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Capitolo I

Introduzione

I cereali sono una componente importante dell’alimentazione umana in


quanto forniscono fibre, proteine, carboidrati, minerali e vitamine neces-
sarie per la salute dell’uomo. I cereali hanno una varietà di usi alimentari,
essendo il substrato di molti alimenti fermentati in diverse parti del mondo
ed essendo alla base dell’alimentazione nei continenti africano ed asiatico.
I cereali sono principalmente utilizzati in cucina per la produzione di pane,
ma anche per la preparazione di bevande alcoliche come whiskey e birra
(orzo, sorgo), vodka (grano), bourbon americano (segale ), sake giappone-
se (riso) (Hammes et al., 2005).
La fermentazione dei cereali provoca cambiamenti nella qualità degli ali-
menti, comprese la tessitura, il sapore, l’aspetto, la nutrizione e la sicurezza.
I vantaggi della fermentazione possono comprendere:
- il miglioramento della appetibilità e dell’accettabilità, influenzando le
caratteristiche organolettiche (aroma, sapore, colore, consistenza);
- la conservazione attraverso l’acidificazione e la produzione di com-
posti antimicrobici, che migliorano la sicurezza degli alimenti attra-
verso l’inibizione degli agenti patogeni;
- l’aumento del valore nutrizionale attraverso la sintesi di sostanze nu-
tritive da parte dei microrganismi;
- il miglioramento della digeribilità delle proteine e dei carboidrati;
- la rimozione di sostanze antinutrizionali (fitato, inibitori di enzimi,
polifenoli, tannini) e composti indesiderati (tossine endogene, mico-
tossine, composti cianogenici, flatulenza prodotta dalla presenza di
carboidrati).
Le tecnologie di fermentazione possono essere distinte in quattro gruppi
principali, sulla base delle attività necessarie per ottenere carboidrati
fermentabili, nonché sulla base dell’importanza regionale (Hammes et al.,
2005):
I. processo di fermentazione per la produzione di birra e whiskey in
Europa e Medio Oriente (malteria), utilizzando amilasi e proteinasi
endogene dei cereali;

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II. processo di fermentazione utilizzato per la saccarificazione dell’ami-
do nella produzione di sake, salsa di soia, aceto e altri prodotti ali-
mentari dell’Asia orientale (tecnologia koji), utilizzando amilasi e
proteinasi derivanti dalle muffe;
III. processo di fermentazione per la produzione industriale di etanolo e
“chihi”, un tipo di birra sudamericana, utilizzando enzimi idrolitici
derivanti da funghi, batteri, piante e saliva umana;
IV. fermentazione degli impasti, basata sull’attività idrolitica degli en-
zimi derivanti da cereali e microrganismi (batteri lattici e lieviti).
La fermentazione degli impasti acidi è uno dei processi biotecnologici più
antichi utilizzati nella produzione alimentare. La panificazione, infatti,
risale a tempi preistorici, quando una miscela di semi di cereali è stata
trasformata in farina a cui è stata aggiunta acqua per formare un impasto
(Hammes et al., 2005).
La moderna biotecnologia dei prodotti da forno sta riscoprendo l’uso della
madre acida come agente lievitante, grazie ai numerosi vantaggi che questa
offre rispetto al lievito commerciale usato per la panificazione. Oggi, la
fermentazione degli impasti acidi è utilizzata nella produzione di pane, torte,
cracker e la sua applicazione è in continuo aumento. Numerosi preparati a
base di farina di segale, orzo, grano o farina mista sono tipici dell’Europa
centrale e dei paesi scandinavi (Bushuk, 2001; Foschino et al., 1999),
mentre le farine di granturco e segale sono utilizzati per la produzione di
pane portoghese (Rocha e Malcata, 1999).
In Italia, gli impasti acidi a base di grano sono utilizzati per la produzione
di oltre il 30% dei prodotti da forno. Oltre 200 tipi di pane tradizionale,
che si differenziano per il tipo di farina, ingredienti, tecnologia e processo
di fermentazione, sono stati recentemente classificati in Italia dall’Istituto
Nazionale di Sociologia Rurale (Insor, 2000); tra questi, la Coppia
Ferrarese e il Pane casereccio di Genzano (Centro Italia) sono stati inseriti
dalla Comunità Europea (CE) tra i prodotti alimentari con Indicazione
Geografica Protetta (IGP; regolamenti della Commissione n. 2036/2001
e n. 2325/1997, rispettivamente), mentre il Pane di Altamura (Italia
meridionale) è stato incluso tra i prodotti con Denominazione di Origine
Protetta (DOP) (regolamento n. 1291/2003). Nel Nord Italia gli impasti
acidi sono utilizzati dalle piccole e grandi industrie per la produzione
di dolci tradizionalmente consumati nelle festività religiose (Natale e

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Pasqua), come Panettone, Pandoro e Colomba. Altri dolci locali, consumati
dai bambini e per la prima colazione (Cornetto e Brioches), sono prodotti
utilizzando gli impasti acidi (Foschino et al., 1999).

1.1. Il Cornetto di Matera


Il Cornetto di Matera è un pane tipico prodotto a Matera (Basilicata), che
recentemente ha ottenuto la denominazione IGP da parte della Comunità
Europea (decreto 9/6/2007, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. 239,
11/10/2004). Secondo lo standard di identità IGP, il pane è prodotto con
procedure tradizionali, utilizzando farine di grano duro appartenenti agli
ecotipi locali (Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, Appuro) coltivati nella zona
del materano. Il Cornetto di Matera è caratterizzato da dimensioni che
vanno da 1 a 2 kg, da una crosta color terracotta dello spessore di 2 mm, da
una mollica colore paglierino con alveoli che vanno da 2-3 mm a 60 mm e
da un tasso di umidità inferiore al 33% (w/w). Il prodotto presenta proprietà
organolettiche singolari, un’elevata digeribilità e una conservazione
relativamente lunga (6-7 giorni). La Figura 1 mostra il diagramma di flusso
che riassume la procedura tradizionale per la produzione del pane Cornetto
di Matera (Regolamento CE 2081/1992).

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Figura 1. Diagramma di flusso della produzione del Cornetto di Matera

Frutta macerata Farina di grano


250 g (in acqua) 1 kg

Lievitazione
28°C; 10-12 ore

Rinfresco
Lievitazione 3 ore

Madre acida
30%

Farina 100 Sale


kg 2.5%
Preparazione impasto
(30 min)
Acqua
Lievito 80 L
compresso 1%
Lievitazione impasto
(30 min, temperatura
ambiente)

Porzionamento
(1,2-2,4 kg)

Lievitazione delle forme


(30 min, temperatura
ambiente)

Cottura
2 ore, 250-290°C

PANE

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1.2. Tecnologia degli impasti acidi
Gli impasti acidi sono una miscela di farina di frumento o segale e acqua,
fermentata con batteri lattici e lieviti indigeni (De Vuyst e Neysens, 2005)
e utilizzata come inoculo per la produzione di pane e altri prodotti da forno.
A causa della loro provenienza e della produzione artigianale, gli impasti
acidi sono un enorme fonte di batteri lattici e lieviti. I fattori endogeni
(carboidrati, fonti di azoto, minerali, lipidi, acidi grassi, attività enzimatiche)
e i parametri di processo (temperatura, consistenza dell’impasto, attività
dell’acqua, ossigeno, tempo di fermentazione e numero di propagazioni)
influenzano la microflora acida e le caratteristiche di prodotti da forno
(Vogel et al., 1996; Figura 2).

