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Dispense sull’utilizzo del Lievito

Madre in Coltura Liquida

(a cura di Alessia Bertoncini)

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La pasta madre, detta anche lievito madre, lievito naturale o pasta acida costituisce
un’alternativa più sana e naturale al lievito birra.
Essa altro non è che un impasto di acqua e farina che viene colonizzato da una serie
di microrganismi presenti naturalmente nell’aria, i quali lo fanno fermentare e gli
danno un potere lievitante.

UN PO’ DI STORIA TRA LEGGENDA E REALTA’

La conoscenza del lievito naturale (LN) in panificazione si perde nella notte dei tempi, vi
sono infatti numerosi accenni a questo sistema di lievitazione, anche nella Bibbia.
Si narra che il LN sia stato scoperto casualmente in Egitto circa 4500 anni fa quando
durante una esondazione del Nilo la farina conservata in un magazzino presso il fiume
venendo in contatto con l’acqua formò un impasto che fermentò ed iniziò a gonfiare. Per
non buttare questa farina essa fu miscelata con farina fresca e fu cotta: il pane così
ottenuto risultò più gustoso e digeribile di quello SENZA LIEVITO prodotto fino ad allora.
Questo tipo di lievitazione consistente nell’aggiungere farina ad un impasto
precedentemente fermentato rimase l’unico sistema di lievitazione fino all’avvento, nel
XVII secolo, del lievito birra, che è poi diventato il sistema di panificazione più diffuso nel
mondo occidentale. Tuttavia il lievito naturale (che comunque è d’obbligo in certi lievitati
come la colomba, il panettone, il pandoro) negli ultimi è stato riscoperto da panificatori alla
ricerca di sapori tradizionali e quindi eccoci qua.

DIFFERENZE TRA PASTA MADRE E LIEVITO DI BIRRA

Innanzitutto il lievito birra è una coltura omogenea poiché si compone di un solo


ceppo di lieviti, i saccaromyces cerevisiae, i quali hanno una fermentazione di tipo
alcolico, ovvero si nutrono del glucosio e lo trasformano in alcol e anidride carbonica (ecco
dunque che la lievitazione è molto rapida ma ha lo svantaggio di poter dare problemi di
gonfiore e pesantezza); nel lievito madre invece, oltre ai saccaromyces cerevisiae
abbiamo altri ceppi di lieviti e lactobacilli e che a loro volta possono essere
omofermentanti (ovvero fermentare il glucosio in acido lattico) e eterofermentanti (ovvero
produrre oltre all’acido lattico anche acido acetico – l’etanolo - ed anidride
carbonica). Questa coesistenza tra lieviti e lactobacilli è tale che non si ha
concorrenza tra le specie diverse, ma anzi simbiosi e ‘collaborazione’ e soprattutto
un equilibrio perfetto tra acido acetico e acido lattico (in rapporto di 1:3) e questo fa
sì che ci siano notevoli vantaggi: innanzitutto i processi enzimatici che si sviluppano
fanno sì che il prodotto finale sia molto più leggero e digeribile (poiché appunto i
microrganismi presenti in un certo qual modo “predigeriscono” gli ingredienti del nostro
impasto rendendolo anche più aromatico e saporito, più ricco di nutrienti e vitamine e ha
anche il vantaggio di avere una migliore conservabilità. C’è poi da dire che l’ambiente
acido protegge il lievito stesso da microrganismi patogeni che potrebbero ucciderlo e
questo è vero soprattutto in lieviti maturi dove si è venuto a creare un equilibrio stabile tra
lieviti e lactobacilli (a questo proposito vorrei aprire una parentesi per dire che anche se è
assolutamente possibile auto prodursi pasta madre unendo acqua e farina con un
eventuale starter – yogurt, frutta, miele – che aiuti la prima fermentazione, io tendo a
consigliare di farsi dare piuttosto pasta madre matura da chi ce l’ha già, poiché essa da
garanzia di ottimi risultati fin da subito).

