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Master

in
“Medicina Ambientale”

Inquinamento dell’acqua da fonti di


radioattività naturale

Candidato Relatore
Mattia Lala Prof. Alessandro Miani

ANNO ACCADEMICO 2021/2022


Indice Generale
1. Introduzione ........................................................................................................................ 2
I. Abstract ............................................................................................................................ 2
2. L’acqua e la sua importanza ................................................................................................ 3
I. L’acqua ............................................................................................................................ 3
II. Principali contaminanti dell’acqua ............................................................................ 12
3. Radioattività Naturale ....................................................................................................... 19
I. Basi della radioattività naturale ..................................................................................... 19
II. Radon ......................................................................................................................... 20
4. Effetti della radioattività naturale sull’acqua .................................................................... 24
I. Quadro Normativo Italiano............................................................................................ 24
II. Radon e Acqua: Effetti sulla salute............................................................................ 34
III. Caso di Studio Tipico ................................................................................................ 37
5. Bibliografia........................................................................................................................ 46

1
1. Introduzione

I. Abstract

L’acqua è una sostanza, presente sulla terra nei suoi tre stati (solido, liquido e gassoso), unica
nel suo genere e differente da ogni altra sostanza presente sulla Terra. È vitale per il
sostentamento della vita, e senza di essa la nostra esistenza non potrebbe continuare. Ma quali
sono le caratteristiche fisico-chimiche che la rendono così speciale e soprattutto come deve
essere l’acqua affinché non danneggi il nostro organismo o l’ambiente? Qui di seguito si farà
un excursus generale sull’acqua, sulle sue caratteristiche e sugli inquinanti generali
focalizzandosi poi su un problema tanto sottovalutato quanto poco conosciuto, la radioattività
naturale da Radon. Si passeranno in rassegna dunque gli effetti di questa sull’acqua e quindi
sulla salute dell’uomo e dell’ambiente.

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2. L’acqua e la sua importanza

I. L’acqua

La presenza dell’acqua rende unico il nostro pianeta Terra. Questa è un composto chimico
formato da due atomi di idrogeno legati in modo covalente a un atomo di ossigeno. Si tratta di
una struttura semplice per un composto che alla vista si presenta incolore, insapore e inodore.
La sua formula chimica è H2O.

Ciò che caratterizza l’acqua rispetto a molti altri liquidi è la sua polarità, infatti questa
molecola è definita “polare” a causa di un polo debolmente negativo, che si trova vicino
all’ossigeno, e di un polo debolmente positivo, vicino all’atomo di idrogeno, ciò le permette
di sciogliere in soluzione moltissime sostanze, tra le quali sali minerali e oligoelementi. La
sua densità, il rapporto tra la massa e il volume, aumenta al diminuire della temperatura solo
fino a 4°C (punto di massima densità). Al di sotto di tale valore la densità torna a diminuire.
Questo è un comportamento atipico in quanto in tutti gli altri liquidi la densità aumenta
linearmente col diminuire della temperatura. Di seguito un grafico che esprime meglio questo
concetto.

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L’acqua esiste in tre stati: solido, fino a 0°C, liquido, a temperatura ambiente, gassoso, sopra i
100°C. La prima temperatura, 0°C, è detta punto di congelamento e lì l’acqua diventa
ghiaccio, mentre la seconda, 100°C, è detta punto di ebollizione, quando l’acqua diventa
vapore acqueo. Cambiando fase l’acqua muta solamente il suo aspetto, ma non la sua
composizione e le sue proprietà, infatti, le molecole d’acqua restano intatte e cambia solo la
loro distanza.

Al di là degli aspetti puramente chimici, la sostanza acqua così come utilizzata per gli
impieghi umani e animali non è composta solo dagli elementi base che la formano. L’acqua
totalmente pura non esiste in natura ed è sempre più raro trovarne fonti che non richiedano un
trattamento di purificazione prima del suo utilizzo. Ciò che si trova nell’acqua dipende dalla
fonte (geologia dei terreni, percorso fatto dall’acqua prima della sua captazione), dall’impatto
animale e vegetale e dall’impatto antropico (scarichi civili e industriali, agricoltura e
allevamento). Per meglio descrivere la composizione della sostanza è necessario partire dalla
fonte, ovvero la falda. Essa è tipicamente formata dai seguenti elementi: acquifero
superficiale, sede di falda libera (prima falda), depositi ghiaiosi e sabbiosi, acquifero
confinato o semi-confinato (seconda falda), argille impermeabili e arenarie permeabili.

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Tra gli acquiferi è spesso presente un acquitardo o acquicludo che li isola. Poi è possibile
definire le seguenti tipologie di acque: Acque sotterranee che, a differenza delle acque
superficiali, sono contenute nel sottosuolo in corpi idrici “nascosti”, le cui caratteristiche e
dimensioni possono essere determinate tramite apposite indagini;

Acque di piscine, ovvero “complessi attrezzati per la balneazione che comporti la presenza di
uno o più bacini artificiali utilizzati per attività ricreative, formative, sportive e terapeutiche
esercitate nell’acqua contenuta nei bacini stessi";

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Acque superficiali, con il quale si intendono tutte le acque interne con l'eccezione delle acque
sotterranee, ovvero l'insieme delle acque correnti di fiumi, torrenti, ruscelli e canali, delle
acque stagnanti di laghi e paludi, delle acque di transizione e delle acque marino-costiere
incluse nella linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque
territoriali. Le acque dei fiumi e dei laghi sono generalmente classificate come acque dolci,
per la bassa concentrazione di sali che le rende appropriate per l'uso potabile.

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Acque di transizione, ubicate in prossimità delle foci fluviali o contenute negli stagni a
ridosso della linea costiera, hanno parziale natura salina, essendo influenzate sia dai flussi
d'acqua dolce, corrente, sorgiva e piovana, sia dalla vicinanza delle acque marino-costiere;

Acque di balneazione, sono acque superficiali o parte di esse nelle quali l’autorità competente
prevede che venga praticata la balneazione e non ha imposto un divieto permanente di
balneazione;

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Acque marino-costiere, ovvero acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta
immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più
vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali,
e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione;

Acque minerali, quelle acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo,
provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche
particolari e, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute;

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Acque potabili, principalmente le acque distribuite tramite pubblici acquedotti, ma anche in
cisterne, in bottiglie e altri contenitori, impiegate per usi domestici, nelle industrie alimentari
e nella preparazione dei cibi e bevande;

Acque reflue, composte da tutti i rifiuti liquidi provenienti dalle attività fisiologiche
dell’uomo (metabolismo), oppure da sue attività lavorative primarie (agricoltura e
allevamento di bestiame) o secondarie (industria). Tali rifiuti contengono sostanze organiche
e inorganiche a volte molto nocive che, se immesse senza alcun trattamento di depurazione (o
con un trattamento incompleto o inefficace) nell’ambiente naturale, lo contaminano
gravemente con conseguenze a carico degli esseri che vivono nell’ambiente medesimo.

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Definite dunque in modo generale le tipologie di acque, la qualità della stessa destinata al
consumo umano costituisce un obiettivo di fondamentale importanza ai fini della difesa della
salute pubblica. Infatti, le malattie dovute alla sua contaminazione, soprattutto per tipologie di
acque potabili, rappresentano un rischio per la salute umana. Per questo motivo, l’attuale
normativa sulla tutela delle acque a uso umano prescrive il rispetto di requisiti minimi di
salubrità e qualità fisica, chimica, microbiologica e radiologica per le acque potabili. A tal
proposito, per garantire un’elevata qualità dell’acqua erogata agli utenti e minimizzare il
rischio idropotabile, è indispensabile fondare la gestione dei sistemi idrici sull’analisi dei
rischi. In particolare, negli ultimi anni è sempre più crescente l’attenzione ai cosiddetti
inquinanti emergenti, ovvero quelle sostanze nei confronti delle quali è sorto un forte
interesse, causato dalla loro scoperta nelle acque, ma anche dalla loro crescente diffusione
dovuta a cambiamenti tecnologici non necessariamente correlati alla potabilizzazione. Per far
fronte a questa crescente problematica in campo potabile, lo strumento di gestione del rischio
più recente e innovativo è il Piano di Sicurezza dell’Acqua o Water Safety Plan (WSP), che a
livello normativo è stato introdotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2004 e in
Italia nel 2017 1. Si tratta di un piano di sicurezza applicabile a qualsiasi filiera idropotabile

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Istituto Superiore di Sanità, https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/a/acqua-potabile#le-
normative
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che ha il principale obiettivo di ridurre al minimo il rischio di una possibile contaminazione
chimica, fisica, microbiologica o radiologica dell’acqua trattata.

Per quanto sopra esposto è assolutamente indispensabile indicare delle linee guida normate al
fine di garantire la qualità dell’acqua e quindi garantire la sicurezza degli utilizzatori. Per
l’acqua destinata al consumo umano la Direttiva Europea di riferimento è la 98/83/CE,
recepita in Italia come D.lgs n.31 del 2 febbraio 2001. Quest’ultimo è entrata in vigore il
18/03/2001 (GU n.52 del 3-3-2001 - Suppl. Ordinario n. 41). Lo stesso ha ricevuto nel 2005
una integrazione contenente le indicazioni per la valutazione e gestione del rischio nella filiera
delle acque destinate al consumo umano secondo il modello dei Water Safety Plans, già
precedentemente citato. Una nuova integrazione è stata fatta nel 2016 con l’attuazione della
direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che ha stabilito i requisiti per la
tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle
acque destinate al consumo umano. In particolare questo argomento sarà oggetto del seguente
lavoro di tesi, in quanto verranno evidenziati gli effetti della radioattività naturale, in
particolare da radon, sull’acqua di consumo 2.

Secondo il D.lgs n.31 i parametri da monitorare, contenuti nell’Allegati 1, sono distinti in due
categorie:

• Categoria 1, divisa a sua volta in Parte A (parametri microbiologici) e Parte B


(parametri chimici): un superamento del valore di parametro comporta sempre un
giudizio di non conformità;
• Categoria 2, comprendente la Parte C (parametri microbiologici e chimici): definiti
indicatori di variazione anomale per i quali il superamento del valore di parametro non
comporta necessariamente un giudizio di non conformità.

Il D.lgs n.31 prevende quindi specifiche tipologie di controlli con determinate frequenze di
campionamento fissate in base al volume d’acqua distribuita. In generale si attuano controlli
di routine e controlli di verifica. Per esempio al rubinetto si applica un controllo qualità ogni
tre giorni su parametri VOC (Composti Organici Volatili) e microbiologici e una volta ogni

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Istituto Superiore di Sanità, https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/a/acqua-potabile#le-
normative
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tre settimane vengono controllati tutti i parametri previsti dal D.lgs 31/2001. Nei pozzi invece
una volta ogni tre settimane vengono eseguiti tutti i controlli sui parametri di normativa.

