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Pare che già in tempi molto antichi fosse stato compreso che la fermentazione che naturalmente avveniva nell’impasto di acqua e
farina rendeva più gradevole, più buono e digeribile il pane. Già in Egitto e in Grecia si producevano pani di vario tipo e in tutto il
Mediterraneo era ben nota la fermentazione di cereali come l’orzo e il grano, che dava origine alla birra, e quella dell’uva che
trasformava il succo dolce del frutto in una bevanda anche più ricca di alcol, il vino. C’è un nesso molto stretto tra birra, vino e pane,
proprio perché i microorganismi alla base della fermentazione sono gli stessi. Invisibili e ignoti agli uomini e alle donne dell’antichità,
solo dal XVIII secolo, con la nascita della moderna microbiologia, hanno avuto un nome, e sono stati studiati al punto di poterli
riprodurre in laboratorio. Lo scienziato che per primo li ha identificati e riconosciuti come creature viventi è stato Louis Pasteur a
metà del XIX secolo.
Meno immediata è la relazione che lega la lievitazione del pane alle complesse pratiche dell’arte casearia, che trasforma il latte,
prodotto altamente deperibile, in un alimento di tutt’altra consistenza e lunga conservabilità perché tra i microorganismi che formano
il lievito madre ci sono sia i lieviti responsabili della fermentazione alcolica, sia i batteri alla base della fermentazione lattica.
I lieviti - al pari delle varie specie di cereali, ortaggi e alcuni animali - sono tra le creature viventi addomesticate da più lungo tempo,
pur essendo minuscoli e non visibili a occhio nudo. Sono infatti esseri unicellulari e appartengono al regno dei funghi. Ne esistono
almeno 1.500 specie, quasi tutte utili, o almeno non dannose. Tra i pochi lieviti patogeni, un ospite sgradito è la Candida albicans,
responsabile di fastidiose infiammazioni. Altri lieviti possono dare origine a dermatiti, ma si tratta di poche specie, in confronto alla
vasta schiera di lieviti “buoni” e di fatto indispensabili alla nostra alimentazione.
I lieviti si nutrono di zuccheri semplici come il glucosio, il fruttosio, il maltosio. Come tutti i funghi non hanno bisogno di luce per
crescere. Possono anche fare a meno dell’ossigeno per respirare, così come alcuni batteri. Possono scegliere, a seconda delle
condizioni ambientali, se riprodursi per gemmazione o attraverso la formazione di spore, soprattutto se le condizioni ambientali
divengono difficili (carenza di nutrimenti o acqua, temperature non adeguate).
Cosa avviene nell’impasto di acqua e farina in presenza di lieviti? Inizialmente i microorganismi utilizzano l’ossigeno per respirare e
trasformano gli zuccheri presenti nella farina, traendo energia per il loro sostentamento e rilasciando anidride carbonica. Una volta
esaurito l’ossigeno, i lieviti iniziano la fermentazione, demolendo gli zuccheri senza utilizzare l’ossigeno, ma producendo oltre
all’anidride carbonica anche alcol etilico. Alla base della lievitazione del pane, come della fermentazione del mosto d’uva e del malto
d’orzo sta, insomma, una complessa reazione chimica.
Il lievito di birra
Il lievito più noto e selezionato già a partire dal XVIII secolo per il suo impiego nella fermentazione della birra è il Saccharomyces
cerevisiae, presente in natura soprattutto sulla superficie della frutta, ma anche sui cereali. Per fare un pane soffice, l’industria
alimentare ha selezionato, dal XIX secolo, i ceppi di lieviti più adatti allo scopo, e il cosiddetto lievito di birra si è dimostrato il più
versatile per questo uso. È di solito coltivato su un substrato dolce a base di melassa di zucchero di barbabietola, confezionato in
panetti o anche disidratato e disponibile sotto forma di granulato. Il suo impiego è facile, perché si tratta di una sola specie di lievito,
che nelle condizioni ambientali ideali - per presenza di acqua, temperatura compresa tra i 30 e i 35 °C e cibo abbondante sotto forma
di carboidrati - si riproduce rapidamente e altrettanto rapidamente innesca una fermentazione alcolica, gonfiando la pasta, che
raddoppia il volume in circa un’ora e mezza. L’anidride carbonica forma le bolle della mollica, mentre l’etanolo evapora con la
cottura.
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latte), ma anche glucosio e altri zuccheri che si trovano nella frutta, nella verdura e nei cereali, sono organismi molto importanti per la
nostra alimentazione. Formaggi, yogurt, kefir, ma anche i crauti non esisterebbero senza batteri lattici. Questi organismi sono infatti in
grado di creare e di abitare ambienti molto acidi (con pH di circa 5, o inferiore), che altri batteri, soprattutto quelli nocivi, non
riescono a sopportare. La presenza di batteri lattici contrasta efficacemente i patogeni come i colibatteri fecali, funghi, come la
candida, muffe e tanti altri agenti nocivi, che sono di gran lunga più abbondanti dei batteri “buoni”.
I batteri lattici si distinguono poi in due categorie, gli omofermentanti e gli eterofermentanti. La differenza è che i primi producono
con il loro metabolismo esclusivamente acido lattico. Gli altri trasformano gli zuccheri, oltre che in acido lattico, anche in altre
sostanze, che vanno dall’anidride carbonica all’etanolo, all’acido acetico.
