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Corso di Composizione degli Alimenti (6 CFU) – Prof.

Chiara Dall’Asta (Campus,


Edificio Chimico, Piano centrale; tel. 0521 905406; mail chiara.dallasta@unipr.it)
INDICAZIONI GENERALI
− Diversamente dalle indicazioni sul sito unipr, Il corso di "Chimica" non è propedeutico al corso di
"Composizione degli Alimenti" (88 su 150 l’hanno passato)
− Inizio lezioni alle 8.45 invece che 8.30, quarto d’ora accademico + breve pausa in mezzo per fare uno
stacco con le registrazioni, affinché non ci siano problemi
− Registrazioni lasciate sul sito tutto l’anno
− Materiale delle lezioni caricati a blocchi
− Fine delle lezioni corrispondente alla fine del corso
TESTI DI STUDIO
− T. P. Coultate, La Chimica degli Alimenti, Ed. Zanichelli (BO) – più indicato perché più impostato sulla
chimica, parte più dura per noi
− P. Cabras, A. Martelli, Chimica degli Alimenti, Ed. Piccin (PD)
− Leo M. L. Nollet eds., Hanbook of Food Analysis, Marcel Dekker (New York, USA)
− P. Cabras, A. Martelli, Chimica degli Alimenti, Ed. Piccin (PD)
− M. Marconi, G. Nicoli, D. Fajner, G. Benevelli
− Dentro al Gusto. Arte, scienza e piacere della degustazione Hoepli
− Consigliato: La Cucina Nota a Nota, Hervè This
ESAME
− Prova scritta erogata su teams tramite elly in due parti:
1. 20 domande a risposta multipla in 30 minuti di tempo (soglia 12 risposte corrette)
2. 2 quesiti aperti da svolgere in un'ora.
− Solo chi ha superato la prova a soglia potrà sostenere la prova a domande aperte
− In caso si renda necessario svolgere la prova in modalità telematica, la prima prova scritta verrà svolta via
Teams e la seconda prova scritta verrà sostituita da una prova orale sempre via Teams
− Orale di ragionamento, che non sarà lo stesso giorno dello scritto, quindi per qualsiasi necessità chiedere
− Se l’insufficienza all’orale è estremamente grave, si rifà anche lo scritto, altrimenti solo la parte orale
− Molti appelli già su elly, ma ne può aggiungere (pre e post, 18 l’anno scorso); sicuramente si farà un
preappello
LEZIONE 1 – ACQUA
L’acqua negli alimenti
L’acqua, ingrediente apparentemente relativo nella composizione degli alimenti, assume ruoli fondamentali:
• Solvente per sali, vitamine, zuccheri, gas, pigmenti
• Capacità di ionizzazione, ovvero di suddivisione in ioni H3O+ e OH─, che spiega tante proprietà degli
alimenti, ad esempio, la capacità di sciogliere/solubilizzare determinati composti, o di mantenere nella loro
struttura alcune proteine
• Influenza la struttura e la consistenza
• Influenza le reazioni chimiche e chimico-enzimatiche (es. idrolisi)
• Stabilizza svariate texture, ad esempio, i colloidi per idratazione (ma anche gel, emulsioni, sospensioni)
• Necessaria per lo sviluppo dei microorganismi e la modulazione della loro presenza (microrganismi
desiderati o non desiderati, es. patogeni che mettono a rischio la sicurezza degli alimenti) che può
determinare cambiamenti positivi o negativi
Contenuto di acqua di alcuni alimenti
A volte la texture dell’alimento non
corrisponde al reale contenuto d'acqua:
• l’olio non contiene acqua, nonostante
sia un liquido
• il contenuto d'acqua di carne o frutta e
latte è comparabile, nonostante le
diverse consistenze (solido e liquido)
• il pesce ha un maggiore contenuto
d’acqua della carne
• il latte in polvere ha un contenuto di
acqua estremamente basso rispetto al latte normale, perché il trattamento di disidratazione del latte lo
abbatte completamente
Il contenuto di acqua indica anche quanto un alimento è soggetto alla crescita microbica: la presenza di
acqua libera si traduce in una maggiore tendenza dell’alimento a subire la crescita microbica e quindi un
deterioramento della qualità nel tempo.

Legame idrogeno
Il legame idrogeno è un legame
debole (20-60 Kj/mol) formato
dall'interazione tra:
1. un doppietto di non legame di
un atomo avente
elettronegatività elevata (Y)
e
2. un atomo di idrogeno
polarizzato positivamente da un
legame con un altro atomo ad
elettronegatività elevata (X)
X ed Y sono spesso ossigeno od azoto. Legame covalente polare tra O o OH di una molecola e l’H dell’altra
(differenza di elettronegatività tra i due atomi coinvolti) che porta alla formazione di un ponte idrogeno.
Questo da origine alla struttura tetraedrica dell’acqua (immagine sotto a sinistra).

Struttura dell'acqua
Ogni molecola d'acqua può legare altre
quattro molecole d'acqua tramite legame
idrogeno.
L'impaccamento delle molecole d'acqua
determinato dalla riduzione dei moti
molecolari ad opera della bassa temperatura
crea un reticolo cristallino che rende il
ghiaccio (struttura a destra) meno denso
dell’acqua. Questo determina l'aumento di volume a seguito di congelamento rispetto allo stato liquido.
Questi cambiamenti di densità influiscono sulla qualità degli
alimenti congelati: il gelato surgelato ghiacciato con la pasta del
cono molle, la verdura congelata che cucendola si spappola,
indicano un errato mantenimento del freddo. Spostamenti dal
supermercato a casa nel congelatore: non essendo un
abbattitore di temperatura, questa ci mette tempo per abbassarsi;
in questo lasso di tempo, l’acqua si riorganizza in cristalli di
ghiaccio, quindi avviene un aumento di volume che porta alla
rottura di alcuni tessuti (l’alimento perde texture e perde qualità).
Diagramma di stato dell’acqua
L’acqua come solvente
L’acqua, in quanto solvente polare, può
solubilizzare:
a) composti polari (es. alcoli quali etanolo e
metanolo → vino = soluzione acqua + etanolo)
b) composti ionici / non polari quali Sali → le
molecole d'acqua tendono ad assumere una
struttura maggiormente "organizzata", con uno
svantaggio termodinamico principalmente
riconducibile ad una riduzione di entropia. La
necessità di contenere la diminuzione di ordine
(l’acqua sola è una sostanza ordinata;
aggiungendo olio, si va a creare disordine) porta
ad organizzare le strutture idrofobiche al fine di
ridurre la superficie esposta al solvente: l’acqua,
in maniera estremamente ordinata, si disporrà
intorno alle molecole anfifiliche o emulsionanti o surfattanti, con testa polare e coda apolare (tipica
struttura dell’acido grasso); questo, nel tempo, porta alla formazione di micelle e foglietti lipidi in caso di
lipidi, strutture molto organizzate in strati o doppi strati di teste polari orientate verso l'acqua e code apolari
esposte verso l'interno. Molti sistemi biologici ed alimentari sono strutturati in questo modo (es. latte, che
sfrutta la formazione di micelle per mantenere stabile al proprio interno il grasso o la frazione proteica).

Interazione tra acqua e alimenti: attività dell’acqua


L’acqua influenza:
• la crescita dei microorganismi
• le reazioni enzimatiche (gli enzimi necessitano di acqua per funzionare)
• l’ossidazione lipidica, fenomeno chimico che avviene a carico dei lipidi, ed unica reazione che avviene
meglio in assenza di acqua
• l’imbrunimento non enzimatico o reazione di Maillard, la più importante in cucina
L’acqua disponibile (in un alimento) è diversa dal contenuto totale:
1. acqua legata o incongelabile → principalmente di coordinazione, ovvero impegnata a coordinare/legare
molecole e ioni, e, pertanto, non disponibile per la crescita dei microrganismi; legata ai componenti ionici e
polari dell’alimento, pertanto, non disponibile come solvente, e quindi non condiziona la stabilità
dell’alimento
2. acqua libera → disponibile per le reazioni e per la crescita dei microrganismi; non è legata con i
costituenti dell’alimento e, pertanto, ne condiziona la stabilità
Per effettuare una descrizione dell’acqua negli alimenti, vi sono 3 diversi approcci:
1. contenuto di acqua (tradizionale) → per conoscere la quantità d'acqua in un alimento → semplice
concettualmente e come determinazione, ma non fa conoscere la quantità d'acqua libera rispetto a quella
legata
2. attività dell’acqua, aw (1950) → descrive in modo più preciso gli effetti dei soluti e le differenze tra i vari
alimenti in termini di acqua libera e acqua legata → metodo per conoscere la quantità d’acqua disponibile
per fare reazioni e la quantità occupata in legami con altre molecole (quindi non disponibile per reazioni o
per la crescita dei microrganismi)
3. mobilità molecolare (molecular mobility, Slade & Levine, 1988) → parametro che descrive gli alimenti
come matrici polimeriche e l’acqua come il plastificante chiave; i passaggi allo stato vetroso spiegano
alcune irregolarità nei dati di aw
Determinazione del contenuto (%) di acqua negli alimenti
È rilevante perché permette di rispettare i regolamenti per l'etichettatura nutrizionale dei prodotti (proporzione
dei nutrienti, analisi centesimale), la formulazione delle ricette e della composizione, il controllo dei processi
di produzione (caratteristiche finali del prodotto, in termini di stabilità, texture, masticabilità, qualità
organolettiche, etc.). Si ottiene tramite:
• metodi per disidratazione → occorre pesare l’alimento prima e dopo il suo essiccamento / la sua
disidratazione (macinarlo finemente e inserirlo in un forno che supera i 100°C, per far evaporare tutta
l’acqua) → la differenza tra le pesate sarà il contenuto d’acqua
• metodi per distillazione → se si ha a che fare con una bevanda, si elimina l’acqua per distillazione,
tecnica utilizzata per separare due o più sostanze presenti in una miscela, che sfrutta la differenza dei
punti di ebollizione di tali sostanze (la loro differenza di volatilità)
• metodi chimici o spettroscopici → usano strumenti in grado di calcolare il contenuto d'acqua sulla base
di un indice di rifrazione
Attività dell'acqua
L'attività dell'acqua (aw) descrive lo stato
energetico o la tendenza ad evaporare
dell'acqua in un campione: indica quanto
intensamente l'acqua è “legata”
strutturalmente o chimicamente in un
prodotto. L'attività dell'acqua quantifica
questa disponibilità:
▪ aw = p/p0, dove
 p = pressione parziale del vapore
d'acqua sull'alimento; viene
misurata con sistemi a camera
chiusa, in cui l’alimento viene
posto per un certo periodo di
tempo a temperatura e umidità
ambientale definite; attraverso lo scambio di vapore tra l’alimento e la camera si riesce a
determinare la pressione di vapore
 p0 = pressione di vapore dell'acqua pura
perché l'acqua a temperatura ambiente (25°C) ha una sua pressione di vapore; nel momento in cui si
aumentano i soluti al suo interno, la pressione parziale subirà una variazione
▪ aw = ERH/100, dove ERH = umidità relativa di equilibrio, altro modo per definire l’attività dell’acqua
È possibile descrivere l’interazione/il legame tra l’attività dell’acqua e l’umidità tramite una curva in un grafico,
diversa per ogni alimento; maggiore sarà la quantità d’acqua presente, maggiore sarà la sua attività,
nonostante non ci sia una correlazione diretta.
Tabella dei valori tipici di attività dell’acqua: si nota come, nei primi due alimenti, nonostante il contenuto
d’acqua sia molto diverso, l’attività sia praticamente allo stesso livello; questo perché in entrambi i sistemi,
l’acqua è molto disponibile a fare reazioni e a supportare la crescita dei microrganismi. Nei dati del miele,
invece, notiamo che, nonostante la fluidità dell’alimento, al suo interno contiene una grande quantità di
saccarosio, che, come tutti gli zuccheri, è in grado di formare molti legami idrogeno con l’acqua; per cui
quest’ultima, impegnata nei legami, risulta molto meno disponibile per fare reazioni o come substrato di
crescita di microrganismi. Vi sono anche sistemi in cui, a parità di attività dell’acqua, la sua presenza è a livelli
molto diversi, ad esempio, nel seme di colza o nel seme di grano.
Schema che unisce il valore dell’attività dell’acqua e quello della crescita dei microrganismi:
a) tra i valori 0,9 e 1 sono presenti la maggior parte dei formaggi a pasta molle o semi-molle, seguono le
marmellate, le salsicce (perché contengono dei Sali, che permettono il mantenimento dell’acqua in forma
legata), i budini (nei quali l’acqua è legata a sostanze quali pectine, agar, gomme, polisaccaridi); più
aumenta il livello dell’attività dell’acqua, maggiore è la possibilità che l’alimento subisca delle modificazioni
a causa di reazioni
b) quasi tutti i microrganismi necessitano di un’attività dell’acqua superiore a 0,6, batteri tra 0,9 e 1, lieviti tra
0,8 e 0,9, di seguito alcune muffe, lieviti e batteri particolari; quindi più è alto il livello di attività dell’acqua,
più l’alimento risulta fragile dal punto di vista microbiologico (avviene con maggiore facilità la
contaminazione microbica, con le problematiche qualitative che ne conseguono); più l’attività dell’acqua
cala, minore è il rischio di contaminazione microbica, fino ad abbattersi.

LEZIONE 2 – CARBOIDRATI
I carboidrati o glucidi (zuccheri) o polisaccaridi sono i composti organici più diffusi e abbondanti in natura e
svolgono un ruolo fondamentale nel metabolismo di piante e animali.
Carboidrato significa ‘idrato del carbonio’, quindi sono composti prevalentemente da carbonio e acqua, in
relazione alla formula generale: Cn(H2O)m
Esempi:
1. Glucosio (dal greco glucos, dolce) → C6H12O6 o C6(H2O)6
2. Saccarosio → C12H22O11 o C12(H2O)11
Non tutti i carboidrati soddisfano questa formula generale: esistono anche deossizuccheri (che hanno perso
molecole d’acqua), amminozuccheri o zuccheri acidi.

I carboidrati in natura hanno svariate funzioni:


▪ riserva energetica (glucosio, amido, glicogeno)
▪ componenti strutturali di piante (cellulosa) o delle pareti batteriche (mucopolissaccaridi)
▪ componenti essenziali degli acidi nucleici (D-ribosio e 2-deossi-D-ribosio)
▪ componenti essenziali nel meccanismo di riconoscimento cellulare (gruppi sanguigni)
I loro principali ruoli negli alimenti sono:
▪ di riserva energetica → sviluppano 4 kcal/g, quindi sono tra le macromolecole che contribuiscono al nostro
bilancio energetico (quelle a più alto contenuto calorico sono i lipidi)
▪ di dolcificanti → forniscono/apportano il gusto dolce, anche se non tutti
▪ influenzano le proprietà reologiche (tecnologiche/di struttura) → formano gel, influenzano la consistenza e
la morbidezza, così come il grado di idratazione (la sua capacità di trattenere acqua)
▪ di precursori di aromi e colori che si sviluppano durante la produzione ed i trattamenti tecnologici → es.
reazione di Maillard, spiega la formazione di odore, sapore e colore degli alimenti durante la cottura
La grande variabilità chimica dei carboidrati si riflette sulle proprietà (anche nutrizionali):
▪ vario stato/grado di polimerizzazione, il numero di unità ripetitive presenti nella struttura del polimero →
monosaccaridi, di-saccaridi, tri-saccaridi, oligo-saccaridi e poli-saccaridi
▪ possono essere soggetti a diverse modifiche chimiche:
 deossi-zuccheri, es. deossi-ribosio → perdita di un gruppo OH
 zuccheri ridotti, es. alditoli → il gruppo carbonile tipico degli zuccheri C=O (doppio legame) viene
ridotto ad alcol
 ammino-zuccheri, es N-acetilglucosammina → zuccheri che portano gruppi azotati, es. eteroatomo
azoto
 zuccheri acidi, es. acido glucuronico → zuccheri che hanno subito un’ossidazione

Deossi-ribosio Alditoli N-acetilglucosammina Acido glucuronico

Stato di polimerizzazione
I monosaccaridi sono i mattoncini con cui si vanno a formare gli zuccheri più complessi, unità di base, che
chimicamente si dividono in aldosi e chetosi, composti caratterizzati dalla presenza del gruppo carbonilico
C = O; se il carbonio carbonilico porta un idrogeno si tratta di un aldeide, se invece è impegnato in un altro
legame col carbonio da entrambe le parti si tratta di un chetone; sono entrambi prodotti carbonilici a stato
ossidativo intermedio, che possono subire fenomeni di ossidazione o di riduzione; ossidando un carbonile si
ottiene un acido carbossilico (zucchero acido o carbossile), mentre riducendolo si ottiene un alcol
(zucchero ridotto o alditolo).
Polidrossi-aldeidi Polidrossi-chetoni

▪ pentoso → 5 atomi di carbonio ▪ triuloso → 3 atomi di carbonio


▪ esoso → 6 atomi di carbonio ▪ tetruloso → 4 atomi di carbonio
▪ eptoso → 7 atomi di carbonio ▪ pentuloso → 5 atomi di carbonio
▪ ottoso → 8 atomi di carbonio ▪ esuloso → 6 atomi di carbonio
▪ nonoso → 9 atomi di carbonio ▪ eptuloso → 7 atomi di carbonio
▪ trioso → 3 atomi di carbonio ▪ ottuloso → 8 atomi di carbonio
▪ tetroso → 4 atomi di cabonio ▪ nonuloso → 9 atomi di carbonio
Zuccheri compresi nella serie di aldosi e chetosi all'aumentare del numero dei carboni, negli alimenti e in
natura: quelli a 6 atomi di carbonio sono i più presenti nella quotidianità degli alimenti, ad esempio il glucosio,
il mannosio e il galattosio negli aldosi, e il fruttosio nei chetosi, ma anche molti altri ancora.
Stereochimica
Molte proprietà di tipo organolettico e
sensoriale sono legate all'aspetto
stereochimico degli alimenti. A destra e a
sinistra della struttura tridimensionale troviamo
le due configurazioni con nomenclatura
assoluta R ed S della gliceraldeide, zucchero a
tre atomi di carbonio, che possiede un centro
chirale (quello centrale). Nella stereochimica
legata a componenti biologiche degli alimenti,
si possono anche indicare con le forme D
(destrorotatoria, che corrisponde ad R) ed L
(levorotatoria, che corrisponde ad S).

La stereochimica legata ai monosaccaridi è ancora più


complessa quando si ha che fare con esosi e pentosi,
poiché i centri chirali possono essere più di uno, e perciò
risultano enantiomeri (quando tutti i centrali chirali sono
ruotati l’uno rispetto all'altro, e quindi le due molecole
risultano tra loro speculari) o diastereoisomeri (quando
non tutti i centri chirali sono ruotati). Nel caso dei
carboidrati, quando ruota un solo centro chirale (un OH si
sposta da un lato all'altro) si parla di epimeri, ad esempio
nel caso di glucosio e galattosio.
Emiacetali ciclici
Gli zuccheri sono molecole che hanno una situazione di
continuo equilibrio tra la propria forma lineare aperta e quella
ciclica. Le ultime due figure in basso corrispondono alle
strutture del glucosio: a sinistra la struttura lineare aperta, a
destra la sua forma ciclica (più comune, a sei), detta anche
piranosidica, quella più stabile e favorita energicamente.
Quest’ultima presenta un continuo scambio: l’OH legato al
carbonio che apre e chiude può andare a posizionarsi sopra o
sotto il piano, a seconda che sia in forma α o β. Il passaggio
dalla forma aperta a quella chiusa influenza molto le proprietà
degli zuccheri.

Composizione in percentuale all'equilibrio di soluzioni acquose di aldosi e chetosi


Negli emiacetali ciclici, inoltre, a seconda della temperatura, si possono avere forme α o forme β a
temperatura ambiente 20°C. Considerando il glucosio, a temperatura ambiente si trova principalmente in
forma β-D-glucopiranosio, a 6 atomi di
C, con l’OH verso l'alto, più favorita
energeticamente; oppure in forma α-D-
glucopiranosio, ciclo a 6 atomi di C, con
l’OH verso il basso, meno favorita
energeticamente; la forma ciclica a 5
atomi di C non esiste.
Per quanto riguarda il fruttosio, invece,
simile al glucosio ma chetoso (il
carbonile sul C 2 della catena), a
temperatura ambiente, non ha forme α,
ma β-D-glucofuranosio, a 6 atomi di C;
si presenta invece in forme cicliche a 5
atomi di C, sia α che β.
Potere ottico rotatorio specifico – Mutarotazione
Proprietà significativa degli zuccheri, che dipende
dalla loro continua apertura e chiusura in soluzione
del gruppo emiacetalico (perciò il gruppo OH può
trovarsi verso l’alto o verso il basso). La
mutarotazione è perciò la proprietà di tutti gli
zuccheri definiti riducenti, ovvero che in soluzione
possono aprire o chiudere l'estremità emiacetalica.
Questi possono rispondere allo stimolo luminoso
attraverso la misura del potere ottico rotatorio
specifico: la luce attraversa un polarizzatore/una
radiazione polarizzata, che colpisce una soluzione
acquosa contenente lo zucchero; ciò porta ad una
rotazione dell'angolo della luce polarizzata, proprietà fisica tipica dello zucchero in esame. La misurazione
dell’angolo si ottiene attraverso la formula in figura, in cui:
▪ α = potere ottico rotatorio misurato
▪ l = lunghezza del cammino ottico in dm
▪ C = concentrazione in g/100 ml
Alcuni esempi:

Zuccheri riducenti – Test di Tollens e Fehling


Vi sono test chimici colorimetrici che, se applicati a soluzioni contenenti zuccheri riducenti, assumono una
particolare colorazione: il colore risulterà tanto più intenso quanto alto sarà il contenuto di zuccheri riducenti
(es. misurazione del contenuto di glucosio all’interno di un succo di mela; si va a far reagire il glucosio con uno
di questi reattivi e si misura l’intensità di colore che si produce).
Test o saggio di Tollens o “specchio d'argento”: saggio chimico per l'individuazione delle aldeidi in una
soluzione, basato sull'utilizzo del reattivo di Tollens. Tale reattivo è, di solito, idrossiammoniato d'argento
(ovvero ione Diamminoargento). Le aldeidi reagiscono con il reattivo, mediante una reazione di
ossidoriduzione, formando il corrispondente acido carbossilico e riducendo l'Ag da +1 a 0. L'argento metallico
(a numero di ossidazione 0) forma sulle pareti della provetta un sottile strato a specchio, che permette
chiaramente di verificare che la reazione sia avvenuta o meno (da cui il nome "specchio d'argento").

Test o saggio di Fehling (tampone tartrato) o di Benedict (tampone citrato): il reattivo di Fehling è un
reagente specifico per il carattere riducente di alcuni glucidi. Misurando la quantità di agente ossidante che
viene ridotta da una soluzione di zucchero, diventa possibile determinare anche la concentrazione dello
zucchero. Il saggio di Fehling prevede l'aggiunta alla soluzione acquosa di un carboidrato e di quantità
esattamente uguali di:
1. Fehling A, costituito da solfato rameico pentaidrato (CuSO4·5 H2O) (69,278 g/l di soluzione);
2. Fehling B, costituito da tartrato di sodio e potassio (sale di Seignette) + NaOH (idrossido di sodio): 346g +
100g di NaOH/l di soluzione.
Si porta ad ebollizione, o anche a bagnomaria, e la comparsa di un caratteristico colore rosso mattone,
costituito da ossido rameoso, confermerà la capacità riducente del carboidrato in esame.

Riduzione a zuccheri alcoli – Alditoli


Questi, ad esempio glucosio e mannosio, possono essere sfruttati:
▪ nella produzione artificiale di zuccheri presenti già in natura, quali mannitolo, sorbitolo (nella frutta) o
xilitolo, dal potere dolcificante molto simile a quello del saccarosio, ma dal contenuto di calorie più ridotto. Il
sorbitolo è anche materia prima per la sintesi industriale della Vitamina C
▪ nell’industria alimentare per ottenere la
riduzione catalitica con H2, detta
idrogenazione → un'applicazione molto
rilevante dei processi di idrogenazione è la
lavorazione degli oli vegetali, che derivano
da acidi grassi polinsaturi, cioè contenenti
più di un doppio legame C─C. In condizioni
opportune si possono idrogenare
parzialmente questi doppi legami,
convertendo gli oli vegetali in grassi solidi o
semisolidi come quelli presenti nella
margarina. Rispetto ai grassi di origine
animale, gli oli vegetali parzialmente
idrogenati sono meno cari, possono avere
consistenza molto varia e sono più resistenti
all'irrancidimento; di conseguenza sono
usati come grasso alimentare nella maggior
parte dei prodotti da forno
▪ come sostituti del saccarosio (zucchero da
tavola) in prodotti dietetici/light, per la loro
capacità di dolcificare, pur fornendo un
basso contenuto calorico; inoltre, sono
digeribili e poco fermentati dai microrganismi
che si trovano nel nostro cavo orale, non
supportano la loro crescita, e sono perciò
degli anticariogeni (prevengono la carie);
difatti, si trovano in caramelle, prodotti di confetteria, chewing gum, sciroppi per la tosse e collutori.
▪ per ridurre l’attività dell’acqua Aw senza alzare il contenuto calorico → tutti gli zuccheri hanno un’elevata
capacità di legare acqua tramite l’idrogeno; Tutto ciò che consente, all'interno di un alimento, di diminuire
la quota di acqua libera a favore i quella legata, è preferibile, perché permette di renderlo più stabile da un
punto di vista microbiologico (es. marmellate e miele, in cui l'attività dell'acqua è bassa perché gli zuccheri
la legano; caramelle gommose o gelèe, alle quali si aggiunge lo zucchero in superficie per far sì che
l'acqua rimanga in all'interno della gelatina, in modo da non perdere la morbidezza); nella normalità ciò
renderebbe l’alimento più carico dal punto di vista energetico (se si abbassa il contenuto d’acqua, s’innalza
quello dello zucchero), ma non se si utilizzano zuccheri ridotti
Gli svantaggi degli zuccheri ridotti sono:
▪ il metabolismo umano ci mette più tempo a riconoscerli come zuccheri, diversamente dagli zuccheri
semplici, quali il glucosio, che vengono immediatamente riconosciuti e trasformato in energia (calorie);
quindi l'energia che sviluppa uno zucchero normale è molto maggiore rispetto a quella che conferisce uno
zucchero ridotto
▪ legando tanta acqua, causano un effetto lassativo, soprattutto se ingeriti in quantità eccessive
O-Glicosidi
I monosaccaridi si possono trovare anche in forma glicosidica, ovvero fungere da accessorio zuccherino per
altre molecole più complesse. Ad esempio, alcuni polifenoli sono glicosilati, ovvero legati, mediante un
ossigeno, ad uno zucchero che, essendo molto ricco di gruppi OH, possiede una buona capacità di formare
legami idrogeno con essa, e può perciò rendere più idrosolubile una molecola che per sua natura non lo è.