Figura 2. Fattori che influenzano la crescita e il metabolismo della microflora degli


impasti acidi e dei prodotti da forno (adattato da Vogel et al., 1996).

Parametri di
processo

Madre
acida
Qualità
Flora Ecologia Metabolismo del
microbica microbica microbico prodotto
finito
starter

Paramentri
endogeni
(ingredienti)

Sulla base della tecnologia di produzione, gli impasti acidi possono essere
distinti in impasti di tipo I, tipo II e tipo III (Böker et al., 1995) e ogni tipo
è caratterizzato da una specifica microflora (Tabella 1).
Gli impasti di tipo I sono prodotti secondo procedure tradizionali, a
temperatura ambiente (20-30°C) e sono caratterizzati da continui rinfreschi
per mantenere i microrganismi in uno stato attivo. Questi impasti sono
impiegati per la produzione del pane francese San Francisco, di dolci
(Panettone, Pandoro, Colomba) e pani tipici (pane Pugliese, Toscano e di
Altamura) italiani. Gli impasti di tipo I sono ulteriormente suddivisi in tre
sottogruppi: tipo Ia, Ib e Ic (Stolz, 1999).

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Gli impasti di tipo Ia sono caratterizzati da una composizione microbica
stabile, da un’elevata acidità e sono resistenti alla contaminazione microbica.
La miscela di partenza, costituita da una quantità pari di farina di grano tenero e
acqua, viene lasciato a fermentare a temperatura ambiente. Indipendentemente
dalla provenienza geografica, questo tipo di processo è guidato dalla ceppi
della specie eterofermentante Lactobacillus sanfranciscensis.
Gli impasti di tipo Ib sono caratterizzati dalla presenza di culture miste e
sono ottenuti attraverso un lungo processo di fermentazione (da 3 a 48 ore).
I diversi reinoculi dell’impasto assicurano la continuità della microflora. La
maggior parte della microflora degli impasti di tipo Ib è rappresentata da ceppi
di Lb. sanfranciscensis. A seconda delle condizioni di fermentazione, tuttavia,
possiamo trovare altre specie eterofermentanti obbligate come Lb. brevis, Lb.
buchneri, Lb. fermentum, Lb. fructivorans, Lb. pontis, Lb. reuteri e Weissella
cibaria, oppure eterofermentanti facoltative come Lb. alimentarius, Lb. casei,
Lb. plantarum o ancora omofermentanti obbligate come Lb. acidophilus, Lb.
delbrueckii, Lb. farciminis, Lb. mindensis. La specie di lievito maggiormente
isolata e spesso associata a Lb. sanfranciscensis e Lb. pontis è Candida humilis
(Candida milleri) (Gänzle et al., 1998).
Gli impasti di tipo Ic sono generalmente utilizzati per la produzione di alimenti
africani e turchi a base di sorgo. Il processo di fermentazione, effettuato ad
alte temperature (generalmente > 35°C), è dominato da ceppi della specie Lb.
reuteri, Lb. fermentum, Lb. amylovorus e Leuconostoc spp. La specie di lievito
maggiormente isolata da questi impasti è Issatchenkia orientalis.
Gli impasti di tipo II sono realizzati con continue propagazioni, utilizzando
temperature elevate (generalmente > 30°C), lunghi tempi di fermentazione (da
2 fino a 5 giorni) e un alto contenuto in acqua. Questi tipi di impasti sono per lo
più utilizzati in processi industriali come carrier di acidità a causa del basso pH
(generalmente < 3,5) raggiunto dopo 24 ore di fermentazione. I microrganismi
presentano una limitata attività metabolica perché sono generalmente in tarda
fase stazionaria. La microflora degli impasti di tipo II è costituita da ceppi
omofermentanti di Lb. amylovorus (segale), Lb. acidophilus, Lb. delbrueckii, Lb.
farciminis e Lb. johnsonii; ma possiamo trovare anche specie eterofermentative
come Lb. brevis, Lb. fermentum, Lb. frumenti, Lb. pontis, Lb. panis, Lb. reuteri
e Weissella.
Gli impasti di tipo III sono impasti essiccati e utilizzati come carrier di aroma
durante il processo di panificazione. Questi impasti contengono batteri lattici

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resistenti al processo di essiccazione (spray-drying), come ad esempio ceppi
della specie Lb. brevis, Pediococcus pentosaceus e Lb. plantarum. Gli impasti
di tipo II e tipo III, in contrasto con quelli di tipo I, richiedono l’aggiunta di
lievito per panificazione (Saccharomyces cerevisiae).

Tabella 1. Classificazione degli impasti acidi e microflora dominante (adattata da De


Vuyst and Neysens, 2005)

Tipo Ia Tipo Ib Tipo Ic Tipo II Tipo III

Lb. sanfranciscensis Lb. brevis Lb. fermentum Lb. brevis Lb. brevis

Lb. buchneri Lb. reuteri Lb. fermentum

Lb. fermentum Lb. frumenti


Eterofermentanti

Lb. fructivorans Lb. pontis


obbligati

Lb. pontis Lb. panis

Lb. reuteri Lb. reuteri

Lb. sanfranciscensis Lb.


sanfranciscensis
W. cibaria W. confusa

Lb. alimentarius Lb. plantarum


Eterofermentanti
facoltativi

Lb. casei P. pentosaceus

Lb. paralimentarius

Lb. plantarum

Lb. acidophilus Lb. amylovorus Lb. acidophilus


Omofermentanti

Lb. delbrueckii Lb. delbrueckii


obbligati

Lb. farciminis Lb. amylovorus


(rye)
Lb. mindensis Lb. farciminis

Lb. johnsonii

C. humilis C. humilis I. orientalis Nessun lievito Nessun lievito


Lieviti

S .exiguus S. cerevisiae

may be added

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Deve essere, inoltre, menzionato un altro tipo di impasto.
Gli impasti acidi di tipo 0 sono pre-impasti inoculati solo con il lievito e
il processo di fermentazione avviene in 3-24 ore a temperatura ambiente.
In aggiunta a S. cerevisiae, possono essere isolate specie importanti
come Lb. plantarum, Leuc. mesenteroides, P. pentosaceus, Lb. sakei,
Lb. brevis, Lb. bavaricus che contribuiscono alla acidificazione e allo
sviluppo dell’aroma. Gli impasti di tipo 0 sono generalmente utilizzati
per la produzione di crackers (USA), baguettes (Francia) e ciabatte
(Italia).