Se la pasta madre nel tempo prende sentori sgraditi, la responsabilità va quasi sempre a qualche ceppo di batterio lattico assai
interessante per la produzione di formaggi saporiti e piccanti, ma indesiderabile nella panificazione domestica. Con opportun i
rinfreschi della pasta si può tornare all’equilibrio ottimale. “Rinfrescare” la pasta madre significa nutrirla a intervalli regolari con
adeguate aggiunte di farina e acqua. È un essere vivente e ha bisogno, come tutti, di mangiare.
Il fatto che intervengano batteri lattici di vario tipo è alla base della presenza di molecole aromatiche, che creano quell’irripetibile
profumo di pane, quello della memoria di chi ha qualche anno in più, quello che proveniva dal forno a legna della vicina di casa
contadina e ottima fornaia.”
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Fare la pasta madre
È bene mettere subito in chiaro che non esiste un unico metodo, né uno che sia il migliore in assoluto. La scelta di una pratica
piuttosto che di un’altra è spesso dettata dalle abitudini, dalla comodità, dal tipo di pane e dalle esigenze del proprio nucleo familiare.
Sarebbe buona prassi sperimentare varie soluzioni, per poi scegliere quella che meglio si adatta ai ritmi della nostra vita quotidiana.
Sarà sempre e comunque un valido compromesso: secondo Calvel, il modo ideale di replicare la pasta madre richiederebbe un
rinfresco alla temperatura di 26 °C per tre ore, fino alla completa maturazione, quindi la sua conservazione a 10 °C per tre giorni.
Pratica non semplice da seguire, per chi ha impegni di lavoro e di famiglia, e in certe stagioni dell’anno. Per esperienza personale, fare
il pane una volta alla settimana è un impegno già abbastanza oneroso, ma praticabile quasi da tutti. Sempre che si riesca a dedicare
alcune ore di tempo, tra sera e mattina, a cavallo del fine settimana, alla panificazione domestica. Non servono grandi attrezzature, né
spazi diversi da quelli di una normale cucina. Non serve nemmeno un forno particolare: da quello a legna, che pochi possono
permettersi, al semplice fornetto elettrico di quelli più economici, il pane si riesce a fare con risultati eccellenti, a patto di fare
parecchi esperimenti e conoscere bene il funzionamento del nostro personale forno di casa.
Le materie prime sono invece ciò che fa la differenza. Le farine non sono tutte uguali, e la qualità dei prodotti che scegliamo sarà
determinante per avere una pagnotta eccellente. Il pane è composto di acqua e farina e poco altro: pertanto anche l’acqua deve avere
caratteristiche di qualità e idoneità.
C’è poi il metodo di lavorazione - altra variabile che influisce sulla qualità - e il tempo, fattore da non trascurare, durante il quale
lieviti e batteri modificano la composizione chimica delle farine. Insomma, il pane è fatto di poche cose semplici, ma la cui
combinazione comporta differenze di gusto e consistenza davvero enormi, basti pensare ai tanti tipi di pane che fanno bella mostra di
sé sugli scaffali di una panetteria.
Ci sono vari modi di preparare la pasta madre, che può essere compatta come una pagnotta o liquida come yogurt. Può essere fatta con
farine “bianche ricche di glutine o con farine di cereali integrali, può essere conservata in acqua o messa in vaso di vetro. Può essere
giovane di poche settimane o centenaria. Può essere custodita legata stretta come un salame, e occasionalmente può anche essere
talmente potente da esplodere e fuoriuscire dai contenitori in cui la si costringe a stare. La pasta madre è, insomma, una cosa dotata di
vita propria, mutevole nel tempo.
Prima di mettersi all’opera in cucina, ecco qualche indicazione pratica su tutto quello che serve per iniziare una pasta madre da acqua
e farina (e poco altro, o anche niente).
Acqua
Il cloro presente nell’acqua potabile è un potente battericida, quindi costituisce un elemento di contrasto alla fermentazione. Per
contro l’acqua di pozzo o di sorgente non è batteriologicamente pura come quella delle bottiglie. Se la potabilità della fonte o del
pozzo è certa, perché sottoposti ad analisi, o per consuetudine (quell’acqua si è sempre bevuta), allora l’acqua di sorgente potrebbe
aggiungere un elemento di caratterizzazione territoriale alla pasta madre, con il suo apporto di una flora batterica specifica.
Tuttavia, l’acqua del rubinetto non è da scartare a priori, perché spesso ha quella caratteristica di durezza media (tra 20 e 25 gradi
francesi) che è ideale per fare il pane. Se si avverte l’odore del cloro, basta farla riposare in un recipiente aperto e largo per tre o
quattro ore: il cloro evaporerà. Per contro l’acqua in bottiglia, che è spesso oligominerale (quindi decisamente dolce), è povera di sali
minerali utili alla fermentazione, e quindi non particolarmente adatta alla panificazione. “Se l’acqua del rubinetto è troppo dura (oltre i
30 gradi francesi: l’ente gestore della rete idrica in genere conosce questi dati e forse anche le serpentine della vostra lavatrice),
conviene tagliarla con acqua dolce imbottigliata.
Farina
Ci sono varie scuole di pensiero: c’è chi sostiene che una buona pasta madre versatile si fa con farina 00 oppure farina Manitoba,
ricche di glutine. C’è invece chi sostiene che una farina integrale, o anche farine di altri cereali, come la segale, siano più indicate.
Tutto dipende dal tipo di pane che si fa: se a casa si mangia solo pane integrale si può avviare la pasta madre con farine integrali. Ma
c’è anche chi dispone di più paste madri: una bianca per il pane bianco, le focacce e la pizza, una integrale per i lievitati integrali.
