Sei sulla pagina 1di 18

ACQUA E MINERALI

Acqua → E’ il composto più diffuso in natura


→ E’ il componente principale di tutti i sistemi biologici e di quasi tutti gli alimenti

Acqua nell’organismo umano:

40% acqua intracellulare


60% del peso corporeo
20% acqua extracellulare (5% nel plasma e 15% nei fluidi interstiziali

Funzioni:
1. Solvente delle reazioni metaboliche
2. Regola il volume cellulare
3. Regola la temperatura corporea
4. Permette il trasporto dei nutrienti
5. Permette la rimozione delle scorie metaboliche

Siamo abituati a pensare all’acqua semplicemente come una bevanda, ma spesso non si tiene in
considerazione il fatto che l’acqua è il componente principale di tutti i sistemi viventi. Il nostro
mondo è un insieme di sistemi viventi che hanno basato la propria possibilità di sviluppo su sistemi
acquosi. Tutti gli alimenti allo stato naturali e tutti i sistemi viventi contengono quantità elevatissime
d’acqua. Anche il nostro organismo è costituito per i 2/3 d’acqua (circa). Siccome noi “conteniamo”
così tanta acqua, è scontato che abbiamo bisogno di tanta acqua perché giornalmente dobbiamo
reintegrare tutte le perdite d’acqua che si verificano fisiologicamente (l’acqua è quindi un alimento
fondamentale per noi). Tutte le reazioni chimiche e biochimiche che avvengono nel nostro
organismo, quelle che ci permettono di respirare, muoverci, produrre energia, avvengono in sistemi
acquosi. Tutte le reazioni metaboliche (che avvengono continuamente nelle nostre cellule) hanno
come solvente l’acqua. La maggioranza delle reazioni chimiche che avvengono nel nostro organismo
permettendoci di vivere possono verificarsi solo in presenza di una giusta quantità di solvente
(acqua). Questa regola anche la temperatura corporea: quando la nostra temperatura si alza troppo
sudiamo e questo passaggio d’acqua dall’interno all’esterno del nostro organismo permette di
abbassarne la temperatura perché il passaggio dell’acqua dallo stato liquido a quello aeriforme
assorbe calore. Potremmo citare poi altre numerosi funzioni dell’acqua nel nostro organismo.
L’acqua è di fatto considerabile un alimento in quanto è per noi fondamentale alla sopravvivenza.
Senza bere si sopravvive pochissimi giorni.
Essendo gli alimenti che consumiamo spesso derivati di altri sistemi viventi, essi sono pieni d’acqua.
Soprattutto se consumiamo alimenti allo stato naturale come carne fresca, pesce fresco, frutta,
verdura, stiamo consumando un sistema vivente contenente fino al 90% d’acqua. Quando si dice
che dobbiamo introdurre una certa quantità d’acqua ogni giorno bisogna tenere conto anche
dell’acqua che assumiamo consumando questo tipo di alimenti.
La caratteristica più importante della molecola di
acqua, caratteristica sulla quale si sono adattate
tutte le nostre reazioni metaboliche, è che è una
molecola POLARE.
Possiamo rappresentarla con uno spostamento
di cariche elettriche, dove la densità di carica
negativa si concentra sull’ossigeno mentre i due
atomi di idrogeno hanno una parziale carica
positiva. L’acqua è inoltre in grado di sciogliere
molto bene le sostanze ioniche (i sali).

Altra caratteristica importante della molecola


d’acqua, caratteristica che l’ha resa idonea alla
vita in un certo range di temperatura, è che essa
ha uno specifico punto di ebollizione e di
congelamento. L’acqua bolle a 100 gradi
centigradi e questa è una temperatura altissima
per una molecola così piccola. Altre molecole più
o meno con lo stesso peso,volume,forma, come
ad esempio l’acido solfidrico, hanno dei punti di
ebollizione sotto 0 gradi centigradi. La
temperatura di ebollizione dell’acqua è così alta
rispetto a quella di altre molecole proprio a causa
dei suoi legami polari.

Nell’immagine del legame idrogeno sono rappresentate due molecole d’acqua. Le molecole d’acqua
allo stato liquido sono vicine tra loro (altrimenti sarebbero nello stato aeriforme), ma come fanno ad
esserlo se sono così piccole e leggere? Questo concetto si capisce grazie all’immagine: le parziali
cariche positive e negative che si trovano dentro la molecola stessa permettono alle molecole di
avvicinarsi molto l’una all’altra perché cariche di segno opposto si attraggono. Due molecole d’acqua
che hanno entrambe una carica positiva e una negativa si orienteranno in modo tale che la carica
positiva di una attragga la carica negativa dell’altra e viceversa. Questa “rete” di cariche che si forma
impedisce alle molecole di allontanarsi dalle altre. Per dividere le molecole io devo dare molta
energia al sistema, ovvero scaldare l’acqua in forma liquida fino all’ebollizione. Per questo l’acqua è il
solvente ideale per le reazioni biologiche: a temperature compatibili con lo sviluppo di vita sul
nostro pianeta, essa si trova allo stato liquido. Il tipo di legame che si forma tra molecole d’acqua
non è un vero e proprio legame chimico, ma solo un’interazione, e si chiama legame idrogeno.
Questo ragionamento non è valido per altre molecole, come l’acido solfidrico, perché la differenza di
elettronegatività tra idrogeno e zolfo non è sufficiente per formare queste cariche positive e
negative (è un idracido debole).
Analogamente, è ottimale anche il punto di fusione. Alla temperatura di 0 gradi centigradi vi è il
passaggio della molecola dallo stato liquido a quello solido (solidificazione)
Altra caratteristica curiosa dell’acqua rispetto ad altre sostanze è che l’acqua, durante il processo di
solidificazione, si comporta in modo contrario rispetto alla maggior parte delle altre sostanze
presenti in natura. Di solito quando in altre sostanza c’è il passaggio dallo stato liquido a quello
solido, essa tendono a comprimersi perché le molecole si avvicinano molto tra loro causando una
diminuzione di volume.
L’acqua solidificando, anziché comprimersi,
aumenta di volume e ciò accade sempre a causa
della proprietà della molecola di orientarsi in
modo specifico avvicinando cariche positive di
una molecola e negative di un’altra.
La struttura del ghiaccio è caratterizzata dalla
disposizione delle molecole che vanno a creare
degli “spazi”. Questo consente alle molecole di
sistemarsi in modo da avere una struttura più
regolare.