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LE DIVERSE TIPOLOGIE DI PASTA MADRE

La pasta madre può essere di tipo solido (tipologia classica a panetto) o di tipo
liquido (detta anche licoli – acronimo di lievito in coltura liquida). Quest’ultima ha
cominciato a prendere piede negli ultimi anni ed è designata con un termine forse un po’
fuorviante visto che non è propriamente liquida ma ha la consistenza di una crema o uno
yogurt denso.
La differenza tra le due tipologie sta nel diverso grado d’idratazione e nelle nella modalità
del cosiddetto rinfresco, ovvero l’aggiunta regolare, ogni tot giorni, di un quantitativo di
acqua e farina che costituisce il nutrimento necessario alle colonie batteriche in essa
presenti per continuare a rimanere in vita.
Una pasta madre solida si rinfresca con pari quantitativo di farina e la metà di
acqua (anche se ci sono persone che invece rinfrescano con il doppio della farina e
il medesimo quantitativo di acqua), l’importante è che l’acqua sia sempre la metà
della farina poiché la pasta madre solida è un impasto idratato al 50 per cento. Essa
deve essere rinfrescata almeno una volta a settimana (meglio più spesso) anche se ci
sono espedienti per farla durare in frigo senza rinfresco anche più a lungo. La si può
conservare in vario modo: in barattolo di vetro, ma anche legata stretta in un canovaccio
oppure in acqua.
Un licoli si può invece rinfrescare più raramente (pare che lo si possa fare anche
una sola volta al mese, anche se è chiaramente consigliabile farlo con maggior
frequenza per avere garanzia di una maggiore vitalità) e con pari quantitativo di
acqua e farina visto che è idratato al 100 per cento (se quindi abbiamo 100g di licoli si
aggiungeranno 100g di acqua e 100g di farina nell’operazione di rinfresco).

Il licoli si conserva in barattolo o contenitore di vetro come la pm solida e siccome è più


sensibile alle contaminazioni esterne sarebbe buona norma conservarlo in contenitore
chiuso.

La maggiore idratazione del licoli fa sì che esso abbia una maggiore efficacia
rispetto alla solida: essendo più ricco di ossigeno i suoi lieviti e batteri vivono meglio,
hanno un’attività più intensa e il loro livello di acidità è decisamente inferiore rispetto
all’altra; i rinfreschi sono semplicissimi.

E’ possibile passare dall’una all’altra tipologia di pasta madre semplicemente riducendo o


aumentando ai rinfreschi l’idratazione. Il processo dovrebbe però essere graduale per
permettere ai microrganismi di abituarsi progressivamente alla maggiore o minore
idratazione.

IL RINFRESCO DEL LICOLI E LA SUA CONSERVAZIONE

Rinfrescare il nostro lievito significa nutrire i microrganismi al suo interno con nuova acqua
e farina in modo da mantenerli vitali.

E’ consigliabile effettuare l’operazione di rinfresco ogni volta che si panifica, almeno


4 ore prima ( questo è il lasso di tempo in cui solitamente il ciclo di sviluppo dei lieviti si
compie).

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Quella che segue è la procedura di rinfresco, che può esser fatta sia per il solo
mantenimento in vita del lievito, sia per averne una quantità necessaria alla panificazione
(+ una parte da rimettere in frigo e tenere come madre per le successive panificazioni).

Il procedimento è semplice ma richiede qualche attenzione.

Attrezzarsi di : bilancia, acqua, farina.

Togliere il licoli dal frigo e lasciarlo ambientare; pesarlo (se si effettua l’operazione senza
cambiare il barattolo avremo in precedenza segnato il peso del barattolo da considerare
come tara) e aggiungere lo stesso peso sia di acqua che di farina; miscelare bene il
composto. Potete farlo semplicemente con una forchetta, anche se l’ideale sarebbero le
fruste elettriche che facendo incorporare microparticelle di aria al composto, ne aiutano la
fermentazione (se si effettua l’operazione all’interno del barattolo è possibile smontare una
delle due fruste allo sbattitore).
Chiudere il contenitore avendo cura che in esso ci sia spazio sufficiente per l’aumento di
volume che avrà luogo con la fermentazione – se avrò fatto l’operazione in una ciotola
metterò sopra un piattino o una pellicola, se uso un barattolo con coperchio a vite mettere
il coperchio ma non stringere troppo per lasciare sfogo ai gas prodotti, se avrò un barattolo
di vetro con chiusura ermetica consiglio di togliere la guarnizione.

