispettivamente, secondo le reazioni
2𝐹𝑒(𝑂𝐻)2 + 𝐶𝑙2 + 𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3 )2 ⟶ 2𝐹𝑒(𝑂𝐻)3 + 𝐶𝑎𝐶𝑙2 + 2𝐶𝑂2
Idrossido ferroso Cloro Bicarbonato di calcio Idrossido ferrico Cloruro di calcio Anidride carbonica
2𝐹𝑒(𝐻𝐶𝑂3 )2 + 𝐶𝑙2 + 𝐶𝑎(𝐻𝐶𝑂3)2 ⟶ 2𝐹𝑒(𝑂𝐻)3 + 𝐶𝑎𝐶𝑙2 6𝐶𝑂2
+
Bicarbonato ferroso Cloro Bicarbonato di calcio Idrossido ferrico Cloruro di calcio Anidride carbonica
Si rende pertanto necessario anche il bicarbonato di calcio, nonché una mole di soda per
ogni due moli di 𝐹𝑒(𝑂𝐻)2 e per ogni due moli di 𝐹𝑒(𝐻𝐶𝑂3 )2, per precipitare la 𝐶𝑎𝐶𝑙2. Il
cloruro impiegato è quello allo stato gassoso e viene alimentato anch’esso per
insufflazione.
Osserviamo che la possibilità di realizzare nelle stesse vasche sia la
chiariflocculazione, che la precipitazione, rappresenta un’ulteriore vantaggio della
chiariflocculazione rispetto alla filtrazione.
Processi di affinamento
Adsorbimento
Il processo di adsorbimento sfrutta la capacità di alcune sostanze di trattenere sulla
propria superficie i solidi con cui vengono a contatto, capacità detta potere adsorbente.
Si tratta di un processo di affinamento nella rimozione dei solidi disciolti, inoltre
l’adsorbimento è in grado di eliminare i precursori di alcuni sottoprodotti della disinfezione
che possono essere dannosi, nonché alcune sostanze chimiche derivanti da pesticidi,
concimi, antiparassitari, ecc., utilizzate in agricoltura.
L’adsorbimento si dice reversibile se le forze tra specie adsorbita e specie adsorbente
sono di natura elettrostatica, irreversibile se queste stesse forze sono di natura chimica.
Come sostanza con potere adsorbente si usa il carbone attivo, ottenuto a partire da
sostanze naturali con potere adsorbente e ricche di carbonio, come ad esempio legno,
ossa di animali, torba, gusci di noce di cocco, ecc.
Il processo di produzione del carbone attivo è caratterizzato da una resa molto
bassa, circa il 10%, il che giustifica il suo costo elevato. Per resa del processo di
produzione si intende, chiaramente, la massa di prodotto ottenuto per unità di massa di
materie prime.
Fino a qualche anno fa si utilizzavano dei sali metallici per aumentare la resa fino a circa il
40%, in particolare si usava un sale di zinco. Il suo utilizzo fu poi bloccato in quanto 𝑍𝑛
poteva entrare in soluzione nell’acqua con cui il carbone attivo veniva in contatto.
Il carbone attivo viene realizzato mediante processi termici. In una prima fase, detta di
carbonizzazione, le materie prime vengono mantenute a temperature di 400-450°C per un
periodo che va dalle 3 alle 5 ore. La durata del processo varia caso per caso al fine di
ottenere sempre il massimo della resa. Nel corso della carbonizzazione tutte le parti più
facilmente combustibili delle materie prime bruciano, trasformandosi in acqua o gas.
All’interno del materiale si formano quindi pori ricchi di gas combusti, mentre la superficie
diviene molto frastagliata. Ciò aumenta notevolmente la superficie specifica, quindi le
probabilità di contatto con i solidi disciolti. La superficie specifica di un carbone attivo può
2
variare, a seconda della sua qualità, dai 600 ai 1500 𝑚 ⁄𝑔.
Per liberare i pori dai gas combusti e renderli disponibili al contatto con i solidi disciolti, si
attua una seconda fase di trattamento, detta di attivazione, condotta in un alto forno a
temperature più elevate, di circa 700°C, per un tempo che può andare dalle 24 alle 48 ore,
sempre variabile di volta in volta.
Una sostanza per poter essere adsorbita deve avere la possibilità di penetrare tra i
pori del carbone attivo.
Il parametro che misura la capacità del carbone attivo di trattenere le sostanze è il potere
adsorbente 𝑃𝑎𝑑 , ed è legato alla particolare struttura che il carbone assume nella sintesi. Il
potere adsorbente è definito come il rapporto tra massa di sostanze rimosse 𝑋 e massa di
carbone attivo 𝑀, ossia 𝑃𝑎𝑑 = 𝑋⁄𝑀. Per come è definito il potere adsorbente, per il
medesimo carbone attivo, 𝑃𝑎𝑑 può variare a seconda delle sostanze presenti in acqua.
I carboni attivi si distinguono in base alle caratteristiche geometriche dei pori. Alcuni
hanno porosità omogenea, ossia le dimensioni dei pori non sono variabili. Questi carboni
hanno un’azione specifica su determinati solidi disciolti. Altri hanno pori di dimensioni
variabili, permettendo una più vasta gamma di SD adsorbibili.
Il carbone attivo può presentarsi sotto forma di granuli, granuli rotti o polvere.
Il carbone attivo in granuli, generalmente delle dimensioni di 0.6 − 0.8 𝑚𝑚, viene utilizzato
al posto del mezzo filtrante in un filtro. L’adsorbimento e la filtrazione, tuttavia, vanno
necessariamente realizzati in separata sede, in quanto la presenza di colloidi otturerebbe i
pori del carbone attivo. Man mano che vengono trattenuti solidi disciolti il potere
adsorbente del carbone attivo si riduce, fin quando il filtro non va necessariamente
rigenerato. A differenza dei filtri di sabbia, quelli di carbone attivo vanno puliti mediante
processi di natura chimica e non fisica, in quanto chimiche sono le forze di legame tra le
sostanze adsorbite e le sostanze adsorbenti.
La rigenerazione viene effettuata per via termica, ossia si immette il carbone da
rigenerare in un forno dove viene portato ad alte temperature. La rigenerazione impiega
molto tempo ed è dispendiosa dal punto di vista energetico, pertanto si ritiene che vada
effettuata all’incirca una volta all’anno.