Dal punto di vista alimentare, questa caratteristica costituisce un problema. Congelando un alimento
ricco d’acqua, come della carne, otterremo alla cottura un effetto diverso rispetto a quello che
potremmo ottenere cuocendo della carne fresca. Il risultato finale sarà molto differente: la carne
avrà dimensioni ridotte e sarà più secca a causa della diminuzione dei liquidi. Questo accade perché
quando si mette (ad esempio) una bistecca in congelatore, si sta conservando un taglio di carne che
ha ancora tutte le sue cellule integre, esattamente com’erano nel sistema vivente (la mucca). Ogni
singola cellula che va a comporre il tessuto muscolare dell’animale ha al suo interno una
considerevole quantità d’acqua. Una volta congelata la bistecca, l’acqua dentro ogni singola cellula
subirà il processo di espansione nel solidificarsi di cui abbiamo parlato poco fa e dunque spaccherà
la cellula. Una volta scongelata la bistecca, si avrà all’interno della carne dell’acqua libera fuoriuscita
dalle cellule, la quale in cottura si perderà facilmente (al contrario di come avverrebbe se le cellule
fossero integre).
Questo problema si verifica per tutti gli alimenti che sono commercializzati come surgelati: per essi
ci sono specifiche tecniche di conservazione. Gli alimenti surgelati in commercio non sono come gli
alimenti che congeliamo a casa (da qui la distinzione di terminologia); surgelare significa portare
l’alimento a una temperatura bassissima in modo tale che l’acqua passi allo stato solido molto
velocemente. In questo modo ci sono più probabilità che la cellula rimanga integra e che l’alimento
abbia poche possibilità di subire il fenomeno di cui sopra. I congelatori che abbiamo a casa arrivano
circa a -10 gradi centigradi, mentre surgelare significa conservare l’alimento a -50 gradi, una
temperatura molto più bassa.
L’acqua influenza anche la conservabilità dell’alimento; possiamo riconoscere che un alimento è
andato a male quando si sono sviluppati dei microorganismi (batteri, lieviti, muffe) che hanno
intaccato i nutrienti presenti nell’alimento. Spesso quando un microorganismo si sviluppa nutrendosi
di un alimento, esso metabolizza e produce le sue sostanze di scarto. L’alimento dove si ha una
contaminazione microbica rilevante o assume un colore che non è il suo o un odore sgradevole.
Questo alimento, che noi chiamiamo “andato a male” è un alimento dove microorganismi si sono
sviluppati in modo rilevante e hanno prodotto una concentrazione tale di sostanze da essi derivate
che ci permettono di riconoscere il fatto che l’alimento non sia più mangiabile in sicurezza. Di solito i
microorganismi stanno meglio su un alimento ricco d’acqua (possono così non solo mangiare ma
anche bere; esattamente come noi le cellule microbiche sono costituite da un’elevata percentuale
d’acqua). L’alimento più ricco d’acqua è un alimento che va a male più velocemente e più facilmente.
La quantità di acqua dal punto di vista alimentare va tenuta sotto controllo per comprendere le
migliori tecniche di conservazione da utilizzare su quello specifico prodotto.
Ci sono alimenti, come ad esempio il latte, la frutta, la
verdura, che sono ricchissimi di acqua. L’alto
contenuto di acqua nel latte può sembrarci scontato
trattandosi esso di una bevanda (alimento liquido),
ma ci sono alcuni tipi di frutta, verdura, ortaggi che
pur essendo solidi hanno un contenuto d’acqua
ancora maggiore rispetto a tali bevande. La differenza
tra l’87% di acqua presente nel latte e il 90% d’acqua
presente nella lattuga è che nel latte l’acqua è libera
al di fuori delle cellule (il latte è una sostanza che
viene prodotta già di suo allo stato liquido), mentre in
una foglia di lattuga l’acqua si trova dentro ogni
singola cellula (le cellule hanno una membrana e
perciò sono di fatto sistemi solidi).

Questo il motivo per cui alcuni alimenti solidi spesso contengono più acqua di quelli liquidi;
esplicativo in tal senso è sicuramente il processo di spremitura di alcuni frutti come ad esempio le
arance. Quando spremo un’arancia rompo le sue cellule che rilasciano acqua miscelata ad altre
sostanze come le vitamine, che va a formare il succo.
Anche i tessuti animali freschi (carne e pesce) contengono un rilevante quantitativo d’acqua. Questo
va man mano a diminuire in alimenti trasformati. Ad esempio gli oli (di varie tipologie) sono gli unici
alimenti in cui il contenuto d’acqua è quasi pari a 0; l’olio non è un sistema vivente ma è qualcosa
che estraggo da un sistema vivente (l’oliva, un frutto ad alto contenuto d’acqua). A questo punto
non ho più il sistema allo stato naturale, ma ho una parte di oliva, in particolare la sua frazione
lipidica (che forma legami apolari incompatibili con l’acqua).
Altra cosa interessante è la quantità di acqua che c’è nel burro (è poco percepibile). E’ comune
pensare che nell’olio ci siano meno calorie che nel burro invece è il contrario perché il burro è
composto di acqua per 1/5 del suo peso. Se mangio10g di burro sto in realtà consumando 8g di
grasso e 2g di acqua. Se mangio 10g di olio sto consumando 10g di sostanza lipidica (grasso). Altri
elementi trasformati con un basso contenuto d’acqua sono le farine; dalla pianta di grano vengono
estratte solo le frazioni ricchi di amido (carboidrati) e con trascurabili quantità d’acqua. Allo stesso
modo il latte, formato per l’87% da acqua, se trasformato in latte in polvere perde gran parte del
suo contenuto d’acqua (ne rimane solo il 4%).
Il contenuto calorico dell’acqua è pari a 0: l’acqua che ingeriamo non viene in alcun modo
trasformata dal nostro organismo, il quale non è in grado di ricavarne energia. Quando vado a
calcolare il valore energetico di un alimento so già che se contiene molta acqua non potrà che
essere poco calorico. Per questo in una dieta ipocalorica l’unico alimento che si consiglia di
mangiare senza limiti è la verdura, che contiene 90g di acqua per etto. Al contrario, condimenti
come olio e burro sono alimenti poco ricchi di acqua e molto ricchi di altre sostanze altamente
caloriche e sconsigliate in una dieta dimagrante. Il contenuto d’acqua degli alimenti influenza molto
la loro conservabilità: osservando la tabella notiamo che c’è una proporzionalità abbastanza
significativa tra deperibilità e contenuto d’acqua dell’alimento. Latte, ortaggi, carne sono prodotti da
consumare in pochi giorni, oltre i quali si verificherà uno sviluppo microbico rilevante. Prodotti
invece come la farina, l’olio, il caffè hanno scadenze molto più lunghe.
Tuttavia, conoscere il semplice contenuto d’acqua non è abbastanza per determinare con precisione
la deperibilità di un alimento, basta guardare il caso del miele e del burro. Il burro contiene meno
acqua del miele ma se si dovessero mettere entrambi i prodotti a temperatura ambiente non
reagirebbero assolutamente allo stesso modo (anzi sono stati addirittura trovati dei vasetti di miele
in perfetto stato di conservazione nella tomba di alcuni faraoni egizi).
Non basta sapere quanta acqua c’è nell’alimento,
ma bisogna sapere quanta acqua libera c’è. Nel
miele, i 20g di acqua che ci sono non sono liberi,
ma sono completamente legati allo zucchero (i
restanti 80g per etto). Nello zucchero i legami tra
le molecole sono di tipo ionico, molto simili a
quelli dell’acqua (covalente polare). Lo zucchero
e l’acqua interagiscono in modo molto stretto ed
è come se le molecole d’acqua diventassero
parte integrante della molecola di zucchero.
Quindi i microorganismi non riescono a intaccare
questa struttura per bere. Ciò sbilancerebbe il
rapporto di liquidi e di zuccheri nel
microorganismo.