1.3 Microflora degli impasti acidi


I batteri lattici insieme ai lieviti sono i microrganismi dominanti negli
impasti acidi (Gobbetti et al., 2005). In particolare, più di 50 specie di
batteri lattici, appartenenti al genere Lactobacillus, e più di 20 specie
di lieviti, appartenenti ai generi Saccharomyces e Candida (De Vuyst e
Neysens, 2005) sono stati isolati dagli impasti acidi. Il rapporto batteri
lattici: lieviti è generalmente 100:1 (Ottogalli et al., 1996), ma varia in
base alle materie prime o alla tecnologia utilizzata. In particolare, negli
impasti di segale i batteri lattici vanno da 1x109 a 3x109 ufc/g di impasto
e i lieviti da 1x106 a 5x107 ufc/g di impasto, negli impasti di frumento,
invece, i batteri lattici vanno da 5x108 a 1x109 ufc/g di impasto e i lieviti
sono circa 1x107 ufc/g di impasto.

1.3.1. Le specie di lievito negli impasti acidi


Diverse specie di lieviti, derivanti dalla farina o dall’ambiente di
panificazione, sono stati isolati negli impasti acidi, ma solo una parte di
essi svolge un ruolo sostanziale nel processo di fermentazione (Hammes
et al., 2005; Tabella 2).
La grande variabilità nel numero e nel tipo di specie dipende da
numerosi fattori, tra cui il grado di idratazione dell’impasto (DY= peso
dell’impasto/peso di farina x 100), dal tipo di cereali utilizzati e dalle
temperature di lievitazione e conservazione dell’impasto. S. cerevisiae
è la specie maggiormente isolata (o aggiunta). C. humilis è la specie che
meglio si adatta agli impasti di tipo I, anche se i ceppi di S. exiguus, C.
krusei, Pichia norvegensis e Hansenula anomala possono essere isolati
in associazione con i batteri lattici (Gullo et al., 2002).

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Nei prodotti italiani realizzati con farina di grano duro (Triticum
durum), come il pane del Molise, della Puglia e della Basilicata, oltre il
95% dei lieviti appartiene alle specie di S. cerevisiae (Ricciardi et al., 2002;
Iorrizzo et al., 1995). Al contrario, i lieviti isolati da madre acide ottenute
con farina di frumento tenero (Triticum aestivum), soprattutto in Molise e
in Campania, appartengono principalmente a S. cerevisiae, C. krusei, C.
glabrata, C. colliculosa, C. lambica e C. convalida, specie che si trovato
anche in altri alimenti fermentati come salumi, formaggi e vino (Succi et
al., 2003). Il lievito isolato dagli impasti utilizzati per la produzione del
pane di Ferrara è costituito principalmente da ceppi appartenenti alla specie
C. milleri (Vernocchi et al., 2004).
S. cerevisiae e C. krusei sono specie predominanti negli impasti di mais
utilizzati nel Ghana (Annan, et al., 2003), mentre l’associazione di S.
cerevisiae e C. pelliculosa è frequente negli impasti di mais utilizzati per la
produzione di pane portoghese (Rocha e Malcata , 1999).
La maggior parte dei lieviti utilizza gli zuccheri come fonte di energia e di
carbonio. Gli zuccheri sono permeabili alla parete cellulare e l’assunzione
da parte della membrana cellulare è facilitata dall’attività delle permeasi
(Walsh et al., 1994). La via di Emden Meyerhof Parnas (EMP; glicolisi) è il
percorso generalmente usato per la conversione del glucosio a piruvato, che
viene ossidato dall’acido tricarbossilico in anidride carbonica e acqua. Le
principali vie metaboliche hanno tre funzioni nella cellula: (a) produzione
di ATP; (b) generazione di potere riducente sotto forma di NADH; (c)
formazione di intermedi per la biosintesi del materiale cellulare (Walker,
1998). In condizioni aerobiche è stato osservato che solo il 70% del glucosio
viene convertito in piruvato attraverso la via EMP, il resto è metabolizzato
attraverso la via dei pentosi fosfato (PPP), che svolge un ruolo importante
nella produzione di potere riducente sotto forma di NADPH, necessario per
la maggior parte delle reazioni biosintetiche.
Per quanto riguarda la richiesta di azoto, i lieviti sono in grado di utilizzare
una vasta gamma di fonti organiche e inorganiche di azoto per la loro
crescita. I substrati di crescita sono spesso integrati con miscele complesse
di aminoacidi e i lieviti sembrano preferire asparagina, glutamina, acido
glutammico, serina, alanina, invece che glicina, prolina e ornitina. Tuttavia,
questi microrganismi possono crescere in presenza di sali di ammonio,
come NH4NO3, NH4Cl, e (NH4)2SO4 come unica fonte di azoto, in quanto

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possiedono una serie di geni che codificano gli enzimi per la biosintesi di
tutti gli aminoacidi.

Tabella 2. Lieviti isolati e adattati agli impasti acidi (Hammes et al., 2005)

Specie Sinonimo

Candida boidinii
Candida glabrata Torulopsis glabrata
Candida humilis Candida milleri
Candida parapsilosis
Candida stellata Torulopsis stellata
Debaromyces hansenii Torulopsis candida, Candida famata
Dekkera bruxellensis Brettanomyces custersii
Galactomyces geotrichum Geotrichum candidum
Issatchenkia orientalis Candida krusei
Kluyveromyces marxianus
Pichia anomala Candida pelliculosa, Hansenula anomala
Pichia fermentans Candida lambica
Pichia omeri
Pichia subpelliculosa Hansenula subpelliculosa
Pichia minuta var. minuta Hansenula minuta
Saccharomyces bayanus Saccharomyces inusitatus
Saccharomyces cerevisiae Saccharomyces fructuum
Saccharomyces exiguus Torulopsis holmii, Candida holmii, Saccharomyces
minor
Saccharomyces kluyveri
Saccharomyces servazzi
Saccharomycopsis fibuligera Endomyces fibuliger
Saturnispora saitoi Pichia saitoi
Torulaspora delbrueckii Torulopsis colliculosa, Candida colliculosa,
Saccharomyces rosei, Saccharomyces delbrueckii,
Saccharomyces inconspicuous
Torulaspora pretoriensis Saccharomyces pretoriensis