Per dimensionare il filtro di adsorbimento, note la portata volumetrica della corrente
idrica e la concentrazione di inquinante in acqua in ingresso alla fase, si determina la
portata massica delle specie che si desidera eliminare, come 𝑄 ⋅ 𝑐𝑖 = 𝑄̇𝑖 .
Poiché il carbone attivo deve avere una durata di un anno circa, si calcola la massa di
inquinante da rimuovere in un anno come 𝑄̇𝑖 ⋅ 31536000 𝑠⁄𝑎𝑛𝑛𝑜 = 𝑋. Quindi si determina
la massa di carbone attivo necessaria dal valore del potere adsorbente, come 𝑀 = 𝑋⁄𝑃 .
𝑎𝑑
Il carbone attivo sotto forma di polvere non può essere utilizzato in un filtro, poiché
si avrebbero perdite di carico eccessive per permettere il passaggio dell’acqua. La polvere
viene alimentata in una fase di miscelazione rapida, cui segue una di miscelazione lenta
dove avviene l’adsorbimento, cui segue ancora una fase di sedimentazione in cui la
polvere con l’inquinante finiscono nel fango di scarto.
L’utilizzo del carbone attivo in polvere permette quindi di sfruttare reattori già in esercizio,
inoltre il costo della polvere è inferiore rispetto a quello dei granuli, in quanto nella sintesi
del carbone attivo questa costituisce il materiale di scarto. Per contro, però, la polvere
viene persa nel fango e non può essere rigenerata, inoltre ciò comporta un aumento della
produzione di fango, e quindi dei costi di smaltimento.
Scambio ionico
Lo scambio ionico sfrutta la capacità di alcune sostanze, dette appunto scambiatori
ionici, di trattenere le specie ioniche presenti in acqua, rilasciandone delle altre. Per
questa capacità si parla di potere di scambio ionico, definito come la massa delle specie
ioniche presenti in acqua che lo scambiatore è in grado di rimuovere per unità di massa
dello scambiatore stesso.
Molte sostanze naturali hanno potere di scambio, come le resine naturali, tuttavia
oggi vengono utilizzati prodotti di sintesi, in quanto hanno potere di scambio maggiore,
detti ancora resine scambiatrici. Le resine sono costituite da una parte inerte ed una
numerosa quantità di ioni ad essa legati. Per quanto elevato, il numero di ioni legati ad
una resina è finito, pertanto una volta che siano stati tutti sostituiti il materiale non è più in
grado di realizzare lo scambio, e la resina va rigenerata.
Lo scambio ionico viene realizzato in un filtro in cui il mezzo filtrante è sostituito da
resine scambiatrici. L’acqua in uscita contiene specie ioniche differenti.
I filtri per lo scambio ionico sono filtri a pressione realizzati in acciaio, in quanto spesso
l’acqua arriva in questa fase dotata di una certa energia di pressione, energia che viene
quindi sfruttata per il passaggio nel filtro.
La rigenerazione delle resine viene effettuata bloccando il passaggio della corrente idrica
nel filtro e alimentando un’acqua ad alta concentrazione delle specie ioniche inizialmente
appartenenti alla resina.
Esistono resine cationiche, con ioni positivi, e resine anioniche, con ioni negativi.
Le resine cationiche sono in grado di rimuovere la durezza, che ricordiamo essere data
dagli ioni 𝐶𝑎2+ ed 𝑀𝑔2+ , in una operazione di affinamento.
Le resine cationiche generalmente utilizzate sono le resine sodiche, ossia con ioni 𝑁𝑎2+ ,
in quanto nella rigenerazione può essere alimentata una soluzione di acqua e sale da
cucina, 𝑁𝑎𝐶𝑙, quest’ultimo facilmente reperibile e poco costoso.
Le resine anioniche sono principalmente utilizzate per rimuovere i nitrati, 𝑁𝑂32− . Essi sono
presenti in acqua poiché rappresentano il composto fondamentale di tutti i concimanti.
La rigenerazione è in genere effettuata con acqua ricca di solfati 𝑆𝑂42− .
Il dimensionamento del filtro si effettua sulla base del potere di scambio della resina
utilizzata, allo stesso modo visto nel caso dell’adsorbimento. Rispetto all’adsorbimento,
tuttavia, lo scambio ionico prevede un processo di rigenerazione molto più semplice ed
immediato, realizzabile anche quotidianamente.
Processi a membrana
Un processo a membrana è un processo di affinamento che consiste in una
filtrazione di tipo stacciante, ossia l’acqua viene fatta passare attraverso una barriera
selettiva molto sottile, la membrana, permeabile ad alcune sostanze e non ad altre. E’ una
filtrazione molto più spinta di quella a spessore, in grado di trattenere persino le specie
disciolte. La corrente idrica in uscita dal filtro a membrana è detta permeato, mentre il
materiale trattenuto viene allontanato dal filtro in un’altra corrente idrica, di portata
notevolmente inferiore, detta concentrato.
Le dimensioni dei pori della membrana dipendono dalle specie che si desidera eliminare.
Chiaramente più sono piccoli i pori, maggiori sono le perdite di carico in quanto si rende
necessario energizzare in misura maggiore l’acqua per promuoverne il passaggio. Questa
energia viene fornita all’acqua sotto forma di energia di pressione o di energia elettrica.
Nel primo caso si parla di processo a membrana scarica e si realizza applicando un certo
∆𝑝 tra ingresso e uscita del filtro, nel secondo caso si ha un processo a membrana carica.
Le membrane si sono diffuse solo verso gli anni ’80, prima infatti non esistevano
materiali in grado di resistere, con piccolo spessore, alle grandi differenze di pressione o al
campo elettrico, e venivano realizzate membrane più spesse che si ostruivano facilmente.
L’ostruzione dei pori è detta fenomeno di sporcamento o di fouling della membrana.
I processi a membrana si classificano in base alle dimensioni dei pori, come
mostrato dalla seguente tabella.
Nei processi a membrana scarica le membrane sono montate su dei supporti, detti
moduli, di cui ne esistono quattro diverse tipologie: a spirale, a fibre cave, tubolare, a
lastre piane.