La stessa cosa è valida per l’acqua salata: se ci potessimo abbeverare solo con acqua contenente
cloruro di sodio dopo poco tempo moriremmo perché i sali in eccesso sbilancerebbero il rapporto
importantissimo per il nostro organismo tra sali minerali e fluidi acquosi. Se provassi ad assumere
acqua nutrendomi di miele, per ogni 20g di acqua assimilerei anche 80g di zucchero. Ciò non è
salutare né per l’uomo né per i microorganismi (è incompatibile con la loro vita). Il burro invece
contiene circa la stessa quantità di acqua contenuta nel miele, ma gli altri 80g di sostanza lipidica
per etto sono caratterizzati da legami carbonio-idrogeno, ovvero legami covalenti puri. L’acqua non
interagisce con questo tipo di sostanze e dunque è acqua libera (non fisicamente o chimicamente
legata ad altre sostanze).
L’alta deperibilità di un alimento non è dunque legata alla presenza di acqua, ma alla presenza di
acqua libera. Quando si parla di acqua negli alimenti, poiché in essi c’è sempre qualche altra
sostanza che la accompagna, è importante capire quanta acqua sia effettivamente libera e quanta
sia invece legata strutturalmente alle altre componenti dell’alimento.

C’è dunque un indice che misura l’acqua libera all’interno


di un alimento. Questa misura fisica prende il nome di
attività dell’acqua. Ogni sostanza liquida ha sempre un
equilibrio, seppur minimo, con la sua fase vapore (è
impossibile per noi vedere ad occhio nudo questo
processo). Se non fosse così, non si riuscirebbe mai ad
esempio ad asciugare i panni usciti dalla lavatrice. Se non
ci fosse questo equilibrio, l’acqua potrebbe essere
trasformata nello stato aeriforme solo alla temperatura
di 100 gradi, temperatura alla quale si dovrebbero
asciugare anche i panni. L’acqua liquida ha sempre un
equilibrio con la fase vapore. Quest’acqua pian piano si
allontana (essendo le molecole lontane tra loro nello
stato aeriforme) e per questo altra acqua liquida si
trasforma in vapore.
Questo significa che se si lascia una bottiglietta d’acqua aperta prima o poi questa evaporerà
completamente (in un tempo più o meno breve in base a fattori come la temperatura, l’umidità,
ecc). L’acqua allo stato aeriforme inoltre esercita una pressione costante sull’acqua allo stato liquido,
la quale in fisica si chiama pressione parziale dell’acqua.
Molti alimenti, proprio perché al loro interno ci sono zuccheri o sali (ovvero molecole che
trattengono l’acqua) hanno una frazione di acqua molto minore al loro interno. Questo è il motivo
per cui per far bollire prima l’acqua non si deve aggiungere il sale: le molecole d’acqua che si
attaccano alla struttura del cloruro di sodio fanno più fatica ad evaporare. Stessa cosa accade con
zucchero, proteine e molti altri alimenti. Il punto è che alimenti ricchi di sale, zucchero, proteine (e
sostanze che legano con l’acqua in generale) avranno una quantità di molecole acqua allo stato
aeriforme minore più bassa rispetto alla quantità di molecole di acqua pura allo stato liquido.
Questo è il concetto su cui si basa la misura dell’attività dell’acqua. Per misurare l’attività dell’acqua si
misura la quantità di vapore presente nell’alimento e si confronta con la quantità di molecole allo
stato aeriforme che si hanno nell’acqua pura (si fa il rapporto). Più è basso questo rapporto tra
vapore dell’alimento e vapore dell’acqua pura, meno acqua libera sarà presente nell’alimento (valore
inversamente proporzionale). In alimenti come verdura e animali freschi, ovvero alimenti poveri di
sostanze che legano l’acqua, il rapportò darà un valore vicino a 1. Ciò significa che la quantità di
acqua libera nell’alimento è molto simile alla quantità di acqua libera dell’acqua come bevanda.
Invece alimenti stagionati come salumi e formaggi (ricchi di sale) avranno come risultato del
rapporto un valore di attività dell’acqua minore di 1.
Questa misura si fa perché si sa che ci sono alcuni
microorganismi che hanno bisogno di alcuni valori minimi di
attività dell’acqua per svilupparsi. Ad esempio sotto il valore di
0,6 nessun microorganismo sarà in grado di intaccare
l’alimento. In base al valore dell’attività dell’acqua è poi
possibile prevedere anche che tipo di microorganismo andrà a
svilupparsi; ad esempio i batteri patogeni (salmonella,
botulino…) si sviluppano tutti con valori di attività dell’acqua
abbastanza alti, sopra lo 0,86. Le muffe tollerano invece
restrizioni di acqua anche più importanti, esse infatti si
sviluppano anche sulla marmellata, anche se questa è
ricchissima di zuccheri e ha attività dell’acqua abbastanza
basse.

Il valore di attività dell’acqua di un alimento mi fornisce quindi informazioni su come devo


conservare l’alimento e su che azioni devo compiere per mantenere il consumo dello stesso in un
livello di elevata sicurezza (basso rischio microbiologico).

La tabella dimostra che contenuto d’acqua e


attività dell’acqua non sempre vanno di pari passo.
Tutti gli alimenti hanno un’attività dell’acqua pari a
0,8 ma un contenuto d’acqua completamente
diverso. Per arrivare a un valore così alto di
umidità, il cloruro di sodio dovrebbe essere
formato da oltre il 300% di acqua perché le
molecole di cloro e sodio trattengono tantissima
acqua. Stessa cosa vale per zuccheri come
saccarosio, sorbitolo, glicerolo.
Come abbiamo detto, il parametro per
determinare quanta acqua libera e quanta acqua
legata ad altre molecole c’è in un alimento è
definito attività dell’acqua. E’ un parametro
fondamentale perché definisce quali organismi si
possono sviluppare su uno specifico alimento.
Esso viene misurato a livello fisico per ogni
alimento e ci sono delle soglie di attività dell’acqua
che permettono o non lo sviluppo di uno specifico
microorganismo.