Forme anomere dei metilglicosidi in


metanolo (1% HCl) all’equilibrio
Glicosidi in natura

Amigdalina
Linamarina (cassava) (mandorle amare)

Cianidina-3-
glucoside Solanina (patate
verdi immature)

▪ Amigdalina → formata da due gruppi di glucosio legati ad una frazione o porzione agliconica del glicoside,
che non sarebbe ben solubile in acqua, se non fosse per la presenza degli zuccheri
▪ Ciadinina-3-glucoside → polifenolo che conferisce il classico colore rosso alle arance siciliane; si tratta di
una molecola già di per sé abbastanza polare (solubile in acqua), grazie alla presenza della carica positiva
sull’ossigeno e dei quattro gruppi OH fenolici, ma lo diventa ancor di più grazie alla presenza del glucoside
▪ Solanina → alcaloide glicosidico tossico, prodotto da alcune solanacee (patate, melanzane, pomodori,
peperoni e peperoncini), presente in ogni parte della pianta, comprese foglie, frutti e radici, ma soprattutto
nelle regioni esterne come la buccia, in quanto si tratta di una difesa della pianta contro funghi e insetti. È
contenuta principalmente nell’alimento immaturo, quello maturo la contiene in scarse quantità e comunque
non nocive per l’uomo.
Oligosaccaridi
Gli oligosaccaridi sono formati da poche unità ripetitive di monosaccaride e prevedono legame glicosidico, che
coinvolge l’estremità emiacetalica. Possono essere riducenti o non riducenti, lineari o ramificati, conformeri
stabilizzati da legami idrogeno. Fanno parte di questo gruppo le seguenti molecole.
Saccarosio
È un disaccaride naturale essenziale, di tipo non riducente (quindi
non dà alcuna colorazione in presenza di riattivi di Tollens o di
Fehling); questo perché è formato da unità di glucosio (o destrosio,
perché ruota il piano della luce polarizzata verso destra) e una di
fruttosio (o levulosio, perché ruota il piano della luce polarizzata
verso sinistra) legati tramite le proprie estremità emiacetaliche (testa-
testa). La molecola che ne risulta, il saccarosio, non ha più estremità
emiacetaliche disponibili, perciò non dà una variazione della luce
polarizzata per mutarotazione. Il legame è glicosidico 1-2, perché si
legano il C2 del fruttosio e il C1 del glucosio. il fruttosio si trova in
forma β ciclica a 5 atomi di C (furanosio) e il glucosio in forma α
ciclica a 6 atomi di C (piranosio): β-D-fruttofuranosil-(2→1)-α-D-
glucopiranosio. Il saccarosio è il tipico zucchero da tavola:
granulato (400-600 nm), semolato (200-450 nm) a velo (10-15 nm),
molto diffuso nel regno vegetale (barbabietola, canna da zucchero,
frutta, e lo si può trovare in forma raffinata
bianca oh come zucchero di canna grezzo. Può
essere anche idrolizzato a causa della rottura
del legame glicosidico.
Può inoltre essere trasformato a livello
industriale e casalingo in zucchero invertito
(es. sciroppo di zucchero invertito), in seguito a
idrolisi acida che porta alla rottura del legame
glicosidico a causa della protonazione
dell'ossigeno. Quando si idrolizza il saccarosio
a glucosio e fruttosio, si ottenere un'inversione della rotazione della luce polarizzata, da destra a sinistra, da
positivo a negativo: ecco perché il termine “zucchero invertito”. Tradizionalmente, l’idrolisi avviene mediante
acido citrico (acido organico più importante del succo degli agrumi): si ottiene come risultato uno sciroppo (di
zucchero invertito) che non cristallizza anche con un contenuto di solidi dell’80% (fluidità), con un’ottima
performance nelle preparazioni alimentari. Ha anche una dolcezza relativa più elevata rispetto a quella del
saccarosio, oltre ad essere vantaggioso nel risparmio economico e di materiale calorico. Oggi, nella moderna
pasticceria a livello industriale, lo zucchero invertito non si ottiene più dall’idrolisi con acido citrico del
saccarosio ma per idrolisi industriale degli sciroppi d’amido (glucosio liquido), che contengono numerosi (non
solo fruttosio + saccarosio) oligosaccaridi (es. maltodestrine) che impediscono allo sciroppo di cristallizzare,
hanno un’elevata capacità umettante (ovvero di trattenere acqua) e sono molto efficaci nel mantenere soffice
e gradevole al palato la crosta delle torte.
Oggigiorno non si lavora più nemmeno con acidi, ma idrolisi principalmente enzimatiche ad opera di a-amilasi
termostabili e glucosio isomerasi (glucosio in fruttosio).
Effetti tecnologici dello zucchero invertito
▪ L’inversione del saccarosio è importante nella preparazione di confetture e altre conserve.
▪ Si ottiene una parziale idrolisi del saccarosio che aumenta leggermente il sapore dolce e determina un
abbassamento dell’attività dell’acqua (che aumenta la conservabilità dell’alimento).
▪ Solubilizzando il saccarosio in sciroppo invertito e concentrando la miscela a caldo, si ottiene una struttura
vetrosa malleabile, ma che solidifica a temperature più basse (produzione delle caramelle).
▪ Il ripieno dei cioccolatini (produzione di praline, es. lindor), è ottenuto con
 saccarosio finemente macinato
 quantità appena sufficiente di sciroppo di glucosio
 idrolisi locale mediante l’azione dell’enzima invertasi da Saccharomyces cerevisiae (lievito)
; viene mantenuto un buon livello di umidità all’interno dell’alimento rispetto all’esterno, ottenendo così un
cuore più fluido (la pasta all’interno si ammorbidisce prima della commercializzazione)
Lattosio
Uno dei 3 disaccaridi digeribili dall'uomo, e zucchero
fondamentale del latte, anche se non esclusivo (al suo
interno esistono altri oligosaccaridi in tracce, importanti per
l’alimentazione del lattante). È però l’unico mono-
disaccaride, non vi sono altri mono o disaccaridi nel latte.
È formato da galattosio e glucosio, uniti da legame
glicosidico di tipo α(1→4), ovvero viene impegnata
l’estremità anomerica del galattosio, ma il glucosio mantiene
la testa libera (C1, carbonio anomerico indicato dalla freccia
blu); questo fa sì che il lattosio sia, a differenza del
saccarosio, uno zucchero riducente (carbonio emiacetalico
in posizione 1 è libero per partecipare a reazioni redox).
Non è digeribile in alcuni soggetti (specie in età adulta) a causa della mancanza dell’enzima in grado di
scindere a livello gastrointestinale il legame glicosidico α(1→4) tra galattosio e glucosio.
Maltosio
Un altro dei 3 disaccaridi digeribili dall'uomo:
È formato da due molecole di glucosio, unite da legame glicosidico di tipo α(1→4), ovvero viene
impegnata l’estremità anomerica del primo glucosio, ma il secondo mantiene la testa libera (C1, carbonio
anomerico indicato dalla freccia blu); questo fa sì che anche il maltosio sia uno zucchero riducente: (il
carbonio emiacetalico del glucosio in posizione 1 è libero per partecipare a reazioni redox).
È inoltre il costituente dell'amido (anche come effetto di una sua
parziale idrolisi), che ne è la principale fonte,
e, di conseguenza, è anche presente abbondantemente in
tuberi quali la barbabietola da zucchero o la patata.
È però complessivamente poco abbondante in natura.
Le popolazioni che hanno cereali come costituente principale
della dieta, hanno livelli di amilasi salivari (da cui il maltosio si
libera) più alti, nonché una minor incidenza della malattia
celiaca (intolleranza al glutine di grano) e sono le medesime
popolazioni dove è più alta l'intolleranza al lattosio.
Dal punto di vista tecnologico, il maltosio è molto interessante
per la sua ottima capacità umettante; dal punto di vista
gustativo presenta un buon potere dolcificante, e, soprattutto,
agisce spesso come esaltatore di sapori.
Trisaccaridi e Tetrasaccaridi
A livello dell’industria alimentare
sono principalmente raffinosio e
stachiosio, principalmente
presenti nelle leguminose.
Si tratta di zuccheri non riducenti,
perché hanno un’unità di
saccarosio, glucosio e fruttosio
legati testa a testa, a cui è legata
una ramificazione con un altro
monosaccaride, il galattosio, che
nel caso del raffinosio è presente
in un’unità, nel caso dello
stachiosio in due unità. Sono
piuttosto complessi da digerire,
perché l'essere umano non
possiede gli enzimi in grado di
romperne i legami (α-
galattosidasi), quindi possono
dare fermentazione a livello intestinale e sono spesso utilizzati dai microrganismi fermentati.
Polisaccaridi
Oltre ai mono e agli oligosaccaridi, molto importanti sono i
polisaccaridi, detti anche glicani o carboidrati complessi/ad
alto peso molecolare, e vengono classificati in base alla
struttura chimica: lineari (cellulosa, amilosio), quelli che in
tutta la catena polisaccaridica contengono un’unica
tipologia di legame glicosidico (es. solo α1→4); ramificati
(amilopectina, glicogeno), quelli in cui ogni tanto cambia la
tipologia di legame glicosidico (es. da α1→4, ad un certo
punto ramificano in α1→6). A loro volta possono
ulteriormente suddividersi in: omopolisaccaridi o
omoglicani, se costituiti da un’unica unità strutturale
zuccherina/un solo monosaccaride (es. amilosio,
omosaccaride lineare, perché costituito solo da glucosio lineare, con legami α1→4); eteropolisaccaridi o
eteroglicani, se costituiti da diversi tipi di unità zuccherine. In quest’ultima categoria, spesso si trovano
zuccheri in forma modificata, ovvero in forma ossidata, ridotta o sostituita.
Nel caso degli eteropolisaccaridi, la sequenza dei residui monosaccaridici può essere:
▪ periodica, con un periodo contenente una o più unità strutturali (cellulosa, amilosio)
▪ parzialmente periodica, con periodi intervallati da sequenze aperiodiche (alginati, carragenani, pectine)
▪ totalmente aperiodica, casuali, complesse, molto differenziate (carboidrati nelle glicoproteine)
I polisaccaridi sono largamente ed abbondantemente distribuiti in natura, con diverse funzioni:
▪ strutturale → es. cellulosa, emicellulosa e pectine nelle piante; chitina (strati superficiali degli insetti o
crostacei) e mucopolisaccaridi negli animali
▪ di riserva nutritiva → amido, destrine, inulina nelle piante; glicogeno nei muscoli negli animali
▪ trattenimento d’acqua → agar, pectine e alginati nelle piante; mucopolisaccaridi negli animali
Le stesse funzioni le presentano negli alimenti:
▪ strutturale → frutta e verdura
▪ nutritiva / sviluppo energetico → cereali, patate, legumi
▪ tecnologica → siccome legano l’acqua mediante legami idrogeno, hanno proprietà
▪ addensanti e gelificanti (amido, alginati, pectine e guarani)
 stabilizzanti per emulsioni e dispersioni → vengono utilizzati anche in preparazioni farmaceutiche
per la loro capacità di mantenere principi attivi stabili in sistemi dispersi
 per la formazione di film protettivi
 per incrementare la proporzione di fibra nella dieta
Amido
Macrostruttura polisaccaridica complessa (non polisaccaride) formata da due polisaccaridi, amilosio e
amilopectina.
Si presenta in granuli di forma tondeggiante, al cui interno amilosio e amilopectina si trovano in diverse
proporzioni che dipendono dal sistema vegetale (tubero o cereale o tra varietà di cereali).
Per l’esame: da saper descrivere, non disegnare → conoscere la composizione di amilosio e amilopectina,
qual è la loro struttura tridimensionale, che tipo di legami portano e con che distanziamento.
Amilosio
Omopolisaccaride (formato da mattoncini di solo glucosio legati mediante legami α1→4glucosidici) lineare il
C1 della prima molecola di glucosio, che porta il gruppo anomerico si lega di testa al C4 della seconda
molecola di glucosio, lungo tutta la catena) riducente (per quanto sia lunga la catena, l’ultimo glucosio
mantiene l’estremità anomerica libera).
Il suo peso molecolare medio va da 20.000 a 200.000 unità di glucosio.
Apparentemente sembra un filamento, ma a livello tridimensionale è
una struttura lineare compatta a spirale, molto ordinata: la struttura del
legame α1→4 e la presenza di legami idrogeno intra ed intermolecolari
molto forti con l’acqua, fanno sì che il filamento si avvolga su sé stesso
a formare un tubo; all'interno si crea una sorta di canale, che può
ospitare piccole molecole apolari (che per loro caratteristiche olfattive
importanti fungono da aromi), e stabilizzarle.

Amilopectina
Omopolisaccaride (formato da mattoncini di solo glucosio legati mediante legami α1→4glucosidici)
ramificato (ogni 6/8 unità di glucosio parte un ramo laterale tramite un legame α1→6; le ramificazioni possono
essere varie, a formare una struttura ad albero classica dell’amilopectina).
Ha dimensioni più grandi rispetto all'amilosio: generalmente una molecola di amilopectina conta 106 unità di
glucosio, come peso molecolare. È una struttura ramificata, poco compatta e disordinata, a differenza
dell’amilosio.
Strutturalmente, all'interno del granulo d'amido (in cui spesso l’amilopectina è preponderante in termini di
percentuale), si ha l'alternarsi di
1. zone/regioni cristalline con un miglior impacchettamento delle catene polisaccaridiche, stabilizzate da
legami idrogeno intermolecolari
2. zone amorfe, in cui partono le ramificazioni che creano disordine
3. filamenti di amilosio che si avvolgono
Il 70 80% dell’intake calorico (fabbisogno energetico) umano si basa sui carboidrati complessi come l'amido,
che è il più importante carboidrato digeribile.
Contenuto di amido in diversi alimenti

Gelificazione dell’amido
Ponendo un granulo di
amido (amilosio-
filamento blu lineare,
amilopectina-filamento
rosso ramificato) in
presenza di acqua,
compiendo un’azione di
riscaldamento, e quindi
aumentando
gradualmente la
temperatura fino ad
arrivare tra i 50 e i 70°C:
a) inizialmente, i granuli
sono dispersi in
acqua
b) iniziano ad assorbire
acqua (amilosio e
amilopectina legano
acqua/si idratano),
gonfiandosi
c) finché, attorno ai 70-
80°C, si ha un parziale collasso strutturale del granulo, che perde la sua tridimensionalità
d) i filamenti di amilosio fuoriescono dal granulo nel mezzo (acqua), iniziando a formare legami idrogeno con
l’acqua esterna
e) continuando a scaldare si raggiunge un sistema particolarmente disordinato
f) abbiamo portato ad un sistema fluido e disperso l’amido
Andando poi a compiere
un’azione di
raffreddamento, man
mano che si abbassa la
temperatura:
a) i filamenti di amilosio
iniziano ad impaccarsi
tra loro, formando
legami idrogeno inter-
catena (formando una
sorta di rete, zona di
giunzione) e
intrappolando i granuli
di amido collassati
(contenenti solo
amilopectina) e acqua
b) il sistema si raffredda e
si forma un gel
d’amido, che ha
funzione addensante e
garantisce sofficità dell’impasto nella creazione di un prodotto da forno
c) per poter mantenere i gel è possibile effettuare modificazioni degli amidi, attraverso reazioni chimiche
che vanno a
 diminuire le dimensioni di amilosio e amilopectina
 arricchire l’amido in particolari frazioni
 causare metilazioni sugli OH che diminuiscono il numero dei legami idrogeno che ogni unità di
glucosio può formare
si tratta di modificazioni che servono a dare amidi con proprietà diverse (mantenere stabilità a temperature
più elevate, legare più o meno acqua, etc.)
Amidi modificati – Maltodestrine
▪ Derivano dall’idrolisi dell'amido, che portano alla formazione di sciroppi zuccherini ad elevata densità
▪ Hanno un grado di polimerizzazione da 5 a 100 (valore medio di unità di glucosio per molecola)
▪ Hanno potere riducente (DE) < 20 (il glucosio è 100)
▪ Maltodestrine con alti pesi molecolari hanno basso DE e non sono igroscopiche (non assorbono/legano
l'acqua)
▪ Maltodestrine a basso peso molecolare hanno alto DE e sono igroscopiche (assorbono/legano l'acqua)
▪ Insapori e sono molto utili per dare corpo e struttura ai prodotti alimentari (senza dare dolcezza)
Fibra
La fibra (alimentare) è la parte
polisaccaridica commestibile di piante che
è resistente alla digestione (a differenza
dell’amido, viene digerita poco o per
niente), non è assorbita dall'intestino
tenue dell'uomo e, nell'intestino crasso,
subisce una completa o parziale
fermentazione da parte della microflora
intestinale. I suoi costituenti vengono in
gran parte attaccati e scissi dai batteri
intestinali, dando come metaboliti acqua,
CO2, metano, acidi grassi a catena corta.
Cellulosa e lignina vanno a costituire la cosiddetta fibra insolubile, perché non si sciolgono in acqua e non
sono digerite in maniera efficace. Gli altri polisaccaridi costituiscono la fibra solubile o gelificante, perché
hanno ottime capacità di legare acqua e formare gel.
Composizione chimica della fibra
All’interno di questi polisaccaridi si possono trovare anche zuccheri modificati (es. acido galatturonico, forma
ossidata del galattosio), pentosi piuttosto che esosi, o componenti non appartenenti alla classe dei carboidrati
(es. lignina, composta da acidi fenolici attaccati ad essa a formare polisaccaridi).
Cellulosa
Omopolisaccaride lineare, come l’amido: la
differenza è il legame β1→4 (non α). Ha
difatti un’angolazione di legame differente:
l’amido assume forma spiralica, mentre la
cellulosa rimane lineare. Il legame beta
spiega perché la cellulosa non è digeribile
dall’essere umano, perché all’interno del
suo sistema intestinale sono presenti α-
amilasi che
idrolizzano solo
legami α-
glucosidici;
inoltre, la
disposizione del
legame β non è
idonea per subire
idrolisi. La
cellulosa viene
però digerita dai
mammiferi
poligastrici (con
più stomaci, es. ruminanti), che riescono a degradarla grazie ad enzimi batterici della microflora del rumine.
Dunque, la cellulosa:
▪ è un polimero strutturale del
regno vegetale
▪ è il costituente principale
delle membrane cellulari
vegetali (oltre a
emicellulose, lignina e
pectina), e la componente
principale della fibra
alimentare (indigeribile)
▪ ha un PM medio variabile da
162 a 2268 kdal (almeno
3000 unità di glucosio).
Alginati
Polisaccaridi algali
estratti
principalmente da
alghe brune (es.:
Phaeophyceae) con
alcali; hanno peso
molecolare medio di
circa 32.200 kdal, e
sono utilizzati come
addensanti o
gelificanti per ripieni
per dolci, cioccolato al latte, condimenti (0.25-0.5%), gelati, e per stabilizzare la schiuma nella birra.
Hanno gruppi carbossilici / zuccheri ossidati (al posto di mannosio e glucosio vi sono manuronico e
guluronico), che formano strutture stabili in presenza di ioni bivalenti.
Disegno in alto a destra: filamenti di alginato sopra e sotto e in mezzo ioni calcio bivalenti sottoforma di palline
gialle, coordinate dai gruppi carbossilici. Si viene a creare un legame ionico molto forte col calcio che
stabilizza una struttura gel, ad esempio in una caramella/gelatina dura: in succo di frutta si aggiunge alginato
in polvere, e, scaldando o mescolando per favorirne il dissolvimento, si realizza uno sciroppo di alginato;
questo viene inserito una soluzione concentrata di Sali di calcio edibili, che lo fa gelificare, formando delle
caramelline. Si tratta di un sistema generalmente utilizzato in confetteria, ed in una situazione di immediato
utilizzo rimane stabile. Se però la struttura viene esposta all’aria, l’acqua evapora, viene rilasciata, e la
struttura degrada.
Agar
Polisaccaride estratto da alghe rosse (es.
Pterocladia capillacea) a caldo con acqua. È un
gelificante molto efficace, essenzialmente
indigeribile, e spesso utilizzato per addensare:
sorbetti e gelati (0.01%); yogurt, formaggi e
prodotti canditi o di pasticceria (0.1-1%); manzo
e pollo in scatola. Il sistema è comparabile a
quello dell’amilosio: struttura tridimensionale
stabile a doppio nastro; scaldando, la doppia
spirale si apre e l’agar si dissolve in acqua;
raffreddando, la struttura si riorganizza in
doppia spirale legando acqua e gelificando. La
struttura è composta da galattosio normale e
modificato che si alternano con legami α1→4 e
α1→3.
Carragenani
Polisaccaridi estratti da alghe rosse (es.
Rhodophyceae) con alcali diluiti a caldo. Hanno
peso molecolare medio di 200-800 Kdal, e sono
utilizzati per addensare: il cioccolato al latte
(0.03%), la carne in scatola, il latte condensato, i gelati e i formaggi freschi. Sono a base di galattosio normale
e modificato (galattosi che portano gruppi solfato, che li rendono particolarmente solubili in acqua), e
funzionano con solubilizzazione a caldo e gelificazione/stabilizzazione a freddo con legami idrogeno.
Pectina
Polimero (di derivazione
vegetale) omopolisaccaride
perché costituito
prevalentemente dall’acido a-
D-Galatturonico variamente
esterificato (forma ossidata
del galattosio, con legami
α1→4). Viene estratta
industrialmente dalla buccia
degli agrumi (20-40% sul
secco) e dalle mele (10-20%
sul secco) a pH 1.5-3 e a
temperatura compresa tra i
60 e i 100°C. Ha peso molecolare medio di 100.000 Kdal, ed è utilizzata per la preparazione di marmellate e
gelatine. Il suo grado di esterificazione è di 60% per polpa di mela e scorza di agrumi, 10% per fragola. L’acido
galatturonico può essere metilato (gruppo carbossilico libero → gruppo carbossilico con metile); il diverso
grado di esterificazione/metilazione della pectina spiega le diverse consistenze di gel che si vengono a
formare.
Gomma arabica
▪ Eteropolisaccaride
ramificato estratto da
diverse specie di Acacia
(es.: Acacia senegal)
come essudato
▪ PM medio = 260-1160
kdal
▪ Scheletro: residui P-D-
galattopiranosilici legati da
legami
▪ Altri zuccheri: L-Ara, L-Rha, D-Gal, acido D-Glc
▪ Molto solubile in acqua (fino a 50%)
▪ Utilizzata come emulsionante e stabilizzanti in diversi prodotti e per fissare gli aromi in prodotti spry-dried
Frutto-oligosaccaridi (FOS)
Sono oligomeri, ovvero polimeri del fruttosio, altrimenti
noti come oligofruttosio; oligofruttani è il termine
generico che indica oligomeri principalmente formati
da β(2→1) fruttosil-fruttosio come unità fondamentale,
e un legame α(1→2) con glucosio al terminale. Sono
molto importante dal punto di vista nutrizionale perché
hanno un ruolo nel mantenimento dello stato di salute
della nostra microflora intestinale residente, oltre ad
essere sostanze gelificanti. Hanno diverse proprietà,
tra cui:
▪ bassa intensità del dolce, il che è un vantaggio,
perché permettono di aggiungere un buon
quantitativo di fibra all'alimento senza incidere dal
punto di vista gustativo
▪ sono a-cariogeni, non vanno a creare problematiche ai microrganismi della bocca (che non sono in grado
di fermentarli) a livello di aggiunta di zuccheri
▪ sono considerati una fonte di fibra solubile
Studi indicano diverse azioni fisiologicamente rilevanti, tra cui:
▪ miglioramento dell'assorbimento di minerali
▪ diminuzione/modulazione dei livelli sierici di colesterolo, trigliceridi e fosfolipidi
▪ effetto prebiotico (stimolazione di microflora non patogena)
Inulina
Si tratta del componente più importante della
famiglia dei FOS, un polimero glucidico
(composto da glucosio e fruttosio) con peso
molecolare minore dell'amido e solubile in acqua.
È il più importante membro della famiglia dei
fruttani, polimeri del fruttosio. Si ottiene dalla
polimerizzazione del β-D-fruttosio ed è molto
abbondante nei tuberi di topinambur e nella
cicoria, ma la principale fonte alimentare è il
frumento. Ha un ruolo prebiotico, ovvero di
mantenimento/nutrimento della microflora
intestinale positiva/utile. Infine, è un sostituto dei
grassi in prodotti “magri” (formaggi, yogurt, etc.)
per le sue proprietà di texture cremosa: difatti,
conferisce agli alimenti palatabilità (ossia la
gradevolezza al gusto), oltre a legare acqua,
quindi ad essere un gelificante.
La “n” cerchiata in rosso sta ad indicare che l’unità fruttosio-fruttosio β(2→1) non è un’unità ripetuta solo 4
volte come rappresentato in figura, bensì è ripetuta n volte.

LEZIONE 3 – LIPIDI
Il termine lipide deriva dal greco lipos, che significa grasso.
I lipidi sono una famiglia di molecole ad alto valore energetico, insolubili in acqua, ma solubili in solventi
organici, quali esano, etere di petrolio, etere etilico, cloruro di metilene.
In natura e negli alimenti, i lipidi sono sistemi di stoccaggio e trasporto dell'energia metabolica (trigliceridi).
Hanno grande importanza nutrizionale, perché:
a) hanno la capacità di sviluppare energia, 39 kJ/g TG (kilo-joule per grammo/teragrammo), più del doppio di
quelle sviluppate dai carboidrati
b) perché, ad esempio, alcuni si presentano sottoforma di acidi grassi essenziali, ossia non li produciamo
ma li dobbiamo acquisire tramite gli alimenti; oppure, l’organismo possiede una frazione di vitamine con
caratteristiche lipidiche/di liposolubilità, e quindi si trovano principalmente associate alla frazione lipidica
Sono componenti/hanno funzione strutturale delle membrane cellulari, presentandosi come fosfolipidi, e
perciò presenti in ogni alimento.
Sono inoltre agenti protettori di organismi (esseri animali e vegetali) esposti a forze ambientali, in
particolare a fenomeni termici: infatti, il grasso/la frazione lipidica di animali o piante abituati a vivere in
ambienti freddi, sarà molto diversa rispetto a quelli che vivono in situazioni più miti o in quelle tropicali.
Sono anche componenti essenziali nei processi di riconoscimento che avvengono alla superficie delle
cellule (i meccanismi di comunicazione/interazione tra gli esseri viventi passano attraverso la frazione lipidica),
sottoforma, ad esempio, di molecole segnale o ormoni.
Hanno proprietà organolettiche, quali la solubilizzazione di aromi e molecole del gusto: molti aromi e diverse
molecole responsabili di fenomeni gustativi hanno caratteristiche chimico-fisiche di lipofilia (ovvero sono
solubili in ambiente lipidico, veicolate dai lipidi) o sono lipidi veri e propri; gli stessi trigliceridi sono importanti
dal punto di vista sensoriale per l'effetto sulla texture.
Ancora, danno caratteristiche fisiche particolari agli alimenti, quali la palatabilità (es. consistenza cremosa), e
hanno la proprietà di solubilizzazione di composti xenobiotici (bioaccumulo, possono accumulare delle
sostanze tossiche).
Classificazione dei lipidi
1. Sulla base del residuo acilico, i lipidi si dividono in:
a) lipidi semplici o non saponificabili quali
 acidi grassi liberi (detti anche free fatty acids, FFA), che si ottengono per idrolisi alcalina dei
trigliceridi
 isoprenoidi → steroli, carotenoidi, monoterpeni
 tocoferoli
b) lipidi acilici o saponificabili,
 mono-, di- e triacilgliceroli (i cosiddetti trigliceridi), che, se trattati in soluzione alcalina, liberano la
frazione non saponificabile degli acidi grassi liberi → costituenti acidi grassi, glicerolo
 fosfolipidi (fosfatidi) → costituenti acidi grassi, glicerolo o sfingosina, acido fosforico, ammine
 glicolipidi → costituenti acidi grassi, glicerolo o sfingosina, mono-, di- o oligosaccaridi
 lipidi diolici → costituenti acidi grassi, etan-, propan- o butandiolo
 cere → costituenti acidi grassi, alcoli grassi
 esteri sterolici → costituenti acidi grassi, steroli
Il nome “saponificabile” deriva dall’antica usanza di usare i residui di grasso animale trattati con una
soluzione acquosa alcalina, per preparare il sapone. Questo perché: un grasso ha generalmente una testa
polare data dal gruppo carbossilico ed una coda apolare data dalla catena alifatica; se trattato in un
ambiente alcalino, il gruppo carbossilico diventa carico positivamente (non più COOH ma COO─), e
dunque la molecola si comporta in maniera, in termini chimici, anfifilica/anfoterica, ovvero interagisce sia
con composti molto polari tramite la testa, sia con composti molto apolari tramite la coda. Perciò tutto ciò
che reagisce/idrolizza in ambiente alcalino è definito saponificabile, tutto ciò che non lo fa è definito non
saponificabile.
Quindi, riassumendo, un lipide saponificabile è un lipide che, posto in soluzione alcalina, produce
molecole di tipo anfifilico/anfoterico, ovvero con una testa polare (carica) ed una coda apolare (non carica).
Così, i lipidi hanno capacità di solubilizzare lo sporco, e quindi ad avere azione pulente.
2. Sulla base della polarità, i lipidi si dividono in:
a) lipidi neutri, che non portano cariche positive o negative sulla propria catena, quali
 acidi grassi (>C12)
 mono-, di-, triacilgliceroli
 steroli, esteri sterolici
 carotenoidi
 cere
 tocoferoli
b) lipidi polari o anfifilici, che portano cariche positive o negative sulla propria catena, o comunque
hanno al proprio interno gruppo polari molto definiti, quali
 glicerofosfolipidi
 gliceroglicolipidi
 sfingofosfolipidi
 sfingoglicolipidi
Tabella
rappresentante la
struttura dei
principali acidi
grassi
In base alla loro
saturazione,
ovvero alla
presenza o meno
di uno o più doppi
legami nella
propria catena
alifatica, gli acidi
grassi vengono
definiti: saturi
quando la loro
struttura chimica
non contiene doppi
legami, insaturi
quando sono
presenti uno o più
doppi legami.
Designazione abbreviata: il numero a sinistra dei due punti indica da quanti atomi di carbonio il sistema è
costituito; il numero a destra dei due punti sta ad indicare le insaturazioni.
ESEMPIO: l’acido meristico è un acido grasso a 14 atomi di carbonio e 0 insaturazioni.
Il simbolo delta Δ tra parentesi seguito da numeri, indica la posizione delle insaturazioni.
ESEMPIO: l’acido oleico è un acido grasso a 18 atomi di carbonio (compreso il gruppo carbossilico COOH
finale) e 1 insaturazione in Δ9; ovvero, partendo a contare dal carbonio di testa, quello del carbossilico, si
trova in posizione 9 (conto le punte, seguendo la freccia rossa, arrivando alla doppia linea in posizione 9 che
sta a simboleggiare il doppio legame, da dove parte l’insaturazione).
Il secondo e il terzo numero indicano la posizione di ulteriori insaturazioni (es. acido linolenico, che ne ha 3).
Per l’esame: bisogna saper disegnare un acido grasso, non a partire dal nome (es. acido palmitico), ma dalla
designazione abbreviata sì, es. C 24:2 (Δ 9, 12), senza necessariamente saper dire il nome.
Ancora oggi, anche se non più chimicamente molto utilizzato, se non in ambito nutrizionale o dove si parla
della biosintesi dei lipidi (poiché può essere ambigua e particolarmente imprecisa, indicando solo la posizione
di un doppio legame senza specificare se è cis o trans) alcune volte il simbolo Δ è sostituito da omega Ω, che
ha lo stesso significato, ma la posizione dell’insaturazione è relativa al carbonio della coda, quello del gruppo
metilico (si parte a contare dalla parte opposta; es. l’acido linoleico, da Δ12 diventa Ω6, mentre rimane uguale
la posizione 9, al centro).
Geometria cis e trans
La natura enzimaticamente produce sempre acidi grassi insaturi presentano con configurazione/doppi
legami cis (ovvero quando i sostituenti sono dalla stessa parte del piano, verso l’alto, i due idrogeni sottintesi
verso il basso; nella configurazione trans, invece, i sostituenti sono sfalsati, uno da una parte e uno dall’altra
del piano, e dunque non si intralciano l’un l’altro; per tale motivo, i doppi legami trans sono più favoriti rispetto
ai cis, perché più stabili da un punto di vista di ingombro sterico); se in un alimento si trova un doppio legame
trans, significa che deriva da un effetto del processo/del trattamento tecnologico (indica la manipolazione
della frazione grassa, è indice di un trattamento, l’acido grasso ha subito delle modifiche che lo hanno trans-
isomerizzato, etc.).
Altra cosa molto importante è che i doppi legami sono sempre isolati da un carbonio, non c’è una
coniugazione (es. doppio legame in 9-10 e 11-12; il carbonio nel mezzo isola i legami); se su un alimento si
trovano doppi legami coniugati, ancora una volta ci si troverà davanti a un effetto del processo/del
trattamento tecnologico.
Tabella relativa agli acidi grassi saturi
Vengono chiamati normalmente con i nomi
comuni. Cosa più importante sono i relativi
punti di fusione: all’aumentare della
lunghezza della catena dell’acido grasso,
aumenta il punto di fusione; questo va ad
incidere sulla texture dell’alimento.
Ovviamente vi possono essere più acidi
grassi in un alimento, quindi il suo stato
fisico sarà dato dall’insieme prevalente. Un
sistema molto saturo (14/16/18/20 atomi di
C, più comuni negli alimenti) a
temperatura ambiente avrà una texture
solida/pastosa (es. burro o strutto). Un
sistema composto da acidi grassi a corta catena, seppur saturi, a temperatura ambiente risulterà fluido/liquido.
Infine, il numero di atomi del carbonio è sempre pari, questo perché oltre a lavorare con doppi legami cis,
enzimi biosintetici vanno ad allungare le catene, inserendo un blocco da due atomi.
Dunque, gli acidi grassi di norma presentano numero di carboni pari, isomeria cis e doppi legami isolati.