Tali moduli possono essere disposti tra loro in serie o parallelo a seconda delle diverse
esigenze.
Il modulo a spirale è costituito da una tubazione centrale, dotata di piccoli pori,
attorno alla quale vengono avvolti la membrana e un drenante, in modo da formare una
spirale a strati alterni. Il tutto è racchiuso in un tubo di plastica dura.
All’estremità in cui viene alimentata la corrente idrica il tubo centrale è chiuso, pertanto
l’acqua, che tende ad entrarvi per effetto della differenza di pressione, si trova costretta ad
attraversare la membrana. All’estremità opposta, dunque, si ritrova il permeato in uscita
dalla tubazione centrale, e il concentrato dalla corona circolare.
Il modulo a fibre cave è costituito da una serie di membrane di forma cilindrica con
diametro molto piccolo. L’acqua pressurizzata viene alimentata all’interno di questi tubi
lunghi e sottili: il permeato fuoriesce, il concentrato resta all’interno.
Il modulo a lastre piane consiste in una serie di piccoli tubi verticali in cui sono
poste delle membrane piane, una sopra l’altra. I tubi sono racchiusi all’interno di una
tubazione. L’acqua è alimentata dal basso e in parte continua lungo la tubazione, in parte
passa attraverso tali membrane nei piccoli tubi. Il sistema è congegnato in maniera tale da
avere un drenaggio centrale per consentire il passaggio dell’acqua filtrata.
I moduli tubolari sono un insieme di tubi porosi, di norma in materiale plastico, sulla
parete interna dei quali è appoggiata la membrana. Più elementi così costituiti
rappresentano un singolo modulo. I vari elementi costituenti un singolo modulo possono, o
meno, essere tutti contenuti all'interno di un supporto tubolare esterno. Nei moduli la
corrente da filtrare fluisce all'interno di ciascun tubo poroso, facendo fuoriuscire
lateralmente il permeato, che è raccolto dall'eventuale involucro esterno.
Per ogni elemento viene specificata la portata che è in grado di trattare. Nota la
portata complessiva, dividendola per la portata da inviare a ciascun elemento è possibile
conoscere il numero di elementi necessari.
L’elettrodialisi è l’unico processo a membrana carica di interesse ingegneristico per
i processi di trattamento delle acque.
Nel caso reale la curva di distribuzione dei tempi di detenzione delle particelle è una
gaussiana con media 𝑡𝑑 . L’obiettivo è quello di ridurre al minimo la varianza, ossia far sì
che la curva assuma forma stretta e alta. L’inserimento dei setti permette di stringere e
alzare la campana.
In definitiva non sono importanti lunghezza, larghezza e altezza ma sono fondamentali il
volume totale e la disposizione di setti all’interno della vasca.
Disinfezione fisica
L’unico metodo di disinfezione fisica con applicazioni ingegneristiche è
l’irraggiamento con raggi ultravioletti.
Il processo consiste nell’esposizione dell’acqua alla luce di lampade con involucro
trasparente che emettono raggi UV. Gli involucri sono riempiti con gas argon e gocce di
mercurio. Una volta azionata l’alimentazione elettrica si ha un incremento della
temperatura all’interno delle lampade: le gocce di mercurio iniziano a vibrare e tali
vibrazioni colpiscono l’argon che emana raggi ultravioletti non visibili. Hanno una
lunghezza d’onda 𝜆 compresa tra i 100 e i 400 𝜇𝑚.
I microrganismi, soprattutto i patogeni, soffrono l’esposizione a tali raggi, infatti le
radiazioni ultraviolette alterano le molecole necessarie per la loro riproduzione.
Anche in questo caso si può parlare di dose, che dipende dall’intensità 𝐼 del raggio
e dal tempo di esposizione 𝑡𝑒 dei microrganismi ad esso, in particolare 𝐷 = 𝐼 ⋅ 𝑡𝑒 . Maggiore
è la dose e maggiore sarà l’azione disinfettante. In genere bastano pochi secondi di
esposizione per disinfettare l’acqua, più precisamente 𝑡𝑒 = 5 − 10 𝑠.
L’azione di disinfezione è influenzata anche dalla specifica lunghezza d’onda del
raggio. L’andamento di 𝜆 è a campana con massimo intorno ai 250 − 255 𝜇𝑚. In
particolare per 𝜆 = 253.7 𝜇𝑚 il raggio, a parità di dose, presenta un’efficacia maggiore.
Sono stati poi introdotti dei sistemi basculanti, che consentono di mantenere costante il
livello del pelo libero nel canale al variare della portata.
La soluzione consiste in delle paratoie incernierate al canale che basculano, cioè ruotano
attorno alla cerniera. Il loro grado di apertura è variabile in funzione della portata, allo
scopo di stabilizzare il livello dell’acqua.
Il vantaggio delle lampade in canale risiede nella possibilità di sostituire le lampade
più facilmente perché basta estrarre il pezzo e cambiarlo. In tubazione invece è
necessario fermare l’alimentazione poiché con l’acqua in pressione c’è il rischio che
questa possa fuoriuscire.
Con i raggi UV non si hanno chiaramente problemi di chiusura del bilancio. Per
questo motivo il processo si è diffuso ed è in uso da circa 40 anni, soprattutto per gli
impianti di potabilizzazione. Tuttavia l’irraggiamento è più costoso della disinfezione
chimica di un ordine di grandezza, inoltre non garantisce la protezione in rete, pertanto è
necessario un altro disinfettante a base di cloro per l’azione secondaria.
In passato vi era un’ulteriore problematica legata a questo processo, che risiedeva nella
circostanza che l’acqua che vi giungeva in alimentazione poteva presentare, seppur in
piccolissima parte, una certa concentrazione di solidi sospesi residui. I microrganismi
dell’acqua tendevano ad aderire a tali sostanze, che schermavano così l’azione del raggio.
In questo modo una parte dei microrganismi non veniva raggiunta dai raggi UV.
Successivamente sono state introdotte delle superfici riflettenti che migliorano l’azione
delle lampade, per questo motivo oggi sono largamente più diffuse ed utilizzate.
Ciclo di trattamento completo per acque di categoria A3 con presa dal fiume
Ciclo di trattamento completo per acque di categoria A3 con presa dal lago
Lo schema è identico al caso precedente con l’unica differenza che la fase di
sgrossatura è sostituita da una di microstacciatura.