Nel 90% dei casi un alimento da noi considerato “andato a male” è un alimento in cui c’è stato un
considerevole sviluppo microbico. E’ stato stabilito che sotto la soglia del valore dell’attività
dell’acqua di 0,6 non si può sviluppare alcun microorganismo perché un’attività dell’acqua così bassa
ci va a indicare che la maggior parte delle molecole d’acqua nell’alimento è in forma legata (i
microorganismi non avrebbero da bere e non potrebbero sopravvivere. I batteri patogeni hanno
bisogno di un’elevata attività dell’acqua per crescere (maggiore di 0,86) e dunque per inibire lo
sviluppo di alcuni batteri patogeni e conservare al meglio gli alimenti è sufficiente togliere loro una
piccola parte d’acqua. I lieviti si possono sviluppare anche a valori intorno lo 0,8 e ancor più
resistenti sono le muffe (caso che interessa particolarmente il settore alimentare), le quali possono
svilupparsi già in alimenti con un valore di attività dell’acqua vicino allo 0,7. Questo è il caso ad
esempio della marmellata, che ha una quantità molto elevata di zucchero il quale contribuisce ad
abbassare il livello dell’attività dell’acqua scoraggiando l’aggressione da parte di molti patogeni, ma
non delle muffe (tollerano valori più bassi rispetto ad altri microorganismi).
In base a queste analisi, le aziende alimentari sanno che ci sono dei valori di attività dell’acqua che
devono raggiungere per limitare lo sviluppo microbico. I patogeni sono gli organismi più pericolosi in
quanto possono trasmettere (come dice il nome) delle patologie e dei gravi stati di malattia
nell’uomo. Il più pericoloso è sicuramente il botulino e come sappiamo l’intossicazione botulinica
può essere anche letale.
Quando l’industria alimentare valuta lo stato di conservabilità di un alimento non prende in esame
solo i microorganismi perché la contaminazione microbica è solo uno degli aspetti da analizzare; ci
sono una serie di modifiche che si possono sviluppare nell’alimento che non dipendono dai
microorganismi ma semplicemente da reazioni chimiche. Ad esempio, pur non contenendo acqua,
anche gli oli hanno una data di scadenza. In questo caso l’olio non va a male perché si sviluppano in
esso dei microorganismi (non sopravvivrebbero), ma a causa dell’ossidazione, ovvero di una
reazione chimica che determina una modifica della frazione lipidica la quale causa lo sgradevole
odore di olio rancido. L’ossidazione lipidica, come si può vedere nel grafico di cui sopra, si sviluppa
principalmente in alimenti con valori di attività dell’acqua prossimi allo zero.
Parliamo ora delle caratteristiche dell’acqua come bevanda:

L’acqua è uno dei componenti fondamentali della nostra


dieta; senza di essa non potremmo vivere a lungo. L’acqua
che beviamo quindi viene considerata come alimento e i suoi
parametri compositivi e qualitativi sono regolamentati. Il
nostro pianeta è ricchissimo d’acqua ma in realtà la frazione
di acqua potabile da noi consumabile senza incorrere in rischi
è fortemente limitata.
Bisogna fare una distinzione tra acqua e acqua come alimento. Non possiamo prelevare dell’acqua
dai sistemi naturali e proporla direttamente per il consumo, ma questa deve avere delle
caratteristiche particolari (esse si applicano sia all’acqua di rete sia alle acque minerali imbottigliate).
In generale, l’acqua destinata al consumo umano deve essere inodore, incolore e insapore. Queste
sono le caratteristiche organolettiche, quelle percepibili con i nostri sensi. Per quanto riguarda la
mancanza di sapore, il discorso è un po’ complicato: in realtà comprando acque diverse percepiamo
sapori diversi, alcune ci piacciono più altre meno. Questo “sapore” che molti riescono ad attribuire
alle acque è dovuto al contenuto di sali minerali presenti nelle stesse. Infatti, l’acqua che noi
beviamo non è acqua pura o distillata, ma ha sempre disciolti in sé una quantità più o meno rilevanti
di sali minerali. Se bevessimo soltanto acqua distillata il nostro organismo ne risentirebbe.
Ci sono poi diversi decreti legislativi che fissano le caratteristiche specifiche che l’acqua deve avere
per essere potabile.
Sull’etichetta dell’acqua si trova un’analisi chimica di
massima, una serie di parametri elencati (più o meno
dettagliati). Tra i parametri obbligatori da misurare per
stabilire la potabilità dell’acqua i più importanti sono: la
temperatura a cui viene prelevata (da una sorgente o da
un acquedotto), il pH (i fluidi del nostro organismo hanno
un pH intorno a 7, neutro, e i valori dell’acqua non vi si
possono discostare molto), la conducibilità elettrica
(influenzata dalla quantità di sali minerali: un’acqua
povera di sali può essere nociva perché ripulirebbe
l’organismo dai sali e allo stesso modo una troppo ricca di
sali creerebbe un deposito dei sali in eccesso, come nel
caso dei calcoli renali), residuo fisso e durezza.

A dirci quanti sali minerali sono contenuti in un particolare tipo d’acqua sono la conducibilità
elettrica e il residuo fisso a 180 gradi, per il quale c’è un valore soglia di 1550 mg/l (anche se quasi
tutte le acque in commercio sono molto lontane da questo valore, soprattutto quelle minerali).
Uno dei parametri più importanti è infine la durezza, caratteristica che interessa moltissimo le
industrie che utilizzano nei loro impianti acqua calda. Comunemente, quando si parla di acqua dura
si parla di acqua calcarea. Un’acqua dura è un’acqua che quando portata ad alte temperature
rilascia un deposito di colore bianco, costituito da sali minerali (in particolare il deposito di calcio e/o
magnesio). Questo è chiaramente visibile a livello domestico facendo bollire l’acqua in una pentola (i
precipitati colorano i bordi della pentola di bianco) o ad esempio preparando un tè (formazione di
una patina biancastra in superficie). Sempre a livello domestico, si può fare l’esempio di lavatrici e
lavastoviglie: ogni volta che l’acqua passa nelle tubature (acqua calda) si possono vedere questi
depositi che pian piano potrebbero addirittura andare ad ostruire i tubi. Questo fenomeno non ha a
che fare con la salute: un’acqua dura è un’acqua molto ricca di minerali e potrebbe far bene a chi ha
carenze di calcio o magnesio (se ho invece calcoli renali l’acqua dura potrebbe essere un problema,
ma in condizioni normali non è altro che un integratore di calcio e magnesio). Il problema è di tipo
tecnologico, soprattutto a livello industriale e di impianti.
Non entriamo nel dettaglio di queste
analisi, diciamo solamente che un’acqua
prima di essere commercializzata subisce
una serie di analisi di tipo microbiologico e
chimico per verificare che non ci siano
elementi minerali in concentrazione
troppo elevata, che non ci siano
contaminanti, che non ci siano
microorganismi. Una delle diciture che si
trova più spesso in etichetta è “ammoniaca
e nitriti assenti”. Essa è molto positiva
perché ammoniaca e nitriti sono sostanze
che contengono azoto, il quale spesso
deriva dalla decomposizione di esseri
viventi (l’acqua sarebbe contaminata).

Se l’acqua non corrisponde a questi requisiti può essere dichiarata non idonea al consumo umano o
può essere dichiarata idonea previo trattamento di potabilizzazione.

In alcune zone d’estate l’acqua di rete può assumere un


particolare odore che ci palesa la presenza di cloro. La
reale differenza tra l’acqua di rete e l’acqua in bottiglia è
proprio il fatto che la prima subisce un trattamento di
potabilizzazione. Questo significa che si parte da
un’acqua riciclata, usata già per altri processi (non è
acqua di sorgente), resa sicura per il consumo grazie a
una serie di trattamenti, filtrazioni, eliminazione di
sostanze e soprattutto clorazione (il cloro è una sostanza
antimicrobica). La clorazione a monte deve garantire
inoltre che una quantità minima di cloro arrivi a valle
(che non si disperda completamente nelle tubature).