Tabella che indica acidi grassi che fanno


eccezione per il numero dispari di carboni
presenti sulla catena
Questi derivano da fonti di grasso venuti in
contatto con microrganismi (né animali né
vegetali), ad esempio un alimento
fermentato, oppure nel latte, essendo
prodotto da ruminanti (per effetto della
microflora del rumine e per effetto della
fermentazione).
Alcuni acidi grassi hanno catena ramificata
e sono derivanti dalla rottura della clorofilla.
Di tutti questi, il più importante che interessa
a noi è il margarico.
Tabella che espone gli acidi grassi
in serie (Ω) con doppi legami cis e
relativi punti di fusione
Hanno sempre il doppio legame in
posizione 9, 6 o 3 relativamente alla
coda. Cosa importante però è
l'effetto dell’insaturazione sul punto
di fusione: normalmente questo
aumenta all'aumentare della
lunghezza della catena; in questo
caso però notiamo che cala
all'aumentare della catena (18:1 →
13.4; 18:2 → -5.0; 18:3 → -11.0);
ciò significa che il punto di fusione
diminuisce all'aumentare del
numero di insaturazioni. Ciò
significa all’aumentare del numero
di insaturazioni all'interno di un
sistema lipidico, questo diventa via via più fluido. Ecco perché, a temperatura ambiente:
 alcuni oli vegetali risultano più fluidi nonostante abbiano loro interno degli acidi grassi mono- o polinsaturi
 alcuni grassi animali (es. lardo o strutto) risultano compatti pur essendo ricchi di acidi grassi saturi
Un esempio pratico si ha mettendo una bottiglia di olio d'oliva fuori in inverno (es. 5°C): l’olio contiene
soprattutto acido oleico, che al di sotto dei 13°C comincia a solidificare; risulta che una parte dell’olio solidifica
in cristalli, mentre la restante rimane liquida; la parte che va a depositarsi sul fondo in forma solida
rappresenta la percentuale satura, che contiene la frazione di trigliceridi (in questo caso), mentre quella liquida
rappresenta la frazione di acidi grassi mono- o polinsaturi. Quindi è possibile rimuovere la percentuale di
massa grassa da un alimento, facendola precipitare tramite un abbassamento della temperatura.
Tabella che espone gli acidi grassi
in serie (Ω) con doppi legami trans
e relativi punti di fusione
I punti di fusioni variano a seconda
che l'acido grasso abbia dubbi
legami cis o trans: ad esempio,
l'acido oleico cis presenta punto di
fusione 13.4 mentre la
configurazione trans 46. Quindi non
solo il passaggio da isomeria cis a
trans (il cambiamento di struttura)
non avviene in natura nei sistemi
vegetali e animali, se non per via
batterica o tecnologica, ma induce
un cambiamento anche nella forma fisica dell'acido grasso da fluido a compatto a temperatura ambiente.
Rappresentazione spaziale dell’acido
linoleico (L): differenza tra geometrie cis e
trans
Nella geometria trans (verde), il doppio
legame in posizione 12 è in cis e quello in 9
è trans, mentre nella geometria classica cis
(blu), i doppi legami in posizione 12 e 9
sono entrambi in cis. Le stanghette bianche
rappresentano gli H.
La figura in mezzo rappresenta la
sovrapposizione tra le due sopra: il legame
cis determina un ripiegamento della
molecola radicalmente diverso dalla
conformazione trans, determinandone una
forma diversa e una diversa capacità di
occupare lo spazio circostante.
Acidi grassi negli alimenti: alcuni esempi
 C18:1, acido oleico → si trova in tutti i sistemi, anche nei grassi animali, ma principalmente nell’olio
d’oliva, per cui assume questo nome (così come l’acido palmitico è preponderante nell’olio di palma, e
quindi prende il suo nome; il nome deriva quindi dalla preponderanza dell’acido in un sistema)
 C22:1, acido erucico → tipico della famiglia delle Brassicaceae (piante erbacee), in particolare del colza
 Acidi grassi essenziali (AGE o EFA), che a livello nutrizionale non siamo in grado di procurarci da soli, ma
li assumiamo tramite la dieta, quali
 C18:2 (Δ 9,12), linoleico
 C18:3 (Δ 9,12,15), a-linolenico
 C20:4 (Δ 5, 8, 11, 14 → 4 insaturazioni = polinsaturo per eccellenza), arachidonico → che si trova in
carne, fegato, lardo, uovo
 C20─22 con anche 5-6 doppi legami (dunque svariate insaturazioni), acidi grassi polinsaturi → tipici degli
oli di pesce/caratteristici dei sistemi ittici, ma anche di mammiferi e uccelli quali foche, orsi polari e pinguini;
come già detto, il grasso è un elemento isolante fondamentale, per cui, popolando habitat a basse
temperature, sono esseri viventi che necessitano di abbondanza di tessuto adiposo mantenente la fluidità
delle membrane
 Trans → sono generalmente artefatti dovuti al trattamento tecnologico
 Doppi legami coniugati → si trovano spesso negli oli di semi per effetto dei trattamenti di rettifica
(trattamenti tecnologici di pulizia/raffinazione)

Tabella che
rappresenta gli acidi
grassi utili per
l’identificazione di
grassi e oli
C4:0, acido butirrico
→ si trova in tracce in
vari alimenti, ma
principalmente nel latte
di tutti i tipi
(componente del
grasso per il 3-4%)
C12:0 → tipico dei
grassi vegetali
L'organismo umano non ha la
capacità di deidrogenare (introdurre
insaturazioni/produrre da sé gli acidi
grassi con insaturazioni) sugli ultimi
6 atomi di C della catena dell'acido
grasso. Quindi, siccome questi
hanno ruoli essenziali come
 struttura delle membrane
biologiche
 precursori degli eicosanoidi
(sistemi ormonali, derivati dell'acido arachidonico)
 regolazione dei lipidi ematici (lipidi del plasma a livello sanguigno)
, è necessario introdurli con la dieta. Gli (omega) ω3 sono normalmente chiamati acidi grassi essenziali,
mentre gli ω6 sono chiamati acidi grassi semi-essenziali (perché l’organismo è in grado di produrne una
parte molto ridotta, comunque insufficiente).
Schema delle caratteristiche strutturali di
alcuni acidi grassi

Il cis introduce sempre di fatto un


piegamento a 120°C, il trans no.
Es. arachidonico: 4 piegamenti di 120°C,
sistema estremamente disordinato, con
un’alta complessità strutturale e, di
conseguenza, un basso punto di fusione, e
dunque si presenterà come sistema fluido a
temperatura ambiente.

Strutture cristalline

Il cristallo è un insieme ordinato di


molecole disposte nello spazio con una
certa periodicità: le teste (i gruppi carbossilici) degli acidi grassi interagiscono tra loro con interazioni
polari/legami a idrogeno, mentre le code (i gruppi metilici) si attaccano con interazioni idrofobiche.
La presenza di legami cis determina un diverso impaccamento delle molecole che risulta più disordinato
influenzando (abbassando) il punto di fusione dell'olio/grasso.

Punto di fusione dei principali acidi grassi


– Effetto del numero, della configurazione
e della posizione dei doppi legami

I primi sono sistemi solidi o semi-solidi a


temperatura ambiente.
Andando ad aumentare il numero di
insaturazioni cis, si giunge a sistemi
liquidi a temperatura ambiente
Lipidi Semplici (non saponificabili) o Isoprenoidi

Si chiamano isoprenoidi perché derivanti dalla biosintesi


isoprenica. Tra quelli di particolare rilevanza alimentare si
distinguono:
 steroli, con struttura policiclica con 4 anelli coniugati
(generalmente hanno tre anelli a 6 e uno a 5, A, B, C e D) e
variamente sostituiti; gli steroli vegetali o il colesterolo nei
sistemi animali hanno un ruolo regolatore/ormonale, ovvero
di regolare le funzioni cellulari/i processi fisiologici. Gli
steroidi sono saponificabili perché sono steroli montati su
qualcos’altro
 carotenoidi, classe di pigmenti organici (portano colore ai
sistemi alimentari, soprattutto quelli di origine vegetale) che
contiene importanti precursori per molecole di alta rilevanza
fisiologica, le vitamine (ad es. il Beta-carotene è il
precursore della Vitamina A); sono costituiti da unità
ripetute di isoprene e gruppi ionone
 terpeni/monoterpeni e monoterpenoidi, classe di composti costituiti da unità di isoprene; sono piccole
molecole volatili che conferiscono odore agli alimenti; difatti, sono importanti per le loro proprietà
aromatiche; negli alimenti con una netta percentuale di frazione lipidica, vengono trattenuti e permangono
per tempi lunghi; in particolare, la frazione lipidica aiuta nella modulazione gustativa/nella percezione del
gusto per il rilascio rallentato di queste molecole

Steroli e contenuto di colesterolo in alcuni alimenti

Possono avere gruppi metili CH3 aggiuntivi sugli


anelli, ma anche catene laterali alifatiche variamente
sostituite. La catena del colesterolo (solo negli
alimenti di origine animale, o che contengono
ingredienti di origine animale) è laterale e satura,
mentre negli steroli vegetali cambia (es. altre figure
oltre al colesterolo, definiti fitosteroli, ovvero steroli
di origine vegetale).

Il colesterolo si trova in
quantità diverse su tagli
diversi. Il suo ruolo è
quello di mediatore
fisiologico dei processi
cellulari, e si trova
soprattutto in cui
questo ruolo viene
esplicato: ad esempio,
in frattaglie/organi
animali, o nel tuorlo
d’uovo, il punto in cui
l’embrione si sviluppa,
o ancora nel burro,
derivante dal latte, nutrimento del “cucciolo”; si trova in minor quantità, invece, nei tagli magri (es. pesce) o nei
muscoli, dove la sua funzione è meno richiesta. Dunque, il colesterolo è un componente importante per il
bilancio dell’organismo, necessario in dosi corrette, nocivo in dosi eccessive.

Carotenoidi

Molecole costituite da una lunga serie di doppi legami trans e coniugati C-C (8 unità isopreniche) che formano
un esteso sistema cromoforo (pigmenti più diffusi in natura). Sintetizzati da piante e quindi l'esposizione a
queste sostanze dipende in larghissima misura dalla dieta. In particolare, si trovano in frutta e verdura.
Si possono distinguere in:
a) Caroteni, se i due cicli sono alifatici, e dunque
idrocarburi, solo carbonio e idrogeno; generalmente
hanno tonalità di colore che vanno dal giallo all’arancio
b) Xantofille, se presentano gruppi OH, derivati ossigenati
dei caroteni; generalmente hanno tonalità di colore che
vanno dal rosso al violaceo
Alcuni esempi di carotenoidi negli alimenti:
 licopene, che conferisce colore al pomodoro
 luteina, presente nelle uova
 luteoxantina, presente nel succo d'arancia

Monoterpeni

Sono terpeni costituiti da 2 unità isopreniche di formula C10H16, che compongono gli oli
essenziali nel regno vegetale (es. spezie ed erbe aromatiche) e possono essere:
 lineari (es. mircene)
 monocilici (es. limonene)
 biciclici (es. pinene)
Si tratta di molecole lipofile, ovvero che si dissolvono molto bene nei sistemi grassi.
Quelle che subiscono la rimozione di unità carboniose o l'attacco di ossidrili vengono
definite monoterpenoidi (es. mentolo e hinokitiol)

Inoltre, sono composti aromatici (molecole piccole e volatili) fondamentali per definire il profilo aromatico
(componente olfattiva) degli alimenti.
Le erbe d’alpeggio sono molto ricche in frazione terpenica: il ruminante, nutrendosene, accumula queste
molecole a livello di tessuto adiposo, principalmente nella ghiandola mammaria; vengono poi escrete nel latte,
e di conseguenza nel formaggio; perciò, i formaggi d’alpeggio hanno una tipica/peculiare nota olfattiva
erbacea, cosa che si perde un po’ nei formaggi derivanti da allevamento intensivo, essendo la frazione
terpenica ridotta negli insilati o nei mangimi.
Tocoferoli
Classe di composti fenolici con una lunga catena
satura, alcuni aventi funzione della Vitamina E. (a
destra la sua forma, preferenzialmente assorbita e
accumulata nell'uomo).
I nutrienti vitaminici sono essenziali per l'uomo e
abbondanti nel regno vegetale (es. oli).
Sono potenti antiossidanti liposolubili, e regolatori di ciclossigenasi e lipossigenasi, enzimi coinvolti nel
metabolismo dei prostanoidi.
Lipidi acilici (saponificabili) –
Mono-, Di- e Tri- acilgliceroli
Unendo una molecola glicerolo a 1, 2 o
3 acidi grassi esterificati, si ottengono,
rispettivamente:
 monoacilgliceroli o monogliceridi
 diacilgliceroli o digliceridi
 triacilgliceroli o trigliceridi
Il glicerolo è un tri-alcol, ovvero una
molecola con 3 gruppi OH: il CH2 di
testa e quello di coda sono equivalenti,
rispettivamente in posizione alfa e alfa
primo, che identificano le due posizioni
analoghe esterne (sgombre/libere, che
quindi possono portare anche molecole
di grandi dimensioni senza dare ingombro sterico); beta e beta primo indicano la posizione centrale (più
ingombrata dal punto di vista geometrico, dedicata quindi all’ossigeno).
Il glicerolo è legato all’acido grasso tramite un legame estereo, ovvero O–CO= (legame singolo + doppio
legame, O carbonile) sempre presente all’interno di un trigliceride. Gli acidi grassi legati sono rappresentati
dalle catene laterali R1, R2 o R3 di lunghezza diversa o uguale.
Gli esteri si possono idrolizzare sia in ambiente acido sia in ambiente basico:
 dall’idrolisi acida risulta acido carbossilico ed alcol e dunque un sistema in equilibrio
 dall’idrolisi basica risulta alcol e carbossilato (perché in ambiente alcalino il gruppo COOH risulta
deprotonato in COO─) e dunque non un equilibrio ma una reazione irreversibile
Partendo dal trigliceride, per idrolisi acida o basica, si possono ottenere digliceridi o monogliceridi, staccando
via via dei pezzettini. Es. il monogliceride in fondo in figura vede staccate le due parti esterne (sempre per una
ragione di ingombro sterico, è più facile staccare quelle): si può avere il distacco dell'acido grasso in tutte le
posizioni, solamente in percentuali diverse.

Esercizio di abbinamento di P (acido palmitico) e O (acido oleico) sullo scheletro del glicerolo
Si ottengono 6 combinazioni diverse con 2 acidi grassi diversi. Quando è nota la posizione, si usa il prefisso
sn, es. sn-1-palmito-2-oleo-3-stearina.
Se invece di 2 acidi grassi se ne hanno a disposizione 3, 4, o 5, numero di possibili isomeri posizionali (nel
caso di POO e OPO → diverse posizioni ma stesso peso molecolare; nel caso di PPP e OOO → molecole
completamente diverse) aumenta all'aumentare degli acidi grassi a disposizione.
Dunque, il numero di possibili composizioni aumenta all’aumentare dei trigliceridi disponibili, e si può calcolare
tramite la formula sopra cerchiata in rosso (per l’esame: bisogna conoscere questa formula e il suo contesto)
Aiuta a rendersi conto di quanti trigliceridi si possono formare da dati acidi grassi, e le diverse caratteristiche
che presentano, dalle quali derivano anche diverse proprietà di texture (si possono avere simili acidi grassi in
termini di profilo, ma diversi in termini di distribuzione di trigliceridi).
Struttura cristallina di acil-gliceroli
Siccome i trigliceridi si possono strutturare da un punto
di vista cristallino, negli alimenti offrono punti di fusione
(dunque texture, spalmabilità e consistenza) a
temperatura ambiente che dipendono dalla loro
composizione in acidi grassi, oltre che dalla
disposizione nello spazio degli stessi.
la struttura si può posizionare in due modi, e quindi
avere due tipi di conformazione molecolare (ovvero
la struttura che assume la singola molecola, come si
dispone nello spazio)
1. a diapason o a forchetta
2. a sedia
, le quali rappresentano le diverse strutture cristalline
(struttura nello spazio che formano più molecole, come
interagiscono/si organizzano tra loro). Dalla
configurazione deriva l’impaccamento (volume della struttura
cristallina occupata dagli atomi), piuttosto stretto nel caso della
conformazione a sedia, con poco spazio tra una catena e l’altra.
Ne consegue un innalzamento del punto di fusione e una
maggiore consistenza/compattezza del sistema (alimento più
solido). Nel caso, invece, della conformazione a diapason,
l’impaccamento risulta più aperto, con più spazio tra le catene:
ciò porta a un sistema meno ordinato, con una diminuzione del
punto di fusione e una struttura meno compatta.
I cambiamenti dei punti di fusione sono detti cambiamenti
monotropici: più è ordinata la struttura, più il punto di fusione si
innalza; più è disordinata la struttura, più il punto di fusione cala.
Le insaturazioni dei lipidi, nelle conformazioni vanno a
rappresentare gli angoli: più angoli ci sono, più diventa
complicato per la struttura impaccarsi.
Esempi:
 la stearina o tristearina è un trigliceride derivante dalla
condensazione del glicerolo con tre molecole di acido
stearico, C18:0, lineare, privo di insaturazioni, che quindi tende a disporsi in una conformazione a forchetta
→ assume tre strutture cristalline diverse, tutte sopra i 50°C, dunque tutte solide a temperatura ambiente
 l’oleina contiene tre catene di acido oleico, C18:1, con un’insaturazione → tutte e tre le strutture cristalline
hanno infatti punti di fusione bassi, dunque saranno tutte liquide a temperatura ambiente
Siccome in un alimento vi possono essere svariate combinazioni di trigliceridi (perché con soli 2 acidi grassi se
ne formano 6), ogni trigliceride può assumere almeno 3 strutture tridimensionali (cristalline) diverse, ed
ognuna di queste è associata ad un proprio punto di fusione, non è più possibile definirne uno unico. Perciò si
fa riferimento ad un range di fusione, che indica quando inizia a sciogliersi o a solidificarsi la massa grassa.
Dunque, definisce la plasticità/spalmabilità del grasso/alimento, perché a una data temperatura si
presenterà sottoforma di fluido, ad un’altra sottoforma di solido, e ad una intermedia in parte solido e in parte
liquido (es. bottiglia di olio d’oliva sul balcone d’inverno).
In generale, i sistemi fluidi (es. l'oli di semi) non si solidificheranno mai completamente, se non a temperature
estremamente basse, mentre i sistemi misti (ovvero contenenti acidi grassi sia saturi che insaturi) andranno
a solidificare già temperature più standard.
Esempi:
 lardo → nonostante sia un grasso di origine animale e quindi contenga un’elevata quantità di acidi grassi
saturi che lo rendono solido a temperatura ambiente, contiene anche una buona percentuale di acidi grassi
insaturi, perciò si presenta con una texture pastosa (consistenza morbida, al caldo o in bocca si scioglie)
 burri di cocco, cacao, palma, karité → si presentano in una consistenza burrosa/pastosa a temperatura
ambiente, essendo sistemi misti, ma con una maggior proporzione di acidi grassi saturi rispetti a quella di
acidi grassi insaturi (paragonati, ad esempio, all’olio d’oliva)
 abbronzanti estivi a base di olio di cocco → contengono una frazione scelta dell’olio di cocco, quella
arricchita di acidi grassi insaturi
Vi sono diverse strutture polimorfiche che spiegano anche la struttura del grasso a temperatura ambiente.
Struttura cristallina degli acil-gliceroli: il caso della cioccolata
Un tipico esempio di come la struttura cristallina influenza gli alimenti è il temperaggio o la
precristalizzazione del cioccolato, ovvero, nell'industria alimentare, la tecnica che consente di stabilizzare il
cioccolato per agevolarne la lavorazione (processo termico e meccanico di orientamento della cristallizzazione
tramite la selezione dei cristalli più stabili contenuti nel burro di cacao).

Nel burro di cacao, quindi nei grassi del cioccolato, i diversi trigliceridi si possono organizzare in 6 strutture
cristalline diverse (cristalli di burro di cacao); ad ognuna di queste sono abbinate una temperatura di fusione e
caratteristiche fisiche diverse (sofficità, croccantezza, palatabilità).
Le prime 2/3 strutture presentano delle
problematiche, che non le rendono adatte
all’utilizzo nell’alta pasticceria:
 sono troppo malleabili/soffici/fluide a
temperatura ambiente (tra i 17 e i 25°C),
quindi non sostengono la forma che si
intende dare alle opere di cioccolateria
 sono soggette al fenomeno del fat-
blooming (affioramento del grasso), in
italiano efflorescenza, ossia,
chimicamente, la proprietà di alcuni
composti cristallini di perdere, se esposti
all'aria, l'acqua di cristallizzazione,
divenendo opachi e riducendosi in
polvere; infatti, si forma sul cioccolato di
una patina bianca superficiale (i cristalli
di burro cacao salgono in superficie
formando depositi), non
qualitativamente/chimicamente nociva, ma esteticamente sgradevole. Dunque, non garantiscono il
classico effetto lucido alla lavorazione
Le altre, invece, sono più adatte, ma sono
prive di “snap”, ovvero il classico rumore
secco e netto che si percepisce spezzando
la tavoletta di cioccolato, indice del fatto che
gli zuccheri hanno subito una corretta
cristallizzazione e che il prodotto è stato
conservato correttamente.
La struttura 6, in particolare, è troppo dura a
temperatura ambiente, quindi poco lavorabile
e difficilmente fondibile/scioglibile, essendo
la sua temperatura di fusione comparabile a
quella del cavo orale.
La struttura 5, invece, è quella perfetta dal
punto di vista gastronomico:
 è una struttura ordinata, quindi riflette
bene la luce
 ha una superficie lucida/brillante
 ha un buono snap
 si scioglie perfettamente in bocca, essendo il suo punto di fusione superiore a quello della temperatura del
cavo orale, allo stesso tempo garantendo la tenuta della forma datale.
Per ottenere la struttura perfetta, però, non è sufficiente raggiungere il suo punto di fusione, perché,
potenzialmente, una tavoletta di cioccolata può contenere tutte e 6 le strutture, in percentuali che rispecchiano
la maggiore o la minore stabilità di quella forma nelle condizioni ambientali in cui si trova. Quindi la più stabile
sarà anche quella presente in quantità maggiore, nonché la più favorita.
La struttura 5 non è stabile, quindi sarà presente in quantità minore, e si otterrà solo applicando la tecnica del
temperaggio, attraverso dei cicli di temperatura: inizialmente si scalda tutta la massa di cioccolato a circa
37°C, temperatura superiore al punto di fusione massimo, in modo tale da fondere tutte e 6 le strutture; poi,
con dei cicli di raffreddamento controllato (raffreddo-scaldo continuamente, sotto i 37°C) si forza tutti i
trigliceridi e quindi tutto il sistema, da un punto di vista energetico, a stabilizzarsi in forma 5.
Fosfolipidi: building block delle
membrane biologiche
I fosfolipidi si trovano negli
alimenti in tracce/quantità
minime, ma sufficienti per
garantire la caratteristica di
emulsionanti derivanti dalla
rottura delle membrane
cellulari.
La natura polare della testa e
la composizione in acidi grassi determinano le proprietà dei fosfolipidi.
I tre fosfolipidi a sinistra in figura sono i più importanti
 la fosfatidil-colina o lecitina (le lecitine in commercio, es. lecitina di soia, sono una miscela di questi tre
fosfolipidi)
 la fosfatidil-serina o semplicemente serina
 la fosfatidil-etanolammina o semplicemente etanolammina
, e differenziano per la testa (parte tratteggiata). Tutte e tre, però, presentano cariche positive o negative che
fanno sì che la struttura dei fosfolipidi abbia sempre una testa polare carica e code apolari neutre, ciò che
spiega la loro proprietà emulsionante.
Hanno anche altre proprietà:
 l'abbondanza di acido linoleico (acido cis-9,12-octadecadienoico; C18:2), seguito dal palmitico (acido
esadecanoico; C16:0), al loro interno li rende particolarmente proni ad auto-ossidazione (subiscono
facilmente ossidazione/sono facilmente ossidabili)
 possono essere idrolizzati con basi in condizioni “mild” (ovvero lievi, non occorrono sistemi acidi o basici
forti), con la sola rimozione degli acidi grassi, e, di conseguenza, sono facilmente degradabili
 i plasmalogeni, dei fosfolipidi modificati, sono più sensibili ad idrolisi in blande condizioni acide
Un sistema disperso è composto da
due liquidi immiscibili:
a) emulsioni definite olio in acqua →
la fase disperdente (goccioline) è
rappresentata dall’olio, mentre la
fase dispersa (massa) è l'acqua; ad
esempio, il latte, goccioline di
grasso disperse in un sistema di
acqua
b) emulsioni definite acqua in olio →
la fase disperdente (goccioline) è
l’acqua, la fase dispersa (massa) è
l’olio; ad esempio, il burro/la
margarina, l'acqua si disperde
all'interno della massa
preponderante, quella grassa
Caso del cucchiaino di olio in un bicchiere d’acqua: l’olio rimane in superficie e non si ha la miscibilità dei due
elementi; mescolando il sistema si creano tante piccole goccioline di olio che si disperdono nella massa
acquosa; dopo poco tempo, però, tendono a riaggregarsi e ad affiorare nuovamente.
In queste situazioni, per mantenere stabile il sistema più a lungo (ad esempio un lasso di tempo
sufficientemente lungo per garantire la vita da banco di un dato alimento), si possono usare degli
emulsionanti: si tratta di sostanze/molecole che possiedono la testa affine all'acqua (quindi si orientano verso
la parte acquosa) e la coda affine al grasso (quindi si orientano verso la porzione grassa); in questo modo
agiscono da “cerniera”, mantenendo legate insieme le goccioline disperse all’interno della fase disperdente. Si
tratta di un ruolo importante, poiché mantenendo stabile l’emulsione, evitano l’affioramento, la rottura del
sistema.
I fosfolipidi possono trovarsi naturalmente all’interno di un alimento (es. nel tuorlo d’uovo, la cui capacità
emulsionante è intrinseca), oppure possono essere aggiunti con ruolo di emulsionanti.
I più importanti sono le lecitine, largamente utilizzate nell’industria alimentare come tensioattivi, ovvero
sostanze che hanno la proprietà di abbassare la tensione superficiale di un liquido, agevolando la bagnabilità
delle superfici o la miscibilità tra liquidi diversi.
Glicolipidi
Una minima capacità emulsionante è tipica anche di altri lipidi acilici
saponificabili, come, ad esempio, i glicolipidi (ma anche gli sfingolipidi e
i lipidi diolici).
Si tratta di 1,2 diacilgliceroli con una componente saccaridica legata alla
posizione 3 del glicerolo (sistemi in cui sul glicerolo è montato uno
zucchero): è il caso del fosfatidil-inositolo, che possiede una testa
zuccherina; lo zucchero forma legami idrogeno con l’acqua, da qui la
capacità emulsionante. Il galattosio è il saccaride predominante nei glicolipidi di pianta. Di relativamente larga
diffusione sono i mono- e di-saccaridi, rari i tri- e tetra-saccaridi.
I glicolipidi hanno anche un ruolo biologico importante, perché permettono la determinazione dei gruppi
sanguigni:
 Gruppo A. GTA aggiunge N-acetilgalattosammina all'antigene H
 Gruppo B. GTB aggiunge galattosio
 Gruppo O. Il gene non codifica glicosiltransferasi funzionanti
 Gruppo AB. Entrambe le GT
Sfingolipidi
Sono lipidi acilici saponificabili caratterizzati da una lunga coda acilica (atomi di C), tendenzialmente saturi,
con qualche insaturazione verso la fine della catena, in alcuni casi.
Hanno una testa polare grazie ad un gruppo amminico positivo con sostituenti.
Presentano sfingosina come unità caratteristica fondamentale
Sono inoltre molecole fondamentali per regolare la fluidità di membrana, che è un aspetto fondamentale per la
fine regolazione di fondamentali eventi biologici (accrescimento degli esseri viventi).