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1.3.2. I batteri lattici negli impasti acidi
La maggior parte delle specie di batteri lattici isolati dagli impasti acidi
o utilizzati come colture starter per la produzione di prodotti da forno
appartiene ai quattro generi Lactobacillus, Pediococcus, Leuconostoc e
Weissella (Ehrmann e Vogel, 2005). I lattobacilli omofermentanti obbligati
o eterofermentanti obbligati e facoltativi sono, tuttavia, i più comunemente
isolati (Gobbetti, 1998). Analogamente ai lieviti, la variabilità nel numero e
nel tipo di specie dipende da fattori endogeni e dai parametri di processo.
Lb. sanfranciscensis, Lb. plantarum e Lb. brevis sono le specie più isolate.
Negli impasti italiani a base di grano duro sono state trovate associazioni tra
Lb. plantarum e Lb. sanfranciscensis (Gobbetti, 1998) e più recentemente,
tra Lb. sanfranciscensis e Lb. alimentarius (Corsetti et al., 2001).
Quest’ultima specie è in grado di fermentare i carboidrati solubili della
farina (maltosio, saccarosio, glucosio e fruttosio) e, probabilmente, questo
riduce la competizione per le fonti di carbonio con Lb. sanfranciscensis
che, invece, è in grado di fermentare solamente glucosio e maltosio.
Lb. sanfranciscensis gioca un ruolo importante nella produzione di dolci
italiani (Panettone, Pandoro, Cornetto, brioches; Foschino et al., 1999;
Zapparoli et al., 1996). Negli impasti siciliani, Randazzo et al. (2005) hanno
dimostrato la presenza di batteri lattici appartenenti a Lb. sanfranciscensis
e Lb. pentosus e alcuni ceppi appartenenti a Lb. plantarum, Lb. alimentarius
e Lb. casei; al contrario, le specie Lb. fermentum, Lb . brevis e Lb.
paralimentarius non sono state isolate.
La microflora lattica degli impasti utilizzati per la produzione del Pane di
Altamura, pane tipico della Puglia, è dominata da lattobacilli eterofermentanti
facoltativi. In particolare, l’88% degli isolati appartengono alle specie Lb.
plantarum, Lb. casei, Lb. paracasei e il 12% alle specie Leuc. mesenteroides e
Lb. brevis (Ricciardi et al., 2005). Una più complessa associazione microbica
costituita da ceppi appartenenti a Lb. brevis, Lb. fructivorans, Lb. buchneri,
Lb. cellobiosus, Lb. sakei e Lb. plantarum è stata trovata negli impasti acidi
utilizzati per la produzione di pane nella regione Molise (Iorrizzo et al.,
1995). Catzeddu et al. (2005) hanno esaminato la diversità delle comunità
di batteri lattici degli impasti utilizzati per la produzione di pane tradizionale
(Carasau, moddizzosu, Spianata, Zichi) in Sardegna e hanno dimostrato
la presenza di dodici specie diverse. Lb. pentosus dominava la microflora
lattica di molti campioni, mentre Lb. sanfranciscensis è stata isolata solo

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dagli impasti per la produzione di Carasau e Zichi. Lb. plantarum è stato
isolato negli impasti del Carasau e della Spianata, mentre la specie Weissella
confusa è stata isolata da quelli utilizzati per la produzione di Spianata e
Zichi.
Ceppi di W. confusa sono stati isolati anche da farine biologiche e impasti
prodotti nel Centro e Sud Italia, insieme a ceppi di Lb. sanfranciscensis, Lb.
brevis, Lb. alimentarius, Lb. plantarum, Lb. farciminis e Lb. fructivorans
(Corsetti et al., 2003). W. cibaria, una specie geneticamente affine a W.
confusa, è stata isolata per la prima volta da impasti acidi greci in associazione
con Lb. sanfranciscensis, Lb. brevis e Lb. paralimentarius. Pochi ceppi delle
specie Lb. pontis e Lb. panis sono stati isolati da impasti greci (De Vuyst
et al., 2002). Al contrario, Lb. pontis e Lb. panis, in associazione con Lb.
amylovorus e Lb. reuteri, sono le specie predominanti degli impasti di tipo
II a base di segale (Müller et al., 2001; Wiese et al., 1996).
Le associazioni tra Lb. plantarum, Lb. brevis e Lb. fermentum, e tra Lb.
acidophilus e Lb. plantarum dominano impasti di segale russi e finlandesi,
rispettivamente, mentre Lb. fermentum è la specie predominante nei prodotti
svedesi a base di segale (De Vuyst e Neysens, 2005). Gli impasti portoghesi
prodotti con farine di mais sono dominati dalle specie Lb. brevis e Lb.
curvatus; tuttavia ceppi di Lactococcus lactis ssp. lactis, Enterococcus
casselliflavus, E. durans, Streptococcus constellantus e Str. equinus sono
stati ugualmente trovati (Rocha e Malcata, 1999) in questo tipo di impasti.
Recentemente sono state isolate per la prima volta dagli impasti acidi le
specie Lb. frumenti (Müller et al., 2000), Lb. mindensis (Ehrmann et al.,
2003), Lb. spicheri (Meroth et al., 2004) e Lb. rossii (Settanni, 2004).

1.3.3. Interazioni tra i batteri lattici e i lieviti negli impasti acidi


Le associazioni tra lieviti e batteri lattici sono spesso utilizzate nella
produzione di bevande e alimenti fermentati. La conoscenza, la
valorizzazione e il miglioramento della composizione microbica degli
impasti acidi sono necessari per ottenere una qualità costante dei prodotti
da forno. Le interazioni tra i batteri lattici e i lieviti (sia antagonistiche che
sinergiche) sono basate principalmente sul metabolismo dei carboidrati,
dei composti azotati e sulla produzione di anidride carbonica e composti
volatili.

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1.3.3.1. Interazioni nel metabolismo dei carboidrati
La concentrazione dei carboidrati solubili (maltosio, saccarosio, glucosio e
fruttosio) nelle farine di frumento e segale è molto bassa e dipende da diversi
fattori, tra cui il tipo di farina, l’attività delle α- e β-amilasi e dal consumo
microbico. L’utilizzo dei carboidrati solubili da parte dei batteri lattici e, di
conseguenza, la produzione di acido lattico e acetico sono influenzati dalla
associazione con le specie di lievito e dal tipo di zuccheri. L’associazione tra
S. cerevisiae e Lb. brevis subsp. lindneri CB1 (Lb. sanfranciscensis CB1) è
caratterizzata dalla competizione per il maltosio e il glucosio ed è un punto
critico per la produzione di pane con farina di grano tenero caratterizzata
da una bassa concentrazione di carboidrati solubili (Gobbetti et al., 1994a).
Lo squilibrio tra il consumo microbico e l’idrolisi di amido da parte degli
enzimi della farina porta al rapido esaurimento dei carboidrati solubili
durante la fermentazione, contribuendo alla diminuzione della capacità
acidificante dei batteri lattici. Questa situazione è meno pronunciata negli
impasti di segale a causa della maggiore attività enzimatica della farina,
che aumenta la disponibilità di carboidrati solubili (Voysey e rock, 1995).
La mancanza di competizione per le principali fonti di carbonio, quindi,
sembra essere uno dei requisiti per la stabilità delle associazioni tra batteri
lattici e lieviti durante la fermentazione.
È stato osservato che l’associazione tra S. cerevisiae e Lb. sanfranciscensis,
Lb. brevis e/o Lb. plantarum è la più comune negli impasti acidi (Gobbetti,
1998). Tuttavia, è possibile che si verifichino anche interazioni tra le specie
di lievito S. exiguus, C. krusei, H. anomala e le specie di batteri lattici
Lb. pontis, Lb. fermentum e Lb. delbrueckii (Vogel et al., 1996). Il pane
francese San Francisco e il Panettone sono caratterizzati da una stabile
associazione tra Lb. sanfranciscensis e S. exigus, a causa della mancanza di
competizione per il maltosio. Il lievito maltosio-negativo S. exiguus, infatti,
preferisce il glucosio o il saccarosio come fonte di carbonio e può a sua
volta utilizzare il glucosio escreto durante la fermentazione dai ceppi di Lb.
sanfranciscensis; questo meccanismo, rappresenta un vantaggio ecologico
per Lb. sanfranciscensis in quanto inibisce la crescita di ceppi di lieviti
concorrenti come quelli appartenenti alla specie S. cerevisiae, (Gobbetti
et al., 1994a; Neubauer et al., 1994). I batteri lattici si moltiplicano e
producono acidi lattico e acetico più lentamente in associazione con i lieviti
che in coltura pura. La stimolazione della crescita batterica in associazione