In genere è meglio scegliere farine biologiche, che non hanno subito trattamenti anticrittogamici e sono quindi più ricche di flora
batterica spontanea.
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Perché la pasta cresca bene è infatti importante che la farina abbia “forza”. Con forza si intende la capacità della farina di resistere alla
lavorazione, capacità che dipende dal contenuto proteico del grano. A contatto con l’acqua le proteine si aggregano in un complesso
proteico - un reticolo di molecole, il glutine - che rende la pasta elastica e le consente di trattenere l’anidride carbonica sviluppata
dalla fermentazione. Più forte è la farina, più gonfia la pasta. In genere, però, le farine in commercio non lo sono, e i panificatori
professionali utilizzano per i pani e i prodotti da forno molto lievitati farine speciali. La forza della farina è un dato misurabile ed è
espresso con il fattore W (fattore di panificabilità). Se una comune farina 00 ha una forza di W 150 (molto debole), una Manitoba
varia dai W 300 ai 400, ed è quindi una farina forte. La maggior parte delle farine commerciali non riporta questi dati, presenti solo
sulle farine “tecniche” per panificatori.
Temperatura
La maggior parte degli agenti responsabili della fermentazione del pane si riproduce a temperature variabili tra i 18 e i 25 °C. Quindi
se si vuole iniziare la propria pasta madre, è meglio scegliere l’estate, e i giorni più caldi, con bel tempo stabile. I vari ceppi di
microorganismi che convivono nel lievito madre gradiscono ovviamente temperature leggermente diverse a seconda della specie e in
linea di massima non amano il freddo: a temperature troppo basse divengono inerti e muoiono. Sottoporli quindi a sbalzi bruschi di
temperatura e costringerli per vari giorni in frigo non è per loro il massimo. L’ideale sarebbe conservare la pasta madre a temperatura
ambiente, ma questo costringerebbe a effettuare rinfreschi molto ravvicinati, anche tutti i giorni, cosa che non è praticabile e
moltiplicherebbe a dismisura la quantità di pasta madre da utilizzare. È quindi importante mantenere la pasta madre durante il periodo
di fermentazione a una temperatura costante di 23-24 °C, alla quale la maggior parte dei microorganismi è più vitale, e metterla in
frigo nello scomparto della verdura o comunque nella parte meno fredda nei giorni di riposo.
Come fare a mantenere una temperatura costante, soprattutto nei mesi o negli ambienti freddi? Si può mettere la pasta madre n elle
vicinanze di un termosifone o di una stufa, oppure si può circondare il recipiente con bottiglie di plastica piene di acqua calda, che
manterranno a lungo la temperatura desiderata.”
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Molte ricette per la pasta madre, e soprattutto quelle che prevedono impasti più densi, richiedono l’uso di impastatrici o frullatori.
Tuttavia è possibile utilizzare, se non si è attrezzati in modo professionale, anche solo le mani e una spatola di legno. L’importante è
che questa sia riservata alla lavorazione della pasta madre e non venga mai a contatto con impasti in cui sia presente del lievito di
birra, i cui ceppi selezionati potrebbero alterare l’equilibrio dei microorganismi della pasta madre. Così come il lievito di birra starà in
frigo ben sigillato e lontano dalla pasta madre. In ogni caso sarà difficile evitare una qualche contaminazione con lieviti e batteri
presenti in gran numero in tutti i nostri ambienti di vita.”
Le ricette
Pasta madre liquida, con farina bianca
Si tratta di una pasta madre di facile impiego, piuttosto liquida, adatta a chi non ha molto tempo. Si rinfresca con facilità e non
richiede l’uso di frullatori o impastatrici. Perché la pasta madre “parta” occorre avere qualche mezz’ora di tempo da dedicare alla
causa, per una settimana circa.
Giorno 1
100 g di farina di frumento bio 0
1 cucchiaino di miele
100 ml di acqua tiepida non clorata (30-35 °C)”
Sciogli il miele nell’acqua tiepida, e aggiungili alla farina in una ciotola capiente. Impasta con un cucchiaio di legno, quindi con le
mani, mettendo altra farina se serve, fino a ottenere un piccolo panino.
Copri la ciotola con un panno di cotone piegato in quattro e bagnato, che non tocchi l’impasto. Serve a mantenere l’umidità e fare in
modo che non si formi la crosta. Lascia la pasta a riposo in un luogo caldo (ma non al sole), non ventilato. Àrmati di pazienza e
attendi 48 ore. La pasta si schiaccia allargandosi un po’, si scurisce in superficie, al sapore risulta ancora dolce, per via del miele. Ma
se tutto va bene (e non è detto) dovrebbero apparire degli alveoli, dei forellini sulla superficie. Sono il segno che i batteri stanno
lavorando e producendo anidride carbonica.”
Giorno 3
Si divide la pasta in due parti uguali. Una metà si butta. Al panetto rimasto si aggiunge un po’ d’acqua tiepida e altri 50 g di farina; si
impasta nuovamente per ottenere un altro panino. Si è fatto in questo modo il primo “rinfresco”, per nutrire i batteri già presenti, e
invogliarne altri a colonizzare la pasta. In questa fase iniziale il nostro lievito madre è ancora troppo debole per far lievitare il pane. Si
mette in una ciotola pulita, sempre coperta con un panno umido, in un luogo riparato e tiepido, e si lascia riposare una giornata.”