Cere
Composti da un acido grasso esterificato con alcol a lunghissima
catena (ad elevatissimo numero di carbonio), quindi sistemi molto
apolari. Esteri degli acidi grassi con:
 Alcol cetilico: C16H33OH
 Alcol stearilico: C18H32OH
 Alcol oleilico: C18H35OH
 Alcol cerilico: C26H53OH
Tendono ad agire come isolanti/impermeabilizzanti su foglie e semi delle piante (costituiscono, ad esempio,
il pericarpo della drupa dell'oliva), ma sono presenti anche in oli di origine marina.
Lipidi dioli
Lipidi che sono montati non su glicerolo ma su un sistema diolico
(2CH2OH), caratteristici principalmente di esseri viventi marini, quali
molluschi e stelle marine, ma contenuti anche in olio di mais.

Sterol esteri
Steroli esterificati con acidi grassi o altre molecole (corticosteroidi
e steroidi):
 sterol esteri di pianta si sono visti associati a riduzione del
colesterolo LDL
 sterol esteri derivati da pianta di utilizzano come integratori
alimentare
Prodotti in tracce da ogni cellula, si trovano molto spesso in
integratori alimentari di origine vegetale che vanno a regolare il
metabolismo del colesterolo endogeno, ma in generale sono di scarso interesse.
Curiosità sui grassi
La composizione in acidi grassi dell’olio extravergine d’oliva cambia tra:
 Nord Italia → maggior quantità di insaturi
 Sud Italia → maggior quantità di saturi (si tratta di minime variazioni, che non influenzano la qualità
nutrizionale dell’olio al Sud o non lo rendono più nocivo rispetto a quello del Nord)
La frazione insatura permette di mantenere una corretta fluidità del sistema anche a basse temperature.
Al Nord, il clima più freddo richiede alla pianta uno sforzo maggiore nel corretto mantenimento della fluidità di
membrana: di conseguenza, essa aumenta minimamente la sua percentuale di acidi grassi polinsaturi.
Questo può capitare anche al Sud in un’annata “sfortunata”, con escursione termica molto forte tra giorno e
notte, stagione particolarmente rigida: a quel punto, la composizione dell’oliva può variare, per adattamento al
clima.
LEZIONE 4 – PROTEINE
Amminoacidi, peptidi e proteine
Il termine proteina deriva dal greco proteios, che significa “che occupa il primo
posto”. Sono formate da 50 a qualche migliaio di amminoacidi (figura a
destra): sono caratterizzati dalla presenza, sullo stesso carbonio, di un gruppo
carbossilico (COO—) e di un gruppo amminico (NH3); inoltre vi è un idrogeno e
un gruppo R, la catena laterale (ne esistono tante diverse).
Gli amminoacidi proteici ad oggi conosciuti sono circa 20, quelli non proteici
(ovvero liberi in natura) circa 200.
Con un numero minore di 50 amminoacidi si ha un peptide:
✓ meno di 10 amminoacidi formano gli oligopeptidi (di-, tri-, tetra-, etc. peptide)
✓ tra 10 e 50 amminoacidi formano i polipeptidi
Le funzioni che rivestono le proteine negli alimenti sono svariate:
✓ forniscono gli amminoacidi per la biosintesi delle proteine dell’organismo
✓ contribuiscono in maniera significativa alle proprietà fisiche (di struttura/texture) degli alimenti per la loro
capacità di formare o stabilizzare gel (sono gelificanti), schiume (sono schiumogeni), emulsioni (sono
emulsionanti) e strutture fibrose
✓ contribuiscono al flavor (gusto/sapore) dell’alimento e sono precursori di aromi e colori che si formano a
seguito dei trattamenti termici o enzimatici durante la produzione, il processo e la conservazione degli
alimenti
Classificazione
Le proteine vengono classificate in base:
a) alla funzione biologica, che è data dalla sostanza in cui sono contenute
✓ enzimi → es. Ribonucleasi o Tripsina
✓ proteine di trasporto → es. Emoglobina, Albumina del siero, Mioglobina, β1-Lipoproteina
✓ proteine di nutrimento e di riserva → es. Gliadina (grano), Ovalbumina (uovo), Caseina (latte),
Ferritina
✓ proteine contrattili e per il movimento → es. Actina, Miosina, Tubulina, Dineina
✓ proteine strutturali → es. Cheratina, Fibroina, Collageno, Elastina, Proteoglicani
✓ proteine di difesa → es. Anticorpi, Fibrinogeno, Tossine, Veleno dei serpenti, Ricina
✓ proteine di regolazione → es. Insulina, Ormone della crescita, Corticotropina, Repressori
b) alle proprietà chimico-fisiche
✓ Protammine e istoni → sono proteine basiche e non coagulano al calore
✓ Albumine → sono proteine solubili in acqua e coagulano al calore
✓ Globuline → solubili in soluzioni saline a pH neutro e coagulano al calore
✓ Prolammine → sono proteine solubili in alcol etilico al 70%
✓ Gluteline → insolubili nei suddetti solventi e solubili in acidi e alcali diluiti
✓ Scleroproteine → insolubili
Amminoacidi
Le caratteristiche degli
amminoacidi di base sono
molto importanti per
determinare le
caratteristiche chimico-
fisiche e funzionali delle
proteine. Gli amminoacidi
si suddividono in:
✓ alifatici → tra loro
caratterizzati o
raggruppati in base alla
presenza di una catena
laterale di tipo alifatico,
e quindi apolare
✓ con gruppi –OH, SH o
SR → principalmente
serina (-OH), cisteina (-
SH) e metionina (-SH),
i cui gruppi spiegano
alcune caratteristiche
particolari degli
aminoacidi negli
alimenti
✓ ciclici
✓ acidi e loro ammidi →
portano dei gruppi
acidi, quindi sono
polari, ma
interagiscono di più
tramite legami a
idrogeno con il gruppo
acilico
✓ basici → portano dei
gruppi basici, quindi
sono polari, ma
interagiscono di più
tramite legami a
idrogeno con il gruppo basico (come accettori)
✓ aromatici → con una maggiore apolarità della frazione proteica
Acidità di un amminoacido generico
Una delle caratteristiche più importanti di un
amminoacido è la capacità di variare il proprio stato
di protonazione (legare o perdere un protone) al
variare del pH.
In condizioni acide, l’amminoacido è totalmente
protonato: il gruppo carbossilico è neutro e il gruppo
amminico è carico positivamente. Al crescere del pH
si avrà un equilibrio di dissociazione, che porterà a perdere prima il carbossile (OH−), ed in seguito il gruppo
amminico (il protone H+).
In base all’equazione di Henderson-Hasselback (equazione di dissociazione acida di un aminoacido),
tramite la conoscenza della pKa e del pH, è possibile stabilire la prevalenza della forma associata acida o di
quella basica in un sistema (per capire quanto è dissociato un aminoacido).

Secondo questa, se un acido HA si dissocia per dare H+ e A-:


✓ se pH < pKa prevale la specie HA
✓ se pH > pKa prevale la specie A-
Stati prevalenti di protonazione dell’alanina al variare del pH
In condizioni di pH acido (pH inferiore alla pKa del carbossile) si ha la prevalenza della forma cationica,
carica positivamente: il carbossile è protonato in forma neutra (OH) e il gruppo amminico in forma carica
(NH3+).
Al crescere del pH si dissocia il gruppo carbossilico arrivando alla forma zwitterionica, neutra in quanto da
molecola porta entrambe le cariche (il gruppo carbossilico è carico positivamente e il gruppo amminico
negativamente, quindi carica 0).
Aumentando ulteriormente il pH si avrà la dissociazione anche del gruppo amminico, e quindi l’amminoacido si
troverà in forma anionica, con il gruppo amminico neutro e il gruppo carbossilico carico negativamente.
Forma cationica Forma zwitterionica Forma anionica

prevalente a: pH < 2.35 2.35 < pH < 9.87 pH > 9.87

Grafico di rappresentazione delle tre forme


La prevalenza di ciascuna forma cambia
all'equilibrio: all'aumentare del pH, si ha un
declino della forma cationica, che origina la
forma zwitterionica, la quale, declinando, a
sua volta origina la forma anionica.
Lo stato di protonazione di un aminoacido è
essenziale per conoscere:
✓ le proprietà di quelle specifico
amminoacido
✓ le caratteristiche di solubilità o polarità
delle proteine, a seconda della tipologia di
amminoacidi che contengono
Punto isoelettrico
Il punto isoelettrico (pI) è il valore di pH al quale l’amminoacido, se immerso in un campo elettrico, non migra
né verso il polo positivo né verso il polo negativo, e, dunque, la sua carica netta è pari a 0.
Questo implica che la specie a carica netta nulla, quella zwitterionica, è massima e le forme cationiche ed
anioniche sono presenti in concentrazione uguale, minima.
Per un amminoacido avente un solo gruppo amminico
ed un solo gruppo carbossilico, il valore di pI può
essere determinato dalla costante di dissociazione
acida (pKa) di ciascuno dei due gruppi, calcolandone
la media:

1. Aminoacido in forma cationica


✓ pH acido
✓ gruppo carbossilico carico negativamente
✓ gruppo amminico carico positivamente, che forma interazioni stabili con l'ossigeno dell'acqua
(anioni O−), che ha una parziale carica negativa
✓ si scioglie bene in acqua perché ben solvatato
2. Amminoacido in forma anionica
✓ pH basico
✓ gruppo amminico carico positivamente
✓ gruppo carbossilico carico negativamente (deprotonato), che interagisce in maniera efficace
l’idrogeno dell'acqua (protoni H+) che ha una parziale carica positiva
✓ si scioglie bene in acqua perché ben solvatato
3. Amminoacido in forma zwitterionica
✓ carica netta nulla
✓ separazione delle cariche → gruppo amminico positivo e gruppo carbossilico negativo che
interagiscono tra loro, dando una molecola complessivamente neutra
✓ non si scioglie bene in acqua perché non ben solvatato
La solubilità degli amminoacidi, e dunque delle proteine, in acqua è minima al punto isoelettrico, quindi nella
forma zwitterionica; saranno invece solubili nelle forme cationica e anionica.

Stereochimica
La stereochimica e la
chiralità sono essenziali
per capire come una
molecola si orienta nello
spazio, perché nella
tridimensionalità le
differenze strutturali e di
orientamento, che
incidono sulle proprie
caratteristiche e funzioni
(stabilità, interazioni con
altre molecole o enzimi),
diventano più chiare.
Ovviamente, un
amminoacido o una
proteina possono portare
al loro interno uno o più
centri chirali.
I peptidi sono molecole formate da due o più aminoacidi tenuti insieme mediante legame
peptidico/amminico, che si forma per condensazione (formazione di un legame covalente con espulsione di
una molecola di acqua) tra il gruppo amminico di un amminoacido ed il gruppo carbossilico di un altro. Questo
legame è importante perché all'interno di un aminoacido o di una proteina, dove si ripete tante volte in maniera
sequenziale, dona una particolare stabilità al peptide o alla proteina, avendo una struttura
tridimensionale/spaziale particolarmente stabile/favorita (tant'è che per romperlo occorre forte energia).
Tripeptide formato da Alanina, Serina e Glicina
La sequenza proteica può essere rappresentata:
✓ con un la nomenclatura ufficiale (L indica l'orientamento del
centro chirale, levogiro)
✓ in forma abbreviata → Ala, Se, Gly
✓ In forma ancora più abbreviata tramite una sequenza di lettere,
codice condiviso da tutta la comunità scientifica, → ASG =
alanina serina glicina

Tabella che mostra il contenuto proteico di


vari alimenti
Ad esempio, la farina di frumento contiene
l’11% di proteine, ma solitamente in 100g
di pane integrale il livello scende, poiché è
presente anche certo quantitativo d’acqua:
si ha dunque un effetto di formulazione o
di bilancio percentuale complessivi.
Maggiore è il contenuto d’acqua all’interno
di un dato alimento, minore sarà la
percentuale di proteine. Questa varia
anche in funzione dei trattamenti subiti e
della formulazione.

Composizione amminoacidica delle proteine


Nella maggior parte delle proteine, la percentuale di ogni singolo amminoacido può variare da 0 fino ad un
massimo del 30%, calcolato come percentuale del numero totale di residui (in casi estremi può raggiungere
anche il 50%).
La composizione spesso riflette il ruolo della proteina, funzionale o di riserva:
✓ le prolamine dei cereali sono molto ricche in glutamina (Gln), come fonte di azoto per lo sviluppo
vegetale della pianta (la pianta prende l’azoto e lo fissa a livello proteico nelle prolammine, veri e propri
serbatoi di riserva)
✓ le proteine antigelo di alcuni pesci sono costituite da sequenze proteiche che si ripetono → Thr- X2-Y-X7,
dove X è prevalentemente Ala e Y un residuo polare (Ala fino al 60%) → la Thr e il residuo polare Y
formano legami idrogeno con l’acqua, inibendo così la crescita di cristalli di ghiaccio
✓ la β-caseina contiene circa 14% di residui di prolina, è un amminoacido fortemente apolare che, grazie
alla sua capacitò di formare interazioni ioniche e legami idrogeno molto stabili, conferisce stabilità termica
→ la presenza di una porzione N-terminale polare (1-43, carica netta - 12) e di una parte C-terminale
apolare favorisce l’organizzazione delle micelle caseiniche → la presenza di Ser fosforilate consente di
legare il Ca2+
Proprietà nutrizionali delle proteine
Alle proprietà prettamente chimiche si associano quelle nutrizionali. Le proteine sono utilizzate come fonte
di amminoacidi, che sono i building block per la sintesi de novo di proteine:
✓ AA essenziali sono quelli che l'uomo non sintetizza in quantità sufficienti e di cui necessita l'introduzione
mediante l'alimentazione; una loro carenza rende difficili alcuni processi fisiologici → es. valina, isoleucina,
leucina, fenilalanina, triptofano, metionina, treonina, istidina e lisina (arginina, cisteina e tirosina sono
essenziale nell'età dello sviluppo)
✓ AA limitanti, quelli tra gli essenziali la cui quantità condiziona la possibilità di sintesi di nuove proteine →
presentano una differenza di almeno il 30% rispetto alla proteina di riferimento
✓ AA semi-essenziali sono quelli che l'uomo può sintetizzare se l'intake di aa essenziali loro precursori è in
eccesso rispetto al loro fabbisogno metabolico → es. arginina e tirosina
✓ AA non essenziali sono la restante parte, quelli che possono essere sintetizzati nelle cellule da prodotti
contenenti carbonio, ossigeno, azoto e idrogeno → es. glicina, prolina, alanina, serina, cisteina,
asparagina, glutammina, acido aspartico e acido glutammico
L’organismo per sintetizzare le proteine ha bisogno di tutti i 20 amminoacidi: se vi è carenza di uno solo, la
sintesi proteica è compromessa, poiché gli altri AA non vengono utilizzati, ma degradati.
Il valore biologico/nutrizionale di una proteina è la quantità in grammi di proteina sintetizzata nell'organismo
ogni 100 g di proteina ingerita con gli alimenti (quanti amminoacidi di quelli che l’organismo ingerisce a partire
da una certa proteina vengono riutilizzati nei processi biologici). Dipende da:
✓ contenuto assoluto di amminoacidi essenziali
✓ quantità relative percentuali degli amminoacidi essenziali
✓ rapporto tra amminoacidi essenziali e non essenziali
✓ digeribilità e biodisponibilità della proteina
Struttura delle proteine
Le proteine, essendo composte da
sequenze lineari amminoacidiche, sono
sistemi di grandi dimensioni. Gli
amminoacidi vanno a disporsi in 4
strutture differenti:
1. il semplice concatenamento di
amminoacidi, e quindi la sequenza
amminoacidica, viene definita
struttura primaria
2. le interazioni (es. legami idrogeno)
che si vengono a creare tra gli
amminoacidi all’interno della
sequenza proteica, definiscono la
struttura secondaria; la
disposizione degli amminoacidi in
questa struttura può verificarsi sotto
forma di spirale, con formazione di
α-eliche, o di una struttura a pieghe
compatta, con formazione di foglietti β
3. il super avvolgimento della proteina su sé stessa
(sovrastruttura che comprende una quantità di
amminoacidi superiore a quella secondaria) è definito
struttura terziaria, per la quale è essenziale
l’interazione con l’ambiente, in genere H2O (cioè polare);
con poche eccezioni, le strutture terziarie delle proteine
nascono dal tentativo di “nascondere” le catene laterali
idrofobiche (per proteggerle) all’interno della struttura,
lontano dall’ambiente acquoso, e contemporaneamente
di esporre il più possibile all’esterno le catene laterali
polari;
4. infine, più filamenti proteici tra loro possono interagire
inter-molecolarmente, formando una struttura quaternaria
Tutte le proteine hanno una struttura terziaria, ma non tutte possiedono quella quaternaria, perché non è detto
che tutte interagiscano a livello di più filamenti. Quando una catena proteica acquisisce una struttura terziaria
e/o quaternaria stabile si parla di folding o ripiegamento, e la proteina si dice allo stato nativo (ovvero nella
forma tridimensionale che le consente di svolgere la sua naturale funzione, nel sistema biologico in cui si
trova, alimento, vegetale o animale).
Denaturazione
Quando la proteina per
qualche ragione viene
modificata e si rompe, la
struttura terziaria o quella
quaternaria perdono il folding,
e avviene dunque la
denaturazione (le linee
tratteggiate nella figura di
sinistra rappresentano i legami
idrogeno che si rompono; le
linee spezzate unite da pallini nella figura di destra rappresentano ponti disolfuro, che non scindono se non a
causa di forze molto potenti).
Si tratta di un processo di destabilizzazione del sistema, che può essere indotto da agenti:
✓ fisici → qualunque fenomeno che fornisca energia, es. alta temperatura (cottura), alte pressioni, forze di
taglio e torsione (impastare, montare, centrifugare)
✓ chimici → cambiamenti di pH, tensioattivi, urea, sali (salting in, salting out), solventi, etc.
A questo punto, la proteina perde totalmente o in parte la sua funzione originale.
I legami che tengono insieme le proteine e che quindi
vengono scissi col fenomeno della denaturazione sono di 4
tipologie differenti, riportati nella figura a destra (in ordine
di minor stabilità/maggior debolezza; quelli meno stabili
saranno scissi più facilmente):
1. interazione idrofobica o di van der Waals, ovvero
l'interazione tra catene laterali alifatiche o apolari, che
ha un contenuto energetico di 8 kJ/mol; gli
amminoacidi che daranno questo tipo di legame
saranno gli alifatici e gli aromatici (quelli che
presentano catene laterali alifatiche o aromatiche)
2. legame idrogeno (la struttura risulta stabilizzata), che
si instaura tra residui amminoacidici che presentano
gruppi ossidrilici (OH) e quelli che presentano gruppi
carbossilici (COOH), ad esempio l’acido aspartico o la
serina; questo tipo di legame si può instaurare anche
con l’acqua o con altre molecole esterne e presenta un
contenuto energetico di 16,7 kJ/mol
3. legame ionico, che si instaura tra un gruppo carico
positivamente (es. amminico, NH+) e uno carico
negativamente (es. gruppo carbossilico, COOH─); in questo caso, il legame verrà disturbato da un
cambiamento di pH, che andrà ad alterare lo stato di carica/protonazione dei due residui
amminoacidici/delle catene laterali degli amminoacidi (elevata instabilità della proteina al pH), oppure
dall’aggiunta di sali compatibili, e, in casi rari, di solventi, ad esempio alcoli come l'etanolo; questo tipo di
legame presenta un contenuto energetico di 21 kJ/mol
4. ponte disolfuro covalente, che si forma tra due residui di cisteina, ovvero due gruppi solfuro come
residui; si tratta dell’unico legame covalente tra quelli che stabilizzano le strutture proteiche, il più stabile e
meno frequente di tutti
La denaturazione implica
l’esposizione delle
catene apolari: se con
la rimozione dell’agente
denaturante la proteina
ritrova la sua
conformazione nativa, la
denaturazione risulta
reversibile; se invece le
catene lipofile (apolari) di proteine diverse
interagiscono, spesso le proteine precipitano, e la
denaturazione diventa irreversibile. Quest’ultima
tipologia è tipica della maggior parte delle cotture, ad
esempio quella dell'uovo, che contiene proteine allo
stato nativo in particolare nell'albume: andando a
cuocerlo, l’alta temperatura genera una
denaturazione irreversibile che porta a un
cambiamento visibile dell'alimento, che arriva a
presentare la classica struttura a gel opaco.
La cottura e di conseguenza la denaturazione sono processi importanti anche perché conferiscono alle
proteine (e dunque agli alimenti) una maggiore digeribilità → le rendono più biodisponibili ai successivi
passaggi di utilizzo fisiologico di peptidi e amminoacidi. Una proteina denaturata è solitamente più digeribile
perché si rende disponibile al taglio degli enzimi nel tratto gastrointestinale, che la sequenziano in parti più
ridotte (peptidi e, in seguito, aminoacidi). Quindi, sicuramente la cottura tramite denaturazione proteica rende
le proteine più digeribili. Ciò non avverrebbe in casi di proteine super avvolte, che presentano strutture
complicate come quella terziaria o quaternaria.
Proprietà chimico-fisiche delle proteine
Le proprietà chimico-fisiche delle proteine sono dunque legate alla loro struttura primaria, terziaria e
quaternaria, e spiegano:
✓ le proprietà funzionali che esse svolgono
✓ la loro solubilità, sia in termini di pH che di forza ionica (aggiunta di Sali nel mezzo) → una proteina molto
polare o con residui facilmente protonabili o deprotonabili sarà più sensibile al pH di una proteina molto
idrofobica non caratterizzata da residui amminoacidici protonabili o deprotonabili (che perciò vengono
modificati per effetto del pH)
✓ le loro proprietà emulsionanti
✓ le loro proprietà schiumogene
Le ultime due proprietà sono influenzate dalla distribuzione degli amminoacidi sulla catena proteica e quindi
dalla presenza di zone polari o apolari.
Tabella generale che espone le proprietà funzionali/tecnologiche delle proteine negli alimenti
La solubilità di
una proteina, ad
esempio, è una
proprietà
tecnologica
essenziale, che
si basa sul suo
bilancio idrofilico
/ idrofobico:
maggiore sarà la
sua solubilità
(quindi più la
proteina è
idrofilica /
idrofobica /
polare / stabile)
in soluzione
acquosa, più
potrà essere
sfruttata in
maniera idonea per la preparazione di bevande. Esempio: l’elevata solubilità delle proteine del siero le porta:
✓ nel processo di caseificazione, a rimanere nella frazione acquosa post precipitazione caseinica
✓ ad essere utilizzate anche per la preparazione di pasti e bevande sostitutivi, o di bevande alternative al
latte (come altre proteine vegetali ad elevata solubilità; una bassa solubilità comporterebbe problemi
tecnologici di formulazione, ricettazione e stabilizzazione di questi prodotti)
Altra proprietà essenziale delle proteine è la viscosità, ovvero la capacità di
✓ legare acqua e dunque conferire consistenza al sistema
✓ coesione
✓ emulsionante
✓ schiumogena
e di mantenere
✓ stabilità
✓ umidità
✓ sofficità
✓ elasticità
✓ aromi → più tipica dell’idrofobicità che non dell’idrofilia → una proteina molto solubile ha ottima idrofilia ma
scarsa capacità di trattenere aromi
Tutte queste caratteristiche possono essere sfruttate nella preparazione di condimenti, dessert (es. gelatine di
tipo vegetale o animale), gel, pani, formaggi, salsicce, etc.
Effetto del pH
Il pH determina variazione della carica totale della proteina. Al punto isoelettrico, le proteine, come gli
amminoacidi, hanno:
✓ carica netta nulla, e sono perciò minimamente solvatate
✓ carica totale (somma delle cariche negative + cariche positive) in genere elevata
Queste due condizioni fanno sì che le proteine abbiano un'interazione minima con la soluzione acquosa, ma
un'interazione molto elevata con le proteine adiacenti: avranno quindi minima solubilità e massima tendenza a
precipitare. Esempio:
a) le caseine hanno punto isoelettrico intorno a pH 4
b) generalmente nel latte sono stabili perché il pH è circa 4.4, quindi superiore al punto isoelettrico
c) la caseificazione acida, però, avviene a pH acidi,
d) il pH scende, fino a raggiungere il punto isoelettrico, il che causa la precipitazione delle caseine
e) l’effetto netto è la formazione di masse/coaguli
densi e viscosi, come nel caso della
preparazione dello yoghurt, fino alla formazione
di fiocchi di latte
Solubilità di una proteina (tipo globulina) vicino al
suo punto isoelettrico (IEP)
In una situazione lontana dal punto isoelettrico, i
diversi filamenti proteici fra loro sono carichi
negativamente o positivamente; le catene proteiche
uguali tenderanno a respingersi l'una con l'altra
(fenomeno di repulsione) e, di conseguenza,
risulteranno bene solvatate dall'acqua, ma lontane
tra loro.
Al raggiungimento del punto isoelettrico, le proteine
presenteranno carica netta nulla, e tenderanno ad
aggregarsi (stabilizzandosi filamento con
filamento), aumentando la propria massa, fino a
precipitare.
Effetto della forza ionica: denaturazione con i sali
La forza ionica è un parametro dato dalla concentrazione di tutti gli ioni in
soluzione. La concentrazione salina ha due effetti ben distinti sulla stabilità
e sulla solubilità delle proteine:
1. salting in → a bassa concentrazione salina, l’aumento della
concentrazione di un sale aumenta la forza ionica (= 1/2 S, C, Z); fino ad un
certo punto questo migliora la solubilità perché le proteine sono meglio
schermate l’una dall’altra → aumento della costante dielettrica
2. salting out → ad alta concentrazione salina, gli ioni in eccesso
“sottraggono” acqua di solvatazione alle proteine, che quindi interagiscono
tra di loro e precipitano dalla soluzione.
Esempio tipico dell’effetto del salting out è la produzione del tofu, aggregato proteico derivante dal latte di
soia. Si ottiene anche a livello casalingo: latte di soia, sospensione di proteine della soia idrosolubili (sistema
acquoso a cui è stato aggiunto una frazione proteica derivante dalla soia, che ha una buona solubilità in
acqua) + minima quantità
di Sali (solfato di
magnesio, carbonato di
calcio) che conferisce
stabilità al sistema.
Andando ad aumentare in
maniera marcata la
concentrazione dei Sali, si
ottiene un’aggregazione di
proteine (non più separate
dall’acqua). Infine, filtrando
il sistema si raccoglie tutta
la frazione proteica, che,
una volta spurgata tutta
l’acqua, andrà a costituire
la forma/il panetto proteico
di tofu.
Tabella che riporta la capacità di idratazione
di diverse proteine
La capacità di idratazione (ovvero di legare
acqua e rimanervi solubili/solvatate/stabili) e
quindi l’effetto del pH e del sale, sono legati
alla natura stessa delle proteine, alla propria
struttura/sequenza amminoacidica.
Formazione di gel
Alcune proteine sanno legare acqua in modo
tale da formare gel opachi o traslucidi
(caratteristica tipica dei gel proteici). Questi
ultimi hanno una capacità idratante molto
elevata: in alcuni casi possono arrivare ad
assorbire acqua al 98%.
La formazione di gel avviene in questo modo:
✓ più catene proteiche di una proteina allo
stato nativo vengono trattate col calore
(riscaldate), che fa denaturare la proteina
✓ i filamenti proteici si aprono e si svolgono
esponendo anche le parti idrofobiche verso il solvente
 i residui idrofobici
tenderanno ad
interagire tra loro
dando aggregazione;
quando il fenomeno di
aggregazione supera
quantitativamente
quello di idratazione,
formeranno (per
aggregazione dei
segmenti proteici) gel a coagulo opaco, sistemi irreversibili
(perché, se riscaldati, non tornano alla forma iniziale) → esempio
più classico è quello dell’uovo
 i residui idrofili, invece, che hanno un’elevata capacità di
idratazione, tenderanno ad aggregare intrappolando acqua al loro
interno mediante ponti idrogeno, e, in seguito a raffreddamento,
andranno a formare (per assorbimento di acqua) gel traslucidi,
sistemi reversibili (perché, se riscaldati, tornano alla forma
iniziale) → esempio più classico è quello collageno (gelatina di
carne, quella che si forma dal grasso di cottura)
La regola empirica stabilisce che i gel a coagulo tendono a formarsi quando
la proteina contiene una somma di amminoacidi idrofobici (valina, prolina,
leucina, isoleucina, troponina, fenilalanina e triptofano) superiore al 31,5 mol
%.
Proprietà emulsionanti delle proteine
La proprietà emulsionante della proteina è la sua capacità di stabilizzare emulsioni, dispersioni di piccole
gocce di liquido in una fase continua di un altro liquido immiscibile (emulsioni olio/acqua o acqua/olio).
Essa è direttamente proporzionale alla distribuzione, nella sua struttura, di aminoacidi idrofili e idrofobici
(bilancio idrofilico/idrofobico della proteina).
È regolata dall’Indice di Attività Emulsionante (𝑬𝑨𝑰 = 𝑨/𝒎), ovvero l’area interfacciale per unità di
massa di proteina.
L’area interfacciale totale corrisponde ad 𝑨 = 𝟑𝑭/𝑹, dove:
✓ 𝒎 è la massa della proteina (g)
✓ 𝑭 = frazione in volume della fase lipidica dispersa
✓ 𝑹 = raggio medio delle particelle emulsionate
Tabella che espone le proprietà emulsionanti di Tabella che illustra le proprietà di formare e
diverse proteine stabilizzare schiume
Serve a scegliere il tipo di proteine utilizzare come Anche questa proprietà dipende dal bilancio
emulsionante e a quale pH ha il proprio massimo idrofilico/idrofobico della proteina. il potere
potere emulsionante schiumogeno determina la capacità schiumogena
(stabilità della schiuma).
Curiosità
✓ La cottura a bassa temperatura induce una denaturazione proteica meno spinta di quella ad alta
temperatura, che, in alcuni casi, comporta il vantaggio di mantenere al meglio le caratteristiche della
proteina stessa e anche quelle di texture dell'alimento. Difatti, la cottura ad elevate temperature, oltre
alla denaturazione, può indurre anche reazioni a carico delle proteine che ne conseguono la lieve
diminuzione di bioaccessibilità/digeribilità, venendosi a creare dei ponti inter-catena poco riconoscibili dagli
enzimi digestivi.
La cottura sottovuoto può indurre la denaturazione proteica esattamente allo stesso modo, e, inoltre, è
vantaggiosa dal punto di vista della frazione lipidica, in quanto non va a causare in maniera aggressiva
l'ossidazione dei lipidi: ciò può avere un effetto positivo sullo sviluppo della frazione volatile/aromatica
dell’alimento. Le tempistiche di queste cotture non vanno ad inficiare sulla denaturazione del sistema.
Per la cottura sottovuoto, il taglio di carne che rende meglio dal punto di vista qualitativo-sensoriale
(chimicamente parlando) è la lingua
✓ Ci sono alimenti che, denaturando, non diventano meno digeribili: l’uovo, le cui proteine hanno un elevato
valore biologico, costituendo il nutrimento nella fase di sviluppo dell’embrione e, in seguito, del pulcino,
possiedono anche un’elevata percentuale di amminoacidi apolari, soprattutto residui di cisteina e
metionina (che conferiscono il classico odore di solfuro, hanno il gruppo -SH in fondo; possibile domanda
d’esame: tra quali amminoacidi si formano i ponti disolfuro?); con la cottura, questi tendono ad aggregare
tra loro con dei cross link inter-filamento di tipo ponte solfuro, il che porta l’alimento cotto ad avere una
struttura più difficilmente attaccabile dagli enzimi digestivi, e dunque meno digeribile rispetto a quella
nativa. Si tratta sempre e comunque di un equilibrio, della modulazione di un effetto: è più o è meno
disponibile. La cremosità del tuorlo d’uovo cotto dipende dalla sua capacità emulsionante, che lo rende
plastico.
Nella carne avviene esattamente la stessa cosa, con la differenza che la frazione grassa, andando a
legare acqua, può migliorare la texture dell’alimento (gelatina → tenerezza, scioglievolezza in bocca,
masticabilità). La carne di un animale anziano o che ha avuto una vita non idonea risulterà più dura,
perché in collageno, nel tempo, tende a formare cross-link proteici; ne consegue un la formazione di un gel
rigido e quindi di una texture meno gradevole.
✓ La stessa cosa avviene nel caso del pane, per via della gelificazione dell’amido: l’amido gelificato
(farina) è più digeribile di quello non gelificato. Il granulo d’amido allo stato nativo ha una struttura molto
complessa e organizzata, e dunque risulta difficilmente attaccabile dagli enzimi digestivi, ai quali occorre
un lasso di tempo prolungato per frammentarlo. Nel caso del granulo d’amido gelificato (pasta, pane),
invece, la gelificazione lo ha destrutturato e dunque reso più disponibile al taglio enzimatico. Nel pane
tostato, che ha subito un ulteriore processo di cottura, il sistema del granulo d’amido è ancora più
disaggregato. Vi è anche differenza tra crosta e mollica, la prima cotta maggiormente, la seconda meno.
✓ La pasta lunga ha un indice glicemico (sistema di classificazione che misura la velocità di digestione e
assorbimento dei cibi contenenti carboidrati e il loro effetto sulla glicemia, cioè sui livelli di glucosio nel
sangue) minore rispetto a quella corta: presentano diversa masticabilità in bocca (sono frantumabili in
bocconi di grandezza diversa a seconda del formato di pasta), il che li porta ad essere diversamente
attaccabili dagli enzimi digestivi (la digeribilità dipende dalla facilità o difficoltà degli enzimi di attaccare
amilosio e amilopectina a formare glucosio), e anche il fattore cottura cambia; secondariamente, risulta
importante anche il tipo di trafilatura ( processo mediante il quale l’impasto di semola e acqua viene fatto
passare per estrusione o compressione attraverso una sagoma chiamata “matrice” o “filiera”, con fori di
forma e dimensioni diverse che riproducono il formato di pasta desiderato), ovvero la rugosità della pasta.
✓ Quando una proteina è nella sua forma nativa, tra le funzioni che svolge vi è anche quella di
inglobare/complessare delle piccole molecole, le vitamine. Per effetto della denaturazione, perdono questa
capacità, quindi: nell’albume crudo, dove il valore biologico della proteina viene mantenuto, viene persa
l’accessibilità della frazione vitaminica; viceversa, nell’albume cotto si avrà una minore digeribilità della
frazione proteica e una più facile disponibilità delle piccole molecole.
✓ Un’antivitamina è una sostanza ad azione competitiva nei confronti delle singole vitamine. Le antivitamine
agiscono inibendo l’assorbimento intestinale delle vitamine, o la loro utilizzazione da parte dei tessuti o la
loro formazione in seno all’organismo.
✓ Per fare una maionese di qualsiasi genere si sfrutta l’elevatissima capacità emulsionante delle proteine
del tuorlo d'uovo (mentre l'albume ha proprietà schiumogene); nel caso della maionese vegana occorre
sostituire le proteine dell'uovo con altre di capacità emulsionante comprabile: la soia è la fonte vegetale
con le migliori proprietà tecnologiche, anche perché ricca di lecitine (ottimi emulsionanti); per questo di
norma si utilizza il latte di soia per la produzione di questo tipo di maionese
✓ Le frazioni d'acqua influenzano i passaggi di stato delle molecole, e, di conseguenza, degli alimenti: ad
esempio, il burro congelato, a temperatura ambiente scongela più velocemente dell’olio congelato,
essendo un'emulsione di tipo A/O (acqua in olio, composto per l'82% circa da grasso, per il 15% da
acqua e per la restante parte da caseina e lattosio). Se purificato dall’acqua, come nel caso del burro
chiarificato, tende ad essere più lento nel processo di scongelamento.
✓ Durante una preparazione di uno sciroppo zuccherino (saccarosio in acqua), le caratteristiche dei cristalli
che si ottengono sono legate alle tempistiche della ricristallizzazione (veloce, lenta, temperatura,
concentrazione zuccherina della soluzione), alla soluzione e alle condizioni intorno ad essa: ad esempio, la
dimensione dei cristalli di zucchero, e dunque delle molecole di glucosio, non cambierà se il saccarosio
risulterà ben solubilizzato/solvatato/idratato in acqua (se si porta a completa
solubilizzazione/solvatazione/idratazione nella sfera di solvatazione con l'acqua).