A parte il parametro della clorazione, tutti gli altri parametri sono identici a quelli predisposti per
l’acqua in bottiglia. La differenza sostanziale tra l’acqua in bottiglia e l’acqua di rete è però un’altra:
l’acqua in bottiglia è un’acqua che sgorga da una sorgente naturale, viene prelevata e imbottigliata
(non è acqua “di seconda mano”, non è purificata o potabilizzata). Per questo essa si chiama acqua
minerale.
L’acqua minerale, essendo un prodotto confezionato, è caratterizzata da specifiche regole su quali
informazioni possano essere riportate in etichetta. Questo accade soprattutto perché in base alla
quantità e alla tipologia di sali minerali contenuta in queste acque, si possono attribuire a queste
alcune proprietà caratteristiche. Ci sono acque che stimolano la diuresi, acque indicate per le diete
povere di sodio, ecc. Prima di tutto, essendo l’acqua un alimento, in etichetta non si può scrivere
nulla che alluda a proprietà curative o farmacologiche della stessa (motivo principale
dell’introduzione di questa regole sono le declamate proprietà delle acque termali). Ciò che è di
solito sempre riportato è il tipo di acqua minerale: oligominerale, minimamente mineralizzata o
ricca di sali minerali. L’acqua oligominerale ha una quantità di sali minerali (residuo fisso) compresa
tra 50 e 500 mg/l. Questa è la categoria più comune in assoluto tra le acque in commercio. Se il
residuo è inferiore a 50 mg/l si parla di acqua minimamente mineralizzata. Le acque minimamente
mineralizzate sono quelle consigliate per l’alimentazione per l’infanzia; un esempio è l’acqua
Sant’Anna. I neonati non possono ricevere quantità elevate di sali minerali, infatti non si da mai loro
cibo salato. Vi sono infine le acque ricche di sali minerali, aventi un residuo fisso superiore a 500
mg/l, ma comunque inferiore a 1500 (altrimenti non sarebbe potabile). Le acque migliori per la
salute sono le oligominerali perché hanno una concentrazione di sali minerali che è molto vicina alla
nostra fisiologica (è acqua compatibile con quella dei nostri fluidi intracellulari ed extracellulari). Le
acque minimamente mineralizzate sono spesso pubblicizzate come acque ottime per la salute e la
dieta in quanto allontanerebbero i liquidi (es. Vitasnella). Tuttavia liberandoci dai liquidi in eccesso
queste porterebbero via anche una parte di sali minerali del nostro organismo, sbilanciando il
rapporto acqua-sali. Dopo un prolungato consumo ci si potrebbe sentir male perché la carenza di
sali impoverirebbe eccessivamente il nostro organismo. Le acque ricche di sali minerali, come
Ferrarelle e Uliveto, possono essere indicate in estate o per chi pratica sport e ha una sudorazione
intensa (il sudore porta via una grande quantità di sali minerali), ma a lungo andare potrebbero
indebolire gli organi che si occupano del riciclo di sostanze come ad esempio i reni.
A volte in etichetta si possono poi trovare dei claim come “acqua ricca di calcio”, “acqua ricca di
magnesio” e così via. Per poter scrivere ciò ci sono chiaramente delle regole: l’acqua deve avere una
concentrazione di questi minerali superiore alla soglia stabilita dall’organo competente (EFSA).
Tuttavia come abbiamo già detto, anche se sono ammesse alcune indicazioni sulla salute, nessuna di
queste può riferirsi a effetti curativi di patologie particolari.

Per concludere il discorso sull’acqua parliamo


quindi di quanta acqua si dovrebbe bere.
Dobbiamo bere acqua perché l’acqua che
compone il nostro organismo per il 70% viene
persa con l’evaporazione, con la sudorazione, con
l’urina, ecc. Dobbiamo continuamente
reintegrare l’acqua che perdiamo a causa dei
processi fisiologici. D’estate perdiamo più acqua
che in inverno a causa dell’elevata temperatura. Il
mio fabbisogno d’acqua varia in base alle
condizioni climatiche. Il fabbisogno minimo
d’acqua da introdurre è di 1ml per ogni Kcal
introdotta tramite l’alimentazione.
Tuttavia, sarebbe consigliabile introdurre 1,5ml/Kcal (valore ottimale). Inoltre, dobbiamo tener
conto del fatto che non introduciamo acqua solo bevendo, ma anche mangiando alimenti ricchi
d’acqua (in una dieta equilibrata circa 1l d’acqua viene introdotto tramite alimentazione).
Ricordiamo anche che neonati, donne gravide e donne che allattano hanno necessità diverse
rispetto agli altri individui.
Troviamo questa categoria di nutrienti sia
nell’acqua che negli alimenti. Sono sostanze
essenziali, ovvero nutrienti che non siamo in
grado di produrre in modo autonomo
(biosintetizzare), ma dobbiamo acquisire da una
fonte esterna. Senza queste sostanze i nostri
processi biologici non potrebbero verificarsi. I
minerali essenziali per noi sono quelli che sono
caratteristici dei sistemi viventi e costituiscono le
nostre cellule (vedi tavola periodica).

Quelli che comunemente definiamo elementi minerali sono quelli evidenziati in arancione e in verde
(macroelementi e oligoelementi), mentre quelli evidenziati in viola (carbonio, idrogeno, ossigeno e
azoto) a noi non servono come singolo elemento, ma solo quando fanno parte di molecole più
complesse. Il nostro organismo contiene circa il 6,2% del proprio peso corporeo di minerali, una
quantità non trascurabile. Una parte del nostro organismo fortemente basata sulla presenza di sali
minerali è il tessuto osseo e infatti sono proprio le ossa a contenere la maggioranza della
concentrazione di sali. I sali minerali nel nostro organismo si trovano anche all’interno e all’esterno
delle cellule (che contengono acqua e sali); ogni cellula è sempre a contatto con uno spazio
extracellulare ricco di sali (in cui è immersa). Anche i nostri fluidi, come il sangue, sono formati da
acqua, sali minerali e altre sostanze. Al di là della loro concentrazione nel tessuto osseo, troviamo
poi i sali minerali in tutti i nostri tessuti (tutto il nostro corpo), all’interno e all’esterno delle cellule.

La comprensione di questi fenomeni


richiederebbe una conoscenza più
approfondita della biologia molecolare,
tuttavia elenchiamo le funzioni dei
minerali soprattutto per evidenziare
quante tipologie di fenomeni
indispensabili per la vita siano interessate
dalla presenza di sali minerali. Ad
esempio, qualsiasi cosa avvenga nel
nostro organismo è sempre mediata da
una reazione chimica catalizzata da
alcune sostanze chiamate enzimi. Molti
enzimi funzionano solo se in presenza di
alcuni minerali e dunque la maggior parte
delle reazioni metaboliche richiedono sali
minerali. Molto spesso questi elementi
sono alla base di processi vitali.