Trattamenti cui sono sottoposte le acque di falda
Le acque di falda contengono solo SD, quindi queste acque devono essere
sottoposte a precipitazione, eventualmente a processi di affinamento, e a disinfezione. Il
loro ciclo di trattamento cioè è un sottoinsieme di quello cui vengono sottoposte le acqua
superficiali di categoria A3.
Dopo l’utenza, prima di essere scaricata in un corpo idrico ricettore, l’acqua deve
essere trattata in un impianto di depurazione.
Le caratteristiche delle acque di scarico dipendono dall’uso che ne è stato fatto e la
casistica è molto ampia.
Le caratteristiche dell’acqua in uscita da un impianto di depurazione sono
regolamentate dalla legge, che ne definisce i requisiti di qualità.
La legge n. 319/1976, anche detta legge Merli, fu la prima in Italia che impose
l’obbligo della depurazione delle acque. Fino al 1976, infatti, non esisteva alcuna norma
che regolamentasse le caratteristiche delle acque scaricate in un corpo idrico ricettore.
Ancora oggi il 30% della popolazione italiana non è servita da ID (tra cui ad esempio il
comune di Benevento). L’esigenza di imporre una normativa sulle acque reflue in quel
periodo nacque perché alla fine degli anni ’60 inizio anni ’70 sorse un’attenzione
particolare per l’ambiente, con fondazione di diverse associazioni per l’ecologia, ma
soprattutto nel 1973 a Napoli ci fu un’epidemia di colera dovuta al consumo di frutti di
mare crudi.
La legge Merli fu emanata per provvedere all’emergenza e definiva i valori delle
concentrazioni massime di determinati parametri.
I parametri per le acque domestiche e delle attività produttive furono indicati all’interno di
varie tabelle.
Tabella A
𝐵𝑂𝐷5 𝑚𝑔
40 ⁄𝑙
𝐶𝑂𝐷 𝑚𝑔
160 ⁄𝑙
𝑆𝑆𝑇 𝑚𝑔
80 ⁄𝑙
𝑁𝐻4+ 𝑚𝑔
15 ⁄𝑙
𝑁𝑂2 𝑚𝑔
0.6 ⁄𝑙
𝑁𝑂3 𝑚𝑔
20 ⁄𝑙
𝑃 𝑚𝑔
2 ⁄𝑙
. .
. .
. .
Inoltre per le acque delle attività produttive la legge prevedeva una duplice possibilità.
Tabella C
𝐵𝑂𝐷5 𝑚𝑔
250 ⁄𝑙
𝐶𝑂𝐷 𝑚𝑔
500 ⁄𝑙
𝑆𝑆𝑇 𝑚𝑔
200 ⁄𝑙
𝑁𝐻4+ 𝑚𝑔
30 ⁄𝑙
𝑁𝑂2 .
𝑁𝑂3 .
𝑃 .
𝐹𝑒 .
. .
. .
. .
In altre parole, con la ID primaria si riportano le acque di scarico industriale alle condizioni
delle acque reflue urbane.
La legge Merli comportava tutta una serie di problematiche, vi si lavorò infatti in
condizioni di emergenza e non prevedeva importanti differenziazioni da caso a caso.
Per tale legge, tutti i comuni dovevano rispettare i parametri della tabella A. I parametri,
però, sono espressi in termini di concentrazioni, mentre la portata massica di inquinante
scaricato dipende anche dalla portata d’acqua reflua, in particolare 𝑄̇𝑖 = 𝑄 ⋅ 𝑐𝑖 . Fissata la
concentrazione 𝑐𝑖 , la portata massica di inquinante è tanto maggiore quanto più
significative sono le portate d’acqua, ossia il numero di abitanti serviti. Era necessario,
pertanto, differenziare i valori limite dei parametri sulla base delle dimensioni del centro
urbano. A parità di numero di abitanti, inoltre, va tenuto in considerazione il tipo di corpo
idrico ricettore, infatti uno scarico in mare provoca certamente meno inquinamento che
uno scarico in lago, che non ha reflusso.
Alla luce di ciò furono emanati dei provvedimenti a livello regionale per risolvere tali
problemi.
Il D.Lgs. n. 152/1999 sostituì la legge Merli. Non è più in vigore ma il contenuto è
stato riportato nel nuovo decreto.
Nel D.Lgs. n. 152/2006 confluirono tutte le normative ambientali tra cui quelle del
D.Lgs. n. 152/1999. Dal ’76 al ’99 tutte le normative furono irrigidite e i valori dei parametri
vennero notevolmente ridotti.
Il decreto legislativo n. 152 del 2006 è costituito da 318 articoli, suddivisi in 6 parti. Nella
parte terza, sezione II, si trova la definizione di scarico. Tale definizione è stata aggiornata
nel D.Lgs. n. 4/2008.
“Si definisce scarico qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema
stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del
refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria,
indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento
di depurazione.”
Un’acqua, per poter essere considerata reflua, deve passare attraverso un collettore
fognario che collega le abitazioni o le attività produttive con l’impianto. Se non passano
per collettori non sono scarichi ma rifiuti e vincolati ad una diversa regolamentazione,
molto più complessa.
Nel D.Lgs. n. 152/2006, sempre nella parte terza, sezione II, si trova anche la
classificazione delle acque reflue.
- Acque reflue domestiche: provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da
servizi, derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche;
- Acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o impianti
in cui si svolgono attività commerciali o di produzioni di beni, diverse dalle acque
reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento;
- Acque reflue urbane: acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue
domestiche con acque reflue industriali o meteoriche di dilavamento convogliate in
reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomeramento.
Come nella legge Merli, sono stati definiti dei valori massimi di concentrazioni tollerate, per
una serie di parametri, indicati per mezzo di alcune tabelle. Ve ne sono diverse a seconda
del tipo di corpo idrico ricettore, specificando inoltre la massima portata di inquinante
tollerata.
Per quanto riguarda le acque reflue urbane e domestiche, impianti di depurazione
che servono meno di 2000 abitanti non sono vincolati da limiti per le concentrazioni
massime. In questi casi è infatti sufficiente trattenere le acque di scarico all’interno di
alcune vasche, per diversi giorni, all’interno delle quali tramite sistemi naturali è possibile
ottenere delle riduzioni sufficienti delle concentrazioni di inquinanti.