LEZIONE 5 – LATTE
Definizioni
Il latte è il liquido secreto dalla ghiandola mammaria delle femmine dei mammiferi che rappresenta l’unico e
più idoneo alimento per il lattante della stessa specie (definizione fisiologica).
Quest’ultima definizione è essenziale, poiché la composizione (in termini di macro-costituenti) e le
caratteristiche del latte variano da specie a specie in quanto riflettono i bisogni del neonato.
Si tratta del prodotto della mungitura regolare, completa ed ininterrotta di animali in buono stato di salute e di
alimentazione e in corretta lattazione (definizione legislativa/normativa/merceologica).
Difatti, va fatta una netta distinzione tra latte materno e latte alimentare, ovvero quello commercializzato,
che può essere di differenti tipologie, quali vaccino, caprino, ovino, di bufala, d'asino, di cammello, di yak (bue
tibetano), a seconda delle tradizioni culinarie/lattiero-casearie dei diversi paesi.
Il colostro è un liquido giallo vischioso escreto nei primi giorni dopo il parto, particolarmente denso, povero di
acqua e lattosio e caratterizzato da una elevata quantità di immunoglobuline; serve al lattante per far sì che il
tratto gastrointestinale inizi a svolgere le sue normali funzioni.
Caratteristiche chimico-fisiche
I parametri che vengono considerati in un latte alimentare perché sia considerato idoneo alla
commercializzazione sono:
➢ Densità specifica (calcolata a 15°C) → tra 1.029 e 1.039 g/ml
➢ Punto crioscopico, ovvero il punto di congelamento → tra -0.53 e -0.55°C
➢ pH → tra 6.5 e 6.75
➢ Acidità (Soxhlet-Henkel) → tra 6.7 e 7.5
➢ nD20, ovvero indice di rifrazione → tra 1.3410 e 1.3480
➢ Conduttività specifica (calcolata a 25°C) → 4/5.5 x 10-3 ohm-1 cm-1
Principali componenti strutturali
del latte
Il latte è un sistema molto
complesso, poiché si comporta
diversamente a seconda della
componente considerata, ovvero:
➢ da emulsione, prendendo in
considerazione i globuli di
grasso (vengono mantenuti in
emulsione rispetto alla massa
d’acqua), che rappresentano
la frazione lipidica del latte
➢ da sospensione,
considerando le micelle di
caseina
➢ da soluzione colloidale,
considerando le proteine del siero
➢ da sospensione colloidale, considerando le
lipoproteine
La quantità in percentuale delle componenti va a
calare, così come le dimensioni delle loro strutture
globulari, che spiegano com’è fatto e cosa lo stabilizza.
Possibile rappresentazione di un bicchiere di latte
esaminato al microscopio
La sua struttura macroscopica, ovvero quella che
appare ad occhio nudo, è quella di un liquido bianco
opaco, come rappresentato nel primo strato in alto.
Ingrandendo man mano, si raggiunge la struttura
microscopica, e risultano prima i globuli di grasso
emulsionati (emulsione A/O, olio in acqua), poi le
micelle di caseine sospese, e infine le proteine del siero
e le lipoproteine solubilizzate; il tutto in soluzione
acquosa.
Composizione media del latte umano e di altri mammiferi (%)
L’ingrediente di
maggior rilevanza è (sali minerali)
sicuramente l’acqua,
presente dal 32%
(foca grigia) fino
all’89% (cavallo, orso
bruno). Il latte vaccino
raggiunge
mediamente l’87.5%.
Il latte caprino e
quello ovino sono più
proteici e meno
zuccherini rispetto a
quello umano e quello
vaccino. I latti d’asino
e cavallo sono diffusi
nei paesi
mediterranei,
caratterizzati da
un’intensa attività
pastorizia.
Questi latti rispondono all'esigenza del cucciolo e dell'animale adulto nell'ambiente in cui vive: climi
particolarmente tropicali comporteranno un’alta percentuale di acqua nel latte (es. bufalo nel sud Italia; nel
caso di animali da trasporto/da soma, anche per far fronte agli spostamenti su lunghi tragitti, es. cammello);
climi rigidi, nei quali all’animale occorrerà una fonte energetica e di isolamento termico, al contrario,
comporteranno un maggior fabbisogno di grassi (es. renna).
Supportano anche fermentazioni diverse, essendo diverse le materie prime di cui i microrganismi si nutrono.
Si tratta di caratteristiche essenziali dal punto di vista sensoriale, di texture, gustativo e tecnologico del
prodotto finale.
Inoltre, conoscendo la composizione del latte è possibile andare a formulare prodotti che lo sostituiscano (con
le medesime proporzioni nella composizione, in modo da non mandare in tilt il sistema gastrointestinale del
lattante → es. latte vaccino ad un neonato → proteine che non riesce a digerire) in caso di una sua
carenza/assenza (latti artificiali).
In generale, la composizione del latte è influenzata da:
➢ fattori genetici → es. selezione, fenomeni di disgenesia (alterazione dei processi riproduttivi, oppure
alterata facoltà di procreare)
➢ stato fisiologico e sanitario / benessere dell’animale → es. settimane di lattazione, patologie (come mastiti,
infiammazioni delle mammelle), stato di nutrizione, etc.
➢ fattori ambientali
➢ alimentazione dell’animale → ciò di cui si nutre l’animale va a caratterizzare il latte
➢ fattori tecnologici → es.
tipologia di mungitura (l’asina
ha necessità del proprio
cucciolo per garantire
un’efficace mungitura, e
presenta un carattere
particolare, che richiede un
contatto con l’allevatore e
dunque rende quasi
impossibile la mungitura
meccanica) intervallo tra le
due mungiture, etc.
Composizione amminoacidica (g
AA/g proteina) del latte vaccino
La distribuzione degli amminoacidi
spiega anche il valore biologico di
una proteina: nel caso del latte è
un valore alto perché quasi tutti gli
aminoacidi essenziali sono ben
rappresentati e si trovano nelle
proporzioni corrette.
Proteine del latte vaccino
Rappresentano il 96% dell’azoto totale: ciò significa che oltre a sieroproteine e caseine, vi sarà un 4% di
molecole azotate.
Le caseine rappresentano l’80%
delle proteine del latte, e si
suddividono in 5 famiglie:
➢ αs1-caseina
➢ αs2-caseina
➢ β-caseina
➢ k-caseina
➢ γ-caseina
Le proteine del siero
rappresentano il 20%, e si
suddividono in 5 famiglie:
➢ β-lattoglobulina
➢ α-lattalbumina
➢ proteoso-peptone
➢ albumina del siero
➢ immunoglobuline
Sostanze azotate del latte, loro provenienza e distribuzione percentuale indicativa dell’azoto
Le caseine sono proteine prodotte
e sintetizzate dalla mammella
perché necessarie al nutrimento e
alla crescita dell’animale: hanno
dunque una funzione di riserva
proteica/di materiale energetico.
Le sieroproteine, invece,
ricoprono numerose funzioni
biologiche (fornire al cucciolo
molecole per il corretto
funzionamento del proprio
organismo):
➢ trasporto di molecole lipofile,
ferro e altre sostanze →
albumina, transferrina
➢ coagulazione del sangue →
fibrinogeno, protrombina e altri
fattori della coagulazione
minori
➢ funzioni enzimatiche → α1-antitripsina, antitrombina
➢ funzioni immunologiche (anticorpi) → immunoglobuline
➢ funzioni endocrine → ormoni proteici
Caratteristiche delle caseine
Hanno una struttura non ben delineata per funzione essenzialmente
nutritiva (maggiore digeribilità).
Non coagulano/denaturano al calore (molto stabili), ma sono ricche in
amminoacidi carichi o polarizzabili, hanno un punto isoelettrico a 4.6,
perciò precipitano per acidificazione (ovvero per abbassamento del pH, a
7 / 7.5 / 8) o per azione enzimatica (ovvero per caseificazione presamica
→ rennina, pepsina).
Caratteristiche delle caseine: k-caseina glicosilata
La k-caseina è la più importante
in ambito alimentare (per
l’esame: ricordare le
caratteristiche della sua struttura
e il perché della sua importanza,
cioè il ruolo che svolge nella
stabilizzazione delle micelle
caseiniche e nella
caseificazione). Si tratta di una
proteina che possiede una
porzione zuccherina: una parte
della catena proteica è coniugata
(attaccata) con un gruppo tetrasaccaridico, ovvero che contenente 4 zuccheri. In media, si tratta di
galattosio (1%), galattosammina (1.2%) e acido N-acetilneuramico (2.4%). Ciò è importante perché gli
zuccheri formano legami idrogeno stabili con l'acqua, quindi questa porzione tetrasaccaridica della k-caseina
la rende facilmente solubile/solvatata in acqua (la stabilizza in un ambiente
acquoso).
Rappresentazione della struttura di una micella caseinica, che permette di
visualizzare meglio la porzione tetrasaccaridica
➢ Palline grandi vuote → α e β-caseine
➢ Palline col doppio cerchio e codine rosa → k-caseine
➢ Palline piccole blu → clusters, ovvero raggruppamenti, di fosfato di
calcio (CaP) distribuiti uniformemente *
Si tratta di una struttura micellare globulare, dove esternamente è presente acqua:
➢ le k-caseine si dispongono sulla superficie, verso l'esterno, esponendo le code polari, ovvero la propria
parte idrofila (caseinomacropeptide), verso la soluzione acquosa (il solvente); più nello specifico, la k-
caseina espone verso il solvente la propria porzione tetrasaccaridica, in maniera tale che tramite essa e il
legame idrogeno che forma con l'acqua, la micella stessa risulti stabilizzata
➢ tutte le altre caseine, che non possiedono porzioni idrofile, e dunque non risulterebbero stabilizzate col
solvente per legame idrogeno, vanno a disporsi all'interno
Ovviamente, la capacità delle porzioni tetrasaccaridiche di mantenere stabile la micella globulare in soluzione
acquosa dipende dalle dimensioni della micella stessa: se diventa troppo grande, la porzione idrofilica non
sarà più sufficiente per garantire la stabilità del sistema, e quindi questo precipiterà oppure si
agglomererà/coagulerà.
Ponti di fosfato di calcio tra catene
polipeptidiche nelle micelle caseiniche

* Le caseine che stanno all'interno della


micella possiedono dei residui
(amminoacidici) di serina fosforilati: in
pratica, la serina ha come coda laterale il
gruppo alcolico CH2OH, che può essere
funzionalizzato con un gruppo fosfato.
Unendo questi residui a gruppi acidi
(amminoacidi con gruppi carbonilici COO─,
es. glutammico, aspartico, etc.), il calcio
(come sale minerale, Ca2+) presente nel
latte va a creare dei clusters, ovvero
agglomerati, che fanno da ponte tra due o più gruppi fosfato o tra due o più gruppi carbossilato. Questi ponti
ionici mantengono stabilizzato l’interno della micella caseinica.
Dunque, riassumendo, la micella caseinica è una struttura globulare complessa:
➢ al cui interno sono presenti caseine α, β e γ, mantenute tra loro stabili tramite la formazione di ponti fosfato
(clusters di fosfato di calcio) tra residui di serina fosforilata, calcio, e residui carbossilici degli amminoacidi
➢ al cui esterno è presente uno strato superficiale di k-caseina, che espone le porzioni tetrasaccaridiche
verso l’acqua/il solvente, mantenendo stabile il sistema
Oltre a risultare stabile, il sistema sarà anche facilmente perturbabile: se anche solo uno degli elementi
dovesse andare fuori posto, precipiterebbe/coagulerebbe (ciò che avviene durante la caseificazione).
Rappresentazioni della struttura di una submicella caseinica
All’interno delle
micelle caseiniche vi
sono strutture
chiamate submicelle
(dalle 10 alle 100), in
cui le caseine α, β e γ
interagiscono tra loro
disponendo:
➢ verso l’interno
tutti gli
amminoacidi
idrofobici o non
carichi
➢ verso l’esterno
tutti gli amminoacidi idrofili o carichi, che andranno a formare i clusters o ponti fosfato di calcio
Cross-link tra le submicelle (figura a sinistra) e loro
posizionamento all’interno della micella (figura a
destra)
➢ P = fosfato; Ca = calcio; Cit = citrato
➢ Parti annerite = regioni non leganti della k-caseina
➢ La k-caseina limita (agisce da fattore limitante) la
crescita della micella in quanto non partecipa ai
cross-link; questo perché:
 non è altamente fosforilata (non ha le serine fosforilate)
 è glicosilata con oligosaccaridi (formata da code
tetrasaccaridiche)
È chiaro che la dimensione e dunque la capacità della micella di
rimanere stabile dipende dalla quantità di k-caseine: se sono poche,
l'unico modo per mantenere stabile il sistema è avere micelle piccole; se
invece sono tante, la micella cresce troppo, non è più stabile e coagula.
Immagine di una micella di caseina al microscopio elettronico
Si nota come non possieda una superficie liscia e regolare, ma con delle
protuberanze/sporgenze, non le catene tetrasaccaridiche.
Caratteristiche delle sieroproteine
Le proteine del siero sono molto diverse dalle caseine, poiché possiedono una struttura terziaria e quaternaria
molto più organizzata, ma tra loro non si aggregano in strutture macromolecolari. Le principali sono:
➢ β-lattoglobulina (9%) e α-lattalbumina (4%), che rappresentano la subunità B dell’enzima lattosio-sintasi
➢ sieroalbumina (1%)
➢ lattoferrina, importante per il trasporto e l’assorbimento del ferro
➢ immunoglobuline
➢ proteoso-peptoni, che rappresentano il complemento della γ-caseina
Sono prive di serine fosforilate, quindi non sono in grado di legare il calcio, però apportano una funzione
fisiologica grazie alla loro struttura tridimensionale ben definita, globulare, tenuta insieme da molti ponti S-S
(disolfuro, ricche di cisteine) termolabili (soggette a decomposizione o alterazione per effetto del calore).
La β-lattoglobulina con residuo di cisteina 121 è in grado di reagire con la k-caseina e l’α-lattalbumina quando
il latte è sottoposto a riscaldamento (denaturazione, dimerizzazione, perdita di solubilità).
Differenze tra caseine e sieroproteine
Le caseine sono:
➢ stabili a temperatura, ma instabili al pH
➢ disorganizzate a livello di singola proteina, ma strutturalmente organizzate in micelle nel latte
➢ più ricche di amminoacidi apolari → non risultano stabili/ben solvatate in acqua → tenderanno a
rimanere nella frazione formaggio (coagulo proteico) durante la caseificazione
Le sieroproteine sono:
➢ instabili a temperatura, ma stabili al pH
➢ altamente organizzate come singole proteine, ma disorganizzate a livello sovra-molecolare nel latte
➢ più ricche di aminoacidi polari → risultano stabili/ben solvatate in acqua → rimarranno nel siero durante
la caseificazione
Le sieroproteine a loro volta si suddividono in 5 famiglie:

o β-lattoglobuline
o α-lattoglobuline
o proteoso-peptone
o siero-albumine
o immunoglobuline

Le sieroproteine vengono direttamente dall’animale e molto spesso servono per far sì che il
neonato acquisti gli anticorpi o comunque molecole che gli permettano un corretto sviluppo.

Le sieroproteine si possono trovare in struttura terziaria ed eventualmente quaternaria molto


più organizzata e tra di loro non si aggregano. Non sono fosforilate e ciò vuol dire che non
sono in grado di legare in Ca ma sono caratterizzate da questa struttura ben organizzata
dovuta alla presenza di ponti di S che avvengono tra le cisteine. Queste sono quindi instabili
alla T mentre sono stabili al pH, il contrario delle caseine.

Questa loro diversità spiega perché le sieroproteine tendono a rimanere a contatto con
l’acqua al contrario delle caseine durante la coagulazione.

Zuccheri nel latte:

L’altra componente importante all’interno del latte è il lattosio che serve a dare energia ma
non è l’unico zucchero perché in tracce possiamo trovare oligosaccaridi del latte, importanti
per supportare la funzione della microflora gastrointestinale del lattante.

Il lattosio ha un legame β1-4 tra glucosio e galattosio e per rompere questo legame è
necessario un enzima detto β-galattosidasi. Se questo manca insorgono le intolleranze al
lattosio, si è notato che sorgono maggiormente nella fase adulta in quanto ci si allontana
dall’assunzione di latte.

Il lattosio è uno zucchero riducente ma poco dolce; comparato al saccarosio ha una dolcezza
del 50% in meno ecco perché se bevo un latte delattosato invece risulta essere più dolce.

Il latte delattosato è definito latte ad alta digeribilità in cui vi è una riduzione del lattosio
almeno del 70%. Dal punto di vista tecnologico il lattosio può essere idrolizzato a lattulosio
per l’applicazione in integratori.

Grassi nel latte:

I grassi nel latte sono principalmente trigliceridi 95-96%, una piccola porzione di di-gliceridi
e mono-gliceridi, una minima quantità di AG liberi in quanto generano acidità ed
irrancidimento, la presenza di sfingolipidi che hanno una funzione emulsionante e infine una
piccola quantità di steroli.

Sono grassi di origine animale che tendono a rispecchiare la composizione della dieta. Si ha
una buona presenza di AG saturi a catena corta ma anche ramificati quando parliamo di latte
bovino e sono presenti anche AG insaturi.
CLA è una molecola in cui troviamo due doppi legami coniugati di cui uno trans, sono prodotti
dai microrganismi del rumine con effetti antimutageni e antiossidanti.

I globuli di grasso si strutturano in un sistema molto organizzato per rimanere stabili, devono
esporre verso l’acqua la frazione carica che può formare legami H, in questo modo si formano
delle gocciole rivestite di una pellicola lipoproteica costituita da fosfolipidi o glicolipidi.

Nel tempo questi globuli tendono a coagulare tra di loro aggregandosi ed aumentando la loro
dimensione andando incontro ad instabilità; se la mia gocciolina di grasso non è più stabile
questa tende ad affiorare.

Vitamine nel latte:

All’interno del latte abbiamo anche delle vitamine, del gruppo A e caroteni che sono
liposolubili, del gruppo B le quali sono idrosolubili. I carotenoidi danno una colorazione al latte
più panna.

Sali minerali del latte:

Alcuni sali minerali importanti sono distinti in macroelementi come fosfati, citrati, K e Ca e
microelementi tra cui Zn, Mg, Fe e Cu.

Il latte crudo non è immediatamente diretto al consumo, può essere sottoposto ad un


trattamento tecnologico per ottenere latte alimentare o derivati del latte.

Il latte crudo per essere adatto all’alimentazione deve rispondere a determinati parametri in
qualità di sicurezza alimentare, da un punto di vista chimico il latte prevede una
stabilizzazione termica che porterà a delle modifiche anche se minime del latte.

Il latte alimentare può essere:

• Pastorizzato,
• Concentrato, da cui otteniamo latte condensato e latte concentrato sterilizzato
• Sterilizzato, come latte UHT conservato anche fuori dal frigorifero
• Essiccato, utilizzato nelle formulazioni in polvere

I derivati del latte sono principalmente tutti i prodotti lattiero caseari che vanno dai
formaggi, ricotta, gelati ecc. comprendenti anche panna e crema, derivanti dall’affioramento
dei grassi dai quali possiamo ricavare panna e mascarpone per acidificazione mentre per
zangolatura otterremo il burro.

Per latte alimentare si intende quello prodotto dalle varie specie di animali lattiferi, utilizzato
per l’alimentazione umana come tale o privato di una parte più o meno rilevante di acqua per
ridurre le spese di trasporto e/o conservazione.