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con un lievito è stata osservata solo quando la farina di frumento era
addizionata di grandi quantità di carboidrati solubili (Gobbetti, 1998).
Quando Lb. plantarum è associato con i lieviti (S. cerevisiae o S. exiguus),
in presenza di saccarosio come fonte di carbonio, la sua crescita e la
produzione di acido lattico aumentano significativamente a causa della
veloce idrolisi del saccarosio da parte dei lieviti (Martinez-Anaya, 1996).
L’interazione tra Lb. brevis e S. cerevisiae, al contrario, non pregiudica
la produzione di acido lattico, ma migliora la sintesi di acido acetico e
riduce il contenuto di etanolo a causa della minore crescita del lievito a
bassi valori di pH (Meignen et al., 2001).

1.3.3.2. Interazioni nel metabolismo dei composti azotati


I peptidi e gli aminoacidi che si accumulano durante la fermentazione
svolgono un ruolo essenziale nello sviluppo delle caratteristiche
organolettiche dell’impasto. Durante la fermentazione, alcune specie dei
generi Saccharomyces e Lactobacillus hanno bisogno di alcuni aminoacidi
(Collar et al., 1992), rilasciati dall’azione proteolitica di proteasi e
peptidasi. Attraverso l’autolisi cellulare, inoltre, sono rilasciati diversi
composti azotati a basso peso molecolare. In particolare, S. cerevisiae
rilascia acido γ-aminobutirrico, prolina, valina, isoleucina, glicina e
alanina, mentre i batteri lattici rilasciano principalmente glicina e alanina
(Gobbetti, 1998).
Quando i substrati sono addizionati di adeguate fonti di carbonio e di
vitamine, la crescita di Lb. sanfranciscensis e Lb. plantarum è stimolata
dalla presenza di lieviti come S. cerevisiae e S. exiguus. Questo è
probabilmente correlato alla mancanza di competizione per le fonti
di azoto poichè le specie di lievito prediligono i sali di ammonio per
la loro crescita; inoltre, i lieviti sono in grado di espellere, durante la
crescita o come conseguenza dell’autolisi cellulare, specifici aminoacidi
e piccoli peptidi che sono utilizzati dai batteri lattici (Gobbetti et al.,
1994b). La fermentazione e la cottura degli impasti acidi inoculati con
i lieviti porta ad un netto esaurimento dei livelli di aminoacidi (Thiele
et al., 2002, Martinez-Anaya, 1996). Il calo nel contenuto di aminoacidi
è stato osservato soprattutto nella prima fase della fermentazione, in cui
il metabolismo dei lieviti è attivo (Collar et al., 1991; Damiani et al.,
1996).

20
1.3.3.3. Interazioni nella produzione di anidride carbonica e composti
volatili
Anche se i lieviti sono i principali produttori di gas nell’impasto, i batteri
lattici hanno un’influenza sulla lievitazione e sulla produzione di CO2
(Gobbetti, 1998). La specie eterofermentante Lb. sanfranciscensis in
associazione con S. cerevisiae ha ridotto il tempo necessario per raggiungere
il massimo valore di CO2 da 63 a 21 min e da 33 a 15 min in presenza di
S. exiguus (Rossi, 1996). L’interazione tra Lb. plantarum e S. cerevisiae
ha aumentato la produzione di CO2 e migliorato la capacità di ritenzione
di gas nell’impasto (Gobbetti, 1998). Il metabolismo microbico porta alla
produzione di composti volatili che influenzano notevolmente l’aroma
del pane. Durante la fermentazione, i batteri lattici eterofermentanti
producono principalmente etilacetato ed alcuni alcoli e aldeidi, mentre
quelli omofermentanti sintetizzano diacetile e altri composti carbonilici.
Gli iso-alcoli quali 2-metil-1-propanolo e 2,3-metil-1-butanolo sono
composti volatili prodotti dalla fermentazione dei lieviti appartenenti al
genere Saccharomyces e Hansenula (Damiani et al., 1996).
Le associazioni tra i lieviti e i batteri lattici migliorano l’aroma e il sapore del
pane a causa di un più elevato contenuto di 2,3-metil-1-butanolo, acido 2-metil-
propanoico, acido 3-metil-butanoico 2-feniletanolo. L’aggiunta di lievito al
processo di fermentazione aumenta considerevolmente il numero di alcoli
ed esteri (Hansen e Hansen, 1996). L’associazione di Lb. sanfranciscensis e
S. cerevisiae dava una più alta concentrazione di prodotti quali 1-propanolo,
2-metil-1-propanolo e 3-metil-1-butanolo (Gobbetti, 1998). L’associazione
tra Lb. fermentum e C. krusei produceva una minore concentrazione di
composti come 1-propanolo, 2-metil-propanolo e 3-metil propanolo, rispetto
all’associazione pura di S. cerevisiae (Annan, et al., 2003).

1.4. Ruolo dei batteri lattici durante la fermentazione degli impasti acidi
1.4.1. Implicazione nell’aroma e nella tessitura del pane
Il caratteristico profumo del pane è uno dei parametri più importanti che
influenzano l’accettabilità del prodotto da parte dei consumatori. Il sapore
dipende da molti fattori, come ingredienti, additivi, fermentazione e cottura
dell’impasto. Inoltre, il tempo di fermentazione e il tipo di microrganismi
utilizzati possono influire in maniera significativa sull’aroma del prodotto
finale. Diversi composti aromatici, che contribuiscono al tipico sapore di

21
pane, sono stati identificati (Schieberle, 1996, Tabella 3). Il pane preparato
con impasti inoculati con batteri lattici hanno un elevato contenuto di
alcoli superiori (etanolo e 2,3-metil-1-butanolo), acidi e sostanze volatili
come l’acido 2,3-metilpropanoico, l’acido 2,3-metil-1-butanoico e l’acido
acetico (Hansen e Hansen, 1996).

Tabella 3: Principali composti aromatici nella crosta e nella mollica del pane (da
Schieberle, 1996).