Impianti di depurazione che servono più di 2000 abitanti devono rispettare invece i limiti
dei parametri 𝐵𝑂𝐷5 , COD e SST che sono riportati in tabella.
Tabella 1
𝐵𝑂𝐷5 𝑚𝑔
25 ⁄𝑙
𝐶𝑂𝐷 𝑚𝑔
125 ⁄𝑙
𝑆𝑆𝑇 𝑚𝑔
35 ⁄𝑙
. .
. .
. .
Si tratta di valori più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla legge Merli. In particolare si è
passati da concentrazioni di SST di 80 a 35 e ciò ha comportato conseguenze
ingegneristiche evidenti.
Altri parametri come il fosforo e l’azoto sono indicati in tabella 2.
Tabella 2
Abitanti equivalenti serviti Abitanti equivalenti serviti
tra 10000 e 100000 abitanti superiori a 100000 abitanti
𝑃 𝑚𝑔 𝑚𝑔
2 ⁄𝑙 1 ⁄𝑙
𝑁 𝑚𝑔 𝑚𝑔
15 ⁄𝑙 10 ⁄𝑙
. . .
. . .
. . .
I limiti su 𝑁 e 𝑃 sono imposti solo per centri con più di 10000 abitanti che scaricano in
corpi idrici sensibili, ovvero a rischio eutrofizzazione.
La legge Merli presentava dei valori di concentrazioni massime ammissibili dei composti
dell’azoto, mentre nel D.Lgs. n. 152/2006 sono presenti direttamente i valori massimi
ammissibili di 𝑁. Nella legge Merli sommando le concentrazioni massime di tutti i composti
azotati si ottiene un massimo di 𝑁 pari a 35, mentre nella nuova normativa è di 15,
pertanto è stata prevista una drastica riduzione anche in questo caso.
Per quanto riguarda le acque industriali il D.Lgs. n. 152/2006 presenta le stesse
condizioni imposte dalla legge Merli.
In sostituzione delle tabelle A e C si hanno rispettivamente la colonna 1 e la colonna 2
della tabella 3. Tranne per qualche piccola variazione, i valori indicati sono rimasti
sostanzialmente gli stessi.
Rispetto alla legge Merli, però, nel D.Lgs. n. 152/2006 sono stati fissati anche altri vincoli
legati alla massa totale di inquinante scaricabili nel corpo idrico ricettore. Tali vincoli sono
indicati in tabella 3/A.
Prima del giugno 2003 lo scarico in corpo idrico rappresentava l’unica soluzione di
smaltimento delle acque reflue. Successivamente, il D.M. (decreto ministeriale, in questo
caso del ministero dell’ambiente) n. 185/2003 ha stabilito le condizioni per poter riciclare le
acque reflue depurate domestiche, urbane e industriali. Il decreto definisce le modalità di
realizzazione delle reti destinate alla ridistribuzione delle acque reflue depurate, nonché i
criteri di controllo e monitoraggio del riutilizzo e degli impianti destinati alla depurazione
delle stesse.
Il regolamento recante le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione
dell’art. 26 del D.Lgs. n. 152/1999, stabilisce come destinazioni d’uso ammissibile:
- irriguo: per irrigare colture destinate tanto alle produzioni di beni alimentari per il
consumo umano ed animale, quanto per scopi diversi, quali colture energetiche e
spazi verdi o destinati ad attività ricreative e sportive;
- civile: per il lavaggio delle strade, per alimentare la rete duale di adduzione, per i
circuiti di condizionamento degli ambienti, per riempire le cassette degli sciacquino
in edifici ad uso pubblico;
- industriale: per alimentare la rete antincendio, come acqua di processo o di
lavaggio, come fluido per i cicli termici, ad esclusione di tutti quegli usi mediante i
quali l’acqua recuperata possa venire a contatto con alimenti.
Per l’irrigazione è utilizzato il 70% dell’acqua approvvigionata nel mondo. Risulta chiaro
quindi quanto sia importante la possibilità di recuperare l’acqua.
Chiaramente, per l’acqua destinata al riciclo i parametri limite assumono valori ancora più
restrittivi. Il 𝐵𝑂𝐷5 per esempio deve essere di 20 mg/l e SST=10 mg/l.
Nota 2. Il valore di parametro si riferisce ad ogni singolo pesticida. Nel caso di Aldrina, Dieldrina, Eptacloro ed Eptacloro epossido, il valore parametrico e` pari a 0,030
mg/l.
Nota 3. Per le acque reflue recuperate provenienti da lagunaggio o fitodepurazione valgono i limiti di 50 (80% dei campioni) e 200 UFC/100 ml (valore puntuale
massimo).
Solo per N e P i valori sono più alti: 30 mg/l per N e 10 mg/l per P.
𝑄𝑝,𝑛
Il rapporto 𝑐𝑝 = ⁄𝑄 è detto coefficiente di punta.
𝑚,𝑛
Il coefficiente di punta è maggiore o uguale a 1 e, in particolare, per quanto prima
osservato nei piccoli centri urbani talvolta arriva anche a valere 3, o al massimo 4, mentre
nei grandi centri è prossimo a 1.
I sistemi fognari possono essere misti o separati.
Le reti miste sono le più diffuse, e raccolgono sia le acque reflue delle abitazioni che
l’acqua piovana.
In alternativa esistono reti separate, in cui vengono canalizzate separatamente le acque
nere domestiche e le acque di origine meteorica.
Nei periodi di secca le 𝑄𝑚,𝑛 e le 𝑄𝑝,𝑛 sono uguali sia nelle reti miste che separate. Nei
periodi di pioggia le portate in ingresso all’impianto crescono significativamente, di ben
due ordini di grandezza. Nessun impianto ingegneristico riesce a elaborare una portata
100 volte maggiore rispetto a quella di progetto, tuttavia esiste una soluzione molto
semplice al problema.