Poiché anche il prelievo del campione ha un ruolo rilevante ai fini del risultato analitico finale
nella determinazione dei parametri chimici e microbiologici, il decreto norma la scelta del
contenitore, le modalità di campionamento, il tempo che intercorre tra il prelievo e l’arrivo in
laboratorio e la conservazione del campione.

II. Principali contaminanti dell’acqua

Le caratteristiche preliminari che un’acqua destinata al consumo umano deve avere affinché
venga etichettata come “accettabile” sono legate alle proprietà visive e organolettiche
dell’acqua stessa. In termini di aspetto, sapore e odore, dunque, un’acqua “accettabile” deve
essere limpida, incolore, inodore, insapore (entro determinati limiti), deve contenere un
quantitativo minimo di sali minerali (in genere si attesta un residuo fisso a 180°C compreso
tra 100 e 600 mg/L), deve essere chimicamente pura ovvero esente da sostanze chimiche
tossiche o dannose e microbiologicamente pura ovvero esente da batteri patogeni o altre
sostanze biologiche tossiche o dannose. Si passeranno di seguito brevemente in rassegna
quelli che sono i contaminanti tipici delle acque:

• Contaminanti biologici: questi sono sempre impattanti su aspetto, sapore e odore.


Esistono numerosi organismi biologici che spesso non hanno alcun impatto sulla
salute pubblica, ma che sono comunque indesiderati perché producono un sapore e/o
un odore inaccettabili. Oltre a influire sull'accettabilità dell'acqua, indicano che il
trattamento dell'acqua e/o lo stato di manutenzione del sistema di distribuzione sono
insufficienti. Tra questi abbiamo attinomiceti e funghi, cianobatteri e alghe, animali
invertebrati, ferro batteri, geosmina, 2-metil isoborneolo, cianotossine e depositi
rugginosi. Il limite minimo di sapore accettabile si raggiunge già a pochi ng per litro di
questi contaminanti.
• Contaminanti chimici: sono impattanti su aspetto, sapore e odore dell’acqua. Questi
sono tipicamente l’alluminio (Usato come coagulante nei trattamenti), L’ammoniaca
(che reagendo con il cloro forma le cloroammine), le cloroammine

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(monocloroammina, dicloroammina e tricloroammine), cloruri (Cl-), cloro (Cl2),
clorobenzeni, clorofenoli, rame (generalmente rilasciato dalla corrosione delle
tubature), ossigeno disciolto (O2), etilbenzene, solfuro di idrogeno (H2S), ferro,
manganese, oli derivati dal petrolio (benzene, etilbenzene, toluene, xilene), sodio,
stirene, solfatodetergenti sintetici, zinco e materiali organici colorati (acidi fulvici e
umici).

I suddetti contaminanti vengono misurati attraverso strumentazioni specifiche quali gli


spettrometri e i colorimetri, per quanto concerne l’aspetto, e tramite tecniche particolari di
laboratorio per quanto concerne sapore e odore.

I solidi sono un’altra tipologia di contaminante dell’acqua. Questi possono essere sospesi
(solidi presenti in un’aliquota di campione d’acqua raccolti per filtrazione su un filtro a
membrana e determinati per via gravimetrica dopo essiccamento del filtro), disciolti
(materiale disciolto in un’acqua naturale o di scarico e che permane in una capsula, dopo
evaporazione di un campione d’acqua, previamente filtrato e conseguentemente essiccato),
solidi fissi e volatili a 600°C (stima grossolana della sostanza organica contenuta nella
frazione solida di un’acqua di scarico o di un fango attivo, i residui solidi totali disciolti e
solidi sospesi totali vengono inceneriti alla temperatura di 600°C per un’ora e la frazione
solida rimanente rappresenta i solidi fissi, mentre la frazione perduta nel riscaldamento
rappresenta i solidi volatili) e sedimentabili (solidi che sedimentano quando il campione di
acqua in esame viene lasciato in condizioni di quiete per un periodo di tempo determinato).
Tra gli effetti generati dai solidi nell’acqua vi è la torbidità, ovvero la riduzione di trasparenza
dovuta alla presenza di sostanze in sospensione o di materiale colloidale.

Le altre altra proprietà dell’acqua da tenere in considerazione sono la conduttimetria e la


salinità. Un materiale possiede la proprietà di conduttività elettrica quando sono presenti in
esso particelle cariche libere di muoversi al suo interno. La conduttività specifica di una
soluzione è il risultato del movimento di tutti gli ioni in soluzione sotto l’influenza di un
campo elettrico. In termini generali una misura di conduttività fornisce una indicazione
globale degli elettroliti presenti in una soluzione. La salinità determina il rapporto tra la
conducibilità del campione e quella di una soluzione di riferimento (acqua di mare standard
IAPSO), misurate entrambe alla stessa temperatura.

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Il pH è una grandezza fisica che indica l'acidità, e quindi la basicità, di una sostanza. Si basa
su una scala logaritmica tarata da 0 a 14, dove 0 rappresenta la massima acidità e 14 la
massima basicità. È fondamentale anche per l’acqua misurare il pH al fine di definire la giusta
acidità del campione. Valori estremi di questo parametro stanno in genere a indicare problemi
nei trattamenti, inquinamento e rotture d’impianto, in quanto il pH dell’acqua è alterato dalla
presenza di altre sostanze che possono variare l’acidità quanto la basicità. Le acque naturali si
dovrebbero presentare normalmente con un pH compreso tra 6.5 e 8.5. In genere l’acqua
tende all’acidità in presenza di anidride carbonica libera, acidi minerali e sali acidi forti con
basi deboli (Cl-, SO42-, NO3-), mentre presenta un pH basico in presenza di HCO3-, CO32- e
idrati.

Tra gli altri parametri chimico-fisici rientra anche la durezza causata dalla presenza di sali di
metalli alcalino-terrosi, come calcio e magnesio. Di per sé la durezza non causa grossi
problemi di salute e, in molti casi, un alto contenuto di magnesio aiuta a prevenire le malattie
cardiovascolari e altre patologie. Però, un’acqua troppo dura può generare un sapore
sgradevole.

Le sostanze che in acqua possono procurare possibili effetti avversi, talvolta seri, alla salute
umana e all’ambiente sono denominati “chemical hazards”. L’effetto di questi può essere sia
istantaneo che a lungo termine e dipende sempre dalla concentrazione delle sostanze. Queste
sostanze, che devono essere ben identificate per ragioni di sicurezza, sono tipicamente
contaminanti chimici e possono essere identificate senza limite di soglia (carcinogenici e
genotossici) o con limite di soglia. La IARC (International Agency for Research on Cancer)
ha raccolto queste sostanze in quattro gruppi in base alla loro pericolosità e cancerogenicità.

Le fonti tipiche di contaminazione per questi inquinanti (e per gli inquinanti in generale)
sono: rotture di impianti e apparecchiature, rotture di serbatoi, pozzi perdenti, scarichi, rotture
di fognature, depositi di rifiuti (stoccaggi di materie prime, stoccaggi di rifiuti, rifiuti interrati,
discariche abusive o controllate e sversamenti), deiezioni umane e animali.

Molte sostanze chimiche possono derivare direttamente dagli ambienti naturali, come
sostanze inorganiche generate da rocce e suolo od organiche provenienti da residui di piante,
alghe e micro-organismi. Anche in questo caso le fonti principali sono gli scarichi diretti e

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l’uso e/o lo smaltimento di materiali che contengono tali sostanze. Pertanto buone pratiche di
gestione dei rifiuti sono fondamentali per prevenire la diffusione di questi agenti.

Tra le sostanze degli ambienti naturali, utilizzate per attività agricole e salute pubblica, che
possono contaminare l’acqua si annoverano: i nitrati (NO3-) derivati dalle piante in
decomposizione, dai fertilizzanti e dai liquami animali; i nitriti (NO2-) difficilmente presenti
in concentrazioni significative; larvicidi e pesticidi oltre che insetticidi in generale.

Da non escludersi poi le cattive pratiche quotidiane dell’uomo come ad esempio lo scarico di
oli alimentari direttamente nella rete acquifera. Basti pensare che un solo litro di olio esausto
può inquinare un milione di litri di acqua di falda e che ogni anno in Italia mediamente
vengono prodotte 280 mila tonnellate di olio alimentare esausto.

Ovviamente come già precedentemente accennato, le deiezioni umane e animali costituiscono


fonti di inquinamento in quanto portano la proliferazione di batteri patogeni. Virus e parassiti.
Questi possono causare effetti sulla salute pubblica e sono spesso aggregati o aderiscono ai
solidi sospesi nell'acqua, favorendo l’espansione con concentrazioni variabili. L’effetto di
questi agenti e l’influenza sui parametri microbiologici, sono purtroppo causa dei continui
cambiamenti globali, come lo sviluppo umano, la crescita della popolazione e i cambiamenti
climatici. Basti pensare che nel periodo che va dal 1972 al 1999 l’Organizzazione Mondiale
della Sanità ha riconosciuto ben 35 nuovi agenti patogeni. Tra i vari nuovi virus non può non
essere annoverato anche il Coronavirus 2019, che ancora oggi rimane attivo e influenza la
quotidianità del mondo.

Passati in rassegna gli inquinanti più comuni che è possibile ritrovare nelle varie tipologie di
acque e che possono influenzare il benessere umano e naturale, di seguito si approfondirà
l’inquinamento di questo vettore di vita da parte della radioattività naturale e in particolare del
radon, gas spesso sconosciuto che può avere gravi conseguenze sulla salute umana se non
trattato con la giusta attenzione.