Lasciare fuori dal frigo almeno un’oretta (questo è importante affinché la fermentazione
prenda avvio), ma ancora meglio fino a che il processo di fermentazione non risulti
ultimato, indicativamente 4 ore. Volendo posso dividere subito dopo il rinfresco la parte da
tenere come madre (e riporla in frigo dopo un’oretta) e la parte con cui panificare che farò
lievitare a temperatura ambiente (in inverno meglio al calduccio). Dopo la fermentazione
noterò una bella crescita di volume e tante piccole bolle ai lati e in superficie.

IMPORTANTE PER CHI E’ ABITUATO ALLA PASTA MADRE SOLIDA: dopo la crescita
massima post rinfresco il licoli non rimane così a lungo. La sua consistenza cremosa non
riesce infatti a trattenere gli alveoli della lievitazione (che saranno comunque decisamente
più piccoli di quelli della pasta madre solida), quindi dopo l’aumento di volume si ha una
decrescita assai rapida. Rimangono però bollicine in superficie che sono comunque un
segnale di grande attività del lievito.

Se ho intenzione di panificare al mattino posso evitare un’alzataccia a metà notte


semplicemente rinfrescando la sera prima di andare a letto (preferibilmente sul tardi) e
lasciando il contenitore fuori dal frigo fino al mattino; problemi in inverno non ce ne sono,
in estate però il caldo eccessivo potrebbe fare inacidire il lievito e allora possiamo
effettuare rinfreschi con dosi maggiorate di acqua e farina per aumentare i tempi tra
rinfresco e crescita massima (ad esempio un rinfresco al doppio: 50 g licoli 100 acqua e
100 di farina, do doppia pappa e sarà maggiore il tempo della fermentazione); un altro
metodo per avere la pasta madre pronta al mattino senza troppi sbattimenti è quello di
rinfrescare nel tardo pomeriggio precedente, mettere in frigo dopo un paio di orette e tirare
poi fuori frigo di primo mattino lasciando alla pasta madre il tempo di acclimatarsi (a regola
si dovrebbe notare una bella crescita).

Dopo 4 ore (tempo solitamente necessario dopo un rinfresco con dosi standard) il nostro
licoli è pronto per panificare o anche per subire un ulteriore rinfresco se il quantitativo in
nostro possesso è insufficiente e vogliamo rinfrescarlo di nuovo per aumentarlo.

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ATTENZIONE: i rinfreschi sono operazioni di aggiunta, quindi ad ogni rinfresco con dosi
standardil nostro LICOLI triplica di peso!
Esempio : ho 100g di licoli e con l’aggiunta di 100g di acqua e 100g di farina ne ottengo
300g. Non eccedere dunque con le dosi di licoli da tenere in frigorifero (io ne conservo una
cinquantina di grammi, alle volte pure meno se ho intenzione di fare rinfreschi al doppio o
al triplo).

Se però abbiamo troppo licoli rispetto alle nostre necessità possiamo non rinfrescarlo tutto
e utilizzare l’avanzo in quelle che sono considerate ricette per ESUBERO.
Molte di queste ricette (cracker, grissini, similpiadine) sono gustosissime e non avendo
bisogno né di rinfresco né di lievitazione si fanno in modo espresso.