Le acque meteoriche, infatti, comportando un notevole incremento di portata, e quindi di
velocità, effettuando un’operazione di pulizia delle fogne. L’acqua che precipita
inizialmente, venendo a contatto con il suolo sporco, trascina con sé i detriti del manto
stradale o dei terreni. Queste acque, inquinate, sono dette acque di prima pioggia e vanno
sottoposte a depurazione. L’acqua che precipita successivamente, però, è
sostanzialmente pulita e può essere scaricata nel corpo idrico tal quale. L’impianto di
depurazione viene quindi progettato per elaborare una portata variabile tra 0 e 𝑄𝑝 = 5𝑄𝑚,𝑛 ,
ossia la portata d’acqua che viene considerata di prima pioggia, mentre l’acqua che
eccede tale quantità, quando presente, viene scaricata direttamente in corpo idrico. La
separazione in due correnti viene realizzata mediante un’opera detta scaricatore di piena.
La struttura e la posizione dello scaricatore dipende dal centro abitato che serve e dalla
disponibilità di un corpo idrico ricettore nelle vicinanze.
In definitiva, quando si progetta un depuratore servito da fogne miste, vanno previste due
situazioni:
- periodo secco: la portata è variabile in un intervallo da 0 a 𝑄𝑝,𝑛 ;
- periodo piovoso: la portata è quasi sempre pari a 5𝑄𝑚,𝑛 .
Schematizzando
In testa all’impianto si realizzano almeno due fasi di grigliatura. La prima è per i residui
grossi, la seconda per i più fini.
La fase successiva è la sedimentazione.
Se invece il sistema fognario è misto si prevede un’altra soluzione.
Nelle fogne miste vi sono anche le acque meteoriche con solidi sospesi sedimentabili che
hanno assorbito le particelle del manto stradale. Le acque sono quindi ricche di sostanze
organiche e inorganiche. Il destino di tali solidi sarebbe quello di alimentare la linea dei
fanghi, per garantire stabilità e palabilità. Le sostanze inorganiche sono però già stabili,
inoltre presentano una capacità di assorbimento dell’acqua inferiore rispetto alle sostanze
organiche. Le sostanze inorganiche sono quindi palabili e stabili e non necessitano di
essere inviate alla linea dei fanghi.
Si hanno dunque due fasi di sedimentazione. La prima è il dissabbiamento che ha lo
scopo di rimuovere le sostanze inorganiche (le particelle derivanti dal manto stradale sono
dette sabbia). Tali solidi vengono inviati insieme al grigliato direttamente allo smaltimento,
senza passare per la linea dei fanghi. Si ha poi la sedimentazione classica che serve a
rimuovere le sostanze organiche che vanno inviate invece alla linea dei fanghi.
Un’altra differenza fondamentale tra le acque reflue provenienti da un sistema separato e
da uno misto risiede chiaramente nella portata. Nella fogna separata, o nella mista
durante il periodo secco, la portata varia da 0 a 𝑄𝑝,𝑛 con 𝑐𝑝 che arriva a 3, massimo 4. La
portata derivante da una fogna mista nei periodi di pioggia invece può arrivare anche a
5𝑄𝑚,𝑛 : si opera una separazione della fase liquida.
Quando non piove, la corrente segue la linea base acqua. Quando piove, invece, l’acqua
che eccede la portata di progetto viene deviata alla linea della pioggia che elabora quindi
una portata pari a 5𝑄𝑚,𝑛 − 𝑄𝑝,𝑛 , mentre la portata 𝑄𝑝,𝑛 viene condotta nella linea base
acqua.
La ripartizione è effettuata per mezzo di pompe: poiché le fogne sono sotterrate mentre
l’impianto è realizzato in superficie, si tratta di una stazione di sollevamento e viene posta
a monte o a valle del dissabbiamento.
Quello a monte è il più usato. Nel caso della pompa a valle, infatti, il dissabbiatore va
realizzato nel sottosuolo e ciò comporta costi maggiori.
Osserviamo che anche lungo la linea della pioggia sono previste le fasi di dissabbiamento
e sedimentazione.
Fase di dissabbiamento
Dissabbiatori a canale
I dissabbiatori a canale sono appunto dei tratti di canale le cui dimensioni si allargano
per poi restringersi nuovamente.
Dissabbiatori areati
Nei dissabbiatori areati si prevede l’immissione di una corrente gassosa,
generalmente aria. Hanno una forma molto simile a quella delle vasche di sedimentazione
a flusso orizzontale longitudinale: la pianta è rettangolare, l’ingresso della corrente idrica è
una delle due basi corte e l’uscita è dal lato corto opposto, quindi l’acqua attraversa la
vasca longitudinalmente. L’insufflazione d’aria viene effettuata sul fondo della vasca, in
uno dei due lati lunghi, in direzione parallela al fondo.
L’aria tende a risalire e trascina l’acqua, il che comporta un moto circolare. Il moto della
corrente idrica è invece quello risultante da questo moto circolare e da quello
longitudinale, quindi complessivamente è un moto elicoidale.
La corrente viene in questo modo areata, cioè si arricchisce di ossigeno, e ciò risulterà
utile durante la fase biologica.
Dissabbiatori circolari
I dissabbiatori circolari sono usati solo nei piccoli impianti, cioè quando il numero di
abitanti da servire è di qualche migliaio (6000-7000 abitanti). Il dissabbiatore circolare ha
una geometria simile a quella delle vasche di sedimentazione a flusso verticale, e si
realizza tangenzialmente al canale che porta l’acqua; la corrente è costretta ad entrare nel
dissabbiatore, sedimenta la sabbia, poi l’acqua torna nel canale.
La corrente idrica segue un percorso circolare, in più c’è un’elica che rafforza tale
movimento. Regolando la velocità delle pale dell’elica si fa in modo che le particelle più
pesanti sbattano contro le pareti e sedimentino, mentre quelle più leggere rimangano nel
flusso. Quando il diametro della vasca supera un certo valore si perde questo effetto,
motivo per il quale il dissabbiatore circolare può essere istallato solo su piccoli impianti.
Sia per i dissabbiatori areati che per quelli circolari esistono diverse configurazioni
brevettate in funzione della portata nera, di cui sono tabellate tutte le caratteristiche
geometriche.