Come abbiamo accennato precedentemente, i sali minerali si trovano sia dentro che fuori la cellula.
L’equilibrio tra sali fuori e dentro la cellula è fondamentale perché le permette di non perdere
troppa acqua (si disidraterebbe e morirebbe) o viceversa di assorbire troppa acqua (esploderebbe).
Altro esempio abbastanza esplicativo riguarda la trasmissione di impulsi nervosi (qualsiasi
movimento, pensiero, gesto che facciamo è ad essi legato), ovvero il “passaggio” dell’informazione
dal nostro cervello a qualsiasi parte del corpo. Questo impulsi sono di tipo elettrico, e l’elettricità si
trasmette in soluzioni che contengono sali minerali.
I minerali sono presenti in moltissimi alimenti,
ognuno dei quali conterrà alcuni minerali in
maggiore concentrazione e sarà carente di altri.
Per questo dobbiamo consumare nella nostra dieta
sempre alimenti diversi (e variare all’interno della
stessa categoria, es. verdure). Inoltre ci sono
alimenti che si “complementano” tra loro. Teniamo
anche in considerazione che due alimenti prodotti
in due zone differenti non avranno lo stesso
contenuto di sali minerali (il terreno può avere una
composizione diversa, l’acqua usata negli impianti
può essere più o meno dura, e così via).

E’ per questo difficile standardizzare o prevedere il contenuto di sali minerali di alcuni alimenti. Si sa
a grandi linee quali sono gli alimenti più ricchi di un certo minerale piuttosto che di un altro, ma si
tratta comunque di un qualcosa non fisso. C’è un altro fattore fondamentale da tenere in
considerazione quando decidiamo di mangiare un alimento ricco di sali: il nostro corpo è in grado di
assorbire quei sali minerali?
Un esempio sono sicuramente gli spinaci, notoriamente ricchi di ferro, ma che il nostro corpo non
riesce ad assorbire, ma elimina quasi totalmente senza riuscire a incorporarlo nelle cellule. Questi
errori sono legati alla mancanza di conoscenza nei confronti del concetto di BIODISPONIBILITA’ DEI
MINERALI. L’organo coinvolto nell’assorbimento dei nutrienti nel nostro corpo è l’intestino; se
introducessi un elemento fondamentale per la mia sopravvivenza in una forma che il mio intestino
non sia in grado di assorbire, è come se non avessi introdotto nulla. Un conto è quello che mangio e
un conto è ciò che riesco effettivamente a trattenere nelle mie cellule. Ciò che riesce ad arrivare alle
mie cellule si chiama FRAZIONE BIODISPONIBILE.

I minerali sono il tipico esempio del fatto che


quando noi mangiamo non c’è alcun elemento
che viene assorbito al 100%. Un conto è
mangiare proteine e assorbirne il 90%, un altro
è mangiare minerali e assorbirne il 5%.
Nel caso dei sali minerali è importante
conoscere non solo la quantità contenuta
nell’alimento, ma soprattutto la sua
biodisponibilità (la percentuale di sale che
viene effettivamente assorbita). Ad esempio, il
ferro contenuto negli spinaci viene assorbito
solo per il 10% e questo concetto è valido per
tantissimi altri minerali.

Ci sono numerosi fattori che influenzano la biodisponibilità; ad aiutare spesso sono combinazioni
particolari di alimenti. Prendiamo come esempio la fibra alimentare, la quale riduce l’assorbimento
del colesterolo. Se soffro di ipercolesterolemia ciò è solo positivo, ma se la fibra mi impedisce anche
l’assorbimento del ferro di cui ho bisogno, l’effetto sul mio corpo è negativo.
Ci sono una serie di c.d. fattori antinutrizionali degli alimenti, ovvero sostanza che impediscono
l’assorbimento di altre sostanze (può essere positivo o negativo).
Vediamo ora l’elenco degli elementi essenziali:

Questo è il reale elenco di elementi della tavola


periodica, presenti in natura, per noi essenziali.
Essi sono divisi in due categorie: macroelementi e
microelementi (o oligoelementi). I primi non sono
più importanti dei secondi, sono tutti importanti
allo stesso modo e sono tutte sostanze essenziali.
Ciò che rende un macroelemento tale è
semplicemente la quantità dello stesso che devo
assumere. Dei macroelementi si devono
assumere giornalmente quantità significative
(grammi), mentre di microelementi quantità più
ridotte (milligrammi).

I macroelementi vanno assunti in quantità considerevoli semplicemente perché nel mio organismo
essi sono già presenti in concentrazioni maggiori. Se ne ho di più, ne devo introdurre di più. Ad
esempio, calcio fosforo e magnesio sono gli elementi costitutivi di ossa e denti e per questo il nostro
organismo presenta una concentrazione rilevante degli stessi (per questo, devo sostituirli
giornalmente in una quantità proporzionale). Sodio, potassio e cloro, chiamati anche elettroliti, sono
quei sali minerali presenti in tutte le cellule ed è dunque ovvio che vanno reintegrati in quantità
elevate. Nella colonna dei microelementi ci sono elementi fondamentali come il ferro, lo iodio, il
fluoro, ma nel nostro organismo sono presenti solo in determinati organi e tessuti e per questo li
introduciamo in quantità minori. Caso tipico è quello dello iodio, prodotto solamente dalla tiroide.

• E’ il minerale più abbondante nel corpo umano. E’ presente circa 1,2 kg di calcio in un adulto
medio di 70 kg, il 99% del quale si trova nelle ossa
• Il fabbisogno di calcio è 700 mg/die; è più elevato durante i periodi di accrescimento,
gravidanza, allattamento e dopo la menopausa.
• Fonte alimentare principale: Latte e latticini (65%)
• Assorbimento: L’assorbimento del calcio dalla dieta è variabile, di solito è del 32 % ± 14 %. Il
lattosio e gli aminoacidi basici aumentano l’assorbimento perché formano complessi con il
calcio; la fibra diminuisce l’assorbimento, quindi i vegetariani necessitano di molto più calcio.

Il calcio è il minerale più abbondante nel nostro tessuto osseo, formato principalmente da fosfati di
calcio. La quantità totale di calcio nel nostro organismo supera 1 kg. Su questa quantità le perdite
giornaliere possono essere rilevanti, ed è per questo che necessitiamo di circa 1g al giorno di calcio.
E’ noto a tutti che il latte e i prodotti lattiero-caseari (yogurt, formaggi, ecc.) sono la nostra
principale fonte di calcio, ma in realtà ci sono molti altri elementi che contengono calcio, come ad
esempio alcuni vegetali. Non si parla di questi prodotti perché il calcio c’è ma è pochissimo
biodisponibile e non riusciamo ad assorbirlo. Inoltre, non è facile assorbire il calcio, anche dal latte
(la sua forma più biodisponibile) riusciamo ad assorbirne circa il 30-40%.
Nei vegetali, la fibra impedisce l’assorbimento di calcio legandosi ad esso e per questo i vegani
rischiano di riscontrare una carenza di calcio. Bisogna fare attenzione a come si combinano i vari
vegetali e bisogna ricorrere ad alimenti che hanno subito trattamenti tecnologici per aumentare la
disponibilità di calcio.

Oltre ad essere il principale costituente


delle ossa, come molti altri sali minerali, il
calcio gioca un ruolo importante nella
trasmissione degli impulsi nervosi. Per
questo la carenza di calcio è
particolarmente pericolosa: in età evolutiva
la carenza di calcio può causare rachitismo
(scarso sviluppo dell’apparato scheletrico) e
in età adulta può causare osteoporosi.
Molte aziende alimentari, soprattutto nel
settore lattiero-caseario, tendono a
evidenziare questo messaggio con prodotti
arricchiti in calcio, come latte o yogurt, che
vengono promossi come rafforzanti
dell’apparato scheletrico.