Il radon è un gas solubile in acqua e questa solubilità aumenta al diminuire della temperatura.
Dunque, il radon, può essere trasportato dalle acque che scorrono nel sottosuolo, dato che può
trovarsi in soluzione in esse. Inoltre, se gli spazi interstiziali sono saturi, il coefficiente di
diffusione assume un valore molto basso, pertanto in questi casi il trasporto per mezzo fluido

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diviene il meccanismo predominante, soprattutto nel caso di veloci spostamenti dei corsi
d’acqua di falda che implicano un significativo aumento del radon liberato. Rilevare
correttamente il contenuto di radon delle acque di falda è molto importante soprattutto per le
acque destinate al consumo umano. Tra i primi studi a riguardo, circa la concentrazione di
radon nelle acque, si può citare una ricerca condotta in Olanda riferita a campioni di acque di
rubinetto, che provenivano da falde sotterranee. A seguito di misurazioni sono stati riscontrati
valori elevati di concentrazioni di radon nelle acque che scorrono nelle cavità e nelle fratture
delle rocce, che dipendevano da fattori geochimici e geologici locali, come la presenza di
faglie o l’alto contenuto di uranio nelle fratture e nelle fessure. Da questi studi si è evinto che
una delle ragioni delle alte concentrazioni di radon è dovuta alla presenza dell’uranio
esavalente nelle rocce. Questo, per via della sua solubilità, si discioglie nelle acque a causa
dell’azione delle falde sulle rocce. A seguito di ciò, l’uranio e suoi derivati precipitano nelle
fessure e nelle cavità dei letti d’acqua (per esempio a causa di reazioni chimiche non
controllate) e l’acqua, entrando in contatto con queste superfici, si arricchisce di radon. È stato
Dimostrato, a tal proposito, che il radon Rn-222 non è in equilibrio secolare con l’uranio U-
238 e con il radio Ra-226 nell'acqua. Pertanto, il maggior contributo da parte dell’uranio U-
238 e del radio Ra-226 necessario per un elevato contenuto di quest’ultimo elemento deve
derivare da radionuclidi presenti localmente nella roccia. Anche in questo caso, però, la
concentrazione di radon che si può rinvenire dipende non solo dal contenuto di uranio e radon
nelle rocce circostanti, ma anche dalla posizione degli atomi di radio. Ad esempio, durante
uno studio compiuto nel 1991, si misurarono le concentrazioni di uranio, radio e radon
disciolte in diversi campioni di acqua. In ogni campione, si notò che le concentrazioni di
uranio e radio disciolti erano molto minori rispetto a quelle del radon. Tuttavia, la quantità
totale di radon che sarebbe potuta essere generata dalle rocce dell’acquifero, dato il loro
contenuto di uranio, è molto più elevata delle concentrazioni osservate nelle acque
sotterranee. Pertanto, tale risultato è giustificato dalle efficienze di emanazione delle rocce
dell'acquifero studiate, che devono essere prossime al 10% o ancora minori. A causa di queste
basse efficienze di emanazione, per osservare tali concentrazioni di radon in acqua, è
necessaria una frazione di radio Ra-226 nella roccia che si trovi vicino all'interfaccia acqua-
roccia, così che il radon Rn-222, una volta generatosi, possa essere trasferito in modo rapido
ed efficace alla fase acquosa. Chiaramente, anche per quel che riguarda il contenuto di tale
gas nelle acque sotterranee ha molta importanza il tipo di suolo circostante. Ad esempio, in
Finlandia si è dimostrato che le concentrazioni di radon nelle acque sotterranee sono più

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elevate nel sud del paese, dove si rinvengono rocce composte da graniti o migmatiti con
abbondante presenza di granito o pegmatite, mentre in Polonia sono molte le rocce
metamorfiche, principalmente gneiss, che presentano alti contenuti di uranio, torio e radio.
Sempre in tali località polacche, si è stimato il coefficiente di emanazione del radon da rocce
cristalline in acque sotterranee. Da un primo studio si è evinto che i valori stimati del
coefficiente di emanazione per le rocce cristalline dei Monti Sudeti sono compresi in un range
fra 0,07 e 0,41. Tuttavia, si deve tener conto di alcuni errori di stima della porosità, della
saturazione e della densità della roccia, per cui da successivi calcoli sono stati ricavati i valori
corretti, che variano da 0,05 a 0,60. I valori più elevati di tale coefficiente di emanazione,
ossia 0,21, 0,33 e 0,41, sono stati ottenuti per campioni di rocce prelevati in aree di
dislocazione tettonica, mentre quelli più bassi per rocce campionate fuori da zone di
dislocazione (0,07 e 0,09). I risultati mostrano che il coefficiente di emanazione delle rocce
può avere un'elevata influenza sulla concentrazione di radon nelle acque sotterranee rispetto al
contenuto di radio delle rocce del bacino idrico.

Per quanto concerne le acque di falda che vengono prelevate dai pozzi, viene riportato che in
campioni di acqua raccolti da singoli pozzi, per periodi di vari mesi, si sono verificate
fluttuazioni significative circa il contenuto di radon disciolto. Queste fluttuazioni possono
essere dovute sia ai cambiamenti stagionali della falda freatica, che determinano un diverso
contributo delle varie zone di provenienza dell’acqua all'interno del pozzo, sia alle tensioni di
pompaggio. In ogni caso, la concentrazione media del radon contenuto nelle acque di falda
varia di solito fra 10 e 200 Bq/litro (il becquerel [Bq] è l'unità di misura del sistema
internazionale dell'attività di un radionuclide definito come l'attività di un radionuclide che ha
un decadimento al secondo perciò dimensionalmente equivale a [s-1]). Tuttavia, si possono
riscontrare anche concentrazioni superiori a 1000 Bq/litro, specie in acque sotterranee a
diretto contatto con rocce molto ricche di uranio, come ad esempio graniti. Inoltre, la presenza
di uno strato superiore di argilla può agire da confinamento, aumentando il contenuto di radon
nelle acque sottostanti.

Alcune concentrazioni territoriali del radon in acqua sono le seguenti: negli Stati Uniti, la
concentrazione media di radon Rn-222 nelle acque sotterranee risulta pari a 350 pCi/litro (1
Curie [Ci] è circa l’attività di un grammo di Ra-226); in alcuni terreni del Maine, con un
contenuto di uranio che varia da 0,001% a 0,40%, il valore della concentrazione di radon è

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risultato essere anche di 1000000 pCi/litro, molto al di sopra della media nazionale; in Italia,
un caso studio particolare sulle falde carsiche in Puglia, ha evidenziato che l'attività del radon
Rn-222 nelle falde acquifere pugliesi può essere pari a 500 Bq/litro, a livello locale, tuttavia la
normale attività del radio Ra-226 nel calcare e nelle dolomie calcaree della falda acquifera
non è sufficiente per giustificare un livello così alto. Le indagini di laboratorio hanno dunque
identificato il maggior contributo dovuto all'attività del radio Ra-226 nella "terra rossa",
ovvero un residuo che occupa fessure e cavità nel substrato roccioso. La cosiddetta "terra
rossa", dunque, è in questo caso la fonte principale del radon nelle falde acquifere.

Passati brevemente in rassegna anche gli effetti della radioattività naturale del radon
sull’acqua, si entrerà più nel dettaglio sull’effettiva natura di questo elemento naturale nel
prossimo capitolo.

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3. Radioattività Naturale

I. Basi della radioattività naturale


Le fonti di radioattività nell’ambiente possono essere di origine naturale o artificiale. La
presenza di radioattività artificiale è dovuta principalmente ai test atomici effettuati nel secolo
scorso e agli incidenti nucleari quale primo fra tutti l’incidente di Chernobyl del 1986. Inoltre
in assenza di eventi incidentali, la principale fonte di esposizione a radiazioni ionizzanti di
origine artificiale è quella medico-diagnostica. A questa va aggiunto l’utilizzo di radionuclidi
artificiali in alcune applicazioni industriali, nonché l’uso non controllato di materiali
contenenti sorgenti artificiali, le cosiddette sorgenti “orfane”. L’esposizione più rilevante
della popolazione alle radiazioni ionizzanti è, però, quella derivante dal fondo naturale. Nella
radioattività naturale si distinguono una componente di origine cosmica (raggi cosmici) e una
di origine terrestre (dovuta ai radionuclidi primordiali presenti nella crosta terrestre fin dalla
sua formazione). Tra le fonti di radioattività naturale di origine terrestre sono da annoverare i
prodotti di decadimento del radon che rappresentano in assoluto la principale fonte naturale di
esposizione a radiazioni ionizzanti per la popolazione. In aria aperta, il radon, si disperde
rapidamente non raggiungendo quasi mai concentrazioni elevate, mentre nei luoghi chiusi
(case, scuole, ambienti di lavoro, ecc.) tende ad accumularsi fino a raggiungere, in particolari
casi, concentrazioni ritenute inaccettabili in quanto causa di un rischio eccessivo per la salute.
Ogni anno in Italia sono attribuiti all’esposizione al radon circa 3400 tumori polmonari su un
totale di 31000 casi. Occorre, inoltre, aggiungere tra le fonti di radioattività naturale quella
derivante da particolari lavorazioni e attività industriali di materiali contenti radionuclidi
naturali (“Naturally Occurring Radioactive Material” denominati NORM) che possono
comportare un significativo aumento dell’esposizione della popolazione e dei lavoratori 3.

3
www.isprambiente.gov.it
19
II. Radon
Il radon è l'elemento chimico con numero atomico 86 che nella tavola periodica viene
rappresentato dal simbolo Rn. Scoperto nel 1899 da Robert B. Owens e Ernest Rutherford, è
un gas nobile e radioattivo che si forma dal decadimento α del radio, generato a sua volta dal
decadimento α dell'uranio. Polonio e bismuto sono i prodotti, estremamente tossici, del suo
decadimento. È un gas molto pesante e pericoloso per la salute umana se inalato in quantità
significative. È presente in tutta la crosta terrestre e si trova nel terreno e nelle rocce in
quantità variabile. Il suolo è dunque la principale sorgente del radon che arriva nelle
abitazioni. I materiali edili che derivano da rocce vulcaniche (come il tufo), estratti da cave o
derivanti dalle lavorazioni dei terreni, sono ulteriori sorgenti di questo elemento. Essendo un
gas, il radon può spostarsi e sfuggire dalle porosità del terreno disperdendosi nell’aria o
nell’acqua. Grazie alla forte dispersione di questo elemento in atmosfera, all’aperto la
concentrazione di radon non raggiunge mai livelli elevati ma, nei luoghi chiusi (case, uffici,
scuole, ecc.) può arrivare a valori che comportano un rischio rilevante per la salute dell’uomo,
specie per i fumatori. Il radon si distribuisce uniformemente nell’aria di una stanza, mentre i
suoi prodotti di decadimento si attaccano al particolato, come polveri e aerosol, dell’aria che
respiriamo e si depositano sulle superfici dei muri, dei mobili e dei pavimenti. La maggior
parte del radon che inaliamo viene espirata prima che decada ma una piccola quantità si
trasferisce nei polmoni, nel sangue e, quindi, negli altri organi, mentre i prodotti di
decadimento si attaccano alle pareti dell’apparato respiratorio e qui irradiano (tramite
radiazioni alfa) principalmente le cellule dei bronchi 4.

Per quanto detto sopra, questo gas può essere una fonte di radioattività naturale anche per
l’acqua, generando conseguenze talvolta molto gravi per la salute pubblica. Si può trovare,

4
Istituto Superiore di Sanità, https://www.epicentro.iss.it/radon/
20
infatti, anche nell’acqua potabile con concentrazioni molto variabile sia dal punto di vista
spaziale che temporale e, anche se con incidenza minore rispetto alla sua presenza in
atmosfera, può rappresentare una fonte di esposizione per lo stomaco a radiazioni ionizzanti 5.

Per la maggior parte delle persone, la principale esposizione al radon avviene in casa, nei
luoghi di lavoro e nelle scuole. La concentrazione dipende da quanto uranio (da cui deriva il
radon) è presente nel terreno sottostante l’edificio. Il gas migra dal suolo (o dai materiali da
costruzione) e penetra all’interno degli edifici attraverso le fessure (anche microscopiche), gli
attacchi delle pareti al pavimento e i passaggi dei vari impianti elettrici, termici e idraulici. Di
conseguenza, i livelli di radon sono generalmente maggiori nelle cantine e ai piani bassi e
seminterrati.