Giorno 5
Gli alveoli sono aumentati e il sapore della pasta è già molto acido. Si procede quindi con il secondo rinfresco, ma la farina aggiunta
questa volta (sempre 50 g) è Manitoba, che per il suo più alto contenuto di glutine rappresenta un nutrimento molto appetibile per
lieviti e batteri. A questo punto si può controllare il tempo di lievitazione: se nel giro di quattro o cinque ore il panetto è almeno
raddoppiato, il lievito madre è pronto per una prima prova di panificazione, anche se non sarà ancora al massimo delle sue
potenzialità. Se ci mette di più significa che è ancora un po’ debole: prosegui con i rinfreschi ogni due giorni per rafforzarlo.
Un lievito che spinge in modo ottimale dovrebbe triplicare il proprio volume nell’arco di quattro ore. Se si utilizza un recipiente di
vetro graduato sarà facile rendersi conto del punto giusto di maturazione. Altrimenti, su un vaso di vetro ordinario si può marcare con
un pennarello il livello di partenza.
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Si inizia dunque con un paio di cucchiaiate di farina di segale, che si stemperano in acqua tiepida (acqua con le stesse caratteristiche
descritte qui), quanto basta a ottenere un composto piuttosto liquido, della consistenza dello yogurt. Si pone in un vaso (quelli di vetro
da mezzo chilo sono perfetti), chiuso con una garza. Si lascia in luogo tiepido (tra i 25 e i 29 °C: la segale ama il caldo) per 48 ore,
quindi si procede con i rinfreschi, aggiungendo un cucchiaio di farina di segale ogni due giorni. L’impasto diviene quindi più denso e
nel giro di dieci giorni dovrebbe iniziare la fermentazione. A questo punto si può impastare con farina 00 o Manitoba, quanto basta
per ottenere un panetto più compatto, che si lascia fermentare per un giorno. La pasta madre dovrebbe essere pronta per la
panificazione, ancora giovane e acerba, ma molto promettente per ogni tipo di pane e focaccia.
Se invece volete avere una pasta madre particolarmente adatta al pane integrale, si può anche non aggiungere la farina bianca ma
continuare con rinfreschi a base di segale o altre farine integrali, mantenendo però la pasta madre piuttosto liquida, conservandola in
vaso di vetro, che è anche il metodo più comodo e facile. La segale fermenta con un procedimento un po’ diverso dal frumento e ha
un pH leggermente più acido, quindi è meno soggetta a essere colonizzata da batteri e muffe indesiderati. La segale è inoltre “povera
di glutine ma ricca di pentosano, una molecola solubile che svolge la stessa funzione del glutine, rendendo l’impasto molto colloso ma
consentendo comunque che la pasta si gonfi, anche se con alveoli meno marcati e più fitti. Se si vuole fare il pane di segale è
indispensabile utilizzare un lievito madre di questo tipo.”
Rinfresco: il procedimento
Per prima cosa si tira fuori dal frigo per tempo il contenitore della pasta madre, e si lascia a temperatura ambiente, in modo che si
scaldi gradualmente. Bastano un paio d’ore. Meglio verificare che non ci siano parti scure o muffe sospette, che se la pasta madre è
ancora giovane si possono formare sulla superficie; si devono togliere e buttare, lasciando solo le parti bianche e pulite. Il naso poi
rivela molto: si deve avvertire subito, appena aperto il contenitore, l’alcol prodotto dalla fermentazione, quindi aromi piacevoli di
yogurt e di frutta acerba. In questo caso la pasta madre sta funzionando a dovere.
Si pesa con il suo contenitore, di cui ovviamente conosciamo il peso per calcolare la tara. Nello stesso contenitore si aggiunge acqua
appena tiepida pari al peso netto della pasta e si scioglie bene e a lungo con un cucchiaio di legno. Si versa ora in un recipiente pulito
e si aggiunge farina quanto basta a ottenere una consistenza analoga a quella di partenza. Si lavora bene con un cucchiaio di legno
dedicato unicamente alla pasta madre, che si avrà cura di lavare sempre e solo con acqua calda, senza sapone. Si copre il recipiente
con un panno umido e si lascia in luogo tiepido (vicino alla stufa o al termosifone se siamo in inverno, in un luogo riparato come il
forno spento in estate, ma mai direttamente sulla fonte di calore). Trascorse 3 o 4 ore la pasta apparirà piena di bolle e cresciuta
almeno del doppio, se la consistenza non è troppo ferma (se il lievito è piuttosto liquido, infatti, parte dell’anidride carbonica prodotta
non viene trattenuta dalla pasta e si libera nell’aria). Un impasto più compatto dovrebbe crescere fino a triplicare il volume.
Un pane naturale
Ora che possediamo un piccolo tesoro di lieviti naturali, è arrivato il momento di metterli al lavoro. Il primo passo da fare è quello di
tirare fuori dal frigo la pasta madre e lasciarla lentamente riscaldare a temperatura ambiente. Ci vorrà qualche ora perché anche il
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cuore, che è il più vitale, raggiunga i 20 °C (in inverno va sempre tenuta vicino a una fonte di calore durante la fermentazione),
temperatura a cui il lievito comincia a essere più attivo. Si procede quindi con il rinfresco. Il mattino seguente la pasta madre sarà
vivace e pronta al suo lavoro. Solo una parte sarà usata per fare il pane. Una piccola quantità (ne bastano 50 g), va tenuta a parte e
rinfrescata per una successiva infornata, e così via, settimana dopo settimana, potenzialmente all’infinito. La pasta madre cresce in
potenza e complessità di aromi con gli anni.
Come primo passo, si farà un pane semplice, senza fronzoli: un pane bianco, che consenta anche di provare la forza lievitante della
pasta.