Altro minerale fondamentale del tessuto osseo


è il magnesio. Calcio e magnesio (sotto forma di
sale di fosforo) sono i due minerali che
costituiscono ossa e denti e hanno ruolo
fondamentale nell’apparato di sostegno del
nostro organismo. Il magnesio non è solo un
costituente del tessuto osseo, ma è anche una
sostanza essenziale per il funzionamento di
alcuni enzimi (sostanze che determinano tutte
le reazioni fisiologiche del nostro organismo). Il
magnesio è essenziale per tutti gli enzimi
coinvolti in reazioni di produzione di energia. I
sistemi viventi infatti continuamente devono
produrre energia per mantenersi in vita e la
carenza di magnesio è molto pericolosa per la
nostra vita.

Quando abbiamo un introito non sufficiente di magnesio o ne perdiamo troppo con la sudorazione,
il sintomo più comune è la debolezza. Soprattutto in estate, quando la sudorazione è più intensa,
iniziano a comparire sugli scaffali di farmacie e supermercati integratori a base di magnesio (es.
Polase), la cui eccessiva perdita può portare a uno stato di debolezza generalizzato, crampi
muscolari e svenimento. Gli integratori non sono fondamentali, ma lo è il seguire una dieta che
permetta di ricevere il corretto apporto di questo elemento. A differenza del calcio, principalmente
presente in prodotti di origine animale (latte e derivati), il magnesio si trova in alimenti di origine
vegetale. Anche in questo caso, bisogna stare attenti alla biodisponibilità. Come per tutti i sali
minerali, anche nel caso del magnesio c’è un problema di biodisponibilità perché il nostro organismo
non è mai perfettamente efficiente nell’assorbire queste sostanze.
La fonte di magnesio più biodisponibile è la clorofilla, ovvero il pigmento verde che serve ad
assorbire la luce solare per permettere alle piante di iniziare la fotosintesi clorofilliana e produrre
nutrienti (glucosio). Per questo i vegetali di colore verde (zucchine, bietola, lattuga…) sono le fonti
migliori per assorbire magnesio. Quando introduciamo il magnesio contenuto nella clorofilla,
molecola molto complessa, riusciamo ad assorbirne buona parte. Come quantità totale, però, la
fonte più importante di magnesio sono la frutta a guscio (noci, mandorle, pistacchi…) e i semi di
cacao. I cereali, poi, sono ricchi di molte fonti di minerali, tra cui anche il magnesio, ma hanno un
problema: essi vengono nel 90% dei casi lavorati, trasformati e perdono le parti più esterne del
chicco di grano. Il magnesio si concentra proprio in questi strati esterni, che vanno persi nella
produzione delle farine raffinate (che nel processo tecnologico vengono private di molti elementi
essenziali per la nostra alimentazione).
La dose giornaliera di magnesio raccomandata è di circa 0,3 grammi.

Il sodio è uno dei sali minerali di cui si parla


maggiormente. Il sodio è essenziale per la
nostra vita, in caso di carenza grave le
conseguenze sarebbero il coma e la morte.
Questa evenienza si è sporadicamente
verificata nel casi di atleti che fanno maratone
molto lunghe e attività sportive estenuanti. Se i
sali persi non vengono reintegrati
correttamente si rischia il collasso.
Il sodio è così importante perché, assieme al
potassio, permette il bilanciamento tra i liquidi
interni ed esterni alla cellula. Se l’equilibrio
dovesse sbilanciarsi eccessivamente, le cellule
esploderebbero o si disidraterebbero.

Perché allora si parla spesso male del sodio e si sostiene che dovremmo ridurre la quantità di sodio
nella nostra dieta? Questo accade perché la dose raccomandata di sodio è di 2g al giorno (uno dei
dosaggi più alti per i sali minerali) è molto facile da assumere. Il sodio fa parte di un ingrediente
alimentare che conosciamo molto bene, il sale (cloruro di sodio), e non si trova mai da solo. Per
introdurre 2g di sodio, devo introdurre circa 5g di cloruro di sodio. Il problema è che il sale non è
usato solamente a livello domestico per insaporire le pietanze, ma è utilizzato moltissimo
dall’industria alimentare. Quando compro un prodotto trasformato, compro un alimento ricco di
sale, perché questo è usato come conservante. Il sale tende a legare tantissima acqua, abbassa
l’attività dell’acqua dell’alimento e scoraggia gli attacchi dei microorganismi.
Ad esempio, il prosciutto di Parma è nato perché la carne di maiale, comune in questa zona, si
conserva molto poco essendo caratterizzata da un’alta attività dell’acqua, come tutte le carni. Per
questo nel corso del tempo ci si è interrogati su come conservare la carne in eccesso, e si è scelto il
processo di salagione. Nella cultura popolare, l’aggiunta di sale è sempre stata una modalità facile
ed economica per conservare gli alimenti (anche in Spagna esiste la carne salada).
Dove possiamo trovare la nostra dose giornaliera di sodio? Il prosciutto crudo contiene 5g di sale
per ogni etto. Questo significa che mangiando 100g di prosciutto si sta esaurendo totalmente la
dose quotidiana consigliata di sodio. Per questo è molto facile sorpassare la dose giornaliera
consigliata. Come la carenza di sodio porta alla morte, l’eccesso è altrettanto dannoso ed è un
fattore di rischio per i problemi cardiovascolari (infarto, ictus e altre patologie).
Lo sbilanciamento tra la quantità di acqua fuori e dentro
le cellule causato dall’eccesso di sodio può portare a
problemi di ipertensione arteriosa (è un fenomeno
chimico, consiste nell’avere la pressione sanguigna alta).
Inoltre, più ingerisco sodio, più avrò bisogno nel tempo
di aumentare la dose di sale per sentirne il sapore. Per
evitare questi problemi, si sta cercando di educare la
popolazione a utilizzare meno sale e l’industria
alimentare stessa sta cercando di rivolgersi verso la
clientela che ha bisogno di ridurne l’apporto giornaliero.

Nella nostra zona i due prodotti più importanti, prosciutto di Parma e Parmigiano Reggiano, sono
prodotti ad alto contenuto di sale. Entrambi i consorzi di questi prodotti stanno cercando di
modificare il processo produttivo in modo da ottenere prodotti qualitativamente uguali a prima ma
con un contenuto inferiore di sale. Tuttavia, questo è un processo molto difficile perché con poco
sale il prodotto non si conserva a lungo e quindi la lunga stagionatura non è più possibile. Questo è
un tema di ricerca tecnologica molto significativo.
Su altri alimenti invece si è riusciti a intervenire meglio: quando il sale è usato per dare sapore e non
al fine di conservare, è più facile ridurne la quantità nel prodotto (es. crackers).
Un altro modo per salare i cibi riducendo l’apporto di sodio è quello di ricorrere ai sali iposodici o
asodici. Essi sono considerati alimenti destinati a categorie speciali di consumatori (persone affette
da calcoli renali, da ipertensione…) ma in realtà possono essere usati da tutta la popolazione. Questi
prodotti sono sempre insaporitori, ma non sono più costituiti esclusivamente da cloruro di sodio. Ad
esempio il sale iposodico è un mix di cloruro di sodio e cloruro di potassio.
Tuttavia, bisogna fare attenzione anche a questi prodotti, perché anche un eccesso di potassio può
essere pericoloso.