Sono da considerarsi anche le forti variazioni sia spaziali che temporali: edifici vicini possono
avere concentrazioni molto diverse e in genere vi sono forti variazioni tra giorno e notte,
estate e inverno e tra diverse condizioni meteorologiche. A causa di queste fluttuazioni, per
avere una stima precisa della concentrazione media di radon in un edificio è necessario fare
una misurazione per una durata sufficientemente lunga, preferibilmente un anno, per la quale
si utilizza un piccolo dispositivo in cui è presente un materiale che, essendo sensibile alle
particelle alfa emesse durante il processo di decadimento del radon, rimane impresso con
tracce indelebili. Il numero di tracce rilevate sul materiale è proporzionale alla concentrazione
del gas nell’ambiente. Il principale danno per la salute (e l’unico per il quale si abbiano al
momento evidenze epidemiologiche) legato all’esposizione al radon è un aumento
statisticamente significativo del rischio di tumore polmonare. A livello mondiale, il radon è
considerato il contaminante radioattivo più pericoloso negli ambienti chiusi ed è stato valutato
che il 50% circa dell’esposizione media delle persone a radiazioni ionizzanti è dovuta al
radon.

In realtà, il pericolo per la salute dell’uomo viene non tanto dal radon in sé, ma dai suoi
prodotti di decadimento che, essendo elettricamente carichi, si attaccano al particolato
dell’aria e penetrano nel nostro organismo tramite le vie respiratorie. Quando questi elementi
“figli” si attaccano alla superficie dei tessuti polmonari, continuano a decadere e a emettere
particelle alfa che possono danneggiare in modo diretto o indiretto il DNA delle cellule. Se il

5
Istituto Superiore di Sanità, https://www.epicentro.iss.it/radon/
21
danno non dovesse essere riparato correttamente dagli appositi meccanismi cellulari, può
evolversi dando origine a un processo cancerogeno. Molti Paesi hanno emanato normative e
raccomandazioni per far sì che i livelli di concentrazione del radon non superino determinati
valori di riferimento, detti anche “livelli di azione”.

Un esempio di raccomandazione è quella pubblicata nel 1990 dalla Commissione Europea


CEC 90/143 che indicava un livello di riferimento di 400 Bq/m3 per le abitazioni. L’Italia, a
differenza di diversi altri Paesi europei, non ha recepito questa raccomandazione, né adottato
altra norma specifica per il radon per gli edifici abitativi. In alcuni casi, però, i valori
specificati dalla CEC 90/143 sono stati utilizzati come riferimento. A seguito dei risultati dei
numerosi studi epidemiologici effettuati negli ultimi 20 anni e della conseguente rivalutazione
del rischio di tumore polmonare associato all'esposizione al radon nelle abitazioni, nel 2009
l'OMS ha pubblicato il rapporto “WHO Handbook on Indoor Radon: A Public Health
Perspective” nel quale si raccomanda che i paesi adottino possibilmente un livello di
riferimento di 100 Bq/m3 o comunque non superiore a 300 Bq/m3. Il rapporto dell’OMS ha
avuto un notevole impatto nel processo di revisione delle normative internazionali e, in
particolare per quanto riguarda l’Europa, un livello di riferimento non superiore 300 Bq/m3 è
stato inserito nella Direttiva Europea in materia di radioprotezione del 2012, che l’Italia è
stata obbligata a recepire. Di conseguenza il livello di riferimento 400 Bq/m3 incluso nella
raccomandazione Europea del 1990 va considerato superato dalle più recenti normative
internazionali e quindi, in assenza di una normativa nazionale, non può più essere preso come
riferimento temporaneo. Altri Paesi europei hanno già normative in materia, anche se spesso a
carattere di semplice raccomandazione, nelle quali sono adottati come livelli di azione valori
compresi tra 150 e 1000 Bq/m3, per esempio: Stati Uniti 150 Bq/m3, Regno Unito e Irlanda
200 Bq/m3, Germania 250 Bq/m3, Svezia 400 Bq/m3. Molti di questi Paesi dovranno a breve
aggiornare le loro normative, a seguito dell’emanazione della citata Direttiva Europea e di
un’analoga normativa internazionale per i Paesi non Europei. Importante anche rispettare i
limiti sulla concentrazione di radon negli ambienti di lavoro: in Italia, con il Decreto
Legislativo 26/05/00 n. 241, è stato fissato un livello di 500 Bq/m3, superato il quale il datore
di lavoro deve valutare in maniera più approfondita la situazione e, se il locale dovesse essere
sufficientemente frequentato da lavoratori, intraprendere azioni di bonifica. La concentrazione
di radon deve essere misurata in tutti i luoghi di lavoro sotterranei. Inoltre, le Regioni devono
produrre una mappatura del territorio che identifichi le zone più a rischio e in cui è necessario

22
misurare la concentrazione di radon anche nei locali non sotterranei, con priorità per i locali
seminterrati e al piano terra.

Per quanto concerne l’acqua potabile, le linee guida fornite dall’Oms e dalla Commissione
europea raccomandano un’intensificazione dei controlli se la concentrazione di radon nelle
riserve di acqua supera i 100 Bq/litro. Gli Stati Uniti hanno proposto un limite massimo di
159 Bq/litro per le riserve private d’acqua. La Commissione europea raccomanda azioni
immediate oltre i 1000 Bq/litro. In Italia, il Consiglio superiore di sanità ha raccomandato che
la concentrazione di radon nelle acque minerali e imbottigliate non superi i 100 Bq/litro (32
Bq/litro per le acque destinate ai bambini e ai lattanti) 6.

Nel capitolo successivo verrà passato più nel dettaglio in rassegna il quadro normativo
italiano ed Europeo legato alla radioattività naturale e al radon in particolare.

6
Istituto Superiore di Sanità, https://www.epicentro.iss.it/radon/
23
4. Effetti della radioattività naturale sull’acqua

I. Quadro Normativo Italiano

Per quanto riguarda il quadro normativo italiano inerente al problema radon, questo è molto
complesso e presenta alcune contraddizioni e lacune. Tuttavia, le leggi italiane in questione
costituiscono principalmente un recepimento di alcune direttive Europee, pertanto è
necessario dapprima analizzarne alcuni aspetti. A livello Europeo si deve citare la
Raccomandazione 90/143/Euratom del 21 febbraio 1990, che fu emanata sulla base della
crescente consapevolezza del pericolo dell’esposizione al radon in ambienti chiusi per la
popolazione, tenendo anche conto del fatto che diversi stati membri stavano già impostando
politiche per il controllo di tale problema. In generale, per quanto una Raccomandazione
nell’ordinamento Europeo non ha efficacia vincolante (art.288, Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea) e viene emanata quando si ritiene che non vi sia ragione di ricorrere a
norme vincolanti, invita gli Stati membri ad adeguarsi a un certo comportamento. Nel caso in
questione, la raccomandazione fu emanata dopo l’istituzione di un gruppo di esperti, che ha
esaminato il problema e ha poi elaborato alcune proposte. In particolare, nell’ambito di tale
lavoro, da controlli effettuati negli Stati membri fu dimostrato che le concentrazioni medie di
radon all'interno delle abitazioni oscillavano tra i 20 e i 50 Bq/m3, mentre i valori outdoor
erano molto più bassi. Tuttavia, anche confrontata con altre forme di radiazioni naturali, si
notò una forte variabilità dei livelli di radon in ambienti chiusi, infatti in molti paesi diverse
abitazioni presentavano livelli di radon molto superiori alla media. Pertanto, esaminando
anche diversi studi epidemiologici condotti su minatori e in generale sull’esposizione al radon
in ambienti chiusi, la Commissione ritenne prudente formulare alcune raccomandazioni,
auspicando di istituire “un sistema adeguato per ridurre qualsiasi esposizione a concentrazioni
di radon in ambienti chiusi”, in modo da reagire alle crescenti preoccupazioni della
popolazione e focalizzarsi verso un’adeguata informazione della stessa. A livello tecnico, poi,
vengono raccomandati livelli di riferimento diversi tra edifici esistenti e di nuova costruzione,
evidenziando come negli edifici di nuova costruzione si debbano intraprendere necessarie
misure preventive. Queste devono essere basate su adeguate norme progettuali e costruttive.
Infatti, negli edifici esistenti il livello di riferimento raccomandato è pari a una dose effettiva
equivalente di 20 mSv/anno (il sievert [Sv] è l'unità di misura del Sistema Internazionale della
dose equivalente e della dose efficace di radiazione, misure degli effetti e del danno provocato
24
dalla radiazione su un organismo), che coincide con un valore della concentrazione media
annuale di radon di 400 Bq/m3, e qualora sia superato tale livello è necessario informare la
popolazione e adottare provvedimenti correttivi efficaci. Invece per gli edifici da costruire si
raccomanda un livello di progettazione pari a 1026 mSv/anno, equivalente a una
concentrazione media di 200 Bq/m3. Chiaramente, sia i provvedimenti correttivi che quelli
preventivi devono essere applicati “in armonia con le fondamentali norme comunitarie di
sicurezza”. La raccomandazione pone poi l’attenzione sulla necessità di eseguire misurazioni
per determinare i valori medi annuali di radon negli edifici, a causa delle variazioni
giornaliere e stagionali. Tali misurazioni devono essere eseguite con tecniche complementari
e devono essere affidabili.

Successivamente, fu emanata la Direttiva 96/29/Euratom riguardante la protezione sanitaria


contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti per la popolazione e per i lavoratori. Una
direttiva, al contrario di una raccomandazione, è dotata di efficacia vincolante, ossia “vincola
lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la
competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi” (art.288, Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea). La direttiva in esame fu recepita in Italia dal D.Lgs.
241/2000 e stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria
contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti 7. In particolare, chiede di individuare le
attività lavorative a rischio, ma anche di eseguire opportuni controlli e di adottare determinati
limiti per gli ambienti di lavoro. Per quanto concerne il campo di applicazione, infatti, si fa
riferimento all’Articolo 2, secondo cui tale direttiva “si applica a tutte le pratiche che
implicano un rischio dovuto a radiazioni ionizzanti provenienti da una sorgente artificiale o da
una sorgente di radiazione naturale”, come la produzione, la lavorazione, la manipolazione,
l'impiego, la detenzione, l'immagazzinamento, il trasporto, l'importazione, l'esportazione, lo
smaltimento di sostanze radioattive, così come ogni altra attività lavorativa che implica la
presenza di sorgenti di radiazioni naturali e comporta un significativo aumento
dell'esposizione di lavoratori o di individui della popolazione 8. Non si fa però riferimento
all'esposizione al radon nelle abitazioni così come ai radionuclidi contenuti nell'organismo
umano, alla radiazione cosmica presente al livello del suolo e all'esposizione in superficie ai
radionuclidi presenti nella crosta terrestre non perturbata.