- PIADINE (4 non molto grandi): si utilizza un quantitativo di licoli di circa 180 g (va bene
anche freddo di frigorifero) a cui si aggiunge una presa di sale, un po’ di olio e la farina
sufficiente per rendere il composto lavorabile (e dunque non appiccicoso), io faccio tutto
ad occhio, ma la dose di farina per 180 g di licoli è di circa 80g: si formano 4 palline della
grandezza di un mandarino che si spianano finemente con il mattarello e si cuociono in
una padellina antiaderente ben calda. In cottura solitamente si gonfiano un sacco. Sono
ottime farcite con formaggi morbidi e affettati.
- CRACKER: si prende il licoli che abbiamo a disposizione, ci aggiungiamo sale, un po’ di
olio e il quantitativo di farina necessario per rendere il composto lavorabile (farina del tipo
che vogliamo, anche mix svuotadispensa per terminare pacchi di farina iniziati), l’impasto
deve risultare sodo e ben elastico, ma non appiccicoso: la proporzione è più o meno
quella delle piadine, magari nei cracker mettiamo più olio e un pochino di farina in più,
comunque indicativamente si pesa il licoli che vogliamo utilizzare, si divide il peso per 180,
lo si moltiplica per 80 e a quello che si ottiene si aggiunge una manciatina di farina in più),
se si vuole si possono aggiungere semini vari (sesamo, papavero) o rosmarino tritato. Per
ottenere cracker croccanti li si deve stendere finemente con il mattarello, si può stendere
direttamente sulla carta da forno, trasferire in teglia, tagliare con la rotella dentata, fare
buchi coi rebbi della forchetta (tanto poi in cottura i cracker si separano senza difficoltà). Io
cuocio a 180 in forno ventilato fino a doratura.
-Per i GRISSINI stesso impasto dei cracker, si possono arrotolare semplicemente oppure
si stende una sfoglia non troppo fine, la si ritaglia in specie di tagliatelle di cui si prendono
le estremità con le dita e le si rigirano a spirale l’una nel senso opposto dell’altra.
Con gli avanzi di pm si possono anche creare basi per TORTE SALATE (pm, farina, olio,
pizzico di sale, si spiana, mette in teglia, si farcisce e si cuoce), oppure ROTOLI DOLCI da
prima colazione (tipo strudel), mettendo all’interno quello che vogliamo (nocciole,
cioccolato, marmellata, frutta a pezzi… eventuale aggiunta di zucchero nell’impasto,
all’interno della farcia o spolverato in superficie).
- STRUDEL DI MELE, con una sfoglia realizzata con pasta madre di avanzo: Ingredienti:
100 g di licoli (fa lo stesso che sia rinfrescato o meno, tanto non c’è alcuna lievitazione),
60 di farina 0, 60 g di burro, un cucchiaio di zucchero. Si mette la palla d'impasto un po' in
frigo avvolta nella pellicola trasparente.
Si prepara la farcia: mela a pezzetti, uvetta, pinoli, zucchero di canna, gocciolino di succo
di limone, abbondante cannella.
Si toglie la palla d'impasto dal frigo, la si stende, la si spennella di burro ammorbidito e la
si cosparge di pangrattato e granella di nocciole. Si mette la farcia sulla nostra sfoglia, la
richiudiamo a forma di strudel cercando di sigillare per bene i bordi.
Si spennella con latte e si cosparge di zucchero semolato. Si cuoce a 180 gradi fino a che
la sfoglia non risulta croccante e non umida (controllare il sotto).

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Omettendo lo zucchero ecco che questa sfoglia diventa una base (stile pasta brisé) per
torte salate
- PASTELLA DA FRITTURA (unire una cinquantina di grammi di licoli a 150g di farina e
150 di acqua, dosi indicative da aggiustare per avere una consistenza adeguata, lasciar
riposare un paio di ore prima di immergervi le verdure a pezzetti o quel che si vuole e
friggerle).

CONVERSIONE RICETTE CLASSICHE

Molti di noi panificavano già prima di utilizzare la pm e dunque si chiedono se possono


“pastamadrizzare” le loro ricette con lievito birra: la risposta è sì anche se muteranno
i tempi di lievitazione (con la pm saranno sicuramente più lunghi, ma questo non dovrà
spaventarci, perché far lievitare lungamente un impasto non significa trascorrere un’intera
giornata o più a contemplarlo e basta avere un minimo di organizzazione) e
potranno esserci adeguamenti dei liquidi e della farina presenti in ricetta visto che
con la pasta madre si inseriscono anche il quantitativo di acqua e di farina che la
compongono.