Setacciare la farina
Per migliorare le prestazioni delle farine che utilizzeremo, è sempre una buona pratica setacciarle (anche con un colino grande a
maglie fini, ma il setaccio è meglio), operazione che, oltre a rompere eventuali grumi, le ossigena, cioè incorpora atomi di ossigeno
tra i granuli di farina e facilita la lievitazione (i lieviti nella prima fase trasformano gli zuccheri utilizzando l’ossigeno), con il risultato
di una più salda maglia glutinica. In parole povere, setacciare la farina fa gonfiare meglio il pane.
Praticare l’autolisi
Si devono a Raymond Calvel gli studi sull’autolisi e la diffusione di questa pratica, che consiste nell’impastare la farina con l’acqua e
lasciarla riposare per un tempo variabile da mezz’ora a un’ora. Autolisi significa che avviene una scissione enzimatica degli amidi
della farina, con conseguente formazione di una forte maglia glutinica, senza le interferenze dei lieviti e del sale, che contrastano tale
processo. Si accorciano così i tempi di impasto. Anche impastare a lungo favorisce la formazione della maglia glutinica e la buona
lievitazione del pane, ma un’azione troppo prolungata lo priva anche di sapore e aroma.
Trascorso il tempo necessario si aggiungono anche gli altri ingredienti. In genere si procede impastando tutta la farina con quasi tutta
l’acqua, riservandone una piccola parte che serve a sciogliere bene il lievito madre. Si impastano quindi tutti gli ingredienti,
aggiungendo qualche manciata di farina per ottenere la consistenza desiderata.
Incordare e battere la pasta
Come si fa a impastare correttamente? A dire il vero è un’azione che deve essere ormai inscritta nel nostro Dna, perché nella maggior
parte delle persone è un gesto che si fa naturalmente senza alcun apprendimento. Oltretutto è un movimento che rilassa, forse perché
ripetitivo e anche un po’ ipnotico. A seconda della minore o maggiore idratazione, è un esercizio che richiede una certa energia. Si
utilizzano i palmi della mano, ma anche le nocche, con impasti particolarmente compatti, per esempio quelli a base di farina di grano
duro. In sostanza si spiana la pasta con i palmi, quindi la si ripiega su se stessa e si ripete il gesto, per almeno 20 o 30 minuti. In
questo modo la pasta si “incorda”, cioè sviluppa la maglia glutinica e diviene elastica, in grado quindi di trattenere le bolle di gas che
la fermentazione produce. Presenterà così, a cottura avvenuta, un’alveolatura soddisfacente.
Se l’impasto è molto idratato, molle e appiccicoso (per esempio per lievitati come la ciabatta), si pratica la battitura (Stretch and
Fold). Si prende la palla di pasta con una mano e la si batte con energia sulla spianatoia, ripetutamente. L’impasto si allunga e tende
ad aderire al piano e alle mani, ma procedendo con la battitura comincerà a staccarsi più facilmente, lasciando mani e spianatoia
puliti.
Per ottenere una crescita in verticale del pane, si pratica quindi la piegatura: l’impasto va allungato e allargato a formare un rettangolo,
che si infarina e si piega in tre. Si spiana con le mani (o anche con un mattarello), si gira di 90° e si ripete il gesto, più e più volte.
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Il lievito madre deve essere sciolto in acqua tiepida, in modo da essere ben liquido, prima di entrare nell’impasto, a cui si possono
aggiungere altri ingredienti a piacere (olio, noci, avena in fiocchi, patate, concentrato di pomodoro e quanto la fantasia suggerisce).
Merita una menzione un ingrediente che migliora di molto la qualità del lievitato: il malto d’orzo. Si presenta come uno sciroppo
scuro simile al miele, e una piccola quantità (da 0,5% a 1% della farina) può essere utile perché contiene maltosio, zucchero molto
gradito ai lieviti, e un enzima (amilasi) in grado di scindere le molecole di amido e favorire l’aggregazione della maglia glutinica. Il
malto d’orzo si ottiene dai chicchi d’orzo, che vengono bagnati con acqua e fatti germinare. Successivamente la germinazione viene
bloccata essiccando i grani. Da questa materia prima viene estratto il malto, essenziale per la fermentazione di bevande come la birra e
il whiskey. È proprio la germinazione a stimolare lo sviluppo degli enzimi, fondamentali per la fermentazione e lievitazione anche del
pane.
Il sale invece si aggiunge alla fine, quando la pasta è ben lavorata e pronta per la lievitazione finale, anche se occorre impastare ancora
un po’ per farlo sciogliere e amalgamarlo bene. Chi produce grandi quantità di pane, lo aggiunge all’impastatrice sciolto in acqua, ma
anche a secco si scioglie a dovere. Basta metterci un po’ di olio di gomito. I batteri e i lieviti non amano molto il sale, che quindi “va
messo il più tardi possibile.
Se si usa pasta madre per produrre pani molto integrali, conviene dotarsi di lievito madre a base di segale e sperimentare la cottura del
pane a cassetta in stampi da plumcake, nei quali la lievitazione è costretta a spingere in alto. Le pagnotte, soprattutto se impastate con
la farina di segale, tendono a “sedersi” molto.
Tempi
Tempi lunghi, quelli del lievito madre. Impastato il pane e composto nella forma desiderata (una grossa pagnotta tonda è la più facile),
lo si pone in una teglia capiente, oliata e infarinata, o direttamente su una leccarda. Bisogna aver pazienza e attendere che il pane
cresca almeno 4 o 5 ore, avendo cura di mantenere l’impasto in un luogo tiepido. In inverno può essere necessario far lievitare il pane
in forno, tenuto acceso sul minimo per qualche minuto, quindi spento, il calore si mantiene abbastanza a lungo. Se il forno è
illuminato da una lampadina a incandescenza, basta tenere la luce accesa: il calore sviluppato dalla lampadina sarà sufficiente a tenere
l’impasto alla giusta temperatura.