Fase di sedimentazione
Si utilizzano le stesse vasche viste per gli IP, cambiano solo i parametri di
dimensionamento. I solidi organici negli ID hanno un peso specifico inferiore rispetto agli
inerti che si ritrovano negli IP, quindi il carico idraulico (velocità di sedimentazione) è più
𝑄
basso, e si rendono necessarie superfici maggiori: 𝐴 = 𝑚,𝑛⁄𝑐𝑖 , con 𝑐𝑖 = 1.2 − 1.5 𝑚⁄ℎ. La
fase di sedimentazione nella linea acqua in tale posizione è la fase di sedimentazione
primaria, poiché se ne rendono necessarie altre nell’impianto.
Fase biologica
Se invece si dispongono i diffusori sul fondo non si hanno vincoli sulle dimensioni di
superficie e si ottiene una maggiore omogeneità di insufflazione, tuttavia la manutenzione
è più complessa: si rende necessario lo svuotamento della vasca.
Oltre che per la posizione, i diffusori si distinguono anche per la grandezza delle bolle che
producono. Si definiscono:
- bolle grosse: quelle con diametro 𝑑 > 8 𝑚𝑚;
- bolle medie: quelle con diametro 3 < 𝑑 < 8 𝑚𝑚;
- bolle fini: quelle con diametro 𝑑 < 3 𝑚𝑚.
Quanto più sono piccole le bolle tanto più sono elevate le perdite di carico, ma anche la
percentuale di ossigeno di cui si assicura la solubilizzazione, che varia dal 7-8% per le
bolle più grandi al 25% per le bolle più fini.
In genere si preferisce la soluzione delle bolle fini.
I sistemi ad areazione meccanica sono noti come turbine, e consistono in una successione
di pale che spostando l’acqua creano una bolla d’aria che, nella pala successiva, viene
distrutta con formazione di bollicine che vengono trasportate dall’acqua. Per evitare che il
moto dell’acqua diventi solidale con il moto della turbina, si realizzano delle vasche in
pianta quadrata anziché circolare, anche perché le vasche circolari sono difficili da
realizzare. Talvolta si progettano vasche con pianta rettangolare, con uno dei lati pari al
doppio dell’altro, ed installando due turbine.
E’ importante anche l’altezza della vasca, poiché se troppo alta il fondo non risente
dell’azione della turbina. Si impone che l’altezza sia 1.2-1.3 volte la lunghezza, quindi 𝐻 =
4 − 6 𝑚.
Fino a qualche anno fa esistevano dispositivi di areazione meccanica ad assi orizzontali,
chiamati sistemi mammut, ma oggi non sono più usati.
Il vantaggio dei biodischi è che l’areazione è naturale. Lo svantaggio risiede invece nel
dispendio di una gran quantità di energia elettrica per la rotazione dei dischi, mentre se ne
richiede poca per fronteggiare le perdite di carico, che sono solo di imbocco e sbocco e
pertanto di piccola entità.
Per quanto riguarda il dimensionamento:
𝑔𝑖𝑟𝑖⁄
- la velocità a cui girano i dischi è di 1 − 2 𝑚𝑖𝑛;
- si introduce il fattore di carico superficiale 𝐹𝑐𝑠 , definito come il rapporto tra la portata
massica di sostanze organiche da degradare espresso in termini di 𝐵𝑂𝐷5 e la
𝑄̇ 𝐾𝑔
superficie del disco, pertanto 𝐹𝑐𝑠 = ⁄𝑆 [ 𝐵𝑂𝐷5⁄𝑠 ⋅ 𝑚2 ], il cui valore è fornito dalle
case produttrici dei biodischi. La suddetta superficie è in realtà la proiezione su un
piano della reale superficie del disco che risulta ondulata.
- Il diametro 𝐷 appartiene al range 50 𝑐𝑚 < 𝐷 < 3.5 𝑚.
- La distanza tra due dischi consecutivi è di 1 − 2 𝑐𝑚.
𝑄̇
- La superficie dei dischi si ottiene come 𝑆 = ⁄𝐹 .
𝑐𝑠
Il ciclo di trattamento di un ID con letti percolatori o biodischi non prevede quasi mai
una fase di filtrazione, in quanto il biofilm sedimenta meglio dei fiocchi di fango attivo.
La linea fanghi
La linea dei fanghi ha l’obiettivo di rendere stabile e palabile il fango prodotto nella
depurazione. Quest’ultimo è dato dalla somma del fango primario, ossia proveniente dalla
sedimentazione primaria, e del fango secondario, proveniente dalla sedimentazione
secondaria, pertanto 𝑄𝑓 = 𝑄𝑓𝐼 + 𝑄𝑓𝐼𝐼 e 𝑄̇𝑓 = 𝑄̇𝑓𝐼 + 𝑄̇𝑓𝐼𝐼 .
Nel fango primario vi sono una frazione solida (o secca) e una liquida: la frazione secca è
costituita dai SSS organici presenti nella corrente idrica di ingresso all’ID, la frazione
liquida è acqua. Ogni persona scarica 90 g al giorno per abitante di SST, di cui 2/3 sono
SSS, 1/3 sono colloidi. Quindi la portata massica secca giornaliera 𝑄̇𝑠𝑙 in ingresso si
ottiene moltiplicando la portata massica giornaliera di SSS per abitante pari a 60g al
giorno per abitante (cioè 2/3 dei 90) per il numero di abitanti.
L’umidità del fango primario 𝑈 𝐼 , definita come la percentuale (in volume) di acqua nel
fango, è circa pari al 97%.
La portata volumetrica di fango primario giornaliera si determina come 𝑄𝑓𝐼 =
𝑄̇𝑠𝐼 𝐾𝑔𝑆𝑆𝑆⁄ 𝑚3 𝐼
𝑚3⁄ ], dove 100−𝑈 è la frazione in massa di SSS nei
⁄ 100−𝑈 𝐼 [ 𝑠 ⋅ ⁄𝐾𝑔 = 𝑠 100
𝜌𝑓 ⋅ 100
fanghi e 𝜌𝑓 è la densità del fango, assunta pari a quella dell’acqua.
Il fango secondario ha come frazione liquida sempre l’acqua, mentre quella secca è
costituita dai microorganismi formatisi dalle sostanze organiche durante la fase biologica;
la frazione secca è direttamente proporzionale quindi alla quantità di sostanze organiche
𝐾𝑔
degradate. Bisogna considerare l’indice di produzione dei fango 𝐼𝑝 = 0.9 − 1 𝐵𝑂𝐷5⁄𝐾𝑔 ,
𝑆𝑆𝑆
definito come il rapporto tra la massa di organico valutata in termini di 𝐵𝑂𝐷5 e la massa di
microrganismi sviluppati in termini di SSS.