• Latte naturale, latte crudo o trattato per garantire salubrità e conservabilità per un
periodo più o meno lungo.
• Latte modificato o speciale, scremato, concentrato, in polvere, delattosato,
vitaminizzato, fermentato
• Latte crudo, il prodotto ottenuto mediante secrezione della ghiandola mammaria di
vacche, pecore, capre o bufale non sottoposto ad una T superiore ai 40° ne ad un
trattamento con effetto equivalente.

Quando vado a fare un trattamento di stabilizzazione del latte induco dei piccoli cambiamenti
del sistema, il trattamento termico inattiva la flora batterica esistente e a sua volta la
frazione più facilmente modificabile al calore sono le sieroproteine, in più avrò anche altre
modifiche di tipo organolettico.

Il latte quando arriva allo stabilimento deve rispettare dei parametri definiti per legge, degli
indici di qualità del latte come:

• La presenza di un pH tra 6.5/6.7; se troppo acido vuol dire la microflora del latte è
attiva e sta lavorando trasformando il lattosio in acido lattico e questo significa che
probabilmente il latte non è così fresco o magari la vacca non era in salute.
• Acidità titolabile non deriva dal pH ma è correlato alla quantità di acido lattico.
• La densità e il punto di congelamento sono invece legati a possibili frodi per
annacquamento, in cui vi è una diminuzione di densità ed un cambiamento del punto di
congelamento che sarà più vicino a 0.

Una volta verificato che il latte sia conforme al regolamento si può passare alla
trasformazione o alla vendita.

Il latte in commercio può essere:

o Latte intero: sostanza grassa 3-5%


o Latte parzialmente scremato tra 1,5-1,8%
o Latte scremato, minore dello 0.3%

Esistono dei marker per verificare il tipo di trattamento termico impiegato, per verificare
che abbia funzionato veramente attraverso dei test colorimetrici.

I due marker sono: la fosfatasi alcalina e la perossidasi, sono due enzimi che rispondono in
maniera diversa al trattamento termico ed entrambi risultano disattivati tramite
pastorizzazione. Se
effettuo un trattamento di
latte fresco pastorizzato o
di pastorizzato di alta
qualità invece solo la
fosfatasi alcalina risulterà
disattivata. Sono importanti
sia in uscita dal trattamento
ma anche in entrata in uno
stabilimento per verificare
l’assenza di frodi.
Maggiore è l’intensità del trattamento termico più si perderanno sieroproteine perché
abbiamo detto essere instabili alla T e quindi tenderanno a denaturarsi e precipitare e lo
stesso vale per le proteine.

I grassi sono variabili in base alla tipologia di latte, ma nel caso di latte fresco pastorizzato di
alta qualità avremo un indice che equivale a quello del latte intero.

Quando posso fare un latte di alta qualità fresco pastorizzato e perché viene definito di alta
qualità?

Posso applicare un trattamento di alta qualità quando il latte di partenza lo permette, quando
il latte crudo che arriva allo stabilimento ha una carica microbica bassa e io posso
permettermi di stabilizzarlo meno.

La ragione per cui è indispensabile fare un trattamento termico è dovuto al fatto che il latte
non è microbiologicamente stabile e quindi può essere un ottimo substrato per la crescita di
batteri e patogeni. Un trattamento termico minimo lo devo fare sempre ma questo sarà
minore se le condizioni igienico sanitarie sono ottimali e in questo caso le sue caratteristiche
nutritive e organolettiche saranno migliori.

Un latte UHT possiamo dire che dal punto di vista igienico sanitario inizialmente è più scarso e
quindi sono costretto in partenza a fare un trattamento termico più elevato.

Dobbiamo stare attenti alle frodi, se io sono un produttore di latte e lo vendo a chi produce
un formaggio da latte crudo e qualcosa è andato storto di conseguenza io lo tratto
termicamente ma lo vendo come latte crudo, la frode in atto è molto grave perché sto
violando il disciplinare di produzione di quel prodotto e allo stesso tempo posso mettere a
repentaglio la sicurezza del prodotto finale.

La microfiltrazione è un trattamento fisico attraverso il quale viene tolta la carica microbica


in modo tale da evitare di perdere le sieroproteine. Il problema è che ogni tanto attraverso la
microfiltrazione si possono rompere i globuli di grasso e quindi la stabilizzazione è più lunga,
ho un affioramento della frazione di panna più lenta e quindi la shelf life sarà sì più lunga ma
avrò un latte che tende a ossidarsi prima per via della presenza di grassi elevata visto che
questi globuli sono più piccoli per via della rottura.

Quando io vado a bollire il latte si forma una pellicola sulla superficie e queste sono le
sieroproteine, le quali sono molto importanti per le proprietà schiumogene del latte.

Il trattamento di omogeneizzazione mi consente una riduzione delle dimensioni dei globuli di


grasso rendendoli più piccoli, creano una maggiore stabilità della frazione grassa del latte. Ho
una migliore digeribilità in quanto i grassi incidono molto sulla pesantezza durante la
digestione, se ho globuli più grossi i miei enzimi faranno più fatica, ci mettono più tempo a
smontarli. Il trattamento di omogeneizzazione accelera però la lipolisi, infatti questi latti li
troviamo spesso in contenitori non trasparenti per schermare la luce e quindi rallentare la
lipolisi.
Il latte cambia se io lo tratto termicamente, e questi cambiamenti sono più intensi quanto
maggiore sarò il mio trattamento.

Ho una perdita di caratteristiche organolettiche e ciò vuol dire che le caratteristiche che
ottengono si allontaneranno sempre di più da quelle di un latte crudo.

Si può avere la coagulazione e la perdita delle sieroproteine, una precipitazione delle caseine
ma il cambiamento più importante che avviene è la reazione di Maillard tra lattosio e gruppi
amminoacidici con formazione di composti bruni e idrossimetilfurfurale.

Questa reazione avviene in tutti gli alimenti sottoposti a trattamento termico ed il latte è
l’unico alimento in cui porta effetti negativi nel prodotto finale. In particolare, vi è la
formazione di composti aromatici che portano allo sviluppo dell’aroma di cotto e se spingo
troppo la cottura il latte prenderà una colorazione giallognola dovuta alla formazione di
composti bruni. Si dice anche che la reazione di Maillard porta ad una piccola perdita di lisina
(AAE), vi è la degradazione di vitamine instabili al calore.

Il latte trattato termicamente non vuol dire che sia scarso ma la sua scarsità dipende
dall’intensità del trattamento termico applicato.

Prodotti fermentati:

Dal latte derivano dei prodotti fermentati a carico di alcuni microorganismi che tendono ad
avere un metabolismo che li fa crescere mangiando componenti del latte e allo stesso tempo
trasformano componenti del latte producendo nuove molecole che rispecchiano le
caratteristiche organolettiche e sensoriali dei prodotti fermentati.

Una caratteristica tipica dei prodotti fermentati è la percezione di acidità legata alla
presenza di acido lattico per fermentazione del lattosio che però si perde con la stagionatura.

I latti fermentati hanno permesso storicamente di conservare il latte per tempi più lunghi, si
sfruttavano delle microflore autoctone. Lo yogurt nasce da questo processo ma anche i
fiocchi di latte, derivanti entrambi dall’acidificazione del latte.

Una delle cose che avviene è che durante la produzione di prodotti fermentati il pH cala da
6.5-7 a 4.5, le caseine raggiungono il punto isoelettrico e quindi tendono a coagulare tra di
loro.

Alcune bevande dette latti acido alcolici prevedono oltre alla fermentazione lattica la
fermentazione alcolica.

Altro prodotto tipico è la panna che deriva dall’affioramento dei grassi, la quale può essere
trasformata in panna da cucina o da montare o essere impiegata nella produzione del burro
tramite zangolatura.

Durante la zangolatura avviene un’eliminazione dell’acqua che porta ad avere un 82% di grassi
che coagulano tra di loro e un 16-18% di acqua; in questo caso si ha un inversione di emulsione
di acqua in olio. Il burro è definito come un prodotto ottenuto dalla crema ricavata dal latte o
dal siero di latte di vacca.
Nella panna da caffè non c’è solo latte ma anche sciroppo di glucosio, coloranti e aromi quindi
possiamo definirli prodotti molto lontani dal latte.

Il gelato è una preparazione alimentare ottenuta dalla lavorazione del latte che sfrutta la
capacità del grasso e delle sieroproteine di intrappolare all’interno della struttura aria,
importante per la montatura e la leggerezza del gelato stesso e dei cristallini di ghiaccio che
riescono a stabilizzare le bolle d’aria. Anche in questo caso è molto importante la
caratteristica del latte dal punto di vista delle sieroproteine.

L’aspetto olfattivo del latte e dei suoi prodotti derivati con trasformazione, è molto legato
all’animale, all’alimentazione dell’animale stesso ma anche dal grasso del latte. I profumi del
latte d’alpeggio in inverno saranno differenti da quelli presenti in estate e questi si sentono
ancora di più nel burro o nella panna in cui queste molecole olfattive devono essere lipofile con
un rilascio modulato dove la quota di grasso permette la conservazione degli aromi per tempi
più lunghi.
FORMAGGIO

Il formaggio o cacio è il prodotto che si ricava dal latte intero, parzialmente o totalmente
scremato, oppure dalla crema in seguito a coagulazione acida o presamica anche facendo uso di
fermenti e cloruro di sodio.

Il caglio o presame è un contenuto o estratto della mucosa dell’abomaso di ruminanti lattanti


quali capretti, agnelli o vitelli. Contiene un enzima, la chimosina/rennina che ha un’azione sulla
K-caseina. Altri agenti coagulanti sono il cardo, il fico, lo zafferano e l’aceto.

La composizione chimica del formaggio deriva dal latte di partenza, dalla qualità della flora
microbica, dai procedimenti di lavorazione e dalla stagionatura.

La diversità dei formaggi deriva dalle differenze tecnologiche di lavorazione che porta anche
a differenze di composizione chimica per quanto riguarda acqua, proteine e lipidi. Il lattosio è
metabolizzato dalla microflora in acido lattico e quindi in stagionatura viene perso. Proteine e
lipidi variano in base alla tipologia di latte impiegato.

La ricotta deriva dalla lavorazione delle sieroproteine, ha un contenuto di acqua elevato 75%
anche il formaggio fuso è particolare e non va paragonato a formaggi di prima scelta. Anche lo
stracchino ha un contenuto di acqua abbastanza elevato del 48%.

La coagulazione è un importante fase in cui le caseine si dividono dal siero e può avvenire in
due modi:

• Coagulazione acida in cui la microflora per accrescere consuma il lattosio e lo


trasforma in acido lattico, ciò porta un calo del pH di 4,5 in cui si ha una coagulazione
delle caseine. Si forma quindi un gel a coagulo e man mano che il processo procede si ha
l’allontanamento dell’acqua e la formazione di fiocchi per acidificazione.
I prodotti ottenuti in questo modo sono freschi quindi non sottoposti a stagionatura e
hanno una nota acida che li rende freschi a livello di gusto. Può avvenire anche se noi
lavoriamo per caseificazione con caglio o presame.

In molti processi tecnologici i due processi convivono ma avvengono in lavorazioni separate.

• Aggiunta di caglio al latte, aggiungo enzimi che sono in grado di andare ad alterare la
K-caseina in maniera che le micelle non siano più stabili e precipitino eliminando acqua.

Gli enzimi che troviamo nel latte e nel caglio sono:

• plasmina, già presente nel latte ma deve essere attivato tramite la stagionatura,
• chimosina e pepsine, lì ritroviamo nel caglio, sono delle proteasi capaci di tagliare le
proteine nel mezzo in punti ben precisi dove abbiamo particolari residui amminoacidici
ottenendo peptidi che durante la stagionatura si ridurranno.
La rennina/chimosina va a rompere il legame fenilalanina-metionina (residuo 105-106),
nella K-caseina formando due residui:
o un residuo 106-169 detto glicopeptide dove abbiamo la codina tetra-saccaridica
che stabilizzava e regola la crescita delle micelle
o un residuo 1-105 che si chiama para-k-caseina in cui abbiamo una parte proteica
importante che non è più stabile nella massa acquosa, infatti questi residui
tendono ad aggregarsi tra di loro e precipitare. All’interno di questo
agglomerato rimangono intrappolati i globuli di grasso andando incontro alla
produzione della cagliata.

Durante la formazione della cagliata si possono aggiungere dei batteri lattici o propionici, il
siero innesto.

La cagliata è quindi una massa soffice semisolida prodotta dalla fermentazione lattica o
dall’addizione di caglio al latte. Durante la formazione della cagliata le diversi componenti del
latte si ripartiscono in cagliata e siero.

Nella cagliata troviamo la maggior


parte della frazione lipidica in
quanto questi grassi sono
intrappolati nella cagliata stessa, il
lattosio è scarso e rimane nel siero
essendo una molecola piccola. Le
proteine si ripartiscono tra cagliata
e siero, nel primo troviamo le
caseine mentre nel secondo
troviamo le sieroproteine ed anche
le ceneri si spartiscono.

Successivamente si passa alla rottura della cagliata con l’utilizzo di uno spino e a seguire si ha
cottura e la messa in forma.

Dopo la messa in forma si passa alla stagionatura in cui avvengono importantissime


trasformazioni chimiche, tra cui la perdita di acqua che è maggiore nella crosta piuttosto che
nell’interno, nelle prime fasi si ha una glicolisi in cui vi è la trasformazione di lattosio in
prodotti intermedi della glicolisi come galattosio, glucosio e acido piruvico per poi essere
scissi in prodotti finali della glicolisi come acido lattico, etanolo, CO2 ecc. Si va incontro ad
una proteolisi e lipolisi, importanti per spiegare le trasformazioni gustative dei prodotti finali,
le note sensoriali e di texture.

Nella proteolisi le proteine sono smontate in peptidi sempre più corti e nelle stagionature
molto lunghe la proteolisi arriva all’ultimo suo sviluppo ossia a smontare i peptidi in
amminoacidi attraverso i quali otterremo delle ammine per decarbossilazione (perdita di C), gli
alfa-chetoacidi, ammoniaca e la presenza di AA liberi.

I peptidi più corti sono responsabili di note dolci o mare nel prodotto finale mentre se ho
l’accumulo di prodotti finali otteniamo delle note più amare e pungenti.

La lipolisi è importante in termini di componenti volatili ma anche di texture ex. posso


ottenere formaggi con una grana più sciolta come gli erborinati. Dai trigliceridi si ottengono
dei prodotti intermedi come di-gliceridi, mono-gliceridi e AG che durante la prosecuzione
daranno origine a prodotti finali come acidi grassi, aldeidi, alcoli, lattoni; molecole importanti
per l’odore. Nel caso di formaggi erborinati si producono anche i metil-chetoni, responsabili
del classico odore di questi formaggi.

La lipolisi risulta molto spinta e impattante negli erborinati e nella crosta fiorita come
Camembert. Man a mano che aumento la lipolisi aumenta la presenza di acidi grassi liberi e
ricordiamo che molti aromi nei formaggi sono legati ad un ulteriore cambiamento che avviene a
carico di acidi grassi.

Altri tipi di metabolismo che possono avvenire riguardano i batteri propionici che portano alla
formazione di buchi come nell’emmental o la fermentazione di acido butirrico.

La proteolisi avviene anche in stagionatura/maturazione, i pezzettini di caseine ottenuti dal


taglio tramite plasmina sono assorbiti e metabolizzati dai microrganismi fermentanti ossia le
proteasi intracellulari presenti nei lattobacilli del siero innesto tagliano tutti questi pezzettini
riducendoli in oligo-peptidi, di-tri -peptidi e AA. Tutti questi ultimi prodotti nel momento di
lisi cellulare dei lattobacilli sono rilasciati all’interno del formaggio e daranno origine a tutti
gli aromi classici dei diversi prodotti lattiero caseari.

Nella sequenza AA della β-caseina, troviamo un pezzo in rosso dove è possibile che avvengano i
primi tagli, successivamente ad opera di plasmina, di catepsina e chimosina si avranno degli
ulteriori tagli (p/d/ c)

I siti di taglio sono importanti in quanto per via chimica è possibile seguire la proteolisi delle
proteine per invecchiamento che ci aiuta a capire l’evoluzione organolettica del prodotto in
funzione del processo produttivo, della stagionatura ecc e allo stesso tempo posso
identificare dei marker di invecchiamento importanti per datare un prodotto.

Alcoli ed acidi carbossilici possono dare origine a prodotti olfattivi.

Proteolisi delle caseine e


prodotti:

La proteolisi può essere misurata tramite quello che è definito indice di proteolisi P.I. o
coefficiente di maturazione che indica la percentuale di zolfo
solubile (comprende peptidi medi, AA e ammoniaca ossia
molecole a basso PM) rispetto al contenuto totale (contenuto
proteico).

• P.I. oltre il 50% ci troviamo davanti a formaggi molli erborinati,


• P.I. tra 30-50%, formaggi molli come il gorgonzola, il brie, il taleggio che hanno avuto
una proteolisi molto spinta, caratterizzati dalla presenza di muffa sulla superficie
• P.I. tra 15-30%, formaggi a pasta dura cotta e non cotta
• P.I. inferiore al 15%, formaggi crudi o freschi non stagionati, sono quindi più ricchi di
caseina e peptidi.

Le principali ammine libere che derivano dagli AA e le loro concentrazioni sono elevate in
formaggi con indice di proteolisi molto elevato. Tra queste ammine abbiamo putrescina e
cadaverina che a livello di laboratorio se isolate hanno odori sgradevoli ma all’interno di un
sistema bilanciato risultano piacevoli e contribuiscono alla complessità organolettica del
prodotto.
CARNE

Con il termine carne si intendono le masse muscolari e tutti i tessuti commestibili ad esse
annessi di animali da macello, animali da cortile e selvaggina.

Frattaglie: si indicano cuore, fegato, reni, cervello, milza e polmoni

Trippa: si riferisce allo stomaco e al primo tratto dell’intestino dei ruminanti

Animelle: sono le ghiandole salivari e il pancreas

La carne non è semplicemente la carcassa dell’animale ma è un prodotto dovuto a


trasformazioni biochimiche in fase di post-mortem che ne influenzano la qualità della carne
stessa.

La qualità di una carne è legata all’animale, alla sua genetica, a come è stato allevato,
all’alimentazione ma anche alle fasi strettamente successive alla macellazione che se non
effettuate in maniera corretta posso alterare la qualità della carne. Un animale stressato
avrà un aumento di adrenalina nella fase di pre-macellazione che porta ad un consumo di
glicogeno e quindi nella fase post-mortem avrò delle alterazioni.

Il muscolo è fatto di tessuto connettivo costituito


da epimisio, perimisio ed endomisio; la massa
muscolare quindi il muscolo è legato all’osso
tramite il tendine.

Il muscolo è un fascio, costituito da fibre di


cellule lunghe e strette avvolte dal sarcolemma.

Le fibre muscolari sono costituite da miosina (più


spessa) ed actina (più sottile) importanti nella
contrazione muscolare.

A seconda della tipologia di muscolo possono avere


fibre muscolari ossidative, in cui avviene l’ossidazione quindi ho un metabolismo aerobico ma
anche fibre muscolari dette glicolitiche in cui si ha un metabolismo glicolitico ossia
anaerobio.

Dove ho metabolismo ossidativo la concentrazione di mioglobina (una proteina preposta a


trattenere O nel muscolo) è molto alta, sono muscoli che danno contrazioni lente con
mitocondri in elevato numero e contenuto di glicogeno elevato mentre il suo metabolismo è
basso. Se la mioglobina è presente il colore della carne ne è influenzato e sarà più consistente.

Nelle fibre glicolitiche ho una bassa concentrazione di mioglobina, una contrazione rapida,
pochi mitocondri, un basso contenuto di glicogeno e quindi metabolismo elevato con una
colorazione della carne più chiara
Le carni rosse hanno un metabolismo ossidativo con elevate quantità di lipidi e un pH elevato
mentre quelle bianche hanno un metabolismo glicolitico con un pH più basso e un minor
contenuto di lipidi.

La carne in generale è formata dal 75% di acqua, un 20% di proteine che possono essere:

• mio-fibrillari, ossia formano le fibre muscolari, tra cui miosina e actina.


• sarcoplasmatiche, come enzimi e proteine di trasporto tra cui la mioglobina ed
emoglobina,
• connettivali, di cui prevalentemente collageno ed elastina. Molto importanti per la
qualità della carne in quanto tendono a degradare/invecchiare nel tempo perdendo la
capacità del tessuto connettivo di trattenere H2O, di conseguenza avrò una carne più
dura e asciutta. Attorno ai filamenti di actina e miosina si vanno a instaurare tessuti
connettivali di collageno ed elastina.

Troviamo composti azotati non proteici, 2-3% di lipidi a seconda del tipo di carne, una
quantità minima di carboidrati rappresentata dal glicogeno che è più elevato nelle carni rosse
rispetto a quelle bianche, infine vitamine e sali minerali.

Questa composizione può variare di poco a seconda della tipologia di animale e di taglio di
carne in cui la frazione lipidica è quella più variabile.

Il collageno è una proteina del tessuto connettivale complessa formata da glicina, proline e
idrossiprolina (4-idrossiprolina e 5-idrossilisina), che prende il nome di tropocollageno perché
formato da 3 eliche di collageno tenute insieme da AA che sono in grado di formate legami H.
Quando questo invecchia si ha un’ossidazione enzimatico tra lisina e idrossilisina.

Quando si scalda la carne in acqua calda le fibre di collageno cominciano a denaturarsi


irreversibilmente creando aggregati di proteine che sono in grado di inglobare molte molecole
di H2O e diventando molto più morbide rispetto al collageno di partenza.

Il collageno può formare gel traslucidi reversibili quando è di buona qualità, con buona
capacità di idratarsi la tripla-elica al calore si apre e iniziano a legare acqua; quando vado ad
abbassare la T per raffreddamento si ha un impaccamento del sistema in cui l’acqua rimane
intrappolata all’interno facendo aumentare il volume del sistema. La consistenza dei gel varia a
seconda della concentrazione di collageno e della velocità dei tempi di raffreddamento. È un
processo molto importante per la tenerezza di alcune carni durante la cottura.

Le proteine sarcoplasmatiche comprendono proteine solubili che rappresentano fino al 30%


delle proteine del tessuto muscolare, sono degli enzimi che favoriscono le funzioni del tessuto.
La mioglobina è una proteina molto importante, influenza il colore della carne e compone fino
all’1% della sostanza secca del muscolo scheletrico.
La struttura delle proteine
sarcoplasmatiche è di tipo terziaria o
quaternaria ben organizzata,
importante per svolgere la funzione
biologica. Mioglobina ed emoglobina
hanno una struttura ben avvolta ed
organizzata al cui interno troviamo un
nucleo porfirinico che va costituire il
gruppo eme.

L’emoglobina che troviamo in circolo nel sangue è capace di portare O2 in circolo fino ad
arrivare al muscolo dove troviamo la mioglobina.

Il nucleo eme è classico della mioglobina ed è simile nella clorofilla. Questo nucleo è planare
ossia formato da 4 anelli azotati a 5C legati tra di loro dove i 4 atomi di N sono in grado di
trattenere al centro di questo nucleo un catione e solitamente troviamo il Fe 2+, mentre nel
caso della clorofilla troviamo il Mg.

Il Fe chimicamente ha 6 posizioni di legame, quindi avrà 4 posizioni di legame sul piano (4 anelli
della porfirina) ed una posizione apicale libera (può andare a legare O2) mentre una posizione
dietro libera (può legare l’istidina sull’N che è uno degli AA che va a formare il sito di legame
dell’eme all’interno della mioglobina). Sono legami deboli e ciò vuol dire che una variazione del
sistema può indurre l’indebolimento, di conseguenza la destabilizzazione della struttura che si
traduce in una differenza di colore della carne, facilmente verificabile tramite la
concentrazione di mioglobina, l’ossidazione di Fe e la presenza o assenza di O2.

Il contenuto di mioglobina dipende da:l

• Specie, le carni bianche derivano da animali che per natura hanno contenuto di
mioglobina bassi,
• Età, invecchiando si ha un accumulo maggiore di mioglobina
• Sesso,
• Attività fisica, gli animali che svolgono un’intensa attività fisica hanno concentrazioni di
mioglobina elevata.

EX.

Manzo, rosso brillante

Cavallo, rosso scuro, ha un contenuto di mioglobina elevato in quanto è un animale nato per
svolgere un’attività fisica intensa

Suino, il colore varia molto in base al muscolo in esame

Pesci, quelli abituati a percorrere lunghi tratti hanno un contenuto di mioglobina molto elevato
Altri fattori che influenzano il colore della carne sono dovuti a cambiamenti di tipo chimico
che avvengono dopo la morte dell’animale e vedono.

• Lo stato redox del Fe, Fe2+ (ferroso) carne dal colore rosso/ viola; Fe3+ (ferrico)
carne dal colore rosso/ marrone
• Legante ossia il Fe, quando non c’è il Fe il colore è viola, se ho un legante forte come il
Fe2+ ho un colore generalmente rosso intenso, se ho invece un legante più debole
ottengo un color e rosso-marrone
• Stato fella proteina, se in forma nativa si avrà un colore rosso/ viola o marrone mentre
se la proteina è denaturata come nel caso del prosciutto cotto hanno una colorazione
rosa o marrone
• Modifiche generalmente mediate da organismi che vanno a modificare il complesso eme
possono portare a macchie con colorazioni giallastre o verdognole ed il prodotto non è
più idoneo

Fe2+ può legare altri complessi come:

• H2O, mioglobina ridotta, carne dal colore viola


• O2, ossimioglobina, carne dal colore rosso
• NO, nitrosomioglobina, carne dal colore rosa

Fe3+ può legare altri complessi come:

• OH, metmioglobina, carne dal colore marrone


• SH, solfomioglobina, carne dal colore verde

Il colore della carne varie forme della mioglobina:

Il colore violaceo è il colore naturale di un taglio di carne anche se non si trova in commercio.

Quando il sistema viene posto a denaturazione ossidativa il colore tende a virare verso il
marrone, mentre tramite una denaturazione con calore si ha un colore rosa mattone.

Nitrati e nitriti vengono utilizzati nei prodotti conservati per dare un colore più appetibile
alla carne, si legano al posto dell’O2 sul Fe2+ donando il colore tipico. Sono importanti
conservanti soggetti a discussioni perché in grandi quantità possono formare nitrosammine
che sono cancerogene.

Posso quindi toglierli? Il ruolo più importante di queste sostanze riguarda il fatto che aiutano
a limitare la contaminazione microbica e la formazione del botulino, una sostanza tossica che
può portare alla morte. La ragione quindi per cui vengono aggiunti è per il fatto che in queste
particolari condizioni di anaerobiosi si può sviluppare il botulino mettendo quindi a rischio il
consumatore. Per poterli togliere bisognerebbe lavorare in un ambiente molto controllato che
spesso però non è possibile; non è facile quindi togliere questi composti in quanto il danno che
potrei provocare sarebbe maggiore al danno utilizzandoli.
Il nitrato che si trova molto spesso nei vegetali a foglia larga in questo caso è trasformato dai
microrganismi nell’ambienti in nitrito che poi libera il gruppo NO per dare la formazione di
nitroso-mioglobina o nitrosammina

Nitrati e nitriti possono essere sostituiti come additivi con l’utilizzo di estratti vegetali che
hanno questo effetto stabilizzante ed antiossidante i quali comunque in realtà contengono
nitrati e nitriti. Oggi strategie nuove prevedono dei trattamenti tecnologici diversi che danno
una garanzia di maggior controlli dei patogeni ma sono ancor poco applicate però molto
costose.

Nitrati e nitriti non sono aggiunti a pezzi interi che non prevedono manipolazione particolari
come nel caso delle cosce di prosciutto crudo inoltre sia la salagione che la stagionatura
evitano lo sviluppo microbico ed in questo caso è la stagionatura che consente la formazione
del colore del prosciutto.

Il caso contrario è ad esempio nella produzione della salsiccia in cui la carne viene manipolata
e quindi si può andare incontro a contaminazione.

Il botulino muore a T superiori ai 120° quindi anche facendo bollire le conserve fatte in casa si
può andare incontro alla presenza di botulino, l’unico modo è quello di effettuare dei
trattamenti termici industriali che raggiungano T più elevate, ricordiamo invece che questo
non si sviluppa nelle conserve sott’aceto per via del pH acido.

Sulle SLIDE fino a pag 28


CEREALI E DERIVATI

I cereali sono piante appartenenti alla famiglia delle Graminacee, coltivate per la produzione
della cariosside, la parte edibile.

I principali cereali coltivati sono frumento, riso, mais, orzo, avena, segale, miglio e sorgo.