Composto aromatico Precursore Odore

2-Acetil-1-pirrolino Ornitina, prolina Arrosto, cracker


4-idrossi-2,5-dimetil-3(2H)-furanone Fruttosio Caramello
Crosta del pane

(E)-2-Nonenale Lipidi Grasso


3-Metilbutanale Leucina Malto
Acido 3-metelbutanoico Leucina Dolce
2,3-Butandione Burro
3-Metilbutanolo Leucina Fermentato
(E, E)-2,4-Decadienale Lipidi Grasso
(E)-2-Nonenale Lipidi Grasso
4,5-Epossi-(E)-2-decenale Lipidi Metallico
Mollica del pane

3-Metillbutanolo Leucina Fermentato


2-Fenilletanolo Fenilalanina Floreale
1-Octan-3-one Lipidi Funghi
2,3-Butandione Burro
3-(Metilltio)-propanale Metionina Patate cotte
Acido 3-metilbutanoico Leucina Dolce

Gli acidi lattico e acetico prodotti dai batteri lattici durante la fermentazione
hanno piccoli effetti sul sapore del pane. Tuttavia, se combinati con l’etanolo
e altri prodotti di fermentazione rafforzano la percezione del profumo
(Rock, 1996). In realtà, quando il rapporto lattato/acetato (quoziente di

22
fermentazione, FQ) è nel range di 2,0-2,7 viene percepito un piacevole
odore di pane. Pertanto, il controllo del quoziente fermentazione è un
fattore importante nello sviluppo delle proprietà sensoriali del pane. Un
aumento della quantità di aminoacidi può migliorare il sapore del pane.
È stato dimostrato che una concentrazione elevata di ornitina, leucina e
fenilalanina nell’impasto porta ad un aumento di composti volatili durante
la produzione di pane (Thiele et al., 2002).
Un’elevata attività proteolitica, inoltre, può contribuire a migliorare le
proprietà sensoriali del pane. Gli impasti fermentati con i batteri lattici
sono caratterizzati da un aumento della concentrazione di aminoacidi (Di
Cagno et al., 2002; Wherle et al., 1999; Collare e Martinez, 1993, Collare
et al., 1991). La degradazione delle proteine di glutine influenza la reologia
di degli impasti acidi, la tessitura del pane (Thiele et al., 2004) e migliora
la lavorabilità dell’impasto (Wherle et al., 1999). L’attività proteolitica e
peptidolitica dei batteri lattici può contribuire all’idrolisi dei peptidi amari
e alla liberazione di peptidi bioattivi (Mugula et al., 2003). Gli aminoacidi e
i piccoli peptidi rilasciati durante la fermentazione possono prendere parte
alla reazione di Maillard, che si verifica tra uno zucchero (ad esempio il
maltosio) e un aminoacido (ad esempio, le ammine, aminoacidi, peptidi
e proteine), producendo composti aromatici, come le melanoidine, che
provocano l’imbrunimento della crosta (Borrelli et al., 2003).
La reologia degli impasti e la conseguente struttura del pane sono influenzati
anche dalla produzione di esopolisaccaridi (EPS) da parte dei batteri
lattici. Gli EPS sono polisaccaridi secreti dai microrganismi all’esterno
della cellula. L’uso di EPS prodotti da Lb. delbrueckii subsp. bulgaricus
e S. thermophilus è comune nel settore lattiero-caseario (Duboc e Mollet,
2001). Gli EPS prodotti durante la fermentazione dai lattobacilli possono
sostituire gli idrocolloidi, come xantano e gomme di guaranà, utilizzati
per migliorare la struttura e la conservazione del pane. Inoltre, alcuni EPS
(futtani, levani, inulina) possono influenzare la flora intestinale perché sono
in grado di stimolare la crescita di bifidobacteria (Thieking et al., 2003).
Recentemente, Korakli et al. (2003) hanno dimostrato che il ceppo Lb.
sanfranciscensis LTH2590 è in grado di produrre fruttano da saccarosio,
che influenza positivamente la reologia dell’impasto e la tessitura del pane,
mentre Lb. reuteri LB121 produce glucano e levano dalla stessa fonte di
zucchero (van Geel-Schutten et al., 1998).

23
1.4.2. Implicazione nella conservazione del pane
Il raffermimento e il deterioramento da parte dei microrganismi sono le
cause principali di una minore conservabilità del pane. Il raffermimento
è un insieme di cambiamenti chimico-fisici che avvengono durante la
conservazione del pane e rendono il prodotto meno accettabile da parte
dei consumatori. La temperatura, il contenuto di umidità, i cambiamenti
nella struttura del glutine e la migrazione di acqua dal glutine all’amido
sono i fattori che influenzano la cinetica di raffermimento del pane.
Additivi come monogliceridi, esteri diacetiltartarici, sodio stearoil-lattilato,
carbossimetilcellulosa, idrossipropilmetilcellulosa e le α-amilasi dei batteri,
funghi e cereali sono oggi riconosciuti come agenti anti-raffermimento
(Corsetti et al., 2000).
L’uso di impasti acidi migliora la stabilità e la conservabilità del pane.
L’acidificazione, la produzione di CO2, l’idrolisi dell’amido incidono
positivamente sui cambiamenti chimico-fisici del pane durante il periodo
di stoccaggio, migliorando il processo di lievitazione e ritardando il
raffermimento (Crowley et al., 2002). Combinazioni di ceppi di batteri
lattici selezionati e di additivi, quindi, potrebbero essere utili nel preservare
le proprietà del pane durante la conservazione. I batteri lattici, inoltre,
contribuiscono al miglioramento della sicurezza igienica del pane. La loro
attività antimicrobica è dovuta alla produzione di acidi organici, anidride
carbonica, perossido di idrogeno, diacetile, ma anche alla sintesi batteriocine
(Messens e De Vuyst, 2002).
Le batteriocine sono composti proteici con attività antibatterica contro
microrganismi filogeneticamente affini (Tagg et al., 1976). Le batteriocine
prodotte dai batteri lattici sono state classificate in tre gruppi (Klaenhammer,
1993):
- Classe I, piccoli peptidi stabili al calore, denominati lantibiotici a
causa della presenza di amminoacidi inusuali, come lantionine e β-metil-
lantionine;
- Classe II, piccoli peptidi idrorepellenti e stabili al calore con attività
antilisteriale;
- Classe III, proteine grandi, idrofile e labili al calore.
Corsetti et al. (1996) hanno isolato una batteriocina da Lb. sanfranciscensis
C57. In un secondo lavoro, Corsetti et al. (2004) hanno confermato la
presenza di batteriocine in due ceppi di Lb. plantarum e Lb. pentosus. Queste