7
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32013L0059
8
https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2436_allegato.pdf
25
Inoltre, molto importante è la classificazione dei lavoratori. Innanzitutto, nelle definizioni
contenute all’Articolo 1, si fa riferimento ai lavoratori esposti come alle persone, sia
lavoratori autonomi che dipendenti, sottoposte a esposizioni derivanti dalle pratiche lavorative
contemplate nella direttiva in esame “che possono comportare dosi superiori a uno qualsiasi
dei limiti di dose uguali a quelli fissati per individui della popolazione”. Per tali lavoratori
sono previsti limiti d’età, limiti di dose, obblighi di protezione e obblighi di informazione e
formazione per le imprese verso tali lavoratori, ma si fa distinzione anche fra due categorie di
lavoratori esposti. Infatti, all’Articolo 21 si identifica la categoria A, comprendente “i
lavoratori esposti che possono ricevere una dose efficace superiore a 6 mSv/anno o una dose
equivalente superiore a 3/10 dei limiti di dose per il cristallino, la pelle e le estremità del
corpo”, mentre la categoria B comprende “i lavoratori esposti che non sono classificati quali
lavoratori esposti della categoria A” 9. Chiaramente, i lavoratori non esposti sono invece
sottoposti, durante l’attività lavorativa, a una esposizione che non comporta dosi superiori ad
uno qualsiasi dei limiti di dose uguali a quelli fissati per individui della popolazione.

Si deve citare anche la Raccomandazione 2001/928/Euratom, relativa alla tutela della


popolazione contro l’esposizione al radon nell’acqua potabile. Infatti, sulla base di
misurazioni che mostrarono concentrazioni elevate di radon in diverse falde freatiche, in
particolare in regioni dove vi è presenza di roccia cristallina, e tenendo conto che le
concentrazioni di radon nell'acqua potabile in alcuni casi espongono la popolazione a dosi
addizionali che non possono essere ignorate, almeno da un punto di vista della protezione
dalle radiazioni, diversi Stati membri definirono strategie per controllarne il dosaggio.
Pertanto, fu necessario emanare una raccomandazione, il cui obiettivo era quello di “fornire
agli Stati membri un orientamento per mettere a punto i controlli dell'esposizione causata dal
radon e dai prodotti di decadimento del radon presenti nell'acqua potabile”. In tale
raccomandazione viene stabilito che per la fornitura di acqua dalla rete pubblica o
commerciale “oltre una concentrazione di 100 Bq/litro, gli Stati membri devono definire un
livello di riferimento per il radon, da utilizzare per stabilire se occorrano azioni correttive per
tutelare la salute umana. Inoltre, viene stabilito che, se vi fosse un motivo specifico per
sospettare che il livello di riferimento possa essere superato, sono obbligatorie misurazioni
della concentrazione di radon. Infine, è necessario intraprendere azioni correttive qualora le
misurazioni indichino che il radon presente nell'acqua delle condutture contribuisce

9
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32013L0059
26
significativamente al superamento della soglia definita per la presenza di radon in ambienti
chiusi. Chiaramente, nel caso in cui notevoli quantitativi di radon derivino dall'acqua,
l'esposizione dei lavoratori al radon inalato negli stabilimenti, in particolare nelle aziende di
erogazione dell'acqua, nelle terme e nelle piscine, dovrebbe essere oggetto di controllo in base
a quanto stabilito nella già citata Direttiva 96/29/Euratom.

Sempre per quanto concerne le acque destinate al consumo umano, è stata poi emanata la
Direttiva 2013/51/Euratom, il cui recepimento italiano è avvenuto con il D.Lgs. 28/2016, che
stabilisce requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze
radioattive presenti in tali acque e i valori di parametro, la frequenza e i metodi per il
controllo delle sostanze radioattive. In particolare, tale direttiva definisce dei valori di
parametro, ossia valori “delle sostanze radioattive nelle acque destinate al consumo umano al
di sopra del quale gli Stati membri devono valutare se la presenza di sostanze radioattive nelle
acque destinate al consumo umano costituisca un rischio per la salute umana tale da richiedere
un intervento”. I valori di parametro citati sono elencati nella tabella seguente.

Per quanto concerne il radon, dunque, gli Stati membri devono definire “un livello il cui
superamento è considerato inappropriato e al di sotto del quale occorre proseguire
l’ottimizzazione della protezione, senza compromettere l’approvvigionamento idrico su scala
nazionale o regionale”. Il livello fissato da un qualunque Stato membro può essere superiore a
100 Bq/litro ma deve essere comunque inferiore a 1000 Bq/litro. Gli Stati membri devono
quindi fissare tali valori di parametro, applicabili al controllo delle sostanze radioattive, in
base a quanto previsto nell’Allegato I della Direttiva, mentre i controlli delle acque devono
essere effettuati conformemente ai requisiti di cui all’Allegato II. Inoltre si devono adottare
tutte le misure necessarie per istituire un appropriato programma di controllo delle acque
destinate al consumo umano e devono essere stabiliti obblighi di controlli e analisi, nonché di
informazione.

27
Infine, si cita la Direttiva 59/2013/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza
relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti e
abroga precedenti direttive, fra cui la suddetta 96/29/Euratom. In questo caso, il limite
temporale entro cui doveva essere recepita tale Direttiva dagli Stati membri era fissato entro il
6 febbraio 2018, ma in Italia è entrata in vigore solo il 27 agosto 2020 con il Decreto
Legislativo n. 101 del 31 luglio 2020 10. Tale Direttiva ha come obiettivo quello di definire le
norme fondamentali di sicurezza “relative alla protezione sanitaria delle persone soggette a
esposizione professionale, medica e della popolazione contro i pericoli derivanti dalle
radiazioni ionizzanti”. Nell’articolo 2 viene definito il campo di applicazione, in quanto tale
Direttiva si applica “a qualsiasi situazione di esposizione pianificata, esistente o di emergenza
che comporti un rischio di esposizione a radiazioni ionizzanti che non può essere trascurato
dal punto di vista della radioprotezione in relazione all'ambiente, in vista della protezione
della salute umana nel lungo termine”. In questo caso, oltre alle attività lavorative che
coinvolgono la fabbricazione, la produzione, la lavorazione, la manipolazione, lo
smaltimento, l'impiego, lo stoccaggio, la detenzione, il trasporto, l'importazione e
l’esportazione di materiali radioattivi, così come altre attività lavorative, la Direttiva riguarda
anche l'esposizione dei lavoratori o di individui della popolazione al radon in ambienti chiusi,
così come l'esposizione esterna dovuta ai materiali da costruzione. Sono pertanto escluse solo
“l'esposizione al livello naturale di radiazione, quale quello risultante dai radionuclidi presenti
nell'organismo umano e dalla radiazione cosmica presente al livello del suolo”, l’esposizione
in superficie ai radionuclidi presenti nella crosta terrestre non perturbata e l'esposizione alla
radiazione cosmica in volo o nello spazio di soggetti che non fanno parte di equipaggi aerei o
spaziali. In tale Direttiva sono richiamati alcuni concetti già espressi da norme precedenti,
come ad esempio i limiti di età per i lavoratori esposti, limiti di dose per l’esposizione
professionale o obblighi relativi all’informazione e alla formazione, ma presenta anche un
approccio differente rispetto alle precedenti indicazioni. Per quanto riguarda i valori limite,
all’Articolo 74, viene infatti espresso che gli Stati membri devono stabilire livelli di
riferimento nazionali per le concentrazioni di radon in ambienti chiusi, ma tali livelli di
riferimento “per la media annua della concentrazione di attività in aria non devono essere
superiori a 300 Bq/m3”. Come si nota, dunque, tale livello di riferimento oltre il quale si

10
https://www.ispettorato.gov.it/it-it/in-evidenza/Documents/Testo-unico-salute-sicurezza-gennaio-2020.pdf
28
suggerisce di intraprendere azioni di risanamento vale per tutti gli ambienti chiusi, incluse le
abitazioni. Inoltre, non vi è più la distinzione fra abitazioni esistenti e di nuova costruzione 11.

In Italia, prima del D.Lgs n.101/2020, il quadro normativo riferito al radon presentava, come
anticipato, diverse discrepanze da quello Europeo. Nella nostra nazione la normativa di
riferimento era rappresentata dal D.Lgs. n.241/2000, che costituiva il recepimento italiano alla
Direttiva 96/29/Euratom e che modificava e integrava, per quanto riguarda le radiazioni
ionizzanti, il precedente D.Lgs. n.230/1995. Tale normativa riguardante il problema radon
distingueva gli ambienti di lavoro dagli ambienti domestici. Infatti, al Capo III-bis della
Direttiva, che costituisce una delle principali novità rispetto alla normativa precedente, veniva
specificato il riferimento all’esposizione occupazionale a sorgenti naturali di radiazioni.
Pertanto, il campo di applicazione riguardava diverse attività lavorative tra cui quelle che si
svolgono in luoghi di lavoro sotterranei, come tunnel, grotte, catacombe, ma anche quelle che
si svolgono in superficie in zone in cui vi è un’elevata probabilità di rinvenire alte
concentrazioni di radon. Inoltre, erano disciplinate anche altre lavorazioni che utilizzavano
materiali che contengono radionuclidi naturali o che producevano rifiuti contenenti
radionuclidi naturali o attività termali. Tuttavia, veniva specificato all’Articolo 2 che il D.Lgs.
n.241/2000 “non si applica all'esposizione al radon nelle abitazioni o al fondo naturale di
radiazione, ossia non si applica né ai radionuclidi contenuti nell'organismo umano, né alla
radiazione cosmica presente al livello del suolo, né all'esposizione in superficie ai radionuclidi
presenti nella crosta terrestre non perturbata” 12. Erano poi escluse anche operazioni di aratura,
di scavo o riempimento che vengono effettuate in attività agricole o di costruzione. Non
esisteva fino al 2020, dunque, in Italia una normativa specifica per le abitazioni, in quanto la
Raccomandazione 90/143/Euratom era, come detto, priva di efficacia vincolante per i singoli
Stati membri e la Direttiva 59/2013/Euratom non era ancora stata recepita dall’ordinamento
nazionale. Si prevedeva la determinazione dell’esposizione al radon solo nel caso di attività
lavorative svolte in particolari luoghi di lavoro. Per quelle che si svolgevano in luoghi di
lavoro sotterranei o in zone in cui vi è un’elevata probabilità di rinvenire alte concentrazioni
di radon, il livello di azione fissato era pari a 500 Bq/m3, riferito alla concentrazione di attività
di radon media annuale. In caso di superamento di tale livello d’azione, il datore di lavoro