Se si superano le 4-5 ore, il lievito tende ad acidificare troppo la pasta; e comunque se il lievito lavora come deve, in condizioni
ottimali, il pane sarà già ben cresciuto.
Se si vuole fare pagnotte o filoni nelle forme più diverse (ma è un passo successivo, da affrontare dopo che ci si è impratichiti), la
lavorazione prevede due fasi di lievitazione. Nella prima si mette la palla ben impastata, che deve risultare liscia e non appiccicosa,
ben infarinata in superficie, in una zuppiera capace, coperta da un panno umido. Si attendono circa tre-quattro ore, a seconda della
stagione e della temperatura della cucina. La pasta deve risultare già abbastanza lievitata. La si taglia con un coltello grande e si
impasta con poca farina fino a ottenere la forma desiderata. Si pongono i pani così ottenuti sulla leccarda a lievitare ancora un’ora e
mezza circa. Non è, questa, un’operazione facile e immediata, ma richiede una discreta esperienza. Meglio comunque sperimentare
baguette, biove e filoncini con impasti a base di farine forti.
Si inforna quindi a 220 °C, per poi abbassare a 200 o 180 °C, a seconda del forno, che bisogna conoscere bene e con cui bisogna
sempre prendere un po’ la mano. Indicativamente i forni piccoli cuociono più velocemente, ma rischiano sempre di bruciare la crosta.
I forni ventilati non sono adatti alla cottura del pane, che richiede sempre un certo grado di umidità. Meglio, quindi il buon vecchio
forno statico. Non ci sono differenze sostanziali rispetto alla cottura del pane prodotto con lievito di birra: un’ora o 45 minuti, a
seconda del tipo e delle dimensioni del pane. Per evitare che la crosta si secchi troppo, è opportuno mettere sempre in forno un
pentolino d’acqua bollente.
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Fermentazioni spontanee
“La fermentazione basata su organismi spontaneamente presenti sul cibo o nell'ambiente è nota come fermentazione spontanea. Lo
stile contrastante della fermentazione, in cui organismi specifici isolati, o comunità consolidate, sono introdotti in un substrato per
iniziare la fermentazione, è noto come coltura. "La maggior parte delle colture di fermentazione, note anche come starter,
comportano semplicemente il trasferimento di una piccola quantità di un fermento attivo o maturo in una nuova batch del suo
nutriente (o substrato) alimentare appropriato. Ecco come si perpetuano yogurt e lievito madre. Nella letteratura tecnica, questo è
indicato come rinfresco. Tutte le culture introdotte dovevano essere iniziate come eventi spontanei di fermentazione selvaggia. Nel
corso del tempo, le persone hanno acquisito conoscenza delle condizioni che hanno prodotto risultati soddisfacenti e le tecniche per
perpetuarle sono state perfezionate.
Alcuni starter di fermentazione si sono evoluti in forme biologiche distintive che si riproducono come comunità coese. Il Kefir ne è un
esempio. I "grani" o "cagliate" di Kefir sono macchie gommose, polisaccaridi abitati da una comunità di circa 30 specie batteriche e
fungine distinte. Gli organismi coordinano la loro riproduzione. E sebbene queste creazioni biologiche siano sviluppate
dall'interazione umana quotidiana con il latte, non è possibile creare un grano kefir da zero. Si riproducono nel mezzo nutritivo del
latte e il kefir genera il kefir. Questo tipo di strarter, evoluto in un'entità biologica stabile, è noto come una comunità simbiotica di
batteri e lieviti, o SCOBY. Le madri Kombucha (a volte erroneamente descritte come funghi) sono un altro esempio del fenomeno
SCOBY. Il lievito madre è un altro fenomeno di comunità simbiotica di batteri e lieviti. Per mantenere una cultura nel tempo, devi
nutrirlo regolarmente. Yogurt e kefir richiedono latte; i lieviti naturali richiedono farina o altre forme di cereali; il kombucha
richiede il tè dolce. Molte culture sono discendenti di lignaggi antichi, coevoluti con i loro custodi umani, nutriti regolarmente su più
generazioni di quanto chiunque possa contare. Devono essere nutriti regolarmente, e mentre possono tollerare qualche abbandono,
sono vulnerabili e possono morire di fame” (Katz, 2012)
Con fermentazione spontanea degli impasti si intende un impasto senza lieviti attivi aggiunti. Un impasto a fermentazione spontanea
nasce dalla contaminazione naturale di una miscela di acqua e farina e da batteri e lieviti liberi in atmosfera, quindi con lieviti e batteri
autoctoni endogeni ed esogeni, che si instaurano nell’ impasto.
Lasciarlo fermentare in un ambiente caldo per 4-6 ore sino al raddoppio e usarlo nell’impasto.
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PANE DI GRANO DURO
SEMOLA RIMACINATA O KAMUT ANTICO MOLINO ROSSO
GESTIONE LIEVITO MADRE LIQUIDO:
RINFRESCARE IL LIEVITO 1:2:2 (CON IL DOPPIO DEL PESO IN FARINA E ACQUA), MANTENENDOLO A 18/20 GRADI PER CIRCA
10/12H. UTILIZZARE COMUNQUE UN LIEVITO IN FORZA E ABBASTANZA GIOVANE.