Vengono distinti a seconda della T di cui hanno bisogno per lo sviluppo in::

• Microtermi, T basse (ciclo autunno-primaverile)


• Macrotermi, T altee (ciclo primaverile-estivo)

La cariosside è formata da 3 strati:

• Pericarpo, detto anche crusca; dove troviamo


cellulosa, pentosani e lo strato aleuronico
ricco di proteine
• Mesocarpo, detto endosperma; è un nucleo
amidaceo con poche quantità di proteine che
costituite l’80% della cariosside
• Endocarpo, detto germe dove troviamo
glucidi solubili, proteine, vitamine e lipidi

La cariosside all’interno della spiga è protetta dalle


così dette glume o bratte ed in alcuni cereali questi
rivestimenti sono associati ai tegumenti del frutto come nel caso di orzo, riso e avena che
vengono così chiamati cereali vestiti.

I cereali si differenziano in base alla


composizione con valori di proteine tra gli 8 e
i 16gr, i carboidrati tra i 68 e 79gr, i lipidi
tra 2 e gli 8gr e fibre tra i 2 e i 12gr.

Il riso è il cereale con il minor valore proteico


ma un elevato contenuto di carboidrati.

Quando si fa la farina si allontanano alcune


parti della cariosside quindi questi numeri
cambiano, non avviene solo un cambiamento
morfologico ma anche chimico.

I Sali minerali e le vitamine sono molto concentrati nelle zone che vengono allontanate al
momento della macinatura come germe e crusca. Il germe viene allontanato in quanto essendo
ricco di enzimi e di AG aumenta l’azione ossidativa, se io dovessi tenerlo si rischierebbe di
ottenere un prodotto qualitativamente inferiore e che può andare incontro ad irrancidimento.
Lo stesso discorso viene fatto per la crusca perché va a modificare il colore e in
pastificazione rende il prodotto più duro alla masticazione dando un effetto cartonato.
Le proteine dei cereali hanno una composizione in AA simile tra di loro, sono quasi tutti
carenti in lisina ma anche la metionina è bassa specialmente in grano, segale ed orzo. La
caratteristica più importante dal punto di vista proteico è la formazione del glutine che non è
una proteina ma una sovrastruttura proteica che si viene a formare durante la fase
d’impastamento garantendo viscosità all’impasto stesso ed è in grado di trattenere al suo
interno aromi. Le proprietà reologiche del glutine conferiscono all’impasto la capacità di
trattenere aria che durante la lievitazione conferisce una struttura porosa al prodotto ed una
mollica elastica dopo cottura.

Le proteine dei
cereali sono
essenzialmente quelle
del glutine ma ne
abbiamo anche di
altre in misura
minore.

Una modalità di
classificare le proteine è quella di classificarle sulla base della solubilità tramite la frazione di
Osborne

Le 4 classi di proteine che sono:

• Albumine, Le prime saranno più solubili in acqua mentre man a


• Globuline, mani che si scende troviamo proteine meno solubili in
• Prolammine, acqua quindi apolari
• Gluteline,

Nel frumento abbiamo tutte 4 queste famiglie di proteine mentre in altri cereali la presenza
di albumine e globuline sono molto più basse. Nel frumento le due proteine che consentono la
formazione del glutine sono gliadina e glutenina. Nell’avena il glutine non si forma perché
mancano completamente le gluteline mentre nel mais e nel riso pur essendo presenti le 2
categorie di proteine queste non danno il glutine, perché il rapporto tra le due classi non è
corretto ed è importante anche una corretta sequenza AA per poter formare il glutine. Alcuni
cereali sono quindi in grado di dare glutine mentre altri pur avendo glutine queste hanno
tecnologie differenti, più complesse come nel caso della segale che è di minore qualità
rispetto al glutine di frumento.

I lipidi sono prevedono principalmente fosfolipidi con azione emulsionante e mentre per i
carboidrati troviamo principalmente pentosani che hanno la capacità di legare H2O formando
dei gel ed aiutano il mantenimento della viscosità.
FRUMENTO

Le specie di frumento più diffuse oggi sono:

• Triticum durum, ossia grano duro, impiegato in pastificazione


• Triticum aestivum, ossia grano tenero impiegato nella produzione di pane e prodotti da
forno

La cariosside di frumento è costituita nell’80% da endosperma ossia la parte interna


amidacea, 3% del germe che contiene enzimi, lipidi, vitamine e sali minerali ed un 18-15% di
crusca ossia il tegumento cellulosico e uno strato aleuronico che contiene principalmente
fibre. Quando noi allontaniamo la crusca tendiamo ad impoverire la farina di fibre e proteine.

Le proteine del glutine, abbiamo detto essere gliadina e glutenina che nel caso del frumento
formano il glutine per eccellenza, il migliore.

Gli AA che vanno a formare le gliadine sono AA solforati tra cui cisteina, glutammina, prolina e
fenilalanina che sono solubili in ambienti idro-alcolico; mentre la sequenza di AA delle
glutenine ha glutammina e glicina.

Quando si forma il glutine vi è l’interazione tra due classi di proteiche, prolammine e gluteline,
nel momento in cui si aggiunge acqua e si procede all’impastamento si forma un reticolo tenuto
insieme tramite un cross link di ponti di solfuro, legami H o ionici.

La quantità e la qualità della frazione di gliadine influenzano la viscosità dell’impasto mentre le


caratteristiche delle glutenine danno elasticità e la tenacia all’impasto. Per avere un buon
impasto con una corretta maglia glutinica le due frazioni devono essere in una relazione
ottimale mentre se ho uno squilibrio quindi una classe rispetto all’altra si avrà uno sbilancio
delle caratteristiche di viscosità ed elasticità.

A livello chimico-microscopico tramite l’impastamento e l’aggiunta di H2O fornisco energia al


sistema portando un innalzamento della T che comporta una denaturazione proteica per
permettere la formazione di ponti S formando questa maglia che al suo interno può
trattenere piccole molecole come gas che consentono all’impasto di aumentare di volume e
mantenere la sofficità ma sono anche molecole aromatiche. Abbiamo anche legami H che vanno
a spiegare come il glutine di fatto sia una spirale che consenta alla maglia di estendersi e
ritornar nella sua posizione iniziare, una sequenza di AA molto specifica garantisce la
formazione di questa maglia a spirale che è Prolina-Tirosina-Prolina-Glutammina-Glutammina.

Quando si forma il ponte di solfuro tra i residui di cestina si va incontro ad un redox dove la
cisteina è sottoforma di tiolo in forma ridotta ed il ponte di solfuro in forma ossidata. Questo
processo è influenzato sia dall’energia dell’impasto ma anche dalla presenza di agenti capaci di
fare redox tra cui glutatione e acido deidroascorbico che possono regolare la reazione
dell’impasto, possono andare quindi a favorire o limitare la formazione dell’impasto, quindi lo
sviluppo del glutine. Se le maglie sono molto grandi verranno trattenute meno molecole ma si
avrà una maggiore elasticità e viceversa
Oltre a questa maglia proteica abbiamo anche lipidi, principalmente glicolipidi 5%, lipidi non
polari 6% e fosfolipidi 90%con un’azione emulsionante. Questi lipidi hanno la capacità di
mantenere le caratteristiche di viscosità e aggregazione dell’impasto conferendo
caratteristiche positive. Ricordiamo che le principali molecole sensoriali/aromatiche sono
apolari e volatili, di conseguenza questi lipidi consentono di trattenerle all’interno dell’impasto
ed in questo modo avrò un rilascio modulato nel tempo di caratteristiche sensoriali.

Abbiamo diverse tipologie di lipidi la cui cosa importante è che la piccola percentuale di lipidi
che rimane nella farina non arriva al 3% e garantisce le caratteristiche appena descritte.

La parte importante è svolta dall’amido presente in un 80% che garantisce un’importante


azione di gelificazione che consente la formazione della mollica. Contemporaneamente avremo
quindi la frazione glutinica e la frazione dell’amido che portano alla corretta texture del
prodotto finale.

Quando vado a fare prodotti con farine non glutiniche devo mettere in conto che non otterrò
le stesse caratteristiche di un prodotto che ottengo con il frumento e per ottenere delle
caratteristiche simili, o uguali anche di texture devo aggiungere molti più ingredienti.

Il celiaco è intollerante al glutine, non lo può digerire in quanto ha un’incapacità a livello


intestinale di digerire alcuni pezzi del glutine che generano una reazione tale per cui la
mucosa ad un certo punto tende a non assorbire più nutrizione ed è per questo che le persone
celiache soffrono di mal nutrizione per cui l’unica soluzione è una dieta senza glutine. Per chi
non ha questo problema il glutine non crea assolutamente nessun problema e certe volte i
prodotti senza glutine possono essere peggiori dal punto di vista complessivo.

LE FARINE

Noi in Italia identifichiamo la farina come il prodotto ottenuto dalla macinazione e


conseguente abburattamento del grano liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità.

Abbiamo diverse tipologie di farine di grano tenero in base al grado di abburattamento:

Farina 00 Farina 0 Farina 1 Farina2 Farina integrale

In una farina
derivante da
grano tenero
il tenore
d’umidità
deve essere
pari al
14,5%, ceneri max tra 0,55 e 1.70% e le proteine tra il 9 e 12%.

Quando da farina 00 si abbassa il tasso di abburattamento aumentano i quantitativi di ceneri


e di proteine.
La semola deriva dal grano duro classificata in:

Semola Semolato Semola integrale Farina di grano duro

La semola come alla farina avrà sempre un’umidità del 14,5%, un contenuto di ceneri minimo
inferiore che va da 0.90 a 1,36 e le proteine che hanno un range a partire da 10,50 fino a
11,50, di 1,5 più alto rispetto alle farine di grano tenero.

L’80-85% delle farine è rappresentato da amido, in cui la quantità di amilosio e amilopectina


cambia a seconda dei differenti amidi quindi a seconda della tipologia di
farina ho una diversa capacità dell’amido di gelificare.

Dal punto di vista della struttura morfologica tramite l’utilizzo di un


microscopio posso riuscire ad individuare le diverse tipologie di amido.

Durante la gelatinizzazione dell’amido oltre alla formazione del glutine


tramite le proteine i granuli d’amido iniziano ad assorbire acqua
gonfiandosi ed iniziando a gelatinizzare. L’amilosio fuoriesce dal granulo
d’amido consentendo un rigonfiamento della struttura e la formazione del
gel. Dopo alcune ore dal raffreddamento abbiamo un ulteriore
cambiamento delle proprietà reologiche dell’amido, questo inizia a perdere
l’acqua scambiandola con l’ambiente e ciò comporta una perdita di
struttura del gel che perde la viscosità. Questo processo è visibile nel
pane in cui la mollica si indurisce e assume la classica struttura di pane
raffermo, secondo le caratteristiche dell’amido avremo una differenza del livello di
retrogradazione.

Se scaldiamo in forno una micca di pane del giorno prima questo torna ad avere una texture
accettabile in quanto vi è ancora sufficiente capacità del gel d’amido di rigenerarsi se invece è
troppo vecchia questo non avviene.

I fattori che influenzano la gelatinizzazione e la successiva retrogradazione sono:

• L’acqua che deve essere minimo del 25%,


• La T compresa tra 50-70,
• La presenza di soluti che possono modificare la formazione del gel,
• La presenza di sale, zucchero e lipidi che aumentano la T di gelatinizzazione e
rallentano la velocità di retrogradazione
• L’origine botanica dell’amido quindi il rapporto amilosio/amilopectina.
Ex. l’amilosio tende a retrogradare molto più velocemente dell’amilopectina, quindi se ho farine
con un maggior contenuto di amilosio retrograderanno molto più velocemente.

Il pane è il prodotto ottenuto dalla cottura di una pasta convenientemente lievitata, preparata
con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza l’aggiunta di sale comune.

Nel momento di impastamento in cui aggiungo acqua fornisco energia meccanica favorendo la
formazione del glutine. Si ha una prima lievitazione ad opera dei lieviti che comporta lo
sviluppo di gas ed etanolo, una degradazione dell’amido in maltosio e la produzione di acidi
organici, alcoli ed esteri. A seguire si ha la formatura e una seconda lievitazione per poi
procedere alla cottura.

Durante la cottura si ha la gelatinizzazione dell’amido che consente la stabilizzazione


dell’impasto e il conferimento della texture in cui avviene anche la reazione di Maillard.
Successivamente si procede al raffreddamento

La pasta è il prodotto ottenuto dalla trafilatura, laminazione e conseguente essiccamento di


impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente con semola di grano duro e acqua o
semolato di grano duro e acqua.

Nella pasta all’uovo


viene aggiunto l’uovo
quindi il valore delle
proteine risulta
maggiore.

La qualità della
pasta dipende molto
dalle
caratteristiche di
base del frumento.

Sulle SLIDE fino a pag 45


LE SOSTANZE GRASSE

Le sostanze grasse si dividono in:

• Oli, sistemi liquidi, ricco di componenti mono o poli insature


• Grassi, sistemi solidi o semisolidi, ricco di componenti mono o poli sature

Tendenzialmente siamo abituati a dire che gli oli sono tutti vegetali e i grassi animali, ma non è
vero ci basti pensare al burro di cacao che è solido o gli oli marini che sono liquidi.

Un olio e un grasso sono costituiti prevalentemente da un 97-99% di trigliceridi e un 1-3% di


costituenti minori come steroli, idrocarburi, alcoli alifatici superiori, carotenoidi, clorofille e
vitamine solubili.

Sono classificati a seconda dell’origine:

• Animali, come burro, sego, strutto e oli di pesce


• Vegetali, come frutti, semi e sottoprodotti.

Strutto, ottenuto per estrazione a caldo dai tessuti adiposi del maiale. Usato come
condimento o in friggitoria.

Lardo, è un prodotto carneo, derivante dal tessuto adiposo sottocutaneo del maiale, in
particolare dalle pareti della cavità addominale e dei lombi. Il lardo fonde a T basse e
possiamo dire che i suoi trigliceridi contengono una maggior quantità di acido linoleico e
linolenico rispetto al sego bovino.

Sego, è ottenuto dalla lavorazione dei tessuti adiposi della cavità addominale del bovino. Ha
una consistenza friabile e fonde a 45-50°. La qualità e la sua composizione non è tanto
influenzata dal tipo di alimentazione dell’animale come invece accade con il lardo. È una
materia prima utilizzata e livello industriale per la produzione di speciali tipi di margarine e
friggitoria.

È definito grasso di prima scelte e si ottiene sciogliendo delle porzioni selezionate e fresche
in H2O a 50-55°. Da questo prodotto poi riscaldato a 30-34° si ottengono frazioni:

o Oleomaragrina (liquida), di consistenza simile al burro fuso, utilizzata nella


produzione di margarine e
prodotti da forno
o Oleostearina (solida), impiegata
nella produzione di grassi per
cucinare e prodotti da forno

Come sono fatti i diversi grassi di origine


animale? Abbiamo frazioni di AG saturi ed
AG insaturi, con percentuali importanti di
acido oleico introno al 40-50%.
Gli oli d’origine marina hanno una composizione
particolare, sono liquidi perché i pesci devono
resistere in acque fredde e mantenere la
fluidità dei tessuti, avremo quindi percentuali
importanti di polinsaturi, diverse a seconda della
tipologia di animale. Gli animali più grossi hanno
una prevalenza di AG a lunga catena al contrario
di animali più piccoli.

Non sono destinati al consumo diretto e sono


quindi utilizzabili solo dopo raffinazione e
idrogenazione.

Gli oli derivanti da aringhe, sardine e alici sono molto più semplici da trovare rispetto ad olio
di balena e foca, e li possiamo ritrovare all’interno di integratori.

Molto importanti per noi sono gli oli vegetali derivanti da frutti come l’oliva e la palma che
hanno però caratteristiche diverse tra di loro.

Nella polpa dei due frutti abbiamo un 50% di olio


e umidità, nell’oliva è presente fino a un 60% di
acqua che verrà poi allontanata.

Il punto di fusione è tra i -5/-9° vuol dire che


questo grasso è liquido a T ambiente al contrario
dell’olio di palma che è semisolido.

L’olio d’oliva conta un 70% di AG oleico, un 11% di


AG palmitico e un po' di linoleico. Nell’olio di
palma abbiamo un 44% di AG palmitico, un
dimezzamento di AG oleico e una buona
percentuale di stearico, abbiamo un bilancio tra componente satura e insatura che spiega le
caratteristiche di fusione di quest’olio.

Olio d’oliva:

L’olivo è una pianta che produce frutti, in particolare drupe in cui abbiamo una polpa ricca in
frazione grassa e una buccia che può rilasciare componenti importantissime.

La drupa matura contiene un 45-55% di acqua che dipende non solo dalla varietà ma anche
dalle condizioni climatiche e ambientali, abbiamo un 13-28% di olio, una buona percentuale di
composti non azotati come fenoli e terpeni nel 18-24%, fibra grezza e ceneri.

Le olive possono essere raccolte tramite caduta spontanea che però può portare a
problematiche qualitative, in quanto un’oliva danneggiata può andare incontro
all’irrancidimento, per questo abbiamo anche altre tipologie di raccolta.
Dopo la raccolta si passa all’estrazione dell’olio tramite, pressione/ centrifugazione/
percolamento mediante filtrazione selettiva, in altri oli come quello di girasole avviene con
estrazione mediante solventi.

Estrazione dell’olio per pressione:

1. Pulitura; eliminazione di foglie e terriccio. Certe volte piccole percentuali di foglie


vengono lasciate per conferire un colore finale più verde
2. Molitura e frangitura; rottura della struttura cellulare
3. Gramolatura, separazione di acqua da olio
4. Pressatura, da cui si ottiene la sansa
5. Centrifugazione, per l’ottenimento del mosto grazie ad un allontanamento d’H2O
6. Filtrazione
7. Ottenimento dell’olio vergine, a cui può seguire un’eventuale rettifica per l’ottenimento
di olio rettificato

Abbiamo un 98-99% di trigliceridi di cui un 55% di semplici ossia AG tutti uguali e 45% misti.
La trioleina rappresenta un 41% di tutti i trigliceridi presenti nell’olio d’oliva.

In un olio di buona qualità avremo AG oleico maggiore o uguale al 73% e un AG linoleico minore
o uguale a 10%. La diversità tra questo rapporto non è legata alla trasformazione che effettuo
ma alle caratteristiche ambientali, questo perché in condizioni di stress le piante tendono a
rispondere tramite una maggior produzione di acido linoleico che verrà utilizzato per la
composizione di molecole usate per poter comunicare con l’ambiente esterno.

Quando l’AG oleico è sopra al 73% e linoleico sotto al 10% vuol dire che la mia pianta era in
condizioni ottimali, la maggior presenza diAG linoleico mi porta ad una maggiore instabilità e
quindi maggiore degradazione. Il rapporto tra questi due AG deve esser maggiore al 7%,
quando si trovano in posizione 2 (al centro del glicerolo) e gli AG saturi stanno all’esterno, è un
indice di possibile trattamento industriale.

L’olio d’oliva è insaponificabile e al suo interno troviamo fitosteroli, vitamine solubili, pigmenti
come clorofilla e carotenoidi, cere derivanti della buccia e polifenoli, tutti elementi derivanti
dalla cultivar.

L’olio di sansa prevede l’estrazione chimica con esano che verrà poi eliminato tramite
distillazione. In questo caso il processo di rettifica fa sì che vengano eliminate molecole come
pigmenti colorati derivanti da quest’estrazione.

Un’estrazione di questo tipo porta ad avere una maggior concentrazione di AG linoleico e la


presenza di AG elaidinico, che è l’AG oleico trans-isomerasi più stabile rispetto al cis; la
presenza di elaidinico mi dice che l’olio ha subito un trattamento ed inoltre l’isomero trans ha
un valore nutrizionale più basso del cis. Vi è inoltre una maggiore presenza di AG liberi in
quanto la presenza di acqua può consentire la rottura del trigliceride e questo aumenta quindi
l’acidità che viene poi tolta durante le fasi di rettifica, quindi un olio rettificato è meno acido.
Un olio di oliva è definito da un set di parametri stabiliti per legge, se faccio un’estrazione da
sanse non potrò mai commercializzare il prodotto come olio extra vergine d’oliva, se faccio
un’estrazione a freddo dell’olio non mi basta per definire che quell’olio è extravergine d’oliva
ma devo andare a verificare dei parametri chimici per poter classificare l’olio ottenuto.

Alcuni dei parametri più importanti riguardano:

• Una valutazione organolettica sensoriale, si fa una valutazione visiva del colore, si


valuta la presenza dei difetti e del fruttato da un punto di vista olfattivo. L’aspetto
organolettico olfattivo può essere verificato anche tramite tecnologie idonee.
• Marker indicatori di frodi, dei parametri che riguardano lo stigma-stadiene che è un
fitosterolo utilizzato come marker dell’olio d’olivo. Sarà più presente quando
l’estrazione è più spinta mentre sarà meno presenze negli oli ricavati dalle sanse in
quanto vengono poi raffinati.
• Presenza di AG oleico in posizione 2,
• La presenza di cere,
• L’acidità libera,
• Il numero di perossidi, ossia la potenziale degradazione che quell’olio può aver subito
che dipende dall’aspetto tecnologico e di campo; mi servono per definire la qualità nel
mio olio.

L’acidità ammessa su un extravergine di oliva è maggiore rispetto a quella ammessa negli oli
rettificati, in quanto un olio rettificato subisce anche una deacidificazione, se l’acidità libera
di un olio extravergine d’oliva supera lo 0.8 deve essere venduto con un’altra classificazione.
Si definisce come il contenuto di AG liberi ed è classificata in tabelle:

• Olio extravergine minore dell’0,8%


• Olio raffinato minore del 0,3
• Olio d’oliva minore dello 0,1

Oltre a questi parametri la legge ci dà una tabulazione dei componenti, degli AG che sono
quindi importanti per identificare in maniera corretta un olio come, la somma dei trans-
isomeri che devono essere bassi se non nulli e la composizione in steroli.

Numero di perossidi, è un parametro che misura quanti perossidi sono presenti all’interno
dell’olio, misura l’intensità della degradazione. Il numero di perossidi è un indice di
degradazione ossidativa, se ha un elevato numero di perossidi vuol dire che l’olio è stato
trattato in modo poco idoneo. Per un olio extravergine d’oliva deve essere minore di 20meq
per kg di olio.

Un numero basso di perossidi può voler dire che l’olio è in ottime condizioni ma anche in
pessime condizioni, perché la maggior parte dei perossidi può essere stato convertito in
aldeidi volatili rancidi e dal punto di vista olfattivo siamo in grado di riconoscere che esso è
compromesso.
Quando vado a fare un controllo di qualità dell’olio
d’oliva si utilizza un Panel Test, che prevede su
una valutazione visiva del colore, una valutazione
olfattiva e gustativa in cui vengono definite le
caratteristiche di un olio andando a verificare
l’assenza di difetti e dal punto di vista gustativo si fa un’analisi per dare valore al prodotto.

È possibile utilizzare anche degli strumenti tecnologici come il naso elettronico che serve per
identificare in tempo rapido i difetti e le caratteristiche legate alla cultivar.

Spesso per identificare la presenza di adulterazioni o sofisticazioni si vanno ad analizzare gli


steroli dal punto di vista quantitativo e qualitativo per identificare un olio d’oliva rispetto ad
un altro olio d’origine diversa. È un’analisi importante in termini di autenticità del prodotto
finale, come ad esempio l’identificazione di un olio d’oliva che è stato mescolato con olio di
mais, quando la frode però diventa più raffinata bisogna applicare tecniche più complesse per
l’identificazione.
OLIO DI SEMI

L’olio di semi è ottenuto dai semi oleosi di diverse specie vegetali. Vengono definiti come oli di
semi di… o oli di semi vari quando derivano da semi diversi.

Tutti gli oli di semi devono essere sottoposti a rettifica in quanto l’estrazione avviene con
solvente. Essendo oli sottoposti a rettifica avrò un’acidità bassa non superiore allo 0,5%.

L’olio di seme di palma è ricco in frazione satura ma anche l’olio di cocco e di babassu, i quali
hanno dei punti di fusione più alti rispetto all’olio d’oliva per cui hanno una consistenza un po'
più pastosa a T ambiente. L’olio di palma rispetto all’olio di seme di palma è più saturo. Il seme
della palma può esser sottoposto ad estrazione dai semi o dal frutto completo e a seconda
della parte utilizzata otterrò oli con caratteristiche differenti.

La composizione dell’olio di cocco è molto simile all’olio di palma dal punto di visto compositivo.

Abbiamo poi dei sistemi ricchi in AG palmitico ossia ricchi AG monoinsaturi e polinsaturi come
nel caso di olio di mais, di grano e di cotone con dei sistemi estremamente fluidi e T di fusione
più basse.

L’olio di cotone è un sottoprodotto della lavorazione tessile di cui il principale produttore è la


Cina. Uno dei problemi grossi di questo olio è la presenza di una molecola detta gossipolo che
obbliga la procedura di rettifica per l’eliminazione in quanto è una molecola carcerogena.

L’olio di mais, di germe di grano e di zucca che sono impiegati nell’utilizzo casalingo o nella
produzione di margarine e maionesi industriali.

Si hanno poi degli oli molto sbilanciati della frazione polinsatura ossia poveri in AG palmitico e
quindi ricchi di AG oleico e linoleico tra cui oli di soia, di girasole, d’arachide, di colza e di lino
che principalmente utilizzati a livello industriale.

L’olio di soia è soggetto facilmente ad ossidazione con formazione del tipico “reversion
flavour” dovuto alla degradazione di AG furanici tipici presenti in piccole quantità.

L’olio di colza è molto prodotto in Germania ed è un olio che fino a 10 anni fa poteva avere
problemi importanti legati alla presenza di acido erucico ma oggi sono state selezionate
varietà che non producono acido erucico.

L’olio di ricino, originario di India e Brasile, è ricco di acido ricinoleico ed impiegato in


farmacia.

Nel caso di oli di vinaccioli si va incontro a delle produzioni più complesse e di qualità più
elevata, ricordando che sono tipici di alcuni luoghi. L’olio di nocciola veniva utilizzato per
adulterare l’olio d’oliva per via della composizione molto simile per cui era passata l’idea che
fosse un olio scarso mentre comunque è un olio di qualità se prodotto con processi adeguati e
derivante da materie prime di qualità. Tra questi oli di vinaccioli troviamo anche l’olio di lino,
l’olio di papavero ricco di AG linoleico, ottenuto tramite spremitura a freddo e usato come olio
alimentare e l’olio di noce dal profumo gradevole, con un elevato contenuto di AG linoleico che
ne limita la shelf-life.
I burri:

Il burro di cacao ha una consistenza relativamente dura e può cristallizzare in forme diverse.
Non cambia in maniera significativa in termini di AG e trigliceridi rispetto al sego di bue, ma
quanto andiamo a vedere come questi sono montati sui trigliceridi vediamo che la distribuzione
è completamente diversa. Il punto di fusione è tra 30-40° e sciogliendosi in bocca questo
lascia una sensazione di freschezza tipica di grassi che contengono AG palmitico, AG oleico e
AG stearico.

La margarina:

La margarina è un surrogato del burro, tenta di riprodurre il burro ed è infatti un’emulsione di


olio in acqua con un’elevata quantità d’H2O. Dal punto di vista legislativo può essere ottenuta
da grassi di origine animale e vegetale ma la grand parte sono vegetali, anche quando si
utilizzano grassi animali non è possibile aggiungere più del 2% di grasso suino.

È nata nel 1800 con Napoleone III in seguito ad una carestia in cui era molto difficile trovare
burro, quindi si è cominciato a produrre questo surrogato del burro a partire da sego di bue
macerato in acqua con carbonato di potassio, pepsina ed una piccola percentuale di latte. Da
qui nasce il nome di margarina e il prodotto che oggi conosciamo ma che si ottiene in modo
diverso.

Il nome margarina deriva dalla presenza di acido margarico che a sua volta deriva dalla
microflora del rumine ed è tipico del latte; dove è presente latte troviamo acido margarico
che ai tempi si pensava derivasse dalla frazione grassa dell’animale.

Oggi nella produzione della margarina il latte non può essere aggiunto, non vi è quindi acido
margarico, perché quest’emulsione è mantenuta stabile tramite l’aggiunta di emulsionanti come
lecitine. Deve rispettare dei requisiti di legge come un’acidità libera inferiore all’1%,
sostanza grassa maggiore dell’80% e assenza di grassi derivanti dal latte.

Possono essere aggiunti degli additivi, cosa che nel burro non è permessa, come antimicrobici,
antiossidanti, emulsionanti, coloranti ed esaltatori di sapidità; è quindi un prodotto più
formulato rispetto al burro.

La bixina è uno dei coloranti impiegati nella margarina, estratto da una spezia, l’annatto con
semi rossi e conferisce questa colorazione gialla abbastanza piacevole nella margarina; ma in
alcuni paesi UE può essere utilizzato anche nel burro. È possibile usare anche la curcumina che
deriva dalla curcuma. Entrambi questi coloranti vanno a modificare leggermente l’aspetto
sensoriale del prodotto finale.

La curcumina e la bixina sono seguite da un codice E… (a 3 cifre) che identifica gli additivi, la
curcumina è classificata come un additivo, non bisogna quindi pensare che gli additivi siano
composti di sintesi.
LA REAZIONE DI MAILLARD

La reazione di Maillard avviene grazie all’aumento di T.