La premessa è che non può esserci una esatta equivalenza tra lievito birra e pasta madre,
innanzitutto perché nessuna pasta madre è uguale all'altra e la sua forza dipende da
diversi fattori, in primis dalla sua maturità (per cui una pm molto giovane è sicuramente
meno efficace di una pm più anziana), poi dalla sua vitalità (una pm anziana che non viene
rinfrescata con una certa frequenza può essere meno efficace di una pm più giovane con
cui si panifica ogni giorno) e dal suo grado di idratazione (il licoli è più efficace di una pasta
madre solida e infatti se ne utilizza di meno in ricetta), c’è poi da vedere le
temperature (in estate si tenderà a mettere meno pasta madre perché con il caldo le
lievitazioni procedono decisamente più in fretta) e infine il tipo di lievitazione che si
intende fare (lievitazione in giornata a temperatura ambiente, lievitazione più lunga sempre
a temperatura ambiente, lievitazione in frigo etc…) si potrà dunque pensare che sia
difficile stabilire quanta pm utilizzare al posto del lievito birra, ma in realtà può
tranquillizzarci il fatto che si può riuscire a far lievitare il nostro impasto sia con poca pasta
madre che con tanta: utilizzando più pm la lievitazione sarà più rapida di quanto non sarà
utilizzandone un quantitativo inferiore, c’è da dire però che la lievitazione ideale con la
pasta madre è una lievitazione più lenta, poiché solo così, e dunque utilizzando un
quantitativo di pm il più ristretto possibile, abbiamo vantaggi dal punto di vista della
digeribilità e delle caratteristiche organolettiche del nostro panificato (prodotto più
digeribile, più gustoso e con caratteristiche nutritive migliori). Possiamo poi ispirarci a
ricette che nascono per pasta madre e grazie a queste comprendere quale sia un
quantitativo di pasta madre ragionevole per “pastamadrizzare” la nostra ricetta... e poi si
va a tentativi e sperimentando aggiustiamo il tiro. Diciamo che per una lievitazione da
effettuarsi in giornata e in periodo non estivo su 500/600g di farina si utilizzano circa 100 g
di licoli, ma come dicevo ci possono essere tante variabili in gioco.

Dove non specificatamente riportato le ricette che si trovano nel web o nei libri che
si occupano di pasta madre intendono pasta madre solida visto che la cosiddetta
pasta madre in coltura liquida ha cominciato a diffondersi soltanto negli ultimi anni,
comunque ogni ricetta per pasta madre solida può essere trasformata in ricetta per licoli
senza problemi.

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L'unica accortezza è di tenere in dovuta considerazione la differenza di composizione e la
maggiore idratazione della pm liquida in confronto alla solida e il fatto che di licoli se ne
debba utilizzare di meno in ricetta rispetto all'altra.

Dunque se la ricetta prevede 150g di pm solida non dovremo utilizzare 150g di liquida ma
una quantità inferiore (vi ricordo che è più efficace).
Sul GRUPPO LA PASTA MADRE abbiamo messo a punto una FORMULA
SEMPLICISSIMA per convertire ricette da pm solida a licoli:

dividere il quantitativo di pmsolida per tre e moltiplicare per due (quello è il


quantitativo di pm liquida da mettere),
lasciare inalterati i liquidi, compensare la differenza di peso con una equivalente
aggiunta di farina
(Esempio in ricetta sono richiesti 150 gr. di PM solida, quindi : 150 : 3 = 100 – quella è il
licolida mettere in ricetta al posto dei 150 di solida, liquidi in ricetta inalterati e aggiunta di
50 g di farina visto che 150 – 100 = 50)

Inutile dire che se la ricetta prevede licoli invece che solida (e noi utilizziamo pasta madre
solida) dovremo fare l'esatto ovvero dividere per due, moltiplicare per tre, mantenere i
liquidi e stavolta compensare la differenza di peso calando il quantitativo di farina.