24
batteriocine erano caratterizzate da un limitato spettro di inibizione e non erano
efficaci nei confronti di Bacillus spp., Listeria innocua e lieviti. Questo non è
sorprendente, perché le batteriocine prodotte dai batteri lattici sono inibitorie
di batteri strettamente correlati alla stessa nicchia ecologica (Klaenhammer,
1993). La produzione di batteriocine da parte di ceppi di Lb. plantarum isolati
da impasti acidi è stata dimostrata in precedenza da Todorov et al. (1999),
che hanno caratterizzato la batteriocina plantaricina ST341 prodotta da Lb.
plantarum ST31.
Lb. amylovorus DCE 471, un ceppo importante negli impasti di segale di tipo II
a causa della sua elevata capacità acidificante, è stato anche riconosciuto come
produttore di batteriocine (amylovorina; Messens et al., 2002). Recentemente,
un composto a basso peso molecolare (reuterociclina) prodotto da Lb.
reuteri LTH2584, è stata purificata e caratterizzata da Höltzel et al. (2000).
La reuterociclina è una molecola altamente idrorepellente e strutturalmente
correlata all’acido tenuazonico che è attivo contro una vasta gamma di batteri
Gram-positivi e contro Bacillus subtilis (Gänzle e Vogel, 2003).
Alcuni composti antifungini, come l’acido fenillattico e il suo derivato
acido 4-idrossi- fenillattico, sono stati riconosciuti come i principali fattori
responsabili della prolungata shelf-life del pane (Valerio et al., 2004). Questi
composti sono stati isolati per la prima volta dal ceppo Lb. plantarum 21B
(Lavermicocca et al., 2000). Le proprietà inibitorie dell’acido fenillattico sono
state dimostrate nei confronti di diverse specie fungine isolate da prodotti da
forno, da farine e cereali, compresi alcuni specie micotossigeniche come
Aspergillus ochraceus, Penicillium verrucosus (produttori di ocratossina A),
Penicillium citrinum (produttore di citrinina) e nei confronti di alcuni batteri
contaminanti come Listeria spp., Staphylococcus aureus e Enterococcus
faecium (Lavermicocca et al., 2003).
L’elevata attività dell’acqua (generalmente > 0,95), i valori di pH
(generalmente > 5,0) e la temperatura (generalmente > 25°C) durante
lo stoccaggio del pane possono svolgere un ruolo importante nella
germinazione delle spore e nella crescita delle cellule vegetative di
Bacillus spp. Il deterioramento noto come “pane filante” è causato da
ceppi di Bacillus spp., in particolare da Bacillus subtilis e Bacillus
licheniformis. La produzione di acidi organici durante la fermentazione è
efficace nel prevenire questo tipo deterioramento (Rock, 1996). Corsetti
et al. (1998) hanno dimostrato che Lb. sanfranciscensis CB1 presenta

25
il più ampio spettro di attività antimicotica a causa della produzione di
acidi organici. Diversi autori, inoltre, hanno dimostrato l’inibizione di
microrganismi responsabili del filante da parte di ceppi di Lb. plantarum,
Lb. brevis, P. pentosaceus (Pepe et al., 2003; Katina et al., 2002).

1.4.3. Implicazioni nella qualità nutrizionale del pane e nella salute umana
È stato dimostrato che l’uso degli impasti acidi ha un effetto positivo sulla
nutrizione e sulla salute umana. Molte di queste proprietà sono correlate
alle attività metaboliche dei batteri lattici. La degradazione dell’acido
fitico e l’impatto sul morbo celiaco sono descritti di seguito.

1.4.3.1. Degradazione dell’acido fitico


Nei cereali la maggior parte del fosforo totale è presente come acido
fitico (esafosfato mio-inositolo), situato negli strati esterni del chicco.
L’acido fitico influenza il valore nutrizionale del pane per la sua capacità
di formare complessi altamente insolubili con ioni metallici bivalenti
come Ca2+, Fe2+, Mg2+, Zn2+ che non possono, quindi, essere assorbiti
dall’uomo (De Angelis et al., 2003 ; Lopez et al., 2001; Lopez et al.,
2000). Per questo la degradazione dell’acido fitico, in fosforo inorganico
e mio-inositolo, è auspicabile durante la fermentazione degli impasti.
La capacità di idrolizzare l’acido fitico da parte dei batteri lattici è stata
dimostrata da De Angelis et al. (2003), giungendo alla conclusione che
i lattobacilli, insieme ad altre specie di batteri lattici di origine vegetale,
sono i migliori produttori di enzimi che idrolizzano l’acido fitico. Diversi
autori (Leenhardt et al., 2005; Reale et al., 2004), successivamente, hanno
constatato che la fermentazione effettuata con ceppi selezionati di Lb.
plantarum, Lb. brevis e Lb. curvatus è più efficiente della fermentazione
effettuata solo con lievito nella riduzione dell’acido fitico durante la
produzione di pane.

1.4.3.2. Morbo celiaco


Il morbo celiaco è una malattia dell’intestino indotta da una dieta a
base di proteine del glutine. L’ingestione delle prolamine del frumento
(α-, β-, γ-, ω-gliadine), della segale (secalina) e dell’orzo (orzeina) risulta
in una infiammazione della mucosa dell’intestino, caratterizzata da una
progressiva perdita di assorbimento dei villi e da una loro iperplasia

26
che a sua volta porta alla comparsa di sintomi clinici come stanchezza,
diarrea cronica, cattivo assorbimento di sostanze nutritive, perdita di peso,
distensione addominale, anemia, nonché un sostanziale aumento del rischio
di osteoporosi e tumori intestinali (Haush et al., 2003). L’esatto meccanismo
nei pazienti affetti da morbo celiaco è ancora poco chiaro. Tuttavia, è noto
che le proteine del glutine idrolizzate da enzimi digestivi rilasciano una
famiglia di polipeptidi ricchi in prolina e glutamina, che sono responsabili
della risposta immunitaria nelle cellule T dell’intestino umano.
Grazie alla loro configurazione ciclica, infatti, le proline limitano l’idrolisi
delle proteine da parte degli enzimi digestivi; il contenuto e la posizione di
residui di prolina, quindi, sembrano essere i fattori che contribuiscono alla
resistenza delle gliadine all’idrolisi da parte degli enzimi gastrointestinali
(Gallo et al., 2005). E’ stato dimostrato che il peptidi 33-mer è un potente
induttore della risposta immunitaria mediata dalle cellule T in 14 pazienti;
altri peptidi, come il frammento 31-43 della gliadina-A, provocano un
risposta infiammatoria della mucosa intestinale, senza causare una risposta
immunitaria delle cellule T (Di Cagno et al., 2004). Il morbo celiaco
colpisce 1 su 130-300 persone della Comunità Europea e degli Stati Uniti
(Di Cagno et al., 2004). A dispetto della vasta diffusione nel mondo,
nessuna terapia è stata ancora sviluppata e adottata per far fronte a questa
malattia e l’unico trattamento conosciuto è una rigorosa dieta senza glutine
per tutta la vita. Recentemente, le prolil-endopeptidasi di Flavobacterium
meningosepticum, un microrganismo non correlato alla produzione di
pane, sono state gli unici enzimi proposti come agenti disintossicanti per
il peptide 33-mer, suggerendo come terapia l’uso di peptidasi per via orale
nei pazienti affetti da morbo celiaco (Shan et al., 2002).
Recenti studi (Di Cagno et al., 2002) hanno dimostrato che la degradazione
dei peptidi di gliadina ricchi di prolina durante la fermentazione ad opera
delle peptidasi batteriche influenza positivamente la tolleranza dell’uomo
alle proteine del glutine. Inoltre, deve essere considerato che l’impiego
di biotecnologie alternative basate sull’uso di ceppi di batteri lattici
selezionati potrebbe rappresentare un nuovo strumento per ridurre il livello
di intolleranza al glutine (Di Cagno et al., 2005; Di Cagno et al., 2004).