E’ possibile calcolare la portata massica secca giornaliera 𝑄̇𝑠𝐼𝐼 costruita dai microrganismi
sviluppati nella fase. Inoltre è nota l’umidità del fango secondario 𝑈 𝐼𝐼 che si assume pari al
99-99.2%. Quindi per avere la portata volumetrica 𝑄𝑓𝐼𝐼 si possono usare due metodi: 𝑄𝑓𝐼𝐼 =
𝑄̇𝑠𝐼𝐼 ̇ 𝐼𝐼
[
𝐾𝑔𝑆𝑆𝑆⁄ 𝑚3
⋅ = 𝑚3⁄ ] oppure 𝑄 𝐼𝐼 = 𝐼𝑝 ⋅ 𝑄𝑠 ⁄ [𝐾𝑔𝐵𝑂𝐷5⁄ 𝐾𝑔𝑆𝑆𝑆⁄
⁄ 100−𝑈 𝐼𝐼 𝑠 ⁄𝐾𝑔 𝑠 𝑓 𝑠0 𝐾𝑔𝑆𝑆𝑆 ⋅ 𝑠⋅
𝜌𝑓 ⋅ 100
𝑚3⁄ 𝑚3⁄ ]. Solitamente si ha 𝑄 𝐼 < 𝑄 𝐼𝐼 e 𝑄 𝐼 > 𝑄 𝐼𝐼 . L’umidità 𝑈 del fango totale in
𝐾𝑔𝐵𝑂𝐷5 = 𝑠 𝑓 𝑓 𝑠 𝑠
ingresso (somma del fango primario e del fango secondario) è assunta pari al 98%.
Inspessimento
Il primo problema di cui ci si occupa è quello della palabilità, poiché questa è
ottenibile tramite operazioni più semplici rispetto alla stabilità.
La prima fase è detta di inspessimento, con l’obiettivo di allontanare dal fango una parte
dell’acqua che lo compone, cioè di ridurre l’umidità. Questa fase viene effettuata a monte
della linea fanghi poiché, chiaramente, più acqua va trasportata e più le singole fasi
risultano costose, pertanto è conveniente ridurre la portata quanto prima. Si cerca di
eliminare una parte d’acqua senza intervenire nella fase secca. Il prodotto principale è la
frazione secca, meno umida, e come prodotto di scarto vi è l’acqua eliminata.
L’inspessimento consiste in un processo di sedimentazione. La portata di fango è di due
ordini di grandezza più piccola rispetto alla portata della linea acqua (portata media nera)
per cui è possibile prolungare i tempi di detenzione, che risultano di circa 24 − 48 ℎ.
Digestione
L’eliminazione della restante umidità in eccesso, dovuta all’acqua interstiziale e
particellare, viene realizzata perseguendo la stabilità, in quanto la capacità di ritenzione
idrica di una sostanza stabile è inferiore a quella di una sostanza non stabile. Nelle fasi
successive all’inspessimento si rendono necessari processi che richiedono energia per la
rottura dei legami. In particolare si possono realizzare:
- processi chimici, non utilizzati però nella pratica;
- processi biologici, i più diffusi.
Si realizzano processi biologici in condizioni anaerobiche, infatti la portata 𝑄𝑓1⁄ è molto
2
più piccola della portata della linea acqua e le volumetrie sono più realizzabili, ciò
nonostante le vasche sono le più grandi dell’impianto. Si scelgono le condizioni
anaerobiche in quanto in questo caso non vi sono limiti di 𝐵𝑂𝐷5 da rispettare. Il fango,
infatti, deve risultare solo stabile, ma non deve ossidare necessariamente tutta la sostanza
organica. E’ pertanto possibile risparmiare sull’areazione e recuperare metano, utile come
combustibile. La fase che realizza il processo è detta digestione (anaerobica), che viene
indicata con il simbolo
La forma della vasca per la digestione non è rilevante, tuttavia la più usuale è
Disidratazione
Ci si è allontanati dalla palabilità, ma si è ottenuto un fango più disposto a separarsi
dall’acqua, ossia con una percentuale maggiore di acqua interparticellare piuttosto che
interstiziale ed particellare. Un fango siffatto viene quindi sottoposto alla fase di
disidratazione per mezzo della quale si può raggiungere l’umidità di almeno l’80%.
Il prodotto principale della disidratazione è fango palabile e stabile, il prodotto di scarto è
l’acqua che, insieme a quella uscente dall’inspessitore, viene riciclata alla linea acqua.
Per realizzare la disidratazione esistono tre metodi:
- trattamento termico: consiste in un essiccamento o incenerimento.
Nell’essiccamento si riscalda il fango fino ad una temperatura di 100°C, l’acqua
evapora e l’umidità arriva al 10%. Nell’incenerimento si arriva a 600-800°C,
temperature alle quali l’acqua evapora completamente, bruciando anche una parte
del secco, in particolare la parte organica che brucia a 650-700°C. Il trattamento
termico è poco diffuso in quanto risulta eccessivamente costoso;
- disidratazione naturale: è il sistema più antico, ma oggi è in disuso. Il sistema
consiste nella realizzazione di piccole vasche, dette letti di essiccamento, con il
fondo ricoperto di ghiaia, sulla quale si fa scorrere il fango. L’acqua, passando
attraverso la ghiaia, evapora al sole.
Quando le piastre vengono schiacciate formano una camera isolata: nella camera, quando
il livello di pressatura è massimo, si introduce in pressione il fango. Le piastre sono dotate
di una tela permeabile all’acqua, quindi quando il fango è portato in pressione l’acqua
fuoriesce e il secco resta tra le piastre. Per eliminare il secco si riduce la pressione, si
allontanano le piastre ed si preleva il tortino di fango disidratato.
Un ciclo di carico dura qualche ora: in un turno lavorativo di 8 h, quindi al giorno, si
realizzano due pressate.
I filtri a pressa possono avere varie grandezze, a seconda delle dimensioni dell’impianto.
Figura: disegna i cicli di trattamento completo dei fanghi nei vari casi per gli IP.