CONSIGLI VARI:

 Organizzazione dei tempi

Molte persone affermano che la pasta madre (che è assolutamente uno slow food con
tempi di lievitazione molto lunghi) non sia adatta alla frenetica vita moderna e soprattutto a
persone che lavorando stanno molto fuori casa e non riescono a star lì ad aspettare che si
ultimino le lievitazioni, invece devo dire che se si riesce ad avere una buona
organizzazione e soprattutto si prende l’abitudine di fare parte della lievitazione in
frigo problemi non ce ne sono.

In frigo si ha comunque lievitazione, anche se essa è lentissima e quindi ad esempio si


possono fare impasti il giorno precedente quando più siamo in comodo (prima di andare a
lavoro o al rientro) e poi lasciarli in frigo fino a che ci è di nuovo possibile essere a casa;
tra l’altro la lunga lievitazione in frigo (che andrebbe chiamata fermentazione) consente al
prodotto finale di essere ancora più digeribile e leggero, quindi se da una parte il frigo ci
aiuta nell’organizzazione dall’altra ci aiuta anche ad avere risultati migliori.

Se mettiamo un impasto immediatamente in frigo quando lo rimettiamo fuori lo troveremo


poco o quasi affatto lievitato (soprattutto se lo teniamo in frigo poche ore, diciamo dalla
sera alla mattina), ma se invece aspettiamo che la lievitazione parta e lo lasciamo una o
due orette prima di riporcelo ecco che noteremo uno sviluppo maggiore.
Se avremo messo il nostro impasto immediatamente in frigo al mattino dopo continueremo
lasciandolo temperare e procedendo con la lievitazione comportandoci come se lo
avessimo impastato al mattino, se invece mettendolo in frigo dopo un po’ di attesa lo
troviamo lievitato possiamo attendere di più prima di metterlo fuori dal frigo e comunque
fare una lievitazione successiva un po’ più breve.

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 Impasto e piegature

Quando si fa un pane lo si impasta, lo si lascia riposare una o due ore e poi si fanno giri di
pieghe a distanza di un’ora, un’ora e mezzo.

Le pieghe sono un modo per favorire la lievitazione del nostro pane e far sì che
l'impasto inglobi aria e si riempia di quelle bolle che dopo la cottura si traducono
negli alveoli della fetta. Esse servono anche per asciugare impasti particolarmente
idratati (e solitamente si fanno nella semola) o per dare all'impasto una forma
determinata.

Una piegatura classica è quella in tre e consiste nel rovesciare il nostro impasto sul piano
di lavoro ben infarinato nello sgonfiarlo delicatamente con le mani e dargli la forma di un
grande rettangolo che sarà in orizzontale davanti a noi e che ripiegheremo per tre volte su
se stesso (come si fa quando si ripiega un foglio da inserire in una busta), poi lo gireremo
a 90 gradi (rettangolo alto e stretto in verticale davanti a noi ) e lo si ripiegherà in tre anche
in quel senso dando vita ad un quadrato d’impasto “ciccione” che possiamo arrotondare
leggermente e rimettere a lievitare nella ciotola (coperta da pellicola o da un canovaccio
bagnato e ben strizzato).

Se si vuole creare una pagnotta rotonda si sgonfia l’impasto a formare un quadrato e i si


ripiegano tutti i lembi verso il centro con delicatezza.

Per formare un filone si sgonfia l’impasto a formare un quadrato, si portano verso il centro
gli angoli superiori (quasi a formare la forma di una busta aperta) e partendo dalla punta si
arrotola.

 Lievitazione e metodo “pallina”

Dopo aver dato la forma definitiva al nostro pane lo facciamo lievitare ancora un po’ sulla
teglia dove cuoceremo oppure in un cestino con dentro un canovaccio infarinato di semola
i cui lembi saranno poi richiusi sul pane a mo’ di copertura. Se lo si mette in un cestino
(ovale o rotondo a seconda della forma che abbiamo dato al nostro pane) si avrà cura di
lasciare le chiusure delle pieghe verso l’alto visto che a fine lievitazione rovescerò il pane
sulla teglia destinata dalla cottura e quindi esse andranno a finire sotto.