11
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32013L0059
12
Certifico, www.certifico.com/sicurezza-lavoro/documenti-sicurezza/67-documenti-riservati-sicurezza/9941-
radon-abitazioni-e-luoghi-di-lavoro-tabelle-riassuntive
29
doveva valutare se i lavoratori fossero esposti a una dose efficace superiore a 3 mSv/anno. Se
ciò fosse accaduto, si sarebbero dovute intraprendere azioni di rimedio necessarie per
abbassare il livello di concentrazione. Successivamente, andavano ripetute le misurazioni e, se
nonostante l’applicazione di tali azioni si fossero mantenute le condizioni di superamento dei
3 mSv/anno, sarebbe stato necessario adottare i provvedimenti previsti da normativa, tra cui
quello della sorveglianza fisica e medica per i lavoratori. Invece, nel caso in cui le misurazioni
non avessero manifestato superamenti del livello d’azione, ma fossero state superiori all’80%
del livello stesso, ossia a 400 Bq/m3, il datore di lavoro doveva ripetere le misure nel corso
dell’anno successivo. Per le restanti attività lavorative previste dalla legge, il livello d’azione
era diverso da quello suddetto e fissato a 1 mSv/anno per i lavoratori e 0.3 mSv/anno per la
popolazione. Inoltre, la normativa prevedeva che, per tutte le tipologie di attività specificate,
le metodologie con cui effettuare le misurazioni di radon fossero quelle definite da linee guida
elaborate da un’apposita Commissione Ministeriale, a cui era demandato anche il compito di
elaborare criteri per individuare zone e luoghi di lavoro in cui vi potesse essere elevata
probabilità di alta concentrazione di radon. Tuttavia, tale commissione non si era mai
insediata e per colmare il vuoto legislativo dovuto al mancato insediamento e, quindi, alla
carenza di linee guida sulle metodologie e tecniche di misura più appropriate per le
misurazioni di radon in aria, fu attivato il Coordinamento delle Regioni e delle Province
autonome di Trento e Bolzano, che ha elaborato delle linee guida per le misure nei luoghi di
lavoro sotterranei. Tali linee guida erano pensate come un riferimento, in attesa di quelle
ufficiali emanate secondo le procedure previste dalla normativa e riguardavano:

a) la definizione di luogo di lavoro sotterraneo e i criteri generali per avviare le misure


di radon;
b) i metodi di misurazione delle concentrazioni di radon e gli strumenti da utilizzare;
c) i requisiti minimi delle organizzazioni che svolgono tali attività di misurazione.

Come detto, la normativa italiana non prevedeva limitazioni sulla concentrazione di radon
nelle abitazioni né linee guida nazionali con cui effettuare le misurazioni, a differenza di altri
Paesi, come l’Inghilterra o gli USA, ma erano presenti solo delibere o circolari regionali.
Questo comportava però anche alcune lacune riguardo la sicurezza occupazionale, in quanto
era, ad esempio, evidente che in questo modo un lavoratore domestico non fosse equiparato,
per il caso in esame, a un lavoratore dipendente. Inoltre, l’approccio previsto dalla

30
Raccomandazione 90/143/Euratom, riferita agli ambienti domestici, che, pur non essendo
dotata di efficacia vincolante, fissava i livelli di riferimento pari a 400 Bq/m3 per le abitazioni
esistenti e 200 Bq/m3 per le abitazioni da costruire, era stato superato. Infatti, la nuova
Direttiva 59/2013/Euratom non solo riduce il livello di riferimento delle concentrazioni di
radon nei luoghi di lavoro, fissandolo a 300 Bq/m3, ma stabilisce lo stesso livello per le
abitazioni civili e, più in generale, per tutti gli ambienti chiusi. Pertanto, per quanto riguarda
tali livelli, non si fa più alcuna differenza fra abitazioni esistenti e da costruire. L’adozione di
un livello superiore può essere giustificato solo in particolari circostanze, quindi uno Stato
membro che stabilisca un livello più elevato per la concentrazione di radon in ambienti chiusi
deve informare la Commissione Europea, che effettuerà poi le proprie valutazioni
(considerazioni di Arpa Puglia).

Come si può intuire, allora, vi furono importanti conseguenze sul trattamento del problema
radon e sulla salute dei cittadini a causa del ritardo nel recepimento italiano della Direttiva
59/2013/Euratom. Infatti, oltre ad un rischio radon nei luoghi di lavoro è molto importante
considerare quello nelle abitazioni, perché l’esposizione al radon sul luogo di lavoro è in
genere più bassa rispetto alle abitazioni a causa del minor tempo di permanenza, tranne che in
casi particolari come miniere, terme, locali sotterranei. Un altro aspetto molto importante
riguarda poi la definizione delle “radon prone areas”, infatti, il D.Lgs. n.241/2000 indicava
anche la necessità di identificare luoghi di lavoro ubicati in zone in superficie reputate a
rischio di elevata probabilità di alte concentrazioni di attività di radon e tale compito era
assegnato alle Regioni e alla Province Autonome. In particolare, veniva specificato che entro
5 anni dalla data di pubblicazione, ossia entro il 31 agosto 2005, dovevano essere precisate
tali zone, chiamate “radon prone areas”, dopo aver intrapreso le attività di individuazione con
modalità definite da un’apposita Commissione.

31
In queste aree, allora, a causa dell’elevata probabilità di rilevare alte concentrazioni indoor di
radon, andavano effettuati controlli sulla concentrazione di radon anche per luoghi di lavoro
ubicati in superficie, come già espresso precedentemente. Chiaramente, il mancato
insediamento della Commissione ebbe diverse ripercussioni anche in merito a ciò, dato che
alcune Regioni e Province avviarono comunque il lavoro d’indagine, utilizzando però
modalità dissimili tra loro e raggiungendo spesso esiti non del tutto confrontabili.

Infine, si deve citare il D.Lgs. n.28/2016, che stabilisce requisiti relativamente alle sostanze
radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano e che è il recepimento italiano
della Direttiva 2013/51/Euratom. In tale legge, vengono fissati i valori di parametro di radon e
trizio già espressi dalla suddetta Direttiva Europea e viene delegato alle Regioni e alle
Province il compito di effettuare studi rappresentativi dei livelli di concentrazione di radon
nelle acque destinate al consumo umano. In particolare, le analisi devono essere effettuate su
acque “provenienti in tutto o in parte da fonti sotterranee situate in diverse aree geologiche o
da bacini superficiali di origine vulcanica” e devono anche essere raccolte informazioni sulle
caratteristiche geologiche e idrologiche della zona, la radioattività della roccia o del terreno e
del tipo di captazione, ossia di elementi “che possano risultare utili per l'identificazione
successiva delle aree con possibili livelli elevati di concentrazione di attività di radon nelle
acque”. Sono poi stabilite le frequenze minime con cui effettuare i controlli relativamente alla
concentrazione di radon nelle acque. Come si può notare, in Italia viene assegnata molta
importanza agli Enti Regionali e Provinciali per quanto riguarda gli adempimenti previsti
dalle normative circa il problema radon. Infatti, non solo sono assegnati a tali Enti compiti
come la definizione delle “radon prone areas” e l’effettuazione delle indagini nelle acque
destinate al consumo umano, ma si è anche visto che il Coordinamento delle Regioni e delle
Province autonome di Trento e Bolzano è stato indotto a elaborare linee guida per le misure
nei luoghi di lavoro sotterranei. Inoltre, nel 2005 è stato avviato il Piano Nazionale Radon
(PNR), con l’obiettivo di ridurre il rischio di tumore polmonare dovuto a tale gas, elaborato
dal Ministero della Salute con la partecipazione di Regioni e Province Autonome. Tale
progetto prevedeva la valutazione dei rischi riguardanti l’esposizione al radon, l’avvio
dell’Archivio Nazionale Radon e la definizione di linee guida per mitigare il problema, ma
anche studi sulla distribuzione territoriale delle concentrazioni indoor di radon e programmi di
informazioni per la popolazione. Anche in questo caso, le attività di monitoraggio erano
affidate alle singole Regioni e Province Autonome. In ogni caso, assegnare tali compiti a

32
Regioni e Province autonome se da un lato potrebbe consentire di responsabilizzare gli enti
locali e ottenere risultati più rispondenti della situazione reale a livello locale, dall’altro può
causare notevoli problemi di non coordinamento. Ad esempio, si è già detto che il mancato
insediamento della Commissione Ministeriale e la carenza di linee guida univoche ha fatto sì
che solo alcune Regioni e Province iniziassero a effettuare campagne di misura indipendenti,
mentre altre sono risultate più inattive. Inoltre, in questo modo sono potuti subentrare anche
ulteriori problemi di rallentamento rispetto agli adempimenti da parte di tali enti, primo fra
tutti la mancanza di fondi. Un ulteriore problema è poi rappresentato dal già complesso
quadro normativo riferito al radon, reso ancora più intricato, ad esempio a causa del fatto che
il livello di riferimento variava da regione a regione, causando anche perplessità e rallentando
il processo di informazione della cittadinanza circa i rischi connessi a tale gas. Un caso tipo è
stato quello della Regione Veneto, che nel 2002 ha fissato il livello di riferimento per le
abitazioni a 200 Bq/m3, oltre il quale raccomanda ai propri cittadini di intraprendere iniziative
di bonifica. L’adozione di un livello di riferimento più stringente in alcune zone piuttosto che
in altre poteva quindi creare dubbi e incertezze tra i cittadini. Inoltre ciò implicava che il
livello di sicurezza garantito ai cittadini italiani non fosse lo stesso, dato che ogni regione
procedeva in modo autonomo, a causa della carenza di precise indicazioni centrali.

13

Decreto legislativo 31 luglio

13
Certifico, www.certifico.com/sicurezza-lavoro/documenti-sicurezza/67-documenti-riservati-sicurezza/9941-
radon-abitazioni-e-luoghi-di-lavoro-tabelle-riassuntive
33
II. Radon e Acqua: Effetti sulla salute

Come si è detto precedentemente, le stime di rischio di tumore polmonare dovuto


all’esposizione al radon e ai suoi prodotti di decadimento scaturiscono essenzialmente da
studi epidemiologici compiuti su minatori che operano nelle miniere sotterranee, soprattutto
quelle adibite all’attività estrattiva di uranio. Le condizioni di salute dei minatori sono quindi
fortemente correlate al controllo del gas radon in tali ambienti. Da un’indagine sulle miniere
europee, si è ricavato che il flusso di radon in entrata nell’atmosfera delle miniere può essere
scomposto in due diversi componenti, ossia un flusso in entrata permanente e uno variabile.
La componente permanente proviene dalla superficie delle rocce e dipende dal loro contenuto
di radio Ra-226 e dalla loro natura. L'alimentazione variabile proviene dall'interno della
roccia ed è funzione della pressione atmosferica, in quanto è stato dimostrato che
all’aumentare della pressione atmosferica diminuisce il contenuto di radon nell’atmosfera
delle miniere, mentre al diminuire della pressione aumenta il contenuto di radon, ma
naturalmente tale componente dipende anche dalle caratteristiche geologiche delle rocce
(porosità o presenza di fratture). In pratica, quando la pressione diminuisce, si crea un effetto
aspirante, che fa aumentare il contenuto di radon atmosferico. Il flusso in uscita di radon
dipende invece dai tassi di ventilazione naturale e artificiale, ma anche dal naturale
decadimento radioattivo. Uno dei principali aspetti da considerare è quello relativo alla
determinazione dell’esposizione cumulativa al radon e ai suoi prodotti di decadimento a vita
breve. Tale esposizione cumulativa viene di solito ricavata a partire da misurazioni di aria
sotterranea, tuttavia si può considerare l’aumento del contenuto osseo di piombo-210 nei
minatori generato dall'esposizione al radon Rn-222 e ai suoi prodotti di decadimento a vita
breve nelle miniere, quindi l’esposizione cumulativa può essere dedotta anche da misure
radiochimiche su campioni di ossa 14.