È la più importante reazione chimica della cucina e attribuisce ai cibi il tipico aspetto bruno e
il gusto di cibo cotto, a carico principalmente di prodotti da forno ma in realtà avviene in
tutte le cotture sopra i 100°.

Avviene a seguito dell’interazione di zuccheri e proteine, in particolare un gruppo carbonilico e


amminico di qualsiasi molecola in realtà, in cui la catena amminica sia libera e disponibile per la
reazione quindi non impiegata nella formazione del legame peptidico.

Si formano delle sostanze dall’odore caratteristico in cui i due parametri più importanti da
regolare sono T e il tempo che condizionano l’aspetto e il gusto del prodotto.

Questa reazione avviene inevitabilmente, in alcuni prodotti è assolutamente desiderabile, non


avremmo il prodotto se non avessimo la reazione mentre in altri casi è meno desiderata come
nel latte.

Ha 3 fasi:

1. La reazione di Maillard sta avvenendo ma non si ha un cambiamento visibile


dell’alimento, si ha il consumo degli AA, in cui lo zucchero interagisce con gli AA e si ha
la degradazione degli AAE
2. Formazione dei composti odorosi, con una nota olfattiva importante e caratterizzante
dei prodotti da forno come odore di pane
3. Cibo color bruno, si modifica il colore di un alimento in maniera desiderabile ma
ovviamente se spingo troppo la reazione si va incontro a bruciatura. L’imbrunimento
porta alla formazione di melanoidine.

La reazione per avvenire ha bisogno di zuccheri riducenti e di AA, possibilmente basici.

Gli zuccheri devono essere riducenti in quanto ho un’estremità carbonilica libera, tanto che il
saccarosio non da reazione di Maillard ma deve essere idrolizzato per dare questa reazione.

A seconda della composizione in zuccheri e AA si avrà una diversa reazione di Maillard in


termini di tempo.

Il percorso della reazione:

Il gruppo amminico dell’AA ha un doppietto elettronico disponibile che può dare attacco
nucleofilo su C carbonilico in quanto è presente con una struttura di risonanza. Dando attacco
nucleofilo al C si forma un ammino-alcol che può eliminare H2O con formazione di un’immina.
Questa immina è il punto focale, se questa non si forma la reazione non va avanti. L’unica
reazione che può impedire la formazione di un’immina è la reazione di protonazione su N
quando ho un pH acido.
Il pH modula in maniera importante la reazione di Maillard, in un ambiente acido essa risulterà
sfavorita rispetto ad un ambiente basico perché si va ad inibire la formazione dell’immina. Più
generalmente possiamo dire che è una reazione che ama i pH vicino alla neutralità.

Dopo la formazione
dell’ammina si ha la
formazione del composto
di Amadori, che è il primo
composto legato alla
reazione di Maillard che
posso isolare e quindi
andare a misurare,
fungendo da indicatore
dell’avanzamento della
reazione ma non da
effetti visivi.

Successivamente il
composto di Amadori
prosegue con una serie di
arrangiamenti chimici e
perdite di H2O con la
formazione di 2 composti che sono 3-deossiosone e 1-deossiosone che sono le molecole
responsabili della formazione di odori. Più scaldo più l’acqua evapora e quindi la reazione
avviene velocemente.

Ottengo un ventaglio molto ampio di composti, tra cui:

• Piccoli e volatili che sono assolutamente desiderati nei prodotti da forno, arrostiti e
fritti mentre sono indesiderati a seguito di pastorizzazione o sterilizzazione.
• Composti ad attività antiossidante e riduttori, si formano composti bruni come le
melanoidine, generazione di composti amari che diventano importantissimi in alcuni
prodotti come caffè, ma in altri come nel caso della griglia non sono desiderati.

Alcuni lati negativi di questa reazione riguardano la perdita di AAE, la formazione di cross-
linking tra le proteine che ne diminuiscono la digeribilità e la formazione di composti
mutagenici che si formano solo in caso di reazione molto spinta.

La reazione di Maillard avviene anche a T basse ma ci vuole tanto tempo, il quale non è
compatibile con gli alimenti per cui si dice che sotto i 110° C la reazione è lenta e non si riesce
ad apprezzare.

In una prima fase quando comincio a scaldare il prodotto si ha la denaturazione delle proteine
rendendosi più disponibili alla reazione, i carboidrati complessi allo stesso tempo si rompono
rendendo più facile la reazione, le molecole di H2O cominciano a muoversi con uno
spostamento di essa verso l’esterno del prodotto.

Quando si comincia a toccare i 110°C il prodotto sviluppa la frazione aromatica, le molecole


olfattive. Man mano che continuo a spingere la reazione ho il passaggio alla fase 2 con la
perdita del composto di Amadori il quale converte in composti odorosi che si vanno ad
accumulare nel prodotto.

Durante la fase 2 le molecole che si ottengono sono più di 100, tra cui molecole aromatiche ed
alcune molecole colorate. L’odore dell’alimento sottoposto alla reazione varia a seconda della
materia prima di partenza in quanto gli zuccheri e le proteine sono differenti ed in base a
quelle che sono le condizioni iniziali.

Se spingo troppo la reazione si passa in fase 3 in cui si va ad allargare la formazione di


pigmenti scuri che donano la colorazione scura di un prodotto bruciato con la perdita della
caratteristica sensoriale del prodotto.

Avvengono tante cose durante il procedere della reazione, si ha un’influenza di tipo chimica:

• Nella 2 fase all’interno del prodotto sono sotto ai 100°C per cui in questo caso è
importante la pezzatura del prodotto stesso e si cominciano a vedere le prime molecole
che spiegano l’odore di cotto. Questa fase è definita flavour full in cui le proteine se
sono denaturate iniziano a reagire, il saccarosio per la presenza di H2O comincia ad
idrolizzare e si vengono a formare tante molecole olfattive diverse che
rispecchieranno un po' la reazione e la materia prima in cui si ha anche uno sviluppo del
colore del prodotto.
• Nella 3 fase si va incontro a caramellizzazione, che avviene grazie alla presenza di
alcuni AA

Tutto ciò che avviene dopo il composto di Amadori entra nella fase 2 in cui si formano
composti ciclici volatili che possono contenere all’interno atomi di N ossia molecole
tipicamente da crosta, S prevedono la presenza di cisteina, tipici delle carni o dell’uovo
mentre quelli con O come furanoni e furani sono più tipiche nell’inizio della fase 1.

La reazione di Maillard non è presente solo nelle reazioni da forno ma anche nelle carni cotte
alla griglia, negli arrosti, nella birra, nel caffè, nella meringa ma anche nel vino.

Quando un caffè è di bassa qualità si spinge molto sulla tostatura mentre il caso contrario
avviene quando utilizzo una materia prima di partenza di qualità superiore.

La formazione della crosta in un alimento prevede il trasferimento dell’acqua dall’esterno del


prodotto all’ambiente e ciò mi consente di mantenere l’umidità all’interno se questo avviene in
modo graduale, se invece avviene in maniera troppo veloce si otterrà un prodotto secco.

Quando in crosta siamo in condizioni di forte disidratazione subentra la reazione di Strecker


tipica di prodotti come le fette biscottate.
LA REAZIONE DI STRECKER segue alla reazione di Maillard

La reazione di Maillard non ama i pH acidi e avviene in un ambiente a media presenza di acqua
che comporta una disidratazione, possiamo dire che avviene in un ambiente a media umidità
perché avviene in un impasto.

Si ha un cambiamento di T in cui la crosta avrà un T più alta rispetto al cuore del prodotto,
chiaramente la pezzatura del prodotto mi definisce anche l’intensità del prodotto. Questo
gradiente di T porta ad avere anche una perdita di umidità dal centro verso l’esterno.

In crosta si creeranno delle condizioni per cui la T sarà sufficientemente elevata e sarà priva
d’acqua, a T di 160° alla crosta si ha la reazione di Strecker.

Essa coinvolge gli AA liberi e un composto dicarbonilico in cui su due C vicini abbiamo due
gruppi carbonilici, quest’ultimo composto viene fuori dalla reazione di Maillard, per cui se non
ci fosse la formazione dei deossiosoni la reazione di Strecker non potrebbe neanche partire.
AA e deossiosoni reagiscono insieme dando reazioni di ossidazione che comportano la perdita
di H2O e CO2, richiedono T elevate per si ha quindi una disidratazione e una
decarbossilazione da cui viene fuori l’aldeide di Strecker dall’AA coinvolto e porta le sue
caratteristiche. È una molecola volatile e aromatica, importante per descrivere il profilo
olfattivo in crosta. Si forma anche un ammino-chetone che deriva dal composto dicarbonilico,
non ha odore, non è volatile e porta alla formazione di pirazine che sono molecole aromatiche
secondo Hukel e aromatiche dal punto di vista sensoriale quindi volatili.

In un bollito non si avrà mai la reazione di Strecker.

Anche la caramellizzazione fa parte di questa famiglia di reazioni che coinvolgono la parte


zuccherina e proteica.
DEGRADAZIONE OSSIDATIVA

L’ossidazione lipidica è vista come una reazione negativa negli alimenti.

È una reazione che avviene molto bene a T ambiente al contrario della precedente. Possiamo
dire che è desiderata e favorita nei prodotti trattati termicamente mentre in un prodotto
fresco mi crea dei problemi, delle alterazioni, degli off-flavour ossia un aroma che sta al
posto sbaglia e non negativo, ciò vuol dire che nessun aroma è negativo in sé, è negativo dove
non me lo aspetto.

In sé l’odore non è mai positivo o negativo ma deve essere analizzato a seconda del prodotto in
cui si trova, se me lo aspetto o meno.

La degradazione ossidativa coinvolge solo la frazione lipidica e diventa importante in quegli


alimenti che hanno una frazione lipidica importante, va gestita in maniera adatta a seconda del
prodotto che mi trovo davanti, ad esempio la pancetta che conosciamo è così grazie ad una
degradazione ossidativa, lo stesso possiamo dire del salame.

L’ossidazione lipidica coinvolge la frazione dei lipidi, gli AG e dei trigliceridi e può essere di 3
tipi:

• Autossidazione
• Foto-ossidazione
• Ossidazione enzimatica /lipossigenasi, avviene in prodotti vegetali per azione delle
lipossigenasi che si formano in fase di maturazione, è possibile inibire l’azione di questo
enzima scottando il vegetale in acqua.

Possono avvenire tutte e 3 in contemporanea ma, generalmente la foto-ossidazione risulta


essere la parte iniziale dell’autossidazione la quale può avvenire però anche in assenza di foto-
ossidazione.

Giocano un ruolo importante la presenza dell’ossigeno, la presenza di doppi legami, la presenza


di metalli e di irraggiamenti.

La caratteristica più importante dell’autossidazione è quella di procede per via


omolitica/radicalica quindi si ha formazione di radicali. Una reazione radicalica genera radicali
ossia specie estremamente instabili e reattive che tendono a reagire molto velocemente con
tutto quello che hanno attorno.

Una volta che la reazione parte non si riesce più a fermare, va degradare il prodotto; possono
solo mettere in atto strategie per rallentarla e contenerla.

La reazione radicalica richiede qualcosa che la faccia iniziare come un radicale e l’ossigeno in
cui quest’ultimo gioca un ruolo importante in quanto ha un carattere di bi-radicale, si trova allo
stato fondamentale e non è reattivo. Nel momento in cui però entra a contatto con un radicale
reagisce mettendo a disposizione uno due suoi elettroni spaiati lasciando l’altro elettrone
spaiato e quindi l’ossigeno risulta essere reattivo e provocherà danni.
La reazione di autossidazione è suddivisa in 3 parti:

1. Fase iniziale, in cui un radicale


libero da inizio alla reazione
combinandosi con l’ossigeno
dando origine ad un radicale
perossido che è molto reattivo e
quindi si entra in una reazione a
catena,
2. Fase di propagazione, in cui
avvengono delle reazioni a catena
in cui bisogna avere degli AG
insaturi, se avessimo AG saturi la
reazione non avverrebbe,
3. Fase di spegnimento spontaneo
della reazione: può finire
l’ossigeno, finisce la materia
grassa disponibile o sono presenti degli antiossidanti che sono in grado di spegnere la
reazione.

Il punto in cui possiamo cercare di rallentare la reazione è la fase di propagazione.

Nella fase iniziale bisogna evitare che si formi il radicale o che vi sia la presenza dell’ossigeno.

Ex. L’acido oleico a contatto con il radicale perossido provoca la rottura omolitica del legame
R-H, mi serve tanta energia per rompere un legame di un carbonio secondario, in
corrispondenza di un carbonio allilico o nel caso in cui si ha una posizione doppiamente allilica
come nel caso dei polinsaturi.

Mi serve più energia perché la presenza del doppio legame comporta la presenza di elettroni
delocalizzati che rendono la molecola più stabile, quindi posso scrivere le strutture di
risonanza. Viene attaccata la molecola più stabile perché ce n’è di più.

Un AG insaturo può dare autossidazione ma nel caso di AG polinsaturi avremo una


degradazione ossidativa più spinta. Maggiore è il grado di insaturazione del sistema maggiore
sarà la facilità nella degradazione ossidativa.

In uno strutto l’ossidazione è scarsa, nell’olio d’oliva avviene in modo più blando avendo AG
insaturi, ma nel caso dell’olio di semi avviene meglio in quanto ha AG polinsaturi.
Da una sola
molecola di
partenza in
questo caso acido
oleico ottengo 4
possibili radicali
che possono poi
reagire con
l’ossigeno
ottenendo 4
diversi perossidi.
Sia che l’attacco
avvenga su 11 che
su 8, quando vado
a scrivere la
struttura di
risonanza il
doppio legami diventa trans perché ha un contenuto energetico inferiore, è più stabile.

L’ossidazione lipidica oltre a portare alla degradazione dell’AG porta alla formazione della
trans-isomeria.

Si generano 4 radicali perossido che potranno a loro volta strappare un H ad un’altra molecola
che solitamente è un altro AG insaturo formando idroperossidi che sono molecole volatili e 4
nuovi radiali che propagheranno la reazione.

Chi è che fa partire tutto? Ciò è dato da due cose; deve esserci un radicale nel sistema che in
un alimento si può formare per presenza di un metallo che può subire una redox dando origine
a dei radicali di partenza oppure la foto-ossidazione che abbiamo detto costituire l’evento
iniziale dell’autossidazione.

La foto-ossidazione è un’altra ossidazione che avviene a carico di AG, coinvolge l’ossigeno e


passa attraverso un pigmento, la clorofilla. È un sistema che avviene con un meccanismo di
addizione nucleofila dell’ossigeno su un AG, l’ossigeno bi-radicalico non ha però nessuna
tendenza a reagire essendo stabile per cui deve avvenire un’interazione con la luce. Quando la
luce viene catturata da un pigmento detto sensibilizzatore come la clorofilla, trasforma
l’energia luminosa in energia chimica e si ha la trasferisce dell’ossigeno atmosferico facendolo
passare da stato fondamentale (tripletto) ad eccitato (singoletto) rendendolo instabile per cui
cercherà di reagire per trovare stabilità.

I prodotti primari dell’ossidazione sono gli idroperossidi/perossidi che non sono stabili perché
l’O è allo stato di ossidazione -1 ossia poco stabile quindi tende a rompersi di nuovo in modo
omolitico con la formazione di un nuovo radicale perossidico e idrossico. Il radicale
idroperossido può reagire decomponendosi formando dei composti definiti di beta—scissione,
che sono composti secondari di ossidazione, sono stabili, sono molecole piccole e si generano
dei sistemi aldeidici o chetonici in cui O è carbonilico con una buona volatilità. Oltre a ciò,
posso ottenere anche degli alcani o degli alcheni e acidi carbossilici che hanno catene più brevi
rispetto a quella iniziale, sono generalmente volatili e ci danno il sentore di rancido.

Uno degli alimenti in cui la degradazione ossidativa diventa critica e va evitata in tutti i modi
possibili è l’olio, nel caso di prodotti fritti in un olio eccessivamente degradato questo può
conferire aromi sgradevole. Nel salame ma anche nella pancetta la degradazione ha dato
origine a degli aromi desiderati invece.

Quando parte la reazione a poco a poco nel tempo la frazione lipidica comincia a diminuire
degradandosi per cui avremo un aumento speculare di idroperossidi, ossia di prodotti primari
della reazione. Questa concentrazione di idroperossidi raggiunge però un valore critico e
tende a sua volta a degradarsi nel tempo formando prodotti non volatili (composti di
terminazione) o volatili (composti di beta-scissione).

Quando i composti di terminazione e volatili diventeranno importanti avremo una decrescita


anche degli idroperossidi. I prodotti non volatili vanno a compromettere la qualità nutrizionale
di un olio, se uso troppo un olio di frittura sulla superficie si formano schiume, dovute alla
formazione di composti non volatili quindi quel materiale grasso è compromesso e posso andare
incontro a formazione di composti tossici. Altrimenti si accumulano dei composti volatili che
vanno ad alterare gli aspetti organolettici e non sono sempre indesiderati anzi in alcuni casi
come nel caso del salame questi sono voluti.
PRINCIPALI ASPETTI DELLA QUALITA’ DI UN PRODOTTO ALIMENTARE

• Qualità merceologica
• Qualità nutrizionale
• Qualità Igienico-Sanitaria
• Qualità Organolettica, è una caratteristica personale, del singolo gustatore in cui
questi aspetti sono definiti attraverso dei panel test
• Qualità etica, una produzione senza sfruttamento, un attributo legato ad una
caratteristica che deriva dalla produzione come nel caso di Halal, Kosher e Veg
• Qualità ambientale, un sistema di certificazioni che comporta misure e scelte che
preservino l’ambiente come metodi di produzione eco-compatibili
• Qualità di origine, tipicità dei prodotti come i regolamenti comunitari per i marchi
DOP, IGP e STG

Queste certificazioni comportano si uno sforzo economico ma da una parte sono anche una
tutela per i consumatori.

L’aspetto sensoriale e organolettico di un alimento è legato a tutta la sfera olfattiva e


gustativa. Quando andiamo a vedere l’aspetto di qualità organolettica oltre ai panel test
dobbiamo andar a vedere cosa rende il prodotto diverso da altri. La valorizzazione di un
prodotto è molto importante la propria identità organolettica che deriva dalle materie prime
che scelgo, dalla tecnica di produzione ecc.

La qualità organolettica è quindi una qualità di tipo chimico in quanto dipende da molecole che
interagiscono con i nostri organi sensoriali.

Quando parliamo di aspetti organolettici ci riferiamo a sapore e aroma. Chiaramente un


prodotto fermentato e uno cotto che hanno subito dei trattamenti tecnologici pesanti per cui
avranno delle componenti organolettiche diverse ma ciò non vuol dire che queste siano
peggiori.

L’aspetto organolettico influenza molto la scelta del consumatore per poi seguire l’aspetto
nutrizionale e di sicurezza.

Quando noi mangiamo/degustiamo utilizziamo tutti i sensi:

• La vista in cui il colore e l’aspetto sono molto importanti,


• L’udito e il tatto che giocano sulla texture
• Il gusto e l’olfatto sono i due sensi più importanti che entrano in gioco quando il cibo
entra nella nostra cavità orale e orto-nasale.

Tutte queste informazioni legate ai sensi vengono decodificate a livello celebrale in


percezioni.

La percezione è diversa dalla sensazione (atto chimico), entra in gioco anche la sfera emotiva.
Quando parliamo di gusto ci riferiamo al sapore, ciò che avviene nella cavità orale mentre
quando ci riferiamo all’olfatti si parla di odori e aromi, in parte mentre il termine flavour si
riferisce al concetto di integrazione tra sapore e odore.

Il gusto e l’olfatto hanno una base evolutiva importante, nel tempo la nostra capacità
sensoriale si è evoluta, siamo animali visivi e più di ogni altro animale le nostre scelte sono
guidate dalla vista ma anche il gusto e l’odore sono molto importanti.

Il gusto indirizza la nostra scelta dei cibi:

• Dolce, indica zuccheri (carboidrati), è associato alla ricerca di energia


• Salato, legato alla presenza di sale, molto legato alla necessità di mantenere
l’omeostasi. Un uomo che si muove, che caccia ha un consumo di sali minerali che devono
essere ristabiliti tramite il consumo di cibo
• Umami, il classico sapore di proteine di origine animale, guida la ricerca delle proteine
quindi legata al mantenimento muscolare
• Amaro e acido, al contrario dei gusti precedenti sono legati al mantenimento del
nostro organismo questi sono legati alla percezione dei pericoli. L’aumento di acidità è
un campanello d’allarme, l’amaro è dovuto principalmente alla presenza di alcaloidi e
quindi possibili sostanze tossiche di origine vegetale.

Il gusto è percepito da gruppi di cellule (taste cells) riunite in organelli (taste buds) che sulla
lingua sono disposti su protuberanze dell’epitelio dette papille gustative.

Il numero di papille gustative ci permette di identificare la capacità taster di un individuo:

• Supertaster 25%,
• Normalmente taster 50%
• Non-taster 25%.

Il numero di papille gustative è un fattore genetico, il loro numero non varia con lo sviluppo ma
può cambiare la loro capacità di percezione dovuto ad una mancanza di proteine deputate al
riconoscimento.

Il gusto dolce è legato agli zuccheri, hanno una struttura tale che gli permette di incastrarsi
sulla proteina del dolce. È stato identificato sul mercato negli anni ’50 e ciò ci ha permesso di
capire i motivi strutturali legati alla molecola del dolce ed è da lì che sono nati i primi
dolcificanti. Il vantaggio di scoprire come funziona il dolce sta nel ricostruire come è fatto il
dolce e quindi ciò è legato ad aspetti di mercato.

✓ Nel 2019 è stato trovato un nuovo recettore ed è quello del grasso, il gusto nuovo si
chiama oleogusto ed è dovuto alla capacità della nostra bocca di percepire il grasso.

Ricordiamo che però non tutti gli zuccheri sono dolci e che abbiamo anche altre sostanze non
zuccherine che sono dolci come nel caso di AA dolci
I primi dolcificanti li ritroviamo all’epoca dei romani con uno sciroppo chiamato sapa derivante
dalla bollitura del vino in un recipiente di piombo che però ha portato tossicità ai consumatori.

Il potere dolcificante di una sostanza può essere espresso in:

• Valore di soglia, la più bassa concentrazione di una soluzione acquosa che può essere
percepita dolce. Per misurare il valore di soglia del saccarosio dovrei preparare 10
soluzioni e individuare quella al di sotto della quale non percepisco più il dolce.
• Potere dolcificante, relativo di una sostanza X rispetto al saccarosio. È il rapporto
delle concentrazioni di c di soluzioni di saccarosio e la molecola di interesse.

Ex. Il fruttosio risulta 1.5 volte più intenso, il lattosio è 0.33 ciò vuol dire che è 3 volte meno
dolce del saccarosio, il galattosio vale 0.5 quindi ha un potere dolcificante della metà rispetto
al saccarosio. Se decido di sostituire il saccarosio con il galattosio dovrò metterne di più, il
doppio, mentre il caso opposto accade con il fruttosio, essendo più dolce a sostituzione dovrò
metterne meno.

Quando vado a costruire un dolcificate di sintesi questo dovrà essere più dolce del saccarosio
in modo da ridurne la quantità d’utilizzato. Sono molecole o mix di molecole che vengono
progettate a tavolino o derivanti da fonti vegetali che possano avere una forte percezione del
dolce in bocca ma che non rientrino nel percorso di assimilazione degli zuccheri. Sono presenti
in alimenti di confetteria, bevande e in molti farmaci per mascherare il gusto amaro del
principio attivo.

Oggi tutto quello che è commercializzato sul suolo UE è testato, non dobbiamo avere paura dei
dolcificanti in sé, non sono molecole tossiche come spesso invece sono percepite, vanno assunti
nelle condizioni normali d’uso senza andare incontro ad un abuso; qualsiasi sostanza anche
l’acqua se si va incontro ad un abuso può dare problemi.

Quando parliamo di gusto amaro ci riferiamo a composti che derivano dalle piante,
riconoscere l’amaro per i primi ricercatori voleva dire riconoscere un pericolo. La chinina è una
molecola fortemente amara e si dice che l’acqua tonica e il gin tonic siano dati dalla volontà di
rendere questo antimalarico facilmente assimilabile.

Un’altra molecola amara molto importante è la caffeina, un alcaloide, una molecola azotata. È
una molecola stimolante del sistema nervoso centrale. La caffeina è la sostanza amara di
riferimento nel calcolo del potere amaricante.

Il gusto acido è legato al passaggio di ioni H+ nel nostro palato. Il tipo di acido influenza la
percezione di acidità, l’acido malico è preso come acido standard, ha un’acidità più fresca e
fruttata, simile all’acidità di un frutto maturo.

Il salato è legato alla presenza di ioni Na+, principalmente da NaCl.

L’umami è un termine giapponese che significa delizioso, è un gusto tipico infatti della loro
cultura. L’importanza biologica dell’umami sta nel riconoscere la presenza di proteine.
È il sapore dominante degli alimenti contenenti L-glutammato come il brodo di pollo, gli
estratti di carne, formaggi stagionati ma anche in prodotti derivanti dalla soia.

Chemestesi

La chemestesi, ossia le sensazioni di inganno, che ci portano a decodificare delle sensazioni


che in realtà non sono legate ai meccanismi gustativi. L’esempio classico è il piccante che va ad
ingannare i recettori termici per cui in bocca è avvertito come una sensazione di calore dovuta
ad un’irritazione termica.

Le sensazioni chemestetiche fondamentali sono quella del piccante, il rinfrescante dato dal
mentolo e l’astringente.

Il piccante è un meccanismo molto legato alle abitudini, chi è abituato a mangiare piccante
avrà una soglia del piccante più alta quindi lo sentirà molto meno rispetto a chi invece non è
abituato a mangiarlo. La molecola responsabile del piccante è la capsaicina ma abbiamo anche
altre molecole che danno questa sensazione ma in maniera più lieve come nel caso della
piperina derivante dal pepe nero e il gingerolo che troviamo nello zenzero. In questo ultimo
caso la cottura altera la percezione del piccante che provoca una rottura della molecola
ammorbidendo la percezione, al contrario della capsaicina.

È una delle poche sensazioni sensoriali che ha una scala detta “Scala di Scoville”, molto
importante nella classificazione di peperoncini.

L’effetto rinfrescante è dato dal mentolo che troviamo in molte erbe medicinali. Genera
questa forte sensazione di rinfrescante dovuto ad un inganno della percezione del freddo, ma
al contrario della capsaicina questo genera un abbassamento della T del cavo orale.

L’astringenza è una sensazione tattile che dona il classico effetto di legato in bocca dovuto al
fatto che l’alimento che conferisce questa sensazione è ricco di polifenoli e tannini che hanno
tanti gruppi OH in grado di H2O. L’H2O è presente nella nostra saliva dove abbiamo anche
proteine ed enzimi, e quando questi vanno incontro a polifenoli e tannini si andranno a formare
delle interazioni tra proteine e tannini. I tannini si dispongono attorno alle proteine e quando
questi complessi aumentano di dimensione raggiungendo delle dimensioni troppo elevate per
rimanere in soluzione precipitano creando una patina sulla lingua che dona questa sensazione di
legato in bocca.

Le due bevande più ricche di polifenoli e tannini sono il vino ed il tè; se noi aggiungiamo a
quest’ultimo un po' di latte si crea una leggera patina sulla superficie che indica la presenza di
tannini e che va a simulare la patina che si crea nel cavo oralo.
L’AROMA

Quando parliamo di aroma ci si riferisce alla parte olfattiva.

Abbiamo circa 1000 geni che sono dedicati alla decodifica della risposta olfattiva, 1000
recettori all’interno della nostra cavità nasale e ad oggi sono conosciuti circa 10000 odori
diversi.

L’olfatto è molto più legato alla memoria rispetto al gusto inoltre è evocativo di momenti della
nostra vita.

Una molecola che arriva all’interno della cavità nasale è come una pallina del flipper che va a
toccare diversi punti accendendo diverse luci, in questo caso le luci accese corrispondono a
determinate sensazioni che generano la codifica in risposta dei diversi recettori toccati.

Ancora più che il gusto è guidato dai valori soglia, se io voglio ricreare l’aroma di fragola per
uno sciroppo avrò 70/80 molecole ma solo alcune sono quelle più percepite, più importanti per
ricreare la percezione di questo aroma. È chiaro che però se io mangio una fragola e una
caramella alla fragola nella prima avrà un aroma molto più complesso e armonioso.

Quando ragioniamo su un alimento bisogna capire che tante fasi di produzioni di un alimento
portano ad una sua complessità organolettica, le materie prime portano a quelli che sono
definiti aromi primari. L’aroma primario è tutto ciò che viene dalle materie prime mentre
l’aroma secondario è tutto ciò che è dato dai processi di produzione come le fermentazioni.

Molti degli aromi secondari sono dati dalla reazione di Maillard e dalla degradazione
ossidativa.

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