AUTOLISI:
SEMOLA RIMACINATA 1000g
ACQUA 700g (70%)
IMPASTARE PER 6/7 MINUTI UNENDO ACQUA E FARINA SUBITO INSIEME. TEMPERATURA USCITA IMPASTO INTORNO AI 24
GRADI. LASCIARE RIPOSARE L'IMPASTO AUTOLITICO PER CIRCA UN'ORA E MEZZA/DUE ORE POI PROCEDERE ALL'IMPASTO
FINALE.
IMPASTO FINALE:
LIEVITO LIQUIDO 400g (40%)
SALE 24g (2%)
ACQUA 120g (85%)
IMPASTARE INIZIALMENTE LIEVITO E SALE FINO AD OTTENERE UN IMPASTO COESO POI AGGIUNGERE L'ACQUA
GRADUALMENTE. L'IMPASTO FINALE DEVE ESSERE BEN STRUTTURATO.
TEMPERATURA USCITA IMPASTO TRA I 22 EI 24 GRADI.
FERMENTAZIONE IN MASSA:
METTERE IN UN CONTENITORE LEGGERMENTE OLIATO L'IMPASTO E SEGNARE IL SUO LIVELLO.
DARE PIEGHE RITMATE OGNI ORA FINO A AD UNO SVILUPPO DI UNA VOLTA E MEZZA IL SUO VOLUME INIZIALE (A 25/26
GRADI DOVREBBERO ESSERE SUFFICIENTI 3/4H). L'IMPASTO DEVE AVERE UNA CERTA TENSIONE PRIMA DI ESSERE
PORZIONATO.
COTTURA:
INCIDERE IL PANE CON UNA LAMETTA DA BARBA PRIMA DI INFORNARLO.
CONSIGLIATO UN FORNO STATICO CON PIETRA REFRATTARIA.
TEMPERATURA INIZIALE DI COTTURA 250/260 GRADI CON DISCRETO VAPORE.
LASCIARE IL VAPORE DENTRO LA CAMERA DI COTTURA PER ALMENO 10/20 MINUTI (A SECONDA DELLA PEZZATURA) E A
SECONDA DELLE CARATTERISTICHE STESSE DEL FORNO.
SCENDERE A 220/210 GRADI DOPO I PRIMI VENTI MINUTI.
LE TEMPISTICHE DI COTTURA DIPENDONO DALLE PEZZATURE E FORME DEL PANE STESSO.
UNA VOLTA COTTO, IL PANE VA RAFFREDDATO SU GRIGLIE.
NOTE:
1. LA MASSA PUO' ESSERE GESTITA SIA IN FRIGO (4/6 GRADI) SIA A TEMPERATURE PIU' DOLCI (15/20 GRADI) OSSERVANDO SEMPRE IL SUO
CORRETTO AUMENTO DI VOLUME PRIMA DELLO STAGLIO;
2. NEL CASO IN CUI LO STAGLIO E LA MANIPOLAZIONE DI IMPASTI IDRATATI RISULTI ESSERE PROBLEMATICA SI CONSIGLIA DI FAR
STAZIONARE PER QUALCHE ORA IN FRIGO LA MASSA.
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PANE MEDITERRANERA
GESTIONE LIEVITO MADRE LIQUIDO:
RINFRESCARE IL LIEVITO 1:2:2 (CON IL DOPPIO DEL PESO IN FARINA E ACQUA), MANTENENDOLO A 18/20 GRADI PER CIRCA
10/12H. UTILIZZARE COMUNQUE UN LIEVITO IN FORZA E ABBASTANZA GIOVANE.
MIX FARINE
MULTICEREALI 40%
TIPO1 40%
FARRO 20% (IN ALTERNATIVA, FARINA INTEGRALE)
PREIMPASTO:
MIX FARINE 1000g
ACQUA 670g (67%)
LIEVITO 300g (30%)
IMPASTARE PER 6/7 MINUTI UNENDO ACQUA E FARINA E LIEVITO INSIEME. TEMPERATURA USCITA IMPASTO INTORNO AI 24
GRADI. LASCIARE RIPOSARE L'IMPASTO AUTOLITICO PER CIRCA UN'ORA E MEZZA/DUE ORE POI PROCEDERE ALL'IMPASTO
FINALE (A SECONDA DELL'ATTIVITA' ENZIMATICA DELLA FARINA IL TEMPO DELL'AUTOLISI VA ACCORCIATO O
ALLUNGATO).
IMPASTO FINALE:
PREIMPASTO 1970g (40/50%)
SALE 25g (2,5%)
ACQUA 30/50/130g (70-80%)
AGGIUNGERE IL SALE CON L’ACQUA NECESSARIA AD ARRIVARE AL 70% DI IDRATAZIONE. FAR SVILUPPARE LA MAGLIA
GLUTINICA. PROCEDERE CON L’INSERIMENTO DEI SEMI E EVENTUALE ALTRA ACQUA (CI SI PUO’ SPINGERE ANCHE
ALL’80%). L'IMPASTO FINALE DEVE ESSERE BEN STRUTTURATO.
TEMPERATURA USCITA IMPASTO TRA I 22 E I 24 GRADI.
FERMENTAZIONE IN MASSA:
METTERE IN UN CONTENITORE LEGGERMENTE OLIATO L'IMPASTO E SEGNARE IL SUO LIVELLO.