Per quel che riguarda la stima del rischio relativo, si fa riferimento a una formula proposta nel
Piano Nazionale Radon (2002), che lega, per ogni età, il rischio relativo a diversi parametri. I
principali dati utilizzati per elaborare tale modello di stima riguardano un totale di 68000
minatori e circa 2700 tumori polmonari. Il rischio relativo, indicato con RR ed espresso in
modo adimensionale, può essere stimato attraverso una formulazione empirica che lega il

14
Piano Nazionale Radon, https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2436_allegato.pdf
34
tempo di esposizione e l’età dei soggetti esposti. Da tale modello si ricava che il rischio
relativo diminuisce con il tempo trascorso dalla fine dell’esposizione, inoltre tale rischio
relativo scende anche con l’età, ma cresce all’aumentare della durata dell’esposizione. Si
tenga presente che il rischio relativo RR indica il rapporto tra il rischio di sviluppare il tumore
polmonare per un certo valore di esposizione al radon e il rischio di sviluppare un tumore
polmonare senza esposizione al radon. Inoltre, al radon vengono attribuiti circa il 40% dei
tumori polmonari riscontrati in tale popolazione di minatori. Per quel che riguarda il problema
della radioattività nelle miniere, inoltre, si deve tener presente che le misurazioni della
radioattività aerodispersa sono costose e richiedono tempo. Allora, da uno studio del 1988 si è
elaborata una relazione che consente di determinare una stima della concentrazione di attività
di particelle radioattive aerodisperse a lunga durata, soggette a decadimento α, dalle
misurazioni di routine inerenti alla concentrazione di polvere di quarzo respirabile nell'aria. In
tale studio, infatti, è stata misurata l'attività delle particelle radioattive aerodisperse in
campioni di aria polverosa prelevati in miniere di uranio sotterranee. Successivamente furono
misurate le concentrazioni della polvere respirabile totale, utilizzando tecniche di pesatura
convenzionali, e della polvere di quarzo respirabile, mediante tecniche di diffrazione ai raggi
X. Le misurazioni della radioattività sono state effettuate un mese dopo la raccolta dei
campioni di polvere per garantire il completo decadimento radioattivo dei prodotti di
decadimento aerodispersi di radon che si attaccano alle particelle di polvere. Da tali
misurazioni, è stato possibile ottenere una relazione lineare che lega l’attività di particelle
radioattive aerodisperse a lunga durata con la quantità di quarzo respirabile. L'applicazione
pratica dei risultati presentati in questo caso è limitata alle miniere che sono state oggetto di
studio, ma l'estensione di questi risultati in altri casi è comunque possibile.

Infine, un altro settore in cui si presenta un’elevata esposizione al radon e ai suoi prodotti di
decadimento a causa dell’emanazione da materiali d’origine è quello termale. In particolare,
l'acqua può contenere un’alta concentrazione di radon ed è utilizzata in tutto il mondo per il
trattamento terapeutico di diverse patologie, ma in alcune terme le persone fanno uso di tali
acque ricche di radon senza alcuna limitazione. Da un’attività di studio condotta nel 1981,
sono state misurate alte concentrazioni di radon e dei suoi prodotti di decadimento all'interno
di due diversi centri termali. In entrambi i casi è stato dimostrato che non solo i pazienti, ma
anche lo staff e persino i visitatori di tali centri (compresi bambini e giovani) sono esposti a
elevati livelli di radioattività, principalmente a causa dell'inalazione dei prodotti di

35
decadimento del radon. Allora, valutati i rischi cancerogeni, i risultati mostrano che in alcuni
casi questi sono inaccettabilmente elevati. In tali ambienti, inoltre, si possono verificare non
solo variazioni stagionali dei livelli di radon, ma anche diurne, che spesso vengono attribuite
al funzionamento dei bagni, quindi molto spesso l’attività di studio è resa più complicata. In
ogni caso, anche per le terme è evidente la necessità di assicurare una ventilazione adeguata e
un corretto controllo delle concentrazioni di questo gas.

Al di là della formula contenuta nel PNR utile per stimare il rischio relativo dovuto al radon
per i minatori, è necessario sottolineare che tali lavoratori sono soggetti a dei valori medi di
esposizione di circa dieci volte maggiori a quelli della popolazione generale, mentre la
concentrazione di radon è circa cento volte maggiore del corrispondente valore medio per la
popolazione generale. Allora, è stato necessario verificare se i dati disponibili per i minatori
potessero essere utilizzati per la stima del rischio per la popolazione. In tal caso, è stata attuata
un’analisi limitata ai soli minatori con esposizioni inferiori a 50 e 100 WLM (La dose
efficace, per un lavoratore, conseguente ad una concentrazione di progenie WL, che
corrisponde a una concentrazione di radon di 3700 Bq/m3, per un mese, ovvero 170 ore di
lavoro, si chiama WLM). Tali valori corrispondono, in pratica, a un’esposizione di durata pari
a 60 anni a concentrazioni medie di 200 Bq/m3 e 400 Bq/m3. L’analisi effettuata ha fornito
risultati equivalenti a quelli ottenuti usando tutti i dati disponibili per i minatori. Sulla base di
ciò, un’analisi di Lubin e Boyce (1997) ha fornito, per la popolazione generale, un rischio
relativo pari a RR=1,14 per un’esposizione di 30 anni a una concentrazione media di 150
Bq/m3, basandosi su di un modello log-lineare. Tale risultato è risultato essere praticamente
identico a quello ottenuto per i minatori, per un’uguale esposizione, con un modello lineare.
Inoltre, sulla base di tale analisi, il rischio relativo ricalcolato per esposizioni pari a 100 e 200
Bq/m3 risulta essere rispettivamente di 1,09 e 1,19. Studi successivi mostrano, assumendo un
modello lineare, rischi relativi superiori ma comunque compatibili con i risultati ottenuti dai
precedenti autori, tuttavia consentono anche di valutare la necessaria riduzione dell’incertezza
associata alla stima dell’esposizione, al fine di ottenere una stima corretta dei rischi. Bisogna
però evidenziare come tali stime di rischio si riferiscano, in generale, a indagini su fumatori,
quindi in realtà considerano il rischio riguardante l’effetto sinergico di fumo e radon. Per quel
che riguarda i non fumatori, i risultati delle indagini sono spesso discordanti fra loro, anche se
generalmente il rischio per i non fumatori è ritenuto minore o al più uguale a quello per i
fumatori. Ad esempio, da uno studio condotto in Svezia su soggetti non fumatori viene

36
suggerito che vi sia un rischio significativo di sviluppare un tumore polmonare a seguito di
un’esposizione al radon solo se si fosse anche in presenza di fumo passivo. Come detto, per
quel che riguarda i minatori si stima che circa il 40% dei tumori polmonari siano attribuibili a
un’esposizione al radon. Per quel che riguarda la popolazione generale, invece, vi sono
diverse stime, a seconda dei paesi. In Italia, le valutazioni più recenti indicano che il numero
totale di tumori ai polmoni è di 41 mila casi e in crescita, e la percentuale di questi imputabili
al radon è circa il 10%, con valori che possono però variare notevolmente di zona in zona.
Infatti, a livello regionale, il range di valori delle percentuali di tumori ai polmoni attribuibili
al radon è compreso fra il 4% e il 16%. Nella tabella seguente sono indicati i valori del
numero di tumori ai polmoni in Italia dovuti al radon, secondo tali stime, per diversi range di
concentrazione.

Tuttavia, si devono considerare anche altre stime che indicano il rischio attribuibile al radon
per il tumore polmonare, in Italia, al 5% e al 20%, ossia circa 1500-6000 casi l’anno, da qui si
evince la pericolosità di questo elemento sulla salute umana ma anche la presenza di
un’incertezza sul rischio di tumore polmonare imputabile a tale gas.

III. Caso di Studio Tipico

Nel capitolo seguente verrà descritto un caso esempio di monitoraggio della concentrazione di
radon nelle acque di falda del distretto di Parabiago, comune italiano della città metropolitana
di Milano in Lombardia, situato a circa 20 chilometri a nord-ovest dal capoluogo lombardo.
Nell’ultimo trimestre del 2001 è stata avviata la prima campagna di monitoraggio
radiometrico delle acque di rete in Lombardia realizzata mediante il prelievo e l’analisi,
limitatamente alle attività alfa e beta totali, di campioni prelevati presso le tredici sedi ARPA

37
lombarde. Nel campione prelevato presso la sede di Parabiago erano stati misurati valori di
attività nettamente superiori alla media lombarda, inoltre la ripetizione delle analisi aveva
messo in evidenza una forte variabilità temporale dei parametri radiometrici. Per questo
motivo è stato necessario un ulteriore approfondimento volto a chiarire le origini di queste
anomalie. Nel primo semestre del 2002 sono stati effettuati prelievi da ciascuno dei sette
pozzi che afferiscono all’acquedotto di Parabiago e sono emerse le seguenti considerazioni:
• l'origine della radioattività presente era comunque riconducibile a cause di origine
naturale, e si escludeva qualunque ipotesi di inquinamento di origine antropico;
• attività più alte della norma erano riscontrabili in tre pozzi su sette;
• gli elevati valori di attività erano imputabili in modo preponderante alla presenza degli
isotopi dell’uranio;
• le concentrazioni di radon Rn-222 e trizio risultavano nella norma.