27
1.5. Risposta allo stress dei batteri lattici isolati da impasti acidi
Durante l’uso quotidiano come colture starter, i batteri lattici sono esposti
a diversi stress fisici e chimici (acido, osmotico, ossidativo, alte e basse
temperature). In particolare, durante la preparazione e la fermentazione
dell’impasto, questi microrganismi sono soprattutto esposti alle basse
temperature caratteristiche della conservazione refrigerata (circa
24-28 ore a 4°C) e ai bassi valori di pH (pH circa 3,4-4,0) raggiunti
dopo la fermentazione. L’aggiunta di NaCl all’impasto e il suo grado
di idratazione, inoltre, sono i principali fattori implicati nello stress
osmotico durante la fermentazione. Questi stress interferiscono con la
composizione microbica e con le prestazioni della microflora lattica
(Gobbetti, 1998). Studi sull’adattamento dei batteri lattici a condizioni
avverse, pertanto, potrebbero migliorare la loro attività metabolica nelle
applicazioni industriali (De Angelis et al., 2001). In letteratura sono
presenti molti dati sulla risposta allo stress di Lc. lactis subp. lactis,
a causa del suo ampio uso nei prodotti lattiero-caseari (van de Guchte
et al., 2002; Rallu et al., 1996), ma pochi lavori sono disponibili sulla
risposta allo stress dei batteri lattici isolati da impasti acidi.
Fatta eccezione per alcune specie dei generi Lactobacillus, Leuconostoc
e Oenococcus, i batteri lattici sono neutrofili con un pH ottimale prossimo
a 7 e un range di pH per la crescita compreso tra 5 e 9. La crescita dei
batteri lattici è caratterizzata da una forte produzione di acidi organici
che si accumulano nell’ambiente extracellulare, creando condizioni
sfavorevoli per molti microrganismi. La forma indissociata degli acidi
può diffondere passivamente attraverso la membrana cellulare, entrare
nel citoplasma e rapidamente dissociarsi in protoni e altri derivati carichi.
L’accumulo intracellulare dei protoni diminuisce il pH intracellulare e
provoca la riduzione dell’attività degli enzimi sensibili all’acido e danni
al DNA e alle proteine (van de Guchte et al., 2002). La sopravvivenza
allo stress acido è influenzata da un meccanismo noto come acid
tolerance response (ATR), legata alla sintesi delle acid shock proteins
(ASP). Studi mediante elettroforesi bidimensionale (2-DE) sulla risposta
allo stress acido di alcuni lattobacilli hanno dimostrato l’induzione di
un gran numero ASP, in particolare 21 in Lb. collinoides, 15 in Lb.
sanfranciscemsis e più di 30 in Lb. delbrueckii subsp. bulgaricus (De
Angelis e Gobbetti, 2004).

28
Lb. sanfranciscensis CB1, inoltre, ha mostrato una tolleranza allo stress
acido maggiore dei batteri lattici isolati dai prodotti lattiero-caseari. Infatti,
mentre i ceppi del genere Lactococcus sono stati caratterizzati da un basso
livello di resistenza a pH 4,0 (Hartke et al., 1996; Rallu et al., 1996), lo stesso
valore di pH ha avuto un effetto poco significativo sulla sopravvivenza di
Lb. sanfranciscensis CB1.
Per quanto riguarda la temperatura ottimale di crescita, i batteri lattici
sono mesofili (con alcune specie psicrotrofiche) o termofili. Durante
la conservazione delle colture starter, i batteri lattici sono esposti a
temperature al di sotto delle loro temperatura ottimale di crescita. Quando
le cellule sono esposti ad una variazione di temperatura subiscono
importanti cambiamenti fisiologici come la diminuzione della fluidità di
membrana e la destabilizzazione della struttura secondaria del RNA e del
DNA, derivanti da una minore efficienza della traduzione, trascrizione
e replicazione del DNA. Per superare questi effetti e per garantire una
regolare attività cellulare, i microrganismi hanno sviluppato una risposta
allo stress da freddo, in cui sono sintetizzate un certo numero di cold shock
proteins (CSP). La maggior parte delle CSP appartengono ad una famiglia
di proteine a basso peso molecolare (circa 7 kDa) (van de Guchte et al.,
2002) riscontrate in diversi batteri (Derzelle et al., 2002).
I batteri lattici isolati da impasti acidi possono adattarsi naturalmente alle
basse temperature e possono continuare a crescere, pur se in misura ridotta,
anche dopo un calo di ca. 20°C rispetto alla loro temperatura ottimale (De
Angelis et al., 2004). Ceppi di Lb. sanfranciscensis, Lb. plantarum, Lb.
brevis, Lb. hilgardii, Lb. alimentarius e Lb. fructivorans sono stati in grado
di crescere nella farina di grano tenero a 15°C aumentando la fase lag e il
tempo di generazione. Inoltre, quando i ceppi Lb. sanfranciscensis CB1,
Lb. plantarum DB200, Lb. brevis H12 e Lb. plantarum 20B sono stati
adattati a 15°C per 2 ore prima del congelamento, il recupero delle loro
cellule è da 10 a 100 volte superiore rispetto a quello delle cellule congelate
e non adattate e l’analisi elettroforetica (2-DE) ha dimostrato l’aumento
dell’espressione di oltre 14-18 proteine a seconda dei ceppi (Gobbetti et
al., 2005). Durante la panificazione, i batteri lattici possono essere esposti
a stress osmotici quando significative quantità di sale vengono aggiunti
all’impasto. I cambiamenti di salinità e, quindi, l’aumento della osmolarità
dell’ambiente risulta nello spostamento dell’acqua dalla cellula verso

29
l’esterno, che provoca una perdita di turgore delle cellule. I batteri possono
adattarsi all’accumulo dell’iperosmolarità attraverso la sintesi ed il trasporto
di soluti compatibili utili per ripristinare il turgore cellulare (van de Gucthe et
al., 2000). E’ stato dimostrato che agenti protettivi possono avere un effetto
benefico sull’integrità della membrana, sulla stabilità e sul ripiegamento
delle proteine, sulla protezione delle cellule alle alte temperature durante
l’essiccazione (Baliarda et al., 2003). Il meccanismo di inibizione della
crescita in presenza di elevate concentrazioni di sale è stato studiato in
molti batteri, ma non sono presenti lavori sulla risposta dei batteri lattici allo
stress osmotico. La disponibilità di cellule mutanti adattate e tolleranti allo
stress potrebbe essere uno strumento importante per migliorare l’efficacia
dei microrganismi durante le produzione industriali.

1.6. Scopo del lavoro


Il presente lavoro è focalizzato sullo studio di ceppi di batteri lattici isolati da
impasti acidi per la produzione del Cornetto di Matera, un pane tipico della
Basilicata. L’attività di ricerca è stata suddivisa in parti: 1) identificazione e
caratterizzazione tecnologica dei ceppi di batteri lattici; 2) studio della risposta
allo stress dei batteri lattici.
Ogni attività è stata suddivisa in diverse sotto-attività finalizzate al
raggiungimento dei seguenti obiettivi:
• selezione di ceppi con interessanti proprietà tecnologiche da utilizzare
nell’industria della panificazione;
• metodi rapidi ed efficienti per valutare il danno alle cellule esposte a
condizioni di stress fisico e chimico;
• modelli matematici predittivi per descrivere l’effetto dei fattori ambientali
sui parametri della crescita microbica;
• ottimizzazione delle tecniche di conservazione dei microrganismi di
interesse alimentare e formulazione di starter che possono essere conservati,
distribuiti ed applicati nell’industria della panificazione.

30
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