La situazione del potassio è esattamente il rovescio


della medaglia della situazione del sodio: il sodio si
trova nei fluidi extracellulari e il potassio in quelli
intracellulari. Bisogna sempre tenere questi due
elementi bilanciati per permettere alle cellule di
vivere in condizioni ottimali. Il potassio è il principale
minerale dentro alle cellule.

E’ un elemento essenziale per la vita tanto quanto il sodio, carenze gravi di potassio possono portare
a situazioni vicine al coma. Mentre l’eccesso di sodio è fortemente sconsigliato perché causa
ipertensione, l’eccesso di potassio lo è perché causa la situazione contraria: l’ipotensione (il calo
della pressione sanguigna che può portare anche all’arresto cardiaco). La somministrazione regolare
e crescente di potassio è addirittura usata come veleno (è anche molto difficile da rilevare).
Possiamo introdurre potassio ogni giorno semplicemente grazie a una
dieta sana ed equilibrata. Il nostro fabbisogno di potassio è compreso
tra i 2 e i 6g al giorno. Mediamente nella dieta italiana è intorno ai 3g al
giorno, nei range consigliati di assunzione. Il potassio si trova in quasi
tutti gli alimenti vegetali: frutta e verdura ne contengono quantità
significative. Si può andare incontro a carenza di potassio in estate,
periodo in cui si perdono numerosi sali minerali. E’ comune trovare sul
mercato integratori di potassio e magnesio, gli elementi che più si
vanno a perdere a causa della sudorazione (ovviamente con la
sudorazione si perde anche del sodio, ma ciò è più che positivo e in
commercio non si troveranno mai integratori di sodio)
Vediamo ora due esempi di micronutrienti.

Il ferro è un elemento fondamentale per alcune


delle reazioni che avvengono nel nostro organismo.
L’emoglobina, che ha l’importante compito di
trasportare l’ossigeno nel nostro corpo e alle nostre
cellule, è una proteina globulare che contiene ferro.
La carenza di ferro può dare origine a una
condizione pseudo-patologica che si chiama
anemia (il ferro non è l’unico motivo). Quando si
fanno le analisi del sangue, il ferro è uno dei
parametri che viene sempre controllato: si vanno a
determinare la quantità di emoglobina e la quantità
di ferro totale. La sua carenza causa debolezza,
facile affaticamento e dunque il ferro è essenziale.

La funzione del ferro è quella di costituire l’emoglobina che


trasporta l’ossigeno nel circolo sanguigno. Quando
respiriamo, l’ossigeno si lega al ferro e tramite questa
proteina viene distribuito a tutti i tessuti e a tutte le cellule.
Senza ossigeno le cellule morirebbero all’istante, infatti
quando si respira monossido di carbonio questo si lega al
ferro al posto dell’ossigeno e si muore di intossicazione.
Il ferro si trova sia nei vegetali che nei tessuti muscolari degli
alimenti di origine animale (nei tessuti muscolari c’è una
proteina di nome mioglobina che lega il ferro). Il fabbisogno
di ferro non è elevatissimo: ci servono circa 10mg al giorno
di ferro, per le donne leggermente di più a causa delle
mestruazioni (18mg).

Tuttavia, gli alimenti vegetali che contengono ferro, come gli spinaci, sono caratterizzati da scarsa
biodisponibilità. Infatti, nei vegetali non sono presenti le due proteine che legano il ferro
(emoglobina e mioglobina) e si dice dunque che il ferro ricavato dai vegetali sia ferro non-eme.
L’assorbimento del ferro non eme è pari circa al 10%. Il ferro eme, invece, che si trova nei tessuti
muscolari animali, è caratterizzato da un assorbimento pari al 25%. Quindi, in ogni caso col ferro
persiste un problema di assorbimento, sia che si parli di alimenti di origine animale, sia che si parli di
alimenti di origine vegetale, ma nel primo caso si assorbe oltre il doppio del ferro che si
assumerebbe nel secondo caso (nei vegetali si perde il 90% del ferro). Per un corretto apporto di
ferro è inevitabile mangiare alimenti di origine animale e se per questioni etiche si dovessero
escludere questi prodotti dalla propria dieta sarebbe necessario prendere un integratore di ferro.
Diete vegetariane o vegane causano la necessità di integrare ferro e calcio, prodotti che si assorbono
facilmente solo da alimenti di origine animale. Spesso, anche con una dieta ottimale, è facile
riscontrare carenze di ferro e situazioni di anemia transitoria, che sono nel 90% dei casi trattai grazie
ad integratori alimentari. Tuttavia, il ferro degli integratori è pochissimo biodisponibile e molte
persone possono andare incontro a disturbi gastrointestinali a seguito dell’assunzione di integratori
di ferro perché una quantità enorme del ferro introdotto passa intatta nell’apparato digerente. Per
migliorare la biodisponibilità del ferro negli integratori generalmente si associa un’altra sostanza, la
vitamina C. La vitamina C è un antiossidante che permette al ferro di trovarsi in uno stato
molecolare più facile da assorbire.
Lo iodio è una sostanza fondamentale per il nostro
organismo; non è una sostanza che non si trova in
tutto il nostro corpo, ma viene prodotto da una
ghiandola particolare, la tiroide. Tutto lo iodio
presente nel nostro organismo è concentrato nella
tiroide ed è lì che vengono prodotti gli ormoni
tiroidei, che regolano il metabolismo glucidico. Se gli
ormoni tiroidei non sono prodotti nella
concentrazione ottimale si riscontrano numerosi
problemi.

La tiroide, per produrre ormoni ha bisogno di iodio, un atomo che costituisce le molecole degli
ormoni tiroidei. La quantità di iodio che ci serve giornalmente è pari a 0,14mg (perché lo iodio non è
distribuito in tutto il corpo ma è concentrato solo nella tiroide). Lo iodio non è facile da assumere: è
molto abbondante negli ambienti marini, lo si trova nelle acque di rete vicine al mare e non nelle
acque di rete dei paesi lontani dal mare. La nostra fonte alimentare principale di iodio sono i pesci di
acqua salata e i molluschi. Mangiare poco pesce e abitare lontano dal mare significa spesso
presentare una carenza di odio (non lo assumo dall’acqua di rete né dalla fonte alimentare che è il
pesce). In questo caso si parla di carenza endemica, ovvero di carenza di iodio legata a un
determinato territorio. Per ovviare al problema si è diffuso sempre più il consumo di sale iodato,
ovvero cloruro di sodio addizionato a una piccola quantità di un sale che contiene iodio. La quantità
di iodio nei sali iodati è comunque bassa, ma serve a risolvere il problema della carenza di iodio in
popolazioni che vivono lontano dal mare. Anche le aziende alimentari si sono rivolte a questa
categorie di consumatori producendo ad esempio tonno salato con sale iodato, crackers con sale
iodato, ecc.

Potrebbero piacerti anche