Noto che i contributi dei singoli pozzi alle acque erogate sono variabili in dipendenza delle
esigenze gestionali della rete acquedottistica, risultava altresì spiegata la variabilità nel tempo
delle attività dei campioni prelevati nei punti di erogazione finale della sede ARPA. Le
valutazioni effettuate ai sensi del D.Lgs. 31/01 sulla qualità delle acque destinate al consumo
umano non evidenziavano in nessun caso il superamento del valore di parametro indicato per
la dose impegnata (0,1 mSv/anno – classe d’età considerata: adulti). Si evidenziava tuttavia la
necessità di approfondire l’indagine al fine di raffinare le stime di dose e di comprendere
l’estensione territoriale e l’origine del fenomeno. Nella terza campagna effettuata sono stati
effettuati prelievi in venti pozzi ubicati a Parabiago (ripetendo le analisi precedentemente
effettuate sui sette pozzi cittadini) e nei comuni limitrofi di Inveruno, Legnano, Lainate, Cerro
Maggiore, Rho, Rescaldina e Marcallo con Casone. Sui campioni prelevati sono state
effettuate presso il dipartimento ARPA di Milano analisi radiometriche (attività alfa e beta
totale, concentrazione degli isotopi dell’uranio, del radio Ra-226 e del radon Rn-222) e
chimiche; sono stati inoltre annotati i dati relativi ai pozzi (profondità e falda di captazione).

In merito alle caratteristiche idrogeologiche generali del sito di analisi, la successione


sedimentaria della Pianura Padana mostra una progressiva diminuzione della granulometria
dei sedimenti con l’aumentare della profondità, nel particolare è possibile distinguere tre
litozone:

38
• Litozona ghiaioso – sabbiosa: costituisce l’acquifero tradizionale (I e II acquifero)
normalmente sfruttato a scopo idropotabile;
• Litozona sabbioso – argillosa: costituisce l’acquifero profondo (III acquifero);
• Litozona argillosa: poco sfruttabile da un punto di vista idropotabile.

Da un punto di vista più strettamente idrogeologico si possono quindi distinguere tre acquiferi
definiti in base alle caratteristiche di permeabilità dei sedimenti e vulnerabilità:
• Acquifero primario: costituito dai depositi alluvionali recenti e antichi e dal
fluvioglaciale wurmiano; si tratta di sedimenti (ghiaie e sabbie prevalenti) a elevata
permeabilità con spessori, variabili localmente, di qualche decina di metri;
• Acquifero secondario: costituito da depositi fluvioglaciali antichi; si tratta di sedimenti
(ciottoli, ghiaie e sabbie in matrice limosa) di medio alta permeabilità localmente
cementati, con spessori variabili che possono arrivare a 40/50 metri;
• Acquifero terziario: costituito da depositi a granulometria prevalentemente fine con
permeabilità medio bassa e spessori non definibili con certezza.

La definizione della idrogeologia locale è stata effettuata attraverso la redazione di sezioni


idrogeologiche con orientazione all'incirca Nord-Sud ed Est-Ovest correlando stratigrafie di
pozzi contigui. L'orientamento delle sezioni corrisponde indicativamente alle direzioni
parallela e perpendicolare del flusso di falda a scala provinciale. Nella porzione settentrionale
del Legnanese e sud-occidentale, nelle vicinanze del Fiume Ticino, del territorio di Parabiago
risulta alquanto complesso separare con esattezza il primo e il secondo acquifero. In tali zone,
infatti, i livelli a granulometria fine (acquicludi o acquitardi) che marcano in modo netto tale
limite risultano, localmente, poco riconoscibili e arealmente limitati. In particolare, questo
problema si è riscontrato nel pozzo 1 di Rescaldina e nel pozzo 3 di Marcallo; comunque,
dall’esame delle sezioni idrogeologiche e in accordo con la Provincia di Milano, entrambi i
pozzi sono stati attribuiti al primo acquifero. Al contrario, spostandosi verso Est la presenza di
livelli limoso-argillosi arealmente continui e di discreto spessore (decimetrico) permette di
definire congruamente la separazione tra il primo e il secondo acquifero. Infine, il terzo
acquifero risulta ben individuato su tutta l’area di studio al di sotto di livelli argilloso–limosi
arealmente continui e di spessore anche metrico. Per definire la distribuzione della
radioattività nelle acque di falda si sono pertanto scelti venti pozzi captanti falde diverse e
distribuiti nel territorio circostante il comune di Parabiago:

39
• 6 pozzi di prima falda;
• 5 pozzi di seconda falda;
• 7 pozzi di terza falda;
• 2 pozzi di seconda/terza falda (misti).

I valori di conducibilità e pH sono stati determinati mediante conduttimetria e pHmetria, i


valori di residuo fisso sono stati derivati per calcolo dalla conducibilità. Anioni e cationi sono
stati misurati per cromatografia ionica a eccezione del ferro, misurato tramite ICP ottico. La
misura mediante cromatografia ionica consente anche la determinazione della concentrazione
di potassio, da cui si ricava per calcolo quella dell’isotopo radioattivo potassio-40
considerando la composizione isotopica del potassio naturale. Le analisi radiometriche sono
state effettuate mediante scintillazione liquida impiegando i protocolli di pretrattamento,
separazione radiochimica e misura messi a punto dal Dipartimento di Milano. Brevemente le
procedure possono essere così schematizzate:

• attività alfa/beta totale: pre-concentrazione del campione per evaporazione a pH


controllato; misura per scintillazione liquida con discriminazione alfa/beta; attraverso
la stessa misura viene stimata anche l’attività del trizio;
• isotopi dell’uranio: pre-concentrazione del campione per evaporazione a pH
controllato; estrazione selettiva mediante un’appropriata soluzione scintillante; misura
per scintillazione liquida seguita da deconvoluzione spettrale;
• radio Ra-226: pre-concentrazione del campione per evaporazione a pH controllato;
estrazione del radon Rn-222, prodotto dal decadimento del radio, mediante una
soluzione scintillante immiscibile con l’acqua; misura per scintillazione liquida in
condizioni di equilibrio radioattivo;
• radon Rn-222: estrazione immediata mediante una soluzione scintillante immiscibile
con l’acqua; misura per scintillazione liquida in condizioni di equilibrio radioattivo.

Sull’intera matrice di dati (chimici e radiometrici) è stato applicato il metodo di analisi


statistico delle “componenti principali” (PCA). La matrice delle componenti è riportata nella
tabella seguente.

40
In grassetto sono riportate le correlazioni superiori a 0,5 dei parametri appartenenti alle
singole componenti principali. La prima componente raggruppa tutti i parametri chimici (a
eccezione dell’ossidabilità), la falda e il rapporto isotopico tra uranio-234 e uranio-238, con
correlazioni piuttosto elevate. Ciò significa che le acque provenienti dalle differenti falde sono
chiaramente distinguibili in base alla loro composizione chimica (legata presumibilmente
all’acquifero di origine) e che il rapporto isotopico tra gli uranio-234 e uranio-238 può essere
considerato un “marcatore” delle caratteristiche generali (non radiometriche) del campione.
La seconda componente raggruppa alcuni parametri radiometrici quali l’attività alfa totale e
quella degli isotopi dell’uranio (singolarmente e come totale); ciò è dovuto al fatto che
l’attività alfa totale, come già ricordato precedentemente è dovuta principalmente alla
presenza di uranio. La varianza spiegata cumulata delle prime due classi è del 65%, il che
indica che queste due componenti danno conto della maggior parte delle relazioni tra le
variabili. Il radon e l’attività beta totale sono ricomprese in componenti distinte. Si può
comunque dire che attività beta totale e concentrazione di radon sono indipendenti da tutti gli

41
altri parametri a un primo screening. Una visualizzazione grafica di questi risultati è riportata
negli istogrammi delle figure da 1 a 4, 6 e 7, dove i campioni sono stati raggruppati per falda
di appartenenza (sono stati esclusi i due campioni di falde miste 2° e 3°), che riportano in
ordinata la media dei valori e, nella barra di errore, la deviazione standard della media. Si può
notare che il residuo fisso decresce in modo regolare con la profondità della falda (fig. 1) e il
rapporto 234U/238U segue l’andamento inverso (fig. 2). La correlazione lineare tra i due
parametri, intesi come valore medio per falda di appartenenza, è discreta (R2=0,67). La
quantità di residuo fisso non è strettamente correlata con il contenuto totale di radioattività
delle acque. Sia l’attività alfa totale che quella dell’uranio totale presentano la maggior
concentrazione nei campioni provenienti dalla seconda falda, mentre la prima e la terza falda
presentano attività simili (fig. 3 e fig. 4).

42
La correlazione lineare tra attività alfa totale ed uranio totale è, ovviamente, molto elevata e
con coefficiente angolare prossimo a 1 (fig. 5). Nel caso dell’attività beta totale la variazione
della concentrazione nelle differenti falde non è significativa (fig. 6). La concentrazione del
radon Rn-222 diminuisce progressivamente dalla prima alla terza falda (fig. 7).

Si possono quindi così riassumere le conclusioni dell’indagine:


43
Per quanto concerne la verifica dei valori di riferimento stabiliti dalla normativa vigente
(D.Lgs. 31/01):
• non si osserva alcun superamento dei valori di riferimento previsti per quanto riguarda
la concentrazione di trizio;

• per quanto riguarda la concentrazione di attività del radon Rn-222 disciolto, in nessun
caso viene superato il livello di riferimento di 100 Bq/litro definito dalla
“Raccomandazione della Commissione Europea 2001/928/Euratom sulla tutela della
popolazione contro l’esposizione al radon nell’acqua potabile” 15. I valori misurati
rientrano tra quelli normalmente riscontrati nelle falde padane e non appaiono
dipendere dalla profondità di captazione dell’acqua.

Per quanto riguarda l’analisi dei dati radiometrici e chimici:


• la radioattività presente nelle acque è di origine esclusivamente naturale;
• il valore dell’attività alfa totale è in alcuni casi maggiore dei valori misurati in altre
zone della Lombardia, almeno per quanto concerne il confronto con i dati ad oggi noti,
ed è dovuto principalmente alla presenza degli isotopi dell’uranio mentre è modesto il
contributo del radio Ra-226;
• la variabilità dell’attività beta è più contenuta, e i valori misurati sono confrontabili a
quelli normalmente misurati in altre zone della Lombardia. Attività alfa e beta totale
non sono generalmente correlate;
• l’attività alfa varia in funzione sia della falda (le attività più elevate si registrano nella
seconda) che della posizione geografica del pozzo (aumentano in direzione ovest),
anche se quest’ultimo dato necessita di ulteriori riscontri;
• non esiste una correlazione evidente tra qualunque coppia costituita da un parametro
radiometrico e un parametro chimico. La correlazione tra parametri è evidente solo
applicando il metodo dell’analisi statistica delle componenti principali, che individua
il gruppo costituito da una serie di parametri chimico-fisici e un parametro
radiometrico (rapporto isotopi dell’uranio) come criterio di classificazione coerente
con la falda prevalente;

15
https://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=4453&area=acque_potabili&menu=contaminazioni
44
Quanto brevemente esposto dunque è una descrizione sintetica di un’analisi reale del
quantitativo di radioattività naturale, condotta su acque di falda. Queste analisi sono
fondamentali per garantire la salute pubblica, in quanto un livello non controllato di radon,
associato a un vettore di uso essenziale e comune, come l’acqua, può generare non pochi
disastri con conseguenze molto gravi, soprattutto nelle comunità più giovani.

45
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