DARE PIEGHE RITMATE OGNI ORA FINO A AD UNO SVILUPPO DI UNA VOLTA E MEZZA, (ANCHE 1 E 3/4) IL SUO VOLUME
INIZIALE (A 25/26 GRADI DOVREBBERO ESSERE SUFFICIENTI 3/4H). L'IMPASTO DEVE AVERE UNA CERTA TENSIONE PRIMA DI
ESSERE PORZIONATO.
COTTURA:
INCIDERE IL PANE CON UNA LAMETTA DA BARBA PRIMA DI INFORNARLO.
CONSIGLIATO UN FORNO STATICO CON PIETRA REFRATTARIA. TEMPERATURA INIZIALE DI COTTURA 250/260 GRADI CON
DISCRETO VAPORE. LASCIARE IL VAPORE DENTRO LA CAMERA DI COTTURA PER ALMENO 20 MINUTI (A SECONDA DELLA
PEZZATURA) E A SECONDA DELLE CARATTERISTICHE STESSE DEL FORNO. PROCEDERE A 250 GRADI DOPO I PRIMI VENTI
MINUTI.
LE TEMPISTICHE DI COTTURA DIPENDONO DALLE PEZZATURE E FORME DEL PANE STESSO.
UNA VOLTA COTTO, IL PANE VA RAFFREDDATO SU GRIGLIE.
NOTE:
1. LA MASSA PUO' ESSERE GESTITA SIA IN FRIGO (4/6 GRADI) SIA A TEMPERATURE PIU' DOLCI (15/20 GRADI) OSSERVANDO SEMPRE IL SUO
CORRETTO AUMENTO DI VOLUME PRIMA DELLO STAGLIO;
2. NEL CASO IN CUI LO STAGLIO E LA MANIPOLAZIONE DI IMPASTI IDRATATI RISULTI ESSERE PROBLEMATICA SI CONSIGLIA DI FAR
STAZIONARE PER QUALCHE ORA IN FRIGO LA MASSA.
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PANE CON ORZO
MIX FARINE
MULTICEREALI 60%
TIPO2 40%
ORZO TOSTATO 2%
PREIMPASTO:
MIX FARINE 1000g
ACQUA 670g (67%)
LIEVITO 300g (30%)
IMPASTARE PER 6/7 MINUTI UNENDO ACQUA E FARINA E LIEVITO INSIEME. TEMPERATURA USCITA IMPASTO INTORNO AI 24
GRADI. LASCIARE RIPOSARE L'IMPASTO AUTOLITICO PER CIRCA UN'ORA E MEZZA/DUE ORE POI PROCEDERE ALL'IMPASTO
FINALE (A SECONDA DELL'ATTIVITA' ENZIMATICA DELLA FARINA IL TEMPO DELL'AUTOLISI VA ACCORCIATO O
ALLUNGATO).
IMPASTO FINALE:
PREIMPASTO 1970g (40/50%)
SALE 25g (2,5%)
ACQUA 30/50/130g (70-80%)
AGGIUNGERE IL SALE CON L’ACQUA NECESSARIA AD ARRIVARE AL 70% DI IDRATAZIONE. FAR SVILUPPARE LA MAGLIA
GLUTINICA. PROCEDERE CON L’INSERIMENTO DEI SEMI E EVENTUALE ALTRA ACQUA (CI SI PUO’ SPINGERE ANCHE
ALL’80%). L'IMPASTO FINALE DEVE ESSERE BEN STRUTTURATO.
TEMPERATURA USCITA IMPASTO TRA I 22 E I 24 GRADI.
FERMENTAZIONE IN MASSA:
METTERE IN UN CONTENITORE LEGGERMENTE OLIATO L'IMPASTO E SEGNARE IL SUO LIVELLO.
DARE PIEGHE RITMATE OGNI ORA FINO A AD UNO SVILUPPO DI UNA VOLTA E MEZZA, (ANCHE 1 E 3/4) IL SUO VOLUME
INIZIALE (A 25/26 GRADI DOVREBBERO ESSERE SUFFICIENTI 3/4H). L'IMPASTO DEVE AVERE UNA CERTA TENSIONE PRIMA DI
ESSERE PORZIONATO.
COTTURA:
INCIDERE IL PANE CON UNA LAMETTA DA BARBA PRIMA DI INFORNARLO.
CONSIGLIATO UN FORNO STATICO CON PIETRA REFRATTARIA. TEMPERATURA INIZIALE DI COTTURA 250/260 GRADI CON
DISCRETO VAPORE. LASCIARE IL VAPORE DENTRO LA CAMERA DI COTTURA PER ALMENO 20 MINUTI (A SECONDA DELLA
PEZZATURA) E A SECONDA DELLE CARATTERISTICHE STESSE DEL FORNO. PROCEDERE A 250 GRADI DOPO I PRIMI VENTI
MINUTI.
LE TEMPISTICHE DI COTTURA DIPENDONO DALLE PEZZATURE E FORME DEL PANE STESSO.
UNA VOLTA COTTO, IL PANE VA RAFFREDDATO SU GRIGLIE.
NOTE:
3. LA MASSA PUO' ESSERE GESTITA SIA IN FRIGO (4/6 GRADI) SIA A TEMPERATURE PIU' DOLCI (15/20 GRADI) OSSERVANDO SEMPRE IL SUO
CORRETTO AUMENTO DI VOLUME PRIMA DELLO STAGLIO;
4. NEL CASO IN CUI LO STAGLIO E LA MANIPOLAZIONE DI IMPASTI IDRATATI RISULTI ESSERE PROBLEMATICA SI CONSIGLIA DI FAR
STAZIONARE PER QUALCHE ORA IN FRIGO LA MASSA.
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