Quando si da la forma definitiva al nostro pane è possibile staccare una pallina d’impasto
dallo stesso e buttarla in un bicchiere di acqua fredda e utilizzarla come specie di spia per
la lievitazione. Il bicchiere con la pallina d’impasto dovrà essere messo nelle stesse
condizioni del pane in lievitazione (se lo si mette nel forno spento con la luce accesa, sarà
messo lì anche il bicchiere, se lo si mette dietro ad una finestra assolata idem) e quando la
pallina d’impasto sarà risalita in superficie (i tempi sono variabili, ci può impiegare
pochissimo tempo o qualche ora), si potrà considerare praticamente ultimata la
lievitazione del pane da cui è stata staccata, si accende il forno e quando raggiunge la
temperatura lo si cuoce. Effettuare i tagli sul pane appena prima di mettere in forno.

 Cottura e raffreddamento

Per avere buoni risultati nel forno elettrico si ha la necessità di umidificare l’ambiente di
cottura e favorire una corretta distribuzione dell’umidità tra esterno e interno del nostro
pane per evitare che si formi una crosta durissima che impedisca una corretta cottura

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dell’interno. Per far questo possiamo vaporizzare acqua sulle pareti del forno con uno
spruzzino oppure mettere all’accensione una ciotola metallica o una piccola teglia sul
fondo su cui verseremo acqua o metteremo cubetti di ghiaccio a inizio cottura. Usare
sempre modalità di cottura statica (non usare modalità ventilata) e infornare al massimo
della temperatura. Abbassare dopo una ventina di minuti e verso metà cottura togliere il
pentolino dell’acqua sul fondo. Fare gli ultimi minuti di cottura a spiffero, ovvero con un
mestolo infilato nello sportello in modo da impedirne la perfetta chiusura. Un pane fatto
con 500/600g di farina generalmente cuoce in 45 minuti. Per verificare la cottura si può
comunque bussare sotto al pane, se esso suona a vuoto con un toc toc deciso il pane
dovrebbe essere cotto.
Per quanto riguarda il raffreddamento se si vuole una crosta più croccante, lasciare il pane
poggiato in verticale alle pareti del forno spento con sportello semiaperto. Per avere crosta
più morbida lasciare raffreddare in orizzontale fuori dal forno e avvolgere in un canovaccio.

 Problemi di acidità e lievito poco attivo

Se i panificati prodotti con il nostro licoli dovessero avere un sentore di acido dobbiamo
valutare alcune cose. In primis che non sia trascorso troppo tempo tra rinfresco e
panificazione. Come dicevo con l’arrivo della bella stagione potrebbe non essere più
ideale rinfrescare la sera per panificare al mattino; in estate possiamo anche mettere
meno licoli in impasto e accorciare i tempi stessi della. Temperature superiori ai 30 °C
favoriscono i batteri lattici, che conferiscono al prodotto un aroma indesiderato che
permane nel prodotto finito, poiché l’acido lattico non evapora in fase di cottura.
Temperature attorno ai 25 °C favoriscono lo sviluppo dei lieviti che producono acido
acetico e questa è dunque una temperatura più ideale per avere buoni risultati.
Se l’acidità non fosse imputabile ad una delle cause sopra riportate e neppure all’utilizzo di
farine inadatte (vedi prossimo argomento trattato) la causa potrebbe essere un vero e
proprio inacidimento del lievito. In questo caso non possiamo ovviamente effettuare il
bagnetto che solitamente si consiglia per la solida, ma dobbiamo prendere altri
provvedimenti.

L’acidità è un chiaro segnale di eccesso di attività dei nostri microrganismi e il nostro


scopo dovrà essere di ristabilire il giusto equilibrio tra acido lattico e acido. Il consiglio è
innanzitutto di lavorare con quantitativi di licoli molto piccoli (per non trovarcene troppo) e
di aumentare la quantità di acqua e farina rispetto alla madre effettuando rinfreschi
al doppio o al triplo (esempio 10 Licoli + 20 acqua + 20 farina – rinfresco al doppio- o 10
Licoli + 30 acqua + 30 farina – rinfresco al triplo). Come già detto questo sistema dei
RINFRESCHI AL DOPPIO O TRIPLO è altresì utile per aumentare i tempi tra rinfresco ed
impasto (ad esempio per rinfrescare la sera e panificare al mattino in periodo estivo senza
rischiare di ritrovarsi con un licoli già in fase di collasso).

Se invece notiamo che il nostro licoli non è particolarmente attivo e ha problemi di crescita
dopo il rinfresco dobbiamo agire in modo diverso e invece di fare rinfreschi con dosi
standard o maggiorate di acqua e farina tendere piuttosto a fare pseudorinfreschi
ripetuti ovvero rinfreschi frequenti ma con piccole proporzioni di acqua e farina. Ad
esempio ho 50 g di licoli e lo rinfresco con 25g di farina e 25 di acqua (ma volendo pure
meno): gli do meno nutrimento ma glielo do più spesso (anche tre pseudorinfreschi al
giorno) e i microrganismi faranno più in fretta a digerire il cibo dato, lievitando più in fretta.
Il sistema degli PSEUDORINFRESCHI è consigliabile anche quando dobbiamo preparare
il nostro licoli per prove importanti (ad esempio se abbiamo intenzione di fare un
panettone, un pandoro o una colomba).

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TIPI DI FARINA

Le farine sono ottenute dalla macinazione di cereali e in panificazione il cereale più


utilizzato è il grano tenero. Nel sud Italia si utilizza anche molto il grano duro (in
particolare sotto forma di semola rimacinata di grano duro, quella a granulometria più fine),
ma ricordiamo anche il farro, il grano khorasan (commercializzato come Kamut) e altri
grani duri cosiddetti antichi, l’orzo, la segale, l’avena (queste ultime con contenuto di
glutine basso, quindi da mischiare ad altre farine), il miglio, il mais, il riso (queste ultime
prive totalmente di glutine).

Le farine di grano tenero sono classificate a seconda del livello di raffinazione o


meglio a seconda del quantitativo di ceneri contenute: la farina più raffinata (quella
con contenuto minore di ceneri) è la 00, impalpabile e candida all’aspetto, la più povera da
un punto di vista nutritivo, poi segue la 0 (e fino alla 0 la macinazione è a cilindri) le
semintegrali, ovvero la tipo 1 e la tipo 2 (solitamente macinate a pietra e contenenti
anche il germe del grano), e infine la farina integrale che non ha subito alcun processo di
raffinazione e contiene anche la crusca.

Oltre alla classificazione per contenuto di ceneri si deve anche ricordare la


classificazione delle farine a seconda del cosiddetto coefficiente W, ovvero il loro
contenuto glutinico.
Più una farina ha coefficiente W alto e più essa sarà elastica, forte e tenace in impasto,
assorbirà più acqua e lieviterà più lentamente. Al contrario una farina debole (coefficiente
W basso) sarà adatta a lievitazioni più brevi formando un impasto molto meno elastico e
tenace che lieviterà più in fretta.
Una farina di forza per eccellenza è la cosiddetta farina Manitoba. In origine essa era
farina di tipo 0 coltivata nell’omonima provincia canadese, ma poi il termine è stato esteso
a tutte le farine con coefficiente di forza superiore a 350 (insomma possono anche esserci
farine di forza di tipo 00, semintegrali e addirittura integrali).
Si può panificare con farine deboli e farine forti o anche fare un mix tra le due tipologie. Di
certo ogni farina ha i propri tempi di lievitazione e i propri usi. E’ errato fare lievitazioni
lunghissime con farine deboli (l’impasto non reggerebbe e ce lo ritroveremmo collassato e
con evidente sentore di acido) ed è altrettanto sbagliato utilizzare farine di forza per
lievitazioni troppo brevi non dando il tempo al glutine presente di scomporsi.

LINK UTILI

- su Facebook Gruppo La Pasta Madre


https://www.facebook.com/groups/gruppolapastamadre/ gruppo attivissimo di persone che
cercano consigli e idee sull'uso del lievito naturale, hanno voglia di condividere